SERIE
202/5A
TIMONE
GEOGRAFIA
FISICA e
SCIENZE
della TERRA
CONCORSI
Estratto della pubblicazione
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
PER TUTTI I
LIBRI
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in Italia
SIMONE
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GEOGRAFIA
FISICA e
SCIENZE
della TERRA
CONCORSI
Estratto della pubblicazione
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Vietata la riproduzione anche parziale
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64 D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Per eventuali approfondimenti:
PK30 - Scienze della Terra
Questa collana costituisce una valida alternativa per quanti non intendono
acquistare i libri comprensivi di tutte le materie per uno specifico concorso
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
Ha collaborato con la redazione Giuliana Guerra
Finito di stampare nel mese di giugno 2009
dall’Officina Grafica Iride - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)
per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Estratto della pubblicazione
PREMESSA
Strumenti essenziali per chi si appresta a sostenere concorsi, esami o
colloqui di lavoro, i volumetti della collana O-Key consentono lo studio e il
ripasso di diverse materie, dalla Grammatica italiana alla Letteratura, dalla
Storia alla Geografia, dall’Inglese all’Informatica e all’Attualità, attraverso
trattazioni che, pur nella snellezza tipica delle sintesi, garantiscono esaustività e precisione. La struttura, improntata alla massima funzionalità, consente di apprendere rapidamente concetti e contenuti indispensabili a una
conoscenza generale, ma non lacunosa, degli argomenti. Semplicità del linguaggio, aggiornamento dei contenuti e un’estrema praticità d’uso completano le caratteristiche di ogni volumetto.
Questo volume presenta, in maniera sintetica ma esaustiva, i numerosi
argomenti che formano l’ambito di studio di Geografia fisica e scienza della
Terra. Dagli elementi di geologia a quelli di astronomia, tutto le nozioni
sono organizzate secondo un impianto schematico, ma non privo di adeguati approfondimenti e, ove necessario, con il ricorso a illustrazioni per esemplificare i concetti e a schede didattiche.
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO PRIMO
INTRODUZIONE ALLE SCIENZE DELLA TERRA
Sommario: 1. Il tetraedro di Howell. - 2. La Geologia. - 3. La Geofisica e la Geochimica. - 4. La Paleontologia. - 5. Il principio dell’attualismo.
1. IL TETRAEDRO DI HOWELL
Secondo il geofisico americano B. F. Howell, il vario e vasto mondo
delle Scienze Naturali può essere rappresentato con un tetraedro, dove le
quattro scienze fondamentali (Chimica, Fisica, Biologia e Geologia) corrispondono ai quattro vertici, mentre le scienze derivate ne costituiscono gli
spigoli. La Geologia, la Geochimica, la Geofisica e la Paleontologia rappresentano le Scienze della Terra. Nel tetraedro di Howell, sebbene siano
visibili in maniera immediata le relazioni esistenti tra le varie discipline,
pur tuttavia non compaiono tutte. Quelle che non sono presenti in realtà
risultano essere parte integrante delle discipline rappresentate e quindi in
esse comprese.
Il tetraedro di Howell
Estratto della pubblicazione
6
Capitolo Primo
2. LA GEOLOGIA
È la scienza che rappresenta il punto di incontro tra varie discipline che,
con il progredire delle scoperte scientifiche, si sono continuamente specializzate, rendendosi sempre più indipendenti da essa; sarebbe quindi più esatto
parlare di «Scienze geologiche».
È compito della Geologia non solo studiare l’aspetto attuale del nostro
pianeta, ma anche comprendere quali fenomeni chimici e fisici da 4,5 miliardi di anni si siano succeduti fino a condurre la Terra alla sua attuale
struttura. È facile intuire, quindi, quanto vasto sia il campo di studio di tale
disciplina, che si compie attraverso l’analisi delle rocce, dei fossili, dei movimenti della crosta terrestre, delle eruzioni, dei terremoti, nonché mediante
lo studio dei meccanismi che sono alla base dell’erosione provocata dall’acqua e dal vento, senza trascurare la conseguente sedimentazione dei detriti venutisi a formare. In particolare la Geologia studia la composizione
della litosfera, i meccanismi della dinamica endogena ed esogena, i movimenti e le deformazioni della crosta terrestre, fornendo dati utili per la ricostruzione dell’evoluzione geologica della Terra, nonché strumenti per la
gestione del territorio, la difesa dai rischi ambientali e lo sfruttamento delle
risorse naturali.
3. LA GEOFISICA E LA GEOCHIMICA
Studiano, rispettivamente, aspetti e proprietà fisiche (l’una) e composizione e proprietà chimiche (l’altra) dell’interno della Terra, della litosfera,
dell’idrosfera e dell’atmosfera.
In particolare la Geofisica studia l’interno della Terra, l’atmosfera e l’idrosfera attraverso ricostruzioni paleogeografiche e paleoclimatiche, occupandosi di sismologia, gravimetria, geomagnetismo, geotermia, meccanica delle
rocce, nonché di meteorologia e climatologia, così da poter fornire dati e
strumenti sia per la navigazione aerea e marittima, sia per il monitoraggio
delle alterazioni atmosferiche. Senza dimenticare, altresì, che dalla Geofisica si ricavano anche informazioni utili per la difesa dai rischi ambientali e
l’individuazione delle risorse naturali.
La Geochimica, a sua volta, studia sia la litosfera (attraverso la Geochimica isotopica e i fossili) sia l’atmosfera e l’idrosfera (indagandone le proprietà e la composizione chimica). Inoltre provvede al monitoraggio delle
alterazioni atmosferiche e fornisce dati utili per l’individuazione delle risorse idriche, minerarie ed energetiche.
Introduzione alle Scienze della Terra
7
4. LA PALEONTOLOGIA
È una scienza che abbraccia sia la Biologia, sia le scienze geologiche, in
quanto studia gli organismi viventi esistiti sulla Terra, dalle origini ai giorni
nostri, conservati nelle rocce e restituiti a noi come fossili. Ed è proprio
attraverso lo studio dei fossili che è stato possibile ordinare le specie in
alberi filogenetici, al fine di ricostruire la storia evolutiva dei viventi. Sempre attraverso lo studio dei fossili, la Paleontologia data le rocce e ricostruisce gli ambienti dove gli organismi vivevano. Inoltre, offre strumenti per
l’individuazione delle risorse naturali.
5. IL PRINCIPIO DELL’ATTUALISMO
Se per studiare gli avvenimenti che riguardano la storia dell’umanità
occorre leggere un libro di storia, allo stesso modo per conoscere la storia
della Terra bisogna «sfogliare» quel meraviglioso libro che è scritto tra gli
strati delle rocce. È così che i geologi «leggono» gli avvenimenti che nel
corso di milioni di anni si sono succeduti cambiando la morfologia del pianeta. I fenomeni geologici sono lunghi e graduali, il presente costituisce
quindi la continuazione lenta, ma progressiva, del passato. Tale principio,
oggi conosciuto come «principio dell’attualismo», fu espresso alla fine dell’Ottocento da C. Lyell nel suo Principles of geology. Lyell, infatti, affermava che le cause dei fenomeni geologici svoltisi in passato sono da ritenersi essenzialmente le stesse che ancora oggi agiscono.
La storia della Terra veniva finalmente interpretata non più come una
serie di catastrofi ricorrenti o eventi biblici disastrosi, bensì come un susseguirsi di eventi lenti, impercettibili, ma ben evidenti nel tempo.
1.
CAPITOLO SECONDO
I PROCESSI LITOGENETICI
Sommario: 1. La litosfera. - 2. I minerali. - 3. La cristallogenesi. - 4. Gli elementi di
simmetria dei cristalli. - 5. Polimorfismo e isomorfismo. - 6. Forme particolari di
cristalli. - 7. Proprietà dei minerali. - 8. Classificazione dei minerali. - 9. Le rocce. 10. Rocce magmatiche o ignee. - 11. Rocce sedimentarie. - 12. Rocce metamorfiche.
- 13. I combustibili fossili.
1. LA LITOSFERA
Il guscio solido ma mobile che riveste la Terra viene definito litosfera
(dal greco lítos, «pietra»). È formato da rocce, ossia aggregati di minerali, e
costituisce le terre emerse, nonché i fondali marini e oceanici. Ha uno spessore medio di circa 100 km, che rapportato al diametro terrestre può essere
considerato poco più che una «pellicola». Le tecniche di indagine per stabilire come i minerali e le rocce siano distribuiti nella massa della Terra sono
di due tipi: dirette e indirette.
I metodi diretti, quali trivellazioni petrolifere, perforazioni minerarie e
analisi dei materiali vulcanici, permettono di analizzare direttamente i campioni di materiale proveniente dalla Terra, ma purtroppo solo quelli degli
strati più superficiali, in quanto, con tali tecniche, difficilmente si riescono a
superare i 7-8 km di profondità. Il pozzo più profondo del mondo si trova in
Russia, nella Penisola di Kola, e raggiunge i 12 km.
I metodi indiretti si basano, invece, su considerazioni e analogie derivanti dallo studio dei meteoriti e della propagazione delle onde sismiche.
Analizziamo ora le forme in cui gli elementi sono tra loro combinati nella
crosta terrestre.
2. I MINERALI
La litosfera è costituita da rocce, che a loro volta sono aggregati di minerali.
In generale sono considerati minerali unicamente i corpi solidi, cristallini e
inorganici presenti nella litosfera, ossia nella parte esterna del pianeta; vengono
così esclusi i corpi liquidi e gli amorfi, gli elementi e i composti appartenenti
I processi litogenetici
9
all’idrosfera, i depositi organici come carboni e petroli che, peraltro, hanno caratteristiche chimico-fisiche variabili da punto a punto. Proprietà essenziali per
un minerale sono l’origine naturale (infatti non è un minerale il cloruro di sodio
(NaCl) che si ottiene per evaporazione forzata dell’acqua di mare, mentre lo è il
salgemma che si ottiene per evaporazione naturale), l’omogeneità fisica e la
composizione chimica costante, almeno entro stretti limiti. Tre soli minerali
fanno eccezione: il mercurio che si trova allo stato liquido, l’opale e il vetro allo
stato amorfo. I minerali si trovano nella maggior parte dei casi allo stato cristallino, con una struttura risultante dalla regolare disposizione nello spazio delle
unità che li costituiscono. Essi presentano quindi una forma poliedrica esterna
ben definita, in cristalli distinti con aspetto caratteristico.
Un minerale può essere quindi definito un corpo solido, omogeneo,
inorganico, presente nella litosfera naturalmente, con proprietà chimiche e fisiche costanti. I minerali e le rocce sono entrambi necessari all’uomo, in quanto è da essi che si ricavano prodotti e materiali indispensabili,
nonché elementi chimici.
3. LA CRISTALLOGENESI
La formazione dei minerali in natura è molto simile alla cristallogenesi
che in laboratorio permette la formazione dei cristalli. Essi si formano sostanzialmente in tre modi:
— per il lento raffreddamento di masse fuse provenienti da eruzioni vulcaniche;
— per sedimentazione da soluzioni sature di un dato sale in seguito ad evaporazione;
— per sublimazione da vapori, come nel caso dei cristalli di zolfo che si
formano ai margini dei crateri vulcanici.
Il processo di cristallizzazione è in genere di lunga durata, quindi qualsiasi variazione delle condizioni ambientali fisiche e chimiche si ripercuote
sulla struttura del cristallo in formazione. Di solito gli ioni, gli atomi e le
molecole si dispongono con grande regolarità, formando un reticolo cristallino che si ripete nello spazio in modo periodico. Un importante contributo alla definizione dei reticoli cristallini lo si deve agli studi compiuti dal
fisico tedesco M. von Laue (1912), il quale, sottoponendo dei cristalli all’esame dei raggi X, mise in evidenza che si ottenevano spettri di diffrazione caratteristici per ogni specie cristallina. I raggi diffratti davano poi luogo,
Estratto della pubblicazione
10
Capitolo Secondo
su una lastra fotografica, ad un insieme di macchie, in posizioni caratteristiche dalle quali si poteva risalire alla struttura del cristallo. Le caratteristiche
strutturali di un cristallo dipendono dal tipo di legame (ionico, covalente,
metallico, molecolare) che si crea tra gli atomi che lo compongono, nonché
dalle dimensioni relative delle particelle che formano la cella elementare.
Spesso, però, accade che un cristallo non sia facilmente riconoscibile perché durante i processi di formazione viene ostacolato dalla formazione contemporanea di altri cristalli vicini. Di conseguenza in alcuni casi si nota uno
sviluppo maggiore di alcune facce rispetto ad altre e il cristallo finisce per
discostarsi dalla forma regolare rappresentata dall’abito cristallino: per questo
motivo i cristalli «perfetti» risultano piuttosto rari.
Tuttavia, qualunque sia l’aspetto esteriore dei cristalli, se essi sono della
stessa specie chimica hanno una caratteristica comune che permette di identificarli con certezza e classificarli. Tale caratteristica è stata definita dalla
Legge della costanza degli angoli diedri stabilita da N. Stenone oltre tre
secoli fa, secondo la quale «Nei cristalli della stessa specie chimica gli angoli diedri formati dalle facce corrispondenti sono uguali e costanti, purché misurati nelle identiche condizioni di temperatura».
4. GLI ELEMENTI DI SIMMETRIA DEI CRISTALLI
Conseguentemente alla forma geometrica, i cristalli presentano una struttura simmetrica derivante dalla disposizione degli elementi di simmetria,
che si distinguono in:
— elementi reali: facce, spigoli e vertici che realmente esistono;
— elementi ideali: centro di simmetria, asse di simmetria, piano di simmetria che si possono tracciare idealmente. Il centro di simmetria è quel punto interno del cristallo rispetto al quale ad ogni faccia ne corrisponde un’altra
opposta equidistante, identica e parallela; l’asse di simmetria è quella retta intorno alla quale, facendo ruotare il cristallo di 360°, esso occupa la
stessa posizione iniziale; il piano di simmetria divide il cristallo in due
parti, ciascuna delle quali è l’immagine speculare dell’altra.
Infine, gli assi cristallografici sono un sistema di assi x, y, z in base ai
quali è possibile definire la posizione e l’orientamento di una faccia di un
cristallo. L’insieme di tutti gli elementi di simmetria di un cristallo definisce
il grado di simmetria, a sua volta espresso mediante la Legge della costanza della simmetria, secondo la quale «Una determinata specie mineEstratto della pubblicazione
I processi litogenetici
11
rale può cristallizzare in forme cristalline diverse, le quali, però, presentano lo stesso grado di simmetria ed appartengono quindi allo stesso sistema». In base agli elementi di simmetria i cristalli si classificano in 3 gruppi,
7 sistemi, 32 classi. La distinzione in gruppi si basa sui lati della cella
elementare: se sono tutti e tre uguali abbiamo il gruppo monometrico, se
due sono uguali e uno diverso il gruppo dimetrico, se tutti e tre sono diversi
il gruppo trimetrico. All’interno di ogni gruppo la distinzione in sistemi si
basa sugli angoli tra i lati della cella, uguali o diversi da 90°. Le classi,
infine, sono determinate dalla presenza di uno o più elementi di simmetria.
5. POLIMORFISMO E ISOMORFISMO
Un’eccezione alla Legge della costanza della simmetria è data dal polimorfismo, fenomeno in base al quale alcuni minerali cristallizzano utilizzando reticoli diversi e dando così origine a forme cristalline diverse. Sono
polimorfi, ad esempio, il carbonio, che, in base al sistema in cui cristallizza,
dà origine al diamante o alla grafite, e il carbonato di calcio CaCO3, che
può cristallizzare come calcite o aragonite. La diversa cristallizzazione è
particolarmente influenzata dalle condizioni fisiche esistenti che determinano una diversa disposizione delle particelle (atomi, ioni, molecole) in un
reticolo. Un fenomeno opposto al polimorfismo è quello dell’isomorfismo,
per cui due o più sostanze di analoga costituzione chimica possono cristallizzare in forme simili. Sono isomorfe la calcite CaCO3, la magnesite MgCO3,
la smithsonite ZnCO3, che cristallizzano in romboedri. Due sostanze isomorfe sono capaci di dare anche cristalli misti o miscele isomorfe, che si
formano solo se i composti differiscono nella formula per non più di uno o
due elementi e se gli ioni di questi elementi hanno all’incirca le stesse dimensioni. Questa capacità degli ioni di sostituirsi vicendevolmente è detta
vicarianza. Il minerale olivina è una miscela isomorfa di forsterite (MgSiO4) e fayalite (FeSiO4). La sua formula (Mg,Fe)SiO4 indica che nel minerale lo ione ferro e lo ione magnesio possono essere presenti in tutti i rapporti percentuali. Si ricordi, infine, che anche la dolomite CaMg(CO3)2 è
una miscela di carbonato di calcio e carbonato di magnesio.
6. FORME PARTICOLARI DI CRISTALLI
Spesso i cristalli non si trovano in forme perfettamente geometriche, ma
in aggregati cristallini, formati da cristalli minuscoli e numerosi, addossati
gli uni agli altri, in ammassi di forme particolari.
Estratto della pubblicazione
12
Capitolo Secondo
Tali aggregati cristallini sono:
— fibrosi, a guisa di fibre (es. amianto);
— granulari, a forma di granuli;
— saccaroidi, simili allo zucchero cristallizzato (es. il marmo);
— lamellari, ossia cristalli appaiati (es. la mica).
Spesso i minerali si associano in seguito a cause meccaniche e si rinvengono in coppie o in complessi, formando aggruppamenti cristallini regolari e irregolari. Gli aggruppamenti irregolari sono le druse e i geoidi: le
druse hanno orientazione ed inclinazione diverse, ma poggiano su una base
comune; i geoidi sono druse che tappezzano una cavità.
7. PROPRIETÀ DEI MINERALI
I minerali hanno una struttura anatomica ordinata, che conferisce loro
proprietà chimiche, fisiche, organolettiche diverse, le quali a loro volta possono fornire indicazioni utili per il riconoscimento dei minerali stessi. Alcune proprietà utili sono: il colore, il peso specifico, la durezza, la sfaldabilità,
l’elasticità, la plasticità, la malleabilità, la lucentezza, le proprietà termiche,
la suscettibilità magnetica, la conducibilità elettrica, le proprietà ottiche. La
più importante di tutte, la principale è la durezza, che consiste nella resistenza di un minerale ad essere scalfito. Si misura in modo empirico comparando la durezza del minerale con quella di 10 minerali che costituiscono la
Scala di Mohs, i quali sono disposti in ordine di durezza crescente. Ad
esempio, se un minerale è scalfito dalla calcite ma scalfisce il gesso significa che ha una durezza tra 2 e 3.
SCALA DI MOHS
M INERALE
NUMERO DELLA SCALA
Talco
1
OGGETTI DI RIFERIMENTO
Gesso
2
unghia
Calcite
3
moneta
Fluorite
4
Apatite
5
lama di temperino
Ortoclasio
6
vetro
Quarzo
7
filo di acciaio
Estratto della pubblicazione
I processi litogenetici
Topazio
8
Corindone
9
Diamante
10
13
8. CLASSIFICAZIONE DEI MINERALI
Degli oltre 4.000 minerali finora conosciuti, molti sono estremamente
rari. Il 90% appartiene alla classe dei Silicati, mentre quelli che costituiscono le rocce non sono più di qualche decina. Vengono classificati in dieci
classi basate essenzialmente su criteri di cristallochimica, cioè sulla loro
composizione chimica: Elementi nativi, Solfuri, Alogenuri, Ossidi e Idrossidi, Carbonati, Borati e Nitrati, Solfati, Molibdati e Tungstati, Fosfati e
Vanadati, Silicati.
I Silicati (circa 500) sono formati da silicio ed ossigeno, i due elementi
più numerosi della crosta terrestre. Tutti i Silicati, tranne il quarzo (SiO2),
contengono uno o più elementi che ne completano la struttura, rendendoli
elettricamente neutri.
9. LE ROCCE
Sono i componenti solidi della litosfera. Si tratta di aggregati naturali
di minerali formatisi per effetto di processi geologici che si sono susseguiti
nel corso di migliaia di milioni di anni. Fa eccezione il ghiaccio che, pur
essendo solido, fa parte dell’idrosfera.
Sebbene la maggior parte delle rocce sia costituita da un miscuglio eterogeneo di minerali, esistono rocce formate da un unico minerale (calcite, salgemma, gesso). Masse solide di questo tipo, pur essendo in senso stretto dei
minerali, quando formano unità geologiche indipendenti dovute a un determinato processo genetico sono considerate rocce. Per classificare le rocce si
possono seguire diversi criteri basati sulla struttura o sulla composizione; quello
fondamentale è imperniato sui processi di formazione o processi litogenetici,
che sono di tre tipi:
— processo magmatico, dal quale derivano le rocce ignee o magmatiche,
a loro volta suddivise in effusive e intrusive;
— processo sedimentario, che avviene in superficie in condizioni di bassa
pressione e bassa temperatura e produce rocce sedimentarie;
Estratto della pubblicazione
14
Capitolo Secondo
— processo metamorfico, consistente nella trasformazione di rocce preesistenti in seguito alla modificazione di parametri fisici, quali pressione
o temperatura. Avviene in profondità e dà origine a rocce metamorfiche.
rocce sedimentarie
10%
25%
65%
rocce ignee
rocce metamorfiche
Spesso risulta difficile definire un confine fra i tre tipi, in quanto tutte le
rocce terrestri sono in continua trasformazione, attraverso un processo definito ciclo litogenetico. L’attività vulcanica produce rocce magmatiche che
emergono dall’interno della Terra, l’erosione le trasforma in sedimenti che,
inghiottiti dal suolo, per opera del calore o della pressione si trasformano in
rocce metamorfiche e possono nuovamente riaffiorare come rocce eruttive,
permettendo al ciclo di ricominciare.
10. ROCCE MAGMATICHE O IGNEE
Le rocce ignee o magmatiche che si formano dalla solidificazione di
materiale fuso sono definite intrusive quando si formano in profondità, effusive quando sono prodotte dalla fuoriuscita di lava in superficie.
Le rocce intrusive si formano per consolidamento di un magma in profondità sottoposto ad alta pressione e lento raffreddamento, condizioni queste
che permettono la formazione di cristalli. Sono perciò costituite da un insieme di minerali cristallizzati e visibili ad occhio nudo, la cui composizione
varia naturalmente in base alla natura chimica del magma da cui derivano.
Una tipica roccia ignea è il granito, osservando il quale si nota un insieme di
cristalli diversi: il quarzo trasparente, l’ortoclasio opaco e spesso colorato, la
mica biotite luccicante e di colore scuro, il plagioclasio bianco.
I processi litogenetici
15
Le rocce effusive si formano invece per consolidamento di un magma
giunto in superficie; in questo caso il raffreddamento è veloce ed avviene in
condizioni di bassa pressione, non permettendo una buona cristallizzazione
dei minerali. Tipiche rocce effusive, più comunemente note come «lava»,
sono i basalti.
In base alla composizione chimica le rocce magmatiche si possono distinguere in due gruppi, rocce acide o sialiche e rocce basiche o femiche,
ricordando però che i termini «acido» e «basico» non hanno significato chimico:
— le rocce sialiche sono ricche di silicati di alluminio, che formano la
parte più superficiale della crosta terrestre e quindi anche i basamenti
delle masse continentali. I magmi con alto contenuto di silice vengono
definiti «acidi»;
— le rocce femiche sono composte prevalentemente da silicati di ferro e di
magnesio che conferiscono alla roccia un colore scuro. Il basalto è sicuramente la più diffusa, essendo il costituente dei fondali oceanici. Tali
rocce vengono definite «basiche».
11. ROCCE SEDIMENTARIE
Sono composte da strati rocciosi disposti l’uno sopra l’altro, cosicché la
loro caratteristica principale consiste nella stratificazione. Da almeno 3.800
milioni di anni sulla superficie terrestre si accumulano sedimenti prodotti per
effetto dell’azione erosiva da parte di vari agenti atmosferici che si depositano
per strati successivi. Una volta depositati, i sedimenti possono alterarsi: il
compattamento elimina l’acqua e ulteriori cambiamenti nel corso del tempo
danno luogo al processo di litificazione, trasformando il sedimento molle in
strati di roccia dura e friabile come arenarie, calcari e argilliti.
Le fasi del processo di sedimentazione sono dunque quattro:
1. degradazione ed erosione. Gli agenti esogeni portano alla frammentazione e solubilizzazione della roccia con formazione di minerali diversi
da quelli d’origine. Si forma pertanto un materiale meno compatto e più
facilmente aggredibile. Gli agenti erosivi portano via il materiale in frammenti definiti clasti;
2. trasporto. I materiali, una volta formatisi, possono essere trasportati
dagli stessi agenti di erosione anche a chilometri di distanza;
Estratto della pubblicazione
16
Capitolo Secondo
3. sedimentazione. Quando agli agenti erosivi viene a mancare l’energia
per trasportare i sedimenti, ha inizio la fase di accumulo del materiale e
di precipitazione dei sali minerali in soluzione;
4. diagenesi. L’ultima fase del processo sedimentario conduce alla litificazione dei sedimenti, che consiste in una serie di processi fisici e chimici
in seguito ai quali i sedimenti si trasformano in roccia dura, compatta e
coerente.
Le rocce sedimentarie si classificano in tre grandi gruppi a seconda della natura dei clasti: rocce detritiche o clastiche, rocce di origine chimica,
rocce organogene.
Le rocce detritiche o clastiche si formano per deposizione meccanica
di frammenti derivati dalla disgregazione delle rocce e si distinguono in
conglomerati, arenarie e argille. I conglomerati si dividono in puddinghe
(se costituiti da ciottoli arrotondati e cementati tra loro) e brecce (se formate
da ciottoli spigolosi); le arenarie derivano dalla cementazione delle sabbie;
le argille sono formate da elementi così piccoli da non essere distinguibili
ad occhio nudo.
Le rocce di origine chimica si formano in seguito a deposizione di sostanze minerali disciolte nelle acque. Le evaporate come il salgemma, il
gesso e alcuni calcari si formano per evaporazione delle acque salate. Alle
rocce di origine chimica appartengono anche formazioni calcaree quali il
travertino, le stalagmiti e le stalattiti che si formano per deposizione del
carbonato di calcio contenuto nelle acque dolci. Le rocce residuali, invece,
si formano in zone tropicali e sono costituite da ossidi di Fe e Al, che sono
tra i materiali più resistenti all’azione chimica delle acque dilavanti. Quando l’alterazione è molto accentuata vengono dilavati anche gli ossidi e gli
idrossidi di Fe e la roccia residuale risulta formata solo da ossidi e idrossidi
di Al, come nel caso della bauxite.
Le rocce organogene sono quelle che si formano dagli organismi viventi,
sia per accumulo dei gusci mineralizzati di animali e piante, sia per la capacità
che alcuni organismi posseggono di far precipitare direttamente i minerali contenuti nelle acque. Sono rocce molto diffuse, classificabili in calcaree, silicee e
fosfatiche, in base alla natura mineralogica degli organismi che le compongono.
Sebbene la parte organica scompaia durante il consolidamento della roccia, talvolta capita, come nel caso della lumachella, che siano presenti nella roccia
anche resti fossili.
I processi litogenetici
17
12. ROCCE METAMORFICHE
Sia le rocce magmatiche sia le sedimentarie, a causa di cambiamenti di
pressione o temperatura, oppure in seguito a fenomeni magmatici, o per la
copertura di altre rocce, possono subire trasformazioni. L’insieme di queste
trasformazioni viene definito metamorfismo e le rocce che ne derivano
prendono il nome di rocce metamorfiche. Tali rocce sono diverse da quelle
originarie, poiché hanno subíto una ricristallizzazione dei minerali che ha
portato alla formazione di nuove associazioni mineralogiche stabili. Esistono due tipi principali di metamorfismo: il metamorfismo regionale e il metamorfismo di contatto.
Il metamorfismo regionale è un processo che avviene su vasta scala ed
ha luogo quando i sedimenti di una data regione sprofondano e vengono
coperti da nuovi sedimenti. Più i sedimenti sono profondi, più sono soggetti
ad alte temperature e pressioni e più si trasformano. A livello più superficiale si formano le filladi, che ancora somigliano a rocce sedimentarie, più in
profondità i micascisti e in seguito gli gneiss che hanno l’aspetto quasi granitico. La caratteristica fondamentale di questo tipo di metamorfismo è che
si formano rocce con cristalli tutti orientati e quindi nell’insieme l’aspetto è
scistoso, per cui tali rocce si possono tagliare in lastre o frammenti sottili
più o meno regolari.
Il metamorfismo di contatto, a sua volta, interessa zone limitate e consiste nella trasformazione prodotta dall’aumento della temperatura che le
rocce subiscono in prossimità di un magma. Esempi famosi di questo tipo di
roccia sono il marmo di Carrara e lo gneiss delle Alpi che, tagliato, viene
usato per pavimenti e rivestimenti.
13. I COMBUSTIBILI FOSSILI
Grande importanza rivestono all’interno delle rocce sedimentarie le rocce
organogene combustibili. Di solito, dopo la morte, la sostanza organica
degli organismi si decompone attraverso processi di putrefazione, fermentazione e ossidazione, trasformandosi in anidride carbonica ed acqua che si
disperdono nell’ambiente. In particolari condizioni la sostanza organica può
parzialmente conservarsi, la qual cosa accade quando i resti organici non
sono a contatto con l’ossigeno perché, ad esempio, sono coperti da materiale argilloso impermeabile. In questo modo si conservano nel corso delle ere
geologiche e possono accumularsi originando i carboni fossili e i giaciEstratto della pubblicazione
18
Capitolo Secondo
menti di idrocarburi. In realtà, poiché per «minerale» e «roccia» s’intendono materiali inorganici, mentre i suddetti accumuli fossili sono di natura
organica, essi non andrebbero collocati fra le rocce sedimentarie. Tuttavia,
tenuto conto del processo da cui prendono origine, si ritiene opportuno associarli a tali rocce e definirli rocce organogene combustibili.
In base al contenuto di carbonio, e quindi all’età, si distinguono vari tipi
di combustibili solidi, via via più antichi e pregiati: la torba, la lignite, il
litantrace e l’antracite. La torba è il più recente e quindi a minor contenuto di carbonio, sicché nella combustione è quello che sviluppa meno calorie; la lignite e il litantrace sono più ricchi di carbonio e sviluppano più
calorie; quello più pregiato è l’antracite, che rappresenta lo stadio più avanzato del processo di carbonizzazione dei vegetali.
I giacimenti possono essere autoctoni, se si sono formati nel luogo stesso in cui vivono gli organismi, o alloctoni, quando l’accumulo avviene alle
foci dei fiumi o in ambienti marini (la loro stratificazione è più irregolare di
quella dei giacimenti autoctoni). Il petrolio, che può essere considerato una
roccia liquida di colore bruno tendente al nero, è più leggero dell’acqua e
quasi insolubile. In massa non è infiammabile, ma a contatto con l’ossigeno
i suoi vapori bruciano, producendo calore e luce. Una volta estratto deve
essere raffinato, ossia devono essere separati i vari componenti che trovano
poi utilizzazioni diverse. Per lungo tempo chimici e geologi si sono interrogati sull’origine del cosiddetto «oro nero», per poi convenire sulla tesi secondo cui esso deriva dall’azione di decomposizione di batteri presenti nella fanghiglia dei fondali.
CAPITOLO TERZO
LA STRUTTURA DELLA TERRA
Sommario: 1. La struttura interna della Terra. - 2. Il calore interno della Terra. - 3. Le
correnti convettive. - 4. La gravità terrestre. - 5. Il magnetismo terrestre. - 6. Dinamica
endogena ed esogena.
1. LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA
Lo studio delle onde sismiche ha permesso di elaborare un modello di
struttura interna della Terra, in base al quale il nostro pianeta, il cui raggio è
in media di 6.378 km, viene suddiviso in tre gusci concentrici, separati da
superfici di discontinuità. Dall’esterno verso l’interno i tre gusci sono: la
crosta, il mantello e il nucleo. Esamineremo ora in dettaglio questi tre
strati, tenendo presente che la crosta e la parte superiore del mantello formano la cosiddetta litosfera.
La struttura interna della Terra
La crosta o Sial, ovvero lo strato più esterno della litosfera, costituito da
rocce in prevalenza chiare e leggere nella cui composizione prevalgono i silicati
di alluminio, si divide in crosta continentale e crosta oceanica.
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Capitolo Terzo
La crosta continentale è spessa 30-60 km ed è costituita da rocce relativamente leggere, a base di granito e basalto, con una densità di 2,7g/cm3. La crosta
oceanica non presenta lo strato di granito e forma il fondo degli oceani, è più
sottile, circa 8-10 km, ed è costituita da rocce più dense, in media 3,0 g/cm3.
Il mantello o Sima si trova sotto la crosta terrestre, dalla quale è separato per mezzo della discontinuità di Mohorovičić o, più semplicemente,
Moho. Costituito da rocce tendenzialmente scure e pesanti formate da silicati di magnesio e di ferro, giunge fino ad una profondità di 2.900 km,
occupando più dell’80% del volume della Terra. È suddiviso in mantello
esterno e interno, che si distinguono per la loro composizione. Il mantello
esterno è formato da tre strati diversi: il primo, che arriva a 100 km di profondità, fa parte della litosfera ed è formato da rocce cristalline; la parte
intermedia, detta astenosfera, situata in un’area compresa fra i 100-250 km
di profondità, è formata da rocce parzialmente fuse dalle quali provengono
le lave basaltiche dei vulcani; lo strato più interno arriva fino a 900 km ed è
costituito da materiale rigido. Il mantello interno, invece, ha una struttura
molto uniforme ed è costituito da materiale plastico in continuo movimento: al suo interno vi sono correnti convettive di materiale che si spostano da
una zona all’altra, in maniera molto simile a un liquido che bolle. Questo
strato termina con la discontinuità di Gutenberg.
Il nucleo o Nife è la zona più interna della Terra, costituita da nichel e
ferro con grandi percentuali di potassio e zolfo. Occupa il 15% circa del
volume totale della Terra e si divide in due regioni: nucleo esterno e nucleo
interno. Il nucleo esterno giunge a circa 5.000 km di profondità ed è prevalentemente liquido. Il nucleo interno arriva fino al centro della Terra e, a
causa delle forti pressioni esercitate dagli strati soprastanti, seppure si trovi
ad altissime temperature (oltre 6.000°), si presenta allo stato solido.
2. IL CALORE INTERNO DELLA TERRA
Dopo l’energia solare il calore interno della Terra è la nostra più grande fonte di energia. Si calcola che esso sia circa 3 ⋅ 1013 joule al sec,
corrispondente a una quantità enorme di energia in grado, come vedremo,
di far muovere le gigantesche «zolle» in cui è suddivisa la crosta terrestre
e di sollevare le montagne. Tuttavia, essa non è che 1/5.000 di quella inviata dal Sole sulla Terra. Sulla superficie terrestre la temperatura risente
delle variazioni termiche diurne e stagionali. Ad una profondità di 15-30
Estratto della pubblicazione
La struttura della Terra
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m tali variazioni non si avvertono più e la temperatura corrisponde a quella media annua della località in superficie. A partire da questo livello la
temperatura aumenta di 1 °C ogni 33 m e l’aumento di temperatura in
funzione della profondità prende il nome di gradiente geotermico. Se la
temperatura in profondità continuasse a variare secondo il gradiente geotermico si giungerebbe a temperature di 200.000 °C e la Terra dovrebbe
essere praticamente allo stato fuso, ma ciò è in contrasto con lo studio
delle onde sismiche che si propagano nei solidi. Dal momento che le onde
attraversano il mantello è certo che questo, nella sua parte più interna, si
trova allo stato solido e ciò è stato spiegato dagli studiosi considerando
che l’aumento di temperatura che dovrebbe condurre alla fusione è, invece, contrastato dall’enorme aumento della pressione che determina un innalzamento del punto di fusione.
Una buona parte del calore terrestre deriva dall’energia immagazzinata all’atto della formazione del pianeta, risalente a 4,5 miliardi di anni fa,
ma questa teoria, da sola, non spiega la grande quantità di calore ancora
oggi residua: infatti, essendo le rocce cattive conduttrici, si è calcolato
che il calore imprigionato a 400 km di profondità impiegherebbe circa 5
miliardi di anni per giungere in superficie. Oggi si ritiene che il flusso
termico sia dovuto principalmente al decadimento di elementi radioattivi quali l’uranio (238U) e (232U), il torio (232Th) e il potassio (40K), abbondanti nella crosta terrestre. I nuclei di questi isotopi sono altamente instabili, per cui tendono a raggiungere la stabilità perdendo particelle di energia e trasformandosi in altri isotopi. La presenza di elementi radioattivi, il
cui tempo di dimezzamento è di circa 10 9 anni, giustifica quindi la fusione
della Terra primordiale ed il calore residuo attuale. Fra le rocce, le più
ricche di elementi radioattivi sono quelle granitiche che formano le zolle
continentali, ma la quantità di calore quasi simile tra la crosta oceanica e
quella continentale fa ritenere che nella crosta oceanica ci sia una maggiore quantità di elementi radioattivi.
3. LE CORRENTI CONVETTIVE
La Terra perde continuamente parte del calore che tende naturalmente a
spostarsi da zone ad alta temperatura verso zone a bassa temperatura. Tale
movimento prende il nome di flusso termico o flusso di calore che si misura in HFU (Heat Flow Unit = unità di flusso di calore), unità di misura
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Capitolo Terzo
equivalente a 1 microcaloria · cm–2 ⋅ sec–1. La fisica insegna che il calore può
propagarsi per conduzione, irraggiamento e convezione. La propagazione
per conduzione, però, a causa della scarsa conducibilità dei materiali rocciosi che compongono l’interno della Terra, è assai limitata, al pari della
trasmissione per irraggiamento, a sua volta altamente improbabile su lunghe distanze nei materiali solidi. Pertanto l’unica forma possibile resta la
convezione, che oltretutto è la modalità di trasferimento del calore propria
dei fluidi. La spiegazione fornita dai geofisici riguardo al fenomeno della
fusione del mantello, che è solido, è la seguente: prendiamo, ad esempio, un
barattolo di conserva di pomodoro e capovolgiamolo per pochi istanti, vedremo che la conserva non si deforma e non fluisce; se però diamo un colpo
secco sul fondo del vasetto la conserva si stacca. La stessa cosa accade ai
materiali del mantello i quali, quando vengono sollecitati da una forza improvvisa e di breve durata come il passaggio di un’onda sismica, si comportano come corpi rigidi, ma fluiscono come liquidi, sia pure molto viscosi,
quando una forza, anche piccola, come quella generata da una differenza di
energia termica viene applicata con continuità per milioni di anni.
La scoperta dell’espansione dei fondali oceanici e della tettonica a placche offre una prova diretta dei movimenti convettivi del mantello. Si ritiene
che i moti convettivi siano responsabili di circa il 60% del flusso termico
terrestre e che la convezione rappresenti uno dei meccanismi più importanti
con cui la Terra si è raffreddata.
4. LA GRAVITÀ TERRESTRE
Tutti i corpi che si trovano sulla superficie terrestre o in prossimità di
essa sono attratti verso il centro della Terra da una forza, detta forza di
gravità, che gioca un ruolo importante e fondamentale nella dinamica del
pianeta. Il ramo della Fisica che se ne occupa specificamente prende il nome
di Gravimetria. La forza di gravità è diretta verso il centro della Terra e
coincide quindi con il raggio terrestre, è verticale e si può mettere in evidenza con un filo a piombo.
Sulla superficie terrestre la forza di gravità varia in base ad alcuni fattori, tra i quali:
— l’altitudine, come dimostra il fatto che la forza di gravità è minore in
cima ad una montagna che non in pianura, in quanto l’intensità del campo gravitazionale diminuisce man mano che ci si allontana dal centro
della Terra;
Estratto della pubblicazione
La struttura della Terra
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— la latitudine, in quanto la Terra non è perfettamente sferica, ma schiacciata ai poli e quindi il raggio polare è di poco inferiore al raggio equatoriale, la qual cosa determina che la forza di gravità sia maggiore ai poli
che non all’equatore;
— la topografia del luogo, poiché il valore della forza di gravità viene modificato dalla presenza di masse rocciose, anche non affioranti, come ad
esempio le radici dei rilievi montuosi.
I gravimetri, strumenti precisi e sensibili, permettono di valutare con grande esattezza il valore della forza di gravità nei diversi punti del pianeta. Ciò ha
consentito di stabilire che esistono delle anomalie di gravità derivanti dalla
presenza nel sottosuolo di masse rocciose particolarmente leggere (salgemma
e idrocarburi) o pesanti (giacimenti metalliferi), di fratture, faglie e probabili
focolai sismici. Proprio lo studio delle anomalie gravimetriche ha permesso
di determinare con precisione la forma della Terra. Studiando zone dello stesso parallelo si è visto che esse presentavano diverse misure gravimetriche, più
alte nelle zone oceaniche e più basse nelle zone continentali. Dopo vari studi
si è giunti alla definizione del principio dell’isostasia, secondo il quale la
crosta oceanica e la crosta continentale tendono a stabilire una condizione di
equilibrio gravitazionale con le rocce del mantello che si comportano in modo
plastico. Le rocce del mantello, se sottoposte per periodi molto lunghi a sollecitazioni costanti, si deformano secondo il principio di Archimede: più una
massa rocciosa è alta, più riceve una spinta dal basso per «galleggiare» sul
mantello sottostante, sicché le masse crostali più alte emergono maggiormente, ma sono anche più profonde. La superficie di separazione crosta-mantello
assume così un andamento contrario a quello della superficie topografica: è
vicina alla superficie sotto gli oceani, se ne allontana massimamente sotto le
montagne. Il mantello, quindi, in seguito a variazioni della massa dei blocchi
crostali dovute ad erosione, deposizione, formazione o fusione di ghiacciai,
provoca un aggiustamento per isostasia, con spostamento verticale delle masse rocciose fino al nuovo raggiungimento dell’equilibrio. Un esempio è rappresentato dalla penisola scandinava, la quale si sta sollevando di 2 cm al
secolo nella parte centrale, in seguito allo scioglimento dei ghiacciai avvenuto circa 20.000 anni fa. Tale fenomeno provocò una improvvisa diminuzione
di peso, mettendo la penisola in una condizione di disequilibrio isostatico,
che essa sta compensando con il sollevamento. Si calcola che per raggiungere
l’equilibrio dovrà sollevarsi ancora di 200 m nella parte centrale.
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Terzo
5. IL MAGNETISMO TERRESTRE
Nel 1600 il medico inglese W. Gilbert, nel suo libro De Magnete, affermò che la Terra può essere considerata come un enorme magnete, nei confronti del quale l’ago della bussola si comporta come un piccolissimo pezzetto di limatura di ferro che si dispone secondo le linee di forza di una
calamita. In realtà oggi sappiamo che la Terra si comporta come se una
barra magnetica fosse permanentemente localizzata nel suo nucleo e inclinata di 11°30' rispetto all’asse terrestre, quindi distante circa 2.000 km da
quello geografico. Attualmente le linee di forza partono dall’isola Principe
di Galles, nel Canada nordorientale, e giungono, dopo aver compiuto degli
archi di circonferenza, nella Terra Vittoria in Antartide.
L’orientamento delle linee di forza del campo magnetico si misura con
la bussola, il cui ago magnetico si dispone tangente alle linee di forza del
campo determinando l’angolo di declinazione magnetica, ossia l’angolo
che il meridiano magnetico forma con il meridiano geografico. La declinazione aumenta alle alte latitudini e il suo valore sarebbe 0° se i poli geografici e magnetici coincidessero. La conoscenza della declinazione magnetica
è indispensabile per correggere le direzioni di rotta lette con l’ago della
bussola.
Un altro dato importante è l’inclinazione magnetica, misurata con apposite bussole il cui ago è in grado di ruotare solo verticalmente, così da
indicare, in ogni punto della Terra, l’angolo che le linee di forza creano con
il suolo (corrispondente, dunque, all’inclinazione magnetica). L’inclinazione è uguale a 0° nei pressi dell’equatore magnetico, dove l’ago si dispone
parallelamente al suolo, a 90° presso i poli magnetici, dove l’ago si dispone
verticalmente, e ha valori intermedi alle altre latitudini.
L’intensità di un campo magnetico si misura con il magnetometro, uno
strumento che misura la forza esercitata dal campo magnetico terrestre su
un piccolo magnete con caratteristiche standard. L’unità di misura dell’intensità magnetica nel S.I. è il Tesla (T). Con i dati ricavati dalle bussole e
dai magnetometri si delinea la carta delle isolinee dell’intensità magnetica
terrestre totale. Eventuali perturbazioni locali dell’andamento generale di
queste isolinee indicano che nel sottosuolo vi sono elevate concentrazioni
di materiale ferromagnetico, cosicché il loro monitoraggio è utile anche
nella ricerca di eventuali giacimenti di minerali metallici ferromagnetici.
Estratto della pubblicazione