Anno XIX, Numero 16 - Fondazione Italiana per la Musica Antica

Il Ganassi
Anno 19 Numero 16
In questo numero:
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
Editoriale
Cari soci,
proprio in questo periodo sta per concludersi il mio
terzo mandato di presidente della FIMA: il momento
giusto per tirare le somme su tanti argomenti dunque,
prendendo le mosse dagli ultimi avvenimenti della nostra associazione per poi passare a qualche riflessione
di più ampio respiro.
L’edizione 2015 di Urbino Musica Antica si è conclusa
più che positivamente; ancora una volta il felice connubio tra corsi e festival ha dato i suoi frutti portando ad
Urbino tanti musicisti, studenti e dilettanti orgogliosi
di partecipare ad un evento d’eccezione. Un’esperienza
che molti di voi conoscono e che ricordo brevemente
solo per annunciare che anche l’edizione 2016 si prevede all’altezza delle precedenti, confermando quella sensazione che si sia creata una grande famiglia, mutevole
nei componenti ma che ogni anno si ritrova per ripetere – o per essere iniziati – a questo breve ma denso rito
musicale e sociale che è Urbino.
Ed è proprio con in mente l’idea della famiglia e dell’amicizia che diventa più triste ricordare una persona che
ne faceva parte da tanti anni e che è recentemente
scomparsa: Lavinia Bertotti. Lavinia aveva partecipato
a tante edizioni dei corsi, confermando la sua attività di
didatta attiva in tutta Italia, capace di crearsi una schiera di allievi fedeli che la seguivano nei suoi corsi. Aveva
a mio avviso una sensibilità particolare per il repertorio
italiano del ‘600, in cui profondeva una espressività e
una consapevolezza del tutto personali. Ho avuto la
fortuna di sperimentare tutto questo accompagnandola
in quello che forse è stato uno dei suoi ultimi concerti,
durante il corso del 2014, presso l’abbazia di Lamoli:
abbiamo pubblicato su YouTube alcuni estratti di questo concerto, con la speranza che resti vivo il ricordo
di questa artista che ha dato tanto alla musica antica e
ai suoi allievi, anche grazie alla sua umanità.
L’attività della FIMA nell’anno passato si è estesa anche a Roma con l’organizzazione di due riuscite confe(Continua a pagina 12)
Editoriale
Andrea Damiani
Articoli
Silvia A. Giummo
“La Caduta degli
Angeli” di Don
Francesco Rossi
Massimiliano Ottocento
Lirica romanza e canti
del folklore occitanico
contemporaneo:
ipotesi per una ricerca
comparativa
Francesco Rocco Rossi
Mottetti Missales
a Basilea
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
“La Caduta degli Angeli” di Don Francesco Rossi.
Una
nuova
luce sull’Ars
Nova diincastonato
Francesco nell'Italia
Landini del 1600
Analisi
musicale
d'un oratorio
di Anna Chiappinelli
Silvia Alessandra Giummo
Quasi tutti i testi critici riguardanti gli oratori in Italia
dalla loro nascita al tardo barocco sono concordi nel
dichiarare la difficoltà, se non l'impossibilità, di fissare
degli stilemi che possano rendere unica e risconoscibile
la provenienza geografica di una partitura rispetto ad
un'altra. Gli stili si mescolano grazie alla grande interconnessione ed il continuo contatto che vi fu per tutto
il Seicento e il primo Settecento tra gli oratori e gli oratoriani delle maggiori città italiane e quelli romani. Le
partiture che venivano eseguite a Roma spesso erano
dopo pochi mesi riproposte altrove, e Napoli non fa
eccezione.
Si può invece chiaramente evincere uno sviluppo storico di questo tipo di composizione, da un primo periodo (fine 1500 - 1630/40), in cui possono essere evidenziate e riconosciute anche le sue radici precedenti, ad
un momento di passaggio (metà 1600 - primo 1700) in
cui a poco a poco anche la nomenclatura tende a
riconoscere l'oratorio come tale, per arrivare al periodo
tardo barocco.
La partitura qui studiata appartiene al secondo momento dell'Oratorio (probabilmente al suo inizio), e
presenta caratteri del passato ed altri anticipatori.
Il suo autore, Don Francesco Rossi, è figura che ancora oggi presenta alcune ombre biografiche. Originario del Barese è molto probabile che studiò per qualche tempo a Napoli (nel 1656 risulta presso il Conservatorio di Porta Capuana uno studente di nome Francesco Nicolò de Rossi in contatto con il Duomo di
Bari), dove per altro tra il 1669 e il 1672 fu Maestro di
Cappella al Conservatorio di Sant'Onofrio a Capuano
(Conservatorio dei Piccoli Accattoni). Successivamente
lo ritroviamo a Venezia, Maestro di Cappella presso
l'Ospedale dei Mendicanti, dove per un breve periodo
lavorò anche con il Giovanni Battista Vivaldi (padre di
Antonio). “La Caduta degli Angeli” è partitura conservata a Napoli, nella ricca Biblioteca dei Girolamini,
e dunque con ogni probabillità scritta nel periodo in
cui il Rossi ivi risiedeva [1].
S.Michele introduce il Padre Eterno il quale annuncia
la sua decisione di inviare suo figlio ..uomo sulla terra.
La terza e la quarta scena rappresentano la prothasi
della vicenda: S.Michele e gli Angeli lodano la volontà
divina e il Dio fatt'uomo, ma tra le voci una (Lucifero)
dissente.
S.Michele poi nuovamente in dialogo con Dio, il quale
lo invia in sua vece, per allontanare Lucifero e i demoni
dal cielo.
Il climax narrativo è raggiunto nella quinta sezione scenica, momento dello scontro diretto tra i Demoni
(capitanati da Lucifero) e gli Angeli (guidati da
S.Michele), e della caduta dei primi e vittoria dei secondi.
La successiva, e ultima scena prima del madrigale conclusivo, è in realtà un'eco della fine della quinta e
un'anticipazione della chiusura dell'oratorio: S.Michele
e gli Angeli festeggiano la vittoria e le felicità loro concesse in Cielo, contrapponendosi ai lamenti di Lucifero
e dei Demoni che languono per la disperazione in cui
la loro stessa superbia li ha buttati. Il confronto tra le
due “fazioni” e il loro stato è presentato drammaticamente grazie ad una scrittura musicale antifonale che
coinvolge anche il gruppo strumentale, e porta direttamente per contenuto alla conclusiva osservazione morale rivolta al pubblico.
Nonostante il testo (in poesia come era d'uso per gli
Oratori in volgare) sembri a volte già indicare le tracce
di una intenzione più rivolta ad un recitativo rispetto
che ad un'aria e viceversa, la composizione in realtà è
molto flessibile nella successione degli stili (recitativo,
arioso, aria), e non vi sono arie con indicazione di
“daccapo”. Sono spesso presenti invece adattamenti in
stile di aria o arioso nelle ultime misure di recitativo, o
addirittura al centro di un recitativo.
Lo spazio per i violini è grande. Eccettuato che per la
sinfonia d'apertura e per la concertazione nel madrigale
finale (in cui sostanzialmente raddoppiano all'ottava le
voci centrali del coro, A e T1), accompagnano 3 arie di
soli e suonano in ritornelli per nove volte alternandosi
La struttura, nonostante in una parte unica, è molto
articolata. Risultano infatti almeno 7 le sezioni legate ai ai dialoghi.
differenti momenti dell'azione, tra cui anche la sinfonia Analoga rilevanza rivestono gli insiemi vocali, sia che si
strumentale col coro in apertura (prima sezione), ed il tratti dei gruppi di personaggi (Angeli e Demoni), che
madrigale finale (settima sezione); entrambi i momenti dei cori iniziali e finale (a 5 o 6 voci).
Su 875 battute totali di oratorio, le 165 unicamente
partecipati da 6 voci - tutti.
strumentali e le 352 di momenti a più voci limitano
Seconda delle sezioni (che definiremo “sceniche”):
2
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
quelle dedicate ai soli a 358 battute in tutto.
vuol seguirlo. La catastrophe/caduta dei Demoni (in mi
minore) è abbracciato da due momenti in tempo terNon solo gli stili e gli organici si alternano in modo
nario di Corrente nella relativa maggiore (Sol), in cui il
rilevante. Anche i tempi binario e ternario sembrano a tema (cellule di tre semiminime per grado congiunto)
volte sfociare l'uno nell'altro. Il massimo esempio di
viene riproposto, ma capovolto (discendente quando
questa fluidità nell'alternarsi del metro si ha nell'aria del S.Michele dà il suo affondo finale nella battaglia; asPadre Eterno della quarta sezione scenica, in cui per
cendente e con un carattere più movimentato nell'iml'appunto Dio afferma a S.Michele la sua superiorità a mediatamente successivo canto di vittoria). Echi e tenqualsiasi possibile attacco o entità altra. Quasi a sotdenza a movimenti di danze si riconoscono poi anche
tolineare la sua superiorità anche alla limitatezza di una nei successivi interventi strumentali e corali del dialogo
qualsiasi forma (nel caso specifico ritmica).
antifonale che vede paragonati il cielo e l'inferno.
In ognuno dei due tempi e durante tutta la composizione è possibile poi riconoscere idee ritmiche di
Il ritmo è sempre potentemente drammaturgico, come
danza. La prima aria è del Padre Eterno. Dopo un
nell'assalto di battaglia di Lucifero e dei Demoni. E lo è
recitativo con violini in tempo binario conclusosi con l'alternanza di omoritmia e passaggi imitativi nel ben
un arioso, inizia una originale Chaccona (Largo assai). costruito contrappunto tra le voci.
La sua particolarità sta nel movimento armonico che
“Oratorio a 6, 2 CC A 2 TT B 2 VV.” Così l'autore
sposta il basso ostinato modulando prima in dominan- Don Francesco Rossi descrive “La Caduta degli Ante, poi alla sottodominante per tornare in tonica, Mi
geli”, indicando in realtà l'organico minimo necessario
maggiore. In pratica modula nei gradi che sono la base
per una sua esecuzione, e non i personaggi coinvolti,
del basso ostinato di chaccona appunto, e così facendo che potremmo individuare, come detto, in 5 inerlocutosposta una stessa sostanza (il basso) in tre “realtà” ar- ri: il Padre Eterno, S.Michele, Lucifero, gruppo di Anmoniche diverse.
geli e gruppo di Demoni (entrambi di 3 linee vocali).
Lucifero invece usa una Giga in 3/8 per esplicitare i
È chiaro dunque dalla indicazione del compositore
suoi “Pensieri guerrieri”, e accendere gli animi di chi
(scritte in partitura accanto al titolo) che, come comune
Il Ganassi
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica C.P. 6159 00195 Roma
Anno 18, Numero 15
Direttore Responsabile
Andrea Damiani
Redazione
Giovanni Cappiello
Hanno collaborato
Silvia Alesssandra Giummo, ,Massimiliano Ottocento, Francesco Rocco Rossi
3
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
per gli Oratori, anche per questo non era previsto apparato scenico, visto che alle 6 linee vocali dei due
gruppi corali non vengono aggiunte altre voci per gli
altri tre personaggi.
Non era insomma un melodramma sacro, sebbene anche questo genere fosse molto comune alla corte di
Napoli, né uno di quei dialoghi recitati conosciuti negli
oratori della città [3] (luogo in cui la partitura in esame
è conservata, e dove con tutta probabilità è stata scritta).
Essendoci nel titolo anche l'indicazione “Oratorio”
potrebbe apparire superfluo quanto scritto poco sopra,
se non stesse unicamente a sottolineare la forza drammaturgica della composizione (e probabilmente l'ambito in cui la partitura è nata, e dunque la realtà musicale dalla quale fu influenzata).
Il narratore o Historicus già manca completamente
(come consiglierà di fare a inizio 1700 Spagna[4]), e
anche le descrizioni nelle parole dei personaggi sono
poche e limitate ai loro dialoghi. Fatto questo certamente anche facilitato dal tema che non ha bisogno
di preamboli né di mettere a conoscenza il pubblico di
eventi che non si svolgono direttamente nell'azione
musicale.
l'esigenza narrativa lo porta a colorare gli eventi.
Le battute sono in tutto 16. In esse possiamo riconoscere due momenti: il primo (12 battute - fig.1) in tempo ternario, comincia in mi minore con uno scivolamento del basso che dalla tonica spostandosi per semitoni
raggiunge la dominante (ricorda quasi il famoso basso
del Ground di Purcell nel Dido's Lament), e deviando
in un primo momento al sesto grado (cadenza evitata)
torna poi sui suoi passi per raggiungere nuovamente la
tonica (e siamo a metà della caduta, b.8). Di sorpresa
appare una dominante di dominante (Fa# maggiore) che
viene subito confermata dalla nuova tonica (si minore)
seguita da un quarto grado per tornare in un quinto
(sempre Fa#), il quale nuovamente non risolve ma
cade in evitata (sesto grado di si minore = sol maggiore)
ed in un ritmo binario che rappresenta la parte più veloce del precipitare. In questo secondo momento
(ultime 4 battute - fig.2) il sol ritorna ad essere terzo
grado di mi minore, e porta ad una “cadenza perfetta”
finale.
Come detto, il primo e l'ultimo intervento corale sono
gli unici con il coinvolgimento di tutte le linee vocali
(2C A 2T B). È in questi che maggiormente si legge
l'abilità contrappuntistica del compositore, e l'uso del
contrappunto stesso a fini retorici.
Drammaticamente interessante è persino la scelta dei
registri vocali.
Nelle non molte partiture d'oratori in cui Dio è direttamente presente nello svolgersi drammatico (spesso si
sceglie di sostituirlo con altri personaggi che parlino al
suo posto, l'Amor divino, o Amore celeste, la Giustizia
-Sapienza o Onnipotenza divina) è spesso associato
alla voce di Basso, che per la sua profondità è quasi
sempre anche la voce di Cristo. Qui Dio è un Tenore e
S.Michele come Angelo (Arcangelo in realtà) è un Soprano. Gli Angeli (quando in contrapposizione ai Demoni) sono le voci superiori del sestetto corale (CCA). Fig. 1
Rossi sceglie poi di rappresentare Lucifero ed i Demoni con due differenti registri vocali, a seconda del
momento drammaturgico.. Prima della caduta
(rappresentata musicalmente da una veloce e
sorprendente catabasi in un interessante attimo madrigalistico) infatti Lucifero è angelo (Soprano dunque),
mentre dopo diviene un Basso profondissimo; e le voci
dei Demoni, prima ATB, cadono a divenire TTB.
L'uso che Rossi fa delle alterazioni poi, anche queste a
servizio dell'azione scenica, è interessante e dimostra la
sua tendenza compositiva a “colorare” senza indebolire o spezzare la struttura armonica (molto forte e articolata ma per nulla rigida), giocando sulla sorpresa e
non sulla dissonanza. Prendiamo per esempio in esame
il : momento della caduta, punto in cui maggiormente
4
Fig. 2
E questo già dal Noema iniziale, che nel primo brano è
di poco preceduto da entrate sfalsate di due voci (di
modo che nel testo “Santo, tre volte Santo” realmente
l'ascoltatore senta per tre volte apparire la prima parola), e subito seguito dall'apparizione di sedicesimi per
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
le parole “fonte di puro lume, gran Dio supremo Nume” e che sottolineano la gioia del momento. Nel coro
finale per tutta la prima frase/strofa (“Apprendi o
mortale dell'altrui male il proprio bene/eterne pene
all'Anime superbe il ciel precetta”) il Noema è costituito da note di durata non inferiore all'ottavo (a parte
qualche sedicesimo di compensazione ad un ottavo
puntato, in rispetto della metrica della parola “Anima”):
la frase è perentoria, come una scritta scolpita su di
una lastra di marmo. Solo nella successiva e finale frase/strofa (“Chi Lucifero imita Infern'aspetta”) ecco
che anche nelle voci appaiono le “imitazioni”, in rispetto del tema appunto. E anche qui c'è una particolarità
sull'utilizzo delle sei linee vocali: le tre voci superiori
entrano per prime, in fugato; sulla fine della loro esposizione entrano le tre voci inferiori sempre in
Anaphora, ma inizialmente la voce che entra per prima
(T II) contrappunta ritmicamente le altre due che entrano insieme, di poco successive, procedendo per
terze parallele..
Questo differente carattere contrappuntistico si ripete
ancora per la seconda entrata delle voci dopo un piccolo momento strumentale, questa volta contrapponendo
le tre voci centrali (C II, A T I), prime ad attaccare, con
il C I e le due inferiori. Qui si uniscono gli strumenti
per la prima volta presenze contemporanee alle voci in
coro.
Nell'insieme d'apertura si ripete l'uso di unire più voci
nell'esposizione di determinate parole in modo omoritmico: ed allora sono ovviamente tre quando viene citata la Trinità che si contrappongono a due in registri
vicini (C I e C II, o A e T I) che rispondono citando
l'Unità di sostanza; e torna il fugato libero nelle parole
“Sia tua la lode, la gloria e il vanto”, a necessità di maggiore movimento rappresentante la gioia.
Altri momenti corali, sebbene coinvolgano alternativamente le varie linee vocali (mai tutte insieme), sono
quelli che caratterizzano la sesta sezione scenica, e il
confronto antifonale tra le anime dannate, la loro vita
nell'inferno, e quelle beate e la relativa situazione di chi
invece abita il paradiso.
A introduzione la stridente differenza tra l'aria di vittoria di S.Michele dopo la battaglia e l'aria subito successiva in cui Lucifero appare dopo la caduta, basso
profondo, il cui movimento tematico è una continua
catabasi, in salti che superano anche l'ottava e che arrivano per due volte sul mi basso sulla parola “morte”.
A sottolineare il terrore dei luoghi descritti e il tremito
che suscitano, un ritmo zoppicante di ottavo puntato e
sedicesimo negli strumenti senza soluzione di continuità se non anche questa volta sotto la frase “né si vede
la morte” (momento in cui rimane solo il continuo),
per amplificare lo sprofondamento della voce.
Seguono 3 contrapposizioni di Demoni e Angeli con 3
differenti temi peculiari: l'eternità (gli uni nella prospettiva di pena continua; gli altri nella sicura gioia); il suono dei due “mondi” (l'inferiore, di lamenti e gemiti; il
superiore, di liete voci di gloria); il sentimento suscitato
nelle anime (nel'Inferno di spavento, orrore, affanno e
lutto; nel Paradiso di contento, giubilo e piacere).
Piccolo quanto bello spunto di madrigale è il coro dei
Demoni in “Amarissimi gemiti”, in tempo ternario
(secondo dei momenti antifonali descritti), il cui gioco
di ritardi tra le voci a colorare di dolore le parole
nasconde un tempo di sarabanda (chaccona) poi
meglio svelato dal ritornello strumentale che lo segue e
lo conclude.
Fig.3
Altri madrigalismi percorrono tutto il testo..E se per il
Padre Eterno, come già accennato, vale la pena soffermarsi in una più attenta lettura dell'aria “La mia pace
inalterabile” (pace messa alla prova da cambi di tempo
repentini e completo mutamento dello stile di linea
melodica del canto: calma di note lunghe in tempo ternario per le parole “La mia pace inalterabile”, per poi
trasformarsi in lungo vocalizzo nel momento binario,
nel punto in cui si afferma essa non soggiacere a varietà - fig.3), per il Lucifero ancora Angelo (soprano) è
significativa l'aria “Pensieri guerrieri”, sia per la chiarificazione del carattere del personaggio (e abilità richiesta
al cantore preposto a rappresentarlo), che per la
migliore comprensione di quanto minuzioso sia stato il
lavoro di Francesco Rossi nel descrivere musicalmente
il testo.
Per le parole “Pensieri guerrieri destatevi orsù” lo
“scheletro” del movimento (mi-la-do# ascendendo)
viene articolato con piccole onde d'energie in sedicesimi ascendenti per grado, quasi a spingere verso l'alto la
tensione (fig.4).
5
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
nanza di stili compositivi; ariosi e arie non ancora direzionate verso la struttura che sarà settecentesca, e più
legate ai movimenti di danza) ed elementi tendenti ad
un gusto nuovo (tipo di recitativo; grande presenza di
momenti strumentali; scelta per una composizione totalmente drammatica invece che drammatico-narrativa)
Fig.4
si concentrano e mescolano, in una partitura che proprio per queste caratteristiche è un importante docuL'invito “s'abbatta” è un passaggio di fa# all'ottava,
mento, attraverso il quale migliorare la nostra comanche qui con piccole scale di sedicesimi che,
prendendo slancio da un la alto in levare che cade per prensione di un periodo storico e della sua elaborata
salto sul fa# ottava alta, fa cadere questo sul si inferiore musica d'uso.
per poi riproporre il medesimo disegno, saltando dal mi
al do# col fine di buttarlo nuovamente su di un fa# (ma Note:
[1] La collocazione purtroppo non ci è dato sapere, essendo la
questa volta d'ottava centrale) (fig.5).
Biblioteca dei Girolamini chiusa da tempo al pubblico. La partiE la descrizione musicale di “rimbombano i suoni di
tura manoscritta è però consultabile sul sito on line della Petrucci
tromba” non si accontenta di imitare lo strumento ci- Library.
tato, ma tenta, e riesce a dare anche l'idea della risonan- [2] Per le notizie biografiche si ringrazia il prezioso lavoro di ricerca svolto da Giacomo Contro, che ha portato alla luce informaza.
zioni di cui i testi già esistenti non erano ancora al corrente.
[3] Rosa Cafiero e Marina Marino, Materiali per una definizione di
“Oratorio” a Napoli nel seicento:primi accertamenti., da una ricerca sull'oratorio a Napoli finanziata dal Ministero della P.I. e dal
CNR e promossa dalla Cattedra di Storia della Musica presso
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli.
[4] Arcangelo Spagna, Discorso, 1706 - ristampato in Schering,
Neue Beiträge - primo tentativo conosciuto di una storia dell'Oratorio.
Fig. 5
In un oratorio di una parte unica, relativamente breve,
elementi di pratica precedente (presenza madrigalistica
e stile imitativo; numerosi momenti corali; libera alter-
WebNews
in collaborazione con la rivista online eptachordon.com
All of Bach
Un brano alla settimana, uno ogni venerdì che il cielo manda ad
Amsterdam. Può toccare ad una grande Passione o ad una microscopica Invenzione a due voci, alla semplicità di un “Geistliche
Lied” o alla complessità metafisica dell’Arte della Fuga. Inaugurata nel 2013, l’intera sequenza calendario alla mano si concluderà
nel 2034. In un mondo che fissa il suo orizzonte nell’ordine dei
mesi, il piano della Netherlands Bach Society di registrare l’integrale di Johann Sebastian Bach su base settimanale ha il sapore di
un’avventura di altri tempi, come la costruzione di una cattedrale
medievale, o la circumnavigazione planetaria a bordo di un galeone. Ma a Bach si addicono le grandi imprese, quelle che richiedono applicazione costante e prolungata. E l’impresa della Società Bach olandese richiama come un’eco necessaria la nostra, quella di ascoltatori, cui sono ogni volta concessi sette giorni per riscoprire, ascoltare e riascoltare
uno ad uno tutti i capolavori del Kantor.
Weblink: http://allofbach.com
6
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
A.Vivaldi - Teatro alla Moda, Concerti per Violino - A. Beyer, Gli Incogniti
Harmonia Mundi, HMC902221 , 73’08”, 201 5/201 5
Non è un mistero che Padre Antonio Vivaldi da Venezia nutrisse per
il palcoscenico una passione molto maggiore di quella che l’abito talare gli ispirava per il presbiterio. Eppure, a dispetto della cinquantina
di opere scritte, è alla sua smisurata produzione strumentale che un
disco con un titolo che più teatrale non si può si rivolge per arrivare
all’anima melodrammatica del prete rosso. Un esperimento che, se da
un lato ci parla della strada che ancora bisogna percorrere per riconquistare all’estetica contemporanea il teatro in musica del Settecento,
dall’altro non è privo delle sue ragioni e delle sue intriganti prospettive. La scrittura strumentale vivaldiana, anche se per più aspetti diversa da quella per le voci, ha nondimeno una energia comunicativa che
si distilla in una dimensione prosodica evidentissima, purché la sua
lettura si mantenga a giusta distanza tanto dalle patinate interpretazioni del secolo passato quanto dai non meno superficiali approcci
percussivi che una certa filologia esecutiva à la page ha eletto a cifra quasi esclusiva dei concerti vivaldiani. Giusta distanza che l’archetto di Amandine Beyer misura a perfezione in un disco con il quale d’ora in poi bisognerà fare i conti quando ci si vorrà occupare di Vivaldi e della sua musica. Dai primi accenti della Sinfonia dell’Olimpiade alle note conclusive del Largo RV228, la Beyer e i suoi Incogniti innescano con la scrittura vivaldiana
un rapporto empatico evidentissimo, nel quale ogni nota è connessa alla successiva attraverso la stessa, impalpabile tensione capillare fatta di microattese e risoluzioni che in fin dei conti è la stessa seta che tesse il fraseggio
dei grandi attori. Ogni movimento diventa così un monologo o meglio un dialogo tra un protagonista e i suoi
comprimari che recitano un’azione senza battute il cui senso appare, miracolosamente, chiarissimo; e svelare
ruoli e vicende è un gioco al quale diventa difficile sottrarsi.
M. Codax - Ondas. Cantigas de Amigo - V. Biffi, P. Hamon
Arcana, A 390, 49’00”, 201 5/201 5
«Ondas do mar levado, se vistes meu amado?» C’è la forza semplice e
profonda della vera poesia nei versi dello juglar Martin Codax. Una
forza che ha in sé la calda luce del sole di Galizia, e che si muove con
il ritmo eterno delle onde che ne bagnano le spiagge e ne modellano
le scogliere. È il suono di questo mare, luogo della memoria e della
fantasia, simbolo del distacco e del ritorno, dell’ignoto e della speranza che Codax fissa nelle sue Cantigas de Amigo, e lo fa con una nitidezza lasciata miracolosamente intatta dagli otto secoli che pure hanno reso queste sette gemme le uniche testimonianze superstiti di un
genere tra i più importanti della lirica gallego-portoghese. Musica che
per forza di cose richiede all’interprete un’opera di ricostruzione e
lascia quindi il dubbio su quanto ciò che si ascolta sia vicino a quanto
concepito dall’autore, incertezza ineliminabile che Vivabiancaluna
Biffi spazza via con le ragioni di una esecuzione esemplare; la sua voce, la viola d’arco con la quale la cantante si accompagna, la complicità preziosa dei flauti di Pierre Hamon catturano lo spirito di questi brevi brani in una sintesi efficacissima di naturalezza e precisione che da senso e fascino alla ricorrenza ipnotica delle melodie e rende il canto sempre simile
e diverso da se stesso. Come le onde del mare che la protagonista del canto scruta e interroga sulla sorte del suo
amore lontano, immaginando di poter un giorno tornare con lui a «mirar las ondas».
7
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
Lirica romanza e canti del folklore occitanico contemporaneo: ipotesi per una ricerca
Una
nuova luce
sull’Ars
Nova
di Francesco
Landini
comparativa;
il caso
delle
chanson
de femme
e di Prinsi Raimund
di Anna Chiappinelli
Massimiliano Ottocento
Molte voci, autorevoli e non, si sono espresse riguardo
i contenuti lirico testuali e musicali delle Chanson de femme come testimonianza dell’esistenza di una lirica pretrovatoresca. La ricerca sembra andare in diverse direzioni, talvolta lontane tra loro, eppure a ben guardare
unite da un filo rosso che lega le fonti , i contenuti e le
trasformazioni durante i secoli.
In realtà, stringere il campo alla chanson de femme dei
secoli XII e XIII, potrebbe apparire limitante. La chanson de femme già in sé raggruppa un corpus di vari generi poetici parafolklorici globalmente caratterizzati da un monologo lirico
a connotazione dolorosa, posto in bocca ad una donna[1]. Il
rischio, durante l’affascinante viaggio della ricerca
comparativa, è di cadere in una di indagine che comprenda ambiti poco correlati, in una dispersività nella
quale è molto arduo ritrovare un punto originario e
indebolire così l’intuito di partenza.
La questione delle fonti (poche) e delle restituzioni più
o meno filologiche (molte), obbliga a ripercorrere, come in uno sforzo di sisifea memoria, la storia nota dei
testi e delle notazioni musicali associati alle liriche. Riguardo la lirica cortese occitanica, non può dirsi generoso il ritrovamento del testo musicale. Su 2500 testi,
ne possediamo solo 270 corredati di relative monodie,
e anche considerando le variazioni ritrovate sullo stesso tema, rimangono allo studio solo 353 melodie. Quel
che intensifica lo sforzo del ricercatore è lo iato che si
trova tra il momento della ipotetica creazione dei testi
e la loro scrittura. Uno spazio temporale situabile tra i
20 e i 100 anni. Diversa è la questione per i canzonieri
dei trovieri dei quali ci rimangono circa 4000 melodie.
Gli studiosi generalmente trattano simultaneamente,
distinguendo i contenuti e l’espressione linguistica.
Lingua d’oc o d’oil.
In ambito prettamente musicologico, inerente la problematica interpretativa dei trovatori e dei trovieri, Le
Vot afferma: [ …] La formidabile disparité que l’on constate
entre les differéntes reconstitutions sonores proposée, (q’uìil
s’agisse des premières trancriptions musicales effectuées dès Pierre
Aubry et Jean Beck dans les années 1910, ou bien des enregistrements discographiques qui ont paru depuis une quarantaine
d’années), les querelles d’écoles, parfois virulentes suscitée à propos de l’interprétation rhytmique ou de l’utilisation des instruments, rendent perplexes le musicien et l’auditeur contemporains.
[…], nous voudrions proposer un dernier témoniage : celui d’un
musicien soucieux de l’histoire attribuant à sa pratique un status
expérimental, une conduite de recherches directement issue des
développemets épistémologiques proposés.[2]
8
Se però, facendo un ulteriore sforzo si saltasse la difficoltà interpretativa, entrando nella modalità con la
quale la lingua e dunque la musicalità ritmico espressiva si spostava geograficamente all’epoca, la fonte contemporanea potrebbe diventare la testimonianza vivente di una fonte fisicamente perduta. Questa perlomeno è l’ipotesi di partenza.
Torniamo però al genere chanson de femme e a quel
che ci rimane, con qualche esempio calzante.
L’universo femminile del genere lirico profano, è contenuto principalmente nelle canzoni alla tela o chanson à
toile, come le definisce il Gasparini[3]. Il romanzo di
Jean Renard Roman de la rose del XIII secolo, conosciuto poi come Guillaume de Dole (datato circa 1225), ne
contiene sei intere. Nel romanzo le liriche cantate dalle
protagoniste sono già all’epoca dichiaratamente antiche, nello specifico ci si riferisce a Fille et la mere se
seient a l’orfrois, cantata dalla madre che si scusa davanti
al cavaliere per cantare una canzone “del tempo andato”. Altre sono incluse nel Roman de la Violette di Gerbert
de Montreuil. Quelle delle quali ci sono arrivate le notazioni melodiche sono però contenute solamente nei
manoscritti; ms. du Roi (M-BNF fr.884) e ms.de St Germain (M-BNF fr.23205). Ampliando l’orizzonte testuale il contenuto si sposta dalle chansons d’histoire e nel
nostro caso, alle liriche il cui soggetto è una donna
sfortunata, oggetto di angherie da parte del marito o
del contesto familiare, dette convenzionalmente malmariée, malmaritate. Per la maggior parte si tratta di autori
rimasti nell’ombra dei secoli dei quali il nome non ci è
pervenuto quasi a confermare, come per tutta la musica premensurale, che espressioni e forme fortemente
condivise non provocano la necessità di altrettanta
condivisione esatta e scritta.
Un primo dato che accomuna la lirica folklorica dei
secoli successivi, a quella della primitiva “lirica di stile”
è l’anonimato e la trasmissione orale. Sulla mano del
musicista e poeta compositore la versione più accreditata è che fossero composte da uomini e non da donne
dato il contenuto spesso sconveniente o scabroso[4].
Proprio l’aspetto realistico, distingue queste liriche dalla lirica squisitamente cortese e le avvicina ad una lirica
popolare che deve la sua forza e permanenza nei secoli, grazie alla sua aderenza alle gioie o alle tribolazioni della vita quotidiana.
Dal punto di vista poetico formale, sono endecasillabi
con refrain e couplets spesso rimate per assonanza. Un
esempio che potrebbe essere accostato alla storia di
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
Prinsi Raimund, per la complessità della trama e la presenza dell’inganno è An chambre a or se siet la belle Beatris
di Audefrois le Batard contenuta anche nel manoscritto
di St Germain. Questo accostamento rientra tra i rischi
dei quali si diceva qui sopra in apertura, soprattutto
perché la protagonista femminile raggiunge il suo scopo mentre il marito indesiderato muore di dolore.
La bella Beatrice destinata sposa ad un signore, in realtà
è già stata deflorata dal Conte Ugo del quale è innamorata e ne è rimasta incinta. Si confida con uno stalliere
che fungerà da intermediario e complice per il successivo rapimento-fuga. Il povero Duca Henry, promesso
sposo, scaglia le sue ire contro il padre di Beatrice, promette di tagliare la testa all’amante e di cacciare il padre
della sposa in esilio, a sua opinione responsabile della
fuga della figlia. La Madre cerca di riportare il Duca alla
realtà, dicendogli che, a ben ragionare, non era mai stato amato da Beatrice, salvandolo così dalla follia omicida ma destinandolo ad una morte per inedia e tristezza.
Il ritornello dice “ben salati [saporiti] sono i mali che si
ricevono a causa di un amore fedele”[5]. Una fedeltà
mal ripagata e legata a doppio filo; la fedeltà del Duca a
Beatrice fonte di struggimento e la fedeltà di Beatrice al
Conte causa di follia e morte.
Testo di riferimento la trascrizione poetica e musicale
delle sedici stanze a cura di Michel Zink e Gérard Le
Vot:
Stanza X (Beatrice svela il suo stato e la fuga come soluzione)
Hugues dist Beatris, ke fereis vos de moi ?
prandre me veus li dus Henris, se m’en effroi.
ensainte seux de vos, se vos requier et proi,
s’onkes ot en vo cors ne loiaulté ne foi,
ke vos m’enporteist tost car nul millior n’ì voi. »
Bien sont [asavoreit li mal
c’on trait por fine amor loial]
Stanza XIII (il promesso sposo folle di gelosia)
Li dus Henris lou sot, mult en fut esmaiés
A peire Beatris en vint tous correcies.
Fierement li ait dit, com uns hons enraigiés :
Tolut m’aveis m’amie, s’en avanrait meschiés.
A Hugon en serait encor copeis li chief,
Et vos aussi, per Deu, en sereisdeschaisiés. »
Bien sont [asavoreit li mal
c’on trait por fine amor loial]
Stanza XV (la madre)
Sire ce dist la meire, ne vos desconforteis.
A Beatris ma fille maix ne decoverreis.
Por Deu, laissies Ugon avoir ces amistiès:
ansois l’amait de vos, ke tres bien lou saveis
Dame ce dist li Dus, tout ceu est veriteis,
mais s’omorme destraint, dont je sui enflameis. »
Bien sont [asavoreit li mal
c’on trait por fine amor loial]
Stanza XVI (la morte del Duca)
Li dus est remonteis, de joie mes et vuis.
En sa terre re/vint a mult pouc de desdu[i]t
Malade escouchait, si com l’istore truis
D’une teil maladie dont ne relevait puis.
Mors fut por bien ameir, dont se fut grans anuis,
Et Hugues ont s’amie, kif u cortois et duis.
Bien sont [asavoreit li mal
c’on trait por fine amor loial]
L’etnomusicologo Roberto Leydi e Franco Coggiola
registrano ad Asti negli anni 1964-65 il canto eseguito
da Teresa Viarengo, Gli Anelli, Prinsi Raimund nella lingua regionale Gallo italica piemontese. Nel 1978 lo storico gruppo di Folk-Revival torinese, La Lionetta, esce
con un disco 33 giri intitolato Danze e Ballate dell’area
celtica italiana, dove insieme a Prinsi Raimund sono presentate e restituite all’ascolto La Bergera, La Currenta
occitana[6] ed altre canzoni popolari di evidente radici
provenzali. Queste in sintesi le fonti più facilmente rintracciabili in ambito etnico musicale.
Il Principe Raimondo sposa Mariansòn, subito dopo la
nascita del figlioletto parte per una battaglia, lascia il
fratello minore come custode della fedeltà della sposa e
della incolumità del neonato. Un sedicente Principe di
Lione furbescamente tenta di approfittare della dama
gentile che naturalmente sdegnata e fedele rifiuta. Il
marrano, si reca allora da un orefice per costruire ad
arte la sua menzogna. Due anelli identici a quelli delle
nozze di Mariansòn. Si reca dunque spavaldo dal Principe Raimondo portando come prova dell’infedeltà della dama i gioielli. Il Principe facendo tremare la terra
sotto i piedi arriva al castello impazzito di gelosia.
Anche in questo caso interviene la madre (della Dama)
che invece al contrario della madre di Beatrice, ignara
spinge la figlia e il bambino incontro al marito, il quale
non ci pensa due volte prima di uccidere il figlio e la
sposa. Mariansòn prima di spirare consegna le chiavi
del cofanetto dei gioielli dove Prinsi Raimund scopre di
essere vittima di un raggiro. Si uccide con la sua spada
dall’elsa d’oro.
Testo
1. Prinsi Raimund a s' vol maridè,
dama gentile s'e chiel vol spusè.
L'è pa 'ncur 'n an ca l'è maridè,
o, che la guera i tuca già 'ndè.
9
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
2. Fait a stè cà so fratelìn,
perché i guerneisa 'l so bel fiulìn.
Fait a stè cà so fratelìn,
perché i guerneisa 'l so bel fiulìn.
3. “O, se vi dico, dama gentìl,
vuleisi femi l'amùr a mi?”
“O, no, no, no, o prinsi Liùn.
mi fas pa s' tort a mio marì.”
4. Prinsi Liùn va da l'anduradùr
per fesi fè dui anelùn:
dui anelùn e dui anelìn,
cumpàgn ad cui dla Mariunsìn.
5. Prinsi Raimund l'ha vista venìr:
“o, che nuveli m' purtevi a mi?”
“Buni per mi e grami per vui:
la vostra dama l'ha fami l'amùr.”
6. “La mia dama l'è dama d'unùr,
v'avrà pa favi l'amùr a vui.
La mia dama l'è dama d'unùr,
v'avrà pa favi l'amùr a vui.”
7. “O, ma se al basta nen ad mi,
guardei sì i vost dui anelìn:
dui anelìn e dui anelùn,
cumpàgn ad cui dla Mariunsùn.”
8. Prinsi Raimund munta a cavàl,
sensa la sela e i manca-a i stivai.
E tantu fort ch'ul lu fasìa 'ndè
l' peri dla vila i l' fasìa tremè.
9. La sua mama, ca l'era al balcùn,
l'ha vist el prinsi ch'l'avniva Liùn.
“O, se vi dico, dama gentìl,
andei incuntr' a vostro marì.”
10. “Ma cus i avroni da presentè?”
“O, presentei 'l su fìulin bel.”
“Ma cus i avroni da presentè?”
“O, presentei 'l su fìulin bel.”
11. A l'ha pialu per man e per pè,
giù da i scalè a l'ha falu vulè.
“O, pian, pian, pian, o sur cavaier.
perchè i masevi 'l me fìulin bel?”
12. “O, tas. O, tas, o dama gentìl,
che altretànt na faroni ad ti.
O, tas. O, tas, o dama gentìl,
che altretànt na faroni ad ti”.
13. A l'ha grupa la dama gentìl,
tacà la cua del cavàl grisùn.
E tantu fort ch'ul lu fasìa 'ndè
le pere dla vila i 'l fasìa tremè.
14. “O, ma da già ca i ho da murì,
pievi la ciau del vost cufanìn.
O, ma da già ca i ho da murì,
pievi la ciau del vost cufanìn.
10
15. ”A l'è 'ndurbìnd cul bel cufanìn,
fin a le gioie i fasìu "din din."
s'a l'è 'ndurbìnd cul bel cufanìn,
fin a le gioie i fasìu “din din.”
16. “O, se vi dico, dama gentìl,
pudevi 'ncura rinvenìr?”
“O, no, no, no, o sur cavaier:
vui ei masami 'l me fìuulin bel.”
17. “Campemi giù la mìa spa,
e cula là dal pugn andurà.
Quand a n'avù la sua spa,
o, s'ent al cor a sa s' l'elu piantà”.
18. “Per una lengua che ho scutà mi,
e a l'è in tre nui bisogna murì.
Per una lengua che ho scutà mi,
e a l'è in tre nui bisogna murì.”
Per quanto riguarda la restituzione del testo musicale
come sempre accade nel raffronto tra musica colta e
popolare, pur dovendo affrontare le incolmabili differenze evolutive, ci troviamo oggi nella “situazione medievale” riguardo la musica popolare che viene trascritta solo in tempi recenti e generalmente trasmessa oralmente[7], mentre pur avendo una minima notazione
non mensurale della musica legata alla lirica trobadorica, molti professionisti del settore tentano una ricostruzione.
Una incisione riguardo le Chansons de femmes, è quella dell’Ensemble Ligeriana alla quale faccio riferimento
per ascolti dedicati[8], diverso è il caso di Prinsi Raimund , presente in raccolte specifiche di musiche popolari piemontesi e non. Lo scopo di tale ipotesi non è
infatti un raffronto filologico musicale che non troverebbe nessun fondamento, fatta eccezione per un volo
pindarico tra il testo musicale di Ja nun hon pris attribuita a Riccardo Cuor di leone e la ballata piemontese.
Vorrei per concludere, tornare alla breve introduzione
iniziale e lasciare come possibilità aperta a sviluppi anche “creativi” gli atteggiamenti di autorevoli voci a riguardo, in ambiti che solo apparentemente possono
sembrare troppo lontani tra loro.
Il primo caso è quello del breve saggio del russista
Evelino Gasparini (1900-1982)[9], suggerito durante i
corsi di filologia Romanza dalla Professoressa Anna
Radaelli dell’Università La Sapienza di Roma. Dal titolo “A proposito delle chansons à toile”, apre la ricerca
all’area slava con raffronti e deduzioni che arrivano
fino in Giappone, focalizzandosi sull’arte della tessitura
ma citando anche atteggiamenti e tradizioni colte e popolari musicali, degne di attenzione.
A seguire e non in senso cronologico sono gli studi e le
ricerche dell’etnomusicologa di frontiera Ella von
Schultz-Adaiewsky (1846 – 1916) la musicista russa,
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
originaria di San Pietroburgo, soggiornò in Italia a Tarcento per circa venti estati a cavallo tra XIX e XX secolo e solo dal 2006 con l’occasione di ritrovati manoscritti riguardanti la sua ricerca in area slava, viene studiata e le sue ricerche rese fonte di ispirazione. E’ del
2009 La scoperta del corposo testo autografo della
Adaiewsky, datato 1883 e intitolato provvisoriamente
dall’autrice Un voyage à Résia – Studio sui decametri delle
danze resiane, presentata dall’Associazione Sergio Gaggia
di Tarcento[10].
Rintracciare le fonti colte di gesti musicali popolari o
sacre riguardo tradizioni paraliturgiche è un lavoro affrontato in tempi contemporanei dal Prof. Girolamo
Garofalo, il quale da molto tempo si occupa di rintracciare le fonti manoscritte dell’Abbazia di Grottaferrata
(Roma) e confrontarle con le tradizioni paraliturgiche
in area grecanica di Sicilia. Sicilia dove, vorrei ricordare
è ancora viva la tradizione linguistica Gallo Italica. Individuabile in un territorio compreso tra i comuni di
Nicosia, Sperlinga, Aidone, Piazza Armerina, San Fratello, Novara di Sicilia. Li il lavoro è ancora da iniziare.
“Un importante contributo può venire dall’analisi dell’odierna
tradizione orale. Non perché questa riproponga o rifletta quella
del passato, ma perché l’oralità costituisce una caratteristica universale del fare musica che ha dei meccanismi fondamentali ricorrenti in ogni sua manifestazione. La conoscenza dei processi di
formalizzazione alla base degli attuali repertori tradizionali può
quindi offrire utili suggerimenti per ipotizzare gli scenari sonori
del passato ed i contesti da cui provengono le fonti scritte.”[11]
Partendo dalla lingua come fonte primaria, con tutti i
distinguo del caso, è estremamente interessante un libello attualmente presente nella Biblioteca dell’Università di Toronto ora disponibile integralmente Online
“La lingua delle canzoni popolari piemontesi” del Prof.
Aron Benvenuto Terracini pubblicato nel 1914. Lo
stesso scrive nell’introduzione: A valutare con sufficiente
esattezza le tracce francesi osservate nei nostri cantied a investigare le ragioni del loro mantenimento sarebbe utilissimo un lungo
lavoro preparatorio volto a ritrovare, se non il modello diretto
almeno il filone francese donde ciascuna canzone ebbe origine.
Ora naturalmente il materile di cui si può disporre è relativamente troppo scarso perché si possa, anche nei casi pi favorevoli giungere a tanto: accanto a consonanze di versi e di strofe intere si
trovano per ogni canzone delle continue deviazioni senza che si
possa giungere a stabilire se esse siano una particolarità soltanto
piemontese. Anche la semplice determinazione approssimata
dell’origine non è facile, perché mote volte la canzone è entrata a
pi riprese e da parti diverse in Piemonte; non è neppur possibile,
nonostante l’aiuto di schemi metrici e delle particolarità linguistiche, accertare se le canzoni di origine provenzale ci sian giunte
direttamente dalla Provenza;[…] Tutte le versioni piemontesi del
“Moro saracino” ad es. contengono una particolarità, che si trova
soltanto in una versione della Savoia, di qui dunque passò la
canzone prima di giungere dalla patria Provenza fino a noi.[12]
Dunque, per fortuna o per disgrazia, le fonti musicali
riguardo le chansons de femme sono pochissime, e gli
spunti offerti dalla lirica popolare moltissimi e spesso
ancora viventi. Un lavoro di ricerca comparata che porti a risultati di “incontri impossibili” lo trovo stimolante ed auspicabile. Un lavoro che metterebbe insieme
l’intelligente collaborazione di raffinati specialisti.
Note:
[1] Vedi Rosa Anna Greco, Università del Salento in http://
www.filologialinguistica.unisalento.it/schede/grecora/files/
page47_2.pdf
[2] Le Vot, in bibliografia. Pag.239
[3] Vedi bibliografia
[4] Per visionare la diatriba tra studiosi, vedere l’articolo di P. Jonin
in Ancienneté d'une chanson de toile ? La Chanson d'Erembourg
ou la Chanson de Renaud ? , Cahiers de civilisation médiévale,
1985 Volume 28 n . 112
[5] [T.d.A.] di : Bien sont asavoreit li mal c'on trait por fine amor
loial.
[6] La Curenta é forse la danza più diffusa in Piemonte. La cultura occitana
é presente in Piemonte nelle valli che vanno dall'alta valle di Susa fino alla
valle Vermenagna, questo territorio rappresenta un'area etnicamente e culturalmente autunoma dal resto dell'Italia con radici linguistiche direttamente
legate alla lingua d'Oc. E' uso dei "sunaire" (suonatori) occitani chiudere le
danze con il Balet, un tempo danza autonoma, ora usata appunto come variante conclusiva. [cit. dalla presentazione de La Lionetta]
[7] Troppo complesso ed articolato il discorso per poterlo affrontare in questa sede
[8] Chansons de toile, Bele Ysabiauz pucele bien aprise, Ligeriana Katia Caré, dir.Calliope Cal 9387 [CD]
[9] Vedi Dizionario biografico degli italiani, Treccani , vol.52, 1999
[10] Da considerarsi una pura citazione, non ho visionato nessun
testo dell’autrice e mi riprometto di farlo
[11] Macchiarella Ignazio, introduzione alla giornata di studi
“Musica antica fra colto e popolare” AAVV , vedi Bibiografia
[12] Op. citata in biblico. Pag 3-6
Bibliografia:
- AAVV, Musica antica fra colto e popolare , programma della
giornata di studi 12-21 maggio 2006 , a cura di
G.Garofalo, ed. Comune di Piana degli Albanesi 2006
- Gasparini Evelino, Danze e fiabe del mondo slavo, Università Ca' Foscari, Venezia 1955
- Le Vot Gérard, Pour une problématique à l’interprétation musicale des troubadours et des trouvères, in Studia Musicologica
Academiae scientiarum Hungaricae 27, Budapest 1985
- Mullaly Robert, Cançon de Carole, in Acta musicologica vol 58 fasc.2 dic.1986,IMS 1986
- Schwann-Berens , Grammaire de l’ancien français ,
Leipzig 1900
- Terracini A. Benvenuto, La lingua delle canzoni popolari piemontesi, V.Bona, Torino 1914
- Zink Michel, Belle Essais sur les chansons de toiles, Librairie Honoré Champion 1978
11
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
(Continua da pagina 1)
renze-concerto curate da Giovanni Cappiello e
realizzate in collaborazione con la Biblioteca
Vallicelliana nel Salone Borromini (21 novembre e 5 dicembre 2015). Il tema comune era “Il
fascino del popolare nella Musica e nell'Arte
dal Rinascimento al Barocco” e i due eventi si
intitolavano rispettivamente “Villanella
ch’all’acqua vaje. Origini napoletane e fasti
continentali di un genere fortunato” e “La Cetra e la Sampogna. Voci, suoni, colori del barocco popolare”.
Nell’ambito dell’attività del 2015 va poi ricordata l’edizione del Vol. XXVI (1,2), 2014 di
RECERCARE, stampata dalla casa editrice
LIM di Lucca e curata da Arnaldo Morelli, sotto la cui guida la rivista sta assumendo sempre
maggiore rilevanza internazionale anche grazie
alla diffusione online su JStor. L’attività della
rivista va continuando speditamente, tanto che
entro quest’anno verranno stampati i numeri
2015 e 2016, in modo da colmare il ritardo iniziale con cui la rivista è partita a suo tempo.
Questi anni di presidenza della FIMA mi hanno permesso di venire a contatto con tanti
aspetti del mondo musicale che spesso l’artista,
in quanto tale, non considera. Il ‘backstage’ è
una realtà complessa e governata da regole che
si fanno sempre più vincolanti: il rapporto con
gli enti locali, con il meccanismo dei fondi ministeriali, con i mezzi di informazione, con i
gusti del pubblico, formano tutti insieme una
rete di istanze che nel migliore dei casi si sostengono a vicenda in un delicatissimo equilibrio. Quello che alla fine mi sembra di avere
imparato in questi anni è che il successo di una
manifestazione consista proprio nel saper dosare e conciliare tra loro questi equilibri, sintetizzabili alla fine nel rapporto tra esigenze economiche, prodotto artistico e risposta del pubblico. Nel nostro piccolo mi pare che Urbino
abbia dato una risposta positiva, utilizzando al
meglio le frugali risorse che abbiamo a disposi12
zione e proponendo sempre un’offerta concertistica e didattica di alto livello in linea con i
gusti del nostro pubblico. Per questo devo essere grato innanzitutto al direttore artistico del
festival Marcello Gatti ma anche a tutto lo
staff della FIMA, ridotto ma forte.
Questa riflessione me ne suggerisce un’altra,
un po’ più teorica ma per me importante, che
investe il musicista in prima persona: il rapporto tra impegno culturale e artistico, e esigenze
pratiche. Credo si possa dire senza ombra di
dubbio che il movimento della musica antica
ha avuto fin dal suo inizio una valenza culturale che andava oltre la mera proposta di repertori e pratiche ormai scontate. E penso si possa
affermare che, se pur con intenti e risultati diversi, le motivazioni della musica antica possano essere accostate a quelle della musica contemporanea: ricerca di ‘nuove’ pratiche esecutive, strumentali, sonore; nascita di un nuovo
pubblico; valenza culturale che trascende l’immediata soddisfazione uditiva completandosi
con un approfondimento di tutte le possibili
connessioni, storiche e sociologiche.
La domanda è se questo impegno culturale oggi sia ancora vivo o meno. Le giustificazioni
per un certo allontanamento ci sarebbero: la
musica antica è rimasta nonostante tutto un
fenomeno di nicchia che interessa poco i grandi media; inoltre, le problematiche economiche
a cui i musicisti di professione sono sottoposti
non possono essere nascoste, oggi più che mai.
La tentazione dunque di mollare il rigore, di
cercare nuove strade più accattivanti, è forte.
Al di là di quelli che potrebbero sembrare giudizi di tipo accademico sulla ricerca di soluzioni più commerciali, vorrei semplicemente affermare che il movimento della musica antica è
stato forte finché ha puntato sullo slancio della
ricerca e della sperimentazione; in fondo è questo quello che cerchiamo, piuttosto che la pretesa di ricreare in toto esperienze passate ormai
irrecuperabili. Dunque l’augurio è che si mantenga vivo questo spirito, in modo da proseguire un cammino iniziato molti anni fa. Uno dei
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
concerti del festival di quest’anno si intitola …
un solo cammino…, in cui la liutista Evangelina
Mascardi e l’arpista Lincoln Almada metteranno a confronto l’esperienza della musica popolare e colta delle colonie spagnole nel periodo
barocco: lo interpreto come uno studio degli
elementi comuni tra due tradizioni apparentemente opposte, unite dallo spirito di ricerca e
da una grande esperienza artistica coltivati da
parte degli interpreti. Fa anche piacere che il
festival possa ospitare gruppi giovani che, coniugando una preparazione di alto livello alla
capacità di proporsi in modo convincente sul
mercato, stanno iniziando ad avere il successo
che meritano. Mi riferisco al gruppo abChordis
che si è esibito ad Urbino l’anno scorso, gruppo peraltro nato ad Urbino nei corsi passati, e
al gruppo I Profeti della Quinta che parteciperà
quest’anno. In questo contesto sono molto felice del fatto che il corso di Urbino continui a
rappresentare un’occasione che offre sempre
nuove opportunità agli studenti. Oltre a tutti i
corsi di strumento, che come è noto sono tenuti da insegnanti in grado di proporre idee nuove sulla prassi esecutiva, e alla musica da camera più viva che mai, l’originalità di Urbino sta
nel proporre dei veri e propri laboratori che
proseguono il loro lavoro di anno in anno: penso al corso sull’oratorio romano di Alessandro
Quarta, ogni anno sta proponendo nuovi capolavori, e al corso di ornamentazione di Enrico
Gatti.
punta del festival, tenuto dalla European Comunity Baroque Orchestra. Come è noto questo ensemble ha la sua base in Inghilterra e ha
finora goduto delle sovvenzioni e di tutte le opportunità offerte dalle regole dell’Unione, libera circolazione dei cittadini compresa. Abbiamo ricevuto un messaggio dai responsabili
dell’orchestra, che dichiaravano: “Chiunque sia
coinvolto con la EUBO è sconvolto e rattristato per il risultato del referendum e preoccupato
per le conseguenze che ci saranno per l’EUBO,
per il mondo musicale e per l’Europa. Si tratta
di una vittoria di Pirro basata sulla disinformazione e sulla sconsideratezza da parte dei politici e degli esperti che hanno promosso questa
decisione. In quanto ambasciatrice culturale
dell’Europa, l’EUBO rimane impegnata nel
promuovere i valori e gli ideali europei, come
sta facendo da trent’anni”. Gli effetti della
Brexit si faranno certamente sentire anche in
campo musicale, con la reintroduzione di visti,
permessi di lavoro, regole doganali più strette
che ostacoleranno il passaggio degli strumenti:
tutti elementi che certo non favoriranno l’attività e la circolazione dei musicisti, inglesi e non.
Siamo abituati a pensare, forse con un po’ di
ingenuità, che quella del musicista sia un’attività
che, in quanto divulgatrice di opere che appartengono alla cultura di tutti e realizzate in un
linguaggio a tutti comprensibile, non debba conoscere confini. Tuttavia è importante che noi
musicisti, continuiamo comunque a credere e a
cercare anche nel nostro piccolo di mantenere
Vorrei concludere con una considerazione sug- vivi questi ideali.
gerita da quello che sarà uno dei concerti di
13
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
Cronache
Convegno sui Motetti missales a Basilea: spirito italiano ed efficienza svizzera
Francesco Rocco Rossi
Nell’immaginario collettivo la Svizzera è sinonimo di precisione, di meccanismo perfettamente oliato e straordinariamente funzionante. Ciononostante negli ultimi anni mi era
capitato con frequenza crescente di rilevare segni di senso
opposto tali da annullare questa tradizionale visione di elvetico rigore.
Ebbene, lo scorso aprile ho avuto l’occasione di ricredermi
e riequilibrare il mio giudizio grazie a un convegno organizzato a Basilea in cui tutto (dai paper al catering) ha funzionato alla perfezione. Mi riferisco al convegno intitolato «Motet
Cycles between Devotion and Liturgy» tenutosi nei giorni 8
e 9 aprile 2016 presso la Schola Cantorum Basiliensis e scaturito dal progetto di ricerca «Motet cycles (c.1470-c.1510) –
Compositional design, performance, and cultural context»;
un progetto interessante e ambizioso condotto all’interno
della celeberrima schola di Basilea e mirato alla catalogazione
e studio del repertorio mottettistico tardo-quattrocentesco
perlustrato a largo spettro dall’esame dei testi messi in musica fino alle strategie compositive e al contesto produttivo
(v. web site: http://www.motetcycles.com/). Il research team,
composto da Daniele Filippi, Marie Verstraete e Felix Diergarten, è capitanato da Agnese Pavanello la quale si è rivelata oltre che un’eccellente Project leader, anche una straordinaria organizzatrice e padrona di casa.
Tutto ha funzionato alla perfezione – si diceva –, ma procediamo con ordine. ‘Sorvegliato speciale’ tra gli oggetti di
indagine è il repertorio dei cosiddetti Motetti missales, ossia
un corpus di composizioni attestate nei famosi Libroni del
Duomo di Milano confezionati sotto la direzione di Franchino Gaffurio (v. infra). E proprio questi cicli sono stati
oggetto privilegiato di studio da parte di un gruppo di studiosi autorevoli provenienti da Europa e America i quali
dapprima li hanno scandagliati ciascuno sotto la propria
peculiare prospettiva disciplinare (dalla codicologia alla liturgia musicale e dalla filologia latina ai contesti culturali, ecc.
ecc. ecc.) e poi, radunatisi in convegno a Basilea, per due
giornate li hanno posti sotto un riflettore condividendo gli
esiti delle proprie ricerche.
Il menu del convegno, a dire il vero, è stato preceduto da un
graditissimo quanto inaspettato ‘antipasto’: nel pomeriggio
del 7 aprile, infatti, Joshua Rifkin, senza ombra di dubbio
tra i più autorevoli partecipanti, ha tenuto per la Società
Musicologica Svizzera una lectio magistralis dal titolo
«Analyse, Aufführungspraxis, Werkidentität. Beispiele und
Betrachtungen»; una conferenza improntata a estremo rigore scientifico e, nel contempo, godibilissima grazie a divertite quanto competenti incursioni in repertori parecchio distanti dalla Early Music quali, per esempio, quello della Rhapsody in Blue di Gershwin perlustrata nei suoi possibili risvolti
performativi. Ma si sa, solo in Italia i musicologi sono monoliticamente aggrappati al proprio unico ed esclusivo campo di indagine!! Il giorno dopo, puntuale come un orologio
svizzero, il convegno si è ufficialmente aperto con i saluti
istituzionali (Thomas Drescher, Direttore della Schola e,
14
naturalmente Agnese Pavanello) e con un’altra autorevolissima lectio: Andrew Kirkman che con «Meditation, Meaning
and the Mass: the Ordinarium Missaeand Beyond» ha delineato lo sfondo liturgico musicale nel quale di lì a poco si
sarebbero collocate le riflessioni dei convegnisti.
Per due giorni si sono susseguiti i paper di esperti musicologi
internazionali fra cui anche (da accostare agli altri due fuori
classe sopra menzionati) David Fallows il quale non ha letto
alcuna relazione, ma è stato moderatore di una sessione (la
mia!!) e, oltre a partecipare molto assiduamente con domande e osservazioni al termine di molti interventi, ha fatto parte della tavola rotonda posta a conclusione del convegno.
Impossibile sarà illustrare in questa sede tutti gli interventi
susseguitisi nelle due intense giornate per cui mi limiterò a
citare quelli che maggiormente mi hanno colpito rimandando, per tutti gli altri, alla lettura degli abstract disponibili online (http://www.motetcycles.com/conference04_2016.html) e, soprattutto, alla prevista edizione degli atti.
Prima di procedere, però, mi pare opportuno fornire ai non
quattrocentisti qualche sintetica notizia a proposito dei Motetti missales.
Detto il più succintamente possibile, si tratta di mottetti,
perlopiù raggruppati in cicli di otto composizioni, utilizzati
per sostituire altrettante sezioni della messa: brani polifonici
(spesso con testo mariano ed estrapolato dal repertorio di
inni e sequenze) cantati in corrispondenza (e in sostituzione) dell’Introito, Gloria, Credo, Offertorio, Sanctus, Elevazione, Agnus Dei e Deo Gratias. Questa prassi è stata da
sempre associata alla liturgia milanese tardoquattrocentesca
a fronte dell’attestazione limitata ai quattro libroni di Gaffurio tuttora conservati presso l’Archivio della Veneranda
Fabbrica del Duomo di Milano. Fanno eccezione solo due
cicli attestati nel Ms. 3154 oggi conservato presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera, ma vergato anch’esso nel tardo XV secolo a Innsbruck. In tutto si contano solo otto cicli a noi pervenuti di cui sei contenuti nei
codici milanesi e composti da eccellenti compositori in forza presso l’entourage sforzesco – Weerbecke (2 cicli), Compère (3 cicli), Gaffurio (1 ciclo) – più i due cicli del ms. 3154
anonimi e attribuiti a Martini da Thomas Noblitt. È un repertorio affascinante perché, oltre che meraviglioso (vista la
caratura dei compositori che vi si cimentarono), mantiene
ancora dei punti oscuri e ignoti che stuzzicano l’interesse
vivissimo dei musicologi quattrocentisti: «dove venivano
eseguiti? in Duomo o nella Cappella Ducale del Castello o
altrove?»; «perchè erano così concepiti?»; «erano composti
ed eseguiti per qualche particolare evento?»; «come si conciliava la lettura silente dei passi della messa con la contemporanea intonazione di testi differenti?».
Interrogativi, questi, che si sommano ad altri relativi alla
paternità non solo dei due cicli tirolesi, ma anche, per esempio, di uno di Compére (Ave Domine Jesu Christe). Oppure,
ancora, si pensi al mistero che circonda il titolo del ciclo più
rappresentativo di tutti – la Missa Galeazescha di Compère –:
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
composto per Galeazzo o Giangaleazzo Sforza, oppure,
ancora per Bona Sforza? Si comprende bene, quindi, come il
convegno di Basilea già prima di iniziare si presentasse come
un’occasione ghiottissima per vedere in azione la musicologia mondiale intenta a dirimere almeno alcuni punti e, nel
contempo, a tracciare nuove pista di indagine e fornire nuove prospettive di studio. E così è stato.
Eva Ferro («One ‘Text’ through Many Voices: Techniques
of Textual Composition and the Articulation of Meaning in
the Milanese Motet Cycles») ha affrontato lo studio del repertorio milanese con la lente della filologa latina scandagliando i testi e le relative fonti e dimostrando come, all’atto
della loro ‘messa in musica’, essi venissero manipolati acquisendo varianti testuali di tale portata da conferire alle composizioni musicali lo statuto di veri e propri ulteriori testimoni. Una prospettiva, quella testuale, decisamente importante e che ha impegnato anche Daniele Filippi («Where
Devotion and Liturgy Meet: Gleanings from Milanese Archives about and around the Motetti missales») il quale,
comparando i dati raccolti dalla campagna archivistica condotta all’interno del progetto, si è interrogato sui possibili
testimoni (ossia sui volumi) consultati dai compositori per
dare vita ai testi poi messi in musica. E il risultato è esplosivo perché destabilizza la visione fin troppo settoriale dei
rapporti tra la vita religiosa e musicale dell’epoca in oggetto.
Anche Marie Verstrate («Random Patchwork or Deliberate
Design? A Typologizing Approach to Polyphonic Mass
Forms in the Milanese Libroni») ha ‘movimentato’ le nostre
conoscenze osservando in controluce l’indice del terzo librone gaffuriano al fine di cogliere le differenze tra i diversi
cicli (non solo missales, quindi). Tutto questo con lo scopo
dichiarato di verificare se le diverse tipologie (formalizzate
dalla musicologia moderna; n.d.a.) corrispondessero a diverse esigenze liturgico – rappresentative. Agnese Pavanello
(«Textual and Compositional Strategies in Gaspar van Weerbeke’s Ave mundi domina and Quam pulchra es») ha sollecitato precisi interrogativi sottoponendo a dubbio critico alcune convinzioni relative ai due cicli di Weerbecke che meritavano di essere sottoposte quantomeno a ‘revisione’. Partendo, quindi, soprattutto dagli aspetti testuali la studiosa ha
portato alla luce nuove caratteristiche, finora inavvertite, che
modificano lo statuto dei motetti missales.
E proprio questo è il punto: qual è il vero statuto di questi
cicli? La definizione che sopra ho sinteticamente illustrato
corrisponde, per l’appunto, allo statuto formalizzato diversi
anni fa dalla musicologia moderna e mai messo in discussione. Ma nel corso delle due giornate di convegno alcune sonore spallate sono state date a questo paradigma – a mio
avviso un po’ troppo artificiale e, come si è detto, creato a
tavolino nel Novecento in sede di studi musicologici –
aprendo le porte a nuove prospettive. Penso (per citare l’intervento che mi è parso più forte!) alla posizione di Birgit
Lodes («Motetti missales from Munich: Perspectives and
Problems») la quale respingendo l’idea dell’esclusiva
‘milanesità’ di tale repertorio ha illustrato una serie di composizioni apparentemente estranee sia al repertorio in esame
sia all’ambiente milanese di cui paventa l’afferenza alla prassi
dei motetti missales. Ebbene sì! Sono uscito da questo conve-
gno con la sensazione di aver assistito (anzi, nel mio piccolo,
di aver preso parte) a una svolta; a un’apertura verso nuovi
scenari, finalmente svincolati dello status quo nel quale la musicologia (soprattutto quella italiana) fin troppo indulgeva.
Ora non resta che da qui ripartire e approfondire i nuovi
aspetti emersi a Basilea; tutto ciò con quel pizzico di pragmatismo (o, se si preferisce, di sano rifiuto dei preconcetti)
che ha contraddistinto questo formidabile convegno. E, per
quel che concerne il ‘ripartire’...... è già prevista una giornata
di studi, stavolta milanese, che si terrà il prossimo 14 ottobre
presso la sede centrale dell'Università Statale in via Festa del
Perdono. Nonostante l’entusiasmo che (spero) traspare da
queste poche righe devo confessare che qualche intervento
(molto pochi) mi ha lasciato indifferente e almeno uno decisamente non mi è piaciuto: mi riferisco al paper di Claire Bokulich («Clarity and Graceful Simplicity: Examining the Role
of Tripla in the Motetti Missales») le cui prese di posizione
sulle peculiarità mensurali dei mottetti mi sono parse affrettate, poco circostanziate e per nulla convincenti. Ma è sempre difficile recensire una relazione; scriverò qualcosa di più
motivato (magari ribaltando il mio giudizio) dopo aver tranquillamente letto il suo articolo negli atti.
Per concludere, ritornerei agli aspetti organizzativi dell’intero convegno, giusto per ribadirne il funzionamento quasi
cartesiano estendendo le osservazioni agli aspetti.....meno
musicologici. Penso ai momenti di break che, pur millimetricamente inseriti nelle maglie delle tabelle di marcia congressuali, sono stati momenti di vera convivialità. E non mi riferisco tanto ai tradizionali coffee-break (in genere cartina di tornasole della qualità dell’accoglienza di un evento) sicuramente molto ben allestiti, ma alle cene e ai pranzi: momenti di
sosta che ci hanno condotto in location ogni volta differenti e
sempre di alta qualità. Ma in questo caso – questo lo devo
proprio dire – la proverbiale efficienza svizzera non sarebbe
bastata se non si fosse sposata con l’ospitalità tutta italiana
che ha costituito uno dei tratti degni di elogio di Agnese
Pavanello la quale, oltre a monitorare con attenzione il livello scientifico dell’evento e curarne dettagliatamente tutti gli
aspetti organizzativi, non ha mai lesinato attenzioni per tutti
gli ospiti i quali – ne sono certo – si sono sentiti a casa propria.
E – con questo concludo veramente – al termine di ciascuna
relazione non ho mai assistito al fuoco di fila di domande
pretenziose e lunghe come interventi che caratterizzano la
maggior parte dei convegni: domande che in genere denunciano una inopportuna carica di protagonismo e servono a
mettere in difficoltà il relatore (purtroppo la querelle è di casa
nei convegni musicologici). A Basilea, nulla di tutto ciò: certamente le obiezioni e i dubbi non sono mancati, ma sono
sempre stati formulati con rispetto e spirito amichevole. E
anche questo è un gran merito!!
15
Bollettino della Fondazione Italiana per la Musica Antica
Fondazione Italiana per la Musica Antica della SIFD
Via Col di Lana 7 - 00195 Roma
Tel e Fax 06/3210806
PRESIDENTE Andrea Damiani - PRESIDENTE ONORARIO Giancarlo Rostirolla
COMITATO DIRETTIVO - Giovanni Cappiello, Celestino Dionisi, Franca Maraschini,
Renato Meucci, Orietta Startori,
TESORIERE Massimo Monti - SEGRETERIA Lara Amici
BOLLETTINO a cura di Giovanni Cappiello
Sito Internet: www.fima-online.org
Posta elettronica: [email protected]
Modalità e quote di rinnovo associativo per l’anno 2016
Quota rinnovo ordinario con il ricevimento del solo Bollettino
Quota rinnovo ordinario con il ricevimento di tutte le pubblicazioni edite nel 2016
Quota di socio sostenitore
“
“
“
“
“
“
Quota di socio benemerito
“
“
“
“
“
“
€ 25
€ 35
€ 55
€ 105
La presentazione di un nuovo socio dà diritto al rinnovo gratuito (€ 25) per l’anno 2016. Qualora il socio proponente desiderasse ricevere le pubblicazioni (Rivista Recercare e Musiche relative all’anno associativo) dovrà versare la differenza
di € 10. Il socio proponente dovrà trasmettere la propria richiesta di rinnovo unitamente all’iscrizione del nuovo associato.

(da spedire unitamente a fotocopia del versamento)
alla Fondazione Italiana per la Musica Antica della SIFD
C.P. 6159—Roma Prati
Il sottoscritto
Indirizzo (completo di CAP)
Tel/fax
Professione
Strumenti suonati
 livello medio
 semi-professionale
 professionale
Rinnova la sua adesione per l’anno 2016 versando la quota di € ………… a mezzo:
c/c postale n. 48457006 intestato a Fond. Italiana per la Musica Antica della SIFD
assegno bancario NT intestato a Fond. Italiana per la Musica Antica della SIFD
presenta l’iscrizione del nuovo socio …………………………………………………………..
e chiede il rinnovo gratuito per l’anno 2016, come previsto dalle modalità di iscrizione.
Data e firma
16