Napoli Parte III Posillipo Edificato per volere di Gioacchino Murat nel 1812-23, si arrampica sul promontorio che separa il golfo di Napoli da quello di Pozzuoli ove già i Romani fecero costruire le loro ville. Il nome Posillipo deriva dal greco «pausilypon» (che calma il dolore) ed è evidentemente riferito alla bellezza dei panorami. Lungo la salita si incontrano raffinate residenze: il Palazzo di Donn'Anna, costruita nel 1642 da Cosimo Fanzago per Anna Carafa, moglie del viceré, rimasto incompiuto, appare oggi come un suggestivo rudere che si specchia nel mare. Presso il quadrivio del Capo si apre il panorama immortalato dai vedutisti settecenteschi. Altro luogo di suggestive vedute e il parco di Posillipo; dalla rupe di Coroglio lo sguardo si spinge dai vicinissimi golfi di Napoli e Pozzuoli ai Campi Flegrei, a Baia e Ischia e, sul versante opposto, a Capri, alla penisola sorrentina e al Vesuvio. Chiesa dei Girolamini La chiesa fu edificata nel 15921619 dal fiorentino G.A. Dosio ed è compresa nel grande convento degli oratoriani. La facciata venne modificata da Ferdinando Fuga nel 1780; eccezionale per l'omogeneità delle decorazioni, l'interno è opera di artisti di estrazione tosco-romana ed emiliana (di Pietro da Cortona è il S. Alessio moribondo nella prima cappella destra; di Guido Reni e il S. Giovanni Battista nella sagrestia) e napoletana (di Luca Giordano è la Cacciata dei profanatori dal tempio, nella controfacciata; di Giovanni Bernardino Azzolino la Madonna della Vallicella, sull'altare maggiore; di Giuseppe Sammartino gli angeli reggitorcia, collocati ai lati del presbiterio). Il convento accoglie una Pinacoteca con numerosi dipinti seisettecenteschi (opere di Guido Reni, Luca Giordano e lo Spagnoletto) e Girovagando – Napoli – Parte III 17 una biblioteca, notevole sia per l'ambiente, settecentesco, sia per la ricca dotazione. Il rione sanità e il suo principe plebeo La chiesa di S. Maria della Sanità da nome a uno dei quartieri più popolari di Napoli. Se non si hanno i minuti contati vale la pena visitarlo, per alcuni monumenti senza dubbio, ma anche per l'atmosfera verace che vi regna. A sostegno di quest'ultima dichiarazione basti dire che uno dei suoi figli, se non il più illustre certo il più noto, e il principe Antonio De Curtis, in arte Toto, che nacque nel 1898 in una casupola di via S. Maria Antesaecula. Re dell'avanspettacolo e del cinema di cassetta ma anche sensibile autore di poesie come 'A livella e di canzoni come Malafemmena, vi è ricordato da un busto in bronzo, collocato dall'Associazione De Curtis, creata dalla figlia Liliana, promotrice di tante iniziative in memoria del padre. La più importante, è l'apertura, nel Palazzo dello Spagnolo, del Museo Toto, pensato come centro culturale ma anche come laboratorio di attività artistiche per i ragazzi del rione. Un'attenzione, questa, in cui si riconosce il tratto più tipico della figura teatrale e umana di Toto, personaggio emblematico tanto per la tenace ricerca di sue origini nobili quanto per l'attaccamento ai vicoli e alla povera gente della sua gioventù. Identificare Antonio De Curtis con la sua città non è esagerato; i napoletani, più che ammiratori del principe-attore, ne sono devoti. Basta andare alla sua tomba, nel piccolo cimitero del Pianto, sulla strada per Poggioreale, dove ogni giorno la gente lascia decine di biglietti rivolti al comico morto nel 1967. Un'antologia spontanea del sentimento partenopeo. La rivolta dei poveri In una Napoli stremata dalle continue epidemie e affaticata dalle crisi economiche e dalle tasse, la rivolta del luglio 1647, mentre in Europa la Girovagando – Napoli – Parte III 18 guerra dei Trent'anni volgeva al termine, fu certamente l'insurrezione più eclatante ma non la sola e, come le altre, non portò alcun cambiamento. La capeggio un pescivendolo di ventisette anni il cui nome sarebbe divenuto sinonimo di pazzo e agitatore: Masaniello. Tomaso Aniello da Amalfi si era ritrovato quasi per caso alla testa dell'ennesimo moto popolare: fattosi nominare capo degli Alarbi (i monelli che battagliavano alla giostra in occasione della festa della Madonna, il 16 luglio), sobillò la gente del Mercato contro i gabellieri. La rivolta crebbe in brevissimo tempo e Masaniello si vide catapultare da vincitore, anche grazie ai suggerimenti del giurista Giulio Genoino, davanti al viceré, il quale lo nomina capitano generale del popolo. Un tale balzo, racconta la storia, lo fece uscire pazzo, costringendo i suoi stessi amici a sbarazzarsi di lui; fu ucciso il 16 luglio, nel monastero del Carmine, e la sua testa portata alla reggia. Il tripudio del popolo, sempre pronto ad acclamare un nuovo vincitore, fu ripagato con un rincaro del prezzo del pane. Il popolo allora capì; corse a ricomporre i resti del suo condottiero. Masaniello fu sepolto con tutti gli onori nella chiesa del Carmine. Presepe settecentesco La rappresentazione scultorea della nascita di Gesù in uno spazio e una scenografia reali ha origini antiche, basti pensare al presepe di Arnoldo di Cambio (XIII secolo) in S. Maria Maggiore a Roma. Ma è nella Napoli del Settecento che si diffonde il presepe, forma d’arte "minore" in contrasto con il razionalismo e il senso della misura tipici del secolo. Girovagando – Napoli – Parte III 19 Il presepe napoletano è un gioco per il quale la nobiltà paga orafi, intagliatori e ceramisti perché creino scenari sempre più complessi. La scena della Natività vera e propria restava idealmente al centro, ma la rappresentazione comprendeva ormai altri episodi biblici, scene di vita quotidiana e di guerra; il mondo girava vorticosamente intorno al mistero della nascita di Cristo. Il presepe napoletano Le prime testimonianze del presepe napoletano risalgono all'alto medioevo e si sa con certezza che nel 1340 la regina Sancia d'Aragona fece dono di un presepe alla nuova chiesa di S. Chiara. Povertà e semplicità erano i caratteri essenziali dei presepi medievali, che s'ispiravano nell'umile rappresentazione della Natività ai presepi viventi ideati da San Francesco. Ma è solo nel XVIII secolo che nel Regno di Napoli, per iniziativa di re Carlo I di Borbone, prende forma una vera e propria arte presepiale, fondata su una tecnica precisa e su una vivace e ricca ambientazione che trae spunto dalla mescolanza tra sacro e profano e da un'aderenza laica e quasi teatrale alla quotidianità. Compaiono nel presepe le statuine dei personaggi del popolo: osti, ciabattini, pescatori, nani, arrotini e tavernari, ossia il variegato mondo degli umili in cui nasce Gesù. Fanno da cornice alle scene resti di templi greci e romani, a simboleggiare il trionfo del Cristianesimo sulle rovine di religioni e divinità pagane. Significati particolari vengono attribuiti a ciascun personaggio del presepe, e ai singoli elementi che compongono l'intero quadro. Così il pescatore e simbolicamente il pescatore di anime e i due compari, zi' Vicienzo e zi' Pascale, la personificazione del Carnevale e della Morte. Girovagando – Napoli – Parte III 20 La zingara, con la sua cesta piena di arnesi di ferro, che ricordano i chiodi della crocifissione, predice con la sua presenza la morte di Cristo, mentre l'acqua del fiume e un elemento spesso presente nell'iconografia che ricorda la morte e la rinascita divina. Il realismo della composizione, elemento distintivo dell'arte presepiale napoletana, e accentuato inoltre dalla presenza sulla scena di personaggi della contemporaneità, abitanti di un mondo in continua trasformazione nato dalla fantasia, ma anche dall'acuto umorismo e spirito d'osservazione, dei maestri presepiai napoletani. Canta Napoli Le ineffabili sensazioni di una passeggiata sotto le pergole maiolicate del Chiostro delle clarisse sono state celebrate da Michele Galdieri nella famosa canzone Munasterio 'e Santa Chiara. Il rischio corso dall'autore era tremendo; la banalità. Eppure egli è riuscito a creare un piccolo gioiello. La tanto discussa e, talora, vituperata canzone napoletana deriva dal melodramma e vanta musicisti e parolieri fra i migliori del secondo Ottocento. Come Teodoro Cottrau, che con Santa Lucia e Addio mia bella Napoli può dirsi l'inventore del nuovo stile, o Eduardo Di Capua, autore di 'O sole mio. O ancora come Salvatore Di Giacomo, che Benedetto Croce collocò nel consesso dei grandi poeti italiani, autore dei versi di 'A Marechiare e di 'E spingole frangese. Certo, vi furono anche autodidatti come Ernesto De Curtis che scrisse un capolavoro come Voce 'e notte, ma ciò non toglie niente, semmai aggiunge un tocco di pittoresco a un genere che ha goduto di un favore interrotto solo dal prepotente ingresso dei ritmi americani. Oggi, dopo un lungo oblio, la canzone napoletana e di nuovo in auge per merito dei veterani, ma anche di più giovani eredi, come Pino Daniele, Edoardo Bennato, Teresa De Sio, Toni Esposito ... Autori e interpreti che sposano la canzone napoletana con ritmi e sonorità oggi in voga. Girovagando – Napoli – Parte III 21 Nel teatro di Eduardo la Napoli che cambia Che Napoli, nel bene e nel male, sia un teatro non c’è alcun dubbio. E che Eduardo De Filippo (1900-1983) sia uno dei capocomici più geniali che ne abbiano calcato le scene è altrettanto certo. Figlio d'arte - nacque dalla relazione tra Luisa De Filippo ed Eduardo Scarpetta, l'inventore della maschera di Felice Sciosciammocca - già da bambino recitò in varie compagnie e presto entrò in pianta stabile in una di esse; da qui alla prima esperienza come autore il passo fu breve. Distinguendosi sia dal teatro comico del celebre padre, sia da quello populista di Viviani, sia da quello "d'arte", Eduardo compie il disincantato esame della quotidianità, dei fatti, piccoli ma rivelatori, che mettono in risalto le contraddizioni del vivere, il tutto sempre legato da un umorismo tragicomico, venato da un acuto senso dell'assurdo. La produzione di Eduardo si divide in due grandi periodi: la prima, che egli definì «Cantata dei giorni pari» (Uomo e galantuomo, 1922; Ditegli Sempre di Si, 1932; Natale in casa Cupiello, 1931) riunisce i lavori precedenti la seconda guerra mondiale e corrisponde alle messe in scena della compagnia fondata con i fratelli Peppino e Titina verso il 1930. La seconda, la «Cantata dei giorni dispari» (Napoli milionaria, 1945; Filumena Marturano, 1946; De Pretore Vincenzo, 1957; Sabato, domenica e lunedi, 1959) rappresenta una rottura netta con il mondo teatrale precedente e comprende le commedie scritte dopo la guerra, che sono testimonianza della crisi della società napoletana del tempo e in cui si assiste alla rimozione dei valori tradizionali senza che ne sorgano di nuovi. Qui Eduardo tratteggia, in modo lucido e disincantato, un mondo che non regge alla novità, che si sgretola nel suo elemento fondamentale, la famiglia. Un grido d'allarme che non riguardava solo Napoli. Girovagando – Napoli – Parte III 22 Pulcinella Il teatro è una componente vitale dello spirito e della cultura di Napoli. Uno dei suoi più emblematici protagonisti è Pulcinella, forse erede di Maceo, la maschera nella quale le atellane, antiche farse di origine italica ben note a Roma, identificavano lo stupidotto. Secondo un'altra ipotesi, accreditata da Benedetto Croce, Pulcinella (che a Napoli e chiamato "Polecenella") nacque solo nel Seicento e il suo nome sarebbe la deformazione di quello di un certo Puccio D'Aniello. Dominato da una fame atavica che orienta i suoi (pochi) pensieri e guida ogni sua azione. Pulcinella, più che essere espressione dell'uomo comune, incarna il bisogno allo stato puro, assolutamente privo della mediazione del pensiero. Tra i molti angoli segreti di Napoli, i chiostri riservano sempre qualche sorpresa. Spazi che scandivano la vita monastica, con il tempo hanno perso il disegno primitivo e la loro aura ascetica per trasformarsi in fastose quinte teatrali dell'architettura barocca e rococò. I chiostri del XVII e XVIII secolo sono decisamente “laici" e in essi divengono fondamentali elementi tipici del gusto settecentesco: il verde, come l'oasi improvvisa del chiostro di S. Paolo Maggiore, e il paesaggio, per il quale capita (e il caso del chiostro della chiesa dei SS. Marcellino e Festo) che si rinunci a un'ala pur di aprirsi sul mare. Girovagando – Napoli – Parte III 23