2 - Unibo

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Università di Bologna Dipartimento di Filosofia e comunicazione Corso di Filosofia del linguaggio 2012/13 2ª settimana per le lauree di Scienze della comunicazione (6 cfu), DAMS (6 cfu integrati, assieme a 6cfu del corso di Analisi della comunicazione visiva nel corso di Filosofia del linguaggio C.I. di 12 cfu), Lingue e letterature straniere (9 cfu). Ecco il calendario del corso:
7 ottobre 2013
Discussione di testi di John Locke
8 ottobre 2013
La filosofia del linguaggio dell’empirismo classico: John Locke 3
Fare filosofia: l’essere umano è un animale razionale – discussione sulla
definizione aristotelica in Dell’interpretazione
La filosofia del linguaggio del razionalismo classico: Gottfried Wilhelm Leibniz
1
9 ottobre 2013
14 ottobre 2013
15 ottobre 2013
22 ottobre 2013
Discussione di testi di Gottfried Wilhelm Leibniz
La filosofia del linguaggio del razionalismo classico: Gottfried Wilhelm Leibniz
2
La filosofia del linguaggio del razionalismo classico: Gottfried Wilhelm Leibniz
3
Fare filosofia: discussione delle sezioni 491-513 della Prima parte delle Ricerche
filosofiche di Ludwig Wittgenstein
23 ottobre 2013
La filosofia del linguaggio contemporanea: Gottlob Frege 1
28 ottobre 2013
Discussione di testi di Gottlob Frege
29 ottobre 2013
La filosofia del linguaggio contemporanea: Gottlob Frege 2
30 ottobre 2013
La filosofia del linguaggio contemporanea: Gottlob Frege 3
16 ottobre 2013
21 ottobre 2013
Sulla discussione del capitolo 4 del libro 3° del Saggio di Locke. ieri. Le
domande erano buone. Vorrei tornare su un punto solo, quello delle
passioni. La posizione di Descartes (Spinoza, Leibniz), la posizione di
Hume. I primi sono interessati al controllo razionale delle passioni, l’ultimo
sostiene che la ragione è guidata dalle passioni.
Non riprodurrò qui la discussione che abbiamo avuto. Voglio solo
ricordarvi quello che mi pare iul punto essenziale in Locke circa le idee
semplici. Abbiamo idee semplici convergenti, perché siamo fatti più o
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meno allo stesso modo. Questo trasforma lo psicologismo spesso
attribuito a Locke in una teoria basata sulla nostra psicologia (come
scienza).
Qui di seguito i brani di Locke che commento a lezione esplicitamente.
Ciò su cui in particolare ci tengo che abbiate a mente è la priorità delle idee
rispetto ai nomi – prima il pensiero, poi la lingua, secondo Locke. La
centralità dei termini generali – se è vero che le nostre lingue si distanziano
di più sui nomi propri che usiamo, cosa che indica la differenza fra gli
ambienti in cui viviamo, cognitivamente quello che dice Locke non è vero –
i nomi propri sono tanto importanti quanto i nomi comuni. La piosizione
di Locke, che pure è un “particolarista”, tutto ha origine secondo lui da
particolari, ha ancora qualcosa del “disprezzo” per l’individuale tipico di
quasi tutta la filosofia.
Capitolo III
DEI TERMINI GENERALI
1. Poiché tutte le cose che esistono sono particolari, potrebbe forse
giudicarsi ragionevole che le parole, che dovrebbero esser conformi alle
cose, siano particolari anch’esse, – voglio dire, nel loro significato. Invece,
troviamo proprio il contrario. Di gran lunga la maggior parte delle parole
che costituiscono tutte le lingue sono termini generali: il che non e stato
effetto di negligenza o del caso, bensì di ragione e necessità.
2. Anzitutto, è impossibile che ogni cosa particolare abbia un nome
peculiare e distinto. Poiché, dipendendo il senso e l’uso delle parole dal
rapporto che la mente pone tra le sue idee, e i suoni che usa come loro
segni, è necessaria, nell’applicazione dei nomi alle cose, che la mente abbia
idee distinte delle cose, e ritenga anche il nome particolare che appartiene a
ciascuna, con la sua peculiare applicazione a quell’idea. Ma sarebbe
superiore a ogni capacità umana foggiare e ritenere idee distinte di tutte le
cose particolari che incontriamo: ogni uccello o altro animale visto, ogni
pianticella e ogni albero che abbia colpito i sensi, non potrebbe trovare un
posto nemmeno nell’intelletto più capace. Se deve considerarsi come
esempio di una memoria prodigiosa il fatto che certi generali abbian saputo
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chiamare ogni soldato del loro esercito col suo nome, facilmente vedremo
la ragione per cui gli uomini non abbiano mai tentato di dare un nome a
ciascuna pecora del proprio gregge, o a ciascuna cornacchia che vola sulla
loro testa; e meno ancora di chiamare con un nome particolare ogni foglia
degli alberi o granello di sabbia che si sia trovato sul loro cammino.
3. In secondo luogo, se fosse possibile, sarebbe tuttavia inutile, poiché non
servirebbe allo scopo principale del linguaggio. Gli uomini
accumulerebbero invano tanti nomi di cose particolari, che non
servirebbero loro a comunicare i loro pensieri. Gli uomini imparano i nomi,
e li usano nel parlare con gli altri, perché siano capiti: il che avviene soltanto
quando, per uso o consenso, il suono che produco cogli organi del
linguaggio suscita nella mente di un altro, che lo ode, l’idea cui riferisco quel
suono nella mente mia quando lo produco. Questo non può ottenersi con
dei nomi applicati a cose particolari; delle quali io solo avendo qualche idea
nella mia mente, i nomi non potrebbero essere significanti o intelligibili per
un altro, che non avesse fatto conoscenza di tutte quelle cose
particolarissime che fossero cadute sotto la mia osservazione.
4. Ma, in terzo luogo, pur immaginando che ciò fosse possibile (cosa che
non credo), tuttavia, un nome distinto per ogni cosa particolare non
sarebbe di alcun uso notevole per il miglioramento della conoscenza: la
quale, sebbene abbia fondamento nelle cose particolari, si estende mediante
le vedute generali; al che giovano propriamente le cose ridotte a categorie,
sotto nomi generali.. Queste categorie, coi nomi che loro appartengono,
vengono a chiudersi entro certi limiti, e non si moltiplicano a ogni istante
oltre ciò che la mente possa contenere, o ciò che l’uso richieda. E perciò gli
uomini per lo più si sono fermati a questi termini generali ma non fino al
punto di trattenersi dal distinguere cose particolari mediante nomi
appropriati, quando la cosa sia sembrata loro conveniente. E perciò,
nell’ambito delle specie, delle quali per lo più hanno da servirsi, e dentro le
quali hanno spesso occasione di nominare persone particolari, essi fanno
usa di nomi propri; e qui, individui distinti hanno distinte denominazioni.
5. Oltre le persone, anche i paesi, le città, i fiumi, le montagne e altre simili
distinzioni di luogo, solitamente, hanno trovato dei nomi peculiari, e, anche
questi, per la stessa ragione: trattandosi di cose che gli uomini hanno spesso
occasione di contrassegnare particolarmente, e, per dir così, mettere davanti
agli occhi degli altri quando con essi discorrono. E non dubito che, se
avessimo ragione di nominare certi particolari cavalli così spesso come
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l’abbiamo di nominare particolari uomini, avremmo nomi propri per quelli,
e altrettanto familiari quanta ne abbiamo per questi, e Bucefalo sarebbe una
parola altrettanto frequente nell’uso quanto Alessandro. Perciò vediamo
che, tra i fantini, i cavalli hanno i loro nomi propri coi quali possono essere
indicati e distinti, altrettanto comunemente quanto i loro servitori: perché,
fra di essi, c’ e spesso occasione di nominare questa o quel cavallo
particolare quando esso si trova lantana dalla vista.
6. La cosa che deve essere ora considerata è come vengano a esser formate
le parole generali. Poiché, tutte le cose che esistono essendo soltanto dei
particolari, in qual modo veniamo a incontrare i termini generali? E dove
troviamo quelle nature generali: che si suppone essi rappresentino? Le
parole diventano generali per il fatto che ne facciamo i segni di idee
generali; e le idee diventano generali mediante la separazione da esse delle
circostanze di tempo e di luogo, e di qualunque altra idea che possa
determinarle nel senso di questa o quella esistenza particolare. Con questo
mezzo dell’astrazione esse sono rese capaci di rappresentare più individui,
ognuno dei quali, avendo in sé una conformità con quell’idea astratta, e
(come diciamo) di quella specie.
7. Ma, per dedurre questo punto in modo un po’ più distinto, non sarà
forse male seguire le nostre nozioni e i nostri nomi fino dal loro principio, e
osservare per quali gradi procediamo, e con quali passi amplifichiamo le
nostre idee fino dalla prima infanzia. Nulla è più evidente del fatto che le
idee delle persone colle quali i bambini (per prendere solo questi ad
esempio) hanno commercio, sono, come le persone stesse, soltanto delle
idee particolari. L’idea della bambinaia e della madre sono ben formate nel
loro spirito; e, come se fossero la dentro dei ritratti di quelle persone,
rappresentano soltanto quegli individui. I nomi che fin da principio essi
dettero loro sono limitati a quegli individui; e i nomi di tata e mamma, che il
bambino usa, si riferiscono unicamente a quelle persone. Più tardi, quando
il tempo e una conoscenza più vasta hanno fatto loro osservare che ci sono
tante altre cose nel mondo, le quali in certe comuni concordanze di forma,
e in molte altre qualità, rassomigliano al loro babbo e alla loro mamma, e a
quelle persone che hanno avuto l’abitudine di frequentare da principio, essi
vengono a formarsi un’idea, della quale trovano che partecipano quei molti
particolari; e a quest’idea, conformemente ad altre persone, essi danno per
esempio il nome di uomo. E così vengono ad avere un nome generale, e
un’idea generale. Col che non fabbricano niente di nuovo, ma soltanto
lasciano fuori dall’idea complessa che si son fatta di Pietro e di Giacomo, di
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Maria e di Giovanna, ciò che c particolare a ciascuna, e ritengono soltanto
ciò che è comune a tutte.
8.-Nello stesso modo col quale essi raggiungono il nome e l’idea generale
di uomo, essi facilmente procedono a più generali nomi e nozioni. Poiché,
osservando che molte cose che differiscono dalla loro idea di uomo, e non
possono perciò esser comprese sotto quel nome, hanno tuttavia certe
qualità nelle quali concordano con l’uomo, ritenendo solo quelle qualità, e
riunendole in un’unica idea, hanno ancora un’altra idea, più generale. E
avendo dato a questa un nome, foggiano un termine di estensione più
comprensiva: la quale idea nuova viene fatta, non con alcuna nuova
aggiunta, ma soltanto, come prima, lasciando fuori la forma e qualche altra
proprietà significata dal nome uomo, e ritenendo soltanto le idee di un corpo
dotato di vita, senso e moto spontaneo, comprese sotto il nome di animale.
9. Che questa sia il modo nel quale dapprima gli uomini formarono le idee
generali, e i loro nomi generali, credo sia così evidente, che non mi occorre
altra prova e basti che un uomo consideri se stesso, o gli altri, e i
procedimenti ordinari della loro mente nella ricerca della conoscenza. E chi
ritenga che le nature, o nozioni generali, siano altra cosa da tali idee astratte
e parziali di idee più complesse, inizialmente tratte dalle esistenze
particolari, temo che si troverà perso quando dovrà poi andarle a trovare.
Rifletta infatti chi vuole, e poi mi dica, in che differisca la sua idea di uomo,
da quella di Pietro e Paolo, o la sua idea di cavallo da quella di Bucefalo, se
non nel fatto di aver lasciato fuori qualcosa che è peculiare a ciascun
individuo, e avere invece ritenuto tutte quelle idee complesse particolari di
molte particolari esistenze in cui si trova che queste concordano.
Prendendo poi le idee complesse significate dai nomi uomo e cavallo,
lasciando fuori soltanto quei particolari in cui esse differiscono, e ritenendo
solo quelli in cui concordano, e di questi facendo una nuova idea complessa
distinta, e dandole il nome animale, si avrà un termine più generale, che
comprende con l’uomo molte altre creature. Lasciate fuori dall’idea di
animale il senso e il moto spontaneo, e l’idea complessa che rimane,
costituita dalle rimanenti idee semplici di corpo, vita e nutrimento, diventa
un’idea più generale, sotto il termine più comprensivo di vivente. E, per
non indugiare ancor più su questo particolare, così evidente in se stesso,
allo stesso modo la mente procede a corpo, sostanza, e finalmente a essere, cosa,
e altrettali termini universali, che possono stare per ogni idea nostra, quale
essa sia. Per concludere: tutto questo mistero dei generi e delle specie, di cui
tanto parlare si fa nelle scuole, e, giustamente, tanto poco è invece
considerato fuori da esse, non consiste in altro che in idee astratte, più o
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meno comprensive, alle quali sono attribuiti dei nomi. E in tutto ciò v’è una
cosa costante e invariabile, ed è che ogni termine più generale sta per
un’idea siffatta, e non è che una parte di una qualunque delle idee contenute
sotto di essa.
10. Questa ci può dimostrare la ragione per cui, nel definir le parole, che
altro non è se non un dichiarare il loro significato, facciamo uso del genere,
ossia della parola generale successiva che comprende la parola da definire.
Il che non avviene per necessità, ma solo per risparmiarci la fatica di
enumerare le molte idee semplici rappresentate dalla successiva parola
generale, ossia genere; o forse, a volte, per la vergogna di non pater fare
questa enumerazione. Ma sebbene la definizione mediante il genus e la
differentia (mi si perdoni se uso questi termini del mestiere, sebbene siano
originalmente latini, dappoiché rispondono nel modo più proprio a quelle
nozioni cui si applicano), sebbene, dico, la definizione mediante il genus sia
la via più breve, tuttavia credo si possa mettere in dubbio se sia anche la
migliore. Di questo son certo, che non è la sola, e perciò non è
assolutamente necessaria. Poiché, la definizione altro non essendo che un
modo di far intendere ad altri, con parole, quale idea rappresenti il termine
definito, il miglior modo di fare una definizione è quello di enumerare le
idee semplici che vengono a combinarsi nel significate del termine definito;
e se, invece di tale enumerazione, gli uomini si sono abituati ad usare il
termine generale successive, questa non e avvenuto per necessita, o per
ottenere una maggior chiarezza, ma ai fini della rapidità e speditezza.
Poiché ritengo che a chi volesse sapere quale idea rappresenti la parola
uomo, se gli venisse detto che l’uomo è una sostanza estesa solida, dotata di
vita, senso, moto spontaneo e della facoltà di ragionare, non ho alcun
dubbio che il significato del termine uomo sarebbe altrettanto ben capito, e
l’idea che rappresenta sarebbe fatta conoscere almeno con altrettanta
chiarezza, di quando esso viene definito come un animale razionale: il che,
per le varie definizioni di animale, vivente e corpo, si risolve in quelle idee che
comportano un’enumerazione. Qui, nella spiegare il termine uomo, ho
seguito la definizione ordinaria delle scuole; la quale, sebbene non sia forse
la più esatta, serve però abbastanza bene al mio scopo presente. E, in
questo caso, si può vedere che cosa abbia dato occasione alla regola, che
una definizione deve essere composta di genus e differentia; e basta a
dimostrarci quanta poca necessità vi sia di tale regola, e quanta poco
vantaggio possa derivare dalla sua stretta osservanza. Poiché le definizioni,
come è stato detto, essendo soltanto spiegazioni di una parola mediante
molte altre, così che il senso o idea che essa rappresenta possa essere
conosciuta con certezza, le lingue non sono sempre così costruite secondo
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le regole della logica, che ogni termine possa avere il suo significato
esattamente e chiaramente espresso da altri due. L’esperienza ci dà
sufficienti ragioni per ritenere il contrario; oppure, coloro che hanno fatto
questa regola hanno avuto poi il torto di darci ben poche definizioni che vi
si attenessero. Ma, delle definizioni, altro si dirà nel capitolo seguente.
11. Per tornare alle parole generali: è chiaro, da ciò che si è detto, che il
generale e l’universale non appartengono all’esistenza generale delle cose, ma
sono invenzioni le creature dell’intelletto, fatte da esso, per il suo uso, e
riguardano soltanto dei segni, siano essi parole o idee. Le parole sono
generali, come si e detto, quando sono usate come segni di idee generali, e
in tal modo possono venir applicate indifferentemente a molte cose
particolari; e le idee sono generali, quando vengono poste a rappresentare
molte cose particolari: ma l’universalità non appartiene alle cose stesse, che
sono tutte particolari nella loro esistenza, non eccettuate quelle parole e
idee che nel loro significato sono generali. Quando perciò abbandoniamo i
particolari, i generali che rimangono non sono altro che creature di
fabbricazione nostra, la loro natura generale altro non essendo se non la
capacita loro conferita, d all’intelletto, di significare o rappresentare molti
particolari.
Poiché il significato che essi hanno altro non è che un rapporto che, dalla
mente dell’uomo, è loro aggiunto.
12. Perciò, la cosa che bisogna ora considerare è quale sia la specie di
significato che posseggono le parole generali. Poiché, essendo evidente che
esse non significano semplicemente una data cosa particolare, poiché in tal
caso non sarebbero termini generali, bensì nomi propri; così, dall’altro lato,
e altrettanto evidente che esse non significano una pluralità, poiché in tal
caso uomo e uomini avrebbero lo stesso significato; e la distinzione dei
numeri (come li chiamano i grammatici) sarebbe superflua ed inutile.
Dunque, ciò che le parole generali significano e una sorta di cose; e
ciascuno di questi termini raggiunge tale effetto per il fatto di essere il segno
di un’idea astratta che è nella mente; e via via che si trova che le cose
esistenti concordano con quell’idea, di pari passo vengono a essere
classificate sotto quel nome, o, che viene al medesimo, ad appartenere a
quella sorta di cose. Dal che è evidente che le essenze delle sorte, o, se piace
meglio il nome latino, specie, di cose, altro non sono che queste idee
astratte. Poiché, l’avere l’essenza di una qualunque specie e ciò che fa sì che
una cosa data sia di quella specie; e la conformità all’idea cui è annesso il
nome essendo ciò che da diritto a quel nome; avere l’essenza, e avere quella
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conformità, necessariamente saranno la medesima cosa: poiché,
appartenere a una specie, e aver diritto al nome di quella specie, sono due
cose che vengono al medesimo. Così, per esempio, essere un uomo, o
essere della specie uomo, e aver diritto al nome di uomo, è sempre la
medesima cosa. Ancora, essere un uomo, o della specie uomo, e avere
l’essenza di un uomo, è la stessa cosa. Ora, poiché nulla può essere un
uomo, o aver diritto al nome di uomo, se non ciò che ha conformità con
l’idea astratta che il nome rappresenta, né alcuna cosa può essere un uomo,
o aver diritto di appartenenza alla specie uomo, se non ciò che ha l’essenza
di tale specie, ne segue che l’idea astratta che il nome rappresenta, e
l’essenza della specie, sono una sola e medesima cosa. Dal che è facile
giungere all’osservazione che le essenze delle specie di cose, e, di
conseguenza, la riduzione a specie delle cose, è opera dell’intelletto che
astrae e produce quelle idee generali.
13. Non vorrei si credesse che io qui dimentichi, e molto meno neghi, che
la natura, nella produzione delle cose, ne fa molte che sono simili: nulla è
più ovvio, specialmente nella razza degli animali, e in tutte le cose che si
perpetuano mediante il seme. Ma tuttavia penso si possa dire che il
trasceglierle e unirle solto certi nomi è opera dell’intelletto, prendendo esso
occasione dalla somiglianza che osserva fra le cose per produrre idee
generali astratte, e fissarle nella mente, coi nomi loro annessi, come modelli
o forme (poiché, in tal senso, la parola forma ha un significato
appropriatissimo); e via via che le cose particolari esistenti si trovano
concordare con quei modelli, senz’altro vengono a essere di quella specie,
hanno quella denominazione, o sono poste in quella classe. Poiché quando
diciamo che questo è un uomo, quello è un cavallo; questa giustizia, quella
crudeltà; questo un oriuolo, quello un girarrosto; che altro facciamo se non
classificare le cose sotto diversi nomi specifici, come concordanti con quelle
idee astratte, di cui abbiamo voluto che quei nomi fossero i segni? E che
sono le essenze di quelle specie fissate e contrassegnate dai nomi, se non
appunto quelle idee astratte della mente? Le quali, per dir così, sono i
legami tra le cose particolari che esistono, da un lato, e, dall’altro, i nomi
sotto i quali le cose stesse dovranno esser catalogate. E quando i nomi
generali hanno un qualunque rapporto con le cose particolari, queste idee
astratte sono l’intermediario che li unisce: per cui le essenze delle specie,
così come sono distinte e denominate da noi, altro non sono né possono
essere se non quelle precise idee astratte che abbiamo nella mente. E perciò
le presunte essenze reali delle sostanze, se sono diverse dalle nostre idee
astratte, non possono essere le essenze delle specie dentro le quali
cataloghiamo le cose. Poiché due specie potranno essere una sola
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altrettanto razionalmente come due essenze diverse potranno essere
l’essenza di una sola specie: domando quali siano le modificazioni che
potranno o non potranno essere apportate a un cavallo, o nel piombo,
senza far sì che l’uno o l’altro vengano a essere di un’altra specie. Nel
determinare le specie delle cose mediante le nostre idee astratte, la
questione è facile da risolvere; ma se alcuno voglia regolarsi in questa
materia sulla base di presunte essenze reali, penso che si troverà a mal
partito: e non sarà mai in grado di sapere quando precisamente una data
cosa cessi di essere della specie del cavallo o del piombo.
14. Né alcuno si meraviglierà di sentirmi dire che queste essenze, o idee
astratte (che sono le misure del nome e i limiti della specie), sono opera
dell’intelletto, se si consideri che almeno quelle complesse sono spesso, in
molti uomini, diverse raccolte di idee semplici; e pertanto, ciò che è avarizia
per uno, non sarà tale per un altro. Anzi, anche nelle sostanze, dove sembra
che le loro idee astratte siano tolte dalle cose medesime, le idee non sono
costantemente le stesse; no, nemmeno in quella specie che ci è più
familiare, e di cui abbiamo la conoscenza più intima: essendo stato messo
più d’una volta in dubbio se il feto nato da una donna fosse un uomo, fino al
punto che si è discusso se lo si dovesse nutrire e battezzare; il che non
sarebbe avvenuto certo se I’ idea astratta, o essenza, cui apparteneva il
nome fosse stata opera di natura, non invece quella incerta e varia raccolta
di idee semplici che l’intelletto mette assieme e cui poi, astraendola, ha
assegnato un nome. Per cui, in verità, ogni idea astratta distinta è un’essenza
distinta ; e i nomi che rappresentano tali idee distinte sono nomi di cose
essenzialmente diverse. Così un circolo è altrettanto essenzialmente diverso
da un’ovale quanto una pecora da una capra; e la pioggia è essenzialmente
diversa dalla neve, quanto l’acqua dalla terra; essendo impossibile
comunicare all’una quell’idea astratta che è l’essenza dell’altra. E così ogni
coppia di idee astratte, che in una parte qualunque si diversifichino fra loro,
e cui siano stati assegnati nomi distinti, costituisce due sorte distinte, o, se
preferite, distinte specie, non meno essenzialmente diverse di qualunque
altra coppia, per quanto remota o opposta essa sia.
15. Ma poiché si ritiene da alcuni (e non senza ragione) che le essenze delle
cose siano del tutto sconosciute, non sarà forse fuori luogo considerare i
diversi significati della parola essenza.
Anzitutto, si potrà prendere l’essenza nel senso dell’essere stesso di alcuna
cosa, per cui essa è ciò che è. E così la costituzione interna e reale, ma
generalmente (nelle sostanze) sconosciuta, delle cose, dalle quali dipendono
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le loro qualità discopribili, può esser chiamata la loro essenza. Questa e il
significato originale proprio della parola, come è evidente dalla sua
formazione; essentia, nella sua notazione primaria, significando propriamente
l’essere. E in tal senso la parola ancora usata, quando parliamo dell’essenza
delle cose particolari, senza dar loro alcun nome.
In secondo luogo, poiché la dottrina e la dialettica delle scuole si sono
tanto date da fare intorno al genus e alla species, la parola essenza ha quasi
perso la sua significazione primaria: e, anziché alla costituzione delle cose, è
stata quasi interamente applicata alla costituzione artificiale del genus e della
specie. È ben vero che si suppone ordinariamente esistere una costituzione
reale delle specie delle cose; e non v’è alcun dubbio che debba esistere una
qualche costituzione reale, da cui deve dipendere qualunque collezione di
idee semplici coesistenti. Ma, essendo evidente che le cose sono classificate,
sotto i nomi, in sorte o specie, solo in quanto concordano con certe idee
astratte, alle quali abbiamo attribuito quei nomi, l’essenza di ciascun genus, o
sorta, viene a non esser altro da quell’idea astratta che è rappresentata dal
nome generale, o «sortale» (se mi si consenta di chiamarlo così, da sorta,
come forma «generale» da «genere»). E troveremo che questo è ciò che
significa la parola essenza nel suo uso più familiare.
Queste due specie di essenze, suppongo, non sarebbero mal designate coi
nomi di essenza reale l’una, e nominale l’altra.
16. Fra l’essenza nominale e il nome c’è una connessione così stretta, che il
nome di qualunque specie di cose non può venir attribuito ad alcun essere
particolare che per avventura non abbia la medesima essenza, mediante la
quale risponde a quell’idea astratta di cui il nome è il segno.
17. Intorno alle essenze reali delle sostanze corporee (per parlar solo di
queste) vi sono, se io non mi sbaglio, due opinioni. Una è l’opinione di
coloro che, usando la parola essenza senza saper cosa possa significare,
suppongono I’esistenza di un certo numero di quelle essenze, secondo le
quali tutte le cose naturali sarebbero formate, e delle quali ciascuna di esse
parteciperebbe in modo esatto, così venendo a far parte di questa o quella
specie. L’altra, e più razionale, opinione è di coloro che considerano tutte le
cose naturali avere una costituzione reale, ma sconosciuta, delle loro parti
insensibili; dalla quale discendono quelle qualità sensibili che ci servono a
distinguerle fra loro, via via che abbiamo occasione di classificarle nelle
specie, sotto comuni denominazioni. La prima di queste opinioni, che
suppone queste essenze siano un certo numero di forme o incalchi, in cui
siano state gettate tutte le cose naturali che esistono, e di cui egualmente
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esse partecipino, penso abbia molto contribuito a confondere la
conoscenza delle cose naturali. Il frequente apparire dei mostri, in tutte le
specie di animali, e di deficienti, e altri strani prodotti della fecondità
umana, porta con sé delle difficoltà che non è possibile far concordare con
questa ipotesi; essendo altrettanto impossibile che due cose che partecipino
esattamente della stessa essenza reale abbiano proprietà differenti, quanto
che due figure che partecipano della stessa essenza reale di un circolo
abbiano differenti proprietà. Ma se anche non vi fossero altre ragioni
contro questa ipotesi, in ogni caso il supporre essenze inconoscibili e farne
tuttavia ciò che distingue le specie delle cose, è un procedimento così
totalmente inutile e privo di alcun vantaggio per alcuna parte della nostra
conoscenza, che questo fatto solo dovrebbe bastare a farci metter da parte
l’ipotesi stessa, contentandoci di quelle essenze delle sorte o specie di cose
che cadono entro il raggio della nostra conoscenza: e quando queste siano
seriamente considerate si troverà, come ho detto, che esse altro non sono
se non quelle idee complesse astratte cui abbiamo assegnato nomi generali
distinti.
18. Avendo così distinto le essenze in nominali e reali, possiamo ancora
osservare che, nelle specie delle idee semplici e dei modi esse sono sempre
le stesse, ma nelle sostanze sono sempre del tutto diverse. Così, una figura
che include uno spazio fra tre linee è l’essenza reale nonché nominale di un
triangolo: essendo essa, non soltanto un’idea astratta cui si attribuisce il
nome generale, ma la vera e propria essentia, o essere, della cosa stessa; ossia
quel fondamento da cui discendono tutte le sue proprietà, e cui esse sono
tutte inseparabilmente unite. Ma la cosa è ben diversa quando si tratta di
quella particella di materia che forma l’anello al mio dito: nella quale queste
due essenze sono visibilmente diverse. È infatti dalla costituzione reale delle
sue parti insensibili che dipendono tutte quelle proprietà di colore, peso,
fusibilità, fissità. ecc, che si trovano nell’oggetto; costituzione che non
conosciamo, e della quale, non avendone alcuna idea particolare, non
abbiamo nemmeno un nome che ne sia il segno. E tuttavia, sono il suo
colore, peso, fusibilità, fissità, ecc., che fanno sì che esso sia oro, o che gli
diano diritto a quel nome, il quale è pertanto la sua essenza nominale.
Poiché nulla può esser chiamato oro, se non ciò che possiede una
conformità di qualità con quell’idea complessa astratta cui è annesso quel
nome. Ma avremo occasione di trattare in modo più ampio di questa
distinzione delle essenze, che appartengono particolarmente alle sostanze,
quando verremo a trattare dei nomi delle sostanze stesse.
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19. Che quelle idee astratte che posseggono dei nomi di cui siamo andati
parlando, siano essenze, può risultare anche dal fatto che ci vien detto, delle
essenze, che esse sono tutte ingenerabili e incorruttibili, il che non può
essere vero della costituzione reale delle cose, che comincia e perisce con
esse. Tutte le cose che esistono, eccettuato il loro Autore, sono soggette a
mutamento; specialmente quelle cose di cui abbiamo conoscenza e che
abbiamo schierate sotto nomi o insegne distinte. Così, quello che oggi è
erba domani è carne di pecora; e, pochi giorni dopo, viene a far parte di un
uomo: e in tutti questi e altri analoghi cambiamenti, è evidente che l’essenza
reale delle cose - ossia, quella costituzione da cui dipendevano le proprietà
di queste cose diverse - è distrutta, e perisce con loro. Ma assumendosi le
essenze come idee stabilite nella mente, con nomi annessi a ciascuna, si
suppone che esse rimangano costantemente le stesse, quali che siano le
mutazioni cui vanno soggette le sostanze particolari. Infatti, checché accada
di Alessandro e di Bucefalo, si suppone tuttavia che le idee cui sono annessi
i nomi di uomo e di cavallo rimangano le stesse; e così vengono preservate
intere ed intatte le essenze di quelle specie, quali che siano i cambiamenti
cui vanno soggetti alcuni o tutti gli individui di quelle specie. Con tal mezzo
rimane salva e intera l’essenza di una specie, anche senza l’esistenza di un
solo individuo di quella specie. Poiché, se anche oggi non vi fosse un solo
circolo esistente in alcun luogo nel mondo (come probabilmente quella
figura non esiste in alcun luogo esattamente disegnata), tuttavia l’idea
annessa a quel nome non cesserebbe di essere quella che è; né cesserebbe di
esistere come modello per determinare quale delle figure particolari che
incontriamo abbia o non abbia diritto al nome di circolo, e per dimostrare
così quale di esse, per il fatto di aver tale essenza, è di quella specie. E anche
se non ci fossero ora, e non fossero mai esistiti in natura, un animale come
l’unicorno, o un pesce come la sirena, tuttavia, supponendo che questi nomi
rappresentino idee astratte complesse che non contengano in sé alcuna
incoerenza, l’essenza di una sirena è altrettanto intelligibile quanto quella di
un uomo; e l’idea di un unicorno è altrettanto certa, fissa e permanente,
quanto quella di un cavallo. Da ciò che si è detto è evidente che la dottrina
dell’immutabilità delle essenze dimostra che esse sono soltanto dee astratte;
è fondata sul rapporto stabilito fra quelle idee e certi suoni come loro segni;
e sarà sempre vera fintanto che lo stesso nome possa avere lo stesso
significato.
20. Per concludere, questo è, in breve, quello che io direi : che tutto il gran
discutere di genera e species, e delle loro essenze, non si riduce ad altro che a
questo, ossia, che gli uomini, poiché formano certe idee astratte, e le fissano
nella loro mente con nomi ad esse assegnati, con ciò si pongono in
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condizione di considerare le cose, e parlarne, per dir così, a fasci, per
accrescere e comunicarsi tra loro la loro conoscenza in modo più facile e
pronto; poiché la loro conoscenza non potrebbe che avere un progresso
assai lento se le loro parole e i loro pensieri fossero limitati soltanto ai
particolari.
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