Salvatore Cacace, L`Accordo bonario in tema di riserve nell`appalto

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L’ACCORDO BONARIO IN TEMA DI RISERVE
NELL’APPALTO DI LAVORI PUBBLICI
a cura di Salvatore Cacace - Consigliere di Stato ( 1[1])
SOMMARIO
1.
L’art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109. L’àmbito oggettivo. ................................2
1.1 – Le attività rientranti nella nozione di “lavori pubblici”....................................................2
1.2 – Le “riserve”. ..........................................................................................................................9
2.
Il procedimento di accordo bonario. I soggetti......................................................................18
2.1.
Il direttore dei lavori e l’organo di collaudo..................................................................18
2.2 – Il responsabile del procedimento. ......................................................................................24
2.3 – La commissione di “conciliazione”....................................................................................36
3. – Formazione e natura giuridica dell’accordo bonario. ...........................................................41
1[1]
Relazione al Convegno IGI del 27 ottobre 2004, in Roma, su “Accordo bonario ed Arbitrato in corso d’opera”.
1. 1. L’art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109. L’àmbito oggettivo.
1.1 – Le attività rientranti nella nozione di “lavori pubblici”.
A norma del primo e secondo periodo del comma 1 dell’art. 31-bis ( “Norme acceleratorie in
materia di contenzioso”) della legge 11 febbraio 1994, n. 109, “per i lavori pubblici affidati dai
soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettere a) e b), in materia di appalti e di concessioni, qualora,
a seguito dell'iscrizione di riserve sui documenti contabili, l'importo economico dell'opera possa
variare in misura sostanziale e in ogni caso non inferiore al 10 per cento dell'importo contrattuale, il
responsabile del procedimento promuove la costituzione di apposita commissione perché formuli,
acquisita la relazione del direttore dei lavori e, ove costituito, dell'organo di collaudo, entro novanta
giorni dalla apposizione dell'ultima delle predette riserve, proposta motivata di accordo bonario. In
merito alla proposta si pronunciano, nei successivi trenta giorni, l'appaltatore ed il soggetto
committente”.
Va anzitutto osservato che il procedimento di deflazione del contenzioso giurisdizionale dalla
norma delineato si rende applicabile soltanto alla materia dei "lavori pubblici", come delimitata
dall'art. 2 della legge n. 109 citata.
Si intendono infatti oggi per lavori pubblici, se affidati dai soggetti di cui al comma 2 dell’articolo 2
cit., “le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e manutenzione di
opere ed impianti, anche di presidio e difesa ambientale e di ingegneria naturalistica” ( art. 2,
comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 “Legge quadro in materia di lavori pubblici” ).
“Al riguardo, la legge quadro fornisce una definizione di lavori pubblici cui concorrono due
essenziali elementi: da un lato, deve trattarsi di lavori, che, inerenti ad opere o impianti, siano
riconducibili a taluna delle tassative attività indicate al comma 1 dell’art. 2; dall’altro, è necessario
che gli stessi siano concretamente affidati da uno dei soggetti enumerati nel comma 2 del medesimo
articolo” (2[2]).
Ai sensi della stessa legge si intendono poi “per procedure di affidamento dei lavori o per
affidamento dei lavori il ricorso a sistemi di appalto o di concessione” ( lett. b) del comma 7 del
medesimo articolo ).
Il legislatore aveva in passato usato sovente in maniera promiscua i términi “opere pubbliche” e
“lavori pubblici”, ricomprendendoli in un’unica categoria, che ha poi tenuto distinta, in àmbito
contrattuale, dalle “forniture” ( aventi per oggetto la somministrazione periodica o continuativa dei
beni consumabili occorrenti per le attività dell’Amministrazione ) e dai “servizii” ( ove, a differenza
dell’opera, il mutamento della realtà fisica non si traduce in una rielaborazione della materia ).
Invero, la precedente legge fondamentale n. 2248, all. “F”, del 1865, benché contenesse il “testo
delle leggi sui lavori pubblici”, tuttavia, nel suo titolo I, trattava “Delle attribuzioni del Ministero
dei lavori pubblici relative alle opere pubbliche”; nei titoli successivi disciplinava poi singole
categorie di “opere pubbliche”, mentre il titolo VI, che si riferiva alla “gestione amministrativa ed
economica dei lavori pubblici”, trattava, in realtà, dell’esecuzione e del finanziamento delle “opere
pubbliche che stanno a carico dello Stato” ( cfr. art. 319 e segg. ).
2[2]
R. Garofoli, Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della legge, in La nuova legge quadro sui lavori
pubblici, a cura di F. Caringella, Milano, 1999, 25 e ss. “Si è in presenza”, continua l’A., “di una nozione del tutto
convenzionale, non fondata su di una ontologica e connaturata connotazione pubblicistica dell’attività o dei soggetti
chiamati ad affidarne l’esecuzione, ma al contrario, sulla sola statuizione del legislatore, mosso dall’evidente intento di
estendere la copertura pubblicistica ai lavori che – ancorché non aggiudicati da soggetti riconducibili nel novero delle
amministrazioni qualificabili pubbliche alla stregua dei tradizionali criteri di riconoscimento utilizzati nel nostro
ordinamento – o di quelli di sapore spiccatamente sostanziale coniati dal diritto comunitario – implichino, oltre certi
limiti, oneri finanziari a carico della collettività” ( p. 30 ).
Tali ambiguità sono superate a pié pari dal legislatore del 1994, che accantona la tradizionale
ambivalenza lavoro pubblico – opera pubblica per assumere l’unica terminologia di “lavori
pubblici” e per attribuire “rilievo non più alla res, ma esclusivamente all’attività esecutiva” (3[3]).
Nel contempo, con la precisazione terminologica di cui al veduto comma 7, da un lato si chiarisce
che il fine ultimo del procedimento per la formazione di un contratto avente ad oggetto tali “lavori”
è nient’altro che la stipula di uno dei tipi di contratto previsti dal codice civile (l’appalto (4[4])),
dall’altro si differenzia l’appalto da un ben diverso contratto, che, pur sempre vòlto alla
realizzazione di una delle attività qualificabili, sotto il profilo meramente oggettivo, come “lavori
pubblici”, assume un oggetto più vasto di quello dell’appalto, in quanto avente ad oggetto “la
progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica
utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale
ed economica” (5[5]).
Invero, proprio la considerazione che la disciplina dell’art. 31-bis in argomento si applica soltanto ai
“lavori pubblici” come sopra definiti ha portato la Suprema Corte a ritenerla, in relazione ad un
problema di giurisdizione, inapplicabile, avendo essa sottolineato che l'art. 31-bis della legge n. 109
del 1994 può trovare applicazione ove la concessione abbia a oggetto "lavori pubblici", consistenti
in un'"attività di costruzione", mentre non può trovare applicazione qualora abbia ad oggetto la
redazione dei soli progetti ( preliminare ed esecutivo ) per la realizzazione di un'opera pubblica,
3[3]
R. Garofoli, Ambito oggettivo …, cit., 28. La giurisprudenza, dal canto suo, ha sottolineato che se il legislatore, con
la legge n. 109 del 1994, ha eletto ad oggetto del proprio intervento la più ampia categoria dei "lavori pubblici", in
luogo di quella dell'"opera pubblica", è proprio perché non viene presa tanto in considerazione l'opera realizzata, bensì
viene riqualificato il lavoro che sull'opera è compiuto, cosicché, in definitiva, vengono ad essere ricompresi nell'ottica
legislativa non solo i lavori che hanno dato luogo, mediante un'opera di costruzione, ad un'opera o ad un impianto, ma
anche i lavori che si limitano ad avere l'opera o l'impianto come oggetto dell'attività: T.A.R. Calabria, Reggio Calabria,
13 febbraio 2004, n. 153 ( in Foro amm. TAR, 2004, 516 ), a proposito della riconducibilità alla qualifica di "lavori" di
opere di manutenzione, qualora l'applicazione dell'opera dell'appaltatore comporti un'attività prevalente ed essenziale di
modificazione della realtà fisica, con l'utilizzazione, la manipolazione e l'installazione di materiali aggiuntivi e
sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale.
4[4]
L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro ( art. 1655 c. c. ).
5[5]
Art. 19, comma 2, della legge n. 109/1994, in linea con le più ampie formule ( “l’esecuzione con ogni mezzo”, “il far
eseguire” ) contenute nell’art. 1 della dir. Cee n. 93/37.
l'indizione della gara d'appalto per la scelta dell'impresa cui affidare il relativo appalto e la vigilanza
sulla gestione dell'appalto (6[6]).
Resta da sottolineare che non vale ad ampliare il predetto “ambito oggettivo” il fatto che, come si
vedrà, l’àmbito soggettivo dell’art. 31-bis in considerazione ricomprenda anche i concessionari di
servizi pubblici, giacché la norma fa pur sempre e solo riferimento agli appalti dei lavori oggetto
della concessione, ch’essi abbiano affidato a terzi.
Così come non rileva, nel discorso che ne occupa, la pacifica inapplicabilità, secondo la
giurisprudenza della Corte di Cassazione, dell'art. 31-bis della legge n. 109 del 1994 alle
concessioni di costruzione e gestione (7[7]); inapplicabilità invero riferita al solo comma 4 di detto
articolo, che, equiparando, ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori
pubblici agli appalti, ha determinato il venir meno della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in materia di concessioni prevista dall'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 ed il
ripristino, in materia, dell'ordinario criterio di riparto di giurisdizione ( 8 [8]), con attribuzione al
giudice ordinario delle controversie relative a diritti soggettivi (9[9]).
6[6]
V. Cassazione civile, sez. un., 21 maggio 2002, n. 7447 ( in Guida enti locali, 2002, f. 39, 90 ), con riguardo ad una
convenzione tra un ente pubblico e una società di diritto privato, avente ad oggetto appunto la redazione dei progetti
(preliminare ed esecutivo) per la realizzazione di un'opera pubblica, l'indizione della gara d'appalto per la scelta
dell'impresa cui affidare il relativo appalto e la vigilanza sulla gestione dell'appalto, che la Cassazione ha ritenuto
costituire un accordo ex art. 11 legge n. 241 del 1990, con la conseguenza che tutte le relative controversie sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rilevando il comma 5 dell’art. 11 medesimo, che
riserva alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione
degli "accordi", in base ai quali venga individuato il contenuto di un provvedimento che la p.a. deve emettere a
conclusione di un procedimento preordinato all'esercizio di una pubblica funzione amministrativa; norma da ritenersi
applicabile anche alle controversie nascenti da accordi conclusi anteriormente alla sua entrata in vigore.
7[7]
V. Cass., sentt. n. 11132-97 e n. 366-00; da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 10 dicembre 2001, n. 15608 ( in
Giust. civ. Mass., 2001, 2125 ). Tale indirizzo si è invero affermato dopo che la stessa Suprema Corte aveva invece in
senso contrario precisato che la norma innovativa si applica anche alle concessioni con le quali risultino commesse al
concessionario attività tecniche o amministrative preparatorie, accessorie e connesse rispetto all'esecuzione di opere
materiali (programmazione, progettazione, acquisizione delle aree e delle autorizzazioni, stipulazione degli appalti,
vigilanza dell'andamento dei lavori, collaudi ecc. ); v. sentenza n. 12622 del 1998 e, da ultimo, Cassazione civile, sez.
un., 1 aprile 2000, n. 73 ( in Appalti urbanistica Edilizia, 2001, 552 ). Questa estensione veniva ivi giustificata per la
ampia espressione della disposizione legislativa, la cui interpretazione restrittiva, limitata cioè alle sole costruzioni di
opere pubbliche, veniva ritenuta contrastare sia con la sua lettera sia con la sua "ratio", identificata "con l'esigenza di
eliminare, per quanto possibile, ogni margine d'incertezza in ordine alla determinazione del giudice competente a
conoscere delle controversie sui diritti fra Amministrazione pubblica committente e soggetti assuntori dell'esecuzione
degli interventi in materia di lavori pubblici prescindendo da ogni ipotizzabile questione circa la formale qualificazione
del rapporto costituito tra i medesimi".
8[8] Il quarto comma dell'art. 31 bis cit. ha dunque attribuito al giudice ordinario, in materia di lavori pubblici e di
concessione, una giurisdizione che prima non aveva, anche se le sezioni unite hanno affermato che la disposizione
richiamata non ha innovato nell'ordinamento, ma si è limitata ad imporre la qualificazione giuridica di appalto di lavori
Irrilevanza, che, invero, si appalesa chiara, ove si tenga presente che anche la concessione di
costruzione e gestione, così come quella anzidetta di servizii pubblici, può dar luogo ( 10 [10])
all’affidamento ad un terzo soggetto, da parte del concessionario, di “lavori pubblici”, nell’àmbito
della cui esecuzione può insorgere quel contenzioso, che il comma 1 dell’art. 31-bis intende
risolvere con il procedimento di accordo bonario.
Problemi di distinzione ed individuazione della normativa applicabile si possono poi porre anche a
proposito di determinati appalti, la cui linea di confine tra appalti di lavori ed appalti di servizii è
invero sottile.
Va premesso che, nei casi in cui le prestazioni contrattuali siano di diversa e commista specie, le
discipline in materia di appalti pubblici di servizii e di lavori indicano quale essenziale criterio
risolutore quello della "prevalenza", con riferimento al valore economico delle prestazioni.
Trattandosi, peraltro, di un criterio che, nella concreta applicazione, può rilevarsi fuorviante e
considerato che nei contratti delle Amministrazioni pubbliche l'elemento soggettivo della volontà
delle parti ai fini dell'individuazione delle prestazioni rilevanti ha minor rilievo di quanto possa
averne in ambito privato - quale diretta conseguenza dell'indisponibilità della procedura di evidenza
pubblici alla concessione di sola costruzione, qualificazione già propria di tale istituto secondo l'ordinamento; v.
sentenza 18 maggio 2000, n. 366 e, da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 19 febbraio 2002, n. 2415 ( in Giust. civ.,
2002, I,1869, con nota di RUSSO ). La legge n. 109 del 1994, ha precisato la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha
così ridotto la portata applicativa dell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, nell'interpretazione estensiva fornita dalla
giurisprudenza precedente della Corte di Cassazione e della IV sezione del Consiglio di Stato (v. Cass. sez. un. 3
dicembre 1991, n. 12966; 10 dicembre 1993, n. 12166; 12 luglio 1995, n. 7643; C.d.S. sez. IV, 12 febbraio 1996, n.
148). Il profilo concessorio e le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione concernono esclusivamente
la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica e non
anche gli altri aspetti del rapporto fra pubblica amministrazione e privato concessionario ed in particolare quelli più
specificamente riguardanti l'attività di costruzione dell'opera pubblica; per questi ultimi si impone la definizione in
termini di appalto, con la conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione ordinaria ( cfr. Cass. sez. un., 3
ottobre 1996, n. 8647 e 9 dicembre 1996, n. 10955; da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 16 febbraio 2000, n. 880, in
Foro amm., 2000, 397 ).
9[9] Con la decisione n. 15608/2001 cit., in fattispecie di controversia relativa a concessione di costruzione e gestione,
la S.C. ha tuttavia individuato la norma regolatrice del riparto di giurisdizione non nell'art. 5 della legge n. 1034 del
1971, ma nell'art. 11 della legge n. 241 del 1990, rilevando come, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, non
fosse stata introdotta una controversia relativa al rapporto di concessione, bensì fosse dedotto l'inadempimento, da parte
della P.A., di un accordo integrativo del rapporto medesimo, volto a determinare il contenuto discrezionale dì
provvedimenti amministrativi (durata della concessione; affidamento della gestione delle soste in superficie; disciplina
del traffico nel bacino di influenza; determinazione del sistema tariffario).
10[10]
Per il fatto che al concessionario sono attribuiti il compito di realizzare la costruzione con ogni mezzo ( secondo
l'espressione contenuta nell'art. 4.1. del D. Lgs. 406 del 1991) ed anche, perciò, con l'affidamento delle opere in appalto
mediante procedure di evidenza pubblica, nonché, connesso al precedente, il compito della direzione dei lavori.
pubblica nonché dei suoi presupposti identificativi - detto parametro va interpretato, possibilmente,
non sulla base del solo dato meramente quantitativo, bensì alla luce anche del criterio funzionale,
che fa riferimento determinante alla finalità complessiva che la stazione appaltante intende
conseguire con l'insieme delle prestazioni richieste, nonché di quello dell'accessorietà, che consente
di distinguere tra prestazioni principali caratterizzanti il contratto e prestazioni secondarie
costituenti aspetti marginali, sebbene non irrilevanti, del medesimo (11[11]).
Peraltro, con le modifiche apportate all'art. 3 del d. lgs. n. 157/95 ( ad opera dell'art. 3 del d. lgs. 25
febbraio 2000, n. 65 ), conformemente a quanto già previsto nell'impianto normativo della c.d.
legge Merloni ( art. 2, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 109/94, come modificato dalla legge
n. 415/98 ), sembra essersi definitivamente affermata, anche per profili di semplificazione e
omogeneità, la pressoché esclusiva rilevanza del criterio della prevalenza economica (oltre il 50% ).
Il legislatore sembra così essersi preoccupato di evitare che il canone della accessorietà possa essere
utilizzato, data la sua intrinseca elasticità, per eludere la disciplina pubblicistica ed invocare
l'applicazione del regime giuridico caso per caso preferito dalla stazione appaltante: lo ha fatto,
all'evidenza, affiancando al criterio in questione quello c.d. della prevalenza, ancorato a rilevazioni
di
stampo
esclusivamente
economico.
Il criterio patrimoniale non è indicato, peraltro, in funzione necessariamente sostitutiva rispetto a
quello dell'accessorietà, ma quale limite, oltre il quale non può ammettersi che la sua accezione
funzionale-soggettiva prevalga su quella di tipo economico-oggettivo: l'obiettivo correttamente
perseguito, e probabilmente centrato, è quello di evitare che una stazione appaltante possa eludere la
disciplina sugli appalti pubblici di lavori facendo perno sul carattere asseritamente primario del
servizio o della fornitura, nonostante la componente lavori superi di oltre la metà il valore
complessivo del contratto (12[12]).
11[11]
Cfr., in tema, Consiglio di Stato, V, 4 maggio 2001, n. 2518 e 24 aprile 2002, n. 2209; da ultimo, Consiglio Stato,
sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6768 ( in Foro amm. CDS, 2003, 3000 ).
12[12] V. Consiglio Stato, sez. VI, 10 luglio 2002, n. 3847 ( in Foro amm. CDS, 2002, 1802 ).
Un problema di definizione di linee di confine si pone anche per quanto concerne le
“manutenzioni”; invero, se il comma 1 dell’art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, nel definire
l’àmbito oggettivo di applicazione della legge, ricomprende tra i lavori pubblici “le attività … di
manutenzione di opere ed impianti” e, conseguentemente, l’art. 2, comma 1, lett. l) del relativo
Regolamento di attuazione ( D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 ) definisce la manutenzione come “la
combinazione di tutte le azioni … volte a mantenere o a riportare un’opera o un impianto nella
condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto”, non
per questo una tale “combinazione di … azioni” ricade sempre, sic et simpliciter, sotto il regime dei
lavori pubblici.
Per vero, se tra gli “impianti” di un edificio ricadono certamente quelli ascensòrii ed elevatori, non
per questo l’attività di manutenzione degli stessi sarà dunque necessariamente sottoposta a detto
regime.
Infatti, sulla base delle disposizioni del D. Lgs. n. 157/95 ( di attuazione della direttiva 92/50/CEE
in materia di appalti pubblici di servizi ) e dei nn. di riferimento della CPC del relativo Allegato 1
(v. anche Regolamento ( CE ) n. 1232/98 della Commissione del 17 giugno 1998), la manutenzione
di impianti elevatori si configura anche come “servizio”, il cui appalto è da qualificarsi come
“appalto di servizi”, cui si applicano, per l'aggiudicazione, le disposizioni del predetto decreto
legislativo n. 157/95.
A fronte dell’apparente sovrapposizione della normativa in tema di lavori pubblici con quella in
tema di appalti di servizii, che si verifica in tema di attività di manutenzione di impianti ( quali
quelle relative ad impianti elevatori ), spetta dunque all’interprete l’individuazione, sulla base degli
elementi concreti che caratterizzano di volta in volta l’attività che venga in considerazione, la
qualificazione della stessa.
Così, è stato ritenuto che assumano natura di appalto di servizii, e non di opere:
-
-
il contratto avente ad oggetto la manutenzione degli impianti elevatori ( nella fattispecie,
di un ospedale ), allorquando esso comporti una prestazione continuativa e positiva di fare (
nel caso in questione per un periodo di 1.096 giorni ), da effettuarsi con l’assiduo e
periodico intervento di personale specializzato, al fine evidente di procurare al committente
un bene finale specifico e concreto, consistente nel normale funzionamento del servizio di
sollevamento, dagli impianti medesimi assicurato (13[13]);
-
-
l'appalto costituito da lavori di manutenzione, edili ed elettrici, degli impianti cimiteriali
di un Comune (14[14]).
Sono state, invece, qualificate come appalto di lavori le attività di manutenzione diverse da quelle
espressamente previste dai numeri della CPC cui faccia riferimento l’allegato 1 del D. Lgs. n. 157
del 1995, attribuendo a tal fine portata decisiva, al di là del nomen iuris attribuito alle tipologie di
attività contemplate dall'appalto, alla prevalenza economica delle prestazioni riconducibili ai
servizii o di quelle ascrivibili ai lavori (15[15]).
1.2 – Le “riserve”.
I primi quattro commi dell’art. 31-bis della legge n. 109 del 1994 delineano un procedimento di
“accordo bonario” per la risoluzione delle controversie riguardanti la fase dell’esecuzione dei lavori
pubblici e, in particolare, di quelle in materia di riserve ad essi relative.
Presupposto per l’applicazione della norma è, in corso d’opera, il valore economico delle riserve,
per il quale è fissata una soglia minima pari al 10% dell’importo contrattuale dei lavori ( sì che “la
procedura di accordo bonario ha luogo tutte le volte che le riserve iscritte dall'appaltatore, ulteriori e
diverse rispetto a quelle già precedentemente esaminate, raggiungono nuovamente l'importo fissato
13[13]
Così T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 14 febbraio 2002, n. 571 ( in Foro amm. TAR, 2002, 381 ).
14[14] V. T.A.R. Emilia Romagna , Parma, 16 aprile 2004, n. 173 ( in Juris Data - Redazione Giuffrè, 2004 ).
15[15] V. Consiglio Stato, sez. V, 24 aprile 2002, n. 2209 ( in Foro amm. CDS, 2002, 941 ), in fattispecie relativa
ancora una volta a lavori di manutenzione degli impianti elevatori.
dalla Legge”: comma 7 dell’art. 149 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 “Regolamento di
attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive
modificazioni” ), mentre, una volta che l’opera sia stata ultimata e siano stati redatti il certificato di
collaudo o quello di regolare esecuzione, la condizione fissata dalla legge quadro è quella che dalla
contabilità finale risultino comunque riserve, di qualsivoglia importo, per le quali non sia
intervenuto l’accordo bonario di cui all’art. 31-bis della legge ed all’art. 149 del regolamento (16[16]).
Nell'appalto di opere pubbliche, l'onere della riserva a carico dell'appaltatore ha carattere generale
ed è preordinato al fine di rendere immediatamente note all'Amministrazione committente tutte le
situazioni suscettibili di incidere sul costo complessivo dell'opera, che si verificano nel corso
dell'esecuzione della stessa (17[17]).
Sul principio, secondo cui l'amministrazione committente deve conoscere, tempestivamente e
costantemente, tutti i fattori che siano suscettibili di aggravare il costo dell'opera e deve, inoltre,
poter valutare, in ogni momento, l'opportunità del mantenimento ovvero del recesso dal rapporto di
appalto in relazione al perseguimento dei fini di interesse pubblico, si fonda dunque l'onere della
riserva, che ha la sua ragione d'essere nella tutela della p.a., che, nell'esercizio della sua attività
discrezionale, deve essere posta in grado di esercitare prontamente ogni necessaria verifica (18[18]);
tanto comporta, come conseguenza, che l'appaltatore deve proporre ogni riserva, nella forma
vincolata che le è propria, non appena possibile.
Le riserve rappresentano una mera dichiarazione di una pretesa patrimoniale, esprimendo solo
l'accadimento di certi fatti e/o la loro valutazione quantitativa ai fini dell'esatta determinazione del
compenso
dovuto
all'appaltatore.
Esse devono essere tempestivamente iscritte nel registro della contabilità dei lavori ( che, ai sensi
16[16]
V. anche l’art. 174 del Regolamento stesso.
17[17] V. Cassazione civile, sez. I, 19 maggio 1989, n. 2395 ( in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 5 ).
18[18] V. Cass., n. 6911/82; n. 2395/89; n. 13399/99; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 21 luglio 2004, n. 13500 ( in
Giust. civ. Mass., 2004, f. 7 ).
dell'articolo 164 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ha per oggetto l'accertamento e la
registrazione di tutti i fatti producenti spesa per la realizzazione dell'opera) e poi confermate sul
conto finale ( giacché, ai sensi del successivo articolo 174, 2° comma, del predetto decreto
presidenziale, la mancata conferma delle riserve precedentemente iscritte, comporta l'accettazione
del conto predisposto dal direttore dei lavori ), ma non costituiscono un'intimazione di pagamento e
tanto meno sono idonee a costituire in mora l'Amministrazione appaltante, ai sensi e per gli effetti
dell'articolo 1219 del codice civile: è infatti solo con l'approvazione del collaudo che viene
liquidato il credito dell'appaltatore, sulla base delle conclusioni del collaudatore, e che quindi le
riserve, se accolte, si concretizzano, per l’appaltatore, in un credito certo, liquido ed esigibile (19[19]).
Ciò posto, il riferimento espresso, contenuto nella norma in esame, alle riserve trascritte nei
documenti contabili, quali oggetto e presupposto a un tempo per l’attivazione della procedura de
qua, consente anzitutto di richiamare i principii elaborati dalla copiosa giurisprudenza della Corte di
Cassazione nell’interpretazione della normativa in materia di “riserve”, che, già contenuta negli art.
54 e segg. dell’ormai abrogato r.d. n. 350 del 1895, è oggi rinvenibile, com’è noto, nel D.P.R. 21
dicembre 1999, n. 554 ( Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro
in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni ) e nel D.M. 19 aprile 2000, n. 145
(Regolamento recante il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, ai sensi dell'articolo 3,
comma 5, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni).
Invero, al lume di tale attività interpretativa:
A) A) nei pubblici appalti, l'appaltatore, ove intenda contestare la contabilizzazione dei
corrispettivi effettuata dall'amministrazione, è tenuto ad iscrivere tempestivamente apposita
riserva nel registro di contabilità, o in altri documenti, esponendo, nei modi e nei termini
indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa nel titolo e nella somma:
ciò sia che il fatto dannoso abbia carattere continuativo ( sia suscettibile, cioè, sulla base di
19[19]
V. Consiglio Stato, sez. IV, 17 aprile 2003, n. 2007 ( in Foro amm. CDS, 2003, 1279 ).
una causa costante o di una serie causale, di protrarre nel tempo gli effetti dannosi, senza
peraltro rivelarsi immediatamente produttivo di maggiore onerosità ), sia, per converso,
ch’esso si presenti come assolutamente saltuario;
B) B) infatti, ai sensi prima del combinato disposto degli artt. 53 e 54 del R.D. 25 maggio
1895, n. 350 ed oggi degli artt. 164 e 165 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, la riserva
può ritenersi tempestivamente formulata - a pena di decadenza - solo se inserita nel registro
della contabilità generale, al momento della prima iscrizione successiva alla insorgenza del
fatto integrante la fonte delle ragioni vantate;
C) C) la mancata tempestiva iscrizione di riserva relativa a qualsivoglia maggior costo
asseritamente sostenuto dall’impresa esecutrice dell’appalto di opera pubblica comporta la
decadenza dell'appaltatore dal diritto al pagamento per i maggiori costi delle opere eseguite
(a norma dell'art. 165 cit.) e preclude la proposizione dell'azione di arricchimento, che è
connotata dal requisito della sussidiarietà ( art. 2042 cod. civ. ) (20[20]);
D) D) la tempestività della iscrizione delle riserve, pertanto, quale adempimento imposto con
le specifiche prescrizioni di cui al citato D.P.R. n. 554 del 1999 ed al D.M. n. 145/2000,
opera - impedendo, in caso di inosservanza, l'esercizio dei diritti a maggiori compensi - solo
ove la Amministrazione appaltante abbia contestato la predetta mancanza di tempestiva
iscrizione e, quindi, abbia nel processo eccepito la decadenza avveratasi (21[21]);
20[20]
V. Cass., 2 ottobre 2001, n. 12203; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 12 settembre 2003, n. 13440 ( in Giust. civ.
Mass., 2003, f. 9 ).
21[21] La previsione si deve ritenere infatti appartenente a materia di diritti patrimoniali disponibili, quali non possono
che essere quelli che disciplinano il momento contrattuale dal rapporto e la convenienza di un recesso con riguardo ai
maggiori costi prospettati ( v. Cass. n. 13399-99; n. 1697-87; n. 2934-91 e n. 14361-01; da ultimo, Cassazione civile,
sez. I, 14 marzo 2003, n. 3824, in Giust. civ. Mass., 2003, 527 ). Resta isolato l’orientamento sotteso alla pronunzia
Cass. n. 8014-97, a mente del quale la decadenza prevista dall'art. 54 del R. D. del 1895 deve intendersi come posta a
presidio di un interesse "superiore" a quello della stessa Amministrazione appaltante e, come tale, atteso
l'assoggettamento alle norme sulla contabilità pubblica dell'Ente pubblico, non può essere rinunziata né in forma
espressa, né in forza di un comportamento tacito concludente e neppure nella forma della mancata eccezione, che deve
di converso essere rilevata d'ufficio; in tal senso, peraltro, v. anche Tribunale Vercelli, 29 gennaio 2002 ( in Riv. giur.
Edilizia, 2002, I, 652, con nota di MONTEVERDE ).
E) E)
l'onere dell'appaltatore di formulare tempestiva riserva di maggiori compensi od
indennizzi, rispetto al corrispettivo pattuito, secondo la disciplina anzidetta, insorge per
effetto e dal momento della iscrizione, nei registri previsti dalla legge e sottoposti alla sua
sottoscrizione, degli elementi evidenzianti, secondo indici di media diligenza e di buona
fede, un aggravio di spese a suo carico (22[22]);
F) F) detto onere, pertanto, non sussiste nel caso di contabilità informe ed irricostruibile, cioè
non consacrata in quei registri ed inidonea a consentire il riscontro dei titoli di spesa e delle
spettanze riconosciuto dalla stazione appaltante (23[23]);
G) G) l’onere stesso va invece affermato nella diversa ipotesi di contabilità provvisoria, ma
formalmente inserita nei registri stessi ( v. comma 6 dell’art. 165 del D.P.R. 21 dicembre
1999, n. 554 );
H) H) l'onere di immediata denuncia, a pena di decadenza, dal diritto di conseguire maggiori
compensi, sussiste con riguardo ad ogni fatto connesso con l'esecuzione dell'opera, che
l'appaltatore ritenga produttivo di conseguenze patrimoniali a sé sfavorevoli (24[24]);
I) I)
la disciplina dell'onere di tempestiva riserva non può, dunque, ritenersi ristretta agli
elementi di natura puramente contabile, ma si riferisce a tutti i fatti producenti spesa, anche
se dipendenti da colpa dell'amministrazione ( 25 [25]); ciò, benvero, quando si risolvano in
22[22]
V. Cass., n. 4285-1981; n. 162-1979; n. 1355-1972; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 22 luglio 1996, n. 6569 (
in Giust. civ. Mass., 1996, 1025).
23[23] La giurisprudenza ha peraltro ritenuto che, nell'ipotesi di irregolare tenuta del registro di contabilità, l'iscrizione
della riserva può essere efettuata con comunicazione scritta indirizzata all'Amministrazione; v. Cassazione civile, sez. I,
19 marzo 2004, n. 5540 ( in Giust. civ. Mass., 2004, f. 3 ).
24[24] V. Cassazione civile, sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15485 ( in Giust. civ. Mass., 2000, 2551 ).
25 [25] E’ stato ritenuto sussistente l'onere della specifica e tempestiva riserva nel caso di inadempimento
dell'amministrazione agli obblighi previsti dalla legge (pagamento del prezzo; fornitura dei materiali, se a suo carico), o
specificamente promessi (rimozione degli ostacoli che impediscano l'esecuzione dell'opera), inadempimento che
l'appaltatore faccia valere al fine di ottenere dalla controparte un aumento del compenso complessivo a lui spettante, in
quanto di tal guisa egli non fa che dedurre un fatto idoneo ad incidere sul costo generale dell'opera, a salvaguardia del
quale è appunto imposto l'onere della specifica riserva; v. Cass., 15 dicembre 1982, n. 6911; 17 marzo 1982, n. 1728; 13
luglio 1983, n. 4760; da ultimo, n. 2395/1989, cit. L'inadempimento contrattuale riferibile a colpa della amministrazione
committente, è stato in particolare precisato in tale ultima pronuncia, quando non sia dedotto dall'appaltatore al fine di
ottenere una pronuncia di risoluzione del contratto e dia luogo così alla "perpetuatio obligationis" per l'interesse
manifestato dall'appaltatore all'esecuzione tardiva salvo risarcimento del danno, dà luogo ad una situazione
ininterrottamente continuata, cioè permanente, di produzione del danno, in corrispondenza di un comportamento
contrattuale di inadempienza che, una volta divenuto, obiettivamente e univocamente, definitivo (nel senso che, avuto
riguardo all'interesse della controparte, appaia di non scarsa importanza: art. 1455 C.C.), perdura nel tempo fin quando
comportamenti che incidono direttamente sull'esecuzione dell'opera e che rientrano perciò
nel rapporto contrattuale (26[26]);
J) J)
anche i compensi dovuti all'appaltatore per danni cagionati da forza maggiore, in quanto
incidenti sulla spesa complessiva dell'opera, sono soggetti alla disciplina generale dell'onere
della riserva, che deve essere formulata non appena il fatto di forza maggiore si riveli
produttivo di maggiori costi o spese per l'appaltatore, senza che essa possa essere differita al
momento della firma del conto finale e senza che rilevi che l'appaltatore abbia provveduto
alla denuncia dei danni, come previsto dall'art. 25 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 ( vedasi
oggi l’art. 139 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 ), poiché tale denuncia, non contenendo
gli elementi necessari per quantificare la pretesa al compenso, non può sostituire la riserva
da inserire in contabilità, né assolvere alla funzione ad essa attribuita dalla normativa sugli
appalti pubblici (27[27]);
K) K) in tali casi l'onere dell'appaltatore di formulare tempestiva riserva, per maggiori pretese
rispetto al corrispettivo pattuito, secondo la previsione del r.d. 25 maggio 1895 n. 350 (oggi,
come s’è detto, del D.P.R. n. 554/99), insorge nel momento in cui quei fatti evidenzino,
secondo criterii oggettivi e di media diligenza (28[28]), una potenzialità dannosa ( quando,
cioè, secondo una valutazione coerente con detti criterii, emerga la concreta idoneità del
fatto continuativo a produrre aggravi giustificativi di maggiori compensi o indennizzi a
il soggetto obbligato non pone termine all'omissione della prestazione contrattuale dovuta. Il perdurare
dell'inadempimento è perciò causalmente collegabile al momento (che, in mancanza di un termine essenziale, deve
essere individuato dal giudice) del primo concretarsi dell'inadempienza, quale fatto produttore di danno; e tutto il
protrarsi successivo (dell'inadempimento e del danno che ne deriva) non dà luogo a fatti autonomi che nascano
quotidianamente per inadempienze nuove e diverse, nè a danni che non fossero già prevedibili, in caso di perdurante
inadempimento. L'onere della riserva, previsto in materia di appalti pubblici, sussiste al momento del primo apparire
dell'inadempimento (univoco e definitivo) quale fatto produttore di danno per l'appaltatore e di spesa per il committente;
attiene poi al "quantum" della pretesa risarcitoria, definibile solo al momento del cessare della causa produttrice di esso,
la precisazione del danno derivante dall'inadempimento denunciato con la prima, tempestiva riserva (salva ovviamente
la facoltà di denuncia intermedie del protrarsi dell'inadempimento e del danno contrattuale). Ed in relazione al possibile
(e perciò prevedibile per quanto richiesto dall'art. 1225 CC) protrarsi del danno la riserva iniziale ha un oggetto
concreto, a fronte di una situazione di danno non già potenziale ma in atto, il cui protrarsi è anch'esso prevedibile, e
perciò denunciabile con la riserva, quale effetto permanente di essa.
26[26]
V. Cass. , 15 dicembre 1982, n. 6911.
27[27]
V. Cassazione civile, sez. I, 13 luglio 1983, n. 4759 ( in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 7 ).
28[28]
V. Cass., n. 13589-2000; n. 13399-1999; n. 9854-1991.
favore dell'appaltatore ); salvo restando il differimento della precisa quantificazione di dette
maggiori pretese, riferibili alla prestazione complessiva a carico dell’appaltatore (29[29]) per
danni protrattisi o che abbiano continuato a verificarsi in momento successivo rispetto a
quello in cui la riserva venne formulata, nelle successive registrazioni ovvero al momento
della chiusura dei conti al termine dei lavori, dopo il definitivo consolidarsi del pregiudizio
economico subito (30[30]);
L) L) eventuali inesattezze, irregolarità, approssimazioni delle risultanze contabili, anche in
difformità dalla realtà, restano irrilevanti ai fini della liberazione dell’appaltatore dall'onere
di tempestiva riserva, nei limiti in cui non impediscano all'appaltatore medesimo
l'immediato riscontro di quell'aggravio di spesa, secondo i criterii menzionati (31[31]);
M) M) l'onere dell'immediata denuncia, da parte dell'appaltatore, del fatto o della situazione
oggetto di riserva ed il sistema delle preclusioni che esso pone a carico di quest'ultimo
comportano altresì che, indicata nel registro di contabilità una ragione specifica,
all'imprenditore non è consentito di sostituirla con altra causale in precedenza non indicata
(32[32]);
N) N) così come l’onere in questione, nella mancanza di una espressa deroga alla sua
operatività, è stato dalla giurisprudenza ritenuto riferibile anche alla richiesta del compenso
per le variazioni del progetto e del piano iniziale dei lavori di cui all'art. 13 del d.p.r. n. 1063
del 1962 ( 33 [33]), oggi esso è dal capitolato generale d’appalto posto espressamente in
relazione anche con le variazioni al progetto appaltato, di cui al comma 6 dell’art. 10, ogni
richiesta dell’appaltatore di riconoscimento di “un equo compenso” per effetto delle
29[29]
V. Cass., n. 6911-1982 e n. 2599-1986.
V. Cass., n. 15485-2000; n. 1515-2000; n. 746-1997; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 18 settembre 2003, n.
13734 ( in Giust. civ. Mass., 2003, f. 9 ).
31[31] Ha negato validità alla tesi dell'equazione tra irregolarità contabile ed esonero dell'appaltatore dal termine per la
formulazione delle riserve, riconducendo tale esonero alla sola fattispecie di contabilità a tale punto informe e mancante
da non consentire il riscontro dei titoli di spesa e la conseguente formulazione di riserve, Cass., n. 6569/1996, cit.
32[32] V. Cass., n. 10261-2000.
33[33] V. Cassazione civile, sez. II, 28 dicembre 1993, n. 12863 ( in Giust. civ. Mass., 1993, fasc. 12 ).
30[30]
modifiche alla natura dei lavori oggetto dell’appalto ivi previste essendo tesa, appunto, al
conseguimento di una maggiorazione del corrispettivo contrattuale ;
O) O) l'appaltatore è altresì tenuto a fare le proprie osservazioni ( cioè le sue eccezioni
consistenti in domande e riserve ) al momento della firma dei verbali di sospensione o di
ripresa dei lavori (34[34]);
P) P) anche il ristoro dei maggiori oneri derivanti all’appaltatore dalla consegna ritardata dei
lavori presuppone la previa formulazione delle opportune riserve (35[35]);
Q) Q) pure l'equo compenso previsto dall’art. 1664 del codice civile non si sottrae, negli
appalti pubblici, all'onere della tempestiva riserva (36[36]);
R) R) per giurisprudenza costante deve pure formare oggetto di tempestiva riserva, al fine di
dar luogo, in via eccezionale, a compenso, ogni “variazione o addizione” al progetto
34[34]
V. Cassazione civile, sez. I, 17 marzo 1982, n. 1726 ( in Giust. civ. Mass., 1982, fasc. 3 ). La disciplina dell'art. 16
del r.d. 25 maggio 1895 n. 350 è oggi stata soppiantata, dopo l'avvento del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, dall’art.
133 dello stesso D.P.R. e l’art. 24 del D.M. 19 aprile 2000, n. 145. E’ evidente come l’istituto della sospensione dei
lavori, specie ove reiterato nel corso di un contratto d’appalto e soprattutto quando raggiunga un a significativa durata,
urti in maniera netta con l’esigenza di rispetto dei principi di efficienza, efficacia, tempestività ed economicità
dell’azione amministrativa in materia di appalti. Le procedure d’appalto per le quali si concretizza l’evenienza in
questione possono invero comportare impegni economici imprevisti e ben più significativi, in conseguenza delle
richieste delle imprese esecutrici dei lavori, che si estrinsecano principalmente sotto forma di riserve iscritte, nei modi
di legge, sugli atti contabili ed incentrate sul calcolo degli oneri derivanti dalla protratta gestione delle attività lavorative
di cantiere. L’insorgenza di un simile contenzioso è sempre e comunque legata ad una circostanza di oggettivo gravame
per l’appaltatore, cui viene precluso il dispiegamento compiuto di quella capacità organizzativa che deve
contraddistinguere ogni realtà imprenditoriale e che si esprime – nell’esecuzione delle opere aggiudicate – con
un’accurata programmazione temporale delle singole fasi di lavoro e delle relative sovrapposizioni, delle forniture, dei
noli e via dicendo, al fine di ottimizzare i risultati economici della gestione dell’appalto. L’elevata probabilità che ad
una sospensione dei lavori, disposta a seguito di circostanze speciali ed eccezionali, che vengono di solito qualificate
come “impreviste ed imprevedibili” e spesso protratta per un tempo non breve, faccia seguito la rappresentazione
formale di una doglianza dell’impresa, induce quindi a rilevare che il verificarsi della fattispecie in questione si
accompagna quasi sempre ad un significativo aumento dei costi, che la stazione appaltante dovrà sopportare in
dipendenza della controversia avviata, con le possibili conseguenze che ciò può comportare in termini di giudizio da
parte dell’organo di magistratura contabile. Vedansi, sul tema, le determinazioni n. 9/2004 del 19 maggio 2004 e n.
9/2003 del 9 aprile 2003 della Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, riguardanti, rispettivamente, il
“Contenzioso in fase di appalto conseguente ad una o più sospensioni dei lavori, disposte - in esito a prescrizioni degli
organi preposti alla tutela dei beni culturali - per l’esecuzione di campagne di indagini archeologiche nel sottosuolo” e
“Approfondimento del tema generale relativo alla prevedibilità e previsione delle cause di sospensione dei lavori”.
35[35]
V. l’art. 10 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e, oggi, l’art. 9 del D.M. 19 aprile 2000, n. 145. In giurisprudenza, v.
Cassazione civile, sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 ( in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 3 ). Il che dimostra come, per la
tempestività, la riserva - ove la potenzialità causale del fatto sia nota – possa risultare iscritta in verbali, che non
rientrano tra i documenti amministrativo-contabili elencati prima dall'art. 38 del r.d. n. 350/1895 ed oggi dall’art. 156
del D.P.R. n. 554/99; ciò nondimeno tali verbali nel registro di contabilità debbono comunque, quanto prima, essere
riversati.
36[36] V. Cass., n. 6911/82; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 21 luglio 2004, n. 13500 ( in Giust. civ. Mass., 2004, f.
7 ).
approvato, che sia effettuata dall'appaltatore extracontratto e "non preventivamente
approvata" ( per le quali, ex art. 134 del D.P.R. n. 554/99, egli non ha diritto, di regola ad
aumento di prezzo alcuno od indennizzo ) (37[37]);
S) S) come è noto, infine, ai sensi dell'art. 174 del D.P.R. n. 554 del 1999, se l'appaltatore non
sottoscrive il conto finale nel termine previsto o se lo sottoscrive senza confermare le
domande già formulate nel registro di contabilità, detto conto finale deve ritenersi come
definitivamente accettato (38[38]);
La speciale disciplina delle forme e dei termini per lo svolgimento dell’accordo bonario de quo si
riferisce dunque propriamente ed esclusivamente alle controversie insorte a seguito delle domande
(o delle riserve), che, in corso d'opera, l’appaltatore di un contratto di appalto di opera pubblica
formuli, con onere di loro iscrizione nei documenti contabili ( sulla base della cui progressiva
redazione si determina, per rilevamenti successivi, il corrispettivo dovuto all'appaltatore ), in calce
ai quali il direttore dei lavori espone le sue controdeduzioni ( cfr. artt. 164 e 165 del D.P.R. n.
554/99 ); domande, con cui l'appaltatore medesimo fa valere ogni pretesa afferente a compensi o
indennizzi aggiuntivi rispetto all'originario prezzo contrattuale, in relazione a qualsiasi situazione
insorta
nel
corso
della
esecuzione
dell'opera
(
39
[39]
).
Tali controversie vanno risolte previamente con il meccanismo di conciliazione di cui si tratta, di
cui l’art. 31-bis della legge n. 109/1994 definisce in via di principio gli elementi e le procedure,
37 [37]
Ciò
sempre
che
ricorra
la
ulteriore
triplice
condizione
che
tali
lavori:
a) siano qualificati come "indispensabili in sede di collaudo”; b) siano riconosciuti per tali anche dall'amministrazione
committente; c) comportino un costo che, addizionato a quello dei lavori commissionati in contratto, rientri, comunque,
"entro i limiti delle spese approvate" ( cfr. Cass., sent.ze nn. 3263-90; 10726-92; 11365-96; da ultimo, Cassazione
civile, sez. I, 12 settembre 2003, n. 13432, in Giust. civ. Mass., 2003, f. 9 ).
38[38] Secondo la Suprema Corte la norma, che trova corrispondenza nel previgente art. 64 del r.d. n. 350 del 1895,
pone una presunzione di accettazione del conto di carattere relativo, in quanto tale superabile con la prova di una
positiva volontà dell'appaltatore contraria alla rinuncia alle pretese oggetto di riserva; la stessa ha avuto occasione di
precisare che una presunzione siffatta sussiste sia nell'ipotesi di mancata sottoscrizione del conto finale che in quella di
mancata conferma delle riserve già iscritte nel registro di contabilità, non consentendo né la lettera né lo spirito della
norma regolamentare di porre una distinzione tra dette ipotesi ( Cass., n. 1347/1999; da ultimo, Cassazione civile, sez. I,
28 maggio 2003, n. 8532, in Giust. civ. Mass., 2003, f. 5 ).
39[39] V. Cassazione civile, sez. I, 1 dicembre 1999, n. 13399 ( in Giust. civ. Mass., 1999, 2419 ).
mentre il regolamento ( art. 149 del D.P.R. n. 554/99 ) ne disciplina poi dettagliatamente il
perfezionamento; ma si tenga conto che il regolamento risulta emanato sulla base dell’originario
comma 1 dell’art. 31-bis, che è stato poi sostituito, con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater,
dall'art. 7, comma 1, L. 1° agosto 2002, n. 166, sì che buona parte delle prescrizioni dell’art. 149 cit.
risultano inapplicabili, in quanto in contrasto con la fonte di rango superiore, ragion per cui è oggi
lasciato all’interprete il còmpito di ricavare, dal combinato disposto della norma di legge e delle
scarne disposizioni regolamentarti tuttora applicabili, il “giusto procedimento” dell’accordo bonario
in tema di riserve.
2. 2. Il procedimento di accordo bonario. I soggetti.
2.1.
2.1.
Il direttore dei lavori e l’organo di collaudo.
L’art. 149, comma 1, del regolamento dispone che, allorquando l’appaltatore abbia iscritto negli atti
contabili riserve il cui importo complessivo superi i limiti indicati dall’art. 31-bis della legge
quadro, il direttore dei lavori ne dà immediata comunicazione al responsabile del procedimento,
trasmettendo nel più breve tempo possibile la propria relazione riservata nel merito.
La disposizione risulta tuttora congrua con il disposto dell’art. 31-bis della legge ( fatto oggetto,
come s’è detto, di modifiche successive alla adozione del regolamento ), giacché, se è pur vero che,
nel testo in vigore dell’art. 31-bis medesimo, il responsabile del procedimento non è più di certo il
fulcro del tentativo di accordo bonario ( non competendo più ad esso, almeno di norma, né
formulare alla stazione appaltante la proposta di accordo bonario, né convocare le parti per la
sottoscrizione dell’accordo ), compete comunque al responsabile del procedimento promuovere la
costituzione della commissione, cui è demandato in via ordinaria il còmpito di formulare detta
proposta e tale adempimento di avvio del procedimento di accordo bonario egli è concretamente in
grado di svolgere soltanto nella misura in cui egli sia informato del maturare dei presupposti
normativamente fissati.
A tale funzione “informativa” è in grado di adempiere, almeno per le controversie scaturenti dalle
riserve anteriori all’emissione del certificato di regolare esecuzione o di quello di collaudo, soltanto
il direttore dei lavori, ch’è il soggetto istituzionalmente “preposto alla direzione ed al controllo
tecnico, contabile e amministrativo dell'esecuzione dell'intervento … nel rispetto degli impegni
contrattuali” ( comma 2 dell’art. 123 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 ), interloquendo “in via
esclusiva con l'appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto” ( comma 2 del
successivo art. 124 ).
Egli è tenuto a trasmettere l’anzidetta comunicazione immediatamente, anche perché il periodo
entro il quale a norma dell’art. 31-bis la proposta motivata di accordo bonario, cui detta procedura è
finalizzata, dev’essere formulata ( “novanta giorni dalla apposizione dell'ultima delle predette
riserve” ), ha un termine iniziale ( l’anzidetta apposizione ), del quale solo il direttore dei lavori è a
conoscenza, sì che ogni suo eventuale indugio si traduce in una indebita e dannosa, per entrambe le
parti, compressione dei tempi del procedimnto.
Contestualmente alla “informativa” sul verificarsi delle condizioni tecnico-economiche per l’avvio
del procedimento in esame, il direttore dei lavori è tenuto a trasmettere apposita relazione, che
contenga il suo parere e le sue osservazioni ( corrispondenti a quelle “motivate deduzioni”, ch’egli è
tenuto, a norma del comma 4 dell’art. 165 del regolamento, ad esporre nel registro di contabilità in
ordine alle riserve ivi iscritte dall’appaltatore inerente ) in relazione alle domande dell’impresa, che
saranno oggetto del procedimento.
Tràttasi di relazione, che vale anzitutto a mettere in condizioni il responsabile del procedimento di
valutare la effettiva e concreta sussistenza delle condizioni per l’avvio del procedimento e,
successivamente, a fornire quegli elementi necessarii all’apposita commissione, cui è demandata la
formulazione della proposta di accordo, per raggiungere una cognizione completa della controversia
sottoposta al suo esame e per adottare le determinazioni conciliative di sua competenza.
Un’apposita relazione del direttore dei lavori non sarà invece necessaria allorché il procedimento
scaturisca dalla risultanza di riserve nel certificato di regolare esecuzione, giacché allora la stessa
funzione è utilmente spiegata dalla relazione, che, a norma del comma 2 dell’art. 173 del
regolamento, accompagna il conto finale.
Lo stesso dicasi per la relazione che la legge prevede sia resa dall’organo di collaudo ( “ove
costituito” ), perché vertesi chiaramente, anche in tale ipotesi, nella fattispecie di definizione di
controversia successiva alla emissione del certificato di collaudo, sì che, ai fini di cui all’art. 31-bis,
sarà utile la relazione di cui al comma 2 dell’art. 195 del regolamento.
Si pone in proposito il problema della ammissibilità dell’accesso, da parte della impresa esecutrice
dei lavori, agli atti relativi al procedimento di esecuzione dell'opera pubblica, ivi comprese, in
particolare, la relazione riservata dei collaudatori e del direttore dei lavori e la corrispondenza tra la
questi e la stazione appaltante, che potrebbero essere oggetto di apposite osservazioni, che l’impresa
stessa intendesse porre all’attenzione della Commissione.
Se, in linea generale, può affermarsi che l'Amministrazione è tenuta a consentire l'accesso a tutti gli
atti correlati allo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali ( 40 [40]) e che peraltro la
giurisprudenza del Consiglio di Stato appare ormai conclusivamente orientata nel senso che il
diritto di accesso si esercita anche sugli atti inerenti a rapporti contrattuali nei quali la p.a. agisce
iure privatorum ( 41 [41]), in tema di appalto di lavori pubblici, ai sensi degli artt. 10 del
40[40]
V. T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 12 dicembre 2001, n. 2442 ( in Foro amm., 2001).
In particolare, sono stati ritenuti soggetti al diritto di accesso prima proprio la relazione riservata del direttore dei
lavori di cui all'art. 63, comma 4, lett. i), del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 ( Consiglio Stato, sez. VI, 11 dicembre 1996,
n. 1744 ), poi la relazione riservata del collaudatore dei lavori pubblici appaltati dall'amministrazione, prevista dall'art.
100 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 ( Cons. St., sez. IV, 27 aprile 1999, n. 743; id., 15 maggio 2000, n. 2734), nonché il
carteggio interno fra stazione appaltante e direttore dei lavori, nella fase di esecuzione del contratto (Cons. St., sez. V,
20 dicembre 1999, n. 2128); v. anche, da ultimo, T.A.R. Umbria, 15 gennaio 2001, n. 122 (in Comuni Italia, 2001, 608)
e T.A.R. Liguria, sez. II, 4 febbraio 2004, n. 123 ( in Foro amm. TAR, 2004, 401 ), che ha ritenuto non sottratto
all'accesso il giornale dei lavori, per il quale in primo luogo non sussistono divieti espressi, ed in secondo luogo non
emergono caratteristiche di riservatezza, stante la sua natura di documento atto a raccogliere anche elementi frutto di
contraddittorio tra la stazione appaltante ed appaltatore.
41[41]
regolamento approvato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e 24, comma 1, della legge 7 agosto
1990, n. 241, è stato considerato legittimo il diniego di accesso alle relazioni riservate del direttore
dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell'impresa, trattandosi di
documenti "riservati" ai sensi dell'art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109, nel testo
introdotto dal d.l. 3 aprile 1995 n. 101 (42[42]).
Invero, l'art. 10 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 ( Regolamento di attuazione della legge
quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109 ) dispone testualmente che "ai sensi
dell'art. 24 della Legge 7 agosto 1990 n. 241 sono sottratte all'accesso le relazioni riservate del
direttore dei lavori e dell'organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell'impresa".
La norma è di immediata applicazione anche ai rapporti in corso di esecuzione al momento di
entrata in vigore del testo regolamentare che la contiene, come espressamente dichiarato dal
successivo art. 232.
E’ stato rilevato in proposito dalla giurisprudenza che la definizione di "riservata", data alla
relazione del collaudatore e del direttore dei lavori dall'art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n.
109, introdotto dall'art. 9 del D.L. 3 aprile 1995, n. 101, denota che il legislatore ha voluto impedire
la diffusione delle relazioni al di fuori delle amministrazioni cui sono indirizzate, in quanto si
inseriscono in una controversia in atto o potenziale tra l'amministrazione e l'appaltatore,
concernente l'esecuzione del contratto, nella quale si fronteggiano interessi di natura patrimoniale e
che solo indirettamente, per le possibili conseguenze sulla finanza pubblica, presentano riflessi di
ordine pubblicistico (43[43]).
Tale indirizzo appare suscettibile di rivisitazione alla luce del nuovo disposto dell’art. 31-bis citato,
come introdotto dall'art. 7, comma 1, L. 1° agosto 2002, n. 166.
42[42] V. Consiglio Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2163 ( in Juris Data - Redazione Giuffrè, 2004 ).
43[43] V. Cons. Stato, Sez. V, 10 dicembre 1999, n. 814; id., 20 dicembre 1999 n. 2128; da ultimo, Consiglio Stato,
sez. V, 10 luglio 2002, n. 3842 ( in Foro amm. CDS, 2002, 1720 ).
Occorre premettere che l'actio ad exhibendum regolamentata dall'art. 10 citato, pur avendo ad
oggetto documentazione inerente all'esecuzione di un'opera pubblica ( il che ne giustifica la
collocazione nel contesto del regolamento n. 554/1999 ), è istituto dotato di una propria autonomia,
che dà luogo alla costituzione di relazioni giuridiche fra l'amministrazione e il privato del tutto
distinte, sotto il profilo causale, rispetto a quelle che formano il contenuto proprio del contratto di
appalto, il quale ( sia o no completamente eseguito alla data in cui viene fatto valere l'interesse
all'accesso ), si pone solo come presupposto esterno, ai limitati fini della verifica della
legittimazione del richiedente l'accesso, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 241/90.
Orbene, se l'art. 10 del DPR n. 554/1999 è stato emanato nell'esercizio del potere autorizzato dal
citato art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 ( Disciplina dell'attività di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri ) e si rivela, come si evince dalla stessa
dizione letterale, come direttamente applicativo dell'art. 24 della legge n. 241/90 ( e non, piuttosto,
come espressione del potere conferito al Governo, in materia di lavori pubblici, dall'art. 3, primo
comma, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, la cui lettera c) si limita ad operare la delegificazione
solo delle "procedure di accesso" agli atti procedimentali nella stessa materia e non sarebbe, quindi,
idonea a sorreggere ex se la potestà di adottare una disposizione regolamentare, incisiva, invece,
sullo stesso diritto di accesso ), bisogna osservare che la lettura della disposizione del primo comma
dell'art. 24 della legge n. 241/90 ( il quale, con affermazione di principio di carattere generale,
esclude in apice la sussistenza del diritto all'accesso, tra l'altro, "nei casi di segreto o di divieto di
divulgazione altrimenti previsti dall'ordinamento" ) fa emergere, con chiarezza, che il legislatore del
1990 ha inteso sottrarre alla disciplina generale sull'accesso tutte le situazioni considerate non
ostensibili da fonti primarie ( preesistenti o sopravvenute ) di pari dignità formale, mentre ha
conferito al Governo la potestà di individuare, attraverso la produzione normativa secondaria, altre
ipotesi di esclusione, vincolando, però, in questo caso, la potestà stessa al rispetto dei criteri
tassativi enunciati nel successivo comma secondo.
Sulla base di quanto fin qui rilevato, valga notare, in maniera sicuramente risolutiva, che, se a
sorreggere il divieto di accesso alla documentazione di cui si tratta è stata determinante la
considerazione che l'art. 31-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109, introdotto dall'art. 9 del D.L. 3
aprile 1995, n.101, definiva "riservata" la relazione dell'"organo di collaudo" ( comma 1 ) (44[44]),
oggi il nuovo comma 1 dell’art. 31-bis della legge n. 109 del 1994 non definisce più “riservate” le
relazioni di cui si tratta.
Per le stesse, dunque, non può più ritenersi sussistente una normazione primaria che affermi quel
divieto di divulgazione “altrimenti previst(o) dall'ordinamento", cui fa riferimento l'art. 24, primo
comma, della legge n. 241/90.
D’altra parte, nel disposto dell'art. 24, comma 1, della legge n. 241/1990, i "casi di segreto o di
divieto di divulgazione ... previsti dall'ordinamento", idonei ad escludere l'accesso ai documenti
sono soltanto, come si è detto, quelli stabiliti dalla legge, mentre alle norme regolamentari spetta di
definire i casi in cui l'accesso è precluso per le esigenze indicate nel comma successivo dello stesso
art. 24; sì che la norma di cui al veduto art. 10 del regolamento, venuto meno il supporto normativo
in precedenza assicurato dall’art. 31-bis, risulta recessiva rispetto ai principii affermati dalla legge
n. 241/90 e dunque va soggetta a disapplicazione.
Varranno dunque i principii così in passato limpidamente enunciati dalla giurisprudenza (45[45]):
”Nell'ambito delle norme in materia di procedimento amministrativo, di cui alla legge 7 agosto
1990, n. 241, il Capo V pone un principio generale di diritto d'accesso ai documenti amministrativi,
con le modalità stabilite dalla stessa legge, al fine di assicurare la trasparenza dell'attività
amministrativa
e
di
favorirne
lo
svolgimento
imparziale.
Il diritto è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
44[44]
Questo attributo, ha osservato la giurisprudenza, denota, senza di che la qualificazione sarebbe priva di qualsiasi
significato, che il legislatore ha voluto impedire la diffusione della relazione al di fuori dell'amministrazione cui è
indirizzata; Consiglio Stato, sez. V, 20 dicembre 1999, n. 2128 ( in Foro amm., 1999, 2523 ).
45[45] Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 1998, n. 1771 ( in Foro amm., 1998, f. 11-12 ).
rilevanti e concerne i documenti amministrativi, ivi compresi gli atti interni, formati dalle pubbliche
amministrazioni
o,
comunque,
utilizzati
ai
fini
dell'attività
amministrativa
(art.
22).
Il successivo art. 24 della legge n. 241/90 autorizza il Governo a disciplinare le modalità di
esercizio del diritto d'accesso, per contemperarlo con l'esigenza di salvaguardare altri interessi
pubblici e privati, tra cui la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese; in tal caso, però, è
garantita agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui
conoscenza
sia
necessaria
per
curare
o
per
difendere
i
loro
interessi
giuridici.
In base ai principi sopraenunciati, la natura "interna" della relazione del direttore dei lavori non vale
a sottrarla al diritto di accesso posto che la natura di un atto interno non esclude l'applicazione di
tale
disciplina
(Cons.
Stato
sez.
VI,
11
dicembre
1996,
n.
1744).
Peraltro, la relazione del direttore dei lavori si inserisce nella fase amministrativa dell'esame e della
decisione sulle riserve, nella quale la pubblica amministrazione compie un'attività di valutazione
che ha le caratteristiche di un procedimento amministrativo di definizione delle controversie,
soggetto al principio di imparzialità ed i cui atti, anche se relativi ad un rapporto sostanziale di
diritto privato, sono sottoposti alla disciplina della l. 7 agosto 1990 n. 241 (Cons. Stato sez. VI, n.
1744/96
cit.).
Parimenti, l'amministrazione ha l'obbligo di consentire all'appaltatore l'accesso alla relazione
"separata e segreta" del collaudatore, prevista dall'art. 100 r.d. n. 350 del 1895, in quanto atto
necessario del procedimento di collaudo, reso nei confronti dell'amministrazione e dell'appaltatore”.
2.2 – Il responsabile del procedimento.
Il responsabile del procedimento, ai sensi del comma 2 dell’art. 149 del regolamento, deve valutare
l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve ai fini del raggiungimento del limite
del valore economico delle riserve, al quale la legge riconnette l’avvio del procedimento di cui si
tratta.
Da ciò si desume che presupposti per l’avvio del procedimento sono la espressa dichiarazione
dell’ammontare dei lavori, l’importo e l’oggetto delle riserve, nonché la valutazione del
responsabile del procedimento ai sensi del succitato comma 2.
Detta valutazione concerne, come s’è detto, l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle
riserve iscritte, laddove per ammissibilità deve intendersi la iscrizione delle riserve secondo le
modalità e nei termini prescritti dall’art. 165 dello stesso regolamento, mentre per non manifesta
infondatezza una sommaria valutazione dei presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento delle
riserve (46[46]).
Tali valutazioni sono espressamente finalizzate dalla norma alla verifica “ … dell’effettivo
raggiungimento dei limiti di valore” ( art. 149, comma 2 ), al fine di scongiurare l’eventualità di
elusioni applicative della norma, come nel caso in cui l’appaltatore del tutto artatamente iscriva
riserve al solo fine di superare il limite percentuale del 10 per cento dell’importo contrattuale
necessario per l’accesso alla procedura di accordo bonario ed ivi definire le sole reali riserve, di
valore, però, più o meno nettamente inferiore al predetto limite.
La espressa finalizzazione della propedeutica operazione di valutazione, come espressamente
operata dalla norma, consente certamente di escluderne la necessità e rilevanza, nell’iter
procedurale, laddove la procedura di accordo bonario prescinda del tutto da qualsiasi rapporto delle
riserve iscritte rispetto all’importo contrattuale e cioè sia attivata con riferimento alle risultanze del
certificato di collaudo o di quello di regolare esecuzione.
La scelta compiuta in sede regolamentare di porre in capo al responsabile del procedimento la
predetta incombenza è dettata dal fatto che allo stesso spetta il controllo su tutti i fattori comportanti
46[46]
V., in tal senso, la Determinazione della l'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici n. 22 del 05/12/2001,
recante “Indicazioni relative alla soluzione bonaria di controversie (art. 31 bis comma 1 legge 109)”.
aumenti di spesa, che, anche se non influenti in maniera diretta ed immediata sull’appalto,
comunque possano rivelarsi in grado di gravare sul committente nella fase esecutiva del medesimo.
D'altra parte, la figura del responsabile del procedimento, quale risultante dalla disciplina generale
degli artt. 4 e segg. della legge n. 241/90, è normativamente prevista non solo ai fini interni
dell'organizzazione amministrativa per l'individuazione del soggetto che rappresenta un ufficio nelle
relazioni con gli altri uffici riguardo ad un determinato procedimento, ma anche ai fini esterni, che
attengono al rapporto tra Pubblica Amministrazione ed il singolo cittadino, prevedendosi la
individuazione, all’interno dell’organizzazione, di una persona determinata, che assuma, anche nei
confronti del cittadino, la piena responsabilità della conduzione del procedimento.
Per la difficoltà di individuare l'unità organizzativa che assume la responsabilità del procedimento,
non a caso l'art. 7, primo comma, della Legge n. 109/1994 ha imposto alle Amministrazioni di
nominare un unico responsabile del procedimento per le fasi della programmazione dei lavori, della
progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione dei medesimi (47[47]).
La normativa contenuta nel regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori
pubblici ( legge n. 109 del 1994 ) in materia di accordi bonarii, che riserva al responsabile del
procedimento la valutazione dell'ammissibilità e della non manifesta infondatezza delle riserve
avanzate dall'impresa, va considerata legittima, e quindi applicabile, anche dopo le modifiche
apportate dalla legge n. 166 del 2002 all’art. 31-bis della legge n. 109.
Ciò sia considerato che l'art. 3, comma 1, di quest’ultima demanda proprio al regolamento la
disciplina delle modalità e delle procedure per la deliberazione sulle riserve dell'appaltatore e che il
responsabile del procedimento è il funzionario dell'amministrazione al quale sono demandati i
poteri di impulso e istruttori nelle fasi attuative di ciascun intervento; sia perché il
ridimensionamento dei poteri del responsabile del procedimento indubbiamente operato dalla legge
47[47]
V. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 novembre 2002, n. 1783 ( in Foro amm. TAR, 2002, 3794 ).
n. 166 non esclude affatto che egli possa, ed anzi debba, svolgere la predetta valutazione, a fini
evidenti di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, in via propedeutica e funzionale
allo svolgimento del potere di “promozione” della costituzione dell’apposita commissione, che gli è
pur sempre attribuito dalla legge.
Senza contare che la valutazione stessa resta invece funzionale direttamente alla proposta di
accordo bonario formulata dal responsabile medesimo, laddove, essendo la costituzione della
commissione facoltativa ( ai sensi del comma 1-ter del nuovo art. 31-bis ), l’Amministrazione abbia
optato per una procedura, che potremmo definire “semplificata”.
Se, dunque, a seguito della nuova formulazione dell’art. 31-bis, il responsabile del procedimento
non può più realisticamente definirsi il “fulcro del tentativo di accordo bonario”, la sua posizione
nella procedura resta pur sempre centrale, atteso che spetta pur sempre a lui, nella procedura c.d.
ordinaria, oltre ai poteri di valutazione e di promozione anzidetti, la nomina del membro della
Commissione in rappresentanza dell’Amministrazione; e, nella procedura c.d. semplificata, può, nei
casi in cui non gli sia devoluto il potere di formulare direttamente la proposta di accordo bonario,
comunque “essere componente della commissione stessa” ( comma 1-quater dell’art. 31-bis ).
Tale ultima previsione, peraltro, vale a sottolineare che la scelta legislativa di non prevedere la
partecipazione del responsabile alla commissione nella procedura c.d. ordinaria è ispirata a principii
di efficienza dell’azione amministrativa e non certo ad una ipotetica inconciliabile sovrapposizione,
e dunque ad una pretesa incompatibilità, tra il suo ruolo e qualsiasi altra funzione od incarico
tecnico od amministrativo relativi ai lavori oggetto dell’appalto.
Del resto già l'art. 6 della Legge n. 127/1997 ha sancito il principio generale per cui sono attribuiti
ai dirigenti "tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di
indirizzo adottati dall'organo politico".
Peraltro, il Consiglio di Stato ha affermato che l’articolo 6, comma 2, della legge 15 maggio 1997,
n. 127, modificativo dell’articolo 51 della legge n. 142/1990 (v. ora l’art. 107, comma 2, del t.u.e.l.),
“rimette ai dirigenti la responsabilità delle procedure d’appalto” (oltre alla presidenza delle
commissioni) e la stipula dei contratti, sottolineando in particolare come la disposizione in parola,
che si inserisce armonicamente in un ordinamento che tende a ridurre i controlli formali da parte di
soggetti interni ed esterni all'Ente introducendo, all'opposto, forme di verifica dell'attività in cui sia
solo il risultato della gestione ad essere valutato in termini di efficienza, rendimento e regolarità
amministrativa e contabile in relazione al conseguimento degli obiettivi di gestione assegnati ai
dirigenti dagli organi di governo dell'ente nell'esercizio della loro funzione di indirizzo, impone,
anziché escludere, che i dirigenti dei singoli settori siano responsabili del buon esito dell'azione,
amministrativa ad essi demandata e, quindi, siano titolari dei poteri amministrativi, che nel corso
dei varii procedimenti devono essere esplicati (48[48]).
E non si vede, allora, perché la detta, pretesa, incompatibilità debba poi affermarsi, del tutto in
contrasto con gli affermati principii, con riguardo a còmpiti attinenti alla fase esecutiva dell’appalto.
A proposito della figura del responsabile del procedimento valga poi ricordare che, ai sensi dell'art.
2, comma 3, della legge n. 109 del 1994, ai concessionarii di lavori pubblici ( cui pure la norma
dell’art. 31-bis, nel delineare il suo ambito soggettivo di applicazione, fa espresso riferimento ) si
applicano solo alcune delle norme introdotte da tale legge.
Orbene, tra queste non rientrano le disposizioni concernenti la nomina e le funzioni del responsabile
unico del procedimento; sì che sono state in varie sedi manifestate perplessità circa il soggetto, che,
quando l’amministrazione appaltante sia un concessionario, deve svolgere le funzioni dall’art. 31bis e dalla norma attuativa del regolamento attribuite al responsabile del procedimento.
Deve ritenersi che il legislatore abbia semplicemente inteso affidare all'autonomia organizzativa dei
concessionarii l'articolazione delle funzioni - nel cui ambito rientrano quelle di cui si tratta - che
sono esercitate dal responsabile del procedimento quando la stazione appaltante sia una p.a.
48[48]
Consiglio Stato, sez. V, 1 aprile 2004, n. 1812 ( in D&G - Dir. e Giust., 2004, f. 17, 107 ), che aggiunge: “Il regime
giuridico della loro responsabilità è ordinato sulla valutazione del risultato conseguito e non sulla correttezza o meno
dei singoli atti compiuti e, quindi, coerentemente con tale impostazione, essi sono dotati di tutti i poteri che possono
direttamente incidere sulla efficienza della loro azione amministrativa”.
Pertanto, conformemente a quanto stabilito dalla circolare ministeriale 7 agosto 1996, n. 2808/UL, i
concessionarii provvederanno comunque alla nomina di un responsabile dell’istruttoria al fine dello
svolgimento di quelle funzioni propedeutiche e propulsive, che oggi l’art. 31-bis affida al
responsabile del procedimento della stazione appaltante.
Peraltro, il problema sembrerebbe potersi porre solo in relazione al procedimento di accordo
bonario in corso d’opera e non a quello conseguente e successivo al certificato di collaudo, ove si
ritenga, come ha ritenuto il Consiglio di Stato (49[49]), che, nel sistema della legge n. 109 del 1994,
che, sia pur in un ambito non perfettamente coincidente ( art. 28, comma 4 ), riserva alle
amministrazioni aggiudicatici ( definizione che esclude i concessionarii ai sensi dell'art. 2, comma
7, lettera c, della legge ) il potere di nominare le commissioni di collaudo, qualora l'esecuzione
dell'opera rientri nel rapporto di concessione, il giudizio sulla regolare esecuzione sia comunque
riservato al soggetto, che impersona il centro di riferimento degli interessi che l'opera è destinata a
soddisfare e cioè all’amministrazione concedente, al cui responsabile del procedimento sarebbero
dunque devoluti i veduti poteri di cui all’art. 31-bis.
Interpretazione, questa, che, oltre a stridere con il sistema dei rapporti che, nel processo di
esecuzione di opere pubbliche in concessione, si instaura tra concedente, concessionario e soggetto
cui questi appalti i lavori pubblici non realizzati direttamente ( scindendosi e duplicandosi
indebitamente i certificati di collaudo finale rilasciati dal concessionario e quelli rilasciati dal
concedente ), non trova nemmeno rispondenza nelle disposizioni del regolamento, che affidano
comunque alle stazioni appaltanti ( intendendosi per tali i soggetti indicati dall'articolo 2, comma 2,
della Legge ) la competenza alla attribuzione dell’incarico di collaudo ed alla approvazione degli
atti di collaudo.
49[49]
V. Consiglio Stato, sez. V, 14 aprile 2000, n. 2241 ( in Foro amm., 2000, 1311 ).
Quid juris nel caso che, a seguito di riserve iscritte nel registro di contabilità dei lavori, l'importo
economico dell'opera varii in misura rilevante rispetto all'ammontare dell'importo contrattuale e
dunque risultino maturate le condizioni per far luogo all'applicazione dell'art. 31-bis della legge 11
febbraio 1994, n. 109 ( a mente del quale, si ricordi, se, a seguito dell'iscrizione di riserve su
documenti contabili, l'importo economico dell'opera possa variare in misura sostanziale, e
comunque non inferiore al 10% dell'importo contrattuale, il responsabile del procedimento
promuove la costituzione di apposita commissione perché formuli, acquisita la relazione del
direttore dei lavori e, ove costituito, dell'organo di collaudo, entro novanta giorni dalla apposizione
dell'ultima delle predette riserve, proposta motivata di accordo bonario ) e ciò nonostante il
responsabile del procedimento non assolva a quanto prescritto dall'art. 31 bis l. n. 109/94, in
particolare, promuovendo la costituzione della commissione, cui è demandato il còmpito di
formulare la proposta di accordo bonario?
La giurisprudenza amministrativa si è espressa in proposito in modo discorde.
Da una parte, infatti, in presenza di un ricorso vòlto a sentir dichiarare l'obbligo
dell'Amministrazione di attivare il procedimento disciplinato dal precitato art. 31 bis, è stato
ritenuto che “sebbene quella della ricorrente, così come prospettata, si presenti quale domanda di
accertamento del silenzio-rifiuto da parte dell'A., in realtà essa riveste natura giuridica di azione di
adempimento intesa, cioè, ad obbligare la stazione appaltante a porre in atto il tentativo bonario di
componimento a seguito del denunciato incremento del costo dell'opera, rispetto all'importo
contrattuale, nella misura ritenuta significativa dall'art. 31 bis della L. 11.2.1994 n. 109“; sì che il
ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito (50[50]).
50[50]
Così’ T.A.R. Lazio, sez. II, 28 febbraio 2002, n. 1553 ( in Foro amm. TAR, 2002, 549 ), con riferimento al testo
dell'art. 33, secondo comma, lett. e, del D.L.vo 31.3.1998 n. 80, novellato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205,
che devolve alla giurisdizione esclusiva del T.A.R. "le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e
forniture" ( tale giurisdizione si dispiega, quindi, ha rilevato il T.A.R., nella fase prodromica alla conclusione del
contratto di appalto, mentre le obbligazioni contrattuali continuano a ricadere nell'ambito della giurisdizione ordinaria ).
Dall’altra, invece, è stato sottolineato ( 51 [51]) che la norma dell’art. 31-bis riconosce l'obbligo
dell'Ente appaltante di avviare, istruire e concludere il procedimento amministrativo di
componimento delle riserve iscritte dall'impresa appaltatrice nel registro di contabilità entro i
termini indicati, decorrenti dalla formulazione dell'ultima riserva; e dunque, è stato affermato, il
silenzio tenuto da un soggetto di cui all'art. 2, comma 2, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 è
illegittimo e può essere impugnato con il rito speciale previsto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000,
n. 205 (52[52]).
In dottrina è stato considerato che il tentativo di raggiungimento di un accordo bonario è previsto
dall’art. 31-bis come obbligatorio, di talché l’appaltatore vanta ora una situazione soggettiva di
carattere pretensivo, necessariamente tutelata dall’ordinamento, a che venga esperito il tentativo di
accordo bonario (53[53]).
E’ stato poi in proposito sottolineato che, a fronte del dilemma se tale situazione soggettiva sia da
configurare come diritto soggettivo o come interesse legittimo, è da ritenere che si verta in tema di
interesse legittimo all’osservanza, da parte dell’Amministrazione, delle norme procedimentali, che
regolano la definizione bonaria delle controversie in materia di riserve relative ai lavori pubblici,
cosicché, in caso di inerzia dell’amministrazione o di rifiuto di avviare il procedimento,
l’appaltatore potrà adire il giudice amministrativo, al fine di far dichiarare l’obbligo
dell’Amministrazione di attivare il relativo procedimento (54[54]).
51[51]
V. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 17 aprile 2003, n. 661 ( in Foro amm. TAR, 2003, 1395 ).
E’ noto come, secondo un pacifico e risalente orientamento del Consiglio di Stato, nel giudizio instaurato con il
ricorso su silenzio – rifiuto, la pronuncia del Giudice ha come suo esclusivo oggetto l’obbligo dell’Amministrazione di
determinarsi esplicitamente sulla domanda del soggetto richiedente, giammai quello di imporre all’Amministrazione di
adottare un provvedimento favorevole all’interessato. Ciò è stato ribadito anche a proposito dello speciale rito
disciplinato dall’art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 ( introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 ), attesa
la natura pur sempre meramente ricognitiva del giudizio sul silenzio – rifiuto, sì che si deve escludere che il giudice
amministrativo possa adottare, all’ésito di tale giudizio, determinazioni, che ineriscono a poteri riconducibili alla sola
amministrazione attiva ( v. Cons. St.: Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 540; Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6391; da ultimo,
Sez. IV, 8 ottobre 2003, n. 6004, in Juris data on line, Giuffrè editore, 2003 ).
53[53]
CARBONE, La disciplina delle controversie nella legge 109/94 e successive modifiche ( d. legge n. 101/95 e legge
di conversione n. 216/95 ), in Riv. Trim. app., 1996, 159.
54[54]
V. R. Garofoli, R. De Nictolis e Marco Lipari, L’accordo bonario compositivo delle controversie in tema di
riserve, in La nuova legge quadro sui lavori pubblici, a cura di F. Caringella, Milano, 1999, 970 e ss.
52[52]
Tali conclusioni sono certamente da condividere, anche sotto l’ottica dell’effettività della tutela
giurisdizionale assicurata dall’ordinamento ad ogni posizione soggettiva giuridicamente rilevante,
anche se la prospettata dicotomia interesse legittimo/diritto soggettivo parrebbe non più tanto
insanabile laddove si rifletta sul fatto che probabilmente sono due le situazioni giuridiche soggettive
proprie dell’appaltatore, che vengono in considerazione nella fattispecie: l’una, di diritto soggettivo,
a veder riconosciute e soddisfatte le sue pretese aggiuntive rispetto al prezzo contrattuale; l’altra, di
interesse legittimo, allo svolgimento del procedimento di tentativo di accordo bonario secondo il
paradigma procedimentale “governato” dall’Amministrazione, disegnato dalla legge (55[55]).
Tali due distinte, seppur strettamente collegate, situazioni giuridiche, troveranno allora due distinte
forme di tutela.
Indubbiamente, in tema di appalto di opere pubbliche, la p.a. non può ritardare "sine die" le sue
determinazioni, paralizzando, per un tempo indefinito, i diritti dell'appaltatore.
Di tal che, trascorso il tempo normalmente, ragionevolmente ed oggi normativamente necessario in
relazione alle effettive esigenze dell'esame valutativo, il non aver adottato alcun provvedimento
denuncia per ciò stesso il rifiuto dell'amministrazione, a fronte del quale è certamente attivabile il
giudizio disciplinato dal citato art. 21-bis, diretto ad accertare se il silenzio serbato da una pubblica
amministrazione sull’istanza del privato ( tali dovendosi considerare le “domande” dell’appaltatore
iscritte nei registri contabili, che abbiano raggiunto un determinato percentuale rispetto al valore
dell’appalto ) violi o meno l’obbligo della stessa di attivare il procedimento previsto dal legislatore
in presenza di tali domande; ciò anche quando, come nella fattispecie dell’art. 31-bis, il
55[55]
Invero, una volta entrati nella fase della gestione del contratto, è pur vero che il soddisfacimento e l’adempimento
delle rispettive situazioni soggettive a contenuto attivo e passivo sinallagmaticamente collegate al vincolo obbligatorio
nascente dal contratto sono assoggettate essenzialmente alla disciplina di tipo paritario contenuta nel codice civile, ma è
altrettanto noto come le relazioni negoziali scaturenti da accordi e convenzioni ( e finanche da contratti ) con la p.a.
siano poi solo in linea di principio improntate alla "parità delle armi", in quanto esse difficilmente si lasciano ricondurre
ad una completa pariteticità delle posizioni soggettive contrapposte, che si esplicano nel corso dell'attività negoziale.
procedimento stesso tenda poi a verificare la possibilità di conclusione di un accordo finale, che ha
natura di contratto privatistico, che si sottrae al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
Ciò senza che il Giudice possa, in nessuna fase del giudizio, sostituirsi all’Amministrazione,
potendo e dovendo egli accertare esclusivamente se il silenzio sia illegittimo meno e, in caso di
ésito positivo di un tale accertamento giudiziale, imporre all’Amministrazione di provvedere
sull’istanza entro il termine assegnato.
Invero, peraltro, una tale via non sembra oggi precludere all’appaltatore, avverso l’inerzia
dell’amministrazione nel giungere ad una pronuncia ( di accoglimento o di rifiuto ) su una proposta
motivata di accordo bonario, la via di far valere le proprie ragioni in un giudizio ordinario od
arbitrale, a tutela dell’altra, distinta, situazione giuridica soggettiva, di cui si è detto sopra; tanto
sulla base del terzo periodo del nuovo comma 1 dell’art. 31-bis, che, nel prevedere che “decorso
tale termine è in facoltà dell'appaltatore avvalersi del disposto dell'articolo 32”, amplia
enormemente l’àmbito di quanto in precedenza previsto dalle stesse disposizioni contenute nel
capitolato generale di appalto, che escludono, per le riserve ante certificato di regolare esecuzione o
di collaudo, in caso di mancata attivazione del procedimento conciliativo, la possibilità di
devoluzione di una controversia siffatta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché il tentativo
di accordo bonario è obbligatorio e “l'appaltatore che intenda far valere le proprie pretese nel
giudizio ordinario o arbitrale deve proporre la domanda entro il termine di decadenza di sessanta
giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione di cui all'articolo 149, comma 3, del
regolamento …” ( art. 33, comma 1, del D.M. 19 aprile 2000, n. 145 ).
Oggi, dunque, in aggiunta a tali ipotesi, anche l’inutile decorso del termine di 120 giorni dalla
apposizione dell’ultima delle riserve utili alla attivazione della procedura de qua consente
all’appaltatore di far valere il suo diritto in un giudizio ordinario od arbitrale e ciò anche se il veduto
terzo periodo fa riferimento alla sola facoltà dell'appaltatore di avvalersi del disposto dell'articolo
32, non essendo in discussione il principio di non obbligatorietà dell'arbitrato, atteso che, a seguito
della nota pronunzia della Corte Costituzionale n. 152 del 1996, la quale ha restituito con effetti ex
tunc a ciascuna delle parti la facoltà di declinare la competenza arbitrale e di adire il giudice
ordinario, la facoltatività costituisce principio fondamentale in tema di definizione arbitrale delle
controversie, applicabile anche con riferimento alla disciplina in esame (56[56]).
Quanto appena delineato a maggior ragione è applicabile nel procedimento di accordo bonario
scaturente dalle domande dall’appaltatore avanzate in sede di conto finale e di collaudo, in quanto il
capitolato generale d’appalto, dopo aver stabilito, ai commi 1 e 2 dell’art. 32, che “le riserve e le
pretese dell'appaltatore, che in ragione del valore o del tempo di insorgenza non sono state oggetto
della procedura di accordo bonario ai sensi dell'articolo 31-bis della legge, sono esaminate e
valutate dalla stazione appaltante entro novanta giorni dalla trasmissione degli atti di collaudo
effettuata ai sensi dell'articolo 204 del regolamento” e che “qualora siano decorsi i termini previsti
dall'articolo 28 della legge senza che la stazione appaltante abbia effettuato il collaudo o senza che
sia stato emesso il certificato di regolare esecuzione dei lavori, l'appaltatore può chiedere che siano
comunque definite le proprie riserve e richieste notificando apposita istanza. La stazione appaltante
deve in tal caso pronunziarsi entro i successivi novanta giorni”, prevede, al comma 1 del successivo
art. 33, che “l'appaltatore che intenda far valere le proprie pretese nel giudizio ordinario o arbitrale
deve proporre la domanda entro il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal
ricevimento … della determinazione prevista dai commi 1 e 2 dell'articolo 32 del capitolato, oppure
dalla scadenza dei termini previsti dagli stessi commi 1 e 2”.
Né, per finire sul punto, in mancanza di comunicazione all’appaltatore delle determinazioni assunte
dall’Amministrazione sulle domande dallo stesso avanzate in sede di collaudo, la mancata
56[56]
Del resto la norma dell’art. 32 della legge n. 109 del 1994, come risultante dalle modifiche ad essa apportate
dall'art. 10 della legge 18 novembre 1998, n. 415, secondo cui tutte le controversie derivanti dall'esecuzione del
contratto di appalto "possono" essere deferite ad arbitri, individua un'ipotesi di arbitrato certamente non obbligatorio; v.
Corte costituzionale, 10 maggio 2000, n. 134 ( in Giust. civ., 2000, I, 3093 ).
tempestiva impugnazione della delibera approvativa degli atti di collaudo produce un qualche
effetto di consolidazione; ed invero l'approvazione del collaudo - per la sua collocazione esterna
alla fase procedimentale dell'evidenza pubblica ed interna invece alla fase ( privatistica )
dell'esecuzione del contratto di appalto di opere pubbliche - è atto, comunque, paritetico (57[57]) e non
quindi atto provvedimentale, in relazione al quale possa verificarsi il fenomeno della c.d.
consolidazione allorché esso ( ancorché invalido ) non sia impugnato nel termine di legge (58[58]);
così come non è espressione di potere autoritativo, agendo l’Amministrazione non come autorità ma
come parte contraente in materia relativa ad attività negoziale retta dal diritto privato, il
provvedimento che l'Amministrazione adotta in ordine alle domande dell'appaltatore, agendo essa
non come autorità, ma come parte contraente in materia relativa ad attività negoziale retta dal diritto
privato.
E’ pur vero che l'approvazione del collaudo da parte della P.A. deve considerarsi quale atto di
amministrazione attiva, con la quale viene posto fine all'appalto; ma esso costituisce anche lo
strumento legale attraverso il quale la stazione appaltante fa proprie le conclusioni del collaudatore
ed esprime la volontà di accettazione dell'opera, liquidando il credito dell'appaltatore.
E soltanto per effetto dell'approvazione senza riserve sorge il vincolo a carico della P.A., per
quanto concerne la liquidazione del corrispettivo, di considerare inoppugnabile la determinazione
espressa nell'atto di collaudo: in conseguenza dell'obbligo posto dalla menzionata normativa a
carico del collaudatore di verificare non solo se l'opera fu eseguita a regola d'arte, secondo le
prescrizioni tecniche prestabilite ed in conformità del contratto e delle varianti debitamente
57[57]
"Facente parte di un procedimento negoziale": così Cons. Stato, sez. V, n. 1559/1996. V. anche T.A.R. Abruzzo
L'Aquila, 2 ottobre 2001, n. 583 ( in Foro amm., 2001 ), che, con riguardo a controversia instaurata a seguito di
dichiarazione di non collaudabilità di opera pubblica da parte della P.A. per inadempimento degli obblighi nascenti dal
rapporto contrattuale, ha dichiarato che tali controversie ( nascenti dall'esecuzione di contratti di appalto di opere
pubbliche, successive cioè alla fase di aggiudicazione ), in quanto aventi ad oggetto posizioni di diritto soggettivo
inerenti a rapporti contrattuali di natura privatistica ( essendo le parti tenute ad eseguire il contratto nel rispetto delle
norme dettate dagli artt. 1374 e 1375 Cod. Civ.), rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario ( v. anche T.A.R.
Piemonte, II Sez., 22 maggio 1997, n. 258 e T.A.R. Valle D'Aosta, 17 ottobre 1998, n. 130).
58[58]
V. Cassazione civile, sez. I, 16 aprile 2002, n. 5468 ( in Giust. civ. Mass., 2002, 656 ).
approvate, ma anche se i dati risultanti dai conti e dai documenti giustificativi corrispondono tra
loro e con le risultanze di fatto, se i prezzi attribuiti ed i compensi determinati nella liquidazione
finale sono regolati secondo le previsioni contrattuali, se nella gestione delle opere ad economia si è
avuto cura degli interessi dell'Amministrazione; e, conclusivamente sia la collaudabilità dell'opera,
sia le modificazioni da introdursi nel conto finale, e, quindi, il credito liquido dell'appaltatore. Il
quale dunque, pur quando si riferisca a lavori non previsti o diversamente qualificati nel contratto,
può comunque fondarsi sul riconoscimento contenuto nel menzionato atto di approvazione, attesane
la funzione di esaurire anche sotto questo profilo il rapporto intercorso tra le parti (59[59]).
2.3 – La commissione di “conciliazione”.
La definizione delle controversie sulle riserve non è dunque rimessa, nel disegno della legge n. 109,
ad una determinazione unilaterale dell’Amministrazione, ma ad un accordo.
Il tentativo di raggiungimento di tale accordo è in via generale demandato, nel testo vigente dell’art.
31-bis, ad una “commissione”, la cui costituzione è “promossa” dal responsabile del procedimento
ed alla quale è demandato il còmpito di formulare “acquisita la relazione del direttore dei lavori e,
ove costituito, dell'organo di collaudo, entro novanta giorni dalla apposizione dell'ultima delle
predette riserve, proposta motivata di accordo bonario”.
Detta commissione, “formata da tre componenti in possesso di specifica idoneità, designati,
rispettivamente, il primo dal responsabile del procedimento, il secondo dall'impresa appaltatrice o
concessionaria ed il terzo, di comune accordo, dai componenti già designati contestualmente
all'accettazione congiunta del relativo incarico”, si configura indubbiamente come organo esterno e
59[59]
V. Cass., n. 11959/2003; n. 8705/2001; n. 13261/2000; n.13075/2000; da ultimo, Cassazione civile, sez. I, 12
maggio 2004, n. 8969 ( in Giust. civ. Mass., 2004, f. 5 ).
terzo rispetto alle parti della controversia; seppure, infatti, la sua costituzione sia “promossa”
dall’Amministrazione, in persona del responsabile del procedimento, la stessa non è poi in alcun
modo configurabile come organo, seppure straordinario, dell’Amministrazione stessa ( che non la
nomina, non la costituisce, non ha poteri di scioglimento di essa e né ne fa proprie con efficacia
autoritativa le determinazioni ) e tanto meno, poi, è in qualche modo riconducibile alla struttura
organizzativa dell’impresa appaltatrice.
Se, dunque, nella previgente disciplina dello stesso art. 31-bis, non poteva parlarsi a rigore di un
meccanismo di conciliazione, mancando nella procedura qualsiasi intervento di un organo terzo e
ruotando tutto il meccanismo procedimentale vòlto alla conclusione dell’accordo bonario intorno
alla figura interna all’Amministrazione del responsabile del procedimento, oggi, in presenza del
predetto organo terzo, può parlarsi più propriamente di un meccanismo di conciliazione avente
natura negoziale, che si contrappone e supera i previgenti strumenti di risoluzione in via
amministrativa di risoluzione di tal genere di controversie.
Un meccanismo, questo, che è inteso alla definizione di una contesa già in atto in sede
amministrativa, a seguito dell’apposizione delle domande e riserve dell’appaltatore nei documenti
contabili tenuti per l’esecuzione dell’opera e che si atteggia come condizione di ammissibilità per il
ricorso dinanzi alla giurisdizione statale, o, in alternativa ad esso, dinanzi al collegio arbitrale di cui
all’art. 32 della legge.
Ciò per effetto del disposto del disposto del già veduto art. 33 del D.M. 19 aprile 2000, n. 145
(Regolamento recante il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, ai sensi dell'articolo 3,
comma 5, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni), che così dispone:
“L'appaltatore che intenda far valere le proprie pretese nel giudizio ordinario o arbitrale deve
proporre la domanda entro il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal ricevimento
della comunicazione di cui all'articolo 149, comma 3, del regolamento, o della determinazione
prevista dai commi 1 e 2 dell'articolo 32 del capitolato, oppure dalla scadenza dei termini previsti
dagli stessi commi 1 e 2”.
Valga tuttavia notare che detto regolamento, a norma dell’art. 3, comma 5, della legge, trova
applicazione ai lavori affidati dai soli soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a), della legge,
con un ambito soggettivo, dunque, non coincidente con quello risultante dal disposto dell’art. 31-bis
in considerazione, che, come s’è visto, ricomprende anche i soggetti, di cui alla lettera b) del
richiamato comma 2.
Si riproduce, dunque, per i soggetti di cui alla citata lett. b), la situazione in passato configurantesi
in tema di appalti stipulati da un'Amministrazione pubblica con richiamo alle norme contenute nel
capitolato generale per le opere di competenza dello Stato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n.
1063 (60[60]), per la quale la giurisprudenza era pacifica nel ritenere che il contenuto del capitolato
generale medesimo non costituisse clausola contrattuale vessatoria, atteso che dette norme sono
efficaci ancorché non approvate specificamente per iscritto, in quanto, ai fini dell'applicabilità d
ell'art. 1341, comma 2, c.c. ai contratti di appalto di opera pubblica, è necessario che
l'Amministrazione appaltante predisponga unilateralmente la singola clausola contrattuale
vessatoria, mentre detta norma non è operante allorché i contraenti richiamino nella sua interezza il
capitolato generale di appalto come parte integrante del contratto; in siffatta ipotesi ricorre, infatti,
la figura non del contratto per adesione ( con la conseguente soggezione a specifica approvazione
per iscritto delle clausole onerose ), bensì del contratto a relazione perfetta, nel quale il riferimento
al capitolato deve essere considerato come il risultato di una scelta concordata, diretta all'assunzione
di uno schema, al quale le parti si riportano con una formula denotante, sia pure in modo sintetico,
l'effettiva conoscenza ed accettazione di tutte le clausole ivi contenute; sì che queste ultime - per
60[60]
E’ noto come, per giurisprudenza pacifica, il Capitolato Generale approvato con D.P R. n. 1063 del 1962 ha valore
normativo e vincolante soltanto per gli appalti stipulati dallo Stato e non riguarda, pertanto, gli appalti stipulati da enti
pubblici diversi, a meno che una specifica norma di legge disponga l'applicazione di detto capitolato anche agli appalti
stipulati da enti diversi dallo Stato ( ad esempio i Comuni - cfr., tra le ultime, Cass. 22 agosto 2001, n. 11177). Di qui,
l'ulteriore conseguenza dell'automatica applicazione del Capitolato Generale alle opere eseguite su totale finanziamento
dello stato ( v. Cass. civ., n. 4036/2003, cit. ).
effetto della "relatio" - vengono recepite all'interno del contratto e mutano la propria natura da
normativa in negoziale (61[61]).
Tornando al ruolo conciliativo svolto dalla commissione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 31-bis, valga
notare che la proposta di accordo dalla stessa formulata vale solo a promuovere l’accordo stesso,
definendone i termini, ma non ad finiendam litem e dunque a produrre effetti sostanziali sulla
disciplina del rapporto controverso, effetti che possono derivare solo da una pronuncia favorevole
dell’amministrazione e dell’appaltatore sulla proposta stessa; pronunce, che, in quanto coincidenti e
concordanti, rappresentano, appunto, l’accordo.
Il richiamo alla funzione “conciliativa” demandata alla commissione non deve dunque comunque
far confondere il ruolo della stessa con quello degli arbitri.
La Commissione è dunque di regola priva di transigere o raggiungere l’accordo, che spetta
esclusivamente alle parti, che con la designazione dei componenti di rispettiva elezione hanno
semplicemente manifestato l’impegno di cercare di comporre la controversia di comune accordo,
seppur su proposta della Commissione stessa (62[62]).
Ciò a meno che le parti stesse, avvalendosi della facoltà prevista dal comma 1-ter dell’art. 31-bis,
abbiano conferito “alla commissione il potere di assumere decisioni vincolanti, perfezionando, per
conto delle stesse, l'accordo bonario risolutivo delle riserve”.
Non pare dubbio che, in tal caso, la funzione di “assumere decisioni vincolanti” per le parti ai fini
della risoluzione della controversia, attribuita alla commissione in argomento, vale a mutarne
radicalmente la natura in collegio arbitrale, con qualificazione dell'arbitrato in questione come
"arbitrato irrituale" .
61[61]
V. Tribunale Vercelli, 29 gennaio 2002 ( in Riv. giur. Edilizia, 2002, I, 652, con nota di MONTEVERDE ). V.
anche Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 2003, n. 15783 ( in Giust. civ. Mass., 2003, f. 10 ); Cassazione civile, sez. I, 2
ottobre 2001, n. 12203 ( in D&G - Dir. e Giust., 2001, f. 37, 74 ); Cassazione civile, sez. I, 16 settembre 1992, n. 10582
( in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 8-9 ).
62[62]
V., per un’analoga ipotesi di una “proposta per la bonaria definizione della controversia” formulata da un collegio
di conciliazione, l’art. 66 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ( Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche ).
Al riguardo si rileva che, in generale, per l'interpretazione di una clausola compromissoria, il
carattere rituale o irrituale dell'arbitrato in essa previsto va desunto con riguardo alla volontà delle
parti ricostruita secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo la fattispecie
dell'arbitrato rituale quando sia stata demandata agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del
giudice ed integrandosi, per converso, l'ipotesi dell'arbitrato libero quando il collegio arbitrale sia
stato investito della soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di
accertamento,
ovvero
con
strumenti
dovendosi optare - è stato precisato ( 63 [63]) -
conciliativi
o
transattivi;
ove residuino dubbi sulla effettiva volontà dei
contraenti, per l'irritualità dell'arbitrato, tenuto conto che l'arbitrato rituale (poiché introduce una
deroga alla competenza del giudice ordinario) deve ritenersi abbia natura eccezionale.
Nella specie, la natura irrituale della procedura prevista dal comma 1-ter della legge - con il
conferimento agli arbitri di decidere la controversia in via transattiva attraverso una manifestazione
di volontà negoziale – specie ove si tenga conto che la legge medesima prevede poi, per le stesse
controversie, una forma di arbitrato rituale, appare evidente.
Sì che varranno poi, allora, i noti limiti alla deducibilità dei vizii come cause di annullamento della
determinazione degli arbitri, in quanto, si ricordi, il lodo arbitrale irrituale è impugnabile soltanto
per i vizii che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la
violenza, il dolo e l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico, o dell'arbitro stesso.
63[63]
Cfr. Cass., n. 8788-2000; da ultimo, Cassazione civile, sez. lav., 4 aprile 2002, n. 4841 ( in Giust. civ. Mass., 2002,
587 ).
3. – Formazione e natura giuridica dell’accordo bonario.
L’accordo bonario, avente lo scopo scopo di porre fine alle controversie amministrative relative alle
riserve inserite dall'appaltatore nel registro di contabilità, ha natura contrattuale e si forma, pertanto,
a norma dell’art. 1326 del codice civile, con l’incontro della volontà delle parti.
Tale “incontro” si realizza, per espressa volontà del legislatore, con il ricevimento reciproco della
comunicazione della controparte delle sue determinazioni positive in ordine alla proposta formulata
dalla commissione.
Sì che, sulla base del nuovo testo del comma 1 dell’art. 31-bis, non è più necessaria, ai fini
dell’insorgenza del vincolo, la convocazione delle parti ai fini della sottoscrizione del c.d. verbale di
accordo bonario, come prevista dal comma 4 dell’art. 149 del regolamento; e, ove una tale fase sia
comunque espletata, la successiva stipula non sarà altro che la riproduzione del contratto già
formatosi, che nulla viene ad aggiungere alla esistenza ed alla perfezione del vincolo negoziale, nel
quale si concretizza l’accordo bonario.
Dal fatto che, in tale ipotesi, l'eventuale successiva stipulazione del verbale di accordo bonario
configura una mera formalità ulteriore, avente carattere normalmente riproduttivo, consegue che è
proprio la regolamentazione del rapporto risultante dalla reciproca accettazione della proposta
formulata dalla commissione a costituire la fonte delle obbligazioni assunte dalle parti e che alla
stessa l'interprete deve attribuire, avvalendosi dei criteri ermeneutici posti dagli art. 1362 e segg.
cod. civ., valenza decisiva per ricavarne la disciplina
Invero, se pacifico è l’insegnamento dottrinale e giurisprudenziale circa la necessità che i contratti
dello Stato e degli enti pubblici rivestano ad substantiam la forma scritta ( anche quando
l’Amministrazione agisca "iure privatorum" ), ex artt. 16 e 17 r.d. n. 2440 del 1923, con
conseguente nullità di ogni eventuale intesa verbale (64[64]), si osserva che, per soddisfare il requisito
64[64]
V., per tutte, Cons. St., n. 41/1996. V. anche Cass., 20 agosto 1992, n. 9682 (in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 8-9).
della forma scritta, è sufficiente che la volontà negoziale sia contenuta in un atto scritto e tale
requisito è soddisfatto non solo in presenza di un atto integrativo del contratto di appalto redatto per
iscritto e sottoscritto da entrambe le parti, ma in ogni caso in cui, a séguito di una proposta o
controproposta ( in forma scritta ) di una delle parti, l’altra vi abbia con la stessa forma prestato
adesione ( secondo lo schema civilistico della accettazione della proposta ) e sussista così l’accordo
delle parti sugli elementi essenziali del contratto; sì che il contratto deve considerarsi perfezionato,
senza che dunque necessariamente occorra che le due manifestazioni di volontà risultino espresse in
unico contesto temporale e documentale.
Sebbene né la norma legislativa né quella regolamentare ne facciano menzione, deve poi ritenersi
certamente possibile che all’accordo si giunga a séguito di successivi aggiustamenti della proposta
inizialmente formulata dalla commissione, che resta un impegno in itinere fino al perfezionamento
del vero e proprio regolamento definitivo dell’accordo per iscritto; che si realizza seguendo lo
schema succitato della proposta e controproposta ( anche di più di una proposta e controproposta ),
fino al raggiungimento del definitivo accordo delle parti su un testo conclusivo, pur diverso da
quello dalla commissione sottoposto alle parti, che valga a risolvere bonariamente la controversia
sulle riserve.
Le determinazioni di entrambe le parti, per poter essere considerate utili al raggiungimento
dell’accordo, devono risultare comunque da un documento, che contenga in modo diretto la
rispettiva volontà negoziale, essendo stato redatto al fine specifico di manifestare la stessa.
E' noto, peraltro, che i requisiti di validità dei contratti posti in essere dalle pubbliche
amministrazioni, anche iure privatorum, attengono essenzialmente alla manifestazione della
volontà, che deve provenire dall'organo all'uopo competente.
Varranno dunque, anche in materia di accordo bonario ex art. 31-bis della legge n. 109/94, i
principii affermati in materia dalla giurisprudenza consolidata.
L’accordo, dunque, ai fini del perfezionarsi di un valido rapporto contrattuale, deve essere stipulato
( essendo gli atti negoziali della p.a. manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con
comportamenti concludenti ) da parte di un soggetto o di un organo fornito del potere di concluderlo
e recare la sottoscrizione del rappresentante dell'ente pubblico ( 65 [65]), a garanzia del regolare
svolgimento dell'attività negoziale della p.a. nell'interesse sia del soggetto privato sia della stessa
amministrazione.
Qualora non sopravvenga la formale dichiarazione di volontà negoziale, il privato non potrà far
valere alcuna responsabilità per colpa della controparte, derivando l'invalidità del negozio da
disposizioni generali da presumere note agli interessati, che escludono l'affidamento incolpevole
della parte adempiente (66[66]).
Quanto alla latitudine dell’anzidetto potere, si è ritenuto che il contratto stipulato dall'organo
investito della rappresentanza di un ente pubblico deve ritenersi valido soltanto in presenza dell'atto
deliberativo dell'organo competente ( 67 [67]) e nei limiti della sua corrispondenza alla volontà
manifestata da quest’ultimo.
Tale corrispondenza dovrà però essere negata ( e conseguentemente accolta la domanda dell'ente
pubblico rivolta all'annullabilità del contratto ) soltanto quando il contenuto del contratto stipulato
risulti, globalmente considerato per lo scopo pratico che persegue e per le modalità con cui lo
65[65]
Pertanto, il contratto medesimo è invalido, per vizio del soggetto, quando alla sua formazione rimanga estraneo
l'agente competente ( v. Corte Conti, sez. contr., 22 novembre 1991, n. 108, in Cons. Stato, 1992, II, 313 ), salvo
comunque l'accertamento di un comportamento inequivoco dell’organo competente, che implichi la volontà di far
propri gli effetti della convenzione conclusa dal soggetto privo di potere rappresentativo ( v. Cassazione civile, sez. lav.,
2 marzo 1989, n. 1172, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 3 ).
66[66]
V. Cass. civ., II, 2 dicembre 2001, n. 15325 ( in Giust. civ. Mass., 2001, 2085 ) e T.A.R. Abruzzo Pescara, 9
gennaio 2003, n. 131 ( in Foro amm. TAR, 2003, 206 ).
67[67]
In difetto del quale il contratto di natura privatistica, stipulato dal legale rappresentante di un ente pubblico, è
assimilabile al negozio concluso dal "falsus procurator", con conseguente possibilità di convalida, in assenza della quale
il negozio non è idoneo a produrre effetti nella sfera dello pseudo rappresentato, ed il terzo contraente non può agire nei
confronti dell'ente ( Tribunale Chieti, 15 novembre 2001, in PQM, 2002, f. 3, 87, con nota di DE MONTE – BUCCI ).
V. anche Cassazione civile, sez. III, 10 gennaio 2003, n. 195 ( in Giust. civ. Mass., 2003, 49 ), secondo cui, in caso di
inesistenza della volontà contrattuale dell'organo deliberativo ( giunta comunale o Consiglio comunale, nell’esercizio
del potere di determinazione dell’indirizzo politico amministrativo, ovvero dirigente o responsabile del servizio,
nell’esercizio dei poteri gestionali ), si configura una fattispecie in itinere o a formazione progressiva, assimilabile al
negozio concluso dal falsus procurator, caratterizzata da una fase interinale destinata a protrarsi fino a quando
intervenga la ratifica da parte dell'organo competente, ovvero fino a quando la ratifica venga negata.
persegue, incompatibile o anche semplicemente diverso da quello voluto dall'organo deliberante;
non invece quando tale contenuto, pur non essendo stato specificato nella deliberazione presa da
tale organo, risulti uno dei possibili sviluppi logici necessari sul piano operativo di tale delibera e,
quindi, coerente allo spirito che storicamente l'ha informata, se non alla lettera con cui è stata
espressa (68[68]).
L’attuale corretto riparto delle competenze nell’àmbito delle pubbliche amministrazioni, comporta
poi, anche nella materia de qua, l’applicazione del principio della distinzione della sfera
dell’indirizzo politico dalla sfera della gestione amministrativa, introdotta, com’è noto, prima per i
soli enti locali dall’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142 ( v. ora le disposizioni del Capo I del
Titolo IV della Parte prima del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ) e poi in via generalizzata per tutte le
altre pubbliche amministrazioni dal D. Lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni
(le cui disposizioni risultano oggi trasfuse nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).
Alla luce di tale imprescindibile principio, non v’è pertanto dubbio che la competenza alla
stipulazione degli accordi bonarii de quibus rientri oggi nell’area dei poteri proprii dei dirigenti
(69[69]) e comunque, negli enti nei quali non siano previste qualifiche dirigenziali, tra le funzioni dei
responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale ( v. comma
2 dell’art. 109 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ), essendo ad essi devoluti tutti i còmpiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo dall’organo politico (70[70]).
68[68]
V. Cassazione civile, sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 ( in Rass. avv. Stato, 1988, I, 322 ).
Vedasi, con specifico riguardo alle autonomie locali, l’espressa previsione, di cui alla lett. c) del comma 3 dell’art.
107 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 ( Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ).
70[70]
E' sufficiente richiamare in proposito la giurisprudenza, secondo la quale "l'art. 6, 2º comma, l. 15 maggio 1997 n.
127, in tema di contratti degli enti locali, attribuisce ai dirigenti «la responsabilità delle procedure d'appalto» (oltre alla
presidenza delle commissioni) e la stipula dei contratti; pertanto, ai medesimi dirigenti (e non alla giunta municipale)
compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di
gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell'iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la
responsabilità piena del funzionario" ( C.d.S., V, 26 gennaio 1999, n. 64; da ultimo Consiglio Stato, sez. V, 19 febbraio
2003, n. 920, in Foro amm. CDS, 2003, 605 ).
69[69]
Problemi interpretativi di non facile soluzione pone invece il disposto del quarto periodo del comma
1 dell’art. 31-bis, laddove dispone che “la procedura per la definizione dell'accordo bonario può
essere reiterata per una sola volta”.
La disposizione, in particolare, mal si coordina con la facoltà, attribuita dal precedente terzo periodo
all’appaltatore, di deferire la controversia ad arbitri ( o, in via alternativa, come s’è visto, alla
autorità giudiziaria ) una volta che sia trascorso il termine di 120 giorni dall’apposizione dell’ultima
delle
riserve
delle
quali
si
controverta
senza
che
sia
intervenuta
una
pronuncia
dell’Amministrazione; così come mal si coordina con il disposto dell’art. 33 del capitolato generale,
laddove stabilisce un termine di decadenza per far valere dette pretese “decorrente dal ricevimento
della comunicazione di cui all'articolo 149, comma 3, del regolamento, o della determinazione
prevista dai commi 1 e 2 dell'articolo 32 del capitolato, oppure dalla scadenza dei termini previsti
dagli stessi commi 1 e 2”.
L’unico coordinamento possibile si rivela quello secondo cui la reiterazione della procedura di
accordo sia nella disponibilità dell’appaltatore e che questi sia tenuto a dichiarare la sua volontà in
tal senso entro il termine di decadenza a lui concesso per proporre azione avverso l’ésito negativo
del precedente tentativo di accordo.
Dichiarazione di volontà, con valore negoziale, che ha, poi, da un lato, lo stesso effetto propulsivo
dell’attività deferita al responsabile del procedimento, che nel procedimento originario hanno
l’iscrizione di riserve in misura superiore ad un determinato valore, oppure il ricevimento, da parte
dello stesso, del certificato di regolare esecuzione o di quello di collaudo; dall’altro, quello di
interrompere il predetto termine di decadenza, che decorrerà nuovamente, in caso di infruttuoso
esperimento della reiterazione della procedura e con riferimento agli atti della stessa, dagli
accadimenti previsti ed indicati dal citato art. 33.
“L'accordo bonario, definito con le modalità di cui ai commi 1 e 1-bis ed accettato dall'appaltatore”,
recita il primo periodo del comma 1-ter dell’art. 31-bis, “ha natura transattiva”.
La norma non fa altro che esplicitare le conclusioni, cui la dottrina era già pervenuta con riguardo al
precedente testo del comma 1 del medesimo articolo.
Era stata già sottolineata, infatti, la ricorrenza, nella figura all’esame, dell’elemento delle reciproche
concessioni tipico della transazione civilistica; e invero, è stato notato, “l’amministrazione, allo
scopo di evitare un prevedibile lungo contenzioso giurisdizionale con l’appaltatore, può
eventualmente valutare anche di concedere alla controparte importi che non ritenga pienamente
provati” (71[71]).
Valga sottolineare che la transazione, com’è noto, presuppone la sussistenza della res litigiosa, ma a
tal fine non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della
pretesa ( anche se, in materia di accordo bonario, tale determinatezza scaturisce di per sé dal suo
stesso presupposto, rappresentato, come s’è visto, dalla apposizione di riserve in una determinata
misura ), essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale, anche se ancora da definire nei
più precisi términi di una lite e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione ( Cass. Civ., III, 16
luglio 2003, n. 11142 ); le reciproche concessioni, nelle quali si sostanzia l’accordo transattivo, a
loro volta debbono riguardare la posizione assunta dalle parti in riferimento a reciproche pretese o
contestazioni e non già in relazione ai diritti effettivamente spettanti ( Cass. Civ., II, 11 giugno
2003, n. 9348 ) e pertanto non è necessaria l’esistenza di un equilibrio economico tra le concessioni
medesime ( Cass. Civ., III, 15 maggio 2003, n. 7548 ).
Nell’ipotesi di accordo transattivo tra le parti di una controversia, il nuovo assetto pattizio voluto
dalle parti in relazione al rapporto controverso si sostituisce ad ogni precedente regolamentazione
del rapporto stesso; la transazione, ch’è contratto del tutto autonomo rispetto a quello dal quale
sorga la controversia, comporta, peraltro, una rinunzia, in quanto le parti, facendosi reciproche
concessioni ( e perciò non configura transazione, bensì remissione parziale di debito l'abbuono fatto
71[71]
R. Garofoli, R. De Nictolis e Marco Lipari, L’accordo bonario compositivo delle controversie in tema di riserve,
in La nuova legge quadro sui lavori pubblici, a cura di F. Caringella, Milano, 1999, 970 e ss.
dal creditore al debitore di una parte del prezzo della cosa venduta, mancando, in tal caso,
l'incertezza del rapporto giuridico, e quindi la res litigiosa, nonché la reciprocità delle concessioni
per la corrispondenza al sacrificio del creditore, non già di un sacrificio, ma di un vantaggio del
debitore: Cassazione civile, sez. II, 5 agosto 1983, n. 5260 ), pongono fine ad una lite già
cominciata o prevengono una lite che tra loro possa insorgere .
Per verificare se sia configurabile tale negozio, occorrerà indagare se le parti, mediante l’accordo,
abbiano perseguito la finalità di porre fine all’incertus litis eventus ( non ogni accordo, che valga a
comporre un conflitto giuridico tra le parti, costituisce transazione, ma solo quello che abbia ad
oggetto una "res dubia" e cioè cada sopra un rapporto giuridico avente, almeno nell'opinione delle
parti, carattere d'incertezza e sia altresì caratterizzato, al fine di soddisfare l'intento delle parti di far
cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, dal fatto che i contraenti si facciano delle
concessioni reciproche, il cui contenuto può essere il più vario: Cass. civ., II, 5 agosto 1983, n. 5260
(72[72]) ), senza tuttavia che sia perciò necessario ch’esse esteriorizzino il dissenso sulle contrapposte
pretese, né che siano usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui
esistenza può anche essere desunta, ad esempio, dalla corresponsione di una somma di denaro da
parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere pienamente soddisfatto e di null’altro
avere a pretendere, se possa ritenersi ch’essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore
contesa ( Cass. Civ., III, 15 maggio 2003, n. 7548 ).
L'oggetto della transazione, peraltro, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la
discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti
stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni, che possono consistere anche in una
bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di
interessi sulla base di un "quid medium" tra le prospettazioni iniziali.
72[72]
Non rileva né il grado di incertezza, nel quale abbiano versato le parti, né tanto meno il fatto che "ex post" risulti
l'infondatezza di una delle tesi contrapposte, sicché, intervenuta la transazione, l'indagine sulla situazione giuridica
preesistente rimane preclusa, salvo che non si faccia valere l'invalidità della transazione; cfr. Cass., 27 aprile 1982, n.
2633 e, da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 6 maggio 2003, n. 6861 ( in Giust. civ. Mass., 2003, f. 5 ).
In riferimento al contratto di transazione, va poi distinta la cosiddetta “transazione generale” dalla
“transazione speciale”: con la prima le parti chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i
loro pregressi rapporti, costituendo tra loro una situazione, nella quale non è necessario individuare
una concessione in relazione ad ogni singola vicenda implicata nel contratto, potendo la
concessione di ciascuna parte tradursi anche nel totale sacrificio di una determinata posizione,
relativa ad uno dei varii affari coinvolti nel negozio di componimento dei reciproci interessi; si ha
invece transazione speciale quando l’accordo ha ad oggetto un affare determinato, rimanendo fermi
il precedente rapporto e la relativa fonte, sì da produrre l’effetto preclusivo della lite solo
limitatamente all’affare transatto, il cui mutato assetto sostanziale si configura come fatto
modificativo, impeditivo od estintivo del diritto azionato ( Cass. Civ., III: 3 aprile 2003, n. 5139 e
10 febbraio 2003, n. 1950 ).
Sia l’una che l’altra forma di transazione eliminano comunque la posizione di contrasto fra le parti e
fanno venir meno l’interesse delle stesse ad una pronuncia sulla domanda giudiziale.
Per quanto attiene, poi, all’assoggettamento della transazione alla prova per iscritto, a norma
dell'art. 1967 c.c. ( che comporta che devono risultare documentalmente tutti gli elementi essenziali
di tale negozio, ivi compreso quello della reciprocità delle concessioni (73[73]) ), valga notare come
tale régola viene a coincidere, quando della transazione sia parte una pubblica amministrazione, con
quell’obbligatorietà della forma scritta, ch’è elemento essenziale per tutti i contratti della pubblica
amministrazione (74[74]).
Se, come s’è detto, la transazione speciale riguarda un “affare determinato” ( art. 1975, comma 2,
cod. civ. ), in cui le reciproche concessioni sono relative alla singola lite, rispetto alla quale essa
73[73]
La disposizione contenuta nell'art. 1967 c.c., per cui la transazione deve essere provata per iscritto, non consente
che elementi costitutivi del contratto di transazione (fra i quali la reciprocità delle concessioni), siano desunti per
presunzione, dovendo essi risultare tutti documentalmente; v. Tribunale Milano, 21 febbraio 2002 ( in Giur. Milanese,
2002, 320 ) e Cassazione civile: sez. I, 15 maggio 2001, n. 6662 ( in Dir. e prat. soc., 2002, f. 2, 90 ); sez. II, 6 ottobre
1999, n. 11117 ( in Giust. civ. Mass., 1999, 2074 ).
74[74]
E’ invero pacifico il principio, secondo cui la volontà di obbligarsi della p.a. non può desumersi per implicito da
fatti od atti più o memo indicativi di una sua aspirazione od inclinazione intenzionale, ma deve essere manifestata nelle
forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto "ad substantiam"; cfr., Cass., S.U., n. 12769 del 1991 e, da ultimo,
Cassazione civile, sez. III, 18 novembre 1994, n. 9762 ( in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 11 ).
produce effetti preclusivi (75[75]), l’accordo bonario di cui all’art. 31-bis della legge n. 109 del 1994 si
configura certamente come transazione speciale, avente ad oggetto la lite, cui la discorde
valutazione delle parti ha dato luogo o può dar luogo, riguardante le domande e pretese
dell’appaltatore iscritte in contabilità ( quando l’importo di queste abbia raggiunto il valore minimo
determinato dalla legge ), ovvero quelle che, non essendo state oggetto di procedura di accordo
bonario in corso d’opera in ragione del valore o del tempo di insorgenza, risultano dal conto finale.
Tale lite, avente carattere speciale ed unitario, non può che essere unitariamente intesa ed eliminata
mediante le reciproche concessioni che contraddistinguono l’accordo transattivo; sì che pare
sicuramente inammissibile, in quanto in contrasto con i caratteri proprii dell’istituto transattivo, un
accordo tra stazione appaltante ed appaltatore, che intervenga solo su una parte del contenzioso che
ha dato luogo alla procedura di cui all’art. 31-bis, non assicurando un tale accordo, da una parte, la
certezza dell’eliminazione della lite e, dall’altro, con riguardo ai profili più strettamente
amministrativistici di valutazione dell’attività dell’Amministrazione, il rispetto concreto di quei
criterii di efficacia, efficienza, tempestività ed efficacia, ai quali sempre deve improntarsi l’attività
tecnico-amministrativa in materia di lavori pubblici.
Nell’ambito della procedura di accordo bonario non è quindi consentito rinviare ad una fase
successiva dell’appalto il tentativo di composizione delle riserve (76[76]).
Quindi, tutte le circostanze, che hanno dato luogo all’iscrizione di riserve sui documenti contabili in
misura superiore ai limiti indicati dall’art. 31-bis della Legge, devono essere considerate alla
stregua di fatti oggettivi ed oramai definiti, in ordine ai quali la competente commissione ( ovvero
il responsabile del procedimento in caso di procedura c.d. semplificata ) – acquisite le relazioni del
75[75]
V. Cassazione civile, sez. III, 3 aprile 2003, n. 5138 ( in Giust. civ. Mass., 2003, f. 4 ).
V., in tal senso, DETERMINAZIONE N. 26/2002 del 9 ottobre 2002 dell’l'Autorità per la Vigilanza sui Lavori
Pubblici, concernente “Norme acceleratorie del contenzioso - Accordo bonario sottoscritto ai sensi dell’art.31 bis della
legge n.109/94 – Ipotesi di una risoluzione ‘parziale’ del contenzioso correlato all’iscrizione di riserve sui documenti
76[76]
contabili”.
caso e sentito l’appaltatore - è tenuta a formulare una proposta, riferita a quelle circostanze ed a
quell’ambito temporale, da intendersi come risolutiva in toto.
Resta ferma la possibilità di dare luogo alla procedura di accordo bonario tutte le volte che le
riserve iscritte dall’appaltatore, “ulteriori e diverse rispetto a quelle precedentemente esaminate”,
raggiungano nuovamente l’importo fissato dalla legge, così come espressamente disposto dall’art.
149, comma 7, del D.P.R. n. 554/99.
L’anzidetta natura transattiva attribuita dal legislatore all’accordo de quo non rende comunque del
tutto tranquille le scelte da compiersi dalle imprese appaltatrici in sede di accettazione della
proposta transattiva formulata dalla commissione o dal responsabile del procedimento.
Ciò perché il contratto di transazione è soggetto alla revocatoria fallimentare.
Infatti la sua natura non aleatoria ma commutativa fa sì che ciascun contraente subisca un sacrificio
patrimoniale determinato, onde procurarsi un vantaggio corrispondente, e rende possibile al giudice
valutare, ex art. 67, n. 1, della legge fall., se la prestazione assunta dal fallito sorpassi notevolmente
la controprestazione.
E la valutazione del giudice va effettuata con riferimento alle sole prestazioni dedotte in contratto, e
non anche con riferimento alle reciproche concessioni, ossia alle pretese originarie dei contraenti,
poiché le valutazioni delle parti circa la situazione preesistente restano assorbite nel regolamento
contrattuale, vale a dire nelle reciproche attribuzioni patrimoniali (77[77]).
D’altra parte nemmeno le pubbliche amministrazioni possono permettersi “leggerezze” nelle
valutazioni sottese ad un tale accordo.
77[77]
V. Cass., 20 marzo 1976, n. 1016; da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 27 giugno 2001, n. 8808 ( in Giust. civ.
Mass., 2001, 1282 ) e Tribunale Catania, 3 ottobre 2001 ( in Fallimento, 2002, 709, con nota di FEDERICO ).
Invero, un bonario componimento del conflitto insorto tra privato e P.A., attraverso un equo
contemperamento degli interessi in gioco ( non ultimo quello di ridurre il rischio per
l’Amministrazione di dover affrontare un procedimento contenzioso “tradizionale”, in termini di
tempi e costi ), richiede, peraltro, che non ci si possa avvalere del rimedio convenzionale in
questione ad evidente detrimento dell’interesse pubblico comunque sotteso anche alla attività
“privatistica” della P.A.; sì che ogni violazione, con dolo o colpa grave, del cànone di
ragionevolezza dell’attività amministrativa, che possa arrecare danno erariale, non si sottrarrà alla
consueta assoggettabilità al giudizio di responsabilità della Corte dei conti.
In materia di responsabilita’ amministrativa conseguente ad atto di transazione intercorso tra
amministrazione e terzo danneggiato, ha precisato la Corte dei conti ( sez. riun., 15 gennaio 2003,
n. 3/Q e sez. I, 15 novembre 1991, n. 333 ), la prescrizione dell’azione - trattandosi di danno
amministrativo contabile c.d. indiretto - inizia a decorrere dalla definizione, o meglio dalla
esecutività, dell’atto di transazione e non dall’evento dannoso.
Lo stesso giudice contabile ha sottolineato comunque come la stipula di una transazione costituisca
espressione di un giudizio di discrezionalità di mérito, che va esente da colpa grave ( e quindi da
responsabilità ) allorché sia preceduto da conforme parere dell’Avvocatura dello Stato ( Corte conti,
sez., II, 26 giugno 2002, n. 212/A ).
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