LA VOCE DEL POPOLO IL TEMA DEL MESE Turi libero di spiccare il volo CITES in Italia L’Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus) è una specie inclusa nell’Appendice II della Convenzione internazionale sul commercio delle specie in via d’estinzione (CITES) e nell’Allegato A al Regolamento comunitario 338/97 che da attuazione alla CITES in ambito europeo. Per questo è generalmente vietato il commercio di questi esemplari e la loro detenzione in assenza di specifica certificazione CITES. La specie è, inoltre, considerata super protetta dalla normativa sul prelievo venatorio. Le imputazioni per i criminali ambientali coinvolti nelle indagini sono diverse: dalle sanzioni previste dalla legge relativa alle violazioni della CITES in Italia, a quelle previste dalla legge sul prelievo venatorio, per aver prelevato e detenuto specie protette e non cacciabili, nonché per avere recato disturbo ai siti di nidificazione e alle coppie di rapaci intente nella fase riproduttiva, di difesa e di svezzamento della prole. Il commercio illegale di specie protette, ancora fiorente e fonte di cospicui guadagni illeciti (una coppia di aquile del Bonelli può fruttare sino a 20mila euro), è fortemente deleterio per la conservazione della biodiversità in Italia, in particolare quella di un’isola così ricca di endemismi (specie esistenti solo in determinate aree di distribuzione) qual è la Sicilia. Va evidenziato che in Sicilia non esistono più di una quindicina di nidi di Aquila del Bonelli che, nonostante le attività di contrasto sviluppate dai forestali e la preziosa opera dei volontari, ogni anno vengono “presi d’assalto” dai trafficanti. È la prima volta, in Italia, che l’intelligence sul traffico illecito di specie tutelate porta a ricostruire il giro del traffico illecito di rapaci, a partire dai nidi oggetto dell’illecito prelievo in natura sino ai ricettatori finali, permettendo, quindi, di recuperare dei soggetti razziati per la loro successiva reintroduzione in natura. L’esecuzione dell’Operazione Bonelli, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, e avviata grazie alla collaborazione dell’Ufficio TRAFFIC del WWF Italia che ha fornito il fondamentale supporto informativo, ha portato al sequestro complessivo di oltre 50 rapaci protetti tra cui gipeti, aquile reali, falchi lanari e pellegrini, capovaccai (i famosi avvoltoi egiziani) e costituisce una testimonianza del concreto e diretto impegno del Corpo forestale dello Stato a tutela della biodiversità in Italia. (a) animali ce vo /la .hr dit w.e ww È stato liberato, in una zona segreta dell’entroterra siciliano, un rarissimo esemplare di Aquila del Bonelli sequestrato lo scorso anno. L’evento di straordinaria rarità è stato reso possibile grazie al Corpo forestale dello Stato e al coordinamento scientifico dell’Università di Palermo – Sezione di Biologia animale e Antropologia biologica. Il rarissimo esemplare liberato era stato sequestrato lo scorso anno durante un’importante operazione svolta in tutta Italia in collaborazione con il WWF Italia e gli esperti del suo Ufficio TRAFFIC. L’esemplare era stato depredato in un nido di Campobello di Licata da una organizzazione di bracconieri dediti al traffico illegale di rapaci. L’attività di depredazione dei nidi è una delle forme di bracconaggio che costituisce una delle principali cause della rarefazione di molte specie animali. L’esemplare in questione, nonostante avesse subito un parziale imprinting, è stato riadattato alla vita selvatica e ha riacquisito l’autonomia predatoria grazie all’azione degli specialisti della Riserva Regionale del Lago di Vico e dell’associazione ORNIS Italica. Turi, così è stata chiamata l’aquila, è stato già osservato predare autonomamente nei primi giorni della liberazione e acquistare quota trovando riparo su una cengia rocciosa a circa 300 metri sul livello del mare. L’aquila ha subito sfruttato le correnti termiche favorevoli per eseguire spettacolari voli che le hanno permesso di perlustrare, per la prima volta nella sua vita, l’ambiente selvatico dove dovrà imparare, in fretta, a difendersi da competitori naturali come corvi, falchi e aquile reali. Comunque, l’esemplare resta monitorato nei suoi spostamenti da volontari coordinati dall’equipe dell’Università degli Studi di Palermo e dallo staff guidato da Giovanni Giardina del Centro recupero regionale rapaci di Ficuzza. Si tratta del primo caso di rilascio in natura in Italia di un esemplare di una specie così rara, recuperato e riabilitato dopo l’imprinting da parte dell’uomo. Tutta la complessa e lunga operazione, unica nel suo genere, servirà anche a sperimentare ed ottimizzare un protocollo innovativo per le reintroduzioni in natura di fauna selvatica, soprattutto uccelli. L’operazione è stata resa possibile anche grazie al sostegno del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, quale autorità principale per l’attuazione della An no IV 011 2 e br • n. 4 5 • Mercoledì, 21 dicem IL RUGGITO di Krsto Babić Kora e Leo, una storia commovente Nei giorni scorsi l’Italia e l’Europa si sono commossi per la vicenda di Kora e Leo. La storia di una leonessa che ha insegnato a un giovane leone ad essere il re degli animali. Kora è stata sequestrata a Livorno. La sua è la storia di una cucciolata francese di leoncini destinati ai fotografi da circo, quelli che si fanno pagare con il leone-pupazzo in braccio. Due cuccioli vennero portati in Italia. Dovevano andare a lavorare vicino il tendone di due circhi che si trovavano in quel momento in provincia di Livorno e di Palermo. Sequestrati dalle forze dell’ordine i due felini furono affidati al Centro per la tutela e la ricerca sulla fauna esotica e selvatica di Monte Adone, nelle colline di Sasso Marconi. Un rifugio sicuro per tanti animali con alle spalle maltrattamenti oppure commerci avvenuti in maniera non conforme alle disposizioni di legge. È questo il caso di Leo, altro ospite del Centro di Sasso Marconi. Per lui, però, si è dovuto affrontare un ulteriore problema. Leo non aveva alcun ricordo di un suo simile. In altri termini, non sapeva di essere un leone. Al Centro hanno dovuto abituarlo, con molta gradualità, alla sua vera natura e per questo è stata importante la presenza di Kora. Un anno di duro lavoro, che alla fine è stato ripagato. Inizialmente i due leoni sembravano volersi evitare. Pur avendo la possibilità di venire in contatto, sembravano sfuggire al piccolo varco lasciato aperto tra le loro gabbie. Poi piccole toccate con le zampe e delicati morsetti. Infine, a prendere l’iniziativa è stata Kora che mentre Leo faceva un po’ di teatro brontolando, lei è riuscita a farselo amico. Incontri graduali che lo scorso ottobre, hanno finalmente dato vita al grande momento. Kora, giocando con una palla, è riuscita finalmente a conquistare Leo. Non potranno mai essere liberi come nella savana, ma almeno vivranno da animali sociali, in contatto tra loro. Se non completamente liberi, sicuramente più felici. Il commercio di animali esotici e l’incentivo alla loro riproduzione in cattività è niente di più che una condanna ad una prigionia senza fine. Nessuno di questi animali può essere reintrodotto in natura per motivi più disparati. Molto spesso è l’abitudine all’uomo o la mancanza di insegnamenti paternali che permetterebbero di vivere allo stato selvatico o altre volte ancora la mancanza di fondi per trasportare questi animali al loro luogo di origine e prendersi cura di loro nel periodo di riadattamento. 2 animali Mercoledì, 21 dicembre 2011 ORNITOLOGIA Uccelli dall’andatura dondolante, ma per nulla goffi Il gelido mondo dei pinguini di Valentino Pizzulin L’ origine dei pinguini (Sfeniscidi) è oscura. Probabilmente rappresentano l’evoluzione di uccelli simili ai gabbiani. C’è stato un tempo in cui erano in grado sia di volare che di nuotare. Oggi non sanno più volare, ma sono ottimi nuotatori e tuffatori. Usano le ali come pinne per avanzare nell’acqua dove si muovono con agilità ed eleganza, saltando fuori ad intervalli regolari come i delfini, per respirare. I pinguini vivono sulle coste di tutto l’emisfero meridionale, dal Polo Sud fino addirittura alle Galapagos, in prossimità dell’equatore. Esistono diciassette specie di questi uccelli di dimensioni molto diverse: dal pinguino imperatore, che è alto un metro e venti e pesa quaranta chilogrammi, al pinguino minore, che è alto una trentina di centimetri e pesa poco più di un chilo. I pinguini sono uccelli dalla vita molto lunga, che in media dura quindici, anche vent’anni. LE SPECIE PRINCIPALI Come già detto, esistono diverse specie, tra le più importanti troviamo il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri). Nasce tra i ghiacci del continente gelato dove migra per passare il rigido inverno. È l’unico, insieme al pinguino Adelia, a riprodursi in Antartide. La femmina depone un solo uovo che viene affidato al maschio, che lo incuba tenendolo tra le zampe. Il pinguino reale (Aptenodytes patagonicus) è più piccolo, ma molto simile all’imperatore. Il pingui- Pinguino di Adelia no di Adelia (Pygoscelis adeliae), unico rappresentante del genere con becco decisamente corto, sino a non molti anni or sono era la specie più numerosa, ma la sempre più crescente presenza umana nel continente antartico e l’accumulo di sostanze tossiche nell’ambiente ne hanno ridotto il numero. Il maschio del pinguino Adelia può digiunare completamente anche per sei settimane, mentre si dedica alla cova; nel frattempo la femmina si reca in mare per cibarsi, prima di dargli il cambio. Presente sia in Antartide che nelle isole subantartiche, il pinguino papua (Pygoscelis papua) è probabilmente il più veloce e provetto nuotatore tra tutti. Caccia pesci e calamari “volando” sott’acqua. I pinguini crestati, sono tra i più nordici: nidificano nelle isole intorno all’Antartide e sulle coste dell’Australia, della Tasmania e della Nuova Zelanda. Il pinguino artico (Pygoscelis antarctica) è il più piccolo delle tre specie del genere Pygoscelis. Vive soprattutto lungo la costa occidentale della Penisola Antartica e nelle isole subantartiche. LE ABITUDINI ALIMENTARI I pinguini si nutrono di pesci, crostacei e calamari. Per raggiungere le loro prede sono capaci di immergersi a notevoli profondità (fino a 400 metri le specie più grandi, ma normalmente tra i 30 e i 40 metri), anche per tempi molto lunghi (fino a quindici mi- Pinguino papua ENTOMOLOGIA Pinguini reali nuti). A loro volta i pinguini sono il cibo preferito di grandi predatori, come l’orca, la foca leopardo e il leone marino, che sono gli unici sufficientemente veloci per attaccarli. I pinguini, infatti, riescono a raggiungere sott’acqua una velocità di 40 chilometri orari (la maggior parte delle navi viaggia a una velocità inferiore ai 35 chilometri orari). Come sono agili in acqua, così sono impacciati sulla terraferma: camminano lentamente e dondolandosi. Questi animali hanno un’andatura molto buffa e solo sulle discese ghiacciate raggiungono notevoli velocità, lanciandosi in lunghe scivolate sulla pancia. Con la loro andatura dondolante sembrano docili, ma sanno essere molto coraggiosi. Per difendere il compagno o i propri piccoli tirano delle beccate molto forti. I pinguini sono animali molto fedeli e, quando si avvicina il periodo della riproduzione, si recano sulla terraferma in colonie di migliaia di individui, cercando un terreno adatto per deporre le uova (uno o due). Durante la cova, che dura dai trenta ai sessanta giorni, i genitori si alternano in questo compito, ad eccezione dei maschi dei pinguini imperatori, che sono gli unici responsabili delle uova. In tutte le altre specie, mentre un genitore cova, l’altro si procura il cibo in mare, in modo che le uova non vengano mai abbandonate. Infatti, oltre a proteggere dal freddo le uova, i genitori devono proteggerle dagli altri uccelli predatori, come i gabbiani, e addirittura dagli stessi pinguini, che hanno la cattiva abitudine di rubare le uova ai propri simili. Dopo la nascita dei piccoli le colonie di pinguini tornano al mare e migrano verso regioni dove la pesca è più abbondante. I RICHIAMI I pinguini si riconoscono tra loro attraverso dei segnali sonori e così si fanno riconoscere anche dai loro piccolini. Il suono cambia se si tratta di “chiamare” un altro pinguino o se vogliono fare un corteggiamento. La chiamata di un pinguino verso un altro può essere sentita anche nel raggio di un chilometro. Il segnale serve anche per avvertire gli altri in caso di attacco o presenza dei predatori. Un insetto «puzzolente» I rincoti: tanto piccoli quanto dannosi di Giorgio Adria Le dimensioni dei rincoti (Rhynchota o Hemiptera) variano normalmente dagli 0.5 ai 2 centimetri. Ai tropici si possono incontrare, tuttavia delle sottospecie che riescono a crescere fino a 10 centimetri di grandezza. Il corpo ha una forma ovoidale o allungato, ed è solitamente appiattito nella zona dorsoventrale. Generalmente la colorazione non assume toni particolarmente sgargianti ed è contraddistinta prevalentemente dalle tonalità del bruno, del grigio e del nero. Solo raramente assumendo colorazioni che variano dal verde, al rosso, al giallo, con occasionali striature e macchie scure. L’apparato boccale molto sviluppato è di tipo pungente-succhiante, le antenne sono composte da 4 o 5 articoli. Sul capo, inoltre, si osservano gli occhi composti e gli ocelli. Il protorace che segue la testa è di forma variabile e spesso è molto grande, ciò fa sì che lo scutello sia ben distinto e molto sviluppato. I rincoti sono prevalentemente insetti alati; salvo pochi casi di specie attere. Le ali anteriori sono caratterizzate dalla seguente strut- tura: i due terzi basali sono ispessiti e coriacei, mentre la loro parte distale è membranosa. La venulazione delle ali anteriore assume molta importanza per la classificazione delle specie. Le ali posteriori sono più piccole e membranose, durante il riposo vengono mantenute piatte lungo l’addome. In funzione delle abitudini e all’ambiente (terrestre o acquatico) in cui i vari esemplari vivono si può avere vari modelli morfo-strtutturali di zampe. Tipiche di questi insetti sono le ghiandole odorifere; secernenti un liquido dall’odore sgradevole e penetran- te. I rincoti vivono negli ambienti più disparati; ambienti terrestri, acquatici, boschi, praterie, nidi di uccelli, tane di piccoli mammiferi, laghi, stagni, fiumi. La maggior parte si nutre succhiando linfa dai vegetali, provocando spesso danni di tipo agronomico prelevando sostanze nutritive alla pianta, iniettando delle sostanze tossiche e trasmettendo vari agenti patogeni responsabili di svariate malattie. Sono presenti anche specie ematofaghe e alcune predatrici di piccoli insetti. La riproduzione avviene per anfigonia; sono ovipari. La meta- Una cimice verde morfosi è incompleta (eterometabolia), si hanno diversi stadi larvali dove in ognuno di questi la ninfa è simile all’adulto; ma di dimensioni più ridotte. animali 3 Mercoledì, 21 dicembre 2011 FELINI Il «gatto» che nuota per salvarsi la vita Ocelot, il giaguaro azteca I di Sabrina Ružić l leopardus pardalis, noto come ocelot fa parte della grande famiglia dei felini. Il nome deriva dalla parola ocelot, con cui gli azteca chiamavano il giaguaro. L’ocelot viene chiamato anche Tlahcoocēlōtl nella lingua indigena nel Messico centrale, in italiano è noto anche come gattopardo americano. L’HABITAT NATURALE L’ocelot abita le foreste tropicali e subtropicali. Lo possiamo trovare sia nella giungla igrofila della pianura amazzonica che nelle foreste secche. Abitualmente questo animale evita le montagne e le grandi savane erbose, ma non è raro scorgerlo nelle zone dissodate e nelle piantagioni di banane e di cacao, sulla costa pacifica dell’Ecuador. È il felino più comune nell’America latina, nel Texas meridionale nell’Argentina settentrionale, in Colombia e nell’Ecuador. Il suo corpo è lungo tra i 55 e gli 80 centimetri e la coda ulteriori 30 – 45 centimetri. Dunque, più grande del gatto domestico. Il peso medio dell’ocelot si aggira attorno ai 12 chilogrammi, anche se L’habitat naturale dell’ocelot alcuni maschi in età adulta arrivano a superare i 15 chili. Il gattopardo americano assomiglia molto al gatto dorato, al gatto di Temminck e al gatto viverrino. LE CARATTERISTICHE L’ocelot ha le zampe corte e una coda relativamente corta. Le orecchie, arrotondate e nere, hanno una macchia bianca sul rovescio. Gli occhi, dall’iride marrone e la pupilla ovale. I baffi, molto sviluppati, sono bianchi. La tinta di fondo del pelame varia dal grigio-rossiccio al bruno-ocra vivo accentuati sui fianchi e sul dorso, anche se in una parte del dorso è più scuro. Il ventre, il lato interno degli arti, il petto e la gola sono di colore grigio più o meno chiaro, a volte quasi bianco, con piccole macchie nere. Il pelame, molto caratteristico, è ornato di macchie nere allungate, disposte in file longitudinali più o meno congiunti che formano sui fianchi ocelli oblunghi e irregolari. La nuca e il collo sono segnati da sei ad otto strisce nere che si prolungano in avanti, fino in mezzo agli occhi. Le guance sono sbarrate da due linee nere, abbastanza larghe, che van- no dal davanti verso tergo. Il naso è di color bruno, con tonalità che possono arrivare fino al rossastro, mentre le labbra sono nere. Nella parte inferiore del corpo, le zampe sono punteggiate di piccoli punti, una cosa abbastanza straordinaria tra i piccoli felidi. La coda è nera nella parte superiore e più chiara in quella inferiore. La coda è ornata di macchie bianche verso la base e di anelli indistinti verso l’estremità. IL COMPORTAMENTO L’ocelot vive sempre in coppia, anche all’infuori della stagione della riproduzione. Molti studiosi affermano che questo animale occupa un territorio abbastanza esteso, al quale resta legato per tutto il corso della vita. Benché abbaino in comune il territorio, il maschio e la femmina cacciano separatamente e, in caso di pericolo, non si prestano tra loro aiuto. L’ocelot è un ottimo arrampicatore, senza però essere per questo più arboricolo degli altri felidi. Appena un ocelot si sente scoperto, si arrampica lentamente di ramo in ramo, fino a raggiungere la cima dell’albero, dove resta completamente nascosto dal fogliame. In altre circostanze, l’animale discende velocemente dal ramo dov’è posato e, in pochi salti, scompare nella giungla. È anche un nuotatore eccellente e non ha paura dell’acqua. Infatti, quando viene inseguito dal nemico si getta in acqua, se non trova un albero alla sua portata. Questo animale è principalmente abituato alla notte e raramente lo s’incontra durante il giorno. Intraprende anche lunghi giri alla ricerca delle prede, costituite da aguti, paca, tatù, opossum, piccoli pecari e piccoli cervidi selvatici. Quando se ne offre l’occasione, si ciba anche di uccelli quali hocco, agami, tinami e penelopi. A volte si spinge fino a visitare piccoli villaggi da dover porta via qualche pollo. Il serval Parente stretto dell’ocelot è il serval (Leptailurus serval o Felis serval). Quest’ultimo è diffuso in buona parte dell’Africa. Seppur troppo piccolo per minacciare i grandi erbivori (raramente raggiunge i 20 chilogrammi di peso), è comunque un attivissimo predatore. Il serval o servallo vive nei boschi, nelle regioni montagnose e nella savana, dormendo durante il giorno e uscendo di sera per cacciare lepri, giovani antilopi e uccelli. Nelle zone abitate saccheggia i pollai durante le ore notturne e per la sua astuzia è difficile catturarlo. Il serval si distingue da altri gatti selvatici soprattutto per la lunghezza delle zampe e per le ridotte dimensioni del capo, che lo rendono abbastanza simile ad un piccolo ghepardo e come quest’ultimo è velocissimo nella corsa. Le orecchie sono grandi e appuntite, la coda è la metà della lunghezza del corpo. Il mantello è folto e fulvo, i colori variano dal dorato - fulvo chiaro, a volte silver o rossastro. Lungo il corpo e la parte superiore del collo scorrono quattro fasce nere, sulle gambe anteriori e posteriori ci sono macchie unite che formano strisce trasversali, nel mantello sono presenti molte macchie puntiformi nere di varie dimensioni, la coda ha sette otto anelli ben definiti. Il Serval è lungo poco meno di un metro e l’altezza al garrese è di circa 60 centimetri. Anche se è un grande gattone selvatico, con le dovute maniere, il serval è addomesticabile e si comporta quindi come un comune gatto d’affezione, giocando, facendo le fusa e segue il suo padrone come un cagnolino gioioso e saltellante. L’unione di un serval maschio con un gatto domestico femmina è stato usato per dare origine alla razza felina nota come “savannah”. L’incrocio tra serval e caracal produce due ibridi chiamati servical e caraval. LA RIPRODUZIONE Questi animali si accoppiano da ottobre alla fine di novembre. Generalmente la femmina partorisce uno o due cuccioli, ma può dare alla luce anche 3 e perfino 4 piccoli. La madre nasconde i figlioletti facilità e può diventare molto docile. Tuttavia, man mano che cresce, riprende la sua naturale selvatichezza e, nella grande maggioranza dei casi da adulto diventa intrattabile (qualche proprietario lo sottopone pertanto alla pratica crudele dell’estirpazione degli artigli). Nonostante questa sua caratteristica l’ocelot è oggetto di un importante commercio, in quanto animale di compagnia. Negli Stati Uniti esistono club di amatori d’ocelot. In Europa, invece, è severamente proibita l’importazione di questo animale. nel cavo di un albero, in fondo a qualche piccola grotta o in una tana, preparata nel più folto della foresta. L’ A D D O M E STICAMENTO Preso in tenera età, l’ocelot si addomestica con Non tutti sanno che... Il serval è legato a una delle opere letterarie più importanti della letteratura italiana e internazionale: il romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo stemma di famiglia dei Tomasi riporta, infatti questo felino predatore; l’autore vi si riferisce con il termine generico “gattopardo”, che indica i grossi gatti selvatici come il serval, il caracal o l’ocelot. Nel caso specifico, l’identificazione con il serval è piuttosto evidente, essendo il serval l’unico “gattopardo” diffuso sulla costa mediterranea del Nordafrica (incluso il tratto di costa antistante Lampedusa). 4 anim Mercoledì, 21 dicembre 2011 CANIDI Alla conquista dell’Europa passando attraverso la Croazia, la Slovenia e Lo sciacallo dorato un animale di Marco Grilli D agli anni ’80 il Nordest italiano accoglie nel suo areale un animale della dimensione di una volpe, riconoscibile per i suoi ululati. Si tratta dello sciacallo dorato (Canis aureus), un canide di medie dimensioni del peso di 12-15 chilogrammi, diffuso in un perimetro che comprende l’Europa sud-orientale e centrale, le savane africane, le pianure del Caucaso, l’Asia meridionale e parte della penisola arabica. L’espansione verso nord della specie è iniziata negli anni ’50 del XX secolo, a partire forse dalle popolazioni presenti in Bulgaria e Croazia. Questo fenomeno è la premessa di quanto accaduto dalla metà degli anni ‘80, quando lo sciacallo dorato è “emigrato” dalla Slovenia verso la Venezia Giulia, il Veneto, l’Alto Adige per poi raggiungere anche la Germania, l’Austria e altri paesi dell’Europa centro-orientale. La presenza di questo canide nel territorio italiano è stata a lungo sottovalutata e poco conosciuta. La cattura del primo esemplare, scambiato per una volpe, si registrò a San Vito di Cadore (Belluno) nel 1984. Un anno dopo una femmina partorì alla periferia meridionale di Udine e nel mese di settembre due cuccioli furono uccisi dai cacciatori. Gli avvistamenti nella zona continuarono tanto da far credere che un gruppo fa- mali Mercoledì, 21 dicembre 2011 e la Bulgaria e bistrattato miliare popolasse la zona al limite dei comuni di Udine e Pozzuolo del Friuli. Dopo gli accurati studi di due zoologi (Luca Lapini e Fabio Perco) a partire da un esemplare catturato, la notizia della riproduzione di questa specie in territorio italiano fu comunicata in un convegno nel 1988, così che lo sciacallo dorato fu ufficialmente annesso alla fauna italiana e considerato poi specie protetta a partire dal 1992 (legge n° 157/92 sulla caccia). La localizzazione e diffusione di questo animale, “nuovo” per l’Italia, è attentamente monitorata e seguita dagli zoologi del Museo friulano di storia naturale di Udine, con approfondimenti sia di campagna sia di laboratorio. Questo ente si è particolarmente distinto per la raccolta e l’analisi di tutti i reperti riguardanti la presenza del Canis aureus in Italia – oggi visibili nelle collezioni del museo – tanto da rivestire un ruolo di primo piano nello studio della specie. In seguito alle campagne di stimolazione acustica – un metodo già utilizzato dal 2007 al 2009 e che si basa sull’emissione di ululati registrati capaci di suscitare le risposte degli esemplari presenti in natura – gli specialisti del museo sono giunti alla conclusione che la specie si stia ulteriormente diffondendo nell’Italia nord-orientale, con gruppi riproduttivi presenti nelle montagne del Friuli e su quelle del vicino Cadore. Attualmente si stima che siano stabilmente presenti in Italia cinque-sette nuclei per un totale di circa 30 esemplari. Il Canis aureus è onnivoro, di abitudini prevalentemente notturne, tollera facilmente gli ambienti asciutti ed è capace di adattarsi a vari habitat: zone semiaride e desertiche, savana, foreste sempreverdi, praterie, aree rurali e agricole fino agli ambienti semi-urbani. Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, è alto al garrese circa 45 centimetri ed è lungo fino a un metro, con una coda di circa 30 centimetri tenuta solitamente pendente fra le zampe posteriori. Il muso è più aguzzo di quello del lupo, con orecchie abbastanza brevi e ben distanziate. Gli occhi sono grandi e l’iride giallo-scura. La struttura sottile e robusta del tronco somiglia a quella della volpe, mentre il mantello è costituito da un folto e ruvido pelame di colore grigiogiallastro nelle parti superiori del corpo, biancastro in quelle inferiori. Lo sciacallo dorato si nutre di vertebrati di piccoli e media taglia, insetti, rettili, uccelli, bacche, carcasse, rifiuti di origine antropica e bestiame domestico fino alla taglia di un agnello. Il periodo degli amori cade generalmente alla fine dell’inverno, la gestazione dura circa due mesi e in media nascono sei piccoli che aprono gli occhi solo a nove giorni. La maturità sessuale viene raggiunta a undici mesi, mentre la longevità varia dagli otto-nove anni allo stato selvatico fino ai sedici in cattività. Una curiosità: gli sciacalli vivono in piccoli gruppi costituiti da una coppia e dalla loro prole più una o due femmine nate l’anno precedente, fondamentali nel loro ruolo di ausilio ai genitori per l’allevamento dei nuovi cuccioli. Le femmine tendono quindi a rimanere più a lungo nel loro gruppo d’origine, mentre i maschi si disperdono ad un anno d’età e possono compiere grandi spostamenti. Il territorio di un branco di sciacalli dorati varia notevolmente in funzione della disponibi- lità di cibo e delle dimensioni del gruppo familiare. La specie ha notevoli tendenze antropofile, poiché rifugge dai terreni boscosi abitati dal lupo – suo naturale antagonista e predatore – e utilizza efficacemente i surplus dell’attività agricola così come gli scarti legati alla caccia, alla pastorizia e allo smaltimento dei rifiuti. Pur non essendo pericoloso per l’uomo, il nostro genere non pare particolarmente amico dello sciacallo dorato, poco tollerato e spesso cacciato per i danni alle coltivazioni, la predazione di ovini semi-bradi e la competizione con i cacciatori. Sin dalla notte dei tempi lo sciacallo è stato disprezzato, associato a condizioni di scarsa igiene e considerato un animale ripugnante per la sua abitudine di nutrirsi di carogne, tanto che, in un antico racconto etiopico, lo stesso Noè avrebbe rifiutato in un primo tempo il suo accoglimento nell’arca. Un fama ingiusta e immeritata, se pensiamo che gli sciacalli, come tanti altri carnivori, cacciano attivamente buona parte delle loro prede, possono essere addomesticati piuttosto facilmente e inoltre svolgono un importante ruolo nell’ecosistema, viste le loro caratteristiche di “spazzini”. Nonostante ciò, nella lingua comune il termine “sciacallo” viene utilizzato per definire un essere vile e malvagio, che trae utilità dalle disgrazie altrui. Solo gli antichi egizi paiono aver reso merito a questo animale per la sua capacità di liberare il territorio dalle carogne ammorbanti l’aria, tanto da averlo impersonificato in varie divinità – la più nota è Anup, ritenuto figlio o fratello di Osiride – considerandolo, per le sue abitudini, quale rappresentante dell’oltretomba. Oggi questa specie, grazie anche alla sua adattabilità, è ancora inserita dall’Unione internazionale per la conservazione della natura e delle risorse naturali (IUCN) nella categoria di minaccia LC (least concern, ossia rischio minimo). Lo sciacallo dorato è localmente abbondante e diffuso nel suo areale, ma, ad eccezione di un calcolo approssimativo di 80mila esemplari in India, mancano dati certi sulla sua consistenza numerica. In Bulgaria il notevole incremento delle popolazioni ha comportato la cancellazione della specie da quelle comprese nella lista protetta, mentre l’aumento numerico registrato nei Balcani è stato messo in relazione dagli studiosi alla contemporanea contrazione dell’areale del lupo, suo naturale limitatore. Di sicuro troviamo il Canis aureus dalle zone pianeggianti fino a 3.800 metri sul livello del mare (Bale Mountains in Etiopia). Al di là dei dati piuttosto rassicuranti, in Italia lo sciacallo dorato s’imbatte in minacce di vario tipo, che vanno dal bracconaggio alla possibilità di esser investito da autoveicoli, fino alla pratica illegale dell’impiego di bocconi avvelenati. Attualmente, comunque, il problema più serio per la conservazione di questa specie in Italia è rappresentato dalla campagna di prelievo delle volpi, con le quali gli sciacalli sono spesso confusi. La continua informazione del pubblico venatorio sarà quindi fondamentale per il mantenimento in Italia di questo canide, che ha già costituito vari capisaldi riproduttivi in Friuli Venezia Giulia ed in Veneto. Se l’espansione della specie dovesse continuare secondo gli attuali ritmi, tutto lascia presupporre che nell’arco dei prossimi trent’anni vedremo lo sciacallo dorato in gran parte dell’Italia settentrionale. 5 6 animali Mercoledì, 21 dicembre 2011 POESIA Gli animali nella poesia CNI Ninne nanne e filastrocche di Krsto Babić LEGGENDE Un tema per tre racconti La riconoscenza di un leone ferito F ilastrocche, cantilene, ninne nanne, scioglilingua, ritmi di giochi: sembrano appartenere a un mondo remoto, scomparso, spazzato via dai videogame e dalle televisioni pay per view. Sono, invece, come ci spiega Giacomo Scotti nel libro “Ninne nanne come preghiere” (EDIT 2007), una poesia di vita che, per fortuna, non si è completamente spenta. Non si è spenta di certo nell’istro-quarnerino, nonostante l’esodo di tantissimi suoi figli nel secondo dopoguerra, nonostante il progresso tecnico, nonostante gli enormi spostamenti di popolazioni. Non si è spenta nella popolazione italiana dell’Istria, di Fiume e delle isole del Quarnero, perché questa poesia dell’infanzia è una delle poche cose che tiene radica- ti i superstiti a questa terra, che ce la fa sentire ancora nostra, che ci identifica alla terra stessa, alle sue tradizioni. Le ninne nanne, è assodato, sono canti d’amore, di un affetto particolare, il più alto e il più nobile, quello della madre verso i figli e, quindi anche quando ricalcano schemi costruiti per altri fini, li nobilitano attraverso più adatte stilizzazioni fino ad accostarli, talvolta, al tono mistico della preghiera. Succede così che ninne nanne ed orazioncine per bambini si confondano: motivi delle prime entrano nelle seconde e viceversa. Spesso le ninne nanne e le filastrocche sono ispirate agli animali. Quelle tipiche del nostro territorio non fanno eccezione. Un canarin Gavevo un useleto Vivace e picinin, zalo dal piè al becheto, insoma, un canarin. El saveva far el morto co la testina in zo E co l’ocieto smorto Vardarme per in so. El iera tanto carin E tanto familiar Che svelto sul ditin El granel vigniva becar. A la matina, a l’alba, coi strili el me sveiavo e co mi lo ciamava el me rispondeva: cip-cip. Ma un giorno ososteria Quel picio mio tesor In te le sate el finia Du un gato traditor. Le cheba ribaltada restava sul balcon svoda e insanguinada, o dio quanta passion! San Girolamo A ndroclo, leggendario schiavo romano, sarebbe vissuto nel II secolo dopo Cristo. Il suo padrone governava con la carica di proconsole in Africa ed era una persona ingiusta in quanto lo fustigava quotidianamente senza un reale motivo. Lo schiavo fuggì e per far perdere le sue tracce, si nascose in una caverna. Androclo si rese conto ben presto di essersi rifugiato nella tana di un enorme leone, che avvicinatosi, gli mostrò inaspettatamente una zampa sanguinante. Lo schiavo, preso coraggio, cercò di curare l’animale estraendo dalla zampa una grossa scheggia di legno e pulendo quindi la ferita. A quel punto il leone si addormentò placidamente. I due vissero insieme nella grotta per tre anni, mangiando anche lo stesso cibo. Tempo dopo Androclo fu catturato e condannato a battersi contro le fiere del Circo Massimo: ma proprio tra queste c’era il leone divenuto suo amico, che non solo lo risparmiò, ma gli fece anche le feste, come un cane felice di rivedere il suo padrone. Lo schiavo, mezzo morto di paura, riconoscendo il leone, si riprese e lo accarezzò affettuosamente. Ad Androclo fu concessa la grazia e gli venne donato lo stesso leone. La vicenda è riportata dagli scritti di Aulo Gallio e ricorda vagamente un’altra leggenda, quella secondo cui San Girolamo fece amicizia con un leone togliendogli una spina dalla zampa come ricordano le iconografie del santo e i diversi dipinti che lo ritraggono in compagnia dell’animale come quello di Leonardo da Vinci esposto nei Musei Vaticani. Esiste un’altra storia molto simile. In questa terza versione il protagonista assieme al leone è un pastore. Il leone e il pastore Un leone, mentre vagabondava, calpestò una spina e subito si recò da un pastore agitando la coda in atteggiamento amichevole. Gli disse: “Non spaventarti: il cibo non mi manca, ma ti scongiuro di aiutarmi”. Sollevata la zampa, la posò in grembo all’uo- Androclo estrae la spina dalla zampa del leone mo. Il pastore gli estrasse la spina dalla zampa. Il leone ritornò nei boschi. Poi però il pastore venne falsamente accusato di un delitto e nei giochi che si celebrarono poco dopo, tratto dal carcere, venne gettato in pasto alle belve. Mentre le fiere andavano correndo di qua e di là, un leone, che era quello stesso che era stato medicato tempo addietro, lo riconobbe. E di nuovo, solle- vata la zampa, la pose in grembo al pastore. Quando il re venne a conoscenza di questo, ordinò che il leone fosse risparmiato e che il buon pastore fosse restituito ai genitori. Questa favola, accennata da Seneca e ripresa da Gellio, è assente in Fedro, spiega perché le torture dei nemici non potranno mai avere la meglio nei confronti di chi si comporta bene. Curiosità letteraria L’uccellino poliglotta La canzoncina fiumana… L’ucelin che va per mare Quante pene può portare? Può portare una sola, chi xe dentro e chi xe fora. …che diventa capodistriana (o viceversa) L’uselin che ‘l vien dal mare, che vien a dire, che vien a fare? L’uselin che vien dal mare, porta un massolin de fiori animali 7 Mercoledì, 21 dicembre 2011 ITINERARI Nella Grande Mela troviamo sulla terraferma un lembo d’Oceano Il New York Aquarium di Nevio Tich V enendo da una città come Fiume, con il mare praticamente a portata di mano, ogniqualvolta mi reco a visitare una località nuova avverto subito la voglia di dare, se possibile, uno sguardo a questa immensa distesa blu, che mi dà un senso di profonda libertà e tranquillità. Se poi non si tratta di un mare, ma dell’Oceano Atlantico la curiosità è persino maggiore. New York non è certo una località balneare, anzi la possiamo liberamente definire “una giungla di cemento”, ma sbaglia chi pensa che nella Grande Mela non ci siano bellissime spiagge dove fare il bagno o prendere il sole d’estate o sulle quali fare una passeggiatina rilassante per respirare d’inverno l’odore di salsedine. Il posto giusto è senz’altro Coney Island, nel sud del rione di Brooklyn, dove c’è anche un bellissimo acquario, il New York Aquarium. Un posto molto visitato da bambini e adulti, a prescindere se si tratti di abitanti locali o turisti, e che illustra in pieno l’ambiente marino. DAL 1896 AI NOSTRI GIORNI Il primo acquario di New York ha aperto i battenti il 10 dicembre 1896 a Battery Park, nel rione di Manhattan. Inizialmente ospitava solo 150 esemplari di fauna marina, ma nel corso del tempo il suo più famoso direttore, lo zoologo Charles Haskins Townsend, ha ampliato notevolmente le collezioni. Nell’ottobre 1941, l’acquario a Battery Park venne chiuso a causa del progetto di costruzione di un ponte da Lower Manhattan a Brooklyn. Molte delle creature marine dell’acquario furono ospitate presso il Bronx Zoo fino a dopo la II Guerra mondiale, fu completato il nuovo acquario. Il 6 giugno 1957, l’acquario newyorchese aprì le porte della propria nuova sede a Coney Island. La sua missione è di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi del mare e dei suoi abitanti, con particolari mostre e manifestazioni pubbliche. OLTRE 8.000 SPECIE MARINE Il New York Aquarium occupa attualmente 14 ettari in riva sull’Oceano e ospita nelle proprie vasche 8.000 esemplari di specie marine nei loro habitat naturali. In sostanza, l’Aquario presen- L’ingresso principale ta quattro grandi zone tematiche. La prima dedicata ai mammiferi, con particolare accento al tricheco del Pacifico, sull’otaria e sul leone marino californiano. Tra gli uccelli a suscitare l’interesse dei visitatori è soprattutto il pinguino dalle zampe nere, mentre per quanto riguarda gli abitanti degli abissi troviamo ad esempio lo squalo tigre, il polipo gigante del Pacifico e la “Olinda formosa”, una rara specie di medusa che vive nelle acque del Brasile, Argentina e Giappone. C’è poi il settore dedicato ai rettili e agli anfibi, con esponente principale la tartaruga marina. Nell’acquario sono ricreati molti ambienti marini, come la grande barriera corallina. Inoltre potete vivere l’esperienza del 4D nel futuristico cinema al suo interno. Una sensazione molto particolare, che non si può descrivere a parole e che va assolutamente provata dal vivo. Durante l’estate l’acquario apre le porte dell’Aquatheater, un’arena all’aperto con tanti spettacoli di delfini e leoni marini, che stuzzica soprattutto la curiosità dei più piccoli. CON BERTHA NEL CUORE Come per tutti i cittadini illustri della Grande Mela anche a Bertha il New York Times ha dedicato nel 2008 un “coccodrillo” in seguito alla sua scomparsa. Bertha, però, non era una persona, bensì uno squalo toro, che da oltre quarant’anni nuotava nelle vasche del New York Aquarium. “È stato molto triste prendere la decisione di perdere questo animale”, ricorda Hans Walters, supervisore degli squali dell’acquario, spiegando di aver dovuto “addormentare” Bertha. “La sua salute era peggiorata nell’ultimo mese e avevamo iniziato un trattamento. Sembrava essere migliorata, ma alla fine era peggiorata nuovamente. Abbiamo iniziato a somministrarle una nuova terapia ma non ha avuto risultato e a un certo punto abbiamo capito che era giunto il momento”. Bertha, che era lunga due metri e mezzo, viveva insieme ad altri cinque squali toro, due squali nutrice e un pinnabianca. Era arrivata a Brooklyn tra il 1963 e il 1965, diventando negli ultimi anni uno dei “senatori” del NY Aquarium. 20.000 leghe sotto i mari 8 animali LA FOTO DEL MESE Realtà e finzione Mercoledì, 21 dicembre 2011 AGENDA Associazioni “Snoopy” – Pola Gsm: 098/9230-461 Web: www.snoopy.hr “Ruka šapi” – Pola GSM: 091/3914-561 e 092/2535-999 Web: www.ruka-sapi.hr Canile di Pola Tel: 052/541-100 Gsm: 098/855-066 Società per la protezione degli animali di Fiume Gsm: 098/649-939, 098/814-775 e 095/536-4548 Web: www.azil.org “Lunjo i Maza” – Laurana Gsm: 091/763-8892 Web: www.lunjoimaza.org Associazione per la tutela dei gatti “Mijau” Gsm: 091/543-5819, 091/8875-688 e 091/7386268 E-mail: [email protected] Associazione amici degli animali “Capica” – Fiume Gsm: 098/264-892 e 092/285-9622 Web: www.capica.hr Traži se prijatelj – Fiume Web: www.traziseprijatelj.com.hr Gsm: 091/594-5694 Rifugio per animali Lič Gsm: 098/187-36-88 Web: www.skloniste-lic.com Gruppi cinofili È incredibile come la realtà e la finzione spesso combacino. Nella foto scattata di recente dalla nostra fotoreporter sul Corso a Fiume sono ritratti tre barboncini in carne, pelo ed ossa collegati assieme da una serie di guinzagli di corda. Nell’altra istantanea è raffigurata, invece, una statuina di porcellana acquistata decenni fa da una famiglia di nostri lettori. Anche in questo caso si tratta di tre barboncini, una mamma con i propri due cuccioli collegati assieme da una catenina dorata. (kb) CURIOSITÀ I pinguini innamorati Società cinofila “OPATIJA” Casella postale 12, 51410 Abbazia Tel: 051/250-555 Società cinofila “RIJEKA” Via dei combattenti di Valscurigne 2a, 51000 Fiume Tel: 051/216-030 Gsm: 091/563-4460 E-mail: [email protected] Club di cinofilia sportiva “RIJEKA” Via Kumičić 38, 51000 Fiume Tel: 051/421-457 Gsm: 091/120-8975 E-mail: [email protected] Associazione cinofila “BUZET” Piazza Fontana 7, 52420 Pinguente Tel: 052/773-654 Gsm: 098/207-689 E-mail: [email protected] Associazione cinofila “LABIN” Vines, Casa di cultura s.n., 52220 Albona Gsm: 098/610-801 E-mail: [email protected] Società cinofila “POREČ” Via Mauro Gioseffi s.n., 52440 Parenzo Tel: 052/431-530 Società cinofila “PULA” Via Marulić 4/I, 52100 Pola Tel: 052/535-041 Società cinofila “ROVINJ” Via della 43.esima divisione istriana 34, 52210 Rovigno Tel: 052/829-041 Gsm: 091/568-2781 E-mail: [email protected] Club “ISTARSKI GONIČ” Via Albona s.n., 52470 Umago Tel: 052/756-006, 052/742-101 e 052/742-019 Società cinofila “PAZIN” 52000 Pisino Tel: 052/624-361 Gsm: 091/624-7210 Società cinofila “ISTARSKI GONIČ” Via dell’Istria 36, 52460 Buie Tel: 052/742-884 Gsm: 091/252-8165 Il girasole Porpetto (Udine) tel/fax: +39 0431 60375 Società venatorie Federazione italiana della caccia Via Salaria 298/A, 00199 Roma Tel: +39/06/8440941 Fax: +39/06/844094217 Web: www.federcaccia.org Federazione croata della caccia Via Vladimir Nazor 63, 10000 Zagreb Tel: 01/48-34-560, 01/48-34-559 Fax: 01/48-34-557 Web: www.hls.com.hr Federazione slovena della caccia Via Župančič 9, 1000 Lubiana Tel: +386/01/24-10-910 Fax:+386/01/24-10-926 Web: www.lovska-zveza.si Associazione venatoria di Capodistria Via del distaccamento istriano 2, 6000 Capodistria Tel: +386/041/427-321 E-mail: [email protected] Associazione venatoria di Isola Baredi 20, 6310 Isola Tel: +386/041/327-650 E-mail: lovska.druzina.izola @siol.net “Platak” – Fiume Via Frane Rački, 51000 Fiume Gsm: 091/537-0818 “Lane” – Abbazia Via M.Lahinja 14, 51410 Abbazia Tel: 051/271-515 Fax: 051/718-913 Gsm: 091/272-6921 “Kobac 1960” – Laurana Via Maresciallo Tito 84, 51415 Laurana Tel: 051/292-461, Gsm: 091/912-2143 “Perun” – Draga di Moschiena Mošćenice 21, 51417 Draga di Moschiena Tel: 051/737-441 Fax: 051/739-030 Gsm: 091/794-2590 “Kamenjarka” – Lussinpiccolo Casella postale 96, 51550 Lussinpiccolo Gsm: 098/240-864 “Orebica” – Cherso Via 20 travanj 3, 51557 Cherso Gsm: 098/864-894 “Lisjak” – Castua Šporova jama 2, 51215 Castua Tel: 051/543-238 Gsm. 091/790-7148 CURIOSITÀ Becchini alati Ricordate i due pinguini Buddy e Pedro che avevano fra di loro dei comportamenti omosessuali all’interno dello zoo di Toronto? Ecco, una volta separati, Buddy si è accoppiato con una femmina. A nulla sono valse le molte iniziative fatte dalle associazioni omosessuali che li volevano gay e felici. Alla fine, la ragione della preservazione della specie, in via di estinzione, ha avuto la meglio e i due pinguini gay Pedro e Buddy sono stati separati. Buddy si è felicemente accoppiato con una femmina, mentre Pedro pare stia corteggiando Thandiwey, un pinguino femmina. Intanto, il resposanbile del settore invertebrati e volatili del giardino zoologico canadese assicura che la loro separazione è provvisoria e che i due potranno ritornare insieme una volta raggiunto lo scopo della separazione, fra qualche mese. “Ci sarà un limite temporale alla separazione. Non importa cosa accadrà: tutti i pinguini saranno riuniti in primavera. Se Pedro e Buddy vorranno tornare insieme, saremo felici di accontentarli”, è stato annunciato da Toronto. In India, i seguaci della religione parsa non seppelliscono i morti, ma li lasciano all’aperto, perché non devono contaminare la terra, l’acqua e il fuoco, che sono ritenuti sacri. Si fa affidamento sugli avvoltoi grifoni dell’Himalaya, un tempo numerosi, perché spolpino i cadaveri e lascino soltanto lo scheletro. Tutto questo avviene in una località funeraria apposita. Il guaio è che gli avvoltoi sono quasi scomparsi e tutti quei cadaveri in decomposizione sono un pericolo per la salute pubblica. Per cui si cerca di reintrodurre i grifoni con un piano di allevamento. (ra) Anno IV/ n. 45 del 21 dicembre 2011 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: ANIMALI / e-mail: [email protected] Redattore esecutivo: Krsto Babić / Impaginazione: Denis Host-Silvani Collaboratori: Giorgio Adria, Renata Akkad, Marco Grilli, Valentino Pizzulin, Sabrina Ružić e Nevio Tich Foto: Graziella Tatalović e d’archivio