IL CASO
Il Monte dei Paschi credeva, acquistando nel Febbraio 2000 la Banca 121, di avere fatto un affare,
nonostante il prezzo di 2.500 miliardi di vecchie lire. Si trattava di una piccola banca, ma
abbastanza diffusa nel sud, oltretutto presentava una enorme liquidità e un alto indice di redditività
globale: ROE intorno al 20% e questo garantiva (o almeno così si poteva pensare) delle lucrose
prospettive per il futuro. A tale proposito si mormora anche che detto acquisto sia stato motivato
anche da altri vantaggi personali di alcuni dirigenti montepaschini, ma questo è tutto da dimostrare.
L’incorporazione della Banca 121 si è dimostrato uno dei peggiori affari che la banca senese poteva
fare, sia dal punto di vista economico, che soprattutto per quanto riguarda l’immagine negativa che
tutto l’affare porta di conseguenza.
Alcuni mesi fa il primo scoop televisivo: la Rai trasmette in uno spettacolo molto seguito: “Mi
manda Rai 3” un servizio di talk-show in cui molti risparmiatori si ritengono truffati dalla Banca
121 e di conseguenza dal Monte dei Paschi per un prodotto venduto come risparmio ad accumulo
redditizio e rilevatosi invece un mutuo, si tratta di My Way e 4 You. Ben 90.000 risparmiatori erano
implicati in questi prodotti per un importo di 2 miliardi di Euro. In seguito alla trasmissione, i
dirigenti del Monte dei Paschi si dichiararono estranei alla truffa, ma risultarono poco credibili,
Vincenzo De Bustis si dimise dal gruppo MPS. Il dirigente e la banca stessa negarono ci fosse
relazione fra le dimissioni e lo scandalo appena scoppiato, ma nessuno ci ha creduto.
A pochi mesi di distanza altri problemi legati alla Banca 121. Ora salta fuori che il ROE così
elevato era determinato da un’altra azzardata operazione della banca. I furbi dirigenti erano riusciti
a portare l’indice ROE dall’8 al 20% vendendo un prodotto che aveva 3 nomi tutti inizianti con
BTP (BTPtel, BTPindex, BTPonline) che nella cultura economica generale della maggioranza delle
persone significa Buoni del Tesoro Poliennali, cioè titoli statali che notoriamente non hanno un alto
reddito, ma sicuro.
I dipendenti della Banca 121 erano stati incitati, o meglio, come afferma qualche giornalista,
minacciati di vendere il più possibile questi nuovi prodotti pubblicizzandoli come investimenti in
titoli di stato che la banca avrebbe acquistato per conto dei risparmiatori.
In realtà si trattava di bel altro. Si trattava di una vendita put options nella quale per il cliente i
guadagni erano limitati al put, mentre le perdite possibili erano illimitate, quindi un rischio
altissimo. Le cifre dell’affare sono piuttosto alte, si tratta di circa 1.000 miliardi di vecchie lire.
L’operazione di per sé è un po’complicata, cercherò di spiegare ciò che ho capito.
I contratti di borsa non sono solo contratti di compravendita titoli cioè chi ha dei titoli vende a chi
non li ha, ma esistono anche i contratti speculativi, una specie di gioco in cui la posta può anche
essere altissima e portare a guadagni favolosi o a perdite disastrose.
Nei contratti speculativi chi vende non possiede i titoli, ma vende al prezzo di borsa corrente
stabilendo di consegnare i titoli ad una data futura. La speranza del venditore è che i titoli nel
frattempo calino di prezzo (per questo si dice che chi vende è un ribassista) in modo che alla
scadenza può acquistare i titoli ad un prezzo più basso e consegnarli incassando il prezzo di quando
li aveva venduti, la differenza rappresenta il suo guadagno; il compratore al contrario è un rialzista
per l’opposta ragione.
I contratti speculativi a termine sono molto rischiosi per entrambi i contraenti per questo somigliano
più ad un gioco che ad un affare commerciale. Per limitare i rischi esistono i contratti a premio nei
quali una parte stabilisce che pagando un premio può recedere dal contratto. Il rischio di perdita a
questo modo è limitato al premio da pagare, mentre quello di guadagnare è illimitato. Il gioco è
equo se il premio è stabilito da entrambe le parti, in tale caso sia per il compratore che per il
venditore il rischio sia di perdita che di guadagno è al massimo il premio.
Posso sintetizzare questo concetto con un semplice grafico
P = Prezzo di mercato
Pe = Prezzo del contratto
Op = Valore del premio
Scelte del venditore in caso di contratto opzione put
Da esecuzione al contratto
P < Pe – Op guadagno perdita < di Op
( P – Op)
Non da esecuzione al contratto
P < Pe perdita di Op
(P)
Esempio numerico:
Vengono venduti dei titoli con il contratto Op 5 al valore di 100
Se alla scadenza i titoli valgono 90 il venditore li acquisterà a 90 sul mercato, pagherà il premio di
5, ma incasserà dal compratore 100. Quindi fino a che il prezzo di mercato non sale fino a 95 (1005) a lui converrà dare esecuzione al contratto guadagnando
Se alla scadenza i titoli valgono 98 il venditore darà esecuzione al contratto perdendo la differenza
fra 98 + 5 e 100 e questo fino a che il prezzo di mercato non raggiunge 100
Se alla scadenza i titoli valgono 110 il venditore non darà esecuzione al contratto e perderà il
premio di 5
Nel prodotto della Banca 121 era insito un contratto di questo genere basato su rischiosi titoli
azionari. Con il premio da una sola parte cioè quello della banca, come “acquirente di opzione put”
cioè dalla parte del venditore, questa era rialzista e al massimo avrebbe corrisposto il premio ai
risparmiatori. Dovendo pagare il premio in ogni caso la banca aveva investito in BTP da cui il nome
al prodotto, ma tutto questo all’insaputa degli ignari risparmiatori ai quali veniva mandato negli
estratti conto la quotazione dei BTP che loro erano convinti di possedere.
I risparmiatori avrebbero al massimo guadagnato il premio, ma il rischio di perdita era illimitato.
I prodotti venduti avevano le scadenze: 31/12/03, 1/8/04, 1/7/04.
La borsa è effettivamente calata, quindi per la banca ci sarebbero stati guadagni che comunque non
sarebbero andati agli ignari risparmiatori con i quali aveva stabilito di determinare alla scadenza
l’interesse calcolato sui titoli di stato sui quali loro credevano di avere investito. Oltre tutto negli
estratti conto titoli che la banca inviava agli investitori erano scritte le quotazioni dei BTP sui quali
la banca aveva investito il premio, non la quotazione del pacchetto dei veri acquisti. Gli investitori
oltretutto si sarebbero trovati alla fine in mano dei titoli ormai svalutati quindi in un realizzo si
sarebbero avute gravi perdite anche sul capitale.
I truffati sarebbero almeno 2500 nel solo territorio di Trani, ma forse sono solo il 10% del totale!
Anche in questo caso il Monte dei Paschi afferma di non averne saputo niente, ma come possiamo
crederci? Una banca di tale portata, con tutti i mezzi di indagine che possiede, davvero non era in
grado di accertare quali azioni truffaldine stava acquisendo? Sinceramente è poco credibile.
Il titolo Monte dei Paschi ha già subito in Borsa un calo del 5,14% e l’operazione non è ancora
conclusa, siamo forse solo agli inizi, chissà quante altre sorprese ci riserverà la Banca 121!
Simone Rossi
Classe 5^A Mercurio
ITC “S.Bandini” - Siena
Fonti di informazione: Articoli di giornali “La Nazione”, “Il Corriere di Siena”, “L’Arena”, testo di
Economia Aziendale per la classe IV per l’approfondimento sui contratti di Borsa.