Il Ganassi Anno 19 Numero 16 In questo numero: Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica Editoriale Cari soci, proprio in questo periodo sta per concludersi il mio terzo mandato di presidente della FIMA: il momento giusto per tirare le somme su tanti argomenti dunque, prendendo le mosse dagli ultimi avvenimenti della nostra associazione per poi passare a qualche riflessione di più ampio respiro. L’edizione 2015 di Urbino Musica Antica si è conclusa più che positivamente; ancora una volta il felice connubio tra corsi e festival ha dato i suoi frutti portando ad Urbino tanti musicisti, studenti e dilettanti orgogliosi di partecipare ad un evento d’eccezione. Un’esperienza che molti di voi conoscono e che ricordo brevemente solo per annunciare che anche l’edizione 2016 si prevede all’altezza delle precedenti, confermando quella sensazione che si sia creata una grande famiglia, mutevole nei componenti ma che ogni anno si ritrova per ripetere – o per essere iniziati – a questo breve ma denso rito musicale e sociale che è Urbino. Ed è proprio con in mente l’idea della famiglia e dell’amicizia che diventa più triste ricordare una persona che ne faceva parte da tanti anni e che è recentemente scomparsa: Lavinia Bertotti. Lavinia aveva partecipato a tante edizioni dei corsi, confermando la sua attività di didatta attiva in tutta Italia, capace di crearsi una schiera di allievi fedeli che la seguivano nei suoi corsi. Aveva a mio avviso una sensibilità particolare per il repertorio italiano del ‘600, in cui profondeva una espressività e una consapevolezza del tutto personali. Ho avuto la fortuna di sperimentare tutto questo accompagnandola in quello che forse è stato uno dei suoi ultimi concerti, durante il corso del 2014, presso l’abbazia di Lamoli: abbiamo pubblicato su YouTube alcuni estratti di questo concerto, con la speranza che resti vivo il ricordo di questa artista che ha dato tanto alla musica antica e ai suoi allievi, anche grazie alla sua umanità. L’attività della FIMA nell’anno passato si è estesa anche a Roma con l’organizzazione di due riuscite confe(Continua a pagina 12) Editoriale Andrea Damiani Articoli Silvia A. Giummo “La Caduta degli Angeli” di Don Francesco Rossi Massimiliano Ottocento Lirica romanza e canti del folklore occitanico contemporaneo: ipotesi per una ricerca comparativa Francesco Rocco Rossi Mottetti Missales a Basilea Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica “La Caduta degli Angeli” di Don Francesco Rossi. Una nuova luce sull’Ars Nova diincastonato Francesco nell'Italia Landini del 1600 Analisi musicale d'un oratorio di Anna Chiappinelli Silvia Alessandra Giummo Quasi tutti i testi critici riguardanti gli oratori in Italia dalla loro nascita al tardo barocco sono concordi nel dichiarare la difficoltà, se non l'impossibilità, di fissare degli stilemi che possano rendere unica e risconoscibile la provenienza geografica di una partitura rispetto ad un'altra. Gli stili si mescolano grazie alla grande interconnessione ed il continuo contatto che vi fu per tutto il Seicento e il primo Settecento tra gli oratori e gli oratoriani delle maggiori città italiane e quelli romani. Le partiture che venivano eseguite a Roma spesso erano dopo pochi mesi riproposte altrove, e Napoli non fa eccezione. Si può invece chiaramente evincere uno sviluppo storico di questo tipo di composizione, da un primo periodo (fine 1500 - 1630/40), in cui possono essere evidenziate e riconosciute anche le sue radici precedenti, ad un momento di passaggio (metà 1600 - primo 1700) in cui a poco a poco anche la nomenclatura tende a riconoscere l'oratorio come tale, per arrivare al periodo tardo barocco. La partitura qui studiata appartiene al secondo momento dell'Oratorio (probabilmente al suo inizio), e presenta caratteri del passato ed altri anticipatori. Il suo autore, Don Francesco Rossi, è figura che ancora oggi presenta alcune ombre biografiche. Originario del Barese è molto probabile che studiò per qualche tempo a Napoli (nel 1656 risulta presso il Conservatorio di Porta Capuana uno studente di nome Francesco Nicolò de Rossi in contatto con il Duomo di Bari), dove per altro tra il 1669 e il 1672 fu Maestro di Cappella al Conservatorio di Sant'Onofrio a Capuano (Conservatorio dei Piccoli Accattoni). Successivamente lo ritroviamo a Venezia, Maestro di Cappella presso l'Ospedale dei Mendicanti, dove per un breve periodo lavorò anche con il Giovanni Battista Vivaldi (padre di Antonio). “La Caduta degli Angeli” è partitura conservata a Napoli, nella ricca Biblioteca dei Girolamini, e dunque con ogni probabillità scritta nel periodo in cui il Rossi ivi risiedeva [1]. S.Michele introduce il Padre Eterno il quale annuncia la sua decisione di inviare suo figlio ..uomo sulla terra. La terza e la quarta scena rappresentano la prothasi della vicenda: S.Michele e gli Angeli lodano la volontà divina e il Dio fatt'uomo, ma tra le voci una (Lucifero) dissente. S.Michele poi nuovamente in dialogo con Dio, il quale lo invia in sua vece, per allontanare Lucifero e i demoni dal cielo. Il climax narrativo è raggiunto nella quinta sezione scenica, momento dello scontro diretto tra i Demoni (capitanati da Lucifero) e gli Angeli (guidati da S.Michele), e della caduta dei primi e vittoria dei secondi. La successiva, e ultima scena prima del madrigale conclusivo, è in realtà un'eco della fine della quinta e un'anticipazione della chiusura dell'oratorio: S.Michele e gli Angeli festeggiano la vittoria e le felicità loro concesse in Cielo, contrapponendosi ai lamenti di Lucifero e dei Demoni che languono per la disperazione in cui la loro stessa superbia li ha buttati. Il confronto tra le due “fazioni” e il loro stato è presentato drammaticamente grazie ad una scrittura musicale antifonale che coinvolge anche il gruppo strumentale, e porta direttamente per contenuto alla conclusiva osservazione morale rivolta al pubblico. Nonostante il testo (in poesia come era d'uso per gli Oratori in volgare) sembri a volte già indicare le tracce di una intenzione più rivolta ad un recitativo rispetto che ad un'aria e viceversa, la composizione in realtà è molto flessibile nella successione degli stili (recitativo, arioso, aria), e non vi sono arie con indicazione di “daccapo”. Sono spesso presenti invece adattamenti in stile di aria o arioso nelle ultime misure di recitativo, o addirittura al centro di un recitativo. Lo spazio per i violini è grande. Eccettuato che per la sinfonia d'apertura e per la concertazione nel madrigale finale (in cui sostanzialmente raddoppiano all'ottava le voci centrali del coro, A e T1), accompagnano 3 arie di soli e suonano in ritornelli per nove volte alternandosi La struttura, nonostante in una parte unica, è molto articolata. Risultano infatti almeno 7 le sezioni legate ai ai dialoghi. differenti momenti dell'azione, tra cui anche la sinfonia Analoga rilevanza rivestono gli insiemi vocali, sia che si strumentale col coro in apertura (prima sezione), ed il tratti dei gruppi di personaggi (Angeli e Demoni), che madrigale finale (settima sezione); entrambi i momenti dei cori iniziali e finale (a 5 o 6 voci). Su 875 battute totali di oratorio, le 165 unicamente partecipati da 6 voci - tutti. strumentali e le 352 di momenti a più voci limitano Seconda delle sezioni (che definiremo “sceniche”): 2 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica quelle dedicate ai soli a 358 battute in tutto. vuol seguirlo. La catastrophe/caduta dei Demoni (in mi minore) è abbracciato da due momenti in tempo terNon solo gli stili e gli organici si alternano in modo nario di Corrente nella relativa maggiore (Sol), in cui il rilevante. Anche i tempi binario e ternario sembrano a tema (cellule di tre semiminime per grado congiunto) volte sfociare l'uno nell'altro. Il massimo esempio di viene riproposto, ma capovolto (discendente quando questa fluidità nell'alternarsi del metro si ha nell'aria del S.Michele dà il suo affondo finale nella battaglia; asPadre Eterno della quarta sezione scenica, in cui per cendente e con un carattere più movimentato nell'iml'appunto Dio afferma a S.Michele la sua superiorità a mediatamente successivo canto di vittoria). Echi e tenqualsiasi possibile attacco o entità altra. Quasi a sotdenza a movimenti di danze si riconoscono poi anche tolineare la sua superiorità anche alla limitatezza di una nei successivi interventi strumentali e corali del dialogo qualsiasi forma (nel caso specifico ritmica). antifonale che vede paragonati il cielo e l'inferno. In ognuno dei due tempi e durante tutta la composizione è possibile poi riconoscere idee ritmiche di Il ritmo è sempre potentemente drammaturgico, come danza. La prima aria è del Padre Eterno. Dopo un nell'assalto di battaglia di Lucifero e dei Demoni. E lo è recitativo con violini in tempo binario conclusosi con l'alternanza di omoritmia e passaggi imitativi nel ben un arioso, inizia una originale Chaccona (Largo assai). costruito contrappunto tra le voci. La sua particolarità sta nel movimento armonico che “Oratorio a 6, 2 CC A 2 TT B 2 VV.” Così l'autore sposta il basso ostinato modulando prima in dominan- Don Francesco Rossi descrive “La Caduta degli Ante, poi alla sottodominante per tornare in tonica, Mi geli”, indicando in realtà l'organico minimo necessario maggiore. In pratica modula nei gradi che sono la base per una sua esecuzione, e non i personaggi coinvolti, del basso ostinato di chaccona appunto, e così facendo che potremmo individuare, come detto, in 5 inerlocutosposta una stessa sostanza (il basso) in tre “realtà” ar- ri: il Padre Eterno, S.Michele, Lucifero, gruppo di Anmoniche diverse. geli e gruppo di Demoni (entrambi di 3 linee vocali). Lucifero invece usa una Giga in 3/8 per esplicitare i È chiaro dunque dalla indicazione del compositore suoi “Pensieri guerrieri”, e accendere gli animi di chi (scritte in partitura accanto al titolo) che, come comune Il Ganassi Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica C.P. 6159 00195 Roma Anno 18, Numero 15 Direttore Responsabile Andrea Damiani Redazione Giovanni Cappiello Hanno collaborato Silvia Alesssandra Giummo, ,Massimiliano Ottocento, Francesco Rocco Rossi 3 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica per gli Oratori, anche per questo non era previsto apparato scenico, visto che alle 6 linee vocali dei due gruppi corali non vengono aggiunte altre voci per gli altri tre personaggi. Non era insomma un melodramma sacro, sebbene anche questo genere fosse molto comune alla corte di Napoli, né uno di quei dialoghi recitati conosciuti negli oratori della città [3] (luogo in cui la partitura in esame è conservata, e dove con tutta probabilità è stata scritta). Essendoci nel titolo anche l'indicazione “Oratorio” potrebbe apparire superfluo quanto scritto poco sopra, se non stesse unicamente a sottolineare la forza drammaturgica della composizione (e probabilmente l'ambito in cui la partitura è nata, e dunque la realtà musicale dalla quale fu influenzata). Il narratore o Historicus già manca completamente (come consiglierà di fare a inizio 1700 Spagna[4]), e anche le descrizioni nelle parole dei personaggi sono poche e limitate ai loro dialoghi. Fatto questo certamente anche facilitato dal tema che non ha bisogno di preamboli né di mettere a conoscenza il pubblico di eventi che non si svolgono direttamente nell'azione musicale. l'esigenza narrativa lo porta a colorare gli eventi. Le battute sono in tutto 16. In esse possiamo riconoscere due momenti: il primo (12 battute - fig.1) in tempo ternario, comincia in mi minore con uno scivolamento del basso che dalla tonica spostandosi per semitoni raggiunge la dominante (ricorda quasi il famoso basso del Ground di Purcell nel Dido's Lament), e deviando in un primo momento al sesto grado (cadenza evitata) torna poi sui suoi passi per raggiungere nuovamente la tonica (e siamo a metà della caduta, b.8). Di sorpresa appare una dominante di dominante (Fa# maggiore) che viene subito confermata dalla nuova tonica (si minore) seguita da un quarto grado per tornare in un quinto (sempre Fa#), il quale nuovamente non risolve ma cade in evitata (sesto grado di si minore = sol maggiore) ed in un ritmo binario che rappresenta la parte più veloce del precipitare. In questo secondo momento (ultime 4 battute - fig.2) il sol ritorna ad essere terzo grado di mi minore, e porta ad una “cadenza perfetta” finale. Come detto, il primo e l'ultimo intervento corale sono gli unici con il coinvolgimento di tutte le linee vocali (2C A 2T B). È in questi che maggiormente si legge l'abilità contrappuntistica del compositore, e l'uso del contrappunto stesso a fini retorici. Drammaticamente interessante è persino la scelta dei registri vocali. Nelle non molte partiture d'oratori in cui Dio è direttamente presente nello svolgersi drammatico (spesso si sceglie di sostituirlo con altri personaggi che parlino al suo posto, l'Amor divino, o Amore celeste, la Giustizia -Sapienza o Onnipotenza divina) è spesso associato alla voce di Basso, che per la sua profondità è quasi sempre anche la voce di Cristo. Qui Dio è un Tenore e S.Michele come Angelo (Arcangelo in realtà) è un Soprano. Gli Angeli (quando in contrapposizione ai Demoni) sono le voci superiori del sestetto corale (CCA). Fig. 1 Rossi sceglie poi di rappresentare Lucifero ed i Demoni con due differenti registri vocali, a seconda del momento drammaturgico.. Prima della caduta (rappresentata musicalmente da una veloce e sorprendente catabasi in un interessante attimo madrigalistico) infatti Lucifero è angelo (Soprano dunque), mentre dopo diviene un Basso profondissimo; e le voci dei Demoni, prima ATB, cadono a divenire TTB. L'uso che Rossi fa delle alterazioni poi, anche queste a servizio dell'azione scenica, è interessante e dimostra la sua tendenza compositiva a “colorare” senza indebolire o spezzare la struttura armonica (molto forte e articolata ma per nulla rigida), giocando sulla sorpresa e non sulla dissonanza. Prendiamo per esempio in esame il : momento della caduta, punto in cui maggiormente 4 Fig. 2 E questo già dal Noema iniziale, che nel primo brano è di poco preceduto da entrate sfalsate di due voci (di modo che nel testo “Santo, tre volte Santo” realmente l'ascoltatore senta per tre volte apparire la prima parola), e subito seguito dall'apparizione di sedicesimi per Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica le parole “fonte di puro lume, gran Dio supremo Nume” e che sottolineano la gioia del momento. Nel coro finale per tutta la prima frase/strofa (“Apprendi o mortale dell'altrui male il proprio bene/eterne pene all'Anime superbe il ciel precetta”) il Noema è costituito da note di durata non inferiore all'ottavo (a parte qualche sedicesimo di compensazione ad un ottavo puntato, in rispetto della metrica della parola “Anima”): la frase è perentoria, come una scritta scolpita su di una lastra di marmo. Solo nella successiva e finale frase/strofa (“Chi Lucifero imita Infern'aspetta”) ecco che anche nelle voci appaiono le “imitazioni”, in rispetto del tema appunto. E anche qui c'è una particolarità sull'utilizzo delle sei linee vocali: le tre voci superiori entrano per prime, in fugato; sulla fine della loro esposizione entrano le tre voci inferiori sempre in Anaphora, ma inizialmente la voce che entra per prima (T II) contrappunta ritmicamente le altre due che entrano insieme, di poco successive, procedendo per terze parallele.. Questo differente carattere contrappuntistico si ripete ancora per la seconda entrata delle voci dopo un piccolo momento strumentale, questa volta contrapponendo le tre voci centrali (C II, A T I), prime ad attaccare, con il C I e le due inferiori. Qui si uniscono gli strumenti per la prima volta presenze contemporanee alle voci in coro. Nell'insieme d'apertura si ripete l'uso di unire più voci nell'esposizione di determinate parole in modo omoritmico: ed allora sono ovviamente tre quando viene citata la Trinità che si contrappongono a due in registri vicini (C I e C II, o A e T I) che rispondono citando l'Unità di sostanza; e torna il fugato libero nelle parole “Sia tua la lode, la gloria e il vanto”, a necessità di maggiore movimento rappresentante la gioia. Altri momenti corali, sebbene coinvolgano alternativamente le varie linee vocali (mai tutte insieme), sono quelli che caratterizzano la sesta sezione scenica, e il confronto antifonale tra le anime dannate, la loro vita nell'inferno, e quelle beate e la relativa situazione di chi invece abita il paradiso. A introduzione la stridente differenza tra l'aria di vittoria di S.Michele dopo la battaglia e l'aria subito successiva in cui Lucifero appare dopo la caduta, basso profondo, il cui movimento tematico è una continua catabasi, in salti che superano anche l'ottava e che arrivano per due volte sul mi basso sulla parola “morte”. A sottolineare il terrore dei luoghi descritti e il tremito che suscitano, un ritmo zoppicante di ottavo puntato e sedicesimo negli strumenti senza soluzione di continuità se non anche questa volta sotto la frase “né si vede la morte” (momento in cui rimane solo il continuo), per amplificare lo sprofondamento della voce. Seguono 3 contrapposizioni di Demoni e Angeli con 3 differenti temi peculiari: l'eternità (gli uni nella prospettiva di pena continua; gli altri nella sicura gioia); il suono dei due “mondi” (l'inferiore, di lamenti e gemiti; il superiore, di liete voci di gloria); il sentimento suscitato nelle anime (nel'Inferno di spavento, orrore, affanno e lutto; nel Paradiso di contento, giubilo e piacere). Piccolo quanto bello spunto di madrigale è il coro dei Demoni in “Amarissimi gemiti”, in tempo ternario (secondo dei momenti antifonali descritti), il cui gioco di ritardi tra le voci a colorare di dolore le parole nasconde un tempo di sarabanda (chaccona) poi meglio svelato dal ritornello strumentale che lo segue e lo conclude. Fig.3 Altri madrigalismi percorrono tutto il testo..E se per il Padre Eterno, come già accennato, vale la pena soffermarsi in una più attenta lettura dell'aria “La mia pace inalterabile” (pace messa alla prova da cambi di tempo repentini e completo mutamento dello stile di linea melodica del canto: calma di note lunghe in tempo ternario per le parole “La mia pace inalterabile”, per poi trasformarsi in lungo vocalizzo nel momento binario, nel punto in cui si afferma essa non soggiacere a varietà - fig.3), per il Lucifero ancora Angelo (soprano) è significativa l'aria “Pensieri guerrieri”, sia per la chiarificazione del carattere del personaggio (e abilità richiesta al cantore preposto a rappresentarlo), che per la migliore comprensione di quanto minuzioso sia stato il lavoro di Francesco Rossi nel descrivere musicalmente il testo. Per le parole “Pensieri guerrieri destatevi orsù” lo “scheletro” del movimento (mi-la-do# ascendendo) viene articolato con piccole onde d'energie in sedicesimi ascendenti per grado, quasi a spingere verso l'alto la tensione (fig.4). 5 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica nanza di stili compositivi; ariosi e arie non ancora direzionate verso la struttura che sarà settecentesca, e più legate ai movimenti di danza) ed elementi tendenti ad un gusto nuovo (tipo di recitativo; grande presenza di momenti strumentali; scelta per una composizione totalmente drammatica invece che drammatico-narrativa) Fig.4 si concentrano e mescolano, in una partitura che proprio per queste caratteristiche è un importante docuL'invito “s'abbatta” è un passaggio di fa# all'ottava, mento, attraverso il quale migliorare la nostra comanche qui con piccole scale di sedicesimi che, prendendo slancio da un la alto in levare che cade per prensione di un periodo storico e della sua elaborata salto sul fa# ottava alta, fa cadere questo sul si inferiore musica d'uso. per poi riproporre il medesimo disegno, saltando dal mi al do# col fine di buttarlo nuovamente su di un fa# (ma Note: [1] La collocazione purtroppo non ci è dato sapere, essendo la questa volta d'ottava centrale) (fig.5). Biblioteca dei Girolamini chiusa da tempo al pubblico. La partiE la descrizione musicale di “rimbombano i suoni di tura manoscritta è però consultabile sul sito on line della Petrucci tromba” non si accontenta di imitare lo strumento ci- Library. tato, ma tenta, e riesce a dare anche l'idea della risonan- [2] Per le notizie biografiche si ringrazia il prezioso lavoro di ricerca svolto da Giacomo Contro, che ha portato alla luce informaza. zioni di cui i testi già esistenti non erano ancora al corrente. [3] Rosa Cafiero e Marina Marino, Materiali per una definizione di “Oratorio” a Napoli nel seicento:primi accertamenti., da una ricerca sull'oratorio a Napoli finanziata dal Ministero della P.I. e dal CNR e promossa dalla Cattedra di Storia della Musica presso Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli. [4] Arcangelo Spagna, Discorso, 1706 - ristampato in Schering, Neue Beiträge - primo tentativo conosciuto di una storia dell'Oratorio. Fig. 5 In un oratorio di una parte unica, relativamente breve, elementi di pratica precedente (presenza madrigalistica e stile imitativo; numerosi momenti corali; libera alter- WebNews in collaborazione con la rivista online eptachordon.com All of Bach Un brano alla settimana, uno ogni venerdì che il cielo manda ad Amsterdam. Può toccare ad una grande Passione o ad una microscopica Invenzione a due voci, alla semplicità di un “Geistliche Lied” o alla complessità metafisica dell’Arte della Fuga. Inaugurata nel 2013, l’intera sequenza calendario alla mano si concluderà nel 2034. In un mondo che fissa il suo orizzonte nell’ordine dei mesi, il piano della Netherlands Bach Society di registrare l’integrale di Johann Sebastian Bach su base settimanale ha il sapore di un’avventura di altri tempi, come la costruzione di una cattedrale medievale, o la circumnavigazione planetaria a bordo di un galeone. Ma a Bach si addicono le grandi imprese, quelle che richiedono applicazione costante e prolungata. E l’impresa della Società Bach olandese richiama come un’eco necessaria la nostra, quella di ascoltatori, cui sono ogni volta concessi sette giorni per riscoprire, ascoltare e riascoltare uno ad uno tutti i capolavori del Kantor. Weblink: http://allofbach.com 6 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica A.Vivaldi - Teatro alla Moda, Concerti per Violino - A. Beyer, Gli Incogniti Harmonia Mundi, HMC902221 , 73’08”, 201 5/201 5 Non è un mistero che Padre Antonio Vivaldi da Venezia nutrisse per il palcoscenico una passione molto maggiore di quella che l’abito talare gli ispirava per il presbiterio. Eppure, a dispetto della cinquantina di opere scritte, è alla sua smisurata produzione strumentale che un disco con un titolo che più teatrale non si può si rivolge per arrivare all’anima melodrammatica del prete rosso. Un esperimento che, se da un lato ci parla della strada che ancora bisogna percorrere per riconquistare all’estetica contemporanea il teatro in musica del Settecento, dall’altro non è privo delle sue ragioni e delle sue intriganti prospettive. La scrittura strumentale vivaldiana, anche se per più aspetti diversa da quella per le voci, ha nondimeno una energia comunicativa che si distilla in una dimensione prosodica evidentissima, purché la sua lettura si mantenga a giusta distanza tanto dalle patinate interpretazioni del secolo passato quanto dai non meno superficiali approcci percussivi che una certa filologia esecutiva à la page ha eletto a cifra quasi esclusiva dei concerti vivaldiani. Giusta distanza che l’archetto di Amandine Beyer misura a perfezione in un disco con il quale d’ora in poi bisognerà fare i conti quando ci si vorrà occupare di Vivaldi e della sua musica. Dai primi accenti della Sinfonia dell’Olimpiade alle note conclusive del Largo RV228, la Beyer e i suoi Incogniti innescano con la scrittura vivaldiana un rapporto empatico evidentissimo, nel quale ogni nota è connessa alla successiva attraverso la stessa, impalpabile tensione capillare fatta di microattese e risoluzioni che in fin dei conti è la stessa seta che tesse il fraseggio dei grandi attori. Ogni movimento diventa così un monologo o meglio un dialogo tra un protagonista e i suoi comprimari che recitano un’azione senza battute il cui senso appare, miracolosamente, chiarissimo; e svelare ruoli e vicende è un gioco al quale diventa difficile sottrarsi. M. Codax - Ondas. Cantigas de Amigo - V. Biffi, P. Hamon Arcana, A 390, 49’00”, 201 5/201 5 «Ondas do mar levado, se vistes meu amado?» C’è la forza semplice e profonda della vera poesia nei versi dello juglar Martin Codax. Una forza che ha in sé la calda luce del sole di Galizia, e che si muove con il ritmo eterno delle onde che ne bagnano le spiagge e ne modellano le scogliere. È il suono di questo mare, luogo della memoria e della fantasia, simbolo del distacco e del ritorno, dell’ignoto e della speranza che Codax fissa nelle sue Cantigas de Amigo, e lo fa con una nitidezza lasciata miracolosamente intatta dagli otto secoli che pure hanno reso queste sette gemme le uniche testimonianze superstiti di un genere tra i più importanti della lirica gallego-portoghese. Musica che per forza di cose richiede all’interprete un’opera di ricostruzione e lascia quindi il dubbio su quanto ciò che si ascolta sia vicino a quanto concepito dall’autore, incertezza ineliminabile che Vivabiancaluna Biffi spazza via con le ragioni di una esecuzione esemplare; la sua voce, la viola d’arco con la quale la cantante si accompagna, la complicità preziosa dei flauti di Pierre Hamon catturano lo spirito di questi brevi brani in una sintesi efficacissima di naturalezza e precisione che da senso e fascino alla ricorrenza ipnotica delle melodie e rende il canto sempre simile e diverso da se stesso. Come le onde del mare che la protagonista del canto scruta e interroga sulla sorte del suo amore lontano, immaginando di poter un giorno tornare con lui a «mirar las ondas». 7 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica Lirica romanza e canti del folklore occitanico contemporaneo: ipotesi per una ricerca Una nuova luce sull’Ars Nova di Francesco Landini comparativa; il caso delle chanson de femme e di Prinsi Raimund di Anna Chiappinelli Massimiliano Ottocento Molte voci, autorevoli e non, si sono espresse riguardo i contenuti lirico testuali e musicali delle Chanson de femme come testimonianza dell’esistenza di una lirica pretrovatoresca. La ricerca sembra andare in diverse direzioni, talvolta lontane tra loro, eppure a ben guardare unite da un filo rosso che lega le fonti , i contenuti e le trasformazioni durante i secoli. In realtà, stringere il campo alla chanson de femme dei secoli XII e XIII, potrebbe apparire limitante. La chanson de femme già in sé raggruppa un corpus di vari generi poetici parafolklorici globalmente caratterizzati da un monologo lirico a connotazione dolorosa, posto in bocca ad una donna[1]. Il rischio, durante l’affascinante viaggio della ricerca comparativa, è di cadere in una di indagine che comprenda ambiti poco correlati, in una dispersività nella quale è molto arduo ritrovare un punto originario e indebolire così l’intuito di partenza. La questione delle fonti (poche) e delle restituzioni più o meno filologiche (molte), obbliga a ripercorrere, come in uno sforzo di sisifea memoria, la storia nota dei testi e delle notazioni musicali associati alle liriche. Riguardo la lirica cortese occitanica, non può dirsi generoso il ritrovamento del testo musicale. Su 2500 testi, ne possediamo solo 270 corredati di relative monodie, e anche considerando le variazioni ritrovate sullo stesso tema, rimangono allo studio solo 353 melodie. Quel che intensifica lo sforzo del ricercatore è lo iato che si trova tra il momento della ipotetica creazione dei testi e la loro scrittura. Uno spazio temporale situabile tra i 20 e i 100 anni. Diversa è la questione per i canzonieri dei trovieri dei quali ci rimangono circa 4000 melodie. Gli studiosi generalmente trattano simultaneamente, distinguendo i contenuti e l’espressione linguistica. Lingua d’oc o d’oil. In ambito prettamente musicologico, inerente la problematica interpretativa dei trovatori e dei trovieri, Le Vot afferma: [ …] La formidabile disparité que l’on constate entre les differéntes reconstitutions sonores proposée, (q’uìil s’agisse des premières trancriptions musicales effectuées dès Pierre Aubry et Jean Beck dans les années 1910, ou bien des enregistrements discographiques qui ont paru depuis une quarantaine d’années), les querelles d’écoles, parfois virulentes suscitée à propos de l’interprétation rhytmique ou de l’utilisation des instruments, rendent perplexes le musicien et l’auditeur contemporains. […], nous voudrions proposer un dernier témoniage : celui d’un musicien soucieux de l’histoire attribuant à sa pratique un status expérimental, une conduite de recherches directement issue des développemets épistémologiques proposés.[2] 8 Se però, facendo un ulteriore sforzo si saltasse la difficoltà interpretativa, entrando nella modalità con la quale la lingua e dunque la musicalità ritmico espressiva si spostava geograficamente all’epoca, la fonte contemporanea potrebbe diventare la testimonianza vivente di una fonte fisicamente perduta. Questa perlomeno è l’ipotesi di partenza. Torniamo però al genere chanson de femme e a quel che ci rimane, con qualche esempio calzante. L’universo femminile del genere lirico profano, è contenuto principalmente nelle canzoni alla tela o chanson à toile, come le definisce il Gasparini[3]. Il romanzo di Jean Renard Roman de la rose del XIII secolo, conosciuto poi come Guillaume de Dole (datato circa 1225), ne contiene sei intere. Nel romanzo le liriche cantate dalle protagoniste sono già all’epoca dichiaratamente antiche, nello specifico ci si riferisce a Fille et la mere se seient a l’orfrois, cantata dalla madre che si scusa davanti al cavaliere per cantare una canzone “del tempo andato”. Altre sono incluse nel Roman de la Violette di Gerbert de Montreuil. Quelle delle quali ci sono arrivate le notazioni melodiche sono però contenute solamente nei manoscritti; ms. du Roi (M-BNF fr.884) e ms.de St Germain (M-BNF fr.23205). Ampliando l’orizzonte testuale il contenuto si sposta dalle chansons d’histoire e nel nostro caso, alle liriche il cui soggetto è una donna sfortunata, oggetto di angherie da parte del marito o del contesto familiare, dette convenzionalmente malmariée, malmaritate. Per la maggior parte si tratta di autori rimasti nell’ombra dei secoli dei quali il nome non ci è pervenuto quasi a confermare, come per tutta la musica premensurale, che espressioni e forme fortemente condivise non provocano la necessità di altrettanta condivisione esatta e scritta. Un primo dato che accomuna la lirica folklorica dei secoli successivi, a quella della primitiva “lirica di stile” è l’anonimato e la trasmissione orale. Sulla mano del musicista e poeta compositore la versione più accreditata è che fossero composte da uomini e non da donne dato il contenuto spesso sconveniente o scabroso[4]. Proprio l’aspetto realistico, distingue queste liriche dalla lirica squisitamente cortese e le avvicina ad una lirica popolare che deve la sua forza e permanenza nei secoli, grazie alla sua aderenza alle gioie o alle tribolazioni della vita quotidiana. Dal punto di vista poetico formale, sono endecasillabi con refrain e couplets spesso rimate per assonanza. Un esempio che potrebbe essere accostato alla storia di Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica Prinsi Raimund, per la complessità della trama e la presenza dell’inganno è An chambre a or se siet la belle Beatris di Audefrois le Batard contenuta anche nel manoscritto di St Germain. Questo accostamento rientra tra i rischi dei quali si diceva qui sopra in apertura, soprattutto perché la protagonista femminile raggiunge il suo scopo mentre il marito indesiderato muore di dolore. La bella Beatrice destinata sposa ad un signore, in realtà è già stata deflorata dal Conte Ugo del quale è innamorata e ne è rimasta incinta. Si confida con uno stalliere che fungerà da intermediario e complice per il successivo rapimento-fuga. Il povero Duca Henry, promesso sposo, scaglia le sue ire contro il padre di Beatrice, promette di tagliare la testa all’amante e di cacciare il padre della sposa in esilio, a sua opinione responsabile della fuga della figlia. La Madre cerca di riportare il Duca alla realtà, dicendogli che, a ben ragionare, non era mai stato amato da Beatrice, salvandolo così dalla follia omicida ma destinandolo ad una morte per inedia e tristezza. Il ritornello dice “ben salati [saporiti] sono i mali che si ricevono a causa di un amore fedele”[5]. Una fedeltà mal ripagata e legata a doppio filo; la fedeltà del Duca a Beatrice fonte di struggimento e la fedeltà di Beatrice al Conte causa di follia e morte. Testo di riferimento la trascrizione poetica e musicale delle sedici stanze a cura di Michel Zink e Gérard Le Vot: Stanza X (Beatrice svela il suo stato e la fuga come soluzione) Hugues dist Beatris, ke fereis vos de moi ? prandre me veus li dus Henris, se m’en effroi. ensainte seux de vos, se vos requier et proi, s’onkes ot en vo cors ne loiaulté ne foi, ke vos m’enporteist tost car nul millior n’ì voi. » Bien sont [asavoreit li mal c’on trait por fine amor loial] Stanza XIII (il promesso sposo folle di gelosia) Li dus Henris lou sot, mult en fut esmaiés A peire Beatris en vint tous correcies. Fierement li ait dit, com uns hons enraigiés : Tolut m’aveis m’amie, s’en avanrait meschiés. A Hugon en serait encor copeis li chief, Et vos aussi, per Deu, en sereisdeschaisiés. » Bien sont [asavoreit li mal c’on trait por fine amor loial] Stanza XV (la madre) Sire ce dist la meire, ne vos desconforteis. A Beatris ma fille maix ne decoverreis. Por Deu, laissies Ugon avoir ces amistiès: ansois l’amait de vos, ke tres bien lou saveis Dame ce dist li Dus, tout ceu est veriteis, mais s’omorme destraint, dont je sui enflameis. » Bien sont [asavoreit li mal c’on trait por fine amor loial] Stanza XVI (la morte del Duca) Li dus est remonteis, de joie mes et vuis. En sa terre re/vint a mult pouc de desdu[i]t Malade escouchait, si com l’istore truis D’une teil maladie dont ne relevait puis. Mors fut por bien ameir, dont se fut grans anuis, Et Hugues ont s’amie, kif u cortois et duis. Bien sont [asavoreit li mal c’on trait por fine amor loial] L’etnomusicologo Roberto Leydi e Franco Coggiola registrano ad Asti negli anni 1964-65 il canto eseguito da Teresa Viarengo, Gli Anelli, Prinsi Raimund nella lingua regionale Gallo italica piemontese. Nel 1978 lo storico gruppo di Folk-Revival torinese, La Lionetta, esce con un disco 33 giri intitolato Danze e Ballate dell’area celtica italiana, dove insieme a Prinsi Raimund sono presentate e restituite all’ascolto La Bergera, La Currenta occitana[6] ed altre canzoni popolari di evidente radici provenzali. Queste in sintesi le fonti più facilmente rintracciabili in ambito etnico musicale. Il Principe Raimondo sposa Mariansòn, subito dopo la nascita del figlioletto parte per una battaglia, lascia il fratello minore come custode della fedeltà della sposa e della incolumità del neonato. Un sedicente Principe di Lione furbescamente tenta di approfittare della dama gentile che naturalmente sdegnata e fedele rifiuta. Il marrano, si reca allora da un orefice per costruire ad arte la sua menzogna. Due anelli identici a quelli delle nozze di Mariansòn. Si reca dunque spavaldo dal Principe Raimondo portando come prova dell’infedeltà della dama i gioielli. Il Principe facendo tremare la terra sotto i piedi arriva al castello impazzito di gelosia. Anche in questo caso interviene la madre (della Dama) che invece al contrario della madre di Beatrice, ignara spinge la figlia e il bambino incontro al marito, il quale non ci pensa due volte prima di uccidere il figlio e la sposa. Mariansòn prima di spirare consegna le chiavi del cofanetto dei gioielli dove Prinsi Raimund scopre di essere vittima di un raggiro. Si uccide con la sua spada dall’elsa d’oro. Testo 1. Prinsi Raimund a s' vol maridè, dama gentile s'e chiel vol spusè. L'è pa 'ncur 'n an ca l'è maridè, o, che la guera i tuca già 'ndè. 9 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica 2. Fait a stè cà so fratelìn, perché i guerneisa 'l so bel fiulìn. Fait a stè cà so fratelìn, perché i guerneisa 'l so bel fiulìn. 3. “O, se vi dico, dama gentìl, vuleisi femi l'amùr a mi?” “O, no, no, no, o prinsi Liùn. mi fas pa s' tort a mio marì.” 4. Prinsi Liùn va da l'anduradùr per fesi fè dui anelùn: dui anelùn e dui anelìn, cumpàgn ad cui dla Mariunsìn. 5. Prinsi Raimund l'ha vista venìr: “o, che nuveli m' purtevi a mi?” “Buni per mi e grami per vui: la vostra dama l'ha fami l'amùr.” 6. “La mia dama l'è dama d'unùr, v'avrà pa favi l'amùr a vui. La mia dama l'è dama d'unùr, v'avrà pa favi l'amùr a vui.” 7. “O, ma se al basta nen ad mi, guardei sì i vost dui anelìn: dui anelìn e dui anelùn, cumpàgn ad cui dla Mariunsùn.” 8. Prinsi Raimund munta a cavàl, sensa la sela e i manca-a i stivai. E tantu fort ch'ul lu fasìa 'ndè l' peri dla vila i l' fasìa tremè. 9. La sua mama, ca l'era al balcùn, l'ha vist el prinsi ch'l'avniva Liùn. “O, se vi dico, dama gentìl, andei incuntr' a vostro marì.” 10. “Ma cus i avroni da presentè?” “O, presentei 'l su fìulin bel.” “Ma cus i avroni da presentè?” “O, presentei 'l su fìulin bel.” 11. A l'ha pialu per man e per pè, giù da i scalè a l'ha falu vulè. “O, pian, pian, pian, o sur cavaier. perchè i masevi 'l me fìulin bel?” 12. “O, tas. O, tas, o dama gentìl, che altretànt na faroni ad ti. O, tas. O, tas, o dama gentìl, che altretànt na faroni ad ti”. 13. A l'ha grupa la dama gentìl, tacà la cua del cavàl grisùn. E tantu fort ch'ul lu fasìa 'ndè le pere dla vila i 'l fasìa tremè. 14. “O, ma da già ca i ho da murì, pievi la ciau del vost cufanìn. O, ma da già ca i ho da murì, pievi la ciau del vost cufanìn. 10 15. ”A l'è 'ndurbìnd cul bel cufanìn, fin a le gioie i fasìu "din din." s'a l'è 'ndurbìnd cul bel cufanìn, fin a le gioie i fasìu “din din.” 16. “O, se vi dico, dama gentìl, pudevi 'ncura rinvenìr?” “O, no, no, no, o sur cavaier: vui ei masami 'l me fìuulin bel.” 17. “Campemi giù la mìa spa, e cula là dal pugn andurà. Quand a n'avù la sua spa, o, s'ent al cor a sa s' l'elu piantà”. 18. “Per una lengua che ho scutà mi, e a l'è in tre nui bisogna murì. Per una lengua che ho scutà mi, e a l'è in tre nui bisogna murì.” Per quanto riguarda la restituzione del testo musicale come sempre accade nel raffronto tra musica colta e popolare, pur dovendo affrontare le incolmabili differenze evolutive, ci troviamo oggi nella “situazione medievale” riguardo la musica popolare che viene trascritta solo in tempi recenti e generalmente trasmessa oralmente[7], mentre pur avendo una minima notazione non mensurale della musica legata alla lirica trobadorica, molti professionisti del settore tentano una ricostruzione. Una incisione riguardo le Chansons de femmes, è quella dell’Ensemble Ligeriana alla quale faccio riferimento per ascolti dedicati[8], diverso è il caso di Prinsi Raimund , presente in raccolte specifiche di musiche popolari piemontesi e non. Lo scopo di tale ipotesi non è infatti un raffronto filologico musicale che non troverebbe nessun fondamento, fatta eccezione per un volo pindarico tra il testo musicale di Ja nun hon pris attribuita a Riccardo Cuor di leone e la ballata piemontese. Vorrei per concludere, tornare alla breve introduzione iniziale e lasciare come possibilità aperta a sviluppi anche “creativi” gli atteggiamenti di autorevoli voci a riguardo, in ambiti che solo apparentemente possono sembrare troppo lontani tra loro. Il primo caso è quello del breve saggio del russista Evelino Gasparini (1900-1982)[9], suggerito durante i corsi di filologia Romanza dalla Professoressa Anna Radaelli dell’Università La Sapienza di Roma. Dal titolo “A proposito delle chansons à toile”, apre la ricerca all’area slava con raffronti e deduzioni che arrivano fino in Giappone, focalizzandosi sull’arte della tessitura ma citando anche atteggiamenti e tradizioni colte e popolari musicali, degne di attenzione. A seguire e non in senso cronologico sono gli studi e le ricerche dell’etnomusicologa di frontiera Ella von Schultz-Adaiewsky (1846 – 1916) la musicista russa, Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica originaria di San Pietroburgo, soggiornò in Italia a Tarcento per circa venti estati a cavallo tra XIX e XX secolo e solo dal 2006 con l’occasione di ritrovati manoscritti riguardanti la sua ricerca in area slava, viene studiata e le sue ricerche rese fonte di ispirazione. E’ del 2009 La scoperta del corposo testo autografo della Adaiewsky, datato 1883 e intitolato provvisoriamente dall’autrice Un voyage à Résia – Studio sui decametri delle danze resiane, presentata dall’Associazione Sergio Gaggia di Tarcento[10]. Rintracciare le fonti colte di gesti musicali popolari o sacre riguardo tradizioni paraliturgiche è un lavoro affrontato in tempi contemporanei dal Prof. Girolamo Garofalo, il quale da molto tempo si occupa di rintracciare le fonti manoscritte dell’Abbazia di Grottaferrata (Roma) e confrontarle con le tradizioni paraliturgiche in area grecanica di Sicilia. Sicilia dove, vorrei ricordare è ancora viva la tradizione linguistica Gallo Italica. Individuabile in un territorio compreso tra i comuni di Nicosia, Sperlinga, Aidone, Piazza Armerina, San Fratello, Novara di Sicilia. Li il lavoro è ancora da iniziare. “Un importante contributo può venire dall’analisi dell’odierna tradizione orale. Non perché questa riproponga o rifletta quella del passato, ma perché l’oralità costituisce una caratteristica universale del fare musica che ha dei meccanismi fondamentali ricorrenti in ogni sua manifestazione. La conoscenza dei processi di formalizzazione alla base degli attuali repertori tradizionali può quindi offrire utili suggerimenti per ipotizzare gli scenari sonori del passato ed i contesti da cui provengono le fonti scritte.”[11] Partendo dalla lingua come fonte primaria, con tutti i distinguo del caso, è estremamente interessante un libello attualmente presente nella Biblioteca dell’Università di Toronto ora disponibile integralmente Online “La lingua delle canzoni popolari piemontesi” del Prof. Aron Benvenuto Terracini pubblicato nel 1914. Lo stesso scrive nell’introduzione: A valutare con sufficiente esattezza le tracce francesi osservate nei nostri cantied a investigare le ragioni del loro mantenimento sarebbe utilissimo un lungo lavoro preparatorio volto a ritrovare, se non il modello diretto almeno il filone francese donde ciascuna canzone ebbe origine. Ora naturalmente il materile di cui si può disporre è relativamente troppo scarso perché si possa, anche nei casi pi favorevoli giungere a tanto: accanto a consonanze di versi e di strofe intere si trovano per ogni canzone delle continue deviazioni senza che si possa giungere a stabilire se esse siano una particolarità soltanto piemontese. Anche la semplice determinazione approssimata dell’origine non è facile, perché mote volte la canzone è entrata a pi riprese e da parti diverse in Piemonte; non è neppur possibile, nonostante l’aiuto di schemi metrici e delle particolarità linguistiche, accertare se le canzoni di origine provenzale ci sian giunte direttamente dalla Provenza;[…] Tutte le versioni piemontesi del “Moro saracino” ad es. contengono una particolarità, che si trova soltanto in una versione della Savoia, di qui dunque passò la canzone prima di giungere dalla patria Provenza fino a noi.[12] Dunque, per fortuna o per disgrazia, le fonti musicali riguardo le chansons de femme sono pochissime, e gli spunti offerti dalla lirica popolare moltissimi e spesso ancora viventi. Un lavoro di ricerca comparata che porti a risultati di “incontri impossibili” lo trovo stimolante ed auspicabile. Un lavoro che metterebbe insieme l’intelligente collaborazione di raffinati specialisti. Note: [1] Vedi Rosa Anna Greco, Università del Salento in http:// www.filologialinguistica.unisalento.it/schede/grecora/files/ page47_2.pdf [2] Le Vot, in bibliografia. Pag.239 [3] Vedi bibliografia [4] Per visionare la diatriba tra studiosi, vedere l’articolo di P. Jonin in Ancienneté d'une chanson de toile ? La Chanson d'Erembourg ou la Chanson de Renaud ? , Cahiers de civilisation médiévale, 1985 Volume 28 n . 112 [5] [T.d.A.] di : Bien sont asavoreit li mal c'on trait por fine amor loial. [6] La Curenta é forse la danza più diffusa in Piemonte. La cultura occitana é presente in Piemonte nelle valli che vanno dall'alta valle di Susa fino alla valle Vermenagna, questo territorio rappresenta un'area etnicamente e culturalmente autunoma dal resto dell'Italia con radici linguistiche direttamente legate alla lingua d'Oc. E' uso dei "sunaire" (suonatori) occitani chiudere le danze con il Balet, un tempo danza autonoma, ora usata appunto come variante conclusiva. [cit. dalla presentazione de La Lionetta] [7] Troppo complesso ed articolato il discorso per poterlo affrontare in questa sede [8] Chansons de toile, Bele Ysabiauz pucele bien aprise, Ligeriana Katia Caré, dir.Calliope Cal 9387 [CD] [9] Vedi Dizionario biografico degli italiani, Treccani , vol.52, 1999 [10] Da considerarsi una pura citazione, non ho visionato nessun testo dell’autrice e mi riprometto di farlo [11] Macchiarella Ignazio, introduzione alla giornata di studi “Musica antica fra colto e popolare” AAVV , vedi Bibiografia [12] Op. citata in biblico. Pag 3-6 Bibliografia: - AAVV, Musica antica fra colto e popolare , programma della giornata di studi 12-21 maggio 2006 , a cura di G.Garofalo, ed. Comune di Piana degli Albanesi 2006 - Gasparini Evelino, Danze e fiabe del mondo slavo, Università Ca' Foscari, Venezia 1955 - Le Vot Gérard, Pour une problématique à l’interprétation musicale des troubadours et des trouvères, in Studia Musicologica Academiae scientiarum Hungaricae 27, Budapest 1985 - Mullaly Robert, Cançon de Carole, in Acta musicologica vol 58 fasc.2 dic.1986,IMS 1986 - Schwann-Berens , Grammaire de l’ancien français , Leipzig 1900 - Terracini A. Benvenuto, La lingua delle canzoni popolari piemontesi, V.Bona, Torino 1914 - Zink Michel, Belle Essais sur les chansons de toiles, Librairie Honoré Champion 1978 11 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica (Continua da pagina 1) renze-concerto curate da Giovanni Cappiello e realizzate in collaborazione con la Biblioteca Vallicelliana nel Salone Borromini (21 novembre e 5 dicembre 2015). Il tema comune era “Il fascino del popolare nella Musica e nell'Arte dal Rinascimento al Barocco” e i due eventi si intitolavano rispettivamente “Villanella ch’all’acqua vaje. Origini napoletane e fasti continentali di un genere fortunato” e “La Cetra e la Sampogna. Voci, suoni, colori del barocco popolare”. Nell’ambito dell’attività del 2015 va poi ricordata l’edizione del Vol. XXVI (1,2), 2014 di RECERCARE, stampata dalla casa editrice LIM di Lucca e curata da Arnaldo Morelli, sotto la cui guida la rivista sta assumendo sempre maggiore rilevanza internazionale anche grazie alla diffusione online su JStor. L’attività della rivista va continuando speditamente, tanto che entro quest’anno verranno stampati i numeri 2015 e 2016, in modo da colmare il ritardo iniziale con cui la rivista è partita a suo tempo. Questi anni di presidenza della FIMA mi hanno permesso di venire a contatto con tanti aspetti del mondo musicale che spesso l’artista, in quanto tale, non considera. Il ‘backstage’ è una realtà complessa e governata da regole che si fanno sempre più vincolanti: il rapporto con gli enti locali, con il meccanismo dei fondi ministeriali, con i mezzi di informazione, con i gusti del pubblico, formano tutti insieme una rete di istanze che nel migliore dei casi si sostengono a vicenda in un delicatissimo equilibrio. Quello che alla fine mi sembra di avere imparato in questi anni è che il successo di una manifestazione consista proprio nel saper dosare e conciliare tra loro questi equilibri, sintetizzabili alla fine nel rapporto tra esigenze economiche, prodotto artistico e risposta del pubblico. Nel nostro piccolo mi pare che Urbino abbia dato una risposta positiva, utilizzando al meglio le frugali risorse che abbiamo a disposi12 zione e proponendo sempre un’offerta concertistica e didattica di alto livello in linea con i gusti del nostro pubblico. Per questo devo essere grato innanzitutto al direttore artistico del festival Marcello Gatti ma anche a tutto lo staff della FIMA, ridotto ma forte. Questa riflessione me ne suggerisce un’altra, un po’ più teorica ma per me importante, che investe il musicista in prima persona: il rapporto tra impegno culturale e artistico, e esigenze pratiche. Credo si possa dire senza ombra di dubbio che il movimento della musica antica ha avuto fin dal suo inizio una valenza culturale che andava oltre la mera proposta di repertori e pratiche ormai scontate. E penso si possa affermare che, se pur con intenti e risultati diversi, le motivazioni della musica antica possano essere accostate a quelle della musica contemporanea: ricerca di ‘nuove’ pratiche esecutive, strumentali, sonore; nascita di un nuovo pubblico; valenza culturale che trascende l’immediata soddisfazione uditiva completandosi con un approfondimento di tutte le possibili connessioni, storiche e sociologiche. La domanda è se questo impegno culturale oggi sia ancora vivo o meno. Le giustificazioni per un certo allontanamento ci sarebbero: la musica antica è rimasta nonostante tutto un fenomeno di nicchia che interessa poco i grandi media; inoltre, le problematiche economiche a cui i musicisti di professione sono sottoposti non possono essere nascoste, oggi più che mai. La tentazione dunque di mollare il rigore, di cercare nuove strade più accattivanti, è forte. Al di là di quelli che potrebbero sembrare giudizi di tipo accademico sulla ricerca di soluzioni più commerciali, vorrei semplicemente affermare che il movimento della musica antica è stato forte finché ha puntato sullo slancio della ricerca e della sperimentazione; in fondo è questo quello che cerchiamo, piuttosto che la pretesa di ricreare in toto esperienze passate ormai irrecuperabili. Dunque l’augurio è che si mantenga vivo questo spirito, in modo da proseguire un cammino iniziato molti anni fa. Uno dei Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica concerti del festival di quest’anno si intitola … un solo cammino…, in cui la liutista Evangelina Mascardi e l’arpista Lincoln Almada metteranno a confronto l’esperienza della musica popolare e colta delle colonie spagnole nel periodo barocco: lo interpreto come uno studio degli elementi comuni tra due tradizioni apparentemente opposte, unite dallo spirito di ricerca e da una grande esperienza artistica coltivati da parte degli interpreti. Fa anche piacere che il festival possa ospitare gruppi giovani che, coniugando una preparazione di alto livello alla capacità di proporsi in modo convincente sul mercato, stanno iniziando ad avere il successo che meritano. Mi riferisco al gruppo abChordis che si è esibito ad Urbino l’anno scorso, gruppo peraltro nato ad Urbino nei corsi passati, e al gruppo I Profeti della Quinta che parteciperà quest’anno. In questo contesto sono molto felice del fatto che il corso di Urbino continui a rappresentare un’occasione che offre sempre nuove opportunità agli studenti. Oltre a tutti i corsi di strumento, che come è noto sono tenuti da insegnanti in grado di proporre idee nuove sulla prassi esecutiva, e alla musica da camera più viva che mai, l’originalità di Urbino sta nel proporre dei veri e propri laboratori che proseguono il loro lavoro di anno in anno: penso al corso sull’oratorio romano di Alessandro Quarta, ogni anno sta proponendo nuovi capolavori, e al corso di ornamentazione di Enrico Gatti. punta del festival, tenuto dalla European Comunity Baroque Orchestra. Come è noto questo ensemble ha la sua base in Inghilterra e ha finora goduto delle sovvenzioni e di tutte le opportunità offerte dalle regole dell’Unione, libera circolazione dei cittadini compresa. Abbiamo ricevuto un messaggio dai responsabili dell’orchestra, che dichiaravano: “Chiunque sia coinvolto con la EUBO è sconvolto e rattristato per il risultato del referendum e preoccupato per le conseguenze che ci saranno per l’EUBO, per il mondo musicale e per l’Europa. Si tratta di una vittoria di Pirro basata sulla disinformazione e sulla sconsideratezza da parte dei politici e degli esperti che hanno promosso questa decisione. In quanto ambasciatrice culturale dell’Europa, l’EUBO rimane impegnata nel promuovere i valori e gli ideali europei, come sta facendo da trent’anni”. Gli effetti della Brexit si faranno certamente sentire anche in campo musicale, con la reintroduzione di visti, permessi di lavoro, regole doganali più strette che ostacoleranno il passaggio degli strumenti: tutti elementi che certo non favoriranno l’attività e la circolazione dei musicisti, inglesi e non. Siamo abituati a pensare, forse con un po’ di ingenuità, che quella del musicista sia un’attività che, in quanto divulgatrice di opere che appartengono alla cultura di tutti e realizzate in un linguaggio a tutti comprensibile, non debba conoscere confini. Tuttavia è importante che noi musicisti, continuiamo comunque a credere e a cercare anche nel nostro piccolo di mantenere Vorrei concludere con una considerazione sug- vivi questi ideali. gerita da quello che sarà uno dei concerti di 13 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica Cronache Convegno sui Motetti missales a Basilea: spirito italiano ed efficienza svizzera Francesco Rocco Rossi Nell’immaginario collettivo la Svizzera è sinonimo di precisione, di meccanismo perfettamente oliato e straordinariamente funzionante. Ciononostante negli ultimi anni mi era capitato con frequenza crescente di rilevare segni di senso opposto tali da annullare questa tradizionale visione di elvetico rigore. Ebbene, lo scorso aprile ho avuto l’occasione di ricredermi e riequilibrare il mio giudizio grazie a un convegno organizzato a Basilea in cui tutto (dai paper al catering) ha funzionato alla perfezione. Mi riferisco al convegno intitolato «Motet Cycles between Devotion and Liturgy» tenutosi nei giorni 8 e 9 aprile 2016 presso la Schola Cantorum Basiliensis e scaturito dal progetto di ricerca «Motet cycles (c.1470-c.1510) – Compositional design, performance, and cultural context»; un progetto interessante e ambizioso condotto all’interno della celeberrima schola di Basilea e mirato alla catalogazione e studio del repertorio mottettistico tardo-quattrocentesco perlustrato a largo spettro dall’esame dei testi messi in musica fino alle strategie compositive e al contesto produttivo (v. web site: http://www.motetcycles.com/). Il research team, composto da Daniele Filippi, Marie Verstraete e Felix Diergarten, è capitanato da Agnese Pavanello la quale si è rivelata oltre che un’eccellente Project leader, anche una straordinaria organizzatrice e padrona di casa. Tutto ha funzionato alla perfezione – si diceva –, ma procediamo con ordine. ‘Sorvegliato speciale’ tra gli oggetti di indagine è il repertorio dei cosiddetti Motetti missales, ossia un corpus di composizioni attestate nei famosi Libroni del Duomo di Milano confezionati sotto la direzione di Franchino Gaffurio (v. infra). E proprio questi cicli sono stati oggetto privilegiato di studio da parte di un gruppo di studiosi autorevoli provenienti da Europa e America i quali dapprima li hanno scandagliati ciascuno sotto la propria peculiare prospettiva disciplinare (dalla codicologia alla liturgia musicale e dalla filologia latina ai contesti culturali, ecc. ecc. ecc.) e poi, radunatisi in convegno a Basilea, per due giornate li hanno posti sotto un riflettore condividendo gli esiti delle proprie ricerche. Il menu del convegno, a dire il vero, è stato preceduto da un graditissimo quanto inaspettato ‘antipasto’: nel pomeriggio del 7 aprile, infatti, Joshua Rifkin, senza ombra di dubbio tra i più autorevoli partecipanti, ha tenuto per la Società Musicologica Svizzera una lectio magistralis dal titolo «Analyse, Aufführungspraxis, Werkidentität. Beispiele und Betrachtungen»; una conferenza improntata a estremo rigore scientifico e, nel contempo, godibilissima grazie a divertite quanto competenti incursioni in repertori parecchio distanti dalla Early Music quali, per esempio, quello della Rhapsody in Blue di Gershwin perlustrata nei suoi possibili risvolti performativi. Ma si sa, solo in Italia i musicologi sono monoliticamente aggrappati al proprio unico ed esclusivo campo di indagine!! Il giorno dopo, puntuale come un orologio svizzero, il convegno si è ufficialmente aperto con i saluti istituzionali (Thomas Drescher, Direttore della Schola e, 14 naturalmente Agnese Pavanello) e con un’altra autorevolissima lectio: Andrew Kirkman che con «Meditation, Meaning and the Mass: the Ordinarium Missaeand Beyond» ha delineato lo sfondo liturgico musicale nel quale di lì a poco si sarebbero collocate le riflessioni dei convegnisti. Per due giorni si sono susseguiti i paper di esperti musicologi internazionali fra cui anche (da accostare agli altri due fuori classe sopra menzionati) David Fallows il quale non ha letto alcuna relazione, ma è stato moderatore di una sessione (la mia!!) e, oltre a partecipare molto assiduamente con domande e osservazioni al termine di molti interventi, ha fatto parte della tavola rotonda posta a conclusione del convegno. Impossibile sarà illustrare in questa sede tutti gli interventi susseguitisi nelle due intense giornate per cui mi limiterò a citare quelli che maggiormente mi hanno colpito rimandando, per tutti gli altri, alla lettura degli abstract disponibili online (http://www.motetcycles.com/conference04_2016.html) e, soprattutto, alla prevista edizione degli atti. Prima di procedere, però, mi pare opportuno fornire ai non quattrocentisti qualche sintetica notizia a proposito dei Motetti missales. Detto il più succintamente possibile, si tratta di mottetti, perlopiù raggruppati in cicli di otto composizioni, utilizzati per sostituire altrettante sezioni della messa: brani polifonici (spesso con testo mariano ed estrapolato dal repertorio di inni e sequenze) cantati in corrispondenza (e in sostituzione) dell’Introito, Gloria, Credo, Offertorio, Sanctus, Elevazione, Agnus Dei e Deo Gratias. Questa prassi è stata da sempre associata alla liturgia milanese tardoquattrocentesca a fronte dell’attestazione limitata ai quattro libroni di Gaffurio tuttora conservati presso l’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Fanno eccezione solo due cicli attestati nel Ms. 3154 oggi conservato presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, ma vergato anch’esso nel tardo XV secolo a Innsbruck. In tutto si contano solo otto cicli a noi pervenuti di cui sei contenuti nei codici milanesi e composti da eccellenti compositori in forza presso l’entourage sforzesco – Weerbecke (2 cicli), Compère (3 cicli), Gaffurio (1 ciclo) – più i due cicli del ms. 3154 anonimi e attribuiti a Martini da Thomas Noblitt. È un repertorio affascinante perché, oltre che meraviglioso (vista la caratura dei compositori che vi si cimentarono), mantiene ancora dei punti oscuri e ignoti che stuzzicano l’interesse vivissimo dei musicologi quattrocentisti: «dove venivano eseguiti? in Duomo o nella Cappella Ducale del Castello o altrove?»; «perchè erano così concepiti?»; «erano composti ed eseguiti per qualche particolare evento?»; «come si conciliava la lettura silente dei passi della messa con la contemporanea intonazione di testi differenti?». Interrogativi, questi, che si sommano ad altri relativi alla paternità non solo dei due cicli tirolesi, ma anche, per esempio, di uno di Compére (Ave Domine Jesu Christe). Oppure, ancora, si pensi al mistero che circonda il titolo del ciclo più rappresentativo di tutti – la Missa Galeazescha di Compère –: Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica composto per Galeazzo o Giangaleazzo Sforza, oppure, ancora per Bona Sforza? Si comprende bene, quindi, come il convegno di Basilea già prima di iniziare si presentasse come un’occasione ghiottissima per vedere in azione la musicologia mondiale intenta a dirimere almeno alcuni punti e, nel contempo, a tracciare nuove pista di indagine e fornire nuove prospettive di studio. E così è stato. Eva Ferro («One ‘Text’ through Many Voices: Techniques of Textual Composition and the Articulation of Meaning in the Milanese Motet Cycles») ha affrontato lo studio del repertorio milanese con la lente della filologa latina scandagliando i testi e le relative fonti e dimostrando come, all’atto della loro ‘messa in musica’, essi venissero manipolati acquisendo varianti testuali di tale portata da conferire alle composizioni musicali lo statuto di veri e propri ulteriori testimoni. Una prospettiva, quella testuale, decisamente importante e che ha impegnato anche Daniele Filippi («Where Devotion and Liturgy Meet: Gleanings from Milanese Archives about and around the Motetti missales») il quale, comparando i dati raccolti dalla campagna archivistica condotta all’interno del progetto, si è interrogato sui possibili testimoni (ossia sui volumi) consultati dai compositori per dare vita ai testi poi messi in musica. E il risultato è esplosivo perché destabilizza la visione fin troppo settoriale dei rapporti tra la vita religiosa e musicale dell’epoca in oggetto. Anche Marie Verstrate («Random Patchwork or Deliberate Design? A Typologizing Approach to Polyphonic Mass Forms in the Milanese Libroni») ha ‘movimentato’ le nostre conoscenze osservando in controluce l’indice del terzo librone gaffuriano al fine di cogliere le differenze tra i diversi cicli (non solo missales, quindi). Tutto questo con lo scopo dichiarato di verificare se le diverse tipologie (formalizzate dalla musicologia moderna; n.d.a.) corrispondessero a diverse esigenze liturgico – rappresentative. Agnese Pavanello («Textual and Compositional Strategies in Gaspar van Weerbeke’s Ave mundi domina and Quam pulchra es») ha sollecitato precisi interrogativi sottoponendo a dubbio critico alcune convinzioni relative ai due cicli di Weerbecke che meritavano di essere sottoposte quantomeno a ‘revisione’. Partendo, quindi, soprattutto dagli aspetti testuali la studiosa ha portato alla luce nuove caratteristiche, finora inavvertite, che modificano lo statuto dei motetti missales. E proprio questo è il punto: qual è il vero statuto di questi cicli? La definizione che sopra ho sinteticamente illustrato corrisponde, per l’appunto, allo statuto formalizzato diversi anni fa dalla musicologia moderna e mai messo in discussione. Ma nel corso delle due giornate di convegno alcune sonore spallate sono state date a questo paradigma – a mio avviso un po’ troppo artificiale e, come si è detto, creato a tavolino nel Novecento in sede di studi musicologici – aprendo le porte a nuove prospettive. Penso (per citare l’intervento che mi è parso più forte!) alla posizione di Birgit Lodes («Motetti missales from Munich: Perspectives and Problems») la quale respingendo l’idea dell’esclusiva ‘milanesità’ di tale repertorio ha illustrato una serie di composizioni apparentemente estranee sia al repertorio in esame sia all’ambiente milanese di cui paventa l’afferenza alla prassi dei motetti missales. Ebbene sì! Sono uscito da questo conve- gno con la sensazione di aver assistito (anzi, nel mio piccolo, di aver preso parte) a una svolta; a un’apertura verso nuovi scenari, finalmente svincolati dello status quo nel quale la musicologia (soprattutto quella italiana) fin troppo indulgeva. Ora non resta che da qui ripartire e approfondire i nuovi aspetti emersi a Basilea; tutto ciò con quel pizzico di pragmatismo (o, se si preferisce, di sano rifiuto dei preconcetti) che ha contraddistinto questo formidabile convegno. E, per quel che concerne il ‘ripartire’...... è già prevista una giornata di studi, stavolta milanese, che si terrà il prossimo 14 ottobre presso la sede centrale dell'Università Statale in via Festa del Perdono. Nonostante l’entusiasmo che (spero) traspare da queste poche righe devo confessare che qualche intervento (molto pochi) mi ha lasciato indifferente e almeno uno decisamente non mi è piaciuto: mi riferisco al paper di Claire Bokulich («Clarity and Graceful Simplicity: Examining the Role of Tripla in the Motetti Missales») le cui prese di posizione sulle peculiarità mensurali dei mottetti mi sono parse affrettate, poco circostanziate e per nulla convincenti. Ma è sempre difficile recensire una relazione; scriverò qualcosa di più motivato (magari ribaltando il mio giudizio) dopo aver tranquillamente letto il suo articolo negli atti. Per concludere, ritornerei agli aspetti organizzativi dell’intero convegno, giusto per ribadirne il funzionamento quasi cartesiano estendendo le osservazioni agli aspetti.....meno musicologici. Penso ai momenti di break che, pur millimetricamente inseriti nelle maglie delle tabelle di marcia congressuali, sono stati momenti di vera convivialità. E non mi riferisco tanto ai tradizionali coffee-break (in genere cartina di tornasole della qualità dell’accoglienza di un evento) sicuramente molto ben allestiti, ma alle cene e ai pranzi: momenti di sosta che ci hanno condotto in location ogni volta differenti e sempre di alta qualità. Ma in questo caso – questo lo devo proprio dire – la proverbiale efficienza svizzera non sarebbe bastata se non si fosse sposata con l’ospitalità tutta italiana che ha costituito uno dei tratti degni di elogio di Agnese Pavanello la quale, oltre a monitorare con attenzione il livello scientifico dell’evento e curarne dettagliatamente tutti gli aspetti organizzativi, non ha mai lesinato attenzioni per tutti gli ospiti i quali – ne sono certo – si sono sentiti a casa propria. E – con questo concludo veramente – al termine di ciascuna relazione non ho mai assistito al fuoco di fila di domande pretenziose e lunghe come interventi che caratterizzano la maggior parte dei convegni: domande che in genere denunciano una inopportuna carica di protagonismo e servono a mettere in difficoltà il relatore (purtroppo la querelle è di casa nei convegni musicologici). A Basilea, nulla di tutto ciò: certamente le obiezioni e i dubbi non sono mancati, ma sono sempre stati formulati con rispetto e spirito amichevole. E anche questo è un gran merito!! 15 Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica Fondazione Italiana per la Musica Antica della SIFD Via Col di Lana 7 - 00195 Roma Tel e Fax 06/3210806 PRESIDENTE Andrea Damiani - PRESIDENTE ONORARIO Giancarlo Rostirolla COMITATO DIRETTIVO - Giovanni Cappiello, Celestino Dionisi, Franca Maraschini, Renato Meucci, Orietta Startori, TESORIERE Massimo Monti - SEGRETERIA Lara Amici BOLLETTINO a cura di Giovanni Cappiello Sito Internet: www.fima-online.org Posta elettronica: [email protected] Modalità e quote di rinnovo associativo per l’anno 2016 Quota rinnovo ordinario con il ricevimento del solo Bollettino Quota rinnovo ordinario con il ricevimento di tutte le pubblicazioni edite nel 2016 Quota di socio sostenitore “ “ “ “ “ “ Quota di socio benemerito “ “ “ “ “ “ € 25 € 35 € 55 € 105 La presentazione di un nuovo socio dà diritto al rinnovo gratuito (€ 25) per l’anno 2016. Qualora il socio proponente desiderasse ricevere le pubblicazioni (Rivista Recercare e Musiche relative all’anno associativo) dovrà versare la differenza di € 10. Il socio proponente dovrà trasmettere la propria richiesta di rinnovo unitamente all’iscrizione del nuovo associato. (da spedire unitamente a fotocopia del versamento) alla Fondazione Italiana per la Musica Antica della SIFD C.P. 6159—Roma Prati Il sottoscritto Indirizzo (completo di CAP) Tel/fax Professione Strumenti suonati livello medio semi-professionale professionale Rinnova la sua adesione per l’anno 2016 versando la quota di € ………… a mezzo: c/c postale n. 48457006 intestato a Fond. Italiana per la Musica Antica della SIFD assegno bancario NT intestato a Fond. Italiana per la Musica Antica della SIFD presenta l’iscrizione del nuovo socio ………………………………………………………….. e chiede il rinnovo gratuito per l’anno 2016, come previsto dalle modalità di iscrizione. Data e firma 16