NOTIZIE DAL “VITTORIO” Giornale d’Istituto 1ª Edizione Gennaio 2016 A cura della prof.ssa Elisa Vecchio 1 I PROGETTI DEL QUADRIMESTRE La piramide alimentare Verso la fine di novembregli alunni della II B hanno realizzato una piramide alimentare di bicchieri, con l’aiuto dell’insegnante di Scienze Isabella Maldarelli. La classe, seguendo il programma di scienze, era arrivata a trattare l’argomento dell’alimentazione e, dopo varie lezioni alla lim, la professoressa ha proposto di realizzare una piramide alimentare costituita di bicchieri ricoperti di carta colorata. Per raffigurare i vari cibi, gli alunni si fornirono di volantini dei supermercati per ritagliare le varie figure da applicare alla piramide. Tutto il resto del materiale occorrente lo ha portato l’insegnante. Il lavoro è costituito da una base ricoperta di carta colorata azzurra, dove si predispongono delle file di bicchieri, anch’essi ricoperti di carta colorata azzurra per raffigurare l’acqua che sta alla base della nostra alimentazione; il secondo strato, costituito da meno bicchieri, è rivestito di carta verde per richiamare il colore della frutta e della verdura;il terzo strato, rivestito di carta gialla, è quello dei carboidrati, cioè la pasta, il pane o le patate; il quarto strato è quello delle proteine, tipo la carne, il pesce, il latte e i suoi derivati, ed è rivestito di carta colorata rossa; il penultimo strato è rivestito di carta colorata blu e raffigura i grassi, come l’olio, il burro e la frutta secca; l’ultimo strato è quello degli zuccheri, come i dolci, rivestito di carta bianca. Su ogni strato sono state 2 poi applicate le immagini di ogni cibo. In questo modo, anche gli alunni meno studiosi, hanno appreso con la realizzazione di questo lavoro, la costituzione della piramide alimentare. Simona Narzisi (II B) 3 4 Riciclare è un’arte Per “riciclaggio dei rifiuti” si intende l’insieme di strategie e metodologie volte a recuperare materiali utili dai rifiuti al fine di riutilizzarli anziché smaltirli direttamente in discariche e inceneritori. Il riciclaggio previene, dunque, lo spreco di materiali potenzialmente utili garantendo maggiore sostenibilità al ciclo di produzione/utilizzazione dei materiali, riduce il consumo di materie prime, l’utilizzo di energia e l’emissione dei gas serra associati. Il riciclaggio è una pratica comune nella storia umana, come dimostrano gli scritti di Platone nel 400 a. C.. Gli studi archeologici di antiche discariche ci mostrano come diminuissero i rifiuti domestici nei periodi in cui le risorse erano scarse. Possono essere riciclate materie prime semilavorate o materie di scarto derivanti da processi di lavorazione da comunità di ogni genere o da altri enti che producono materie di scarto che andrebbero altrimenti sprecati o gettati come rifiuti, spesso grazie ad un precedente processo di raccolta differenziata. I materiali riciclabili sono tutti i rifiuti che possono venire riutilizzati per produrre nuovi materiali (legno, tessuti, etc.). Le materie riciclabili sono: legno, vetro, carta e cartone, tessuti, pneumatici, alluminio, acciaio, plastica. Syria Chiara Fisicaro (II B) 5 6 Progetto Input-Output Nel pomeriggio un gruppo di alunni svolge il progetto Input-output, un progetto che si occupa di riciclaggio. Ognuno di noi porta degli oggetti usati, ad esempio giornali, scatole di carta igienica, bottiglie usate, etc. Con questi oggetti iniziamo a lavorare e ognuno realizza qualcosa di diverso dagli altri: portapenne, portagioielli, addobbi per l’albero di Natale. Sono stati fatti soltanto due incontri, ma abbiamo realizzato già molte cose. Al primo incontro ci hanno spiegato che da un semplice pezzo di tronco si può realizzare un piccolo paesino. Qualcuno di noi ha creato un decoro per l’albero utilizzando due bicchieri usati, una cannuccia e un pezzo di nastro. Sono stati presi i due bicchieri e sono stati attaccati e poi al centro è stata inserita la cannuccia. All’estremità della cannuccia è stato attaccato un pezzo di nastro rosso così da poterlo appendere. Questo progetto è utile perché ci fa capire che riciclare è importante e può essere divertente soprattutto per noi. Inoltre, esso rappresenta un momento di condivisione tra compagni oltre che di apprendimento. Gli insegnanti che ci aiutano in questo progetto sono il prof. Vecchio, le prof. Innao, Cultrera, Castiglia, Odierna e Vacanti. Giorgia Parasiliti (II B) 7 8 Libriamoci Il progetto Libriamoci mira a invogliare i ragazzi a leggere. Per riuscire in questo intento si sono cercati dei modi per rendere il momento della lettura interessante per tutti, quindi la scuola ha contattato degli scrittori per venire nelle classi a leggere e dialogare con i ragazzi. Per iniziare il progetto si è tenuto un incontro nella biblioteca della scuola con il professore Elio Cardillo, scrittore e poeta. I ragazzi hanno assistito a una spiegazione sul perché fosse importate leggere e perché fosse importante usare l'immaginazione. Nei giorni seguenti ci sono stati gli incontri con gli scrittori, il professore Elio Cardillo per le classi terze medie e la scrittrice Yami per le seconde. Gli incontri erano tre per ogni scrittore. A noi della Terza A il professore Cardillo ha portato due generi letterari diversi: il romanzo e la poesia. Il primo giorno ci ha portato il primo capitolo di un romanzo d'amore che aveva scritto tanti anni fa anche se non è mai stato pubblicato. Ci ha spiegato come era la storia, chi erano i personaggi e come avesse fatto a scrivere la storia. Durante quell'incontro ci ha spiegato uno dei segreti per scrivere un romanzo: i personaggi descritti devono ispirarsi a persone che si conoscono per riuscire ha descriverli bene e a tutto tondo. Durante il secondo incontro il professore ci ha portato delle poesie che aveva scritto, alcune provenienti da un libro già pubblicato e altre ancora inedite. Il professore Cardillo ci ha spiegato che il poeta è “un uomo nudo tra gente vestita”, perché il poeta mette a nudo tutti i suoi sentimenti e le sue emozioni per poi passarli agli altri, infatti il poeta è anche una persona che “sente cose che altri non sentono” cioè percepisce in un oggetto cose che altri non riuscirebbero a percepire. Il terzo incontro è stato l'ultimo e quindi abbiamo deciso di fare una festa per ringraziare il professore per l'attenzione e il tempo che ci aveva dedicato, e così gli abbiamo portato un regalo e dei dolci. Appena il professore è entrato in classe è iniziata la festa che si è conclusa alla fine dell'ora con un arrivederci da parte nostra. Marta Magnano (III A) 9 FATTORIA DIDATTICA: LA TERRA DI BÒ La Terra di Bò è una realtà formativa e trasformativa che opera dentro la natura e i suoi ritmi. Crea possibilità educative nelle quali si intrecciano natura, benessere, cultura, formazione, convivialità, tradizione, arte. La Terra di Bò è il giardino dove coltiviamo i nostri desideri, dove vediamo scorrere le stagioni e raccogliamo i frutti delle nostre fatiche. A rappresentare la Terra di Bò, una carriola spinta da un ragazzino. Una semplice immagine che sintetizza e fonde una pluralità di concetti: la tradizione in movimento alimentata dal gioco e dal rispetto della natura. La Terra di Bò è un’opificio naturale, che attualmente opera su 3 aziende agricole: • Villa Di Bella, Viagrande, Catania. • Azienda Agrituristica Passitti, Belpasso, Catania. • Azienda Agrituristica Eremo S. Emilia, Trecastagni, Catania. La Terra di Bò aderisce alle reti regionali Fattorie Sociali e Fattorie Educative e al coordinamento regionale Orti di Pace. Le loro produzioni sono: clementini, arance, ciliegie, albicocche, olive, noci, castagne, fichidindia, fichi. Curano anche 15 ettari di vigneto e stanno progettando la coltivazione di frutti antichi e piante officinali. Danny Borrata (III C) 10 11 12 Visita al Castellaccio Il giorno 26 novembre 2015 nell’ambito di un progetto gli alunni della scuola secondaria di primo grado hanno visitato insieme agli insegnanti il sito archeologico del “Castellaccio” dove alcuni di loro, in seguito ad un lavoro di ricerca svolto in classe e a casa, hanno illustrato ai compagni e ai docenti i posti visitati improvvisandosi guide turistiche coadiuvati dalle prof.sse Elisa Vecchio e Marinella Castiglia. 13 Il Castellaccio è ciò che (nei quartieri "Roggiu") è assieme al Leone (da cui deriva "Leontinoi" e quindi "Lentini") è considerata come il simbolo principale della città (non a caso compare nello stemma comunale"). Residua di un'antica fortificazione sul monte Tirone che domina Lentini. Terremoti e incuria umana lo hanno ridotto in comuli di pietre cioè solo alla fine degli anni novanta è stato parzialmente ripulito e sottoposto ad un restauro conservativo. Il Castelluccio (chiamato così perchè era una fortezza inespugnabile) è uno dei principali siti archeleologici che testimoniano la distruzzione del sisma dell'11 Gennaio 1693, che distrusse la sicilia. Esso fu fatto costruire dall'imperatore Federico II, con il castelluccio fungeva da carcere, da municipio e anche da luogo sacro. 14 La nascita di Lentini (Leontinoi'), fondata dai calcidesi nel 729 a. C., si inquadra nel movimento della colonizzazione greca. Dionigi di Siracusa fortificò il promontorio che, secondo qualche studioso potrebbe essere identificato con il forte Bricinna menzionato da Tucidide in occasione delle discordie civili che insanguinarono la città agli inizi del V secolo a.C. Conquistata poi dai romani di Marcello (212 a.C.) e sottoposta al dominio arabo prima e poi risollevatasi con la conquista normanna, la città raggiunse un buon livello di floridezza in epoca sveva. L'imperatore Federico già amante delle terre vicine di Augusta e Siracusa, destinò questo sito strategicamente perfetto al controllo di tutto il territorio e del mar Ionio, mediante l'edificazione di un castrum. La città peraltro era stata già oggetto di interesse da parte dello svevo, il quale nel 1209 si trasferì da Palermo a Catania come ci riferisce Rocco Pirro. Sconfortato dalla morte prematura del cognato Alfonso e dal propagarsi di un'epidemia tra il seguito reale ritemprò il proprio spirito nelle terre di Lentini. "Il giovanissimo Imperatore, che già maturava in sé una fervida passione per la storia naturale, lasciò più di una volta la nuova sede, dividendo il suo tempo tra i boschi del Murgo e i silenzi del Pantano e del Biviere, attrattovi dall'abbondanza della caccia e della pesca". Nel 1223, dopo aver domato la rivolta musulmana di Sicilia, relegò una parte dei ribelli ai castra di Lentini e Siracusa. Dieci anni dopo convocò a Lentini il Parlamento siciliano (in solemni colloquio apudLeontinum). Ricca di nomi lentinesi si rivela la corte federiciana a cominciare dal famoso Riccardo sino a Jacopo e a Giovanni da Lentini, prova del fatto che l'Imperatore frequentava in maniera particolare questo territorio. Circa la costruzione del castrum i documenti più importanti, come avviene per il castello di Siracusa, sono le famose lettere lodigiane del 1239 inviate a Riccardo da Lentini, a Guglielmo di Anglone e al Majore de Plancatore. Soprattutto da quella inviata alpraefectusnovorumaedificiorum Riccardo apprendiamo notizie sui lavori e sull'approvvigionamento al CastrumVetus che ci permettono di porre i termini cronologici del cantiere tra il 1223 e il 1239 e, allo stesso tempo, ci offrono una situazione simile a quella dei cantieri di Siracusa e Augusta. Il Castellacelo si inquadra tra i castelli rinnovati da Federico; si imposta infatti, su una precedente fabbrica di età greca, come vedremo. Le vicende storiche successive al periodo svevo vedono il Castellacelo passare agli angioini. Nel 1282, durante i Vespri, il governatore di Lentini, Papirio Comitini si rinchiude tra le sue mura, ma viene tuttavia ucciso. Nell'ottobre dello stesso anno Pietro d'Aragona nomina castellano Riccardo Passaneto. Nel corso del XIV il Castellacelo è teatro degli scontri tra le famiglie Ventimiglia e Chiaramonte fino a quando Blasco Alagona assedia ed espugna la fortezza. Nel 1394 resta sotto il potere di re Martino sino a quando, nel 1414 la regina Bianca di Navarra assegna al castello un castellano, un vicecastellano, un portiere, dodici inservienti e un cappellano. Nel 1434 Alfonso V concede il castello a Vincenzo Gargallo, come confermato dal testo di una lapide ritrovata nel 1814 tra i suoi ruderi. Nel 1542 il castello viene notevolmente danneggiato dal terremoto. Nel 1693 subisce sicuramente i danni gli ultimi 15 causati dal tremendo evento sismico del gennaio di quell'anno. Si riteneva sino a qualche tempo fa che il castello fosse caduto totalmente in abbandono. Ma, come ci informa S. L. Agnello, un documento datato 1735, trovato di recente da Gioacchino Gargallo, ci dà notizia che in quell'anno la guarnigione del castello ricevette una fornitura di polveri, prova quindi della continuità d'uso della fortezza anche dopo il terremoto. Le sue rovine furono viste e descritte dall'Amico e dal Fazello. La sua identificazione precisa e puntuale si deve a G. Agnello il quale accoratamente scrive:" l'opera tenace di trasformazione agricola, secondata dall'incessante azione degli agenti atmosferici, tende a livellarne i ruderi che si disgregano e spariscono sotto ingenti masse di terra, mentre la vegetazione rigogliosa ne oscura la visione con la sua densa macchia verde". Si deve poi arrivare al 1986 per vedere pubblicati i risultati dei primi interventi di restauro e valorizzazione del Castellacelo di Lentini operati dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania, con la collaborazione di quella di Siracusa, che hanno però interessato soltanto l'ambiente sotterraneo. Attualmente in proprietà del comune di Lentini risulta in stato di totale abbandono e perciò non è fruibile. Scriveva G. Agnello nel 1935: "Forse tra un secolo, se un più pietoso culto per le glorie patrie non si appresti a salvare dallo sfacelo le ultime rovine, del glorioso castello sarà sparita ogni traccia". Nella speranza che questa profezia non abbia ad avverarsi ci si auspica non solo un pronto intervento di salvataggio dei pochi resti murari che rischiano di precipitare nel fondovalle, ma anche di una vera e propria campagna di scavi, mai tentata, che miri al recupero delle parti ancora giacenti sotto il terreno. Il ritrovamento occasionale e fortuito di una capitello svevo oggi conservato nei magazzini del Museo di Lentini, è una prova tangibile dell'esistenza di altri materiali che potrebbero fornire elementi per un tentativo di ricostruzione degli 16 ambienti e dell'apparato scultoreo che pur doveva esistere. La situazione topografica del sito dove nel medioevo sorgerà il CastrumVetus, non era certo stata trascurata dai greci fondatori di Leontini i quali, creando dei tagli artificiali, veri e propri fossati, avevano bloccato le principali vie d'accesso da Nord proteggendo la città in maniera efficace. Press'a poco al centro del piccolo pianoro esiste l'ingresso per il sotterraneo del castello, solo in tempi alquanto recenti dissotterrato e restaurato. Il sotterraneo presenta una scala di accesso, coperta da volta a botte, innestata al centro del lato orientale, un orientamento nord-sud e misure di 16,72 x 5,58 metri. Non è dato sapere se la stanza ipogea è stata ricavata dal taglio della roccia: il rivestimento in muratura, infatti, non consente di confermare o smentire tale ipotesi. I lati lunghi della struttura si dividono in cinque porzioni, ciascuna aventi una larghezza di 3 metri, per la presenza di quattro semipilastri, solcanti la volta e svolgenti una funzione quasi del tutto decorativa. Non è, infatti, possibile interpretare tali semipilastri alla maniera di costoloni, poiché non possiedono una funzione architettonica di sostegno. Essi, inoltre, hanno subito di recente un intervento di restauro (chiaramente esteso a tutto il sotterraneo) che ha ricostruito il loro percorso fino al culmine della volta, poiché in precedenza essi si conservavano solo sino all'altezza del piedritto. 17 Ancora, i semipilastri si impostano su di un banchinamento perimetrale, similmente a quanto si può osservare al Castel Maniace ed alla Basilica del Murgo, e misurano, sino alla linea di imposa della volta, in altezza 2,87 metri. Le pareti si compongono di 9 assise di conci, legati da malta cementizia, ben squadrati e con misura massima di 0,45 x 0,70 metri. Simile struttura presenta la volta, con leggera ogiva, costituita da conci squadrati della misura media di m. 0,30 per 0,65. La camera sotterranea presenta, inoltre, i resti di un efficace sistema di areazione, composto, per ciascuna delle cinque sezioni, da una lunga feritoia centrale strombata, più altre laterali di minori dimensioni, per un totale di 16 caditoie. Bisogna segnalare, anche in questo caso, la presenza di marchi dei lapicidi in quei conci della muratura del sotterraneo non ancora troppo corrosi. E' possibile che questo ambiente ipogeo fosse collegato, attraverso camminamenti segreti, ad alcune grotte che si trovano alla base del Castellaccio: la più famosa fra tante è la "Caverna delle Palle", che si innesta all'interno della rupe per oltre 30 metri, mantenendo una larghezza media di 3,40 metri. All'estremità di questo ambulacro si dipartono altre diramazioni secondarie, le quali non paiono del tutto esplorate. Inoltre la copertura dell'antro principale offre la presenza di un buco occluso, che facilmente potrebbe condurre alla monumentale camera ipogea. Infine rimane la problematica legata all'approvvigionamento idrico: esso è un difetto posto in evidenza anche da alcune fonti. Certamente all'interno del recinto fortificato dovevano esistere più cisterne, a servizio della popolazione del castello. Due invasi esistono tutt'ora, per quanto interrati, uno limitrofo al vano sotterraneo, l'altro prossimo al muro settentrionale. Pare, comunque, che le due cisterne siano poco profonde e insufficienti per l'intera fortezza. Doveva esservi qualche altro invaso, certamente più capiente; purtroppo lo sconvolgimento e l'interramento generale delle strutture non consente ulteriori ricerche, almeno per il momento. Giuseppe Ossino (III C) 18 OLIMPIADI DI PROBLEM SOLVING Ogni mese nella nostra scuola si svolgono le olimpiadi del PROBLEM SOLVING. Queste gare mirano allo sviluppo intellettuale,logico e pratico dello studente. Questa iniziativa fu accolta dalla prof. Antonella Giardina e continuata da quest’anno dalla prof. Vinci . Le gare sono iniziate con ottimi risultati e si sperano le selezioni per la nazionale . Valeria Di Carro e Ludovica Arisco (III A) 19 Il Concerto di Natale La nostra scuola è una scuola ad indirizzo musicale e ogni anno punta a valorizzare il lavoro che fanno gli studenti dell’orchestra organizzata e guidata dai prof. Michele Conti, Luigi Zimmitti e Luigi Capuano. Quest’anno il concerto è stato la sera del 21 dicembre e tutti noi alunni dell’orchestra ci siamo impegnati tanto e soprattutto negli ultimi giorni ci siamo esercitati tantissimo con i nostri strumenti per fare in modo che tutto andasse bene. E così è stato. Il concerto è un’occasione per far vedere il nostro impegno a tutti i nostri parenti ed amici. Aurora Martello (III C) 20 21 La musica Che cosa è la musica? La musica è l'arte dei suoni e dei rumori, organizzati e collocati in uno specifico tempo secondo metodi differenti nel genere e nella tecnica. La musica prevede creazioni compositive, rappresentazioni performative, numerose norme pratiche di esecuzione e una moltitudine di linguaggi sonori: per questo motivo la definizione di musica varia a seconda del contesto storico, antropologico e sociale di riferimento. I suoni sono generati dagli strumenti musicali più svariati, dagli aerofoni ai cordofoni, dal canto all'elettronica, con determinati timbri, intensità e altezze, principi acustici che stimolano la percezione uditiva e l'esperienza emotiva dell'ascoltatore. Le macrocategorie di musica colta, leggera ed etnica si articolano in diversi generi e forme musicali che utilizzano sistemi quali armonia, tonalità e polifoni. Nell'antica Grecia nacque una materia che è parte fondamentale della musica per la relazione tra rapporti frazionari e del suono.Platone affermò che, come la ginnastica serviva ad irrobustire il corpo, la musica doveva arricchire l'animo. Attribuiva alla musica una funzione educativa, come la matematica: secondo lui bisognava saper scegliere fra tanto e poco, fra più o meno, fra bene o male, per arrivare all'obiettivo finale. La musica sacra Nel Cristianesimo ebbe grande diffusione il canto, perché lo stesso "Cristo" veniva descritto come un cantore insieme ai suoi discepoli: "E dopo aver cantato l'inno uscirono verso il monte degli Ulivi". La musica nel cristianesimo si sviluppò molto nel luogo di culto, la chiesa: si trattava della musica che veniva eseguita nella liturgia celebrativa della messa.Si può ipotizzare che la forma iniziale della musica liturgica fosse monodica e basata su variazioni d'intonazione attorno ad una nota fondamentale, variazione che era dettata dalla prosodia delle parole del testo sacro, nello stile musicale detto sillabico. A questo stile, che dominava la maggior parte della messa, si sovrappose col tempo un secondo stile, riservato inizialmente ai momenti di maggiore enfasi quali l'offertorio, in cui un solista intonava il testo facendo variare liberamente l'intonazione all'interno di una stessa sillaba in uno stile detto melismatico.La trasmissione della musica avveniva a questo punto per tradizione orale, e attraverso scuole di canto, la cui presenza presso i maggiori centri di culto è attestata fino dal IV secolo. Oltre alla scuola di provenienza, è probabile che anche l'improvvisazione e l'abilità del singolo cantore determinassero in larga parte la musica d'uso liturgico. Il canto gregoriano Agli inizi del VI secolo, esistevano in Occidente diverse aree liturgiche europee, ognuna con un proprio rito consolidato, associato ad uno specifico cantusplanus,ovvero un tipo di canto liturgico monodico. La tradizione vuole che alla fine di questo secolo, sotto il papato di Gregorio I si sia avuta la spinta decisiva all'unificazione dei riti e della musica ad essi soggiacente.In realtà si ha motivo di credere che l'unificazione avvenisse quasi due secoli più tardi, ad opera di Carlo Magno e sotto l'impulso della unificazione politica che portò alla nascita del Sacro Romano Impero. L'attribuzione a Gregorio Magno sarebbe stata introdotta per superare le resistenze al cambiamento dei diversi ambienti ecclesiastici, costretti a rinunciare alle proprie tradizioni. Il prodotto dell'unificazione di due dei riti principali quello vetero-romano e quello 22 gallicano fu codificato nel cosiddetto antifonario gregoriano, che conteneva tutti i canti ammessi nella liturgia unificata. Questa unificazione classificò i brani di musica sacra in uso secondo un sistema di modi, ispirati ai modi della tradizione greca.Il repertorio del canto gregoriano è molto vasto e viene differenziato per epoca di composizione, regione di provenienza, forma e stile. Esso è costituito dai canti dell'Ufficio e dai canti della Messa. I. Nei canti dell'Ufficio si riscontrano le seguenti forme liturgico-musicali: le Antifone, i Responsori e gli Inni. II. Nei canti della Messa vi sono forme legate alle parti dell'Ordinario o OrdinariumMissæ e del Proprio o PropriumMissæ. Sia nei canti dell'Ufficio come in quelli della Messa si riscontrano tutti i generi-stili compositivi del repertorio gregoriano; essi si possono classificare in tre grandi famiglie: I. I canti di genere sillabico come ad esempio le più semplici Antifone dell'Ufficio, le melodie semplici dell'Ordinario e i recitativi del Celebrante. II. I canti di genere semisillabico o neumatico come ad esempio gli Introiti e i Communio della Messa o alcune antifone più ampie dell'Ufficio. III. I canti di genere melismatico come ad esempio alcuni Graduali e Offertori o i responsori prolissi dell'Ufficio O il più importante lo jubilus dell'Alleluia. La riforma gregoriana sostituì lo studio dei testi alla trasmissione orale delle scuole di canto delle origini, sacrificando, oltre alle particolarità regionali e all'intonazione microtonale anche il ruolo dell'improvvisazione. Allo stesso tempo si creò la necessità di "annotare" i testi scritti in modo da aiutare i cantori ad eseguire le musiche sempre nello stesso modo, con una linea melodica che indicava la sua direzione, ascensionale o discensionale. Quest'esigenza fece nascere segni particolari che, annotati tra le righe dei codici, rappresentavano l'andamento della melodia. La musica nell'Umanesimo e nel Rinascimento. Durante il Quattrocento si sviluppò un nuovo stile, inizialmente per ispirazione dei compositori ingles,e successivamente ad opera della scuola franco fiamminga, che innovò grandemente le preesistenti forme della messa, del mottetto e della chanson. Ponendo le consonanze per terze e la forma imitativa del canone alla base delle loro procedure compositive, i franco-borgognoni rivoluzionarono la pratica della polifonia ereditata dall'Ars nova. Il lavoro di questi compositori poneva le basi per lo sviluppo di quella che sarebbe stata la teoria dell'armonia. Nel Cinquecento abbiamo la nascita del madrigale ad opera del francese Philippe Verdelot e del fiammingo Jacques Arcadelt. Grazie all'invenzione della stampa nacque l'editoria musicale che in Italia si rivolse soprattutto ad una élite, mentre in Francia e nel nord Europa puntò ad un ampliamento del mercato. La Riforma influenzò radicalmente il modo di concepire la musica: mentre nelle zone calviniste la musica fu ridotta alla sola funzione liturgica, in quelli luterani si diffuse capillarmente ai livelli popolari, assolvendo il ruolo di collante nazionale grazie alla lingua e alla fede. Furono gettate le basi per una nuova sensibilità germanica nei confronti di questa arte che produrrà effetti epocali. Nella seconda metà del secolo abbiamo la nascita del melodramma, ad opera della Camerata fiorentina: nei decenni successivi il genere sarà portato in auge soprattutto grazie a Claudio Monteverdi. 23 Il Barocco e il sistema tonale. Nel Seicento la musica strumentale in occidente divenne autonoma ed assunse una fisionomia delineata in generi come la sonata, la sinfonia, il concerto grosso. La musica occidentale si sviluppò con straordinaria rapidità attraverso i secoli successivi, anche perfezionando il suo sistema tonale: una pietra miliare è costituita dalle composizioni di Johann Sebastian Bach del Clavicembalo ben temperato.Nella prima metà del Settecento sorse la committenza indiretta, vale a dire la fruizione dell'arte da parte di un pubblico pagante. La musica romantica. Nel secolo d'oro della musica classica occidentale, gli anni che vanno dal 1750 al 1850, essa si esprime in forme sempre più ricche ed elaborate, sia in campo strumentale che in campo operistico, sfruttando sempre più estesamente le possibilità espressive fornite dal sistema armonico e tonale costruito nei secoli passati.Durante questo periodo, per la prima volta, si manifestò un sentimento storico dell'esperienza musicale; la musica acquisì una coscienza storica al pari delle altre arti grazie agli studi e le pubblicazioni che riguardarono il passato. Questo nuovo fenomeno consentì di creare una saldatura tra il presente ed il passato e di dare continuità al percorso evolutivo musicale.Nel XVIII secolo vi fu la grande presenza di Mozart. Senza dubbio fu uno, tra i grandi, e sono tanti; e grazie a lui l'evoluzione della musica poggiò su un grande pilastro creato, che si estese in tutti i campi, sinfonia, opera, musica da camera, serenate, e che rappresentò il legame, possiamo dire, tra la musica del Settecento e quella romantica del XIX secolo.Inizio del Notturno in Re bemolle maggiore per pianoforte di Fryderyk Chopin. Agli inizi del XIX secolo giganteggiò la figura di Ludwig van Beethoven, che prese le mosse dall'eredità di Mozart e dei compositori classici coevi per arrivare a trasfigurare le forme musicali canoniche, soprattutto la sinfonia e la sonata, creando al contempo il concetto di musica assoluta, cioè svincolata dalle funzioni sociali cui era stata fino ad allora subordinata. Con Beethoven si assistette alla nascita della figura del compositore/artista, contrapposta a quella, in precedenza prevalente, del musicista/artigiano. Insieme a lui, artisti come Johannes Brahms, Anton Bruckner e Gustav Mahler ottennero ottimi risultati specialmente in campo sinfonico, per questo si parla di "Stagione del grande sinfonismo tedesco".In Beethoven si trovano le prime manifestazioni del romanticismo musicale, molti protagonisti del quale furono di area germanica e austriaca, come Schubert, Mendelssohn, Schumann. A Parigi operano invece Berlioz e il franco-polacco Chopin. La musica contemporanea Queste innovazioni in campo tonale vennero radicalmente contestati dalla musica del XX secolo, che esplorò le nuove forme dell'atonalità. Con questa tecnica il singolo compositore definì autonomamente le regole per la realizzazione del brano, dando maggiore importanza all'effetto prodotto dai suoni piuttosto che alla loro appartenenza ad un assegnato sistema tonale: per apprezzare un brano di musica composto secondo questi canoni, però, il solo ascolto non è sufficiente, ma deve essere integrato da un attento studio dello spartito.In particolare, nel secondo decennio Arnold Schönberg, assieme agli allievi, tra cui ricordiamo AlbanBerg e Anton Webern, giunse a delineare un nuovo sistema, la dodecafonia, basato su serie di 12 note. Alcuni ritennero questo l'inizio della musica contemporanea, spesso identificata con la musica d'avanguardia: altri dissentirono vivamente, cercando altre strade. Il concetto di serie, inizialmente legato ai soli intervalli musicali, si svilupperà nel corso del secondo Novecento sino a coinvolgere tutti i parametri 24 del suono. Fu questa la fase del serialismo, il cui vertice fu raggiunto negli anni cinquanta con musicisti come Pierre Boulez e John Cage.Altri musicisti - fra cui anche Igor Stravinsky, Bela Bartok e Maurice Ravel scelsero di cercare nuova ispirazione nelle tradizioni folkloriche e nella musica extraeuropea, mantenendo un legame con il sistema tonale, ma innovandone profondamente l'organizzazione e sperimentando nuove scale, ritmi e timbri.A causa della larga gamma di definizioni, lo studio della musica è effettuato in una grande varietà di forme e metodi: lo studio del suono e delle vibrazioni,lo studio della teoria musicale, lo studio pratico, la musicologia, l'etnomusicologia, lo studio della storia della musica. Carla Fisicaro e Giada Oddo 25 L’inviato speciale Interviste ai volti noti Intervista a Luka J Master, noto DJ & Producer siciliano Luca Campanello in arte Luka J Master, dj siciliano che vive nella nostra Lentini, nato a Catania il 5 aprile 1975,inizia a fare il DJ nel 1989,organizzando le feste all'interno del suo garage. Ci racconta che inizialmente si faceva chiamare JJ LUKE, ma un giorno guardando le scritte del mixer vi legge la scritta “Master” , che lo convince a modificare il suo nome mettendo la k al posto della c e la j che sta per dj, e da questo giunse a essere “LUKA J MASTER”. Luka inizia la sua carriera in una radio locale di Lentini, RADIOSTUDIO 51. Nel 1991 inizia a lavorare presso la discoteca GOYA di Ramacca (CT),e da li in poi non si ferma piu'. Alcune discoteche dove e' stato dj resident o guest dj: BOOMERANG(ct),MEDEA(ct),RAPANUY(me), GOYA(ct), IRISH(sigonella), BANACHER(ct), CUCARACHA(ct), MARABU'(me), MALIBU'(sr), PIPER(roma), RAMBLAS(ct), Villaggio s. stefano(Vieste), Strike(sigonellact), TAITU'(me), DOME(ct), CAPANNINE(ct), INSOMNIA(ponsacco Pisa), MULTHAN(tunisia), LE PALME(ct), LIDO ROMA(ct), LIDO POLIFEMO(ct), DISCUS(ct), CAPRICCIO(palagonia-ct), SILENCE(rg), SALOTTO47(scordiact), CACJARA(scordia-ct), MOVIDA (carlentini), EDEN(scordia), MARE'(catania)e tante altre. 26 Nel 2002 DIVENTA UN DJ PRODUCER,e da vita al primo singolo chiamato OBSESSION, nato da una collaborazione con il producer Tobix (Tobia Borrata), suo grande amico del quale ci racconta di avere grande stima; il singolo è cantato da NICOLETTA SANTAMARIA in arte NAIKE; a seguire dà vita ad un paio di remix e di mashup, che porta con sé nei club dove si esibisce come dj. Nell'estate 2014 insieme a TOBIX produce il singolo SHAKE YOUR BODY, che gli ha dato tante soddisfazioni, entrando in alcune importanti classifiche ed è stato inserito in varie compilation. Nel settembre 2014 presso la discoteca Discus di Catania gli viene assegnato il premio come vincitore dei DJ Best Awards. Nel 2015 entra in una radio popolare, Radio Qrz latina che è una tra le piu' grandi radio dell’America Latina e isole canarie. Oltre ad esibirsi in piazze e in discoteca per i dj set, Luka JMaster produce il singolo LET ME TRY, con la KEEP records, uscito il 9 febbraio 2015, prodotto ancora una volta insieme a Tobix, singolo cantato da Silvia Urbani(nota cantante dance anni 90),piazzandosi alla posizione n.50 di itunes, singolo supportato da radio M2O e trasmesso anche da BBC1, radio in Inghilterra e tante altre radio. 27 Nell’estate 2015 ancora una volta insieme a Tobix produce il singolo Aloha cantato dalla colombiana Marcela Ocampo e dal cubano Karlon Urbano, entrando nella classifica itunes al 120 posto; Aloha è diventata la song ufficiale del programma Calcio da mare in onda nelle reti del gruppo la 7gold per tutta la stagione calcistica 2015/16ed è stata molto trasmessa in radio ottenendo un buon successo nei paesi latini. Anche nel luglio 2015 Luka J Master vince per il secondo anno consecutivo il Best Sicilian Dj Award. Nel settembre 2015 entra ufficialmente con il suo programma “Mastermania” in Radio Qrz latina e in ottobre entra a far parte del Passion Inside (un programma di Marco Veneziano che trasmette la replica della Mastermania) e anche in una radio della ROMANIA (SPACEfm). 28 Il genere musicale che egli propone nei suoi live set dj è commerciale,house future e anni 90. Attualmente ci racconta che è già a lavoro in studio per la realizzazione del nuovo singolo che uscirà intorno afebbraio 2016 sempre con etichetta KEEP. Nonostante i vari successi Luka J Master sembra essere rimasto una persona umile, che non dimentica le proprie origini. Ci racconta che dopo Obsession abbandona la produzione musicale per circa 10 anni. Riprende solo nel 2014 con Shake your body che gli dà il meritato successo e gli restituisce fiducia. Questo per dimostrarci che nella vita bisogna sempre coltivare le passioni perché esse prima o poi ci portano dove vogliamo andare. Cirino Miceli (III C) Luka J Master e Cirino Miceli (III C) 29 Intervista alla prof.ssa e poetessa Elisa Vecchio Elisa Vecchio, poetessa lentinese, racconta un pò di lei dicendo che cominciò a scrivere all’età di 14 anni e che inizialmente componeva solo filastrocche poiché amava i giochi di rime; successivamente iniziò a scrivere anche poesie d’amore per poi passare ad argomenti di vario genere. Terminata la maturità scientifica, conseguita nell’anno 2000, si scrisse alla Facoltà di Lettere Moderne dell’Università degli Studi di Catania, dove oltre a coltivare l’amore per la poesia capì che voleva diventare un’insegnante di lettere. Dopo la laurea, conseguita col massimo dei voti nel 2007, continuò con gli studi aggiungendo al suo curriculum 3 importanti Master Universitari e l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole medie e superiori. Ci racconta che attualmente sta studiando per conseguire la seconda laurea, ma non svela in quale facoltà. Alla domanda “Dove trova l’ispirazione?” Risponde “Mi piace osservare le cose, sentirne l’essenza, scavare a fondo, guardare ciò che le anima e in quel preciso istante mi ispiro e scrivo come se fossi presa da una febbre improvvisa”. E prosegue ”Bisogna guardare il mondo con occhi diversi per capire ciò che realmente ci circonda”. Non ha mai pubblicato nessuna delle sue poesie, che custodisce con molta riservatezza. Solo nel 2014 la Casa Editrice “Pagine” di Roma pubblicò 7 delle sue poesie inserendola a pieno titolo tra i Poeti contemporanei. Ella scrive sia in italiano che in dialetto. La sua prima poesia in dialetto fu “Amaru amuri” che narra la storia della una baronessa di Carini, pubblicata nel 2014 anche su Youtube dalla sua Casa Editrice. Ci racconta come scrisse questa poesia dicendo che un giorno si trovava nella biblioteca dell’Università a Catania per delle ricerche e casualmente trovò un articolo che narrava del lamento funebre cinquecentesco per la morte della baronessa di Carini. Portò quell’articolo a casa con sé e lo mise da parte. Un giorno lo tirò fuori e cominciò ad appassionarsi a quella vicenda. La sera stessa in 10 minuti compose la poesia. 30 Attualmente la professoressa Vecchio insegna nel nostro istituto e ci ha detto che continua a scrivere e a non pubblicare perché molte poesie sono intime. Ha iniziato a scrivere un romanzo, che però ha interrotto perché è più interessata alla composizione poetica. Conclude l’intervista dicendo: “Io ho in parte realizzato il mio sogno, che è quello di insegnare, perciò non perdere mai la speranza e insegui i tuoi sogni fino alla fine”. 31 Debora Manganaro (II A) Tradizioni IL DIALETTO SICILIANO Data la lunga e variegata storia della Sicilia, crogiolo di culture e popoli, è difficile distinguere tutte le influenze linguistiche subite dal dialetto Siciliano. Il fenomeno di uniformità del dialetto, fu osservato da molti studiosi di glottologia.Le differenze che si possono notare nel lessico derivano quasi esclusivamente dalla presenza più o meno di avanzi del greco e dell'arabo. Il lessico latino presenta in tutta l'Isola una uniformità che raramente si trova nelle altre regioni d'Italia. I dialetti Siciliani si possono dividere in tre zone: siciliano occidentale, siciliano centrale e siciliano orientale. Il dialetto siciliano oggi è correttamente parlato da circa 5 milioni di persone in Sicilia, oltre ad un numero imprecisato di persone emigrate o discendenti da emigrati dove il siciliano è madrelingua, in particolare quelle trasferitesi nel corso dei secoli passati negli Usa < dove addirittura si è formato il Siculish> , in Canada, Australia, Argentina, Belgio, Germania e nella Francia meridionale. L'uso del siciliano è altresì molto diffuso sia come lingua familiare che come lingua conviviale tra persone in stretta relazione, e presenta una produzione letteraria piuttosto viva, soprattutto nel campo della poesia. Così si esprimeva l'insigne filologo Ernesto Monaci: “ Si cerchi di rialzare nella coscienza del popolo l'idea del suo dialetto, persuaderlo che tutti in Italia, siccome anche nelle altre nazioni,siamo bilingui: che la favella appresa nel seno della nostra famiglia non è men degna di rispetto che la lingua da apprendersi nelle scuole.I dialetti dovrebbero avere un loro spazio nella lingua parlata e sarebbe tempo che, finalmente, se ne introducesse lo studio nelle scuole affinché quei tanti che s'affannano a far dimenticare il dialetto nativo per una lingua che non sempre conoscono,cessassero da questa loro opera disfattistica.” Vi è poi la testimonianza di Dante che nel “ DE vulgarieloquentia “ scrive: Il volgare siciliano si acquistò fama prima e innanzi agli altri per il fatto che molti poeti indigeni poetavano in siciliano e per il fatto che la corte aveva sede in Sicilia è accaduto che tutto ciò chi si è prodotto di poetico prima di noi fu detto siciliano; denominazione che anche noi qui manteniamo e che nemmeno i posteri potranno mutare. Egli definì tutta la produzione poetica siciliana col nome di " Scuola Siciliana" e affermò che i primi "pionieri" nel campo della produzione letteraria e poetica in lingua volgare italiana furono proprio i poeti siciliani appartenenti a questa scuola. U mari(di Alfredo Ossino) Era carusu e taliava u mari, l'unna batti a 'nsichitanza, a cosa mi faceva pinsari a so pacenzia e a so custanza. 32 Di millanni fa a stissa cosa si tira a rina e c'ha rimetti mai una vota si riposa mai na vota ci la smetti. Avi a forza do Signuri, mancu a petra ci risisti 'ntamillanni fa sculturi, ca su a 'miria di l'artisti. L'omu 'nchinu di 'ncuscenza u inchisempri di lurdia, ma u mari cu custanza, subutudopu pulizia. A pacenzia di lu mari è vecchia di mill'anni, nuddu mai u postancari nuddu ci procura affanni. Tanti anni ha napassatu, u mari è chinu di munnizza, pòessiri chi l'omu ha vinciuti, ca ha stancatu 'sta rannizza? Haiu fiducia 'ntalu mari, l'omu è vili e nun a dura a spiranza mi fa pinsari 33 ca a fini vinci la natura. Pero, l'omu si spaventa, è forti e ostinatu, cu tutti si cimenta supra a tutti ha cumannatu. Sta cosa non pòdurari picchì l'omuaccussi intelligenti lotta sempri cu lu mari e pa natura è nun fa nenti? Picchì l'omunun capisci ca da natura è 'mpizzuddu ca su chista a spirisci puruiddu diventa nuddu. ShakiraTorrisi e Giada Panarello (III B) 34 IL NOSTRO PRESEPE Foto di Alfio Brancato (I B) 35 L’angolo del racconto LA SPOSA PROMESSA Sono nata a Genova, una città italiana immersa nel suono delle campane ed il cinguettio delle rondini. Troppo presto ho perso i miei genitori: mio padre quattro anni fa morì di cancro e mia madre quattordici anni fa dopo la mia nascita (e mio padre mi diede il suo stesso nome per non dimenticare la donna meravigliosa che era); dal giorno che mio padre mi lasciò mio zio si prese cura di me fino ad oggi. Il 29 maggio 1453, alle sei del mattino, mio zio entrò nella mia stanza e mi disse con tono gioioso: "Ho una bellissima notizia per te Isabella, ho concluso il tuo matrimonio. Ti sposerai con un certo Adalberto, signore di Macinaggio, un paese della Corsica, è un'occasione da prendere al volo, dice di averti vista alla messa mentre pregavi quando è venuto qui a luglio." Siccome non lo conoscevo gli risposi: "Signore Zio, non pensa che sono troppo giovane per essere data in sposa? Ho ancora quattordici anni e poi la Corsica è un luogo selvaggio e il viaggio per raggiungerla è troppo pericoloso: i pirati Saraceni potrebbero rapirmi, non ci avete pensato?" 36 Egli rispose: "Hai quattordici anni, basteranno. Poi, questa faccenda non dipende da te ma da me, perchè ho bisogno del porto di Macinaggio, e se la nave scompare, e anche tu con lei, io avrò tutti i benefici del porto. Ora vai a prepararti perché la nave partirà tra due ore, resta vestita così come sei, datti solo una sistemata." Così mi preparai ad un viaggio di se e di ma, non sapendo a cosa andassi incontro. Il mio pensiero era rivolto all'uomo che sarebbe divenuto mio marito, senza che io, neanche sapessi chi fosse. Mi imbarcai alle otto del mattino con il fiato sospeso e il cuore in gola per la tristezza. Dopo qualche ora guardai all'Orizzonte, dove si intravedeva la costa: era frastagliata, quasi a dire: "Di qui non si passa". Si vedevano alti faraglioni che dividevano l'isola in due parti, con ripide vallate che osteggiavano chiunque volesse abitarla. Nel frattempo una enorme nave pirata salpava verso di noi. Si avvicino’ così tanto alla nostra nave che sentimmo le urla dei suoi passeggeri e ad un certo punto, sentimmo un forte boato e vedemmo del fumo che usciva dalla sotto-coperta. I pirati ci stavano attaccando! Ero terrorizzata e mi buttai in acqua, ma appena emersi un pirata mi tirò fuori e mi rapì. Mi bendarono gli occhi con una stoffa puzzolente che odorava di pesce marcio, mi legarono mani e piedi e mi rinchiusero in una stanza della nave, completamente buia. L'odore nauseabondo di quella benda mi fece svenire. Dopo delle ore venne un uomo a svegliarmi e mi disse: "Stai tranquilla Isabella, ci penso io" io risposi: "grazie, ma chi è lei?" egli rispose "non ha importanza" e se ne andò. Non riuscii a riaddormentarmi, nella mia testa scorrevano molte domande senza risposta: <Chi era quell'uomo? Perchè voleva aiutarmi?> 37 Nel cuore della notte tornò quell'uomo e mi disse: "stai tranquilla, seguimi senza fare rumore". Mi liberò e scappammo in silenzio mentre i pirati dormivano. Salimmo su una scialuppa ed egli remò fino a riva. Arrivati, egli mi fece cambiare e in seguito ci addormentammo. La mattina seguente, mi alzai prima di lui, lo guardai in viso per un pò e vidi che era un uomo bellissimo; dopo qualche minuto egli si svegliò, mi guardò e mi disse: "Non sei cambiata" io mi chiesi tra me e me: <Quest'uomo mi conosce, chissà chi sarà mai!> allora gli chiesi: "Ma chi è lei? Mi potrebbe rivelare il suo nome?" L'uomo , in silenzio, mi fece un sorriso e nel frattempo i pirati, si accorsero della nostra fuga, ci videro in riva ed aprirono il fuoco. Noi cercammo di seminarli tra i selvaggi boschi della Corsica, ma un pirata riuscì a colpire il misterioso uomo che mi aveva salvata ed egli reagì mostrando rapidamente una pistola che lo fece scappare. Non riusciva a camminare per il forte dolore e cercammo aiuto, ma non c'era nessuno in quel bosco. Camminando per ore e ore trovammo dei cavalli muniti di sella e tutto il necessario per cavalcare agevolmente; in lontananza c’erano dei cacciatori che tornavano a mani vuote da una battuta di caccia. I cacciatori riconobbero l' uomo e si offrirono di aiutarci. Ci portarono in un paesino e tutti gli abitanti guardavano sconvolti l'uomo misterioso. Ad un certo punto chiesi ad un cacciatore: "Scusi mi potrebbe dire qual è il nome di questo paesino?" "Questo è Macinaggio , signorina" rispose. 38 I due cacciatori ci portarono in un castello da cui uscì un nobile e disse all'uomo che era ferito e tutto sporco di sangue: "Figlio mio , che vi è successo ?" disse sconvolto. "Padre, dei pirati hanno rapito questa stupenda ragazza, io l'ho salvata ma durante la fuga uno di loro ha colpito con la sua arma da fuoco" egli rispose. Il padre dell'uomo chiamò subito delle serve che curarono la gamba dell'uomo e mi diedero una stanza e degli abiti puliti. Dopo un'ora circa, entrò l'uomo in compagnia di mio zio e mi chiese: "Ancora non avete capito chi sono io?" Allora mio zio con un sorriso mi disse: "Isabella, costui è Adalberto". Io mi innamorai di lui sin da quando mi salvò, ma avevo avuto paura a rivelarlo perfino a me stessa. "Domani vi sposerete" disse mio zio. Io, lo guardai e lo abbracciai in un pianto di gioia e di sollievo. Il giorno dopo ci sposammo e quello fu il giorno più bello della mia vita. Gli alunni della classe III B 39 Proverbi e detti siciliani Di Giorgio Joele (III B) 40