I DOMENICA di AVVENTO - Sito della Parrocchia san Giuseppe

DOMENICA DI PASQUA
«RISURREZIONE DEL SIGNORE»
Veglia pasquale
Nella Notte Santa
Nella Veglia pasquale vengono proposte nove letture, sette dall’Antico Testamento e due dal
Nuovo. Quando le circostanze lo richiedono, per motivi pastorali, il numero delle letture può
essere ridotto: tre letture dall’Antico Testamento, e in casi più urgenti soltanto due prima
dell’epistola e del Vangelo; non dovrà mai essere tralasciata la lettura dell’Esodo sul passaggio
del Mar Rosso (terza lettura).
Con la morte di Gesù la “Parola di Dio” è giunta a compimento, i fedeli hanno vegliato
muti presso la sua tomba riponendo ogni speranza nella misericordia divina. Nessuno
nella lunga storia dell’umanità ha lasciato un “vuoto” così grande come Gesù di
Nazareth perché, come afferma il teologo Hans Urs Von Balthasar, “...egli, che con
forza è entrato nella storia, non è più afferrabile all’interno di essa dove ha creato
un’apertura che non si chiuderà più; ciò che viene donato alle donne, al posto di
questo vuoto, è la gioia del messaggio ai discepoli, una gioia che è resa più profonda
dal fatto che il Signore stesso appare loro e rinnova la missione. Esse devono andare
in Galilea, dove tutto è cominciato e dove deve iniziare la nuova vita...”.
Quindi, per ogni vero credente, la “Veglia pasquale” significa rinnovare la propria
missione cristiana proclamata nella preparazione alla celebrazione battesimale ed
eucaristica; essa è accompagnata da nove letture bibliche che illustrano la “via della
salvezza”, sette tratte dall’Antico Testamento e le ultime due (epistola e pagina
evangelica), dal Nuovo Testamento. Le prime evocano i grandi fatti della storia sacra
(la creazione, il sacrificio di Abramo, il passaggio del Mar Rosso), e le “pagine” più
significative dell’insegnamento profetico; le seconde annunciano il grande mistero
della Risurrezione di Cristo. In questa notte illuminata dal “cero pasquale”, segno della
presenza luminosa del Cristo risorto, la Liturgia della “Parola”, che un tempo costituiva
l’ultimo insegnamento ai catecumeni prima del Battesimo, ricorda a tutta la comunità
cristiana, che si prepara a rinnovare le promesse battesimali, i fatti salienti della
salvezza e i valori essenziali della nuova vita di figli di Dio.
PRIMA LETTURA
Genesi 1,1-2,2
Questa pagina della Bibbia, che presenta l’origine dell’universo, è relativamente
recente (secondo gli studiosi, non sarebbe anteriore del V secolo a.C.); l’Autore Sacro,
infatti, oltre a riferirsi all’antico racconto della Genesi, dimostra di conoscere anche le
più recenti dottrine mitiche e filosofiche sulla formazione dell’universo tipiche del
mondo pagano e, per evidenziare il contenuto monoteista del suo racconto, utilizza
anche l’insegnamento dei grandi profeti. L’autore è quasi sicuramente un sacerdote
che vuole ricondurre il popolo eletto a una migliore osservanza del sabato descrivendo,
per questo, l’organizzazione del mondo nel quadro di una settimana divina formata
da sette giorni (sei per il lavoro e uno per il riposo sabbatico). Naturalmente
l’ordinamento dell’universo non deve essere visto secondo l’“esamerone” (parola che
indica la narrazione biblica della creazione, avvenuta in sei giorni), ma solo come la
realizzazione della volontà divina, che nel tempo è riuscita ad armonizzare ogni cosa
(dove ora regna l’ordine, c’era la confusione; dove è presente la pienezza degli esseri,
c’era il vuoto). Si tratta, infatti, di una presentazione della creazione senza nessuna
pretesa scientifica, dove non si vuole spiegare come si realizzò effettivamente l’origine
degli esseri (che l’autore ignora profondamente, e sulla quale nessuna luce è venuta
dalla rivelazione), ma solo affermare l’onnipotenza della volontà divina, che attua le
sue opere semplicemente manifestandole (Dio dice e tutto è fatto).
È affascinante come in questo racconto della creazione, nella progressione degli
avvenimenti, venga rispettato lo stesso ordine indicato dalle moderne teorie sulla
formazione dell’universo. Nel primo giorno Dio vince le tenebre creando l’alternarsi
del giorno e della notte; nel secondo crea le acque inferiori (quelle degli oceani e dei
fiumi) e quelle superiori (le riserve pluviali); nel terzo fa emergere le terre dalle acque
e le ricopre di ogni forma vegetale; nel quarto predispone che il giorno e la notte siano
illuminati dagli astri, che serviranno anche per l’orientamento e per il calendario; nel
quinto popola il cielo di uccelli e le acque di pesci e di mostri marini (questi mostri non
rappresentano le forze del male o delle divinità cattive, come in certe cosmogonie
antiche, ma solo i grandi cetacei); nel sesto riempie la terra di animali e crea l’uomo;
nel settimo (il sabato divino) Dio cessa ogni suo lavoro (e si riposa). Secondo gli
studiosi questa “scelta divina” è la trasposizione letteraria di una prassi umana già in
uso da lungo tempo, indubbiamente già da prima di Mosè, e diventerà motivo liturgico
per imporre il riposo sacro settimanale.
Questo racconto si differenzia da quello classico della creazione dell’uomo, dove Dio
utilizza l’argilla o la polvere (per l’uomo) e la costola dell’uomo (per la donna);
l’autore, infatti, riferisce solo che l’onnipotenza divina creò l’uomo a sua immagine per
dominare tutti gli animali del creato. L’uomo, quindi, pur assomigliando a tutti gli altri
animali nel corpo e nella sessualità, si differenzia per la sua natura spirituale e per il
suo potere procreatore, perché immagine di Dio. Per quanto riguarda il nutrimento,
sia per l’uomo, sia per gli animali, secondo il racconto della Genesi, inizialmente era
previsto solo l’aspetto vegetariano, nella Bibbia la carne come cibo sarà segnalata
soltanto dopo il diluvio universale.
Questo stupendo brano del “Pentateuco” proposto dalla Liturgia come prima lettura,
vuole soprattutto ricordare come “la nuova creazione”, che illuminata dalla luce di
Cristo risorto incomincia proprio in questa notte pasquale, debba essere lo stimolo per
ogni vero cristiano a diventare una nuova creatura in un mondo completamente
rinnovato.
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PRIMA LETTURA []
Dal libro della Gènesi
(1,1-2,2)
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta
e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle
acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa
buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno,
mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno
primo.
Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le
acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque che
sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento.
E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu
mattina: secondo giorno.
Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico
luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto
terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era
cosa buona. Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che
producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con
il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. E la
terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna
secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il
seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu
sera e fu mattina: terzo giorno.
Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per
separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni
e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per
illuminare la terra». E così avvenne. E Dio fece le due fonti di luce
grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte
di luce minore per governare la notte, e le stelle. Dio le pose nel
firmamento del cielo per illuminare la terra e per governare il giorno
e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa
buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: «Le acque brùlichino di esseri viventi e uccelli volino
sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi
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mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brùlicano nelle
acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro
specie. Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi
e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si
moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie:
bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così
avvenne. Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il
bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo,
secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra
somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul
bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano
sulla terra».
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e Dio disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su
tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il
vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e
a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita,
io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto
aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina:
sesto giorno.
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro
schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che
aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva
fatto.
Parola di Dio.
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SECONDA LETTURA
Genesi 22,1-18
Nel contesto pasquale il sacrificio di Isacco non può che ricordare il sacrificio di Cristo,
permesso dal Padre per dimostrare la sua grande potenza nel risuscitarlo, a
giustificazione dell’intera umanità. In questa lettura Dio chiama Abramo una seconda
volta (nella prima l’aveva invitato ad abbandonare il padre e il suo passato), per
chiedergli di immolare il suo unico figlio, e di conseguenza compromettere per sempre
il suo futuro. Il capostipite del popolo eletto, fedele al suo Signore, si incammina
ancora una volta verso il luogo (il monte Moira) che Dio gli indica, consapevole che
questa seconda obbedienza lo porterà a perdere il figlio della promessa nato da Sara;
una prova durissima (giunta quando anche l’altro figlio Ismaele avuto da una schiava
è stato allontanato insieme a sua madre Agar), che sembra annullare tutte le
promesse divine di una grande discendenza. Anche se il testo non parla della
sofferenza di Abramo, delle sue lacrime e della tragedia di un padre chiamato a
immolare il figlio, il Salmo accostato alla lettura suggerisce i sentimenti che
sicuramente ha provato il grande Patriarca (...non abbandonerai la mia vita nel
sepolcro, ne lascerai che il tuo santo veda la corruzione).
In questa drammatica situazione emerge cristallina l’obbedienza di Abramo, e il suo
pieno attaccamento al Signore della vita che lo ha reso padre, al Dio dell’alleanza e
della fedeltà che non può abbandonarlo; un gesto al quale si ispirerà ogni sacrificio
presentato a Dio nel tempio di Gerusalemme, dove la perfezione del culto d’Israele è
rappresentato dalla totale adesione alla volontà di Dio, della quale Abramo è
paradigma. L’immolazione della carne degli animali sarà gradita al Signore solo se il
popolo eletto saprà offrire tutto se stesso poiché, a differenza delle altre nazioni, ha
ricevuto la vita come dono e non per un proprio diritto; la vera prova consiste nella
fedeltà e nell’obbedienza (di Abramo) e non nell’offerta (del figlio Isacco). Il testo,
anzi, vuole polemizzare contro i sacrifici dei primogeniti in uso presso altre civiltà del
tempo, ed è per questo che “L’angelo del Signore” ferma il braccio di Abramo. Dopo
l’esperienza del Moira ad Abramo viene promessa (ancora una volta) una discendenza
numerosa come le stelle del cielo e la sabbia del mare, nella quale si diranno benedette
tutte le nazioni che vivono sulla terra; il “Monte del sacrificio” diventa così un luogo di
benedizione e di vita, dal quale il Patriarca può contemplare il grande progetto di Dio
che vede tutta la sua vita sotto il segno della benedizione divina.
Dio non chiama l’uomo una sola volta nella vita (nel giorno del battesimo, del
matrimonio o dell’ordinazione presbiterale), ma continua a “provarlo” nella sua
vocazione per costatare se con il passare degli anni la sua fede rimane integra. Come
ad Abramo, Dio mostra a ogni uomo quale sia il disegno divino per la sua vita o,
meglio, quali siano le tappe sulla strada che ha tracciato; come Abramo, ogni vero
cristiano è chiamato a procedere senza tentennamenti verso la meta prevista da Dio.
Nell’originale ebraico il testo afferma che Abramo deve salire “su uno dei monti”, che
presuppone una salita di vetta in vetta prima di arrivare alla cima più alta di tutta la
montagna, dalla quale sarà possibile vedere e contemplare in pienezza ogni cosa; le
difficoltà che si incontrano per salire verso la vetta più elevata permettono a Dio di
penetrare nel cuore dell’uomo, e all’uomo di contemplare il suo Signore.
Commenti tratti da: Istituto Agosti BL –Parole di Vita (agosti.it)
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SECONDA LETTURA []
Dal libro della Gènesi
(22,1-18)
In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!».
Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che
ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un
monte che io ti indicherò».
Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi
e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio
verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò
gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi
servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù,
ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna
dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e
il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme.
Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose:
«Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è
l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si
provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti
e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato;
qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e
lo depose sull’altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e
prese il coltello per immolare suo figlio.
Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo,
Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la
mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio
e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna
in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in
olocausto invece del figlio.
Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice:
«Sul monte il Signore si fa vedere».
L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta
e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai
fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti
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colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua
discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido
del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.
Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della
terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
Parola di Dio.
Commenti tratti da: Istituto Agosti BL –Parole di Vita (agosti.it)
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TERZA LETTURA
Esodo 14,15-15,1
La terza lettura di questa “Veglia pasquale”, tratta dal libro dell’Esodo, è la sintesi
della fede di Israele; essa narra l’uscita dall’Egitto del popolo eletto che, consapevole
di essere debitore della propria libertà all’intervento divino, si incammina guidato da
Mosè verso i pericoli del deserto per raggiungere la terra promessa. La rilettura
neotestamentaria vede in Israele tutto il popolo di Dio, che con il battesimo sarà
accompagnato da Cristo verso la salvezza eterna. Quello che colpisce in questo
bellissimo racconto è la costante presenza di JHWH che parla, guarda e agisce
assicurando di mantenere la sua promessa a un popolo fiducioso che crede in lui
incondizionatamente; affascinante è la sua presenza in una colonna misteriosa, oscura
o luminosa, che indica la strada verso la salvezza e protegge il popolo dai nemici.
Contrariamente all’usanza tipica della cultura orientale del tempo di attribuire ogni
prodigio direttamente alla “mano” Dio, in questo brano l’Autore Sacro parla anche
delle forze naturali e di un uomo di cui JHWH si serve (il vento dell’est che fa ritirare
il mare, Mosè lo divide alzando la sua verga e stendendo la mano); nel testo si
alternano continuamente l’azione diretta di Dio e l’intervento di Mosè, che agisce sugli
elementi in virtù di un potere provvidenziale che gli permette di aprire le acque del
mare. Gli studiosi affermano che il “mare” attraversato dal popolo in fuga,
comunemente definito Mar Rosso, in realtà era una laguna o un terreno paludoso,
abitualmente ricoperto dalle acque, a volte guadabile a causa della marea e del vento;
mentre Israele riesce ad affrontarlo senza problemi, i cavalli e i carri egiziani (più
pesanti) s’impantanano nell’acquitrino, e nel tentativo di retrocedere si rovesciano
mentre le acque, a causa della marea, rifluiscono su di essi. Il tutto naturalmente per
l’intervento divino. Quindi l’acqua che s’innalza come una muraglia a destra e a sinistra
degli Ebrei, è semplicemente una visione poetica di quanto accaduto che
evidentemente non deve essere presa alla lettera.
L’avvenimento rimane comunque fondamentale per la storia del popolo eletto, si tratta
infatti di una specie di battesimo che segna la fine di una lunga schiavitù e l’inizio del
cammino verso la terra promessa, verso l’incontro solenne con Dio ai piedi del Sinai.
Al termine di questa lunga preparazione quaresimale Dio, che ha atteso l’antico popolo
di Israele nel deserto, attende ora l’umanità intera nella Chiesa di Cristo per amarla e
accompagnarla verso il “cielo” nella vera terra promessa. La nube e il mare che
univano gli Ebrei a Mosè, loro capo provvidenziale, sono visti da san Paolo (nella sua
prima lettera ai Corinzi) come una prefigurazione del battesimo cristiano, che unisce
al Cristo salvatore chi riceve tale Sacramento nell’acqua e nello Spirito. La Chiesa in
questa “Veglia pasquale”, tradizionalmente ultima preparazione dei catecumeni al
battesimo, invita ogni credente a rinnovare con fede ogni promessa battesimale, e
sentirsi così vero popolo di Dio.
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TERZA LETTURA
Dal libro dell’Esodo
(14,15-15,1)
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me?
Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il
bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti
entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli
Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul
faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli
Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia
gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».
L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò
posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal
davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani
e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli
altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli
altri durante tutta la notte.
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la
notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo
asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare
sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a
sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi
carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di
nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta.
Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle.
Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il
Signore combatte per loro contro gli Egiziani!».
Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si
riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese
la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello
consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il
Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e
sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che
erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure
uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo
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al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a
sinistra.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e
Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la
mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e
il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e
dissero:
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QUARTA LETTURA
Isaia 54,5-14
La quarta lettura, che appartiene al libro del Profeta Isaia o, meglio, del Secondo Isaia,
racchiude la sintesi della storia del popolo eletto e del suo rapporto con il Signore. Con
l’immagine tipica della sposa ripudiata dal compagno, l’autore presenta il popolo eletto
in esilio lontano dalla propria patria a causa della “collera” divina che, nel senso biblico,
rappresenta la reazione di Dio al peccato dell’uomo; egli però è amore e misericordia
e promette alla sposa di realizzare con lei una nuova alleanza e di riportarla al suo
antico splendore; un dono (la nuova alleanza) che unito al perdono rappresenta il
frutto della sua misericordia redentrice. Quindi, Dio si manifesta a Gerusalemme
(sotto diversi titoli o nomi) per infondere fiducia e ricordare il carattere temporaneo
del castigo, sottolineando così il suo desiderio di riconciliazione.
Secondo Isaia, Dio è lo Sposo di Gerusalemme, il suo creatore, il Signore dell’universo,
il Santo d’Israele, il suo liberatore e l’unico vero Dio di tutta la terra. In queste
affermazioni gli studiosi vedono delle importanti indicazioni dottrinali dalle quali
emerge sia il più puro monoteismo semitico, sia il grande amore di Dio per il popolo
che egli ha scelto per farsi conoscere da tutta l’umanità. Per sottolineare la sua libera
scelta per Israele Dio, tramite i suoi profeti, ha esaltato l’alleanza conclusa al Sinai
paragonandola a un contratto di matrimonio. Purtroppo Israele, sposa volubile e
infedele, si è spesso “invaghita” di amanti indegni (i falsi dei), per poi ritornare, più o
meno pentita, al suo Sposo divino che non cesserà mai di essere paziente,
misericordioso e fedele all’amore nuziale votato a Israele nella più alta purezza.
Sempre secondo Isaia, Dio è anche il Santo d’Israele, e questo soprattutto per i grandi
prodigi compiuti per liberare il suo popolo dall’oppressione degli empi, in particolare
dalla schiavitù babilonese. È bello costatare come il Profeta, in questa stupenda pagina
biblica, sottolinei che Dio è il creatore e il redentore del suo popolo; egli ha creato
tutta l’umanità, ma ha “modellato” Israele con paterno amore sin dalle origini
(Adamo), e nel corso dei secoli successivi (Abramo e Mosè) fino a Gerusalemme. E
anche ora, che Israele è divenuta infedele e si è allontanata dalla via della salvezza,
egli non divorzierà da lei (Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?), perché
il suo amore è più grande di ogni peccato ed è pronto, in ogni momento, a trasformarsi
in misericordia.
In questa “Veglia pasquale” che segue il periodo austero della Quaresima, già
illuminata dalla gioia della Risurrezione, le parole del Profeta Isaia ricordano a ogni
cristiano che la nuova Gerusalemme è la Chiesa di Cristo; essa, anche se ha affrontato
delle dure prove non è mai stata distrutta, anche se ha conosciuto momenti di
appannamento e di peccato è sempre presente nella storia dell’uomo, con i suoi pregi
e con le sue colpe che solo Dio può conoscere e valutare. E in questa Chiesa, a volte
così contestata, lo Sposo è Cristo, il Santo di Dio, il Redentore del genere umano; egli
è anche lo sposo di ogni cristiano nel quale si ripete ogni giorno la stessa storia del
popolo eletto (unione fervente, peccato, castigo, ritorno a Dio, accoglienza
misericordiosa, restaurazione dell’intimità soprannaturale). Come dice Giovanni
nell’Apocalisse, la Chiesa trionfante in cammino verso il cielo è sempre pronta ad
accogliere ogni discepolo di Cristo, che illuminato dallo Spirito Santo, continui a vivere
nella Nuova Alleanza in pace e con la certezza di essere amato da Dio di un amore
eterno.
Commenti tratti da: Istituto Agosti BL –Parole di Vita (agosti.it)
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QUARTA LETTURA
Dal libro del profeta Isaìa
(54,5-14)
Tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome;
tuo redentore è il Santo d’Israele,
è chiamato Dio di tutta la terra.
Come una donna abbandonata
e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore.
Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?
- dice il tuo Dio.
Per un breve istante ti ho abbandonata,
ma ti raccoglierò con immenso amore.
In un impeto di collera
ti ho nascosto per un poco il mio volto;
ma con affetto perenne
ho avuto pietà di te,
dice il tuo redentore, il Signore.
Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato
le acque di Noè sulla terra;
così ora giuro di non più adirarmi con te
e di non più minacciarti.
Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero,
non si allontanerebbe da te il mio affetto,
né vacillerebbe la mia alleanza di pace,
dice il Signore che ti usa misericordia.
Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata,
ecco io pongo sullo stibio le tue pietre
e sugli zaffiri pongo le tue fondamenta.
Farò di rubini la tua merlatura,
le tue porte saranno di berilli,
tutta la tua cinta sarà di pietre preziose.
Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore,
grande sarà la prosperità dei tuoi figli;
sarai fondata sulla giustizia.
Tieniti lontana dall’oppressione, perché non dovrai temere,
Commenti tratti da: Istituto Agosti BL –Parole di Vita (agosti.it)
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dallo spavento, perché non ti si accosterà.
Parola di Dio.
Commenti tratti da: Istituto Agosti BL –Parole di Vita (agosti.it)
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QUINTA LETTURA
Isaia 55,1-11
Il Signore vuole che la “Nuova Alleanza”, offerta al suo popolo con il ritorno dall’esilio
alla terra del padri, sia anche il segno di una vera ricerca del suo perdono; essa è
indirizzata, in particolare, a quella famiglia spirituale chiamata “i poveri di JHWH” che
è esortata a saziarsi di Dio, a beneficiare dell’Alleanza, a adottare i pensieri del Signore
e ad accogliere la sua parola. I poveri di JHWH sono quelle persone senza beni terreni
e soprattutto senza protezioni, che accontentandosi di una vita modesta, “temono” il
Signore venerandolo e obbedendogli con il cuore (sono persone sante e pie); essi,
essendo poveri, non sprecano il loro umile salario per cose banali e senza valore, ma
si accontentano del cibo spirituale (cha appaga anche il bisogno materiale) che viene
da Dio. Con le immagini del nutrimento e della bevanda, infatti, s’intravede l’offerta
gratuita della saggezza, cioè quello che Dio veramente vuole dalla sua creatura più
cara: camminare con lui nella fede verso la salvezza eterna; più si è poveri e più si è
predisposti a ricevere questa “elemosina divina”.
L’oracolo del Signore evoca, davanti ai suoi fedeli esuli in terra straniera, l’Alleanza
messianica che un giorno concluse con David (l’allusione alla profezia di Natan è
evidente), ma su questa Alleanza, che faceva del re di Israele un testimone di Dio e
una guida per il suo popolo, si inseriscono ora nuovi elementi; essa, infatti, sarà
accordata a tutti coloro che ascolteranno la “Parola” divina seguendo la via tracciata
da Dio. Sarà quindi un’Alleanza universale e permanente estesa anche ai popoli
stranieri che, come sottolinea l’autore della lettera agli Ebrei, si realizzerà in Cristo
Gesù e nella Chiesa da lui fondata. Il testo afferma che occorre cogliere l’opportunità
della conversione quando si presenta (Cercate il Signore finché può essere trovato,
invocatelo mentre è vicino); un chiaro invito agli esiliati di Babilonia per ritornare nel
loro paese d’origine, e ad ogni vero cristiano per ottenere in Cristo la vita eterna.
Sono molto belle le parole che dipingono la “Parola di Dio” efficace come la pioggia e
la neve che fanno germogliare il seme; essa è di origine celeste e quindi non può
essere infeconda. Se la pioggia procura al seminatore un terreno favorevole per
realizzare un buon raccolto, a maggior ragione la parola di Dio otterrà con efficacia la
liberazione dei prigionieri di Babilonia e accompagnerà ogni fedele alla salvezza.
L’evocazione dell’acqua e della parola si addice perfettamente alla Liturgia di questa
“Veglia pasquale”, che prepara ogni credente alle cerimonie del battesimo e al
rinnovamento delle promesse. L’acqua è quella della sapienza divina che con il
battesimo cancella ogni peccato originale; la “Parola di Dio” è quella che nutre lo
spirito di coloro che l’ascoltano penetrandoli fin nell’intimo dei loro pensieri e
sconvolgendoli fino a convertirli; essa è il Verbo disceso sulla terra incarnandosi nel
Figlio, e solo dopo aver compiuto la sua “missione” di salvezza è risalita in cielo
nell’ascensione.
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QUINTA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaìa
(55,1-11)
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
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perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Parola di Dio.
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SESTA LETTURA
Baruc 3,9-15.32-1,4
La sesta lettura che appartiene al libro del Profeta Baruc è, in ogni sua parte, un elogio
della sapienza divina, identificata con la “Legge” donata da Dio a Mosè a suggello
dell’Alleanza con il popolo eletto; l’autore si rivolge a Israele in esilio, e lo invita a
ricercare la saggezza presente nella rivelazione di Dio racchiusa nella “Legge”
mosaica. Un concetto ripreso anche da Matteo che nel suo Vangelo presenta Gesù
come il rivelatore della Sapienza, e ricorre all’immagine del giogo per indicare la
“Legge”. Anche san Giovanni, quando nel prologo del suo Vangelo afferma che il Verbo
di Dio (la sua Parola e la sua Sapienza) si è fatto carne e ha innalzato la sua tenda in
mezzo al suo popolo, allude chiaramente a questa pagina del Profeta Baruc. È quindi
normale che i Padri della Chiesa abbiano successivamente applicato al mistero di
Cristo questo testo, che parla dello stabilirsi della Sapienza tra il popolo di Dio.
L’esortazione del grande Profeta è rivolta al popolo eletto nei termini solenni della
professione di fede giudaica (Ascolta, Israele!), perché il Signore è l’unica vera fonte
della Sapienza, senza la quale non esiste né certezza, né luce, né pace. È inutile
cercare la Sapienza fuori di Dio; nessuno, infatti, è mai riuscito a scoprirla o ad
acquistarla, né i potenti di questo mondo, né i loro successori o discendenti, né i popoli
che acquisirono un nome per il loro sapere e per le loro massime sentenziose
(Cananei, Madianiti e Arabi), né gli uomini antichi, grandi e forti, ma piccoli sul piano
dell’intelligenza e del sapere. È vano cercarla anche sopra le nubi del cielo e sotto le
onde del mare, o tentare di comprarla con l’oro perché essa sfugge a ogni ricerca
umana; essa può essere donata solo da colui che la possiede e l’ha manifestata nella
creazione dell’universo.
È significativo come il Profeta, riassumendo la creazione senza scendere nei particolari
presenti nel libro della Genesi, insista sul dominio che Dio esercita sulla luce con
espressioni altamente poetiche. La successione del giorno e della notte è spiegata con
l’obbedienza rispettosa della luce che si allontana e ritorna, all’ordine e al richiamo di
Dio, mentre le stelle della notte brillano gioiosamente al loro posto, per rispondere
con la loro vivace presenza alla vocazione ricevuta dal Creatore; un dominio sulla luce
dovuto alla trascendenza divina che ricorda nuovamente il prologo del Vangelo di
Giovanni, dove il “Verbo-Luce” non è una creatura di Dio, ma la “Parola viva” del Padre
associata alla sua opera creatrice.
Dio, quindi, ha plasmato il suo popolo donandogli la conoscenza religiosa della quale
la legge mosaica è l’espressione fondamentale; in questa “Legge”, la Sapienza di Dio
si è realizzata reggendo per secoli i destini del popolo eletto (Israele-Giacobbe); essa
è caratterizzata principalmente dal monoteismo, dal messianismo e dalla vita religiosa
e morale codificata. In effetti si tratta di privilegi che la venuta di Cristo tra gli uomini
(lui che più di Giacobbe è il Servo di Dio e più di Israele il suo Diletto) ha modificato
drasticamente; la Sapienza divenuta “Legge” è stata sostituita dal Verbo di Dio fatto
carne o, meglio, dal Figlio unico del Padre, Gesù Cristo, che più grande di Mosè
nell’opera di salvezza, si è dimostrato per tutti gli uomini fonte di rivelazione e di
santità. Per questo il versetto: “...(la Sapienza) è apparsa sulla terra e ha vissuto tra
gli uomini”, alla luce dei Vangeli va interpretato, nella sua piena realizzazione, in
funzione di Cristo che è apparso sulla terra, prima con la sua incarnazione per donare
la “verità” agli uomini durante gli anni del suo ministero pubblico, e poi nella sua
Chiesa, che ne è la sua naturale continuazione. Perciò, a ogni vero cristiano non
rimane che vivere felice nella luce del Risorto, vera Sapienza divina fatta carne.
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SESTA LETTURA
Dal libro del profeta Baruc
(3,9-15.32-4,4)
Ascolta, Israele, i comandamenti della vita,
porgi l’orecchio per conoscere la prudenza.
Perché, Israele? Perché ti trovi in terra nemica
e sei diventato vecchio in terra straniera?
Perché ti sei contaminato con i morti
e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?
Tu hai abbandonato la fonte della sapienza!
Se tu avessi camminato nella via di Dio,
avresti abitato per sempre nella pace.
Impara dov’è la prudenza,
dov’è la forza, dov’è l’intelligenza,
per comprendere anche dov’è la longevità e la vita,
dov’è la luce degli occhi e la pace.
Ma chi ha scoperto la sua dimora,
chi è penetrato nei suoi tesori?
Ma colui che sa tutto, la conosce
e l’ha scrutata con la sua intelligenza,
colui che ha formato la terra per sempre
e l’ha riempita di quadrupedi,
colui che manda la luce ed essa corre,
l’ha chiamata, ed essa gli ha obbedito con tremore.
Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia
e hanno gioito;
egli le ha chiamate ed hanno risposto: «Eccoci!»,
e hanno brillato di gioia per colui che le ha create.
Egli è il nostro Dio,
e nessun altro può essere confrontato con lui.
Egli ha scoperto ogni via della sapienza
e l’ha data a Giacobbe, suo servo,
a Israele, suo amato.
Per questo è apparsa sulla terra
e ha vissuto fra gli uomini.
Essa è il libro dei decreti di Dio
e la legge che sussiste in eterno;
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tutti coloro che si attengono ad essa avranno la vita,
quanti l’abbandonano moriranno.
Ritorna, Giacobbe, e accoglila,
cammina allo splendore della sua luce.
Non dare a un altro la tua gloria
né i tuoi privilegi a una nazione straniera.
Beati siamo noi, o Israele,
perché ciò che piace a Dio è da noi conosciuto.
Parola di Dio.
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SETTIMA LETTURA
Ezechiele 36,16-28
La Liturgia di questa “Veglia pasquale” propone, come settima lettura, la profezia di
Ezechiele pronunciata nel 585 a.C. durante l’esilio Babilonese; egli, ispirandosi ai
rituali della contaminazione, della santità, della profanazione e dell’abluzione,
annuncia una nuova e definitiva purificazione, non dovuta ai meriti di Israele, ma
esclusivamente all’iniziativa divina che vuole così recuperare il suo popolo, il cui
sentimento religioso si era affievolito per la “contaminazione” del puro “jahvismo” con
i culti pagani. L’Oracolo del Signore evoca, innanzi tutto, le colpe commesse dal popolo
di Dio in Palestina (colpe che furono punite con l’esilio in terra straniera), quindi parla
dello scandalo manifestato dai “dispersi” alle nazioni che li ospitavano e del perdono
dovuto alla sola libera volontà di Dio, e infine intravede la “purificazione” nel ritorno
di Israele nella terra dei padri.
Secondo il grande Profeta, le colpe più gravi commesse da Israele furono l’effusione
del sangue e il culto degli idoli stranieri (si trattava di sacrifici umani, soprattutto di
bambini, offerti agli idoli stranieri), un’infedeltà così grave da giustificare, come
castigo esemplare, l’invasione straniera, la rovina della capitale, e la cacciata dal
paese di ogni abitante da parte dei vincitori. Durante l’esilio, il popolo di JHWH doveva
comunque continuare a glorificare il proprio Dio tra coloro con i quali era ormai
costretto a vivere; gli esuli invece abbandonarono la loro fedeltà a JHWH, disonorando
così il suo nome. Per tutto questo essi dovevano subire il giusto castigo, ma Dio, nella
sua immensa bontà, nonostante l’infedeltà di Israele, riunisce nuovamente il popolo
eletto per il suo ritorno in Palestina.
Non è quindi per meriti particolari o in forza del loro pentimento (che non c’è stato e
avverrà soltanto più tardi), che Dio perdona le colpe di Israele e riconduce i prigionieri
da Babilonia alla terra promessa, ma solo per l’onore del suo nome; infatti, egli non
vuole che i pagani possano accusarlo d’incapacità o di aver abbandonato il proprio
popolo. Inoltre la sua santità esige che il culto della sua maestà divina riprenda, come
un tempo, a Gerusalemme con un popolo nuovo o, meglio, purificato con il rituale
dell’acqua; una purezza non soltanto legale ma accompagnata dal dono di un cuore e
di uno spirito completamente rinnovati. Ezechiele, sacerdote e Profeta, si esprime nel
tipico linguaggio rituale (quello delle purificazioni giudaiche) e spirituale (la religione
del cuore); egli, così intransigente nel suo orizzonte religioso, si chiede giustamente
perché JHWH vuole liberare il popolo dalla schiavitù se esso rimane peccatore,
indifferente e contaminato da false religioni. Dio invece, nella sua misericordia
sconvolge il pensiero del Profeta e accetta la conversione come conseguenza del
perdono; una gratuita iniziativa divina dovuta solo all’amore del Padre verso la sua
creatura più cara che non merita questo grande dono, ma ha il dovere di accettarlo
con umiltà.
Il sacerdote Ezechiele, in questo brano del suo meraviglioso libro, sottolinea come
nella liturgia giudaica si praticassero le abluzioni purificatrici con il sangue oppure con
l’acqua; egli le ricorda non tanto per insistere sul rito, quanto per esprimere
simbolicamente un’idea religiosa. L’acqua pura che bagna il colpevole lo libera da ogni
bruttura che lo rendeva indegno agli occhi divini, perché è Dio stesso che lava il suo
fedele per purificarlo. Tuttavia si tratta sempre di un’immagine esteriore la quale, se
privata del rinnovamento interiore, rimarrebbe un semplice rito di riconciliazione
esclusivamente liturgico, senza nessuna vera efficacia. Ezechiele, infatti, parla di un
cuore nuovo e di uno spirito nuovo; due espressioni praticamente simili, perché
esprimono l’atteggiamento religioso dell’uomo nel suo insieme. Nella prospettiva della
“Veglia pasquale”, l’acqua, il cuore nuovo e lo spirito ricordano i riti e l’efficacia del
battesimo che rende ogni uomo cristiano o, meglio, vero Discepolo di Cristo.
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SETTIMA LETTURA
Dal libro del profeta Ezechièle
(36,16-17a.18-28)
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Figlio dell’uomo, la casa d’Israele, quando abitava la sua terra, la
rese impura con la sua condotta e le sue azioni. Perciò ho riversato
su di loro la mia ira per il sangue che avevano sparso nel paese e
per gli idoli con i quali l’avevano contaminato. Li ho dispersi fra le
nazioni e sono stati dispersi in altri territori: li ho giudicati secondo
la loro condotta e le loro azioni.
Giunsero fra le nazioni dove erano stati spinti e profanarono il mio
nome santo, perché di loro si diceva: “Costoro sono il popolo del
Signore e tuttavia sono stati scacciati dal suo paese”. Ma io ho avuto
riguardo del mio nome santo, che la casa d’Israele aveva profanato
fra le nazioni presso le quali era giunta.
Perciò annuncia alla casa d’Israele: “Così dice il Signore Dio: Io
agisco non per riguardo a voi, casa d’Israele, ma per amore del mio
nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni presso le quali
siete giunti. Santificherò il mio nome grande, profanato fra le
nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno
che io sono il Signore - oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò
la mia santità in voi davanti ai loro occhi.
Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò
sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io
vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli; vi
darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spinto nuovo,
toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi
e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme. Abiterete
nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io
sarò il vostro Dio”».
Parola di Dio.
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EPISTOLA
Romani 6,3-11
Questo bellissimo brano, tratto dalla lettera di san Paolo Apostolo ai cristiani di Roma,
è tra i più importanti della catechesi battesimale, e la sua lettura in questa “Veglia
pasquale” è particolarmente significativa; il suo punto focale è dato dalla figura di
Cristo nel suo mistero di morte e di vita, che mediante il battesimo si realizza in ogni
nuovo cristiano, non solo come compartecipazione dei frutti della passione e
Risurrezione, ma come loro mistica realizzazione. L’insegnamento di Paolo può essere
sintetizzato in poche parole: “Chi risorge con il Cristo per mezzo del battesimo non
deve più morire”; esse offrono un compendio di catechesi battesimale e un richiamo
alla realtà dell’insegnamento cristiano, che vede nel battesimo l’“entrata” nel mistero
della morte e della Risurrezione del Cristo per morire al peccato e vivere nella grazia.
Il grande Apostolo, con il simbolismo del rito, indica innanzitutto la partecipazione
battesimale alla sepoltura del Cristo; l’espressione “essere battezzato in Cristo”,
infatti, significa un’unione così profonda con Cristo da morire misticamente con lui,
per rivivere in una nuova dimensione di grazia che finirà nella Risurrezione eterna.
Nella sua riflessione Paolo insiste su questo concetto (il battesimo comporta essere
sepolti con Cristo), e per esprimere maggiormente il suo pensiero ricorre a una
espressione piuttosto enigmatica “Siamo stati sepolti insieme a lui nella morte”; egli
con il battesimo vede, in un certo senso, la discesa del catecumeno con il Cristo nella
tomba “liquida” delle acque battesimali (immersione), per uscirne successivamente
interiormente trasformato (emersione). Si tratta quindi del “battesimo nella morte di
Cristo” il cui simbolismo è eloquente: come per Cristo la sepoltura nella tomba è stata
solo un breve passaggio per farvi germogliare la gloria pasquale, così per il battezzato
l’immersione nell’acqua battesimale sarà l’inizio di una nuova vita in compagnia di
Cristo Gesù.
Invitando a “camminare in una vita nuova” ispirata alla gloria trionfale della
Risurrezione di Cristo, san Paolo annuncia le esigenze pasquali della vita cristiana, che
il “sepolcro” del battesimo ha separato per sempre da quella pagana e profana; egli
non descrive gli effetti del battesimo con la precisione teologica tipica delle catechesi
cristiane (da una parte, il peccato originale e attuale cancellato dal battesimo e la
remissione della pena temporale dovuta alle colpe, e dall’altra, la concupiscenza che
rimane comunque, sia pure controbilanciata dalla grazia), ma si limita a vedere il
rinnovamento operato dal battesimo in ogni nuovo cristiano, che con tale Sacramento
lascia il vecchio mondo del male per appartenere alla nuova creazione. E questo
perché, come dice sempre Paolo in diverse delle sue epistole, chi è stato crocifisso dal
battesimo è morto al peccato, e se è libero dal peccato non può esserne ancora
schiavo.
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EPISTOLA
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
(6,3-11)
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù,
siamo stati battezzati nella sua morte?
Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui
nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo
della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una
vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a
somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della
sua risurrezione.
Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui,
affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non
fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal
peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui,
sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non
ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una
volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi
consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
Parola di Dio.
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VANGELO
Matteo 28,1-10
Anche se la Risurrezione di Gesù è un evento storico, nel senso che è avvenuto
effettivamente e ha sconvolto completamente la storia dell’intera umanità, la sua
realtà sfugge alla storia sotto molti aspetti; non vi fu, infatti, nessun testimone oculare
di questo grande avvenimento, quindi la Risurrezione di Cristo, per quanto certa, resta
un mistero che è possibile accettare solo nella fede in atteggiamento di speranza e di
amore. Nessun Evangelista ha tentato di descrivere la Risurrezione, tutti si
accontentano di accettarla (anche se lo stesso giorno) a fatto avvenuto. Matteo, per
accentuare l’importanza religiosa di quanto avvenuto “colora” il suo racconto con
descrizioni di origine biblica. La menzione al terremoto, ad esempio, corrisponde alle
teofanie bibliche e allo scenario letterario caratteristico del giorno di JHWH; anche
l’angelo del Signore smagliante di luce (la luce e il bianco delle vesti caratterizzano gli
esseri celesti), che rimuove la pietra e vi si siede sopra ricorda i racconti apocalittici
dove gli angeli manifestavano l’unione di Dio con l’universo degli uomini e con il
cosmo.
È evidente che Matteo voglia smentire le dicerie tendenziose (dovute alle guardie del
sepolcro, la cui falsa testimonianza era stata pagata dai componenti il sinedrio), che
insinuavano la scomparsa del corpo di Gesù dovuta al furto da parte dei suoi Discepoli.
A queste falsità l’Evangelista oppone la testimonianza delle pie donne, anche se, per
il ruolo umile e subordinato tipico della cultura semitica, la loro parola non aveva
nessun valore nel senso giuridico del termine; nonostante questo esse furono
informate degli avvenimenti prima degli stessi Apostoli e incaricate di “preparare” i
discepoli a credere al mistero pasquale; le donne quindi, nonostante il loro ruolo
marginale nella vita di Israele, nel momento più grande della storia dell’uomo, si
trovano dove la Provvidenza le attende per svolgere il ruolo loro riservato (tra queste
spiccano i nomi di Maria di Màgdala e l’altra Maria chiamata anche madre di Giacomo
e Giuseppe).
Secondo Matteo, il motivo della visita mattutina delle donne alla tomba di Gesù è
dovuto al desiderio di venerare il santo sepolcro (non di cospargere il cadavere con oli
profumati come negli altri Evangelisti), ed è quindi naturale il loro timore di fronte al
sepolcro vuoto e alle apparizioni celesti; è significativo come l’Evangelista sottolinei la
netta differenza tra le donne “che non devono temere nulla”, e le guardie invece
“lasciate nel loro terrore”. La missione delle donne è ora di rendere partecipi della loro
gioia anche i discepoli, ma mentre si incamminano verso la Galilea, Gesù appare loro
improvvisamente e le saluta costringendole (sentono la necessità di adorarlo) ad
abbracciare i suoi piedi in segno di omaggio religioso. L’appuntamento in Galilea,
prima indicato dall’angelo viene ora ripetuto da Gesù quasi a confermare
ulteriormente il grande mistero della sua Risurrezione.
Ciò che appariva impossibile è avvenuto per la potenza di Dio, che si è impadronita
del luogo di tenebra che sembrava inviolabile (il sepolcro della morte). La reazione
delle guardie e delle donne conferma lo stupore incredulo per lo scenario della pietra
ribaltata che però, immediatamente, diventa verità da “vedere” e “riferire”. Chi è
testimone diventa annunciatore, le donne che hanno ricevuto il dono della visione
dell’angelo, sentono accendersi nel cuore la gioia e la speranza ormai sepolte. E
avviene l’incontro con il Risorto riconosciuto e adorato come Signore, uno dei punti
più belli di tutto il Vangelo di Matteo.
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VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo
(28,1-10)
Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di
Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.
Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti,
sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di
essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come
neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e
rimasero come morte.
L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate
Gesù, il crocifisso. Non è qui. E risorto, infatti, come aveva detto;
venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a
dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in
Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le
donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli.
Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse
si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù
disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che
vadano in Galilea: là mi vedranno».
Parola del Signore.
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