Pollicino ed il computer
Caro Professor Peruso:
ci potrebbe spiegare come funzionano quei bellissimi apparecchi “digitali”, come lettori CD, DVD e
videocamere o macchine fotografiche elettroniche? Grazie ed un caloroso saluto!
Angelica Borgogno, Sara El Aouni, Federico Pasolli, Marco Tondin, Alunni IV elementare Borgo V.
Videocamere e macchine fotografiche digitali, DVD e CD. Sono oggetti ai quali siamo abituati e
che ci rendono la vita tutto sommato più interessante: la nostra memoria magari s’inganna e svanisce un
po’ alla volta, ma rivedere e risentire immagini, momenti, voci e suoni dopo tanto tempo è bellissimo, è
utile per documentare, per catalogare, per studiare. E la parola “digitale” cosa significa? Come
funzionano questi aggeggi? Dobbiamo anzitutto chiarire un punto fondamentale: in questi strumenti
l’occhio e l’orecchio umano vengono sostituiti da dei sensori elettronici in grado di “vedere” e di
“sentire”. Ciò che viene visto e sentito viene poi trasformato in segnali elettrici che, in qualche modo,
possono e devono venire immagazzinati per essere ricordati, rivisti e risentiti. Questo viene fatto da molto
tempo con le videocamere a nastro magnetico, oppure dai videoregistratori e dai registratori a cassette. In
questi strumenti immagini e suoni vengono registrati e dunque “ricordati” imprimendo i segnali elettrici
provenienti dall’”occhio” o dall’”orecchio” elettronico sul nastro della bobina o della cassetta. Un rapido
cenno a come possa funzionare un occhio o un orecchio elettronico. Nel primo caso, si tratta di solito di
una piastrina fatta di materiali speciali sensibili alla luce e disposti secondo una specie di griglia regolare.
La luce che proviene dall’immagine da “vedere” passa attraverso una o più lenti (l’obiettivo) e si riforma
(rimpicciolita) sulla piastrina. Ogni elemento della piastrina riceve più o meno luce a seconda dei
contenuti dell’immagine stessa, esattamente come succede nell’occhio umano, dove la piastrina è in realtà
la retina. Invece del nervo ottico che raccoglie i segnali provenienti da tutte le cellule della retina, nella
versione elettronica ci sono moltissimi contatti che trasportano corrente elettrica. In una videocamera c’è
qualche milione di questi minuscoli sensori (la piastrina si chiama CCD, che vuole dire “charge coupled
device”). L’orecchio elettronico è di solito costituito da un microfono: suoni e rumori sono vibrazioni
dell’aria che si trasmettono ad una lamella che anch’essa può vibrare (esattamente come il timpano
umano). Le vibrazioni meccaniche vengono trasformate in vibrazioni elettriche per esempio attaccando
alla lamella una bobina di filo elettrico immersa in una piccola calamita. Il movimento della bobina è
sufficiente a produrre una corrente elettrica che “si muove” (cambia) esattamente come cambia il suono o
la musica. Più forte il volume, maggiore la vibrazione e maggiore la corrente. Più acuto il suono, più
rapida la vibrazione sia della lamella che della corrente.
A questo punto siamo al cospetto di luce e suono trasformati elettricamente. Si tratta ora di capire
il “codice” che permette di tradurre un’immagine o una musica in segnali elettrici e cosa c’entri in tutto
ciò il termine “digitale”. L’idea, tutto sommato, non è difficile: ci si basa sul fatto che una sequenza di
colori e di luminosità diverse, come quelle che ci giungono dalla “retina elettronica” (il CCD) o una
sequenza di vibrazioni più o meno ampie o rapide che ci giungono dal “timpano elettronico” (il
microfono) sono traducibili in sequenze di numeri. Numeri elettronici, ancora una volta, ma di fatto
numeri “da contare”. Per esemplificare: un’immagine composta da un mare blu scuro sovrastato da un
cielo arancione dopo il tramonto verrà vista come due sequenze di numeri che descrivono i due rettangoli
(cielo e mare): finché si “vede” il cielo i numeri dicono “arancione” con un codice prestabilito (ad
esempio: l’arancione è dato da una appropriata mescolanza di rosso, verde e blu: la mescolanza sarà
specificata dai tre numeri che dicono quanto rosso, quanto verde e quanto blu si debba usare). Quando si
“entra nel mare” i numeri diranno “blu” cambiando i valori della mescolanza dei colori. Se il cielo non è
uniforme (ci sono delle nubi, per esempio, o una vela colorata), in corrispondenza di queste variazioni
cambieranno i valori delle sequenze di numeri. Dunque, una volta che ci si mette d’accordo con il “codice
segreto” (che non è per niente segreto) da utilizzare per stabilire il contenuto dell’immagine, rimane solo
da trasformare il segnale elettrico che arriva dall’occhio elettronico in questi numeri. A questo ci pensa
una serie di microscopici circuiti elettronici abbastanza complicati. Di solito sono chiamati
“campionatori” e “convertitori analogico-digitali” o ADC perché fanno due cose: “leggono” l’immagine
(o il suono) con una certa cura (che i tecnici chiamano risoluzione) e trasformano un’informazione
“analogica” (luce e suono che variano con regolarità sono esempi di questo tipo di segnale) in
un’informazione “digitale”, ossia numerica. Si tratta, a tutti gli effetti, di minuscoli “chip” (circuiti
integrati) che sono velocissimi a leggere, convertire e memorizzare in formato digeribile da un computer
tutto ciò che viene dato loro in pasto, luce o suono, purché in formato elettrico.
I numeri che un computer può capire sono di tipo strano, “binario”, si dice: noi siamo abituati a
contare con dieci dita, per cui esprimiamo i nostri numeri in una modalità “decimale”. A seconda della
posizione di una cifra, avremo unità, decine, centinaia e così via. I computer hanno “due dita” soltanto,
ossia possono capire solo due tipi di “stato”: “on” e “off” (acceso e spento, ma anche “uno” e “zero”),
proprio perché funzionano a corrente elettrica. Potrà sembrare deludente, ma anche i più potenti
calcolatori sono costretti a fare somme e sottrazioni usando due dita! Siccome lo fanno a velocità
elevatissima riescono poi a batterci, ma noi manteniamo il vantaggio di decidere se e quando spegnere un
computer! Dunque i dati “digitali” sono basati su solo due tipi di valori. E da un suono si giunge ad una
sequenza di 1 e 0 … questo è ciò che è inciso su un CD o su un DVD: essi contengono i numeri che
codificano il suono o le immagini trasformati in microscopiche “valli” e “colline” (gli “uno” e gli “zero”)
che invadono la superficie del disco digitale. Oppure, nella videocamera (digitale), gli “uno” e “zero”
sono trasferiti più o meno direttamente sul nastro magnetico. E per vedere le fotografie o filmati, ovvero
per ascoltare un CD, cosa dobbiamo aspettarci di mettere in moto in questo mondo digitale? In un certo
senso è la stessa “macchina” fatta funzionare al contrario: in un lettore CD un laser esplora le valli e le
colline del disco fornendo riflessi variabili che sono tradotti in sequenze di “uno” e “zero” che, a loro
volta, ridiventano numeri “umani” grazie all’azione di una trasformazione digitale-analogica (l’inverso di
prima: si usano circuiti “DAC”): questi numeri sono in realtà correnti elettriche più o meno intense o
rapidamente variabili che pilotano un
amplificatore che, a sua volta, comanda un
altoparlante. Ed ecco la musica. Le foto o le
riprese digitali seguono un trattamento simile,
solo che gli “uno” e “zero” tradotti in numeri
(rosso, blu e verde, ricordate?) ora accenderanno
sullo schermo televisivo o del computer luci
rossa, blu e verde riproducendo il colore e la
luminosità iniziale. Oppure comanderanno la
stampante
che
spruzzerà
microscopiche
goccioline di inchiostri colorati nelle stesse
proporzioni che richiede la mescolanza giusta di
colore.
tutto sommato suoni e numeri sono (quasi) la stessa idea …
Memorizzare o archiviare immagini o
suoni in formato digitale è estremamente rapido
ed efficiente: con l’avvento dei DVD (digital versatile disk), è possibile scrivere su un solo disco quasi 5
miliardi di Byte (che rappresentano una sequenza determinata di “uno” e “zero”, ciascuno dei quali è un
singolo “bit”: ce ne sono otto, di bit, in un Byte). Su un CD come quelli musicali possiamo scrivere circa
700 milioni di Byte. Una fotografia digitale di qualità molto buona occupa una decina di milioni di Byte.
Dunque su un DVD possiamo memorizzare per sempre fina a circa 500 foto. E di recuperarle e visionarle
rapidamente, senza dover installare il proiettore di diapositive, lo schermo, e senza paura di ritrovarsi con
la diapositiva incastrata nel proiettore sul più bello della serata …
[a cura di Stefano Oss]