Biografia di Salvator Rosa
1615 • Il 21 luglio, secondo il suo biografo Giovan Battista Passeri, o il giorno prima (20 luglio) secondo
Filippo Baldinucci, o ancora il 20 giugno secondo De Dominici, nasce a Napoli Salvatore Rosa,
secondogenito di Vito Antonio de Rosa (il cognome fu poi mutato in “Rosa”, probabilmente dall’artista
stesso) agrimensore, e di Giulia, figlia del pittore Vito Greco, residenti nel sobborgo dell’Arenella
presso Napoli.
Le condizioni economiche della famiglia, già precarie, precipitano alla morte del padre nel 1621. La
madre di Salvatore si risposa quasi subito, mentre il ragazzo e il fratello maggiore Giuseppe vengono messi a
bottega presso il nonno e lo zio materni: Vito e Domenico Antonio Greco. Il loro atelier è esclusivamente dedito
alla produzione di immagini sacre eseguite su modelli ripetitivi. Giuseppe e Salvatore incominciano a frequentare
il corso inferiore delle Scuole Pie per bambini poveri dei Padri Scolopi, aperte a Napoli nel 1626.
1630 •
Salvatore, preceduto l’anno prima dal fratello, diventa novizio scolopio come “chierico operaio”, con
l’obbligo di insegnare le materie del corso elementare ai più piccoli. In questo frangente Salvator Rosa “trascorre
tutto lo studio della Grammatica, s’avanzò nella Rettorica e giunse ai principj della Logica”.
1631 •
In marzo Salvator Rosa abbandona gli Scolopi e ritorna a dipingere. Rimarrà comunque in contatti
cordiali – tramite il fratello Giuseppe che divenne “frate scolopo” – con Giuseppe Calasanzio, fondatore dell’ordine
scolopio, anche dopo essersi trasferito a Roma e a Firenze.
1632 •
In ottobre la sorella di Salvator Rosa, Giovanna, sposa il pittore Francesco Fracanzano. Salvatore è
testimone di nozze e si firma nell’atto nuziale pittore con bottega presso S. Spirito (cioè quella del nonno
materno Greco). Secondo i biografi ufficiali, il giovane si mette subito dopo al seguito del più anziano e già
affermato cognato, seguace di Jusepe de Ribera, di cui risentirà forti influenze, soprattutto nei panneggi
sfrangiati e nella piumosità dei capelli di molte figure dei suoi dipinti in grandi dimensioni.
1634-35 •
Secondo le fonti dei suoi biografi, Salvator Rosa frequenta la bottega di Jusepe
de Ribera (pittore spagnolo che trasferitosi a Napoli da Roma nel 1616 era divenuto il protagonista indiscusso
dell’ambiente pittorico locale) e poi quella di Aniello Falcone. Sul modello di quest’ultimo, Salvator Rosa
incomincia a dipingere in questi anni le sue prime battaglie che gli attribuiranno l’aggettivazione di
“pittore battaglista”. Inoltre dipinge raffigurazioni con figurine in piccolo formato di soldati, pescatori,
pezzenti, su modello dei bamboccianti nordici. Un genere, questo, che continuerà ancora a produrre nei
primi tempi del suo soggiorno a Roma.
1635 •
Primo viaggio a Roma di Salvator Rosa, ospite dell’amico napoletano Girolamo Mercuri, maestro di
casa del Cardinal Brancacci. Appena a Roma, però, il pittore si ammala ed è costretto a letto per lungo
tempo. Guarito, ritorna a Napoli.
1638 •
Da Napoli Salvator Rosa invia a Roma un dipinto con Tizio lacerato dall’avvoltoio, che Niccolò
Simonelli – “gentiluomo” del Cardinal Brancacci e noto intenditore d’arte, nonché amico del pittore – fa
esporre alla mostra di pittura che si tiene ogni anno nel portico del Pantheon il 19 di marzo,
accompagnandolo con un opuscolo elogiativo dal titolo Il Demostene della pittura che, a detta del biografo
Passeri, “diede una fama strepitosa al nome di Salvator Rosa”.
Nell’autunno Salvator Rosa è a Roma e non rientrerà mai più a Napoli.
Per qualche tempo soggiorna a Viterbo nella cerchia del Cardinal Brancacci, dipingendo la pala con l’Incredulità
di S. Tommaso per la chiesa dell’Orazione e Morte. Qui conosce il poeta Antonio Abati, che lo avvia alla
poesia satirica.
1639 •
Salvator Rosa esordisce come attore “all’improvviso” con successo; ciò ha contribuito in età
romantica a evocare un particolare fascino. Durante il carnevale Salvator Rosa, indossata la maschera
napoletana di Pasquariello e assunto il nome di Formica, scende con un gruppo di compagni sulla piazza,
inscenando tra il popolo uno spettacolo da saltimbanchi. Il gesto è arditamente “sconveniente” nella concezione dei
commediografi romani del tempo.
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Nell’estate mette in scena altre commedie “improvvisate” sotto la direzione dell’abate Niccolò Musso. A una
rappresentazione interviene il Bernini, allora tra i principali esponenti della scena artistica. Salvator Rosa, in
maniera ardita, attacca con allusioni dirette la mordacità delle commedie messe in scena dal Bernini e le
commedie di Ottaviano Castelli. Quest’ultimo fa scagliare calunnie contro il “Formica” nel corso di una
sua commedia.
Secondo Baldinucci, Salvator Rosa si inimica l’entourage della prestigiosa Accademia di San Luca,
esponendo alla mostra del Pantheon a Roma il quadro di un “chirurgo pittore”, soggetto non ammesso
dall’Accademia.
1640 •
Nell’autunno si trasferisce a Firenze, chiamatovi dal Principe Giovan Carlo de’ Medici, fratello del
Granduca regnante Ferdinando II, grande collezionista e mecenate.
Al servizio di questi Rosa rimarrà fino al gennaio del 1648, ricevendo otto scudi mensili. Fra l’entourage
mediceo conoscerà Carlo Gerini, maggiordomo di Giovan Carlo, il quale possedeva diversi quadri del
Rosa (la Fortuna, la Selva dei Filosofi e il suo pendant Cratete che si disfa del suo denaro disperdendolo in
mare, la Battaglia con il turco e il Tizio).
A Firenze conosce Lucrezia, una donna fiorentina sposata, che si unirà a lui per il resto della sua vita.
Il Principe Giovan Carlo, appassionato di teatro, consente al Rosa di recitare in commedie “all’improvviso”
allestite nel Casino di S. Marco, cui partecipano intellettuali e letterati fiorentini.
Salvator Rosa si unisce a questo gremio culturale, tra cui spiccano i nomi di Evangelista Torricelli e di noti eruditi,
come il giovane Carlo Dati, e fonda un’Accademia chiamata dei Percossi che si raccoglie nella comoda
casa del pittore. Nei banchetti degli Accademici (offerti a spese del Rosa) vengono letti composizioni e discorsi
spesso ispirati ai dipinti dell’artista. Da questo momento il Rosa aspira a presentarsi come pittore
filosofo.
Incomincia a scrivere le sue prime satire: la Musica, due anni dopo la Poesia e la Pittura che prendono di mira
lo stato attuale delle rispettive arti in modo molto acuto, prolisso e con infinite citazioni erudite tratte da autori
classici.
Inizia a dipingere quadri di soggetto emblematico, filosofico, eroico, pur continuando a essere richiesto per
paesaggi e battaglie. Dipinge una serie di Stregonerie.
1641 •
Lucrezia Paolino dà alla luce il primo figlio del pittore, chiamato Rosalvo.
Salvator Rosa conosce l’allora giovanissimo Giovan Battista Ricciardi, più tardi lettore di Filosofia
morale nello Studio di Pisa, col quale l’artista manterrà una stretta amicizia per tutta la vita. Su consiglio di
Ricciardi, il pittore Salvator Rosa incomincia letture di filosofia, appassionandosi soprattutto alla corrente degli
antichi filosofi del “cinismo” e allo “stoicismo”.
1642 •
Continua anche a dipingere quadri di battaglie, soprattutto su commissione. Si ricorda a questo
proposito la Battaglia, dipinta per Ferdinando II in occasione della nascita dell’erede maschio Cosimo, ove il
pittore accentua il carattere ideale ed eroico della battaglia. In questo periodo dipingerà anche l’enigmatico
quadro per Carlo Gerini intitolato la Selva dei Filosofi e per suo piacimento l’Autoritratto come filosofo, seguito
dal ritratto dell’amata Lucrezia in sembianze de La Poesia.
1645 •
Si interrompe, per ragioni a noi non note, l’appannaggio dello stipendio annuo che Salvator Rosa
riceveva da Giovan Carlo de’ Medici, divenuto Cardinale.
Da questo momento, Salvator Rosa esprimerà una critica amara contro la falsità e la corruzione delle corti. Scrive
la cantata intitolata La Corte (poi musicata dal compositore Antonio Cesti, conosciuto dal pittore in questo periodo) in
cui si lamenta della propria virtù misconosciuta, un tema costante nelle sue composizioni successive. Si apre un nuovo
periodo stilistico del pittore Rosa: alla serena ma profonda espressione artistica degli anni precedenti subentra
una tormentata visione. In questa tem perie culturale, qualche anno dopo compone l’ode alla
Strega, che troverà spazio figurativo nella versione dipinta, stesa nel 1646, nel quadro intitolato Scena di
stregoneria, o sempre nello stesso anno nelle Tentazioni di Sant’Antonio accompagnate dai due busti in tondo dei
filosofi Eraclito e Democrito.
Verosimilmente Salvator Rosa attraversa un periodo di difficoltà economiche. Si allungano i suoi
soggiorni insieme con la sua compagna Lucrezia Paolino e con il figlio Rosalvo nelle ville suburbane di
amici a Barbaiano e Monterufoli.
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A Barbaiano, nella villa di Giulio Maffei e di suo fratello Ugo, continua a inscenare commedie “all’improvviso” con
gli amici e a scrivere versi.
1647 •
Scrive un’ode sulla Guerra, rivolta contro i principi italiani e pensata come recita da tenersi
all’Accademia degli Umoristi nel 1650, anno del Giubileo. Si attribuiscono a questo periodo il dipinto intitolato
Prometeo e l’Airone sul delfino.
1648 •
Dipinge per Francesco Cordini l’Allegoria della Filosofia morale (quadro in mostra), come riporta il
biografo Baldinucci. Cordini possedeva vari quadri di Rosa, ricevuti dal pittore in segno di amicizia
ma anche per il ruolo di agente e mercante che ricopriva a Firenze, in contatto con l’intellighenzia
intellettuale del tempo.
1649 • In febbraio ritorna a Roma portando con sé Lucrezia e Rosalvo, ospitato in un primo tempo da
Girolamo Mercuri. Dopo poco troverà casa in via Felice (odierna via Sistina), presso Trinità dei Monti. Probabile
viaggio a Venezia grazie ai contatti con Paolo Vedramin.
1650 •
A gennaio si trasferisce a Roma, attirato dalla città santa, in occasione del Giubileo indetto da Papa
Innocenzo X.
È ammesso all’Accademia di San Luca. Da alcuni membri della prestigiosa Accademia letteraria degli
Umoristi è invitato a recitare la sua satira intitolata Timone (ovvero: La Guerra) in una loro riunione,
durante il carnevale. Respingerà l’invito; è comunque ammesso a far parte sia dell’Accademia degli
Umoristi, sia di quella dei Fantastici.
Rifiuta l’invito di un “personaggio grande” a recitare in una commedia, rispondendo di “non sapere aprir la
bocca senza trafigere l’orecchio di chi l’habbi ad ascoltare”.
I biografi testimoniano che Salvator Rosa stesso, durante gli anni trascorsi a Roma, legge le sue satire
soltanto nella propria dimora a quanti vadano “a pregarlo”: nella sua casa lo visiteranno principi, alti dignitari,
prelati e intellettuali di fama.
Tra aprile, maggio e novembre ritorna a Monterufoli nella villa di Giulio Maffei, dove dipinge l’importante opera
Democrito in meditazione.
È da ascrivere a questo periodo l’amicizia con Luigi Alessandro Omodei, Cardinale nella Roma del Papa
Innocenzo X e del successore Alessandro VII. Omodei, di famiglia milanese, diviene committente diretto
di Salvator Rosa a partire dagli anni ’60.
1651 • Il 19 di marzo espone l’importante opera intitolata semplicemente Democrito alla mostra del
Pantheon facendo, a suo dire, “spiritar Roma”. In attesa di venderlo, dipinge come suo compagno il Diogene,
che esporrà sempre al Pantheon l’anno seguente e lavora alla realizzazione dell’opera intitolata San Matteo.
Da questo momento Salvator Rosa non trascura di esporre suoi dipinti a tutte le mostre annuali del
Pantheon e a quelle che si tenevano nell’estate nel chiostro di S. Giovanni Decollato.
I suoi rapporti con la committenza locale, pur procurandogli sempre del lavoro, per molti anni non sono,
infatti, tali da procurare all’artista alcuna commissione per una pala d’altare, ovvero per un’opera del
prestigio e destinata ad avere la pubblicità che il Rosa si augurava. Scegliendo di esporre alle mostre come artista
indipendente, il Rosa assume una posizione di forte autonomia allora assai insolita. In pubblico esporrà soltanto dipinti
di grandi dimensioni, con figure, e si rifiuterà in modo sempre più deciso di essere considerato un
pittore di paesaggio finché, negli anni ‘60, finirà col cessare del tutto di dipingere paesaggi.
Nel dicembre accenna per la prima volta, in una lettera al Ricciardi, ai rami che intende intagliare.
1652 •
Rifiuta un invito alla corte di Cristina di Svezia, invito nato in seguito al successo riportato dal Diogene
all’esposizione del Pantheon. Nonostante questo rifiuto Cristina di Svezia, alla morte di Salvator Rosa,
vorrà acquistare i suoi disegni per la propria collezione.
Monsignor Corsini, in procinto di recarsi in Francia come Ambasciatore della Santa Sede,
commissiona al Rosa una grande Battaglia da portare in dono al Re. È da far risalire a questo periodo
l’esecuzione di altri quadri di Battaglia, fra cui quello presente in mostra.
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Incominciano quest’anno gli attacchi sferrati contro il pittore da nemici invidiosi dei suoi successi,
soprattutto quelli letterari, attacchi che amareggeranno il Rosa per quasi quindici anni, diventando così
insidiosi da sollevare più volte contro di lui i sospetti dell’Inquisizione riguardo alla sua vita privata, alle
sue convinzioni religiose e alle sue dichiarazioni pubbliche.
In risposta ai primi attacchi, il Rosa inizia la satira L’Invidia.
I suoi nemici cercano di farlo espellere dalle Accademie degli Umoristi e dei Fantastici. Iniziano intanto a
mettere in giro la voce che il pittore non sia il vero autore delle Satire.
Espone al Pantheon l’opera intitolata Diogene che getta via la scodella (pendant di Democrito esposto
l’anno prima).
Nello stesso anno inizia a realizzare probabilmente anche l’importante opere pittorica il Martirio di Attilio Regolo
per l’amico e mecenate Carlo de’ Rossi.
1653 • Lucrezia dà alla luce una bambina, che viene mandata ai trovatelli, come già un altro figlio
che il Rosa riteneva di non poter mantenere.
1654 •
Prime accuse al Rosa di concubinaggio con una donna sposata.
1656 •
Il Rosa è costretto ad allontanare da sé Lucrezia e Rosalvo mandandoli presso il fratello
Giuseppe a Napoli, per evitare una denuncia al “Santo Uffizio” per concubinato.
Durante la terribile peste, il figlio Rosalvo e il fratello Giuseppe muoiono.
Il pittore ha già eseguito 25 delle acqueforti della serie di Figurine o Capricci dedicata all’amico Carlo de’ Rossi, come
testimonia una lettera del 14 ottobre.
1657 • Compone la satira intitolata La Babilonia, in cui attacca duramente la corruzione e l’esosità
del regime spagnolo a Napoli, evidenziando in maniera encomiastica il ruolo di Masaniello. Esprime inoltre il
proprio dissenso verso il mecenatismo del Papa e la mondanità della Corte romana.
1658 •
Dipinge nello stesso anno l’Allegoria della Menzogna.
1659 •
Verosimilmente accade in questo periodo lo scandalo – di cui ci riferisce il biografo Baldinucci –
provocato dall’esposizione alla mostra del Pantheon dell ’opera intitolata la Fortuna, un quadro in
cui Salvator Rosa rappresentava potenti e privilegiati, favoriti dalla buona sorte, sotto forma di bestie.
Tra la fine di quest’anno e l’inizio di quello successivo, infatti, il pittore viene incarcerato per breve tempo,
con il pretesto di “concubinaggio”. Secondo Baldinucci, lo salvò da una condanna l’intervento del Principe Don
Mario Chigi, fratello del Papa Alessandro VII e grande estimatore di Salvator Rosa.
Il pittore è fortunatamente piuttosto ben visto dai membri della famiglia papale, cosa che non era accaduta
durante il papato precedente. Per il Cardinale Flavio Chigi, nipote del Papa, dipingerà, fra l’altro, l’astrusa
allegoria dell’Humana Fragilitas.
1660 •
Insieme con Antonio Cesti si reca a Firenze, e poi nella località di Strozzavolpe nella villa del colto
Giovan Battista Ricciardi.
A partire da novembre si dedica con assiduità all’incisione con tecnica all’acquaforte ritoccata a puntasecca. È da
ritenere in questo periodo si dedichi alla realizzazione delle uniche due stampe a carattere religioso intitolate
San Guglielmo di Malavalle e Sant’Alberto compagno di San Guglielmo.
1661 •
Rifiuta un invito a trasferirsi presso la corte imperiale ad Innsbruck. Scrive di aver venduto al
Re di Danimarca due dipinti (ora a Copenaghen), il Democrito e la Leggenda della fondazione di Tebe
da parte di Cadmo.
Tra maggio e novembre è nuovamente in Toscana ospite di Giovan Battista Ricciardi.
Incomincia l’esecuzione dei suoi maggiori pezzi all’acquaforte.
Fra il 1661 e il 1662 esegue con certezza le incisioni: I cinque fiumi, Democrito, Diogene getta via la
scodella, Alessandro Magno nello studio di Apelle, Cerere e Fitalo, Apollo e la Sibilla Cumana, Glauco e Scilla,
il Martirio di Policrate e il Martirio di Attilio Regolo.
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1662 •
Il 13 maggio scrive a Ricciardi, di ritorno da un viaggio a Loreto, una lettera destinata a diventar
famosa in cui descrive con entusiasmo il “misto stravagante di orrido e di domestico, di piano e di scosceso”
dei luoghi attraversati, esaltandosi per l’“orrida bellezza” delle cascate del Velino.
Incide all’acquaforte la Caduta dei giganti e l’Edipo trovato dal contadino che non furono mai tradotti in
dipinti per carenza di committenti nonostante fosse indicato il termine “pinxit” nel cartiglio. A
quest’anno è attribuita anche la realizzazione dell’incisione Giasone e il drago, Il sogno di Enea e Il genio di
Salvator Rosa che è la summa delle virtù dell’artista.
1664 •
Salvator Rosa, come afferma Ricciardi, si sente stanco e malato e vuole dipingere solo quadri di
grandi dimensioni a causa dei suoi problemi di vista.
Il Cardinal Flavio Chigi, in missione diplomatica a Parigi, porta in dono al Re di Francia, insieme a un dipinto di
Leonardo e a una battaglia del Borgognone, la Battaglia dipinta dal Rosa per Monsignor Corsini nel 1652 e un
secondo dipinto, sempre di Salvator Rosa, intitolato Democrito e Protagora.
L’Ambasciatore francese a Roma visita il pittore nel suo studio con tutto il suo seguito, commissionandogli un dipinto per sé.
Probabilmente realizza l’opera pittorica intitolata Il sogno di Enea.
1665 •
Si attesta che Salvator Rosa respinge un invito a trasferirsi alla corte del Re di Francia.
Deve nuovamente separarsi da Lucrezia. Si acuiscono la malinconia e la misantropia dell’artista.
1666 •
Espone alla mostra in San Giovanni Decollato l’opera intitolata Il Pindaro e Pan.
Carlo Emanuele II di Savoia richiede a Salvator Rosa un grande dipinto; il pittore esige un prezzo troppo alto,
che non viene accettato.
1668 •
Salvator Rosa ottiene di esporre, unico pittore vivente, alla mostra di S. Giovanni Decollato,
consacrata quest’anno ai dipinti dei grandi maestri del passato. Rosa ha successo esponendo il Saul e la strega
di Endor e il S. Giorgio e il drago.
1669 •
Ottiene, finalmente, la commissione per una pala d’altare da porsi nella cappella Nerli in S.
Giovanni dei Fiorentini, con il Martirio dei S.S. Cosma e Damiano che terminerà nel 1672. Il Rosa si glorierà
davanti a Giuseppe Passeri di aver eguagliato Michelangelo nell’anatomia dei nudi.
1670 •
Disturbi di salute lo costringono sempre più a limitare la sua produzione artistica, nonostante le
molte richieste.
1673 •
Si ammala gravemente. Prima di morire, benché riluttante, acconsente per l’insistenza degli amici a
sposare donna Lucrezia (sua compagna di vita), rimasta vedova.
Il 4 marzo muore e viene sepolto in S. Maria degli Angeli a Roma.
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