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11
Novembre 2014
2015 …
E oltre
Numero Speciale
Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
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Novembre 2014
Temi chiave, scenari e allocazione degli attivi
2015 e oltre: deflazione, « lowflation », reflazione o
stagnazione secolare? Conseguenze per l’allocazione
degli attivi
PHILIPPE ITHURBIDE, Global Head of Research, Strategy and Analysis – Paris
L'anno 2014, per gran parte, ha confermato alcune delle tendenze prevalenti da poco più di 3 anni
ad oggi: la ricerca della performance e degli spread, la debolezza della ripresa economica nella
zona euro, la migliore situazione di molti paesi periferici, le divergenze economiche all'interno delle
differenti aree, ma anche tra Europa - Stati Uniti - Asia, il restringimento degli spread (credito e
debito sovrano), l’impossibile salita dei tassi a breve e a lungo termine, la difficoltà di uscita dai
programmi di Quantitative Easing (QE), e così via.
Ha inoltre portato all’attenzione i fattori essenziali di rischio, quali il pericolo di deflazione, i timori di
"grande stagnazione", il "rischio di errore" nei messaggi e azioni della Federal Reserve,
malfunzionamenti dei canali di trasmissione delle politiche monetarie, le paure/dubbi sulla
valorizzazioni degli attivi rischiosi, la mancanza di protezione per le strategie a lungo termine,
l'aumento della volatilità finanziaria e molto altro.
La flessione dei prezzi degli indici, Stati Uniti compresi, e gli indicatori economici piuttosto scarsi
pubblicati durante l'estate hanno indebolito i mercati finanziari, influenzati allo stesso tempo da
nuove preoccupazioni circa l'efficacia delle politiche monetarie. Alla fine dell'estate, tutti i mercati
hanno subito una forte correzione, influenzata anche da fattori tecnici facilmente identificabili.
Anche se il calo è stato in ultima analisi di breve durata, questo campanello d'allarme (la prima
vera e propria correzione da quando è iniziato l'anno) ha lasciato il segno.
Alcune domande di base persistono e stiamo cercando di rispondere chiaramente. Di seguito le
conclusioni sugli scenari presenti e le raccomandazioni sull’asset allocation per il 2015 e oltre.
10 principali argomenti trattati:
Tema # 1
Area euro: Il pericolo della diffusa deflazione non è ancora svanito
Tema # 2
L’area euro sta seguendo il Giappone? Se si, quale Giappone: quello del
1990 o del 2010
Tema # 3
La crescita è ancora il principale fattore nella valorizzazione degli attivi
rischiosi
Tema # 4
« Riforme ora per introdurre la crescita nel futuro » è più facile a dirsi che a
farsi in alcuni paesi
Tema # 5
Stagnazione secolare: cause, strategie di uscita e conseguenze per le classi
di attivo
Tema # 6
Politiche monetarie convenzionali: possiamo contare su un ritorno della loro
efficacia? Il caso della zona euro
Tema # 7
BCE: un lungo periodo di tassi di interesse bassi e iniezioni di liquidità
Tema # 8
FED: l’uscita dal Quantitative Easing è un esercizio difficile
Tema # 9
Premio al rischio, costo del capitale e valorizzazione degli attivi rischiosi
Tema # 10
Bassa inflazione, deflazione, recessione, reflazione: scenario e strategie di
investimento
1
Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
L’essenziale
L'anno 2014, per gran parte, ha
confermato alcune delle tendenze
prevalenti da poco più di 3 anni ad
oggi: la ricerca della performance e
degli spread, la debolezza della
ripresa economica nella zona euro, la
migliore situazione di molti paesi
periferici, le divergenze economiche
all'interno delle differenti aree, ma
anche tra Europa - Stati Uniti - Asia,
il restringimento degli spread. Ha
inoltre portato all’attenzione i fattori
essenziali di rischio, quali il pericolo di
deflazione, i timori della "grande
stagnazione", il "rischio di errore" nei
messaggi e nelle azioni della Federal
Reserve, malfunzionamenti dei canali di
trasmissione delle politiche monetarie,
le paure / dubbi sulla valorizzazioni
degli attivi rischiosi.
Per il 2015 e oltre, dovremmo tenere a
mente che il pericolo di deflazione
generalizzata nella zona euro non è
ancora passato, e che la crescita è
ancora una volta un importante fattore
nelle valorizzazioni degli attivi rischiosi.
Non c'è modo di evitare di parlare di
stagnazione secolare, e di osservare
che l’uscita dalle strategie (QE, riforme,
ecc) ha conseguenze importanti e ben
diverse sulle classi di attivo, a seconda
che queste riforme si traducano in nuovi
deficit o meno. La politica monetaria
convenzionale rimane relativamente
inefficace (soprattutto in Giappone e
nella zona euro), il che sta portando gli
osservatori a credere che la zona euro
sia il nuovo Giappone. In queste
condizioni, sembra chiaro che la BCE
sia entrata in un lungo periodo di bassi
tassi di interesse e di iniezioni di
liquidità. Non crediamo che i tassi di
interesse saliranno rapidamente negli
Stati Uniti. Sembra probabile che la Fed
attenderà diversi trimestri prima di
rialzare i tassi. Il contesto di tassi di
interesse bassi ha significativi impatti
sui premi al rischio, sul costo del
capitale e sulla valorizzazione delle
attività rischiose. Il «repricing» degli
asset è un dibattito aperto, che verrà
ulteriormente sviluppato nei prossimi
mesi.
Nel
complesso,
stiamo
mantenendo la nostra posizione in uno
scenario di reflazione in un mondo a
bassa crescita.
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# 1 – Il pericolo della diffusa deflazione non è ancora svanito
Ci sono due tipi di deflazione: la deflazione dei prezzi, che si traduce in tassi di inflazione negativi
tassi di inflazione, e deflazione del debito, che si traduce in un contemporaneo calo degli indicatori
delle attività e di tutti i prezzi (prezzi sul mercato dei beni e dei servizi, tasso di cambio sul mercato
valutario, salari sul mercato del lavoro, tassi di interesse sul mercato dei capitali, ecc ) .
In una situazione di disinflazione e deflazione dei prezzi, i consumatori rimanderanno le spese
poiché certi che potranno acquistare gli stessi beni più tardi ma ad un prezzo inferiore. Inoltre, la
deflazione è una spirale negativa che minaccia di toccare la produzione, e di trasformarsi in
recessione. Questo è il pericolo principale. Secondo Mario Draghi, la deflazione (dei prezzi) è una
situazione in cui si ravvisano cali nei prezzi:
- In una grande maggioranza di Paesi
- Per un gran numero di prodotti
- In una modalità auto-alimentante, il che significa che le previsioni sull’inflazione stanno
pesando sull’attuale inflazione.
Dal momento che l'inflazione è negativa in Italia, il 35% del PIL della zona euro è ora in deflazione,
contro il 5 % alla fine del 2012. Anche la Francia è vicina alla deflazione, a causa della fragilità del
mercato del lavoro, della riduzione del debito, e del persistente surplus di capacità. In effetti, se
ragioniamo nell'ipotesi che la tassazione resti invariata, anche la Francia è in deflazione. In altre
parole, anche se la zona euro nel suo complesso non è in deflazione, il 50 % dei suoi membri (in
termini di PIL) oramai lo sono. Con il passare del tempo, sempre più paesi della zona euro stanno
scivolando in deflazione.
Anche se necessarie, le riforme virtuose dal lato dell'offerta potrebbero anche intensificare le
pressioni deflazionistiche a breve termine. In sintesi, le pressioni deflazionistiche continuano a
crescere. Si noti che i mercati finanziari stanno valutando la BCE allo stesso modo della Banca del
Giappone e della Banca Nazionale svizzera - due paesi che sono chiaramente in deflazione. Le
curve forward a tre mesi stanno rimanendo estremamente flat, almeno per i prossimi 4 anni.
La deflazione è una spirale
negativa che minaccia di
toccare la produzione e di
trasformarsi in recessione
Anche se l’area euro nel
suo insieme non è in
deflazione, oltre il 50% dei
suoi membri (in termini di
PIL) oramai lo sono
Rischio deflazione: perché ora e non nel 2009?
Il rischio di deflazione cha aveva minacciato l’economia mondiale durante la crisi
finanziaria del 2008 diventa di attualità in Europa.
Questo rischio non si è concretizzato a causa della crisi finanziaria grazie a due fattori critici,
secondo il FMI: l’ancoraggio delle attese di inflazione alla credibilità dei target di inflazione e la
rigidità dei salari nominali. Questi due aspetti favorevoli sono ora scomparsi: il target di
inflazione sta diventando fuori portata e i salari sono stati tagliati drasticamente, perlomeno in
alcuni paesi europei, dal momento in cui i tagli salariali sono al centro dei programmi
condizionali introdotti dalla Commissione Europea. Inoltre, il ciclo di riduzione della leva
finanziaria non è finito. La fiducia nel sistema bancario è una cosa, migliorare il potere
d'acquisto e il reddito disponibile è un’altra. Senza dubbio, raggiungere questo obiettivo
comporterà una brusca inversione delle politiche di austerity, delle riforme strutturali
«fiscalmente neutrali", se possibile, e della certezza che i deficit non siano finanziati
automaticamente attraverso aumenti fiscali. Questa è probabilmente una delle più grandi sfide
per la zona euro. Uscire dalla deflazione e tornare alla crescita sono due sfide importanti,
perché determinano diverse cose, in particolare la solvibilità dei debiti pubblici e il livello degli
spread all’interno della zona euro.
Le due principali sfide sono
l’uscita dalla deflazione e il
ritorno alla crescita, perché
determinano la solvibilità
del debito pubblico e il
livello degli spread
all’interno della zona euro
# 2 – L’Eurozona sta seguendo il Giappone? Se si, quello degli anni ’90
o quello del 2010?
È molto forte la tentazione di confrontare la zona Euro e il Giappone, dato che presentano tante
caratteristiche simili. Il Giappone è stato in deflazione dagli anni ’90. È stato interessato da una
crescita molto lenta, un debito pubblico consistente, un’inflazione negativa (deflazione), la maggior
parte del suo debito è detenuto dai cittadini, i tassi a breve e a lungo sono estremamente bassi,
ecc… Proviamo a confrontare la zona Euro con il Giappone, ma quale Giappone? Quello del 1990
o quello del 2010?
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Il Giappone del 1990 è stato caratterizzato da una bolla immobiliare, una bolla azionaria (con
valutazioni estreme), una politica monetaria relativamente passiva con un significativo ritardo,
politiche di bilancio e fiscali inadeguate, ecc… Attualmente la zona Euro non assomiglia molto
al Giappone. Non sta vivendo una bolla immobiliare o azionaria (le valutazioni correnti in
Europa sono notevolmente inferiori al livello raggiunto dal Giappone due anni fa), la zona euro
ha una politica monetaria attiva ma anche politiche di bilancio e fiscali che non sono
sufficientemente favorevoli alla crescita (con uno spostamento in corso?). Tuttavia, un
elemento di somiglianza è che la zona Euro necessita di un supporto esterno proprio come il
Giappone ha fatto quando i rialzi del mercato azionario sono stati bruscamente interrotti da
shock esterni: 1994, 1997, 2000, 2007.
La maggior somiglianza al
Giappone del 2010 rispetto
a quello del 1990 è in
qualche modo una buona
notizia
Il Giappone del 2010 è caratterizzato da una politica monetaria ultra-espansiva (riflessa nel
massiccio aumento delle dimensioni del bilancio della Banca Centrale) e da una politica
economica attivista (Abenomics) che ha prodotto un forte calo dello Yen. La zona Euro sembra
essere molto più vicina al Giappone del 2010 e questo fatto è generalmente una buona
notizia: in questo periodo, il mercato azionario giapponese è tornato in positivo, generando
ottime performance. Il mercato obbligazionario giapponese è più "protetto" di quello europeo
per via della maggioranza di investitori interni, d’altra parte la zona Euro ha un valore aggiunto:
un ritorno in termini di dividendi tre volte superiore sui tassi a lungo.
Nel complesso, la maggior somiglianza al Giappone del 2010 piuttosto che a quello del 1990 è in
qualche modo una buona notizia, tuttavia ciò significa che la BCE deve attuare con successo il
programma non convenzionale promesso, cui dovrebbe seguire un ulteriore deprezzamento
dell’Euro.
# 3 – La crescita è ancora il principale fattore nella valorizzazione degli
attivi rischiosi
La crescita effettiva e le prospettive di crescita hanno avuto un’influenza limitata negli ultimi anni.
Altri fattori sono stati molto più critici nella determinazione dei prezzi degli asset. Nello specifico,
possiamo individuare diverse fasi dell'evoluzione degli asset rischiose.
Fase 1: la crisi finanziaria (2008). La crisi ha portato al crollo dell’azionario e all’impennata degli
spread creditizi indipendentemente dalle considerazioni sulla crescita economica. Gli asset
rischiosi hanno raggiunto valorizzazioni sproporzionate rispetto ai fondamentali reali. Effetti di
contagio hanno svolto un ruolo di primo piano e hanno impattato bruscamente su tutti i mercati.
Fase 2: eliminazione dei rischi sistemici (2009 negli Stati Uniti, 2010 nella zona Euro).
Nonostante la recessione stia prendendo piede in tutto il mondo industrializzato, le azioni delle
banche centrali (tassi d’interesse più bassi, 1° QE, 2° QE e 3° QE negli Stati Uniti; tassi
d’interesse più bassi, gli LTRO e gli annunci OTM nell’Eurozona) hanno spinto gli asset rischiosi
verso l'alto, con i private bond che hanno generato un’ottima performance in un contesto
economico fortemente deteriorato.
Fase 3: abbondanza di liquidità (dal 2009 negli Stati Uniti, dal 2011 nella zona Euro). Questo
ha spinto tutti gli asset ancora più in alto, talvolta a scapito degli investimenti produttivi. Anche se
un aumento dei prezzi degli asset guidato solamente dalla liquidità è insostenibile e non può
durare, questo trend persiste e ha impatto su tutte le classi di attivo, in particolare sui paesi
emergenti, che sono stati in grado di attrarre la parte più grande di questo eccesso di liquidità.
Fase 4: la corsa per gli spread e rendimenti (dal 2012). Il bassissimo livello dei tassi a lungo
termine e la ripresa economica sono stati finalmente in grado di consolidare gli andamento dei
mercati azionari e obbligazionari. In effetti, la ricerca di rendimenti e spread ha dominato, portando
un vantaggio importante: le società erano in grado di (ri)finanziarsi facilmente sul mercato in un
momento in cui le banche erano piuttosto riluttanti a concedere il credito. L‘interesse per i titoli a
spread ha consolidato l’attività sul mercato primario, là dove il basso livello dei tassi a lungo ha
portato ad un repricing del valore di asset, quali il debito dei paesi emergenti o i titoli azionari.
Una crescita stagnante, o
peggio un altro crollo nella
crescita, farebbe riemergere
dubbi circa la solvibilità di
alcuni stati. Ciò
comporterebbe la fine dei
bassi tassi e dei bassi
spread in alcuni paesi
periferici
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Conclusione preliminare: fino ad ora la crescita economica non ha avuto un ruolo significativo
nella determinazione dei prezzi degli asset della zona Euro (ad eccezione dei paesi periferici).
Questo è sostenibile? Certamente no, perché una crescita stagnante o, peggio ancora, un altro
crollo della crescita, farebbe riemergere dubbi sulla solvibilità di alcuni stati. Ciò comporterebbe la
fine dei bassi tassi e dei bassi spread in alcuni paesi periferici. Tassi sul credito sempre più
gravosi e un costo del capitale più elevato sarebbero senza dubbio essere fatali per gli asset
rischiosi.
Fase 5: strategie di rilancio economico in un contesto di bassa crescita. Questa è la
situazione corrente. La corsa ai rendimenti e agli spread non è ancora finita, ma, con una crescita
più bassa, non è priva di rischi. Tre fattori chiave:
− L'entità e il successo delle misure adottate dalla BCE,
− La portata delle riforme strutturali e il loro finanziamento o meno,
− Infine la capacità della zona Euro di attuare politiche economiche anticicliche.
In altre parole, sembra ovvio che la crescita e le prospettive di crescita sono ancora una volta (e
rimarranno) un fattore importante nella valutazione degli asset rischiosi e degli spread sovrani.
La «corsa» ai rendimenti e
agli spread non è ancora
finita, ma, con una crescita
più bassa, non è priva di
rischio
#4 – «Fare riforme ora per aumentare la crescita nel futuro» in
alcuni paesi è più facile a dirsi che a farsi
La BCE non può fare tutto - questo è un dato di fatto che i mercati finanziari hanno avuto la
tendenza a dimenticare o a trascurare negli ultimi anni. La questione è quella di stimolare la
crescita degli investimenti (privati, in Francia e nei paesi periferici, e pubblici in Germania) e la
politica fiscale. Inoltre si tratta di riformare queste economie per stabilire condizioni durature per
una crescita più solida.
Di seguito analizziamo i «campioni» di riforme strutturali dell’Eurozona. Secondo l'OCSE
(Economic Policy Reforms - Going for Growth 2013 - Rapporto OCSE), «I paesi che hanno attuato
il maggior numero di riforme sono i paesi che stanno ricevendo assistenza». Grecia, Irlanda,
Portogallo e Spagna sono i primi cinque paesi riformisti. Il Giappone è al posto #29, l’Italia al #9,
Francia al #25, Stati Uniti al #26, UE al #17 e l’OCSE al #19.
Se consideriamo la difficoltà di attuare riforme, tra i paesi dell'OCSE, la Grecia è al primo
posto, la Spagna al secondo, e il Portogallo è al terzo.
Le riforme sono inadeguate in alcuni paesi, come ad esempio la Francia. Si tratta di ridurre le
tasse, in particolare le imposte sul reddito societario, che rendendo il mercato del lavoro più
flessibile, e riformare il sistema sanitario per ristabilire un po‘ di margine di manovra e
stimolare le prospettive di crescita a medio e lungo termine. Quali sono le alternative di
scelta per i paesi in questione?
I paesi che hanno
attuato il maggior
numero di riforme sono
il paesi che stanno
ricevendo assistenza
L‘incremento di attività
come conseguenza delle
riforme si trasformerebbe
rapidamente in un
progressivo aumento dei
deficit pubblici e del debito
pubblico
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Scenario #1: Riformare senza finanziare le riforme. In questo scenario, l‘incremento di attività
come conseguenza delle riforme si trasformerebbe rapidamente in un progressivo aumento
dei deficit pubblici e del debito pubblico. La questione centrale è legata, in primo luogo, alla
risposta degli organismi europei (la Commissione Europea e i partner dell’Europa) che hanno
già dubbi circa i deficit di alcuni paesi, considerando insufficienti gli sforzi attualmente
sostenuti. Questo è soprattutto il caso della Francia. In secondo luogo, è legato anche alla
reazione degli investitori, sia residenti che non residenti. Questo è tanto più frustrante poiché
gli altri paesi della zona euro hanno dimostrato le loro capacità riformiste pur gestendo un
ritorno ad avanzi primari, avanzi delle partite correnti e crescita.
•
Scenario #2: Riformare finanziando le riforme. Riformare senza aggravare il deficit pubblico è
un'opzione che alcuni paesi non prendono nemmeno in considerazione perché, nel breve
periodo, ciò ha sicuramente un effetto recessivo sull’attività economica. Inoltre, questo è quello
che è successo nella maggior parte degli paesi periferici che hanno intrapreso questa strada.
È stato anche il caso della Germania, che ha effettuato riforme ingombranti nel 2001, che
hanno avuto effetti positivi sull'attività a partire dal 2005. In altre parole, intraprendere questa
strada equivale ad accettare misure che inizialmente deprimono l'attività economica. La
Francia, ad esempio, non ha assolutamente intrapreso questo percorso dal 2008. La spesa
pubblica è rimasta un motore per la crescita, al contrario di un buon numero dei suoi partner
europei.
•
È possibile implementare
misure che, nella prima
fase, hanno un effetto
negativo sull’economia?
Non fare nulla, lo scenario
di gran lunga peggiore…
Scenario #3: Non fare nulla, rinviando le riforme, è sicuramente il peggiore tra tutti gli scenari.
Ciò si traduce in una continua stagnazione economica e in una deindustrializzazione, e segna
la strada per una crescita sempre più debole. Non fare nulla equivale a rimanere indietro
rispetto ai paesi periferici, che hanno attuato un buon numero di riforme e potranno godere dei
loro benefici.
#5 - Stagnazione secolare: cause,
conseguenze per le classi di attivo
strategie
di
uscita
e
Viviamo in un mondo di tassi molto bassi a causa del contesto di bassissima inflazione (detta
anche «lowflation»). Ma questa non è l'unica spiegazione. Quello che è stato interessante notare
dopo la crisi finanziaria è la mancanza di investimenti e innovazione, che pesa sulla crescita, sui
salari e quindi sui tassi di interesse. Qual è la causa? Gordon (2012) ha identificato i "venti
contrari" che stanno spingendo contro l'attività economica, alcuni dei quali sono rilevanti per molte
altre economie avanzate o cosiddette "emergenti":
−
L'invecchiamento della popolazione ha determinato una riduzione del tasso di
partecipazione alla forza lavoro e aumenti più deboli della produttività. I baby boomers stanno
gradualmente uscendo dal forza lavoro, i tassi di natalità sono spesso troppo bassi e la più
alta aspettativa di vita stanno mantenendo pressione sull'attività economica. Il Giappone è
senza dubbio il miglior esempio di questa spiacevole situazione. Il tasso di natalità della
Germania è troppo basso, ma in seguito alla crisi finanziaria e a quella del debito, ha
beneficiato di un elevato numero di giovani immigrati ben istruiti.
−
La globalizzazione sta esercitando una pressione al ribasso sui salari nei paesi sviluppati, a
causa della concorrenza delle economie emergenti e della delocalizzazione industriale.
L‘allineamento del costo dei fattori è inevitabilmente a scapito della paesi dove il costo della
manodopera è più alto, vale a dire le economie avanzate. Notiamo, tuttavia, che la
globalizzazione spinge i salari al rialzo nei paesi in via di sviluppo. La Cina ha visto i propri
salari superare di molto i suoi concorrenti asiatici, ostacolando la competitività, soprattutto dal
momento che le valute asiatiche hanno perso valore rispetto lo yuan, in particolare nel 2013.
−
La riduzione della leva finanziaria nel settore privato e la necessità di stabilizzare il
debito pubblico hanno ridotto il reddito disponibile e i consumi. Un ritorno del debito
pubblico su una traiettoria sostenibile comporterà inevitabilmente una pressione al ribasso
sulla crescita del PIL.
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Quello che è stato
interessante notare dopo
la crisi finanziaria è la
mancanza di investimenti
e innovazione
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Energia e ambiente faranno ridurre gradualmente il budget che le famiglie dedicano ad
altre voci di consumo.
La «Grande Recessione" ha messo in luce cambiamenti significativi, tra cui il calo dei rendimenti
dei fattori di produzione e l'innovazione tecnologica insufficiente, portando ad una forte
stagnazione. L'idea di una stagnazione prolungata riappare ogni volta che l'economia rallenta
per un lungo periodo. Per esempio, era popolare nel 1930 (Alvin Hansen, «Full Recovery or
Stagnation?", 1938). Le conseguenze di una "grande stagnazione "(o, più semplicemente, i
danni causati dai timori di una grande stagnazione) sono piuttosto chiari:
- Bassi tassi di interesse a breve termine,
- Bassi tassi a lungo termine;
- Prezzi elevati degli attivi;
- Maggiore volatilità finanziaria.
Attualmente è difficile individuare una fonte di crescita economica abbastanza forte da limitare
queste conseguenze. L'attuale situazione di bassa crescita può durare a lungo. «C'è una nuova
normalità: bassi tassi di interesse e prezzi elevati degli attivi. Chi pensa che i tassi di interesse si
normalizzeranno quasi sicuramente si stanno sbagliando» (P. Krugman, giugno 2014, Forum
Amundi).
La «Grande Recessione»
ha messo in luce
cambiamenti significativi,
tra cui il calo dei
rendimenti dei fattori di
produzione e
l'innovazione tecnologica
insufficiente, portando ad
una forte stagnazione
Come si esce da questa difficile situazione? Sembrano possibili tre vie. La prima si concentra
sul perseguire la piena occupazione, la seconda sulla ricerca dell’inflazione, e la terza si basa
sull'impatto a medio termine delle riforme strutturali.
•
•
•
Strategia di uscita #1: Secondo questa strategia, sarebbe cruciale tornare alla piena
occupazione. A tal fine, le politiche ultra-accomodanti dovrebbero essere adottate per un
periodo più lungo rispetto a quello strettamente necessario. Anche la presenza di bolle
dovrebbe essere tollerato. Chiaramente seguita da Greenspan in una sola volta, questa
strategia ha portato ad eccessi devastanti: è importante che i mercati finanziari non associno
Janet Yellen con tali rischi. In ogni caso, questa strategia di reflazione è favorevole alle classi
di attivi rischiosi, e mantiene i tassi di interesse - sia a breve che a lungo - a livelli bassi.
Strategia di uscita #2: Rendere efficace la politica economica richiede un ritorno
all'inflazione. Questo tema, evocato in numerose occasioni da Olivier Blanchard (FMI) e
Paul Krugman, è anche una delle principali posizioni delle banche centrali (Stanley Fischer,
Vice Presidente della Fed, ne parla spesso) e dei governi. "In caso di successo, questa
strategia spinge i tassi a breve e a lungo al rialzo, e il ritorno alla crescita favorisce gli attivi
rischiosi.
Strategia di uscita #3: Attuare riforme strutturali si sta rivelando essenziale. La BIS
(Bank of International Settlements) e i banchieri centrali in generale, sono regolarmente
veloci nel ricordare la necessità di rendere le economie più flessibili e la finanza pubblica più
equilibrata; essendo questo l'unico modo per evitare la creazione di bolle finanziarie
(strategia #1) o (strategia #2) per permettere all'inflazione di uscire fuori controllo (uno degli
obiettivi fondamentali per le banche centrali e l'unico principale obiettivo per alcuni). Nel
breve periodo, questa strategia penalizza gli attivi rischiosi.
Strategia #1:
Ritorno alla piena
occupazione
Strategia #2:
Ritorno all’inflazione
Strategia #3:
Attuare riforme
strutturali
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In questo caso, l’allocazione degli attivi varia ampiamente:
Obbligazioni
governative
Obbligazioni
corporate
Azioni
Immobiliare
Strategia di uscita #1:
Ricerca della piena occupazione
+
++
+++
+++
Strategia di uscita #2:
Ricerca di inflazione
---
-
+
++
Strategia di uscita #3:
Politiche di riforme
+++
+
--
--
# 6 – Politiche monetarie convenzionali: possiamo contare su un
ritorno della loro efficacia? Il caso della zona euro
Cambiamenti nei tassi (politiche convenzionali) e nella liquidità (politiche non convenzionali)
hanno un impatto sull’economia reale attraverso i tassi d’interesse, i prestiti bancari, l’effetto
ricchezza e i tassi di cambio (vedi box in basso).
> I canali di trasmissione di una politica monetaria tradizionale
Normalmente ci sono diversi canali di trasmissione:
- Il canale dei tassi di interesse: la riduzione dei tassi di interesse diminuisce il costo del capitale e
promuove gli investimenti. Taglia i costi di finanziamento del debito, che colpisce i consumi;
- Il canale del tasso di cambio: in un sistemi di tassi di cambio flessibili con libera circolazione di capitali,
l'abbassamento dei tassi di interesse potrebbe causare il deprezzamento della valuta, aumentando
esportazioni e la crescita;
- Il canale della Q di Tobin: il valore di un’azione (equivalente al valore attuale dei dividendi futuri) dipende
dai tassi d’interesse. Più bassi sono, più alto è il valore dell’azione;
- Il canale dell’effetto ricchezza: i prezzi più elevati degli asset, che sono il risultato di politiche monetarie
accomodanti, portano ad un effetto ricchezza positivo che stimola i consumi;
- Il canale delle aspettative di inflazione: tassi di interesse più bassi dovrebbero innescare aspettative di
prezzi più alti che riducono i tassi di interesse reali e aumentano i consumi;
- Il canale dei prestiti bancari: i tassi di interesse più bassi diminuiscono ulteriormente al miglioramento
delle condizioni per i prestiti delle banche, le quali, lasciati tutti gli altri fattori inalterati, ampliano la loro
concessione di credito, promuovendo i consumi e gli investimenti. Più grande è il ruolo che le banche
svolgono nel finanziamento, maggiore è l'effetto di questo canale;
- Il canale di bilancio (la teoria dell’acceleratore finanziario): il meccanismo di trasmissione della politica
monetaria dipende dalla qualità del bilancio. Quanto più le parti interessate sono indebitate, tanto più questo
canale di trasmissione si rivela debole in situazioni di calo dei tassi di interesse, e tanto più è devastante
quando i tassi di interesse aumentano.
Politiche di tasso
d’interesse «di solito»
hanno un impatto
sull’economia reale
attraverso i tassi
d’interesse, i prestiti
bancari, l’effetto
ricchezza e persino i
tassi di cambio
La storia ha dimostrato che I) le politiche monetarie convenzionali e non convenzionali devono
essere sufficienti a produrre effetti di ricchezza e II) i tassi d’interesse a lungo termine devono
essere inferiori alle aspettative di crescita economica al fine di incentivare gli investitori
all'acquisto di asset rischiosi.
Diverse lezioni possono essere dedotte a partire dal 2008 (la crisi finanziaria) e dal 2011
(la crisi del debito).
-
I canali di trasmissione del tasso d'interesse e dei prestiti bancari sono per lo più inefficaci
quando gli attori economici sono in un ciclo di riduzione della leva finanziaria. Questo non è
il caso negli Stati Uniti, ma tale affermazione è ancora valida per i paesi periferici della zona
Euro.
-
Il canale di trasmissione dell’effetto ricchezza è molto potente in un contesto di riduzione
della leva finanziaria una volta che le politiche monetarie non convenzionali entrano in
gioco. Gli Stati Uniti ne sono un esempio lampante così come la zona Euro anche se più di
recente e in misura minore.
La sfida della BCE è
chiara: mantenere
tassi bassi e
promuovere gli effetti
ricchezza
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Il canale del tasso di cambio dipende dallo squilibrio tra il risparmio e gli investimenti. Un
eccesso di risparmi (surplus delle partite correnti) non favorisce il deprezzamento della
moneta. Attualmente questo fatto è chiaramente una differenza significativa tra il Giappone
(dove l'effetto dei tassi di cambio ha avuto un impatto maggiore) e della zona Euro (dove era
quasi inesistente fino al 2014).
La sfida della BCE è chiara: mantenere tassi bassi e promuovere gli effetti ricchezza.
La sfida della zona Euro è chiara: l'adozione di una combinazione di politiche che aumentino le
aspettative di crescita.
La BCE non può fare tutto, e fino a quando il canale dei prestiti bancari (politica convenzionale)
è bloccato, le iniezioni di liquidità (politiche non convenzionali) sono inevitabili.
La sfida della zona
Euro è chiara:
l’adozione di una
combinazione di
politiche che
aumentino le
aspettative di crescita
# 7 – BCE: un lungo periodo di tassi di interesse bassi e
iniezioni di liquidità
Al momento i mercati finanziari giustamente credono che la politica della BCE rimarrà
accomodante per un lungo periodo di tempo (anche di più che negli Stati Uniti). La Fed ha
recentemente concluso il suo programma di Quantitative Easing. Tuttavia, la Banca del
Giappone sta continuando su questa strada, mentre la BCE è in procinto di accelerare il suo
ritmo. In breve, l’eccesso di liquidità globale non si sta esaurendo:
La BCE ha chiarito di voler riportare il proprio bilancio all’inizio del 2012: 2.7 trilioni di euro in
gestione a gennaio e 3 trilioni di euro a Marzo, contro i €2 trilioni di euro attuali. In parole povere,
la BCE desidera che il proprio bilancio rappresenti oltre il 30% del PIL della regione (vs il suo
attuale livello del 20%).
L’eccesso di liquidità
non si sta
esaurendo
La strategia è chiara e le sue azioni significative:
-
Lancio del programma TLTRO per circa 400 miliardi di euro da realizzare in otto tranche su
due anni. La prima tranche è stata molto deludente, ma non ci si poteva attendere un grande
successo a qualche settimana dal rilascio degli esiti dell’Asset Quality Review e degli stress
test.
-
La BCE ha inoltre annunciato un programma di acquisto di covered bonds (inclusi i titoli
immobiliari) e ABS. La dimensione del programma non è ancora nota, ma potrebbe essere
sostanziale. C'è un po’ di scetticismo che circonda questo programma, soprattutto perché
arriva un po' tardi: le banche hanno praticamente pochi incentivi (regolamentari o finanziari)
per ottenere prestiti bancari fuori bilancio (la riduzione della leva finanziaria è quasi finita, la
situazione economica è meno degradata, la redditività parzialmente ritornata, ecc). In altre
parole ciò che sarebbe sembrato una grande idea due anni fa, sembra meno necessaria
ora. Tuttavia, questo è un programma attuale, e si potrebbe pensare che se la BCE
continuerà di questo passo, sarà di importi consistenti .Sostenere le piccole imprese
(fortemente dipendenti dalle banche, al contrario delle grandi aziende), mantenendo basso il
livello dei tassi di interesse, permetterebbe un più facile accesso alla liquidità della banca
centrale e la ripresa del mercato degli ABS è cruciale data l’importanza delle piccole e medie
imprese nell’economia euopea. Per essere franchi, nel 2012, le PMI hanno impiegato 87
milioni di persone nell'Unione Europea ( 67% della forza lavoro totale) e hanno generato il 58
% del valore aggiunto complessivo. Esse rappresentano quasi l'80 % della forza lavoro e il
70 % del valore aggiunto in Italia, Spagna e Portogallo In questi paesi , il settore delle PMI è
dominato da microimprese con meno di 10 dipendenti . Infine, hanno creato l'85 % dei nuovi
posti di lavoro tra il 2002 e il 2010.
Sostenere il finanziamento
alle PMI mantenendo
basso il livello dei tassi di
interesse, rendendo più
semplice l’accesso alla
liquidità della banca
centrale e riattivare il
mercato degli ABS è
cruciale data l’importanza
delle PMI nell’economia
europea
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-
Possibilità di acquisti di obbligazioni societarie (se bisogna credere ai rumors) .
-
Possibilità di QE sul debito sovrano, se necessario. Questo è un argomento delicato: siamo
consapevoli del fatto che alcuni paesi, in particolare la Germania, sono titubanti circa OMT
(Outright Monetary Transaction) programmi che permetterebbe alla BCE di acquistare il
debito dei paesi in difficoltà. L'annuncio di questo strumento ha fatto molto per alleviare lo
stress finanziario e per ridurre i premi al rischio sul debito sovrano dei paesi periferici. Ma la
selettività di queste azioni avrebbe portato la banca centrale ad accumulare crediti inesigibili
e a finanziare Stati membri che sono in deficit, il che non sembra rispettare statuto della
BCE. Al contrario, l'acquisizione del debito europeo (nella stessa proporzione del capitale
rappresentato da questi Stati sul capitale della BCE, per esempio) potrebbe far rispettare il
suo statuto. Questa discussione è chiaramente da monitorare ed è sicuramente un
argomento preoccupante : chi poteva credere che il presidente BCE proponesse soluzioni
non conformi allo statuto della l'organizzazione che presiede?
QE sul debito sovrano o
no? La discussione è da
seguire.
In conclusione, è chiaro che i tassi di interesse europei a breve termine rimarranno bassi per i
prossimi tre-cinque anni, e che le misure di allentamento quantitativo saranno presentati nei
prossimi mesi. La strategia della BCE è al tempo stesso chiaro e inevitabile.
> Il cambiamento nei diritti di voto nella BCE è dopo tutto un fattore
marginale
Dal 1 ° gennaio 2015, la BCE effettuerà una rotazione mensile dei diritti di voto .
I 19 governatori dovranno condividere 15 voti : 4 per i 5 paesi "grandi" , e 11 per i paesi
"piccoli". La Spagna sarà il primo dei 5 a "perdere " il loro diritto di voto, accompagnato da
Irlanda, Grecia e Estonia
La crescita dell’area
euro rimarrà debole
per ancora altri anni
Nonostante le prossime misure (BCE, 300 miliardi di euro del piano di Juncker per
investimenti in infrastrutture), la crescita nella zona euro resterà debole per diversi anni.
Tuttavia, sappiamo che la zona euro trae beneficio da un combinazione altamente
positiva di fattori:
- QE della BCE (che è solo all'inizio e può essere esteso a obbligazioni privare e titoli sovrani se
necessario);
- I tassi di interesse che non sono destinati ad aumentare nel prossimo futuro;
- Deprezzamento dell’euro che continuerà con ogni probabilità;
- Un possibile piano di rilancio europeo incentrato su investimenti in infrastrutture (il piano
Juncker);
- Un allentamento delle condizioni del credito;
- Politiche di bilancio più flessibile di quelli degli ultimi anni,
- La ripresa nelle economie periferiche più gravemente colpita dalla crisi (Spagna, Portogallo ,
Grecia e Irlanda )
Proseguimento della
deframmentazione
economica e
finanziaria della zona
euro, quello che la Bce
e i governo cercano.
Tutti questi fattori spingono per un proseguimento della deframmentazione economica e
finanziaria della zona euro che i governi e la BCE stanno ricercando. I rischi sono che la crescita
globale si ridurrà ancora di più, che le preoccupazioni per la solvibilità degli stati europei
riemergeranno e che le condizioni sociali e politiche si deterioreranno, e così via.
# 8 – FED: l’uscita dal quantitative easing è un esercizio
difficile
Con una bassa inflazione – o inferiore alle attese – negli Stati Uniti, Regno Unito, Germania e
Cina, lo spettro della deflazione si è di nuovo fatto strada. Non ci’ voluto molto alle «colombe»
della Fed per intervenire. Per John William, presidente della Fed di San Francisco, la Fed
dovrebbe ripensare alle misure di QE, che si sono appena concluse (30 Ottobre), se l’inflazione
non convergesse verso il target del 2%. Il Vice-Presidente della Fed, Fischer, ha altresì
sottolineato l’importanza cruciale del rialzo dell’inflazione. Allo stesso tempo, James Bullard, il
presidente hawkish della Fed di Saint Louis (vedi tabella seguente) ha dichiarato che la Fed
dovrebbe rimandare la fine del QE per rendere sicura la permanenza dell’inflazione intorno al
suo target. Dobbiamo sottolineare che, nonostante movimenti ciclici innegabili nel mercato del
lavoro degli UK e degli Stati Uniti, l’inflazione salariale non si trova da nessuna parte; i salari reali
continuano a stagnare, nel bel mezzo di un’accelerazione robusta dell’inflazione.
Lo spettro della deflazione
è apparso ancora una
volta. Non c’è voluto
molto alle «colombe»
della Fed per intervenire
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L’arresto del programma
di Quantitative Easing non
è un compito facile e gli
errori di politica monetaria
rimangono un fattore di
rischio per i mercati che
hanno riposto fiducia fino
ad ora sulle banche
centrali
Abbiamo notato significative differenze tra le dichiarazioni della signora Yellen (che ha parlato di
un considerevole periodo di tempo tra la fine del primo QE e i primi rialzi dei tassi di interesse), e
le previsioni da parte dei membri della Fed (tutti d’accordo sull'innalzamento identico dei tassi di
interesse (rapidamente e sostanzialmente come nei precedenti periodi di stretta monetaria), e
con ciò che si potrebbe dedurre dal nuovo indicatore preferito della Fed, un indice composito sul
mercato del lavoro, che mostra in modo chiaro che la Fed avrebbe dovuto cominciare con la
stretta monetaria almeno sei mesi fa. Tutto ciò conferma che la chiusura del massiccio
programma di QE non è un compito facile, e che gli errori della politica monetaria rimangono un
importante fattore di rischio per i mercati che fino ad ora hanno dato fiducia assoluta (ed a volte
cieca) alle banche centrali.
> La Fed e il mercato del lavoro; un nuovo indicatore più
preoccupante che rassicurante
Dal 6 ottobre scorso, la Fed ha pubblicato il lunedì successivo alla pubblicazione
mensile sul lavoro, un nuovo indicatore destinato a rappresentare la quintessenza del
mercato dell’impiego del lavoro americano. Questo indicatore LMCI (Labour Market
Conditions Index) si basa su un modello fattoriale dinamico che considera 19 indicatori
tra i quali:
- Dati sulla disoccupazione: tasso di disoccupazione, tasso di partecipazione della forza
lavoro, part time per ragioni economiche;
- Dati sull’occupazione: lavoro privato, lavoro pubblico, lavoro temporaneo;
- Dati sull’impiego settimanale: durata settimanale dell’orario di lavoro, salario orario;
- Offerte di lavoro;
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-
Reclutamento: tasso di reclutamento, tasso si transazione disoccupazione – impiego;
Licenziamenti: lavoratori disoccupati da meno di 5 settimane;
Indagini sul consumo e sulle imprese: piani di reclutamento, posti di lavoro difficili da
occupare.
L'obiettivo - lodevole – di questo indicatore è quello di fornire una visione ampia sulle
condizioni di lavoro, una volontà ben in linea con la filosofia di Janet Yellen, che sta
monitorando un numero di indicatori da molto tempo.
Tuttavia , ci sono tre elementi da portare all’attenzione:
– Primo, questa scelta segue le difficoltà della Fed di liberarsi dal suo ruolo di “forward
guidance” sulla base di un tasso di disoccupazione del 6.5%
– Secondo, questo è un modesto ottimismo sul mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione è
sceso al di sotto il 6%, mentre c’è ancora un eccesso di capacità sul mercato)
– Infine, e sicuramente non intenzionatamente, occorre notare che l’indice LMCI getta
confusione sui messaggi della Fed. Se guardiamo ai cicli precedente, la Fed avrebbe dovuto
restringere la politica monetaria convenzionale tanto tempi fa, e questo è ciò è quanto l’indice
LMCI segnala. Nonostante ciò, la Yellen la riaffermato che occorrerà un considerevole lasso di
tempo tra la fine del QE e il primo ciclo di politica monetaria restrittiva.
Considerando tutto ciò, siamo scettici sull’importanza di un indicatore che non viene poi
seguito e che mostra quanto la Fed sia « dietro la curva».
In conclusione, dobbiamo ammettere che non vi è alcun motivo per un rallentamento
dell'economia degli Stati Uniti. Un certo numero di fattori spingono per un proseguimento
dell’espansione:
- Le condizioni monetarie e finanziarie sono molto accomodanti;
- L' effetto ricchezza sta svolgendo un ruolo di primo piano: per esempio, i tassi di interesse a
lungo termine sono scesi dall'inizio di quest'anno, mentre il mercato azionario è al suoi massimi.
- La politica di bilancio è sempre meno restrittiva;
- Le famiglie si sono sdebitate;
- Il tasso di disoccupazione è basso;
- Le aziende sono in buona salute (margini elevati ;
- La crescita globale sta tenendo bene.
Al contrario, possiamo aspettarci una chiara accelerazione? Non è certo. Il ciclo economico negli
Stati Uniti è meno impressionante in termini di investimenti e salari. Tutto considerato, il risultato
di ciò è che i Fed Funds non aumenteranno se non un po’ più tardi del previsto, alla fine del
2015 o addirittura all'inizio del 2016. A parte quando il periodo di inasprimento comincerà, ci
interroghiamo sull'entità e la frequenza dei rialzi. Anche la Fed non lo sa al momento (ci sono
così tanti parametri in gioco e la stretta non inizia per un bel po’ di tempo ancora), ma quello che
possiamo dire ora è che il prossimo inasprimento sarà più lento e meno brusco dell’estate
precedente, e più lento e meno brusco di quanto previsto dai governatori della Fed (i «dots»),
previsioni a cui i mercati finanziari danno poco credito.
Non c’è ragione per un
rallentamento
dell’economia
americana per un lungo
periodo di tempo…ma
la politica monetaria
rimarrà accomodante
# 9 – Premio al rischio, costo del capitale e valorizzazione degli attivi
rischiosi: un tema ricorrente
Il contesto di bassi tassi interesse - sia a breve che a lungo termine - sta chiaramente avendo un
impatto sulle attività finanziarie, in particolare sugli attivi rischiosi. I tassi di interesse devono
essere presi in considerazione dai modelli di valutazione delle azioni e dei premi per il rischio.
Questo punto è importante perché l'aumento dei prezzi degli attivi rischiosi, nel clima attuale di
crescita debole, è spesso percepito come eccessivo e quindi rappresentativo di una "bolla".
Che dire esattamente? Che cosa succede se l'aumento dei prezzi degli attivi è stato solo per
effetto del "re-pricing" e all’integrazione di tassi di interesse bassi nei modelli di valutazione?
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Rispondere a questa domanda sarebbe facile se ci fosse solo un modo per calcolare il valore di
un premio di riserva o di rischio. Purtroppo, questo non è il caso.
I modelli di valutazione e le ipotesi sulla crescita, sui tassi di interesse variano da un ufficio
di ricerca all'altro, da un analista all'altro, da un settore all'altro, etc. Per esempio, c’è il modello
Discounted Cash Flow (DCF), il modello Economic Value Added (EVA), il modello Dividend
Discount, il modello Multipli di Transazione, il modello Restated Net Asset Value etc…In breve, ci
sono una varietà di approcci, anche il modello DCF è il più comune. Questo modello consiste nel
determinare il valore attuale dei flussi che un'azienda è in grado di produrre in futuro. Questo
metodo di valutazione è influenzato da ipotesi come il tasso di sconto (costo medio ponderato
del capitale o WACC), che di fatto rappresenta il rendimento medio ponderato atteso dagli
azionisti e dai creditori in cambio del loro investimento. Più basso è il tasso di interesse, minore è
il costo del capitale (sotto l'ipotesi che le tasse rimangano invariate). Un altro elemento
componente i modelli di valutazione riguarda l’ipotesi sulla crescita (tasso di crescita all’infinito).
Usiamo generalmente la crescita a lungo termine, sia una media storica di lungo periodo o la
crescita potenziale.
Ci sono anche diversi modelli per la valutazione dei premi per il rischio, ma è comune utilizzare
la differenza tra la redditività di un titolo (dividendo/prezzo + crescita del PIL nominale) e il tasso
privo di rischio, che è generalmente considerato approssimativamente uguale al tasso di
interesse a 10 anni (normalmente usiamo il tasso tedesco).
Nel corso degli ultimi 25 anni, si nota che la redditività del mercato azionario ha subito
"relativamente poche" fluttuazioni intorno alla sua media (circa il 10% al massimo, 5% al minimo,
con una media del 7%). Al contrario, il tasso a 10 anni è collassato nello stesso periodo,
passando da un massimo di 9,1% (periodo della riunificazione della Germania) a minimo di 0,9%
a fine Ottobre di quest’anno.
In altre parole, se la redditività del mercato azionario è attualmente solo di poco inferiore alla
media (6,3%), il tasso d'interesse risk-free è diminuito di un fattore di 10, con un conseguente
premio di rischio che rimane molto (o meglio, troppo) alto.
Per ridurre al minimo questa tendenza, possiamo apportare un paio di correttivi:
i. invece di utilizzare i tassi di interesse tedeschi, utilizzare una media dei tassi di interesse
in Europa ponderati in base alla loro percentuale nell'indice. Usando questo metodo, il
tasso è 1,6% rispetto al 0,9%;
ii. dato il contesto attuale (dati demografici, investimenti/innovazione, stagnazione secolare,
etc), ognuno ha rivisto in ribasso il basso potenziale di crescita, inclusa la Fed per gli Stati
Uniti. I tassi di interesse di equilibrio (a lungo e a breve termine) sono state rivisti al
ribasso. Abbiamo quindi più basso potenziale di crescita a lungo termine.
Nel loro insieme, in base alle nostre stime, queste due misure correttive ridurranno il premio per il
rischio di 150 bps; sarebbe a circa il 4% invece del 5,5%, con tutto il conseguente impatto che
ciò avrebbe sul costo del capitale.
Nel complesso, dobbiamo rivedere drasticamente al ribasso il costo aziendale del capitale per le
imprese? Per le prospettive di crescita e tassi di equilibrio a lungo termine, la risposta è sì, con
un paio di avvertimenti:
La diminuzione dei tassi di interesse tedeschi o statunitensi e il loro mantenimento a livelli più
bassi, in media, rispetto agli anni precedenti è un dato di fatto, ma questo non significa
necessariamente che questo vale per tutti i paesi. Per i paesi periferici, la componente spread è
importante, e potremmo pensare che un altro collasso della crescita graverebbe sulla solvibilità e
sugli spreads. In altre parole, la diminuzione del costo del capitale può essere diffusa finché la
situazione è tranquilla. In caso contrario, il costo del capitale aumenterebbe in alcuni paesi.
In Amundi, abbiamo rivisto al ribasso il costo del capitale nei nostri modelli di valutazione più di
un anno fa, cosa che giustifica valutazioni più elevate, ma abbiamo anche deciso di rivedere al
ribasso la crescita potenziale a lungo termine e di distinguere tra paesi core dell’Eurozona e
paesi periferici, con un equity ratio più elevato per il secondo gruppo.
Che cosa succede se
l'aumento dei prezzi degli
attivi è stato solo per
effetto del "re-pricing" e
all’integrazione di tassi di
interesse bassi nei
modelli di valutazione?
La redditività del mercato
azionario è attualmente
solo di poco inferiore alla
media (6,3%), il tasso di
interesse risk-free è
diminuito di un fattore di
10, con un conseguente
premio di rischio che
rimane molto (o meglio,
troppo) alto.
In Amundi, abbiamo
rivisto al ribasso il costo
del capitale nei nostri
modelli di valutazione
più di un anno fa, cosa
che giustifica valutazioni
più elevate, ma
abbiamo anche deciso
di distinguere tra paesi
core dell’Eurozona e
paesi periferici, con un
equity ratio più elevato
per il secondo gruppo.
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Dobbiamo notare che la revisione verso il basso il costo del capitale ha un impatto positivo sulla
valutazione, mentre la revisione al ribasso del potenziale di crescita è negativo. Questo può
spiegare perché le diverse ipotesi con le stesse metodologie danno risultati simili e perché il repricing a causa di tassi di interesse è limitato.
# 10 – Bassa inflazione, deflazione, recessione, reflazione:
scenari e strategie di investimento
In totale, tre scenari alternativi si stanno affacciando:
• Scenario centrale per il 2015 (probabilità: 65%). In questo scenario, la crescita globale rimane
relativamente forte, ma la crescita della zona euro rimane debole. La deflazione minaccia
ancora, costringendo la BCE ad mettere in atto misure che ampliano il proprio bilancio. Crediamo
che un ulteriore deprezzamento della moneta unica sia inevitabile. Le politiche economiche
stanno cambiando un po’ ma per accelerare la ripresa economica ci vorrà del tempo. Il 2015
dovrebbe essere un anno di politiche di reflazione in un contesto di bassa crescita. Questo
contesto sarà sufficiente abbastanza per evitare un'altra crisi, ma sarà anche più volatile.
Tuttavia, questo non impedisce la prosecuzione della convergenza economica e della
deframmentazione finanziaria. Nel frattempo, la Fed manterrà una politica monetaria allentata,
ma le future curve dei rendimenti saranno più ripide nella seconda metà dell'anno. Il ribasso
dell‘Euro sarà certamente uno dei fattori più positivi per i mercati azionari della zona euro, con il
rapporto dividendo/prezzo storicamente e sistematicamente più elevato rispetto a Giappone o
Stati Uniti. Nonostante questo, dobbiamo sottolineare che in un contesto di tassi di interesse
molto bassi e maggiore volatilità, mantenere una duration lunga sui paesi core non proteggerà
da sbalzi dei mercati azionari. Questa limite alla "macro copertura" genererà di per sé una
volatilità più elevata.
• Lo scenario intermedio è quello degli «anni 90 stile-giapponese» di deflazione - recessione
(probabilità: 30%). Questo è esattamente lo scenario che i banchieri centrali, i governi e le
autorità europee stanno cercando di impedire ad ogni costo. La ragione è che, in un tale
scenario, le preoccupazioni per la solvibilità di alcuni governi periferici e l'efficacia delle politiche
monetarie nella zona euro potrebbero ripresentarsi, i primi segni di una grave crisi. Gli spread
creditizi potrebbero peggiorare ancora una volta, sia corporate sia governativo. I mercati azionari
molto probabilmente non sarebbero in grado di reggere, penalizzati da prospettive di crescita
peggiorate, ampliamento degli spread, volatilità del mercato in aumento e prospettive sui profitti.
• Il terzo ed ultimo scenario è anche il meno probabile. Uno scenario di «normalizzazione»
(probabilità: 5%) è altamente improbabile. Anche se la crescita guadagnasse terreno è
impossibile nelle condizioni attuali credere a qualsiasi tipo di normalizzazione: di politiche
monetarie o di tassi di interesse, o anche in modo permanente di revisione al rialzo del
potenziale di crescita. Allo stesso modo, è impossibile credere a un tale scenario senza prima
passare dal nostro scenario centrale.
Scenario centrale:
reflazione in un contesto
di bassa crescita
Scenario intermedio:
ritorno della
deflazione/recessione
Scenario meno
probabile: forte ripresa
della crescita e
normalizzazione
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Novembre 2014
I tre scenari in sintesi
Deflazione – Recessione
(S2 – probabilità: 30%)
Stagnazione – Reflazione
(S1 – probabilità: 65%)
Normalizzazione
(S3 – probabilità: 5%)
Scenario Macro
Verso un maggiore output gap attraverso
una revisione al ribasso della crescita
Verso l'eliminazione dell’output gap
attraverso una revisione – al ribasso - della
crescita potenziale; inflazione a livello ultra
basso
Verso l’eliminazione dell’output gap
attraverso il rialzo della crescita
Tassi a breve
termine
Bassi per un periodo molto lungo di
tempo, e futuri aumenti dei tassi
estremamente modesti
Bassi per un periodo molto lungo di tempo,
con futuri aumenti dei tassi di interesse
modesti
Rialzo dei tassi, verso il 3% entro 2 anni
Tassi a lungo
termine
Bassi per un periodo molto lungo di tempo
per alcuni paesi core, aumeto degli spread
per gli altri paesi
Bassi per un lungo periodo di tempo
Forte e rapido rialzo (correzione di una
"anomalia")
Curva dei
rendimenti
Molto piatta per un lungo periodo di tempo
in alcuni paesi core, molto ripida in altri
paesi
Piatta, o piuttosto non molto ripida
Bear flattening
Obbligazioni
corporate
Spread insufficienti a fornire una
protezione in questo scenario.
Ampliamento degli spread inevitabile
Strategie di carry attraenti a meno di
aspettative di recessione o deflazione
Strategie di carry pericolose (effetto
tassi vs effetto di credito)
Azionario
Crescita e profitti vs tassi bassi - una lotta
impari – ribasso dei cadono
Tassi più bassi su attivi a lungo termine privi
di rischio, impatto sulla valutazione
dell’azionario - forte differenziazione per
settore - QE e Euro decisivi
Crescita e profitti vs rialzi dei tassi e
aumento delle aspettative di inflazione –
rialzo dei mercati
Valute
Deprezzamento dell’Euro
Deprezzamento dell’Euro
Apprezzamento dell’Euro
Ritorni attesi
Significativamente rivisti al ribasso
Rivisti al ribasso
Ritorno alla normalità
Strategie di Asset Allocation
L’asset allocation attuale (colonna 3) si riferisce al posizionamento dei portafogli diversificati di Amundi. L'asset allocation dello Scenario 1
rappresenta il target attuale, in linea con lo scenario centrale (+ significa sovra ponderazione, = significa neutro e - significa sotto ponderazione).
La tabella sottostante mostra l’asset allocation taget in linea con i diversi scenari. Segnaliamo che abbiamo controllato l’asset allocation target
per il 2014, definita a Dicembre 2013. E’ da notare che l’asset allocation attuale è molto vicina al target.
Asset Class
14
Allocazione target
(Edizione
Gennaio 2014)
Asset Allocation
attuale
(Ottobre 2014)
Asset Allocation Target
Scenario 1 – 65%
Scenario 2 – 30%
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Scenario 3 – 5%
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Novembre 2014
Mercato Valutario
L’euro continuerà a deprezzarsi nel 2015
BASTIEN DRUT, Strategy and Economic Research – Paris
L'apprezzamento del Dollaro si è fatto attendere, ma alla fine è stato
troppo rapido
Un anno fa, abbiamo dichiarato che secondo le nostre aspettative il Dollaro si sarebbe apprezzato
rispetto alle valute dei paesi sviluppati nel 2014. Tale aumento è stato atteso fino all’estate, ma
alla fine è stato troppo rapido, al punto da compromettere le prospettive sull’inflazione americana e
forse da ritardare il ciclo di riduzione dei tassi dei Fed Funds. L‘apprezzamento del Dollaro è
coinciso con un forte deprezzamento dell‘Euro, con pesanti dichiarazioni da parte della BCE. Nel
complesso, nel 2014 le valute asiatiche sono rimaste in linea con il Dollaro in termini nominali,
mentre le valute europee (a parte la Sterlina inglese) sono tutte crollate.
L’essenziale
L’apprezzamento del Dollaro si è
fatto attendere fino all’estate, ma alla
fine è stato molto forte. Il cambio di
atteggiamento della BCE ha avuto un
impatto
fortemente
negativo
sull‘Euro nel 2014.
Nel 2015, l’Euro e lo Yen, legati al
Quantitative
Easing,
dovrebbero
deprezzarsi rispetto al Dollaro e alla
Sterlina. Per quanto riguarda le valute
delle materie prime, probabilmente
continueranno a soffrire.
In realtà, il mercato dei cambi è stata guidato più che mai dalle decisioni di politica monetaria, e
questo continuerà nel 2015.
Valute QE contro valute non-QE
Delle quattro principali valute dei paesi sviluppati, due (Euro e Yen) saranno legate ad una banca
centrale che persegue una politica di quantitative easing nel 2015. Le altre due (Dollaro e Sterlina)
saranno legate a banche centrali che hanno concluso le rispettive politiche di quantitative easing.
Ciò riflette chiaramente una divergenza in termini di performance economica: la crescita sta
riprendendo bene negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e la disoccupazione è nettamente diminuita,
mentre la zona euro e il Giappone restano impantanati in problemi di deflazione. Il tema del QE
continuerà ad essere determinante per l'andamento dei tassi di cambio nel 2015: l‘Euro e lo Yen
probabilmente continueranno a deprezzarsi rispetto al Dollaro e alla Sterlina. Il tasso di cambio
EUR/USD dovrebbe avvicinarsi a 1,20 e potrebbe anche scendere ulteriormente se la BCE
dovesse adottare una posizione più aggressiva di quella attuale. In sostanza, l’indicatore delle
aspettative di inflazione di medio lungo termine (misurata dal 5 year / 5 year inflation swap rate),
che Mario Draghi ha presentato a Jackson Hole, ha accelerato il declino del tasso di cambio
nell’ottobre 2014 dal momento che i membri del Consiglio Direttivo questo autunno hanno
costantemente ribadito che la BCE sarebbe andata oltre se le prospettive di inflazione a medio
termine si fossero deteriorate. Vale la pena ricordare che, nonostante il recente calo del tasso di
cambio EUR/USD, il Dollaro in sé non è molto forte.
A parte la Sterlina, le valute europee rimarranno ancorate all‘Euro e pertanto dovranno
deprezzarsi nei confronti del Dollaro. Tuttavia, preferiamo alcune valute all'interno della regione.
La Corona Svedese potrebbe perdere terreno rispetto all‘Euro, in quanto la Riksbank potrebbe
adottare una politica più vigorosa per combattere la deflazione. Al contrario, il Fiorino Ungherese e
lo Zloty Polacco potrebbero trarre benefici dai flussi in entrata in quanto entrambi hanno tassi
ancora interessanti rispetto ai tassi di deposito overnight negativi nella zona euro.
Le valute delle materie prime continueranno a trovarsi in difficoltà
Il Dollaro Australiano, Canadese e Neozelandese continueranno a lottare contro il Dollaro nel
2015, principalmente a causa della pressione al ribasso sui prezzi delle materie prime, legata al
rallentamento dell'economia cinese. In Australia, la Banca Nazionale dell’Australia (RBA) lascerà i
suoi tassi invariati nel 2015, con un atteggiamento accomodante, a causa del deterioramento delle
condizioni del mercato del lavoro. Tuttavia, va notato che il Dollaro Australiano rimane
sopravvalutato di circa il 5% in termini effettivi secondo il modello principale seguito dalla RBA, che
manterrà una linea di comunicazione proattiva sul valore del Dollaro Australiano.
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Il tasso di cambio
EUR/USD dovrebbe
avvicinarsi a 1.20
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Novembre 2014
In Nuova Zelanda, la Banca Centrale della Nuova Zelanda (RBNZ) probabilmente continuerà la
sua politica di stretta monetaria ad un ritmo più lento rispetto al 2014, ma comunque le autorità
neozelandesi sono determinate ad ribassare la valuta («Perché il tasso di cambio NZ è
ingiustificato e insostenibile», RBNZ, Settembre 2014). In Canada, la Banca Centrale del Canada
probabilmente manterrà il suo tasso di riferimento all'1% a causa della crescita debole: il mercato
immobiliare è molto sopravvalutato e in rallentamento, gli investimenti sono stagnanti, la
competitività si è deteriorata a causa dell’apprezzamento del Dollaro Canadese negli anni 2000. Il
Dollaro Canadese probabilmente continuerà a diminuire nei confronti il biglietto verde.
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Novembre 2014
Mercato Obbligazionario
Tassi persistentemente bassi nei Paesi sviluppati
BASTIEN DRUT, Strategy and Economic Research – Paris
PHILIPPE ITHURBIDE, Global Head of Research, Strategy and Analysis - Paris
I tassi di rendimento dei mercati sviluppati sono crollati drasticamente
nel 2014
Contrariamente alle previsioni di quasi tutti gli analisti, i rendimenti a lungo termine sono
diminuiti in tutti i paesi sviluppati nel 2014. La loro ascesa è stata impedita da numerosi fattori.
Innanzitutto, la crescita degli Stati Uniti è stata significativamente inferiore alle aspettative di inizio
2014. Allo stesso tempo, il mondo è stato scosso da numerose tensioni geopolitiche (UcrainaRussia, Striscia di Gaza-Israele, Libia, Siria-Iraq), alimentando la ricerca di beni rifugio. Inoltre, le
attese di un tapering della Fed (riduzione di acquisti mensili di asset pari a 10 miliardi dollari ad
ogni riunione del FOMC) avrebbero dovuto esercitare una pressione al rialzo sui rendimenti
statunitensi a lungo termine - e dei paesi sviluppati in generale – ma così non è stato perché
contemporaneamente la Cina ha accelerato l'acquisto di titoli monetari in proporzioni simili.
L'aumento del rischio di inflazione in Europa ha anche pesato sui rendimenti a lungo termine.
Tuttavia, mentre i rendimenti a lungo termine sono chiaramente diminuiti, sono aumentati quelli
sulla parte a breve (da due a cinque anni) negli Stati Uniti e nel Regno Unito, con il miglioramento
ciclico del mercato del lavoro e le prospettive di aumento dei tassi di riferimento nel 2015. Come
vedremo, gli ostacoli ad un aumento dei tassi a lungo termine non sono scomparsi.
L’essenziale
I tassi di rendimento dei mercati
sviluppati sono crollati in modo
drastico nel 2014, contrariamente
alle previsioni degli analisti.
Molti ostacoli al rapido aumento dei
rendimenti a lungo termine nei paesi
sviluppati persisteranno nel 2015.
Probabilmente ci sarà una stagnazione
nella zona euro e in Giappone, e si
osserverà solo un modesto aumento
negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
La bassa velocità e la debolezza del ciclo di stretta dei Fed Fund limiterà
l'aumento dei rendimenti a lungo termine degli Stati Uniti
Il ciclo di rialzo dei tassi dei Fed Funds sarà lento - più di quanto suggerito dalle proiezioni dei
membri della Fed (i «dots») - perché le condizioni sul mercato del lavoro sono strutturalmente
meno favorevoli rispetto ai cicli precedenti (vedi "FOMC: l'inevitabile riconciliazione delle colombe
e dei falchi", Cross Asset Investment Strategy, Ottobre 2014).
Ci troviamo ora a fronteggiare il fatto che sia molto difficile per gli Stati Uniti sperimentare
da soli un miglioramento ciclico e immaginare un ciclo di stretta monetaria. Poiché la Fed ha
previsto una normalizzazione della politica monetaria, mentre alcune delle altre principali banche
centrali hanno intrapreso la strada di una politica di stretta monetaria, il Dollaro americano ha
seguito un trend al rialzo molto rapido a partire dall’estate del 2014. Anche se il Dollaro USA non è
al momento di per sé molto forte (il tasso di cambio reale effettivo è ancora inferiore di più del 10%
rispetto alla media di lungo periodo), la sua ascesa, che coincide con un calo del prezzo delle
materie prime, ha ulteriormente limitato le prospettive di inflazione degli Stati Uniti. E nonostante
gli innegabili miglioramenti ciclici del mercato del lavoro nel Regno Unito e negli Stati Uniti,
l’inflazione salariale resta assente: i salari reali continuano a ristagnare, impedendo una rapida
accelerazione dell’inflazione.
Infine, la stessa Fed ha osservato che il potenziale di crescita degli Stati Uniti è stato
significativamente più debole rispetto al passato e ha diminuito la sua previsione di crescita a
lungo termine per 5 volte consecutive (fino ad arrivare al 2,1% a settembre). La debolezza e
lentezza del prossimo ciclo di stretta monetaria della Fed limiterà l'aumento dei rendimenti
a lungo termine, che dipendono in teoria dal comportamento futuro dei rendimenti effettivi a
breve termine.
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Il ciclo di crescita dei
tassi dei Fed Funds
sarà lento
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Novembre 2014
La liquidità resta abbondante a livello globale
Mentre la Fed ha concluso la sua politica di QE nel mese di ottobre, non si deve trascurare il
fatto che le altre tre grandi banche centrali (sulla base della dimensione dei loro bilanci) –
Banca Popolare Cinese, BCE e Banca del Giappone – continueranno ad espandere i propri
bilanci almeno fino al 2015, il che significa che la liquidità continuerà a crescere rapidamente a
livello globale. Questo continuerà a pesare sui rendimenti a lungo termine dei paesi sviluppati. In
questi ultimi anni, ogni volta che le banche centrali hanno rapidamente ampliato i propri bilanci,
questo si è tradotto in un movimento ribassista diffuso sui tassi a lungo dei mercati sviluppati (vedi
grafico).
I rendimenti europei rimarranno storicamente bassi
La BCE, consapevole che le aspettative di inflazione non si sono realizzate (come misurato dalle
variabili di mercato e dai sondaggi tra i consumatori), ha fortemente intensificato la sua politica
verso la metà del 2014: tassi sui depositi negativi, TLTRO, piani di acquisto di asset. L’obiettivo
della BCE è quello di espandere il suo bilancio ai livelli di inizio 2012, vale a dire a circa
3000 miliardi di euro rispetto ai 2000 miliardi di euro attuali. Nonostante queste misure,
l’indicatore delle aspettative di inflazione a medio termine ha accelerato il suo declino ad ottobre
2014. La BCE probabilmente andrà oltre e adotterà una politica di acquisto di titoli di Stato, che
manterranno i rendimenti a lungo termine dell’area core dell’Eurozona ben al di sotto del loro
valore di equilibrio, che di per sé è debole (circa l’1,60% per il decennale tedesco).
La curva dei rendimenti della Germania è ora molto simile a quella del Giappone. È ormai chiaro
che la BCE manterrà una politica di tasso di interesse pari a zero per gli anni a venire, proprio
come la Banca del Giappone e la Banca Nazionale Svizzera. La curva dei rendimenti della
Germania rimarrà flat e vicina allo zero sulla parte a breve e potrebbe anche ulteriormente
appiattirsi sul segmento 5 – 10 anni se l’inflazione continua a deludere. Possiamo
legittimamente sollevare la questione degli acquisti netti da parte dei non-europei: aldilà della
diversificazione, c'è molto meno interesse ad acquistare obbligazioni per le quali i rendimenti sono
molto deboli e che sono denominati in una valuta destinata a deprezzarsi.
Inoltre, l'estensione del piano di acquisto di asset della BCE alle obbligazioni governative peserà
sugli spread sovrani, anche se questi sono ora chiaramente al di sotto del valori di equilibrio, come
dimostra il Global Financial Stability Report dell’ottobre 2014. In particolare, lo spread dei tassi tra
Francia e Germania dovrebbe stabilizzarsi ad un livello basso, ma il rischio di un ulteriore
riduzione del rating del credito della Francia sta aumentando: infatti la Francia è il paese dove le
previsioni sul deficit pubblico sono state maggiormente riviste al rialzo nelle ultime proiezioni del
FMI (WEO, ottobre 2014), e la Commissione Europea prevede che sarà il paese dell'Unione
Europea con il deficit più alto nel 2016. Il differenziale del rapporto debito/PIL tra Francia e
Germania è in costante aumento, e dovrebbe aumentare del 15% nei prossimi cinque anni,
secondo il FMI. Nel 2015, le emissioni nette della Francia registreranno un brusco aumento,
mentre quelle della Germania saranno negative. Pertanto, il rischio sta nell’ampliamento dello
spread franco-tedesco nel medio termine.
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La BCE probabilmente
andrà oltre e adotterà
una politica di acquisto
di titoli di Stato
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Novembre 2014
Non vi è ragione di credere che i tassi torneranno ad aumentare nella
zona euro
Per concludere, è importante tenere a mente 4 punti chiave
1)
I tassi della zona euro sono bassi per diversi motivi:
• La situazione economica debole;
• I tassi di inflazione estremamente bassi in tutti i paesi;
• Le previsioni di inflazione estremamente bassa;
• Il risparmio in eccedenza che si traduce in avanzi delle partite correnti;
• Il calo dell'offerta di titoli di Stato a causa della politica di emissione della Germania;
• La valorizzazione degli attivi rischiosi giudicata a volte eccessiva, che tende a generare fasi di
calo dei tassi di interesse, mettendo in pericolo qualsiasi posizione che favorisca tassi crescenti;
• L’aumento della volatilità, che giustifica posizioni obbligazionarie a lungo, per «macro-copertura»
dei rischi;
• La presenza di investitori non residenti, soprattutto asiatici (situazione giustificata dalla liquidità
globale).
2) I tassi registrerebbero un rialzo se fossero soddisfatte le seguenti condizioni:
• L’improvvisa accelerazione della crescita, uno scenario altamente improbabile allo stato attuale;
• L’accelerazione dell’inflazione, anche in questo caso si tratta di uno scenario altamente
improbabile, dal momento che i timori deflazionistici sono ancora così dominanti;
• L’aumento delle aspettative di inflazione. In verità, solo uno shock geopolitico che porti ad un
aumento dei prezzi delle materie prime - con il petrolio in testa - sarebbe tale da guidare
l’inflazione al rialzo;
• Il ritorno dei deficit esteri da parte dei paesi periferici;
• L'accelerazione degli investimenti delle imprese e un aumento delle loro necessità di
finanziamento. Con un utilizzo della capacità e intenzioni di investimento deboli, tale scenario non
si può considerare probabile. Se a ciò si aggiunge la bassa redditività delle imprese in paesi come
Francia e Italia, si capisce meglio perché ciò risulti così improbabile.
• La fine degli acquisti di debito sovrano da parte dei non residenti. Si noti che questo
richiederebbe un'inversione delle politiche monetarie in corso, con il Giappone in testa;
• Molte più politiche fiscali espansionistiche;
• La fine della riduzione del debito, incluso quello pubblico;
• Un peggioramento della percezione della sostenibilità del debito pubblico;
• La fine dei tagli dei salari e dei costi unitari del lavoro;
• Elevati incrementi di produttività;
• Un miglioramento delle condizioni demografiche.
3) Dobbiamo credere ad una mancanza di collegamento tra tassi americani ed europei a
lungo termine
Nei cicli passati, le accelerazioni della crescita degli Stati Uniti hanno sempre portato ad un
aumento dei tassi a lungo termine e, indirettamente, della zona euro.
Allo stato attuale, dovremmo definitivamente contare su un tale scenario? Niente potrebbe essere
meno sicuro:
• La liquidità globale mantiene bassi i tassi a lungo termine. La Fed ha terminato il suo QE, ma la
BoJ e la BCE stanno avviando o continuano i propri programmi. Inoltre, si stanno sollevando negli
Stati Uniti, anche all'interno della stessa Fed, lamentele sulla fine del QE per spingerne la ripresa;
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Novembre 2014
• Attualmente stiamo assistendo una disgiunzione economica tra gli Stati Uniti e la zona euro, ed è
abbastanza difficile non pensare che questo si tradurrà in una minore collegamento tra i tassi a
lungo termine;
• La politica della BCE aumenterà senza alcun dubbio le posizioni carry che favoriscono il debito
sovrano europeo;
• Il surplus di risparmio della zona euro a partire dal 2012 sta spingendo al ribasso i tassi di
interesse.
La politica della BCE
aumenterà senza alcun
dubbio le posizioni di
carry che favoriscono il
debito sovrano europeo
4) Quale potrebbe essere il bastone tra le ruote?
Sicuramente il tasso di cambio. Un deprezzamento eccessivo dell‘Euro scoraggerebbe i non
residenti dal continuare ad acquistare debito europeo. In questo senso la zona euro è diversa dal
Giappone, dove la stragrande maggioranza del debito è in mano ad investitori residenti (oltre il
90%). In altre parole, se il declino dello Yen in Giappone ha avuto un impatto sui tassi a lungo
termine e promuove la crescita e i profitti delle imprese, nella zona euro un eccessivo
deprezzamento potrebbe spingere al rialzo i tassi a lungo termine, con un effetto automatico sui
profitti ma ostacolando in parte la crescita.
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Un deprezzamento
eccessivo dell‘Euro
scoraggerebbe i non
residenti dal continuare
ad acquistare debito
europeo
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Novembre 2014
Mercato Obbligazionario
Debito dei Paesi Emergenti: il 2015 sarà caratterizzato
da una volatilità delle valute più bassa, ma da una
maggiore dispersione dei rendimenti
MARC-ALI BEN ABDALLAH, Strategy and Economic Research – Paris
2014: un altro anno di aumento dei premi al rischio
Quest'anno abbiamo visto che la gerarchia delle performance è stata inversamente correlata al
carry. Infatti, gli attivi con rendimenti più bassi, cioè i titoli di stato di migliore qualità, chiudono
l'anno con performance ben superiori al 10%. Questa è la seconda volta che i mercati
obbligazionari hanno avuto una performance di questo livello negli ultimi 5 anni, e l’ultima volta
risale al 2011. In entrambi i casi, le questioni relative alla normalizzazione dei tassi chiave della
Federal Reserve hanno innescato un significativo ritorno della volatilità obbligazionaria. Se gli
andamenti passati sono una guida per quelli futuri, questo significa che il prossimo anno potrebbe
essere promettente per il debito sovrano emergente emesso in valute di riserva o in valute locali.
> Ripartizione delle performance degli indici del debito emergente
Il debito emergente nelle valute di riserva sta chiudendo il 2014 in modo abbastanza
positivo in termini di performance in Dollari. A partire dalla fine di ottobre, lo spread
dell'indice EMBI era a 338 bps, circa 34 bps al di sopra del livello di inizio anno. Questo
incremento ha causato un impatto negativo stimato del -2,7% da inizio anno, che
compensa il carry trade dello spread creditizio. In definitiva, la performance dell'indice
risulta leggermente al di sotto di quella dei tassi a lungo termine degli Stati Uniti, pari
all’8,3%, a causa dell’erosione dell’interesse per gli attivi rischiosi.
La performance del debito in valuta locale è molto meno attraente se espressa in Dollari. A
partire da fine ottobre, la performance cumulata si attesta all’1,3%, dopo aver raggiunto il 6% a
fine giugno. La rivalutazione dei rischi ciclici legati al rallentamento della Cina e delle economie
europee, ha portato ad un forte calo degli attivi ciclici emergenti e in particolare delle valute. A
fine ottobre, il guadagno in valute locali relativo al carry è stato stimato al 5,8%, e il guadagno
relativo al calo del rendimento di 37 bps è stato stimato vicino al 2%, insieme compensato da
uno shock del 6% sulle valute.
L’essenziale
Il 2015 sarà caratterizzato da una
maggiore dispersione dei rendimenti,
ma da una minore volatilità delle
valute.
Gli
attivi
emergenti
denominati in Dollari dovrebbero
beneficiare di tale contesto. Al
contrario, gli attivi legati alle materie
prime
(valute
o
debito
delle
economie esportatrici di materie
prime)
subiranno
un
impatto
negativo. I tassi nominali locali
dovrebbero
sovraperformare
le
obbligazioni
legate
all’inflazione
grazie ad un livello di inflazione
moderato.
Inoltre, il 2015 sarà caratterizzato da un
aumento della dispersione degli spread,
come risultato di una maggiore
divergenza dei fondamentali delle
economie emergenti e di un incremento
della volatilità degli attivi privi di rischio,
in particolare degli strumenti monetari.
Nel contesto attuale, caratterizzato da
politiche monetarie procicliche delle
banche centrali del G4 e da un impulso
alla crescita, grazie alla recente
diminuzione dei prezzi dell’energia, il
rischio di un ritorno della volatilità delle
valute emergenti è più limitato. Ciò è
positivo per il debito locale, poiché il
carry resta estremamente interessante.
Il dollaro americano dovrebbe apprezzarsi
L'analogia con il 2011 si esaurisce nel fattore scatenante, vale a dire la normalizzazione della
politica della Federal Reserve. Notiamo almeno tre differenze sostanziali. In primo luogo, la natura
dei rischi macroeconomici a livello globale è totalmente cambiata. La visibilità sulla strategia della
Federal Reserve è migliorata, come dimostra il calo praticamente continuo dell'indice di incertezza
della politica economica degli Stati Uniti1. In secondo luogo, l'economia degli Stati Uniti ancora una
volta ha assunto il suo ruolo guida del ciclo economico globale, in un contesto in cui l'Europa è
ancora alle prese con il rischio di deflazione e le economie emergenti stanno cercando di
affrontare i propri squilibri.
1 L’indice di incertezza della politica monetaria americana è basato sul conteggio del numero di articoli
pubblicati negli Stati Uniti che contengono almeno uno dei termini di ciasuna delle 3 serie indicate di seguito:
(i) economico, economia, (ii) incerto, incertezza, (iii) legislazione, deficit, regolamentazione, Federal
Reserve o Casa Bianca
Questo conteggio è stato realizzato su oltre 1800 articoli per l’indice US, raccolti nel database della
NewsBank Access World. Fonte: http://www.policyuncertainty.com
Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
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Novembre 2014
Le conseguenze di questa configurazione sono:
i. un ritorno nel medio termine della politica monetaria ortodossa degli Stati Uniti è stato reso più
credibile, e
ii. l’attrattività degli attivi denominati in Dollari si rafforzerà.
Il Dollaro USA gode di un significativo potenziale di apprezzamento, e da ciò dovrebbero trarre
beneficio gli attivi emergenti denominati in Dollari. Al contrario, gli attivi legati alle materie prime,
come ad esempio le valute o il debito delle economie esportatrici di materie prime, saranno
colpiti duramente da questo trend. Un'altra conseguenza attesa, che deriva dal rischio di una
moderata inflazione in un contesto di calo dei prezzi delle materie prime, è una performance più
debole delle obbligazioni legate all’inflazione, rispetto a quella dei tassi nominali locali.
I livelli di spread sono abbastanza interessanti…
Il primo problema affrontato dai mercati del debito emergente è la prospettiva di un aumento
dello spread tra scadenze negli Stati Uniti. Questo è il primo rischio che viene in mente quando
si considerano le prospettive di una normalizzazione della politica monetaria degli Stati Uniti.
Tuttavia, un aumento della ripidità della curva dei rendimenti degli Stati Uniti a causa di un
aumento dei tassi a lungo (bear steepening) è tutt'altro che una certezza nel 2015.
Contro ogni aspettativa, una delle recenti anomalie osservate è la correlazione negativa tra la
parte a lungo e a breve della curva dei rendimenti USA. Calcolata utilizzando una finestra rolling
a 200 giorni, questa correlazione è affondata da un punto più alto di 0,9 nel mese di ottobre dello
scorso anno, ad un minimo di -0.7 raggiunto a fine agosto di quest'anno – il livello più basso
degli ultimi 25 anni. Da allora, si è leggermente ripreso a -0.6.
Infatti, lo spread forward della curva statunitense delle scadenze a 2 e 30 anni si è ridotto di circa
100 bps nel corso dell'anno, passando da 360 bps a 250 bps, mentre il cambiamento delle
aspettative derivanti dalla prospettiva di una futura normalizzazione dovrebbe aver causato un
irripidimento, che stimiamo a circa 30 bps. Ciò dovrebbe aver portato lo spread degli Stati Uniti a
2 – 30 anni al suo livello del 2011 di 390 bps.
In realtà ci sono diversi fattori a sostegno di uno spread più basso negli Stati Uniti, tra cui:
• un’erosione della capacità delle notizie macroeconomiche di sorprendere al rialzo;
• i premi al rischio degli attivi rischiosi statunitensi (azioni e debito) sono sempre meno
interessanti;
• l'aumento del rischio associato al rallentamento cinese, che potrebbe creare turbolenze sui
mercati del credito asiatici; e
• infine, riteniamo che un rapido aumento dei tassi da parte della Federal Reserve nel 2015 sia
relativamente improbabile.
Tuttavia questa anomalia si spiega, a nostro avviso, con la previsione di un’ampia espansione
del bilancio della BCE. L'elevata correlazione tra i tassi forward europei ad un anno e i tassi a
lungo degli Stati Uniti fornisce una prova a sostegno di questa causalità potenziale. Di
conseguenza, il mantenimento da parte della BCE dell’attuale strategia di espansione del proprio
bilancio senza l’acquisto di obbligazioni sovrane, potrebbe portare ad un aumento della
correlazione tra i segmenti a breve e a lungo della curva statunitense. Con questa prospettiva in
mente, prevediamo che lo spread sul 2 – 30 anni negli Stati Uniti si amplierà di 100 bps nel
2015, raggiungendo circa 340 bps.
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Novembre 2014
Questi sviluppi sono importanti per il debito emergente denominato in Dollari. Da quando negli
Stati Uniti è stata istituita una politica non ortodossa, lo spread della curva statunitense e dello
yield ratio dell’indice del debito sovrano denominato il Dollari (EMBI) hanno mostrato una
tendenza opposta. A partire dalla relazione osservata dal 2010 tra questo forward spread e lo
yield ratio del debito del mercato emergente denominato in Dollari, ci aspettiamo una
performance a 12 mesi del 2,5% per l'indice EMBI, con un obiettivo di spread a 320 bps.
Questa previsione si basa su un carry dello spread del 3,3%, diminuito da una performance
leggermente negativa delle obbligazioni governative, poiché il nostro scenario centrale
considera un obiettivo di tasso a 10 anni del 2,8% entro la fine del 2015. Dato che questa
relazione dovrebbe cambiare in seguito ad un ritorno all'ortodossia da parte della Fed , non si
può escludere un miglioramento della performance fino al 3,5%.
Un aumento della dispersione degli spread è ancora inevitabile
Inoltre, il 2015 porterà un altro aumento della dispersione e della volatilità degli spread sovrani.
La maggiore dispersione degli spread sarà guidata da due fenomeni distinti: da una parte, la
maggiore volatilità delle obbligazioni americane e, dall’altra, il deterioramento dei fondamentali
dei mercati emergenti.
Inoltre, il 2015 porterà un
altro aumento della
dispersione e della
volatilità degli spread
sovrani
Il meccanismo alla base di questo aumento della volatilità è stato descritto in precedenza.
Dovrebbe essere confrontato con l'aspettativa di una più elevata correlazione tra i segmenti a
breve e a lungo della curva dei tassi USA.
Come mostrato nel grafico 5, le aspettative dell’andamento futuro dei tassi – che stimiamo con
il tasso forward a un anno - sono un buon indicatore della direzione in cui si sta muovendo la
volatilità obbligazionaria. Quindi l’esitazione che sicuramente deriverà dal ritorno della Fed
all’ortodossia avrà l’effetto di aumentare la volatilità obbligazionaria.
L'altro fattore di volatilità degli spread è il deterioramento dei fondamentali dei mercati
emergenti. In prima linea si trovano i produttori di materie prime, e in particolare le economie
petrolifere. Il nostro scenario sulle economie emergenti sottolinea che il mantenimento di prezzi
del petrolio bassi rischia di pesare sugli equilibri fiscali delle economie petrolifere. Il recente
calo dei prezzi del petrolio porterà a spread più ampi tra le economie esportatrici di petrolio, a
seconda del grado di diversificazione della propria economia interna. Quanto più un'economia
è diversificata, tanto maggiore è la sua capacità di ammortizzare una riduzione dei ricavi
derivanti dal petrolio.
Le piccole economie esportatrici di petrolio, come il Venezuela, sono particolarmente
vulnerabili. Lo spread sovrano del Venezuela di recente è sceso di 300 bps, ma a 1500 bps è
ancora vicino al livello massimo degli ultimi sei anni. Insieme, Argentina e Venezuela,
quest’anno hanno reintrodotto il rischio di default sui mercati del debito emergenti. Un altro
rischio identificato nel nostro scenario è il rallentamento della Cina, che potrebbe pesare molto
seriamente sui mercati dei capitali in Asia.
I tassi locali saranno inizialmente sostenuti da un debole eccesso di
volatilità
Come evidenziato nel nostro scenario, il calo del prezzo del petrolio dovrebbe permettere di
ridurre le tensioni inflazionistiche, in particolare nelle economie vulnerabili a sostanziali squilibri
macroeconomici, come il Sud Africa, la Turchia, l’Indonesia, l’India, il Brasile e la Russia. Una
stabilizzazione dell'andamento dei prezzi - già ben avviata in Indonesia - dovrebbe aprire la
strada ad una riduzione delle aspettative d’inflazione e ad un aumento dei tassi reali. In questo
contesto la capacità delle banche centrali di mantenere una politica di inflazione target credibile
sarà decisiva. Su questo punto il Sud Africa e la Turchia restano vulnerabili. Oltre a queste due
economie, le obbligazioni legate all’inflazione rimangono interessanti per le economie minerarie
dell’America Latina, come il Cile2, nella misura in cui il rischio di ribasso sulle valute è in grado
di alimentare tensioni inflazionistiche. Più in generale, in previsione di una continua
moderazione dell’inflazione globale, preferiamo i tassi locali nominali rispetto alle obbligazioni
legate all’inflazione.
2 Inflazione in Cile pari al 4,9% in ottobre rispetto al target di inflazione ufficiale del 3% +/- 1%
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Novembre 2014
Nel caso del debito emesso in valuta locale, quest'anno - come nel 2011 - ha confermato fino a
che punto possa essere importante la volatilità delle valute emergenti. Le rivalutazioni dei rischi
ciclici globali, della scala a cui abbiamo assistito, sono spesso le più costose, perché le valute
con i beta più alti sono anche quelle per le quali la copertura risulta la più costosa. Di
conseguenza, a causa dei timori di vedere i propri investimenti fortemente colpiti da uno shock di
volatilità, gli investitori si stanno rapidamente ritirando dalle obbligazioni high yield. Di
conseguenza, nel contesto attuale, caratterizzato da una linea accomodante seguita dalle
banche centrali del G4, e dal recente calo dei prezzi dell'energia che favorisce la crescita, il
rischio di un ritorno della volatilità delle valute emergenti è limitato. Inoltre, lo spread di redditività
delle principali valute emergenti rispetto al Dollaro, sul segmento a lungo delle curve, non
dovrebbe ridursi sostanzialmente, alla luce delle informazioni che abbiamo fornito sul trend
atteso dello spread forward.
Il recente calo dei prezzi
del petrolio porterà ad
un ampliamento degli
spread tra le economie
esportatrici di petrolio
Come abbiamo osservato il mese scorso, l’attrattività delle valute emergenti risiede nella loro
capacità di essere poco influenzate dalle divergenze tra le banche centrali, in particolare del G4.
Durante la recente correzione ciclica, la volatilità implicita delle valute emergenti si è discostata
relativamente poco da quella delle valute del G7. Con un carry del 6,4%, stiamo anticipando un
continuo calo del rendimento e un obiettivo di rendimento del 6%. Questo equivale ad anticipare
una performance del 6,4%, a cui va aggiunto un effetto della duration del 2%, per un totale di
poco più dell'8% in valute locali nel 2015. In questa fase, solo un rallentamento più intenso in
Cina potrebbe innescare un'ulteriore correzione sulle emergenti valute.
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Novembre 2014
Mercato Obbligazionario Corporate
L’essenziale
2015: un ambiente ancora favorevole al credito
VALENTINE AINOUZ, Strategy and Economic Research – Paris
SERGIO BERTONCINI, Strategy and Economic Research – Paris
Dalla crisi di Lehman Brothers, le banche centrali hanno favorito un ambiente di tassi bassi e forte
liquidità. Questo scenario dovrebbe rimanere invariato nel 2015. La divergenza economica tra gli
Stati Uniti e la zona euro si tradurrà in una de-sincronizzazione più pronunciata delle politiche
monetarie. Il nostro scenario centrale include le nuove misure non convenzionali della BCE per
combattere il basso tasso di inflazione. Mario Draghi ha annunciato che l'obiettivo della BCE è
quello di riportare il suo bilancio al livello del 2012. Questo obiettivo non può essere raggiunto solo
attraverso l’acquisto di ABS e di covered bonds. Al contrario, gli Stati Uniti stanno mostrando
migliori prospettive di crescita. Tuttavia, il ciclo di ripresa dei Fed fund sarà lento e debole, perché
le condizioni sul mercato del lavoro sono strutturalmente meno favorevoli rispetto ai cicli
precedenti.
Negli ultimi anni, le valutazioni degli attivi sono state dettate dalle azioni intraprese dalle banche
centrali. Le politiche monetarie accomodanti resteranno favorevoli ai mercati del credito, fino a
quando gli investitori non dubiteranno della capacità delle banche centrali di intervenire
sull’inflazione e sulla crescita. Fino ad ora, la ricerca di rendimento/spread è stato un elemento
importante per la performance degli attivi. Ci sono buone ragioni per credere che le condizioni
economiche avranno un ruolo più importante nella determinazione dei prezzi degli attivi nel 2015.
Mercato IG: i fattori tecnici rimarranno decisivi...
Fin da inizio anno, il mercato IG dell’area euro ha registrato ottime
sovraperformando il mercato high yield negli Stati Uniti e in Europa. In entrambe
emittenti con rating BBB hanno offerto i migliori rendimenti. Inoltre si
sovraperformance del mercato IG europeo rispetto alla sua controparte
principalmente a favore di emittenti periferici e finanziari.
performance,
le regioni, gli
evidenzia la
statunitense,
Dopo aver toccato i minimi storici, la volatilità è aumentata notevolmente in ottobre, in seguito alla
pubblicazione di dati che suggeriscono un indebolimento dell’attività e pressioni deflazionistiche
globali. In questo contesto di crescente avversione al rischio, (i) il segmento IG dell’area euro si è
dimostrato particolarmente resistente rispetto ad altri segmenti del mercato del credito, e (ii) gli
investitori più preoccupati per le condizioni economiche hanno preferito gli emittenti con rating AA
e A.
Cosa possiamo aspettarci dall'universo IG nel 2015?
Le imprese IG rimarranno creditor-friendly in Europa e negli Stati Uniti
I fondamentali resteranno in linea con gli interessi dei possessori di obbligazioni in entrambe le
zone: gli indici debt ratios non sono att1esi in peggioramento. Tuttavia, le divergenze nelle
dinamiche economiche sono visibili nei bilanci delle società. Le imprese europee e americane si
trovano in fasi diverse del ciclo del credito: le aziende americane stanno tornando a indebitarsi, a
differenza delle società europee che sono ancora caute sugli investimenti.
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Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
Nel 2015, i mercati del credito
continueranno ad essere sostenuti
da
una
politica
monetaria
accomodante. Prevediamo inoltre
ulteriori misure non convenzionali da
parte della BCE e solo un lenta e
modesto aumento dei tassi dei Fed
Funds. I fondamenti delle imprese
dovrebbero
rimanere
creditorfriendly in Europa e negli Stati Uniti,
senza un significativo peggioramento
degli indici debt ratios. Il nuovo
debito delle imprese statunitensi
sarà limitato a causa della bassa
domanda aggregata. In Europa, le
aziende rimarranno impegnate nel
preservare i flussi di cassa in
considerazione
della
difficile
situazione economica nella zona
euro. È importante notare che gli
emittenti di High Yield in entrambe le
regioni stanno assistendo a tassi di
default molto bassi a causa di una
politica
monetaria
molto
accomodante. Nel 2015, i fattori
tecnici
rimarranno
fortemente
favorevole al credito IG nella zona
euro, e il deficit di offerta tra gli
emittenti
(soprattutto
finanziari)
persisterà.
Le
banche
avranno
accesso a liquidità a basso costo
grazie alla BCE, ma non sarà così nel
corrispettivo americano.
Negli ultimi anni i prezzi degli attivi sono
stati fortemente influenzati dalle azioni
delle banche centrali, che hanno
favorito la ricerca di rendimento. La
politica monetaria accomodante rimarrà
favorevole ai mercati del credito finchè
gli investitori resteranno fiduciosi nella
capacità delle banche centrali di agire
su crescita e inflazione. Tuttavia, è
prudente dire
che le condizioni
economiche giocheranno un ruolo più
importante nella determinazione dei
prezzi degli attivi nel 2015. Su
entrambe le sponde dell'Atlantico, titoli
IG con rating BBB e obbligazioni HY
meno rischiose (BB) offrono le migliori
prospettive. Una posizione sulla parte
lunga
della
curva
catturerebbe
rendimenti in Europa e proteggerebbe
gli investitori contro il rischio di bear
flattening negli Stati Uniti.
Il deficit di offerta tra gli
emittenti finanziari
persisterà nel 2015
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Novembre 2014
In Europa:
• Le imprese hanno stabilizzato la loro leva finanziaria attraverso un rallentamento della crescita
del debito. La spesa per investimenti è stata notevolmente ridotta. A differenza delle aziende
statunitensi, quelle europee non hanno registrato una crescita degli utili.
• Gli emittenti dei paesi periferici sono più indebitati rispetto a quelli dei paesi core. Queste
aziende, eccessivamente dipendenti dal loro mercato interno, non stanno generando
abbastanza profitti per poter ridurre il proprio livello di indebitamento. Si ricorda che il settore dei
servizi e quello delle telecomunicazioni costituiscono il 68% degli attuali debiti eccezionali delle
imprese periferiche non finanziarie.
• Le aziende stanno approfittando di tassi storicamente bassi e del forte appetito degli investitori
per aumentare le scadenze del loro debito e ridurre i costi del finanziamento. La duration
effettiva dell’indice Euro IG è ora a 4,8 anni, contro i 3,9 anni dei primi mesi del 2012.
• Gli emittenti IG dell’area euro parlano ancora di un futuro economico incerto. Di conseguenza,
hanno ancora una strategia di conservazione dei flussi di cassa, e stanno mantenendo un
elevato livello di liquidità in bilancio. Più nel lungo termine, una debolezza prolungata
dell’economia potrebbe avere effetti sui profitti delle imprese europee.
Negli Stati Uniti:
• Il tasso a cui le aziende americane si sono indebitate è stato meno elevato del previsto. Gli
indici debt ratios sono rimasti stabili grazie ad una crescita simultanea nei profitti.
• Una parte della liquidità detenuta in bilancio è stata utilizzata per finanziare acquisizioni.
Tuttavia, resta ancora a livelli alti.
• La spesa per investimenti ha leggermente accelerato nel secondo trimestre. Una gran parte dei
profitti viene ancora data agli azionisti, attraverso dividendi e riacquisto di azioni.
• Non prevediamo un livello più elevato di nuovo debito per le imprese degli Stati Uniti. La
debolezza della domanda non incentiva ad investire. Bisogna fare attenzione al fatto che i fondi
pensione a prestazione definita potrebbero soffrire del prolungato contesto di tassi bassi.
I tassi di default sono
diminuiti per effetto della
politica monetaria molto
accomodante
Fattori tecnici: un forte sostegno al credito europeo nel 2015
Il deficit di offerta da parte degli emittenti (specialmente finanziari) persisterà nel 2015. Le
banche hanno accesso a liquidità a basso costo attraverso la BCE: le operazioni TLTRO
permetteranno di portare avanti i precedenti piani LTRO con scadenze più lunghe. Inoltre, i
requisiti di finanziamento del mercato delle banche sono diminuiti drasticamente per effetto delle
modifiche normative e della crisi del debito sovrano. Le banche avranno pochi motivi per fare
emissioni sul mercato obbligazionario. Le esigenze di finanziamento degli emittenti non-finanziari
sono rimaste limitate, per mancanza di domanda aggregata.
Il mercato IG statunitense non sarà sostenuto da fattori tecnici come il suo corrispettivo europeo
nel 2015. La Fed ha concluso la sua politica di QE. Per diversi anni il QE è stato un fattore
tecnico positivo per il credito per parecchi anni. Con l'acquisto di debito pubblico, la Fed ha
mantenuto i tassi bassi, e ha indirizzato gli investitori verso le obbligazioni corporate. L’appetito
per il credito dovrebbe restare, a fronte di una prolungata debolezza dei tassi governativi.
Valutazione
I rendimenti attesi e la riduzione degli spread saranno inferiori rispetto al 2014. Favoriamo le
strategie di carry. La performance degli attivi è stata dettata dalle misure di politica monetaria.
Fino ad ora, la pubblicazione di dati economici deludenti ha fatto poco per turbare gli investitori,
poiché contano sulle nuove misure che verranno intraprese dalle banche centrali.
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È molto probabile che le condizioni economiche saranno più decisive nella valutazione degli
attivi.
• Questo già avviene negli Stati Uniti. Con la fine del QE, le iniezioni di liquidità della Fed
saranno sempre meno un fattore a supporto delle valutazioni di obbligazioni corporate. Lo
spread dovrebbe ampliarsi automaticamente. In questo modo, lo spread si è ampliato mentre i
titoli governativi americani si sono mossi al rialzo (in generale, si osserva il movimento
contrario: l’economia migliora, i tassi aumentano e gli spread si riducono).
• In Europa, i dubbi degli investitori sulla capacità delle banche centrali di agire sull’inflazione e
sulla crescita potrebbero aumentare. Gli investitori potrebbero quindi preferire emittenti con i
migliori rating o con la minore esposizione al ciclo economico. In questo contesto, cerchiamo di
non dimenticare che i fattori tecnici (disequilibrio domanda/offerta) rimangono un importante
fattore a supporto degli spread.
La parte lunga della curva è favorita negli Stati Uniti e in Europa, ma per ragioni diverse:
• Negli Stati Uniti, il rischio di un aumento è maggiore sul tratto a breve della curva. Non ci
aspettiamo un brusco rialzo dei tassi a lungo termine. La stessa Fed ha ridotto le sue previsioni
di crescita nel lungo periodo al 2,1% lo scorso settembre. Inoltre, lo spread più alto sulla parte
lunga della curva fornisce una protezione contro l'aumento dei rendimenti obbligazionari.
• In Europa, i tassi rimarranno bassi per un lungo periodo. Le nuove misure della BCE
intensificheranno la ricerca di rendimento degli investitori. Questi ultimi dovranno muoversi
verso scadenze più a lungo per trovare un rendimento aggiuntivo.
HY: ancora sostenute dalla ricerca dei rendimenti
I fondamentali economici rimangono favorevoli
Recentemente abbiamo sottolineato (vedi CAIS di Settembre) come le società HY si siano
mosse verso un basso tasso di default su entrambe le sponde dell'Atlantico. Questo si è
verificato nonostante un trend al ribasso degli indicatori macro sulla crescita di lungo termine e
grazie soprattutto ad una politica monetaria ultra accomodante che ha sostenuto la continua
ricerca dei rendimenti e infine ha fornito alle aziende la liquidità di cui avevano bisogno. La crisi
Lehman ha reso le società più prudenti rispetto ai cicli precedenti e quindi, nonostante le
condizioni per il finanziamento siano decisamente favorevoli, la maggior parte di esse ha
evitato di esporsi con un pericoloso ri-indebitamento e ha preferito beneficiare di questa
situazione spostando in avanti le scadenze sul debito. Le condizioni di finanziamento sia sul
mercato sia sul canale bancario rimangono molto favorevoli negli Stati Uniti e stanno
migliorando in Europa grazie all’attivismo della BCE. Il 2015 dovrebbe finalmente vedere uno
scenario macro migliore e, come la nostra analisi ha sottolineato, non riguarda il livello assoluto
della crescita ma la variazione della crescita del PIL con un focus particolare sul trend di lungo
periodo che guida l’andamento dei tassi di default. La conclusione delle nostre analisi top-down
e bottom-up indica la continuazione di un basso tasso di default nel 2015 su entrambi i lati
dell'Atlantico.
L’offerta del mercato dei
titoli IG in Euro è diminuita
così come i rendimenti
Fattori tecnici: aumenta la divergenza tra i due lati dell’Atlantico.
Le società HY europee sono in una situazione migliore
Domanda/Offerta. Negli ultimi mesi l'equilibrio domanda/offerta dei bond HY corporate ha
mostrato trend divergenti in Europa e negli Stati Uniti. In particolare sul lato della domanda,
dopo gli afflussi eccezionali registrati nel 2012 e una crescita in misura minore nel 2013, gli
ultimi mesi hanno mostrato un brusca virata con flussi in uscita, dai fondi obbligazionari
speculative grade US e globali e dagli ETF. Questo non ha riguardato gli investitori europei in
obbligazioni HY denominate in Euro. Come mostra il grafico, i fondi HY USA hanno subito flussi
in uscita pari a circa $43 miliardi in pochi mesi, nello specifico tra lo scorso Giugno e
Settembre. Questi deflussi rappresentano circa il 50% di tutti i flussi cumulati negli ultimi 30
mesi.
Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
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Il grafico mostra la marcata differenza tra i trend dei fondi HY europei: gli afflussi erano in ritardo
rispetto alle loro controparti americane come si è verificato soprattutto nel 2013 e, ancora più
importante, sono stati molto più resistenti alla volatilità di quest’estate rispetto ai fondi USA. Per
quanto riguarda il lato dell'offerta emergono delle differenze tra le due sponde dell'Atlantico: il
2014 ha già superato tutti gli anni precedenti in termini di volumi totali di emissioni di debito HY
europeo nonostante le recenti diminuzioni. Al contrario il nuovo debito delle società statunitensi
speculative grade è in crescita ad un ritmo più lento rispetto agli ultimi due anni. Allo stesso
modo i disinvestimenti degli ultimi 4 mesi non sembrano aver impedito del tutto alle società di
andare sul mercato primario.
I migliori fattori tecnici indicati dagli HY europei sono coerenti con il divergente percorso sul quale
le politiche monetarie della Fed e della BCE saranno indirizzate il prossimo anno. Siccome la
Fed sta passando il testimone del QE alla BCE e si sta preparando ad alzare i tassi, anche se
probabilmente non avverrà subito, la BCE sta già acquistando covered bonds, acquisterà ABS e
probabilmente interverrà ulteriormente per raggiungere l’obiettivo di aumento del bilancio di €1
trilione annunciato da Mario Draghi. Il secondo TLTRO sosterrà anche una liquidità abbondante
e con ogni probabilità ridurrà il bisogno di rifinanziamento dei finanziari sul mercato
obbligazionario.
Meno "oasi" nel "deserto" dei rendimenti. Secondo i nostri ultimi calcoli molto poche "oasi"
rimangono disponibili nel "deserto" di rendimenti in Euro. Siccome il rendimento medio dei titoli di
Stato si è dimezzato nei primi nove mesi del 2014 passando dal 2% all’1%, sempre meno
obbligazioni offrono un rendimento superiore al 2%. A partire dal 30 Settembre e prendendo in
considerazione il mercato Fixed Income in Euro nel complesso, titoli di Stato inclusi IG e
obbligazioni corporate HY, l'11% del debito presenta rendimenti negativi. Allo stesso tempo il
15% paga un tasso praticamente pari a zero, mentre un altro 58% offre un rendimento compreso
tra lo 0.50% e il 2%. In poche parole l'85% delle obbligazioni in Euro non riescono a offrire un
rendimento del 2%.
I titoli IG con rating BBB e i
titoli HY con rating BB
offrono il miglior profilo di
rischio/rendimento sui
mercati del credito
Questa percentuale è più che raddoppiata dallo scorso Gennaio quando era pari a "solamente" il
40% del mercato. Le obbligazioni HY rappresentano solo il 4% del debito complessivo, mentre le
obbligazioni corporate con rating BBB rappresentano il 10%. Inoltre, siccome i rendimenti dei
titoli di Stato dei paesi periferici si sono ridotti fortemente nel tratto di curva da breve termine a
medio termine, le obbligazioni corporate con rating BBB e BB rappresentano la maggior parte
delle rimanenti "oasi" e, come tali, dovrebbero rimanere gli obiettivi della ricerca di rendimenti del
prossimo anno.
Le valutazioni sugli HY migliorano su entrambe le coste dell’Atlantico, di più negli USA
Sulla scia delle recenti performance deludenti le valutazioni delle obbligazioni HY sono migliorate
sia in termini assoluti sia in termini relativi. Gli spread avevano raggiunto un minimo in Aprile, ma
il movimento di restringimento è stato interrotto in primavera, quando gli investitori, preoccupati
per i livelli raggiunti dalle valutazioni, hanno realizzato che il potenziale di compressione dei
premi per il rischio è diventato molto limitato. La correzione dell’obbligazionario HY USA di inizio
estate aveva a che fare con le crescenti preoccupazioni circa un rialzo prematuro dei tassi USA,
mentre il calo del mese di Ottobre è stato registrato in un contesto globale di avversione al
rischio. Come conseguenza dei recenti trend di mercato degli ultimi mesi, i rendimenti e gli
spread offerti da alcune scadenze della curva delle obbligazioni HY USA sono tornati
rapidamente ai livelli del 2013. L'alta percentuale di callable bond tende a ridurre l'attuale
duration delle obbligazioni statunitensi speculative grade, soprattutto sulle scadenze tra i 3 e i 5
anni. Pertanto in uno scenario di bassi tassi di default come quello attuale le valutazioni correnti
sembrano propizie a uno nuovo restringimento degli spread. In questo momento, ad esempio,
un’obbligazione HY USA a 4 anni paga in media uno spread rispetto al treasury USA pari a circa
550 bps, mentre l’attuale default loss dei bond USA speculative grade degli ultimi 12 mesi è
inferiore al 2%.
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Dal momento che si ritiene che i tassi di default rimangano bassi per i prossimi trimestri, le
valutazioni correnti compensano ben oltre i rischi fondamentali.
Gli investitori che ricercano rendimenti in Euro potrebbero trovare una opportunità in questo
mercato. Inoltre le nostre proiezioni indicano un Dollaro più forte, che potrebbe tradursi in una
"copertura naturale" dal rischio di tassi crescenti.
Conclusioni
La politica monetaria è destinata a rimanere un potente motore dell’evoluzione dei mercati del
credito soprattutto in Europa, e avrà due conseguenze fondamentali: la prosecuzione della
ricerca di rendimento e un contesto di fattori tecnici favorevole alle obbligazioni corporate per il
2015. I recenti movimenti degli spread hanno reso le valutazioni più interessanti su entrambi le
sponde dell'Atlantico: la "zona di crossover" appare la più attraente tra le obbligazioni corporate
IG e HY. Le obbligazioni con rating BBB tra le obbligazioni corporate IG e le HY con rating alto,
cioè le obbligazioni con rating BB, offrono il miglior profilo di rischio-rendimento nel mercato del
credito. In particolare le obbligazioni HY con rating BB sono suscettibili di essere più efficaci delle
obbligazioni speculative grade con rating medio o basso nel fornire il rendimento del carry,
mentre difendono gli investitori dalla volatilità che potrebbe arrivare da eventuali delusioni sui
dati macro. Le obbligazioni corporate con una duration più elevata sono anche in una migliore
posizione per catturare i rendimenti in Europa e per difendere gli investitori dal rischio di bear
flattening della curva USA.
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HY ancora sostenuti dalla ricerca dei rendimenti
I fondamentali economici rimangono favorevoli
Recentemente abbiamo sottolineato (vedi CAIS di Settembre) come le società HY si siano mosse
verso un basso tasso di default su entrambe le sponde dell'Atlantico. Questo si è verificato
nonostante un trend al ribasso degli indicatori macro sulla crescita di lungo termine e grazie
soprattutto ad una politica monetaria ultra accomodante che ha sostenuto la continua ricerca dei
rendimenti e infine ha fornito alle aziende la liquidità di cui avevano bisogno. La crisi Lehman ha
reso le società più prudenti rispetto ai cicli precedenti e quindi, nonostante le condizioni per il
finanziamento siano decisamente favorevoli, la maggior parte di esse ha evitato di esporsi con un
pericoloso ri-indebitamento e ha preferito beneficiare di questa situazione spostando in avanti le
scadenze sul debito. Le condizioni di finanziamento sia sul mercato sia sul canale bancario
rimangono molto favorevoli negli Stati Uniti e stanno migliorando in Europa grazie all’attivismo
della BCE. Il 2015 dovrebbe finalmente vedere uno scenario macro migliore e, come la nostra
analisi ha sottolineato, non riguarda il livello assoluto della crescita ma la variazione della crescita
del PIL con un focus particolare sul trend di lungo periodo che guida l’andamento dei tassi di
default. La conclusione delle nostre analisi top-down e bottom-up indica la continuazione di un
basso tasso di default nel 2015 su entrambi i lati dell'Atlantico.
Indicatori tecnici: aumenta la divergenza tra i due lati dell’Atlantico. Gli
le società HY europee sono in una situazione migliore
Domanda/Offerta. Negli ultimi mesi l'equilibrio domanda/offerta dei bond HY corporate ha
mostrato trend divergenti in Europa e negli Stati Uniti. In particolare sul lato della domanda, dopo
gli afflussi eccezionali registrati nel 2012 e ad una crescita in misura minore nel 2013, gli ultimi
mesi hanno mostrato un brusca virata con flussi in uscita dagli Stati Uniti, dai fondi obbligazionari
speculative grade globali e dagli ETF. Questo non ha riguardato gli investitori europei in
obbligazioni HY quotate in Euro. Come mostra il grafico, i fondi HY USA hanno subito flussi in
uscita pari a circa $43 miliardi in pochi mesi, nello specifico tra lo scorso Giugno e Settembre.
Questi deflussi rappresentano circa il 50% di tutti i flussi cumulati negli ultimi 30 mesi. Il grafico
mostra la marcata differenza tra i trend dei fondi HY europei: gli afflussi sono in ritardo rispetto alle
loro controparti americane come si è verificato soprattutto nel 2013 e, ancora più importante, sono
stati molto più resistenti alla volatilità di quest’estate rispetto ai fondi USA. Per quanto riguarda il
lato dell'offerta emergono delle differenze tra le due sponde dell'Atlantico: il 2014 ha già superato
tutti gli anni precedenti in termini di volumi totali di emissioni di debito HY europeo nonostante le
recenti diminuzioni. Al contrario il nuovo debito delle società statunitensi speculative grade è in
crescita ad un ritmo più lento rispetto agli ultimi due anni. Allo stesso modo i disinvestimenti degli
ultimi 4 mesi non sembrano aver impedito del tutto alle società di andare sul mercato primario. I
migliori fattori tecnici indicati dagli HY europei sono coerenti con il divergente percorso sul quale le
politiche monetarie della Fed e della BCE saranno indirizzate il prossimo anno. Siccome la Fed sta
passando il testimone del QE alla BCE e si sta preparando ad alzare i tassi, anche se
probabilmente non avverrà subito, la BCE sta già acquistando covered bonds, acquisterà ABS e
probabilmente interverrà ulteriormente per raggiungere l’obiettivo di aumento del bilancio di €1
trilione annunciato da Mario Draghi. Il secondo TLTRO sosterrà anche una liquidità diffusa e con
ogni probabilità ridurrà il bisogno di rimborso per il mercato obbligazionario dei titoli finanziari.
Meno «oasi» nel «deserto» dei rendimenti. Secondo i nostri ultimi calcoli molto poche "oasi"
rimangono disponibili nel "deserto" di rendimenti in Euro. Siccome il rendimento medio dei titoli di
Stato si è dimezzato nei primi nove mesi del 2014 passando dal 2% all’1%, sempre meno
obbligazioni offrono un rendimento superiore al 2%. Considerando a partire dal 30 Settembre il
mercato Fixed Income in Euro nel complesso con i titoli di Stato, gli IG e le obbligazioni corporate
HY, l'11% del debito presenta rendimenti negativi. Allo stesso tempo il 15% paga un tasso
praticamente pari a zero, mentre un altro 58% offre un rendimento compreso tra lo 0.50% e il 2%.
In poche parole l'85% delle obbligazioni in Euro non riescono a raggiungere il 2%.
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L’offerta del mercato dei
titoli IG in Euro è diminuita
così come i rendimenti
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Questa percentuale è più che raddoppiata dallo scorso Gennaio quando era pari a "solamente" il
40% del mercato. Le obbligazioni HY rappresentano solo il 4% del debito complessivo, mentre le
obbligazioni societarie con rating BBB rappresentano il 10%. Inoltre, siccome i rendimenti dei titoli
di Stato dei paesi periferici si sono ridotti fortemente nei tratti della curva a breve termine fino al
medio termine, le obbligazioni corporate con rating BBB e BB rappresentano la maggior parte
delle rimanenti "oasi" e, come tali, dovrebbero rimanere gli obiettivi della domanda di rendimenti
del prossimo anno.
Le valutazioni sugli HY migliorano su entrambe le coste dell’Atlantico, di più negli USA
Sulla scia delle recenti performance deludente le valutazioni delle obbligazioni HY sono migliorate
sia in termini assoluti sia in termini relativi. Gli spread avevano raggiunto i minimi in Aprile e il calo
si è interrotto in primavera quando diminuirono le aree che si riteneva offrissero ancora risk
premium e quando il “nervosismo” ha dominato le valutazioni degli investitori. La correzione
dell’obbligazionario HY USA di inizio estate aveva a che fare con le preoccupazioni circa un rialzo
prematuro dei tassi USA, mentre quella di Ottobre ha avuto più a che fare con un clima generale
di risk-off. Come conseguenza dei recenti trend di mercato degli ultimi mesi, i rendimenti e gli
spread offerti da alcune scadenze della curva delle obbligazioni HY USA sono tornati rapidamente
ai livelli del 2013. L'alta percentuale di bond callable tende ad abbassare l'attuale duration delle
obbligazioni statunitensi speculative grade, soprattutto sulle scadenze tra i 3 e i 5 anni. Pertanto in
uno scenario di bassi tassi di default come quello attuale le valutazioni correnti sono tornate ad
offrire spazio per un restringimento. In questo momento, ad esempio, un’obbligazione HY USA a 4
anni paga in media uno spread di rendimento rispetto al treasury USA pari a circa 550 bps, mentre
l’attuale default loss dei bond USA speculative grade degli ultimi 12 mesi è inferiore al 2%. Dal
momento che si ritiene che i tassi di default rimangano bassi per i prossimi trimestri, le valutazioni
correnti compensano ben oltre i rischi fondamentali. Gli investitori che ricercano rendimenti in Euro
potrebbero trovare una opportunità in questo mercato. Inoltre le nostre proiezioni indicano un
Dollaro più forte, che potrebbe tradursi in una "copertura naturale" dal rischio di tassi crescenti.
Conclusioni
La politica monetaria è destinata a rimanere un potente motore dei mercati del credito soprattutto
in Europe, mantenendo viva la ricerca di rendimento e supportando gli indicatori tecnici delle
obbligazioni corporate nel 2015. I recenti movimenti degli spread hanno reso le valutazioni più
interessanti su entrambi le sponde dell'Atlantico: la "zona di crossover" appare la più attraente tra
le obbligazioni IG e tra le obbligazioni corporate HY. I bond con rating BBB tra le obbligazioni
corporate IG e Gli HY con rating alto, cioè le obbligazioni con rating BB, offrono il miglior profilo di
rischio-rendimento nel mercato del credito. In particolare i bond HY con rating BB sono suscettibili
di essere più efficaci dei bond con speculative grade con rating medio o basso nel fornire il carry
del rendimento, mentre difendono gli investitori dalla volatilità che potrebbe arrivare da eventuali
delusioni sui dati macro. Le obbligazioni corporate con una duration più elevata sono anche in una
migliore posizione per catturare i rendimenti in Europa e per difendere gli investitori dal rischio di
appiattimento della curva USA.
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I titoli IG con rating BBB e i
titoli HY con rating BB
offrono il miglior profilo di
rischio/rendimento sui
mercati del credito
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Mercato Azionario
Una nuova prospettiva per il 2015
L’essenziale
ERIC MIJOT, Strategy and Economic Research – Paris
L’azionario ha registrato un trend rialzista nella prima metà del 2014, ma il momentum positivo
ha raggiunto i massimi ai primi di giugno, quando le pressioni deflazionistiche sulla zona Euro
sono tornate. Il mercato azionario dell’Eurozona è stato il primo a risentirne; poi le correlazioni
tra i mercati hanno fatto il resto. L'annuncio del Quantitative Easing da parte della BCE ha
portato ad un aumento del Dollaro, che a sua volta ha spinto al ribasso i prezzi delle materie
prime e dei mercati emergenti ai primi di Settembre. Da metà Settembre le preoccupazioni sulla
crescita globale hanno causato un calo del mercato statunitense. L'agitazione ha raggiunto il
Giappone alla fine di Settembre. Entro Ottobre la crisi si era già ampiamente diffusa. Tale
correzione, che ha già causato un calo significativo in Europa (vedi Grafico 1), potrebbe
continuare sino a inizio 2015, prima che avvenga la svolta. Infatti l'adeguamento dei rischi di
portafoglio potrebbe non essere ancora completamente finito. Inoltre occorreranno uno o alcuni
trimestri prima che il basso livello dei rendimenti a lungo termine, il basso livello del prezzo del
petrolio e la debolezza delle valute nei paesi inclini alla deflazione (zona Euro e Giappone)
producano i loro effetti positivi sull'economia e sugli utili delle società. Anche se la transizione tra
le politiche della Fed e le altre grandi Banche Centrali (guidate dalla BCE e dalla Banca del
Giappone) non è avvenuta senza complicazioni, tuttavia sarà garantito un flusso continuo di
liquidità a livello globale. Mentre la crescita globale dovrebbe restare al di sopra del 3% lo
scenario resta favorevole all'azionario globale. In questa fase di transizione, ogni mercato si
trova in una fase diversa del ciclo.
Gli Stati Uniti, i più avanti nel ciclo economico, si trovano in una fase
più matura (la Fase III della nostra tabella)
A maggio 2013 le dichiarazioni di Ben Bernanke circa il tapering della Fed hanno segnato la
transizione dalla fase I alla fase II (vedi Grafico 2). Prima delle osservazioni di Bernanke il
mercato aveva temuto la deflazione e i mercati azionari avevano seguito un trend simile alle
aspettative di inflazione (vedi grafico 3). In seguito, quando il timore della deflazione è
scomparso sui mercati, e nel contempo non vi erano preoccupazioni per l'inflazione, il mercato
azionario americano ha trascorso un periodo molto positivo: fintanto che le aspettative di
inflazione rimanevano basse, l’azionario cresceva. Le anticipazioni circa la conclusione del QE
da parte della Fed hanno segnato l'inizio della Fase III. Il calo delle azioni small cap, l'incapacità
del segmento high-yield di superare i suoi massimi da inizio anno, il ritorno della volatilità (in
ritardo di 18/24 mesi rispetto alla politica monetaria) e il calo dei prezzi delle materie prime,
hanno sostenuto questa view. Questa fase del ciclo di investimento è più incerta. Il mercato
americano potrebbe non presentare nuovi trend e la volatilità rimanere presente sul mercato. Il
basso prezzo del petrolio e il calo dei rendimenti a lungo termine aiuterà l'economia a mantenere
il percorso di una graduale ripresa al di sopra del suo potenziale stimato all’1.9%. La crescita dei
profitti delle società, pur non accelerando, dovrebbe tenere bene; possiamo stimare una crescita
moderata tra lo 0% e l'8% (il 2% di essa dovuto all'impatto accrescitivo dei buy-back azionari). Il
probabile cambiamento di tono da parte della Fed dovrebbe avere anche un effetto rassicurante.
Il calo dei dati relativi all’inflazione è un fattore che punta in questa direzione (vedi Grafico 2);
questi indicatori si stanno avvicinando ai livelli registrati quando la Fed ha lanciato le sue
precedenti fasi di QE. Ciò potrebbe suggerire che la Fed potrebbe tornare a questi politiche se
necessario. La comunicazione potrebbe anche rivelarsi sufficiente. Tuttavia un sostanziale
miglioramento del contesto economico solleverebbe lo spettro di un aumento dei tassi, mossa
che i mercati potrebbero considerare inadeguata. In questa fase, le valorizzazioni non
rappresentano un elemento anticipatore dell’andamento del mercato a 12 e i 18 mesi. Mentre le
valorizzazioni possono rappresentare un handicap per le performance di lungo termine del
mercato azionario americano, lo scenario di bassa inflazione giustifica gli attuali P/E ratio (16.7
volte gli utili degli ultimi dodici mesi). Se si guarda al Grafico 4, un’inflazione di circa il 2% è
coerente in media con un P/E ratio pari a 18 volte i guadagni totali.
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Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
Con la crescita globale al di sopra del
3% e con un’abbondanza di liquidità
che dovrebbe
continuare, i segnali
sono positivi per l’azionario nel medio
termine.
Tuttavia va tenuto presente che i mercati
azionari sono in fase di transizione e che
ogni mercato è in una fase diversa del
ciclo economico. Il mercato USA potrebbe
non seguire nessun nuovo trend. La zona
Euro presenta il rischio maggiore, ma
anche il potenziale più grande. Nel mezzo,
il Giappone offre un profilo di rischiorendimento
leggermente
inferiore.
I
mercati
emergenti
devono
essere
considerati caso per caso .
Abbiamo identificato quattro
chiave per gli investimenti:
fattori
1. Posizionamento all'interno del
la crescita del mercato azionario
Uniti), il ritorno all’inflazione (zona
l’EPS Momentum (Giappone), i
importatori
di
materie
(mercati emergenti).
ciclo:
(Stati
Euro),
paesi
prime
2.
Tassi
persistentemente
bassi:
strategie
di
rendimento
(Dividend
Aristocrat, settore immobiliare, acquisto di
azioni proprie).
3. Politica monetaria divergente tra
Stati Uniti da un lato e Europa e
Giappone dall'altro: azionario domestico
negli Stati Uniti e azionario internazionale
in Europa e Giappone.
4. Il ritorno della volatilità: favorire le
large cap rispetto alle small cap.
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Novembre 2014
La zona euro (Fase I) è all’inizio di una fase di transizione
L‘indice MSCI EMU è aumentato da 8 a 14 dal 2011, con un picco nel 2014 per poi riscendere
più recentemente. Per andare avanti il mercato deve essere guidato da una ripresa degli utili che
tarda ad arrivare. Tuttavia, la transizione tra le due fasi è complicata dalla debolezza della
crescita economica (al di sotto del tasso di crescita potenziale del 1.2%) e dal rinnovato rischio di
una spirale deflazionistica (30% di probabilità secondo il FMI).
Detto questo la debolezza dell'euro dovrebbe finire aggiungendo circa il 10% di crescita degli utili
in base al nostro scenario sul tasso di cambio (Euro vs. Dollaro a 1,20 in 1 anno) Il consensus
propende per un incremento dei profitti pari al 15% nei prossimi 12 mesi. Questa percentuale
potrebbe essere un po‘ alta, ma non è del tutto ingiustificata visto che le revisioni al rialzo, in
risposta alle variazione dei cambi, sono in grado di compensare una crescita interna stagnante. Il
fatto che la BCE si è presa carico della situazione è una notizia positiva. Infine anche le misure di
stimolo come il piano di Juncker (€300 miliardi) rappresentano un segnale positivo. Il rischio
nell’Eurozona è più una questione di quanto tempo ci vorrà per questi buoni propositi a
trasformarsi in azioni.
Se si sviluppa il rischio deflazione i livelli delle valorizzazioni saranno certamente rivisti al ribasso
così come gli utili (una sorta di doppia penalizzazione). Tuttavia se questi rischi diminuiscono, si
verificherà l’esatto opposto: un doppio bonus. La relazione che può essere osservata tra P/E
ratios e l’inflazione a lungo termine degli Stati Uniti è un ricordo di questo meccanismo
implacabile (vedi Grafico 4). Inoltre la zona Euro, che si trova nella fase I, è certamente la regione
tra i paesi sviluppati che presenta, allo stesso tempo, il rischio e il potenziale maggiore («alto
rischio-alto rendimento»).
Il Giappone (vicino alla Fase II) può essere visto come un'alternativa
alla zona Euro
Anche il Giappone sta cercando di uscire dalla deflazione, tuttavia le misure sono state prese
leggermente in anticipo rispetto al ciclo economico; l’«Abenomics» è iniziata prima della
«Draghinomics». Il calo del 30% dello yen ha portato ad un aumento dei profitti del 75% nel 2013.
Questo momento favorevole ha rallentato ma rimane comunque positivo (+6% nel 2014 e +12%
nel 2015 secondo le stime dell’IBES). Il paese dovrebbe beneficiare della proroga alle politiche
accomodanti messa in atto dalla Banca del Giappone, mentre la crescita economica dovrebbe
superare presto il suo potenziale stimato a circa lo 0.7%. Il Giappone potrebbe essere vicino
Fase II. Nel breve termine il Giappone offre un profilo di rischio-rendimento inferiore quello della
zona Euro.
LE QUATTRO FASI DEL CICLO DI
INVESTIMENTO
■ Fase 1: crescita inferiore al potenziale e
basso rischio d’inflazione
→sovra performance del mercato
azionario
■ Fase 2: accelerazione della crescita oltre
il potenziale con conseguenti tensioni
sull’inflazione
→ sovra performance del mercato
azionario e delle materie prime
■ Fase 3: rallentamento della crescita, che
rimane comunque oltre il potenziale,
tensione inflazionistiche
→ sovra performance del mercato
monetario e delle obbligazioni indicizzate
all’inflazione
■ Fase 4: la crescita scende sotto il
potenziale e le tensioni inflazionistiche
svaniscono
→ sovra performance delle obbligazioni
governative
I mercati emergenti (Fase IV) sono sotto l'influenza della Cina e del
Dollaro
I due fattori – il rallentamento della Cina, anche se sotto controllo, insieme ad un rafforzamento
del Dollaro – hanno avuto l'effetto di spingere al ribasso le materie prime, le valute e i mercati
azionari ad essi associati. Questo doppio trend si è sviluppato molto rapidamente nelle recenti
settimane, ed un ritorno è certamente possibile. Tuttavia la Cina manterrà le sue linee guida
basate su piccoli aggiustamenti per gestire il proprio rallentamento e la politica monetaria,
divergente tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, probabilmente continuerà. Ci attendiamo che
L’asia Emergente (importatrice di materie prime) faccia meglio dell’America Latina (esportatrice di
di materie prime).
Dal punto di vista di geografico, la zona Euro potrebbe tornare di nuovo alla ribalta nel 2015.
Tuttavia, a nostro avviso, occorre approcciare i mercati azionari più per temi trasversali che
concentrandosi su una singola regione.
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Documento destinato unicamente a investitori professionali, prestatori di servizi finanziari e altri professionisti del settore
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11
Novembre 2014
Abbiamo identificato 4 fattori chiave per gli investimenti per il 2015
1. Posizionamento all'interno del ciclo degli investimenti: questo richiede un approccio più
conservativo negliStati Uniti con un focus su titoli growth, in particolare dei settori tecnologico e
sanitario. In Europa l'approccio dovrebbe essere orientato verso la reflazione (ad esempio settore
bancario) e in Giappone verso l’aumento degli utili (EPS). Da privilegiare, sui mercati emergenti, i
Paesi importatori di materie prime, specialmente (Asia e in particolare India).
2. I tassi rimarranno bassi per parecchio tempo: sono da privilegiare le strategie di rendimento
nelle differenti tipologie. Negli Stati Uniti i «Dividend Aristocrats» e i buy-back di azioni meritano
attenzione. In Europa gli yield interessanti sono una delle caratteristiche principali dei titoli azionari
in generale. Il settore immobiliare quotato è anch’esso di interesse nelle economie sviluppate.
3. La divergenza tra le politiche monetarie degli Stati Uniti da un lato e dell’Europa e del
Giappone dall'altro, rischia di proseguire e il Dollaro dovrebbe continuare a rafforzarsi. Ciò
suggerisce di dare priorità al mercato azionario domestico negli Stati Uniti e al mercato azionario
internazionale in Europa e in Giappone.
4. Presenza della volatilità sui mercati. Preferenza per i titoli large-cap rispetto a quelli meno
liquidi delle small-cap.
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