21.12.2011 - La Voce del Popolo

LA VOCE
DEL POPOLO
IL TEMA DEL MESE
Turi libero di spiccare il volo
CITES in Italia L’Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus) è una specie inclusa nell’Appendice II della Convenzione internazionale
sul commercio delle specie in via d’estinzione (CITES) e nell’Allegato A al Regolamento comunitario 338/97 che da attuazione alla
CITES in ambito europeo. Per questo è generalmente vietato il commercio di questi esemplari e la loro detenzione in assenza di specifica certificazione CITES. La specie è, inoltre,
considerata super protetta dalla normativa sul
prelievo venatorio. Le imputazioni per i criminali ambientali coinvolti nelle indagini sono
diverse: dalle sanzioni previste dalla legge relativa alle violazioni della CITES in Italia, a
quelle previste dalla legge sul prelievo venatorio, per aver prelevato e detenuto specie protette e non cacciabili, nonché per avere recato
disturbo ai siti di nidificazione e alle coppie di
rapaci intente nella fase riproduttiva, di difesa
e di svezzamento della prole. Il commercio illegale di specie protette, ancora fiorente e fonte di cospicui guadagni illeciti (una coppia di
aquile del Bonelli può fruttare sino a 20mila
euro), è fortemente deleterio per la conservazione della biodiversità in Italia, in particolare quella di un’isola così ricca di endemismi
(specie esistenti solo in determinate aree di distribuzione) qual è la Sicilia. Va evidenziato
che in Sicilia non esistono più di una quindicina di nidi di Aquila del Bonelli che, nonostante le attività di contrasto sviluppate dai forestali e la preziosa opera dei volontari, ogni
anno vengono “presi d’assalto” dai trafficanti. È la prima volta, in Italia, che l’intelligence sul traffico illecito di specie tutelate porta a
ricostruire il giro del traffico illecito di rapaci,
a partire dai nidi oggetto dell’illecito prelievo
in natura sino ai ricettatori finali, permettendo, quindi, di recuperare dei soggetti razziati
per la loro successiva reintroduzione in natura. L’esecuzione dell’Operazione Bonelli, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, e avviata grazie alla collaborazione dell’Ufficio TRAFFIC
del WWF Italia che ha fornito il fondamentale
supporto informativo, ha portato al sequestro
complessivo di oltre 50 rapaci protetti tra cui
gipeti, aquile reali, falchi lanari e pellegrini,
capovaccai (i famosi avvoltoi egiziani) e costituisce una testimonianza del concreto e diretto impegno del Corpo forestale dello Stato
a tutela della biodiversità in Italia. (a)
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È stato liberato, in una zona segreta
dell’entroterra siciliano, un rarissimo esemplare di Aquila del Bonelli sequestrato lo
scorso anno. L’evento di straordinaria rarità
è stato reso possibile grazie al Corpo forestale dello Stato e al coordinamento scientifico
dell’Università di Palermo – Sezione di Biologia animale e Antropologia biologica. Il rarissimo esemplare liberato era stato sequestrato lo scorso anno durante un’importante operazione svolta in tutta Italia in collaborazione
con il WWF Italia e gli esperti del suo Ufficio
TRAFFIC. L’esemplare era stato depredato in
un nido di Campobello di Licata da una organizzazione di bracconieri dediti al traffico illegale di rapaci. L’attività di depredazione dei
nidi è una delle forme di bracconaggio che costituisce una delle principali cause della rarefazione di molte specie animali. L’esemplare
in questione, nonostante avesse subito un parziale imprinting, è stato riadattato alla vita selvatica e ha riacquisito l’autonomia predatoria
grazie all’azione degli specialisti della Riserva Regionale del Lago di Vico e dell’associazione ORNIS Italica.
Turi, così è stata chiamata l’aquila, è stato
già osservato predare autonomamente nei primi giorni della liberazione e acquistare quota
trovando riparo su una cengia rocciosa a circa 300 metri sul livello del mare. L’aquila ha
subito sfruttato le correnti termiche favorevoli per eseguire spettacolari voli che le hanno permesso di perlustrare, per la prima volta
nella sua vita, l’ambiente selvatico dove dovrà imparare, in fretta, a difendersi da competitori naturali come corvi, falchi e aquile
reali. Comunque, l’esemplare resta monitorato nei suoi spostamenti da volontari coordinati dall’equipe dell’Università degli Studi
di Palermo e dallo staff guidato da Giovanni
Giardina del Centro recupero regionale rapaci di Ficuzza. Si tratta del primo caso di rilascio in natura in Italia di un esemplare di una
specie così rara, recuperato e riabilitato dopo
l’imprinting da parte dell’uomo. Tutta la complessa e lunga operazione, unica nel suo genere, servirà anche a sperimentare ed ottimizzare un protocollo innovativo per le reintroduzioni in natura di fauna selvatica, soprattutto
uccelli. L’operazione è stata resa possibile anche grazie al sostegno del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
quale autorità principale per l’attuazione della
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IL RUGGITO
di Krsto Babić
Kora e Leo, una storia commovente
Nei giorni scorsi l’Italia e l’Europa si sono commossi per la vicenda di Kora e Leo. La
storia di una leonessa che ha insegnato a un giovane leone ad essere il re degli animali.
Kora è stata sequestrata a Livorno. La sua è la storia di una cucciolata francese di leoncini destinati ai fotografi da circo, quelli che si fanno pagare con il leone-pupazzo in braccio. Due cuccioli vennero portati in Italia. Dovevano andare a lavorare vicino il tendone di due circhi che si trovavano in quel momento in provincia di Livorno e di Palermo.
Sequestrati dalle forze dell’ordine i due felini furono affidati al Centro per la tutela e la
ricerca sulla fauna esotica e selvatica di Monte Adone, nelle colline di Sasso Marconi. Un
rifugio sicuro per tanti animali con alle spalle maltrattamenti oppure commerci avvenuti
in maniera non conforme alle disposizioni di legge.
È questo il caso di Leo, altro ospite del Centro di Sasso Marconi. Per lui, però, si è dovuto affrontare un ulteriore problema. Leo non aveva alcun ricordo di un suo simile. In
altri termini, non sapeva di essere un leone. Al Centro hanno dovuto abituarlo, con molta gradualità, alla sua vera natura e per questo è stata importante la presenza di Kora.
Un anno di duro lavoro, che alla fine è stato ripagato. Inizialmente i due leoni sembravano volersi evitare. Pur avendo la possibilità di venire in contatto, sembravano sfuggire al
piccolo varco lasciato aperto tra le loro gabbie. Poi piccole toccate con le zampe e delicati
morsetti. Infine, a prendere l’iniziativa è stata Kora che mentre Leo faceva un po’ di teatro brontolando, lei è riuscita a farselo amico. Incontri graduali che lo scorso ottobre,
hanno finalmente dato vita al grande momento. Kora, giocando con una palla, è riuscita
finalmente a conquistare Leo. Non potranno mai essere liberi come nella savana, ma almeno vivranno da animali sociali, in contatto tra loro. Se non completamente liberi, sicuramente più felici. Il commercio di animali esotici e l’incentivo alla loro riproduzione in
cattività è niente di più che una condanna ad una prigionia senza fine. Nessuno di questi
animali può essere reintrodotto in natura per motivi più disparati. Molto spesso è l’abitudine all’uomo o la mancanza di insegnamenti paternali che permetterebbero di vivere allo
stato selvatico o altre volte ancora la mancanza di fondi per trasportare questi animali al
loro luogo di origine e prendersi cura di loro nel periodo di riadattamento.
2 animali
Mercoledì, 21 dicembre 2011
ORNITOLOGIA Uccelli dall’andatura dondolante, ma per nulla goffi
Il gelido mondo dei pinguini
di Valentino Pizzulin
L’
origine dei pinguini (Sfeniscidi) è oscura. Probabilmente
rappresentano l’evoluzione di uccelli simili ai
gabbiani. C’è stato un tempo in cui
erano in grado sia di volare che di
nuotare. Oggi non sanno più volare, ma sono ottimi nuotatori e tuffatori. Usano le ali come pinne per
avanzare nell’acqua dove si muovono con agilità ed eleganza, saltando fuori ad intervalli regolari
come i delfini, per respirare.
I pinguini vivono sulle coste di
tutto l’emisfero meridionale, dal
Polo Sud fino addirittura alle Galapagos, in prossimità dell’equatore. Esistono diciassette specie di
questi uccelli di dimensioni molto
diverse: dal pinguino imperatore,
che è alto un metro e venti e pesa
quaranta chilogrammi, al pinguino minore, che è alto una trentina
di centimetri e pesa poco più di un
chilo. I pinguini sono uccelli dalla vita molto lunga, che in media
dura quindici, anche vent’anni.
LE SPECIE PRINCIPALI Come già detto, esistono diverse specie, tra le più importanti troviamo il pinguino imperatore
(Aptenodytes forsteri). Nasce tra i
ghiacci del continente gelato dove
migra per passare il rigido inverno. È l’unico, insieme al pinguino
Adelia, a riprodursi in Antartide.
La femmina depone un solo uovo
che viene affidato al maschio, che
lo incuba tenendolo tra le zampe.
Il pinguino reale (Aptenodytes patagonicus) è più piccolo, ma molto simile all’imperatore. Il pingui-
Pinguino di Adelia
no di Adelia (Pygoscelis adeliae),
unico rappresentante del genere
con becco decisamente corto, sino
a non molti anni or sono era la specie più numerosa, ma la sempre
più crescente presenza umana nel
continente antartico e l’accumulo
di sostanze tossiche nell’ambiente
ne hanno ridotto il numero. Il maschio del pinguino Adelia può digiunare completamente anche per
sei settimane, mentre si dedica alla
cova; nel frattempo la femmina si
reca in mare per cibarsi, prima di
dargli il cambio. Presente sia in
Antartide che nelle isole subantartiche, il pinguino papua (Pygoscelis papua) è probabilmente il più
veloce e provetto nuotatore tra tutti. Caccia pesci e calamari “volando” sott’acqua.
I pinguini crestati, sono tra i
più nordici: nidificano nelle isole intorno all’Antartide e sulle coste dell’Australia, della Tasmania
e della Nuova Zelanda. Il pinguino artico (Pygoscelis antarctica) è
il più piccolo delle tre specie del
genere Pygoscelis. Vive soprattutto lungo la costa occidentale della
Penisola Antartica e nelle isole subantartiche.
LE ABITUDINI ALIMENTARI I pinguini si nutrono di pesci, crostacei e calamari. Per raggiungere le loro prede sono capaci di immergersi a notevoli profondità (fino a 400 metri le specie
più grandi, ma normalmente tra i
30 e i 40 metri), anche per tempi
molto lunghi (fino a quindici mi-
Pinguino papua
ENTOMOLOGIA
Pinguini reali
nuti). A loro volta i pinguini sono
il cibo preferito di grandi predatori, come l’orca, la foca leopardo e
il leone marino, che sono gli unici
sufficientemente veloci per attaccarli. I pinguini, infatti, riescono a
raggiungere sott’acqua una velocità di 40 chilometri orari (la maggior parte delle navi viaggia a una
velocità inferiore ai 35 chilometri
orari). Come sono agili in acqua,
così sono impacciati sulla terraferma: camminano lentamente e
dondolandosi. Questi animali hanno un’andatura molto buffa e solo
sulle discese ghiacciate raggiungono notevoli velocità, lanciandosi in
lunghe scivolate sulla pancia.
Con la loro andatura dondolante sembrano docili, ma sanno essere molto coraggiosi. Per difendere il compagno o i propri piccoli
tirano delle beccate molto forti. I
pinguini sono animali molto fedeli e, quando si avvicina il periodo
della riproduzione, si recano sulla terraferma in colonie di migliaia di individui, cercando un terreno
adatto per deporre le uova (uno o
due). Durante la cova, che dura dai
trenta ai sessanta giorni, i genitori
si alternano in questo compito, ad
eccezione dei maschi dei pinguini
imperatori, che sono gli unici responsabili delle uova.
In tutte le altre specie, mentre
un genitore cova, l’altro si procura il cibo in mare, in modo che le
uova non vengano mai abbandonate. Infatti, oltre a proteggere dal
freddo le uova, i genitori devono
proteggerle dagli altri uccelli predatori, come i gabbiani, e addirittura dagli stessi pinguini, che hanno la cattiva abitudine di rubare le
uova ai propri simili. Dopo la nascita dei piccoli le colonie di pinguini tornano al mare e migrano
verso regioni dove la pesca è più
abbondante.
I RICHIAMI I pinguini si riconoscono tra loro attraverso dei
segnali sonori e così si fanno riconoscere anche dai loro piccolini. Il
suono cambia se si tratta di “chiamare” un altro pinguino o se vogliono fare un corteggiamento. La chiamata di un pinguino verso un altro
può essere sentita anche nel raggio
di un chilometro. Il segnale serve
anche per avvertire gli altri in caso
di attacco o presenza dei predatori.
Un insetto «puzzolente»
I rincoti: tanto piccoli quanto dannosi
di Giorgio Adria
Le dimensioni dei rincoti
(Rhynchota o Hemiptera) variano
normalmente dagli 0.5 ai 2 centimetri. Ai tropici si possono incontrare, tuttavia delle sottospecie che
riescono a crescere fino a 10 centimetri di grandezza. Il corpo ha una
forma ovoidale o allungato, ed è
solitamente appiattito nella zona
dorsoventrale. Generalmente la
colorazione non assume toni particolarmente sgargianti ed è contraddistinta prevalentemente dalle
tonalità del bruno, del grigio e del
nero. Solo raramente assumendo
colorazioni che variano dal verde,
al rosso, al giallo, con occasionali
striature e macchie scure.
L’apparato boccale molto sviluppato è di tipo pungente-succhiante, le antenne sono composte
da 4 o 5 articoli. Sul capo, inoltre,
si osservano gli occhi composti e
gli ocelli. Il protorace che segue la
testa è di forma variabile e spesso è molto grande, ciò fa sì che lo
scutello sia ben distinto e molto
sviluppato.
I rincoti sono prevalentemente insetti alati; salvo pochi casi di
specie attere. Le ali anteriori sono
caratterizzate dalla seguente strut-
tura: i due terzi basali sono ispessiti e coriacei, mentre la loro parte distale è membranosa. La venulazione delle ali anteriore assume
molta importanza per la classificazione delle specie. Le ali posteriori sono più piccole e membranose, durante il riposo vengono mantenute piatte lungo l’addome. In funzione delle abitudini
e all’ambiente (terrestre o acquatico) in cui i vari esemplari vivono si può avere vari modelli morfo-strtutturali di zampe. Tipiche
di questi insetti sono le ghiandole odorifere; secernenti un liquido
dall’odore sgradevole e penetran-
te. I rincoti vivono negli ambienti più disparati; ambienti terrestri,
acquatici, boschi, praterie, nidi di
uccelli, tane di piccoli mammiferi, laghi, stagni, fiumi. La maggior
parte si nutre succhiando linfa dai
vegetali, provocando spesso danni di tipo agronomico prelevando sostanze nutritive alla pianta,
iniettando delle sostanze tossiche
e trasmettendo vari agenti patogeni responsabili di svariate malattie. Sono presenti anche specie
ematofaghe e alcune predatrici di
piccoli insetti.
La riproduzione avviene per
anfigonia; sono ovipari. La meta-
Una cimice verde
morfosi è incompleta (eterometabolia), si hanno diversi stadi larvali dove in ognuno di questi la ninfa
è simile all’adulto; ma di dimensioni più ridotte.
animali 3
Mercoledì, 21 dicembre 2011
FELINI Il «gatto» che nuota per salvarsi la vita
Ocelot, il giaguaro azteca
I
di Sabrina Ružić
l leopardus pardalis, noto come
ocelot fa parte della grande famiglia dei felini. Il nome deriva
dalla parola ocelot, con cui gli azteca chiamavano il giaguaro. L’ocelot
viene chiamato anche Tlahcoocēlōtl
nella lingua indigena nel Messico
centrale, in italiano è noto anche
come gattopardo americano.
L’HABITAT
NATURALE
L’ocelot abita le foreste tropicali e
subtropicali. Lo possiamo trovare
sia nella giungla igrofila della pianura amazzonica che nelle foreste
secche. Abitualmente questo animale evita le montagne e le grandi savane erbose, ma non è raro scorgerlo nelle zone dissodate e nelle piantagioni di banane e di cacao, sulla
costa pacifica dell’Ecuador. È il felino più comune nell’America latina, nel Texas meridionale nell’Argentina settentrionale, in Colombia
e nell’Ecuador. Il suo corpo è lungo
tra i 55 e gli 80 centimetri e la coda
ulteriori 30 – 45 centimetri. Dunque, più grande del gatto domestico.
Il peso medio dell’ocelot si aggira
attorno ai 12 chilogrammi, anche se
L’habitat naturale dell’ocelot
alcuni maschi in età adulta arrivano
a superare i 15 chili. Il gattopardo
americano assomiglia molto al gatto dorato, al gatto di Temminck e al
gatto viverrino.
LE CARATTERISTICHE
L’ocelot ha le zampe corte e una
coda relativamente corta. Le orecchie, arrotondate e nere, hanno una
macchia bianca sul rovescio. Gli
occhi, dall’iride marrone e la pupilla ovale. I baffi, molto sviluppati,
sono bianchi. La tinta di fondo del
pelame varia dal grigio-rossiccio al
bruno-ocra vivo accentuati sui fianchi e sul dorso, anche se in una parte del dorso è più scuro. Il ventre,
il lato interno degli arti, il petto e
la gola sono di colore grigio più o
meno chiaro, a volte quasi bianco,
con piccole macchie nere. Il pelame, molto caratteristico, è ornato di
macchie nere allungate, disposte in
file longitudinali più o meno congiunti che formano sui fianchi ocelli oblunghi e irregolari. La nuca e
il collo sono segnati da sei ad otto
strisce nere che si prolungano in
avanti, fino in mezzo agli occhi. Le
guance sono sbarrate da due linee
nere, abbastanza larghe, che van-
no dal davanti verso tergo. Il naso
è di color bruno, con tonalità che
possono arrivare fino al rossastro,
mentre le labbra sono nere. Nella
parte inferiore del corpo, le zampe
sono punteggiate di piccoli punti,
una cosa abbastanza straordinaria
tra i piccoli felidi. La coda è nera
nella parte superiore e più chiara in
quella inferiore. La coda è ornata di
macchie bianche verso la base e di
anelli indistinti verso l’estremità.
IL
COMPORTAMENTO
L’ocelot vive sempre in coppia, anche all’infuori della stagione della
riproduzione. Molti studiosi affermano che questo animale occupa un
territorio abbastanza esteso, al quale resta legato per tutto il corso della
vita. Benché abbaino in comune il
territorio, il maschio e la femmina
cacciano separatamente e, in caso
di pericolo, non si prestano tra loro
aiuto. L’ocelot è un ottimo arrampicatore, senza però essere per questo più arboricolo degli altri felidi.
Appena un ocelot si sente scoperto, si arrampica lentamente di ramo
in ramo, fino a raggiungere la cima
dell’albero, dove resta completamente nascosto dal fogliame. In altre circostanze,
l’animale discende velocemente dal ramo dov’è posato e, in pochi salti, scompare
nella giungla. È anche un nuotatore eccellente e non ha paura dell’acqua. Infatti, quando
viene inseguito dal nemico si
getta in acqua, se non trova un
albero alla sua portata. Questo
animale è principalmente abituato alla notte e raramente lo s’incontra durante il giorno. Intraprende anche lunghi giri alla ricerca delle prede, costituite da aguti,
paca, tatù, opossum, piccoli pecari e
piccoli cervidi selvatici. Quando se
ne offre l’occasione, si ciba anche di
uccelli quali hocco, agami, tinami e
penelopi. A volte si spinge fino a visitare piccoli villaggi da dover porta
via qualche pollo.
Il serval
Parente stretto dell’ocelot è il serval (Leptailurus serval o Felis serval). Quest’ultimo è diffuso in
buona parte dell’Africa. Seppur troppo piccolo per
minacciare i grandi erbivori (raramente raggiunge i
20 chilogrammi di peso), è comunque un attivissimo predatore. Il serval o servallo vive nei boschi,
nelle regioni montagnose e nella savana, dormendo durante il giorno e uscendo di sera per cacciare
lepri, giovani antilopi e uccelli. Nelle zone abitate
saccheggia i pollai durante le ore notturne e per la
sua astuzia è difficile catturarlo.
Il serval si distingue da altri gatti selvatici soprattutto per la lunghezza delle zampe e per le ridotte dimensioni del capo, che lo rendono abbastanza simile ad un piccolo ghepardo e come quest’ultimo è
velocissimo nella corsa. Le orecchie sono grandi e
appuntite, la coda è la metà della lunghezza del corpo. Il mantello è folto e fulvo, i colori variano dal
dorato - fulvo chiaro, a volte silver o rossastro. Lungo il corpo e la parte superiore del collo scorrono
quattro fasce nere, sulle gambe anteriori e posteriori
ci sono macchie unite che formano strisce trasversali, nel mantello sono presenti molte macchie puntiformi nere di varie dimensioni, la coda ha sette otto
anelli ben definiti. Il Serval è lungo poco meno di un
metro e l’altezza al garrese è di circa 60 centimetri.
Anche se è un grande gattone selvatico, con
le dovute maniere, il serval è addomesticabile e
si comporta quindi come un comune gatto d’affezione, giocando, facendo le fusa e segue il suo
padrone come un cagnolino gioioso e saltellante.
L’unione di un serval maschio con un gatto domestico femmina è stato usato per dare origine alla
razza felina nota come “savannah”. L’incrocio tra
serval e caracal produce due ibridi chiamati servical e caraval.
LA RIPRODUZIONE Questi
animali si accoppiano da ottobre
alla fine di novembre. Generalmente la femmina partorisce uno
o due cuccioli, ma può dare alla
luce anche 3 e perfino 4 piccoli.
La madre nasconde i figlioletti
facilità e può diventare molto
docile. Tuttavia, man mano che
cresce, riprende la sua naturale selvatichezza e, nella grande
maggioranza dei casi da adulto diventa intrattabile (qualche
proprietario lo sottopone pertanto alla pratica crudele dell’estirpazione degli artigli). Nonostante questa sua caratteristica l’ocelot è oggetto di un importante
commercio, in quanto animale di
compagnia. Negli Stati Uniti esistono club di amatori d’ocelot. In
Europa, invece, è severamente proibita l’importazione di questo animale.
nel cavo di un
albero, in fondo a qualche
piccola grotta o
in una tana, preparata nel più folto della foresta.
L’ A D D O M E STICAMENTO Preso in tenera età, l’ocelot si addomestica con
Non tutti sanno che...
Il serval è legato a una delle opere letterarie più importanti della letteratura italiana e internazionale: il romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa. Lo stemma di famiglia dei Tomasi riporta, infatti
questo felino predatore; l’autore
vi si riferisce con il termine generico “gattopardo”, che indica i grossi gatti selvatici come il
serval, il caracal o l’ocelot. Nel
caso specifico, l’identificazione
con il serval è piuttosto evidente,
essendo il serval l’unico “gattopardo” diffuso sulla costa mediterranea del Nordafrica (incluso
il tratto di costa antistante Lampedusa).
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anim
Mercoledì, 21 dicembre 2011
CANIDI Alla conquista dell’Europa passando attraverso la Croazia, la Slovenia e
Lo sciacallo dorato un animale
di Marco Grilli
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agli anni ’80 il Nordest italiano accoglie nel suo areale
un animale della dimensione
di una volpe, riconoscibile per i suoi
ululati. Si tratta dello sciacallo dorato (Canis aureus), un canide di medie
dimensioni del peso di 12-15 chilogrammi, diffuso in un perimetro che
comprende l’Europa sud-orientale e
centrale, le savane africane, le pianure del Caucaso, l’Asia meridionale e
parte della penisola arabica. L’espansione verso nord della specie è iniziata negli anni ’50 del XX secolo,
a partire forse dalle popolazioni presenti in Bulgaria e Croazia. Questo
fenomeno è la premessa di quanto
accaduto dalla metà degli anni ‘80,
quando lo sciacallo dorato è “emigrato” dalla Slovenia verso la Venezia Giulia, il Veneto, l’Alto Adige
per poi raggiungere anche la Germania, l’Austria e altri paesi dell’Europa centro-orientale.
La presenza di questo canide nel
territorio italiano è stata a lungo sottovalutata e poco conosciuta. La cattura del primo esemplare, scambiato
per una volpe, si registrò a San Vito
di Cadore (Belluno) nel 1984. Un
anno dopo una femmina partorì alla
periferia meridionale di Udine e nel
mese di settembre due cuccioli furono uccisi dai cacciatori. Gli avvistamenti nella zona continuarono tanto da far credere che un gruppo fa-
mali
Mercoledì, 21 dicembre 2011
e la Bulgaria
e bistrattato
miliare popolasse la zona al limite
dei comuni di Udine e Pozzuolo del
Friuli. Dopo gli accurati studi di due
zoologi (Luca Lapini e Fabio Perco)
a partire da un esemplare catturato,
la notizia della riproduzione di questa specie in territorio italiano fu comunicata in un convegno nel 1988,
così che lo sciacallo dorato fu ufficialmente annesso alla fauna italiana e considerato poi specie protetta
a partire dal 1992 (legge n° 157/92
sulla caccia).
La localizzazione e diffusione di
questo animale, “nuovo” per l’Italia,
è attentamente monitorata e seguita
dagli zoologi del Museo friulano di
storia naturale di Udine, con approfondimenti sia di campagna sia di
laboratorio. Questo ente si è particolarmente distinto per la raccolta e
l’analisi di tutti i reperti riguardanti
la presenza del Canis aureus in Italia – oggi visibili nelle collezioni del
museo – tanto da rivestire un ruolo di primo piano nello studio della
specie. In seguito alle campagne di
stimolazione acustica – un metodo
già utilizzato dal 2007 al 2009 e che
si basa sull’emissione di ululati registrati capaci di suscitare le risposte degli esemplari presenti in natura – gli specialisti del museo sono
giunti alla conclusione che la specie si stia ulteriormente diffondendo
nell’Italia nord-orientale, con gruppi riproduttivi presenti nelle montagne del Friuli e su quelle del vicino Cadore. Attualmente si stima che
siano stabilmente presenti in Italia
cinque-sette nuclei per un totale di
circa 30 esemplari.
Il Canis aureus è onnivoro, di
abitudini prevalentemente notturne, tollera facilmente gli ambienti asciutti ed è capace di adattarsi a vari habitat: zone semiaride e
desertiche, savana, foreste sempreverdi, praterie, aree rurali e agricole
fino agli ambienti semi-urbani. Per
quanto riguarda le caratteristiche fisiche, è alto al garrese circa 45 centimetri ed è lungo fino a un metro,
con una coda di circa 30 centimetri
tenuta solitamente pendente fra le
zampe posteriori.
Il muso è più aguzzo di quello del lupo, con orecchie abbastanza brevi e ben distanziate. Gli occhi
sono grandi e l’iride giallo-scura. La
struttura sottile e robusta del tronco
somiglia a quella della volpe, mentre il mantello è costituito da un folto e ruvido pelame di colore grigiogiallastro nelle parti superiori del
corpo, biancastro in quelle inferiori.
Lo sciacallo dorato si nutre di
vertebrati di piccoli e media taglia,
insetti, rettili, uccelli, bacche, carcasse, rifiuti di origine antropica e
bestiame domestico fino alla taglia
di un agnello. Il periodo degli amori
cade generalmente alla fine dell’inverno, la gestazione dura circa due
mesi e in media nascono sei piccoli che aprono gli occhi solo a nove
giorni. La maturità sessuale viene
raggiunta a undici mesi, mentre la
longevità varia dagli otto-nove anni
allo stato selvatico fino ai sedici in
cattività.
Una curiosità: gli sciacalli vivono in piccoli gruppi costituiti da una
coppia e dalla loro prole più una o
due femmine nate l’anno precedente, fondamentali nel loro ruolo di
ausilio ai genitori per l’allevamento
dei nuovi cuccioli. Le femmine tendono quindi a rimanere più a lungo
nel loro gruppo d’origine, mentre
i maschi si disperdono ad un anno
d’età e possono compiere grandi
spostamenti. Il territorio di un branco di sciacalli dorati varia notevolmente in funzione della disponibi-
lità di cibo e delle dimensioni del
gruppo familiare. La specie ha notevoli tendenze antropofile, poiché
rifugge dai terreni boscosi abitati dal lupo – suo naturale antagonista e predatore – e utilizza efficacemente i surplus dell’attività agricola
così come gli scarti legati alla caccia, alla pastorizia e allo smaltimento dei rifiuti.
Pur non essendo pericoloso per
l’uomo, il nostro genere non pare
particolarmente amico dello sciacallo dorato, poco tollerato e spesso
cacciato per i danni alle coltivazioni, la predazione di ovini semi-bradi
e la competizione con i cacciatori.
Sin dalla notte dei tempi lo sciacallo
è stato disprezzato, associato a condizioni di scarsa igiene e considerato un animale ripugnante per la sua
abitudine di nutrirsi di carogne, tanto che, in un antico racconto etiopico, lo stesso Noè avrebbe rifiutato in
un primo tempo il suo accoglimento
nell’arca. Un fama ingiusta e immeritata, se pensiamo che gli sciacalli,
come tanti altri carnivori, cacciano
attivamente buona parte delle loro
prede, possono essere addomesticati piuttosto facilmente e inoltre svolgono un importante ruolo nell’ecosistema, viste le loro caratteristiche
di “spazzini”. Nonostante ciò, nella
lingua comune il termine “sciacallo” viene utilizzato per definire un
essere vile e malvagio, che trae utilità dalle disgrazie altrui. Solo gli
antichi egizi paiono aver reso merito a questo animale per la sua capacità di liberare il territorio dalle carogne ammorbanti l’aria, tanto da
averlo impersonificato in varie divinità – la più nota è Anup, ritenuto figlio o fratello di Osiride – considerandolo, per le sue abitudini, quale
rappresentante dell’oltretomba.
Oggi questa specie, grazie anche
alla sua adattabilità, è ancora inserita dall’Unione internazionale per
la conservazione della natura e delle
risorse naturali (IUCN) nella categoria di minaccia LC (least concern,
ossia rischio minimo). Lo sciacallo
dorato è localmente abbondante e
diffuso nel suo areale, ma, ad eccezione di un calcolo approssimativo
di 80mila esemplari in India, mancano dati certi sulla sua consistenza
numerica. In Bulgaria il notevole incremento delle popolazioni ha comportato la cancellazione della specie
da quelle comprese nella lista protetta, mentre l’aumento numerico
registrato nei Balcani è stato messo
in relazione dagli studiosi alla contemporanea contrazione dell’areale
del lupo, suo naturale limitatore. Di
sicuro troviamo il Canis aureus dalle
zone pianeggianti fino a 3.800 metri
sul livello del mare (Bale Mountains
in Etiopia). Al di là dei dati piuttosto rassicuranti, in Italia lo sciacallo
dorato s’imbatte in minacce di vario
tipo, che vanno dal bracconaggio
alla possibilità di esser investito da
autoveicoli, fino alla pratica illegale
dell’impiego di bocconi avvelenati.
Attualmente, comunque, il problema più serio per la conservazione di
questa specie in Italia è rappresentato dalla campagna di prelievo delle
volpi, con le quali gli sciacalli sono
spesso confusi. La continua informazione del pubblico venatorio sarà
quindi fondamentale per il mantenimento in Italia di questo canide, che
ha già costituito vari capisaldi riproduttivi in Friuli Venezia Giulia ed in
Veneto. Se l’espansione della specie
dovesse continuare secondo gli attuali ritmi, tutto lascia presupporre
che nell’arco dei prossimi trent’anni
vedremo lo sciacallo dorato in gran
parte dell’Italia settentrionale.
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6 animali
Mercoledì, 21 dicembre 2011
POESIA Gli animali nella poesia CNI
Ninne nanne e filastrocche
di Krsto Babić
LEGGENDE
Un tema per tre racconti
La riconoscenza di un leone ferito
F
ilastrocche, cantilene, ninne
nanne, scioglilingua, ritmi
di giochi: sembrano appartenere a un mondo remoto, scomparso, spazzato via dai videogame
e dalle televisioni pay per view.
Sono, invece, come ci spiega Giacomo Scotti nel libro “Ninne nanne come preghiere” (EDIT 2007),
una poesia di vita che, per fortuna,
non si è completamente spenta.
Non si è spenta di certo
nell’istro-quarnerino, nonostante
l’esodo di tantissimi suoi figli nel
secondo dopoguerra, nonostante il
progresso tecnico, nonostante gli
enormi spostamenti di popolazioni. Non si è spenta nella popolazione italiana dell’Istria, di Fiume
e delle isole del Quarnero, perché
questa poesia dell’infanzia è una
delle poche cose che tiene radica-
ti i superstiti a questa terra, che ce
la fa sentire ancora nostra, che ci
identifica alla terra stessa, alle sue
tradizioni.
Le ninne nanne, è assodato,
sono canti d’amore, di un affetto particolare, il più alto e il più
nobile, quello della madre verso
i figli e, quindi anche quando ricalcano schemi costruiti per altri
fini, li nobilitano attraverso più
adatte stilizzazioni fino ad accostarli, talvolta, al tono mistico della preghiera. Succede così
che ninne nanne ed orazioncine
per bambini si confondano: motivi delle prime entrano nelle seconde e viceversa. Spesso le ninne nanne e le filastrocche sono
ispirate agli animali. Quelle tipiche del nostro territorio non fanno eccezione.
Un canarin
Gavevo un useleto
Vivace e picinin,
zalo dal piè al becheto,
insoma, un canarin.
El saveva far el morto
co la testina in zo
E co l’ocieto smorto
Vardarme per in so.
El iera tanto carin
E tanto familiar
Che svelto sul ditin
El granel vigniva becar.
A la matina, a l’alba,
coi strili el me sveiavo
e co mi lo ciamava
el me rispondeva: cip-cip.
Ma un giorno ososteria
Quel picio mio tesor
In te le sate el finia
Du un gato traditor.
Le cheba ribaltada
restava sul balcon
svoda e insanguinada,
o dio quanta passion!
San Girolamo
A
ndroclo, leggendario schiavo romano, sarebbe vissuto
nel II secolo dopo Cristo. Il suo
padrone governava con la carica di proconsole in Africa ed era
una persona ingiusta in quanto lo
fustigava quotidianamente senza
un reale motivo. Lo schiavo fuggì
e per far perdere le sue tracce, si
nascose in una caverna. Androclo
si rese conto ben presto di essersi
rifugiato nella tana di un enorme
leone, che avvicinatosi, gli mostrò inaspettatamente una zampa sanguinante. Lo schiavo, preso coraggio, cercò di curare l’animale estraendo dalla zampa una
grossa scheggia di legno e pulendo quindi la ferita. A quel punto
il leone si addormentò placidamente. I due vissero insieme nella grotta per tre anni, mangiando
anche lo stesso cibo.
Tempo dopo Androclo fu catturato e condannato a battersi
contro le fiere del Circo Massimo: ma proprio tra queste c’era
il leone divenuto suo amico, che
non solo lo risparmiò, ma gli fece
anche le feste, come un cane felice di rivedere il suo padrone. Lo
schiavo, mezzo morto di paura,
riconoscendo il leone, si riprese e
lo accarezzò affettuosamente. Ad
Androclo fu concessa la grazia e
gli venne donato lo stesso leone.
La vicenda è riportata dagli
scritti di Aulo Gallio e ricorda vagamente un’altra leggenda, quella secondo cui San Girolamo fece
amicizia con un leone togliendogli una spina dalla zampa come
ricordano le iconografie del santo e i diversi dipinti che lo ritraggono in compagnia dell’animale
come quello di Leonardo da Vinci esposto nei Musei Vaticani.
Esiste un’altra storia molto simile. In questa terza versione il protagonista assieme al leone è un
pastore.
Il leone e il pastore
Un leone, mentre vagabondava, calpestò una spina e subito
si recò da un pastore agitando la
coda in atteggiamento amichevole. Gli disse: “Non spaventarti: il
cibo non mi manca, ma ti scongiuro di aiutarmi”. Sollevata la
zampa, la posò in grembo all’uo-
Androclo estrae la spina dalla zampa del leone
mo. Il pastore gli estrasse la spina
dalla zampa. Il leone ritornò nei
boschi. Poi però il pastore venne falsamente accusato di un delitto e nei giochi che si celebrarono poco dopo, tratto dal carcere, venne gettato in pasto alle
belve. Mentre le fiere andavano
correndo di qua e di là, un leone, che era quello stesso che era
stato medicato tempo addietro,
lo riconobbe. E di nuovo, solle-
vata la zampa, la pose in grembo
al pastore. Quando il re venne a
conoscenza di questo, ordinò che
il leone fosse risparmiato e che
il buon pastore fosse restituito ai
genitori.
Questa favola, accennata da
Seneca e ripresa da Gellio, è assente in Fedro, spiega perché le
torture dei nemici non potranno
mai avere la meglio nei confronti
di chi si comporta bene.
Curiosità letteraria
L’uccellino poliglotta
La canzoncina fiumana…
L’ucelin che va per mare
Quante pene può portare?
Può portare una sola, chi xe dentro e chi xe fora.
…che diventa capodistriana (o viceversa)
L’uselin che ‘l vien dal mare,
che vien a dire, che vien a fare?
L’uselin che vien dal mare,
porta un massolin de fiori
animali 7
Mercoledì, 21 dicembre 2011
ITINERARI Nella Grande Mela troviamo sulla terraferma un lembo d’Oceano
Il New York Aquarium
di Nevio Tich
V
enendo da una città come
Fiume, con il mare praticamente a portata di mano,
ogniqualvolta mi reco a visitare
una località nuova avverto subito
la voglia di dare, se possibile, uno
sguardo a questa immensa distesa
blu, che mi dà un senso di profonda libertà e tranquillità. Se poi non
si tratta di un mare, ma dell’Oceano Atlantico la curiosità è persino
maggiore. New York non è certo
una località balneare, anzi la possiamo liberamente definire “una
giungla di cemento”, ma sbaglia
chi pensa che nella Grande Mela
non ci siano bellissime spiagge
dove fare il bagno o prendere il
sole d’estate o sulle quali fare una
passeggiatina rilassante per respirare d’inverno l’odore di salsedine.
Il posto giusto è senz’altro Coney
Island, nel sud del rione di Brooklyn, dove c’è anche un bellissimo
acquario, il New York Aquarium.
Un posto molto visitato da bambini e adulti, a prescindere se si tratti
di abitanti locali o turisti, e che illustra in pieno l’ambiente marino.
DAL 1896 AI NOSTRI GIORNI Il primo acquario di New York
ha aperto i battenti il 10 dicembre
1896 a Battery Park, nel rione di
Manhattan. Inizialmente ospitava
solo 150 esemplari di fauna marina, ma nel corso del tempo il suo
più famoso direttore, lo zoologo
Charles Haskins Townsend, ha
ampliato notevolmente le collezioni. Nell’ottobre 1941, l’acquario a
Battery Park venne chiuso a causa
del progetto di costruzione di un
ponte da Lower Manhattan a Brooklyn. Molte delle creature marine dell’acquario furono ospitate
presso il Bronx Zoo fino a dopo la
II Guerra mondiale, fu completato il nuovo acquario. Il 6 giugno
1957, l’acquario newyorchese aprì
le porte della propria nuova sede a
Coney Island. La sua missione è di
sensibilizzare l’opinione pubblica
sui problemi del mare e dei suoi
abitanti, con particolari mostre e
manifestazioni pubbliche.
OLTRE 8.000 SPECIE MARINE Il New York Aquarium occupa attualmente 14 ettari in riva
sull’Oceano e ospita nelle proprie
vasche 8.000 esemplari di specie marine nei loro habitat naturali. In sostanza, l’Aquario presen-
L’ingresso principale
ta quattro grandi zone tematiche.
La prima dedicata ai mammiferi,
con particolare accento al tricheco
del Pacifico, sull’otaria e sul leone
marino californiano. Tra gli uccelli a suscitare l’interesse dei visitatori è soprattutto il pinguino dalle
zampe nere, mentre per quanto riguarda gli abitanti degli abissi troviamo ad esempio lo squalo tigre,
il polipo gigante del Pacifico e la
“Olinda formosa”, una rara specie di medusa che vive nelle acque
del Brasile, Argentina e Giappone.
C’è poi il settore dedicato ai rettili
e agli anfibi, con esponente principale la tartaruga marina.
Nell’acquario sono ricreati
molti ambienti marini, come la
grande barriera corallina. Inoltre potete vivere l’esperienza del
4D nel futuristico cinema al suo
interno. Una sensazione molto
particolare, che non si può descrivere a parole e che va assolutamente provata dal vivo. Durante l’estate l’acquario apre le
porte dell’Aquatheater, un’arena
all’aperto con tanti spettacoli di
delfini e leoni marini, che stuzzica soprattutto la curiosità dei più
piccoli.
CON BERTHA NEL CUORE Come per tutti i cittadini illustri della Grande Mela anche a
Bertha il New York Times ha dedicato nel 2008 un “coccodrillo” in seguito alla sua scomparsa.
Bertha, però, non era una persona,
bensì uno squalo toro, che da oltre
quarant’anni nuotava nelle vasche
del New York Aquarium. “È stato
molto triste prendere la decisione
di perdere questo animale”, ricorda Hans Walters, supervisore degli
squali dell’acquario, spiegando di
aver dovuto “addormentare” Bertha. “La sua salute era peggiorata
nell’ultimo mese e avevamo iniziato un trattamento. Sembrava
essere migliorata, ma alla fine era
peggiorata nuovamente. Abbiamo
iniziato a somministrarle una nuova terapia ma non ha avuto risultato e a un certo punto abbiamo capito che era giunto il momento”.
Bertha, che era lunga due metri e mezzo, viveva insieme ad altri cinque squali toro, due squali nutrice e un pinnabianca. Era
arrivata a Brooklyn tra il 1963 e
il 1965, diventando negli ultimi
anni uno dei “senatori” del NY
Aquarium.
20.000 leghe sotto i mari
8 animali
LA FOTO DEL MESE
Realtà e finzione
Mercoledì, 21 dicembre 2011
AGENDA
Associazioni
“Snoopy” – Pola
Gsm: 098/9230-461
Web: www.snoopy.hr
“Ruka šapi” – Pola
GSM: 091/3914-561 e 092/2535-999
Web: www.ruka-sapi.hr
Canile di Pola
Tel: 052/541-100
Gsm: 098/855-066
Società per la protezione degli animali di Fiume
Gsm: 098/649-939, 098/814-775 e 095/536-4548
Web: www.azil.org
“Lunjo i Maza” – Laurana
Gsm: 091/763-8892
Web: www.lunjoimaza.org
Associazione per la tutela dei gatti “Mijau”
Gsm: 091/543-5819, 091/8875-688 e 091/7386268
E-mail: [email protected]
Associazione amici degli animali “Capica” –
Fiume
Gsm: 098/264-892 e 092/285-9622
Web: www.capica.hr
Traži se prijatelj – Fiume
Web: www.traziseprijatelj.com.hr
Gsm: 091/594-5694
Rifugio per animali Lič
Gsm: 098/187-36-88
Web: www.skloniste-lic.com
Gruppi cinofili
È incredibile come la realtà e la finzione spesso combacino. Nella
foto scattata di recente dalla nostra fotoreporter sul Corso a Fiume sono
ritratti tre barboncini in carne, pelo ed ossa collegati assieme da una serie
di guinzagli di corda. Nell’altra istantanea è raffigurata, invece, una statuina di porcellana acquistata decenni fa da una famiglia di nostri lettori.
Anche in questo caso si tratta di tre barboncini, una mamma con i propri
due cuccioli collegati assieme da una catenina dorata. (kb)
CURIOSITÀ
I pinguini innamorati
Società cinofila “OPATIJA”
Casella postale 12, 51410 Abbazia
Tel: 051/250-555
Società cinofila “RIJEKA”
Via dei combattenti di Valscurigne 2a, 51000 Fiume
Tel: 051/216-030
Gsm: 091/563-4460
E-mail: [email protected]
Club di cinofilia sportiva “RIJEKA”
Via Kumičić 38, 51000 Fiume
Tel: 051/421-457
Gsm: 091/120-8975
E-mail: [email protected]
Associazione cinofila “BUZET”
Piazza Fontana 7, 52420 Pinguente
Tel: 052/773-654
Gsm: 098/207-689
E-mail: [email protected]
Associazione cinofila “LABIN”
Vines, Casa di cultura s.n., 52220 Albona
Gsm: 098/610-801
E-mail: [email protected]
Società cinofila “POREČ”
Via Mauro Gioseffi s.n., 52440 Parenzo
Tel: 052/431-530
Società cinofila “PULA”
Via Marulić 4/I, 52100 Pola
Tel: 052/535-041
Società cinofila “ROVINJ”
Via della 43.esima divisione istriana 34,
52210 Rovigno
Tel: 052/829-041
Gsm: 091/568-2781
E-mail: [email protected]
Club “ISTARSKI GONIČ”
Via Albona s.n., 52470 Umago
Tel: 052/756-006, 052/742-101 e 052/742-019
Società cinofila “PAZIN”
52000 Pisino
Tel: 052/624-361
Gsm: 091/624-7210
Società cinofila “ISTARSKI GONIČ”
Via dell’Istria 36, 52460 Buie
Tel: 052/742-884
Gsm: 091/252-8165
Il girasole
Porpetto (Udine)
tel/fax: +39 0431 60375
Società venatorie
Federazione italiana della caccia
Via Salaria 298/A, 00199 Roma
Tel: +39/06/8440941
Fax: +39/06/844094217
Web: www.federcaccia.org
Federazione croata della caccia
Via Vladimir Nazor 63, 10000 Zagreb
Tel: 01/48-34-560, 01/48-34-559
Fax: 01/48-34-557
Web: www.hls.com.hr
Federazione slovena della caccia
Via Župančič 9, 1000 Lubiana
Tel: +386/01/24-10-910
Fax:+386/01/24-10-926
Web: www.lovska-zveza.si
Associazione venatoria di Capodistria
Via del distaccamento istriano 2, 6000 Capodistria
Tel: +386/041/427-321
E-mail: [email protected]
Associazione venatoria di Isola
Baredi 20, 6310 Isola
Tel: +386/041/327-650
E-mail: lovska.druzina.izola @siol.net
“Platak” – Fiume
Via Frane Rački, 51000 Fiume
Gsm: 091/537-0818
“Lane” – Abbazia
Via M.Lahinja 14, 51410 Abbazia
Tel: 051/271-515
Fax: 051/718-913
Gsm: 091/272-6921
“Kobac 1960” – Laurana
Via Maresciallo Tito 84, 51415 Laurana
Tel: 051/292-461,
Gsm: 091/912-2143
“Perun” – Draga di Moschiena
Mošćenice 21, 51417 Draga di Moschiena
Tel: 051/737-441
Fax: 051/739-030
Gsm: 091/794-2590
“Kamenjarka” – Lussinpiccolo
Casella postale 96, 51550 Lussinpiccolo
Gsm: 098/240-864
“Orebica” – Cherso
Via 20 travanj 3, 51557 Cherso
Gsm: 098/864-894
“Lisjak” – Castua
Šporova jama 2, 51215 Castua
Tel: 051/543-238
Gsm. 091/790-7148
CURIOSITÀ
Becchini alati
Ricordate i due pinguini Buddy e Pedro che avevano fra di loro dei
comportamenti omosessuali all’interno dello zoo di Toronto? Ecco,
una volta separati, Buddy si è accoppiato con una femmina.
A nulla sono valse le molte iniziative fatte dalle associazioni omosessuali che li volevano gay e felici. Alla fine, la ragione della preservazione della specie, in via di estinzione, ha avuto la meglio e i due
pinguini gay Pedro e Buddy sono stati separati. Buddy si è felicemente accoppiato con una femmina, mentre Pedro pare stia corteggiando
Thandiwey, un pinguino femmina. Intanto, il resposanbile del settore
invertebrati e volatili del giardino zoologico canadese assicura che la
loro separazione è provvisoria e che i due potranno ritornare insieme
una volta raggiunto lo scopo della separazione, fra qualche mese. “Ci
sarà un limite temporale alla separazione. Non importa cosa accadrà:
tutti i pinguini saranno riuniti in primavera. Se Pedro e Buddy vorranno tornare insieme, saremo felici di accontentarli”, è stato annunciato
da Toronto.
In India, i seguaci della religione parsa non seppelliscono i morti, ma li lasciano
all’aperto, perché non devono contaminare
la terra, l’acqua e il fuoco, che sono ritenuti sacri. Si fa affidamento sugli avvoltoi
grifoni dell’Himalaya, un tempo numerosi, perché spolpino i cadaveri e lascino soltanto lo scheletro. Tutto questo avviene in
una località funeraria apposita. Il guaio è
che gli avvoltoi sono quasi scomparsi e tutti quei cadaveri in decomposizione sono un
pericolo per la salute pubblica. Per cui si
cerca di reintrodurre i grifoni con un piano
di allevamento. (ra)
Anno IV/ n. 45 del 21 dicembre 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: ANIMALI / e-mail: [email protected]
Redattore esecutivo: Krsto Babić / Impaginazione: Denis Host-Silvani
Collaboratori: Giorgio Adria, Renata Akkad, Marco Grilli, Valentino Pizzulin,
Sabrina Ružić e Nevio Tich
Foto: Graziella Tatalović e d’archivio