il rinnegato - Edizioni Piemme

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IL RINNEGATO
JACK WHYTE
Le cronache di Braveheart
IL RINNEGATO
The Renegade
Traduzione di
Alessandra Roccato/Grandi & Associati
Titolo originale: The Renegade
© 2012 by Jack Whyte
Published in agreement with the Author, c/o Baror International
Inc., Armonk, New York, Usa.
All rights reserved.
Traduzione di Alessandra Roccato / Grandi & Associati
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni
dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia
con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl - Cormano (MI)
ISBN 978-88-566-2548-6
I Edizione 2013
© 2013 - EDIZIONI PIEMME Spa, Milano
www.edizpiemme.it
Anno 2013-2014-2015   -   Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Prologo
Giovedì 16 maggio 1297
Il giorno in cui la sua vita cambiò per sempre Robert Bruce
si svegliò di cattivo umore. Non aveva idea che sarebbe stata una giornata così importante, ma appena aprì gli occhi si
rese conto che sarebbe stata poco piacevole, e il tamburellare della pioggia che scrosciava sul tetto della tenda nell’oscurità che precedeva l’alba ne era un chiaro presagio.
«I fuochi sono spenti e tutti hanno le chiappe a mollo,
quindi niente punch caldo stamattina.» La voce tonante di
Thomas Beg giunse dalle tenebre ai piedi del pagliericcio,
seguita dal sommesso rumore metallico della scatola in cui
teneva l’occorrente per accendere il fuoco. «Merda! È quasi
spento. State fermo lì e aspettate che faccia un po’ di luce.»
Bruce rimase immobile nell’oscurità, costringendosi a
ignorare la pioggia battente. Udì il suo aiutante di campo
armeggiare con esca e acciarino e soffiare delicatamente
sulle braci, fino a ottenere una fiammella.
«Ecco fatto! Si è acceso, finalmente!»
Un fievole bagliore balenò nel buio, diventando sempre
più intenso. Il coperchio della scatola si chiuse con un sommesso scatto metallico quando Thomas Beg la posò per terra davanti a sé, sbuffando concentrato mentre continuava a
lavorare. Bruce attese che il gigantesco scozzese accostasse
con cautela una candela alla fiammella, e un istante dopo
vide lo stoppino prendere fuoco e accendersi.
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«Maledetta pioggia.» Il gigante si alzò in piedi, tenendo
la candela in una mano mentre con l’altra riparava la fiamma, e si spostò con cautela fino al tavolino accanto al letto
di Bruce, dove ce n’era una seconda. Poco dopo, la luce dei
due lumi inondò la tenda e Bruce si sollevò, puntellandosi
su un gomito.
«È presto» mormorò stropicciandosi gli occhi con la mano libera.
«È quello che volevate, no?» Thomas Beg lo stava fissando dall’alto, la fronte aggrottata.
«Aye, certo, e ti ringrazio. Da quanto tempo sei in piedi?»
«Abbastanza da capire che è stata una notte d’inferno e
che la giornata non sarà migliore. In tutto il campo non è
rimasto acceso un solo fuoco. Se non mi fosse venuto in
mente di mettere da parte un po’ di brace prima di andare
a letto, ce ne andremmo in giro incespicando come ciechi.
E la pioggia? Mai vista tanta acqua in vita mia. Mi ha svegliato, tanto veniva giù forte. E non ho certo il sonno leggero, io. Ma è meglio che vi alziate anche voi, se volete essere
pronto quando quel bastardo di un inglese uscirà dalla sua
tenda. Fate attenzione ai piedi, però.»
«Mmm. Mi alzo subito.» Bruce scostò le coperte e mise i
piedi per terra, ma li ritrasse di colpo non appena toccò il
terreno, gelido e pregno d’acqua.
«Io vi avevo avvertito.» Thomas Beg scosse il capo e gli
porse gli stivali, poi rimase a guardare mentre il conte li infilava faticosamente, sistemandosi le calze bagnate e allacciando le stringhe ben strette prima di alzarsi in piedi e raddrizzarsi il gambesone e i mutandoni con cui era andato a
letto.
«Ho bisogno della latrina» borbottò Bruce.
«Indossate il mantello» gli consigliò il compagno mentre
il conte si avvicinava all’entrata della tenda e ne sollevava
un lembo, scrutando all’esterno per un istante.
Thomas Beg guardò Bruce uscire e rimase in ascolto dei
tonfi degli stivali che si allontanavano nell’erba. Quando si
affievolirono, inghiottiti dalla notte piovosa, piegò e arrotolò il giaciglio del suo signore, versò dell’acqua nel catino e
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preparò un ruvido telo sul tavolino. Poi si avvicinò al cavalletto a T su cui era sistemata l’armatura di Bruce e tirò giù
un paio di brache di maglia di ferro munite di cintura.
Le teneva pronte in mano quando il conte tornò nella
tenda, armeggiando a capo chino con i lacci dei mutandoni
prima di sollevare le braccia per permettere a Thomas di
passargli la cintura delle brache intorno alla vita. Il conte se
l’agganciò e la strinse, poi si voltò per permettere all’attendente di allacciare le fibbie che chiudevano le brache da
metà coscia fino alle caviglie, infine si scosse per sistemare il
pesante indumento. Quando si sentì a proprio agio si sciacquò il viso, si versò dell’acqua sui capelli cortissimi e si strofinò il capo. Si asciugò per prima cosa gli occhi, quindi prese il telo per le due estremità e lo fece scorrere intorno al
collo, tirandolo con vigore da una parte e dall’altra prima di
passare alla testa, al viso e alle mani.
«Ecco fatto» disse infine. «Molto meglio. Funziona sempre: per quanto tu ti senta infreddolito e avvilito, lavarsi
con l’acqua fredda e strofinarsi energicamente il collo con
un telo ruvido ti riscalda.»
«Aye, così ho sentito dire... tutti i giorni.»
Il commento strappò a Bruce un sorriso, il primo della
giornata, quando si voltò verso l’aiutante che ora teneva in
mano l’usbergo di maglia metallica che il conte avrebbe indossato sopra il gambesone.
«Fatevi mettere questo affare e poi mangeremo» borbottò il gigante.
«Mangiare? E che cosa, con questo tempaccio? Erba bagnata?»
«Alle pecore piace. Venite qua, adesso.»
Lavorarono insieme in silenzio, la fronte aggrottata per
la concentrazione, mentre Bruce si infilava con movimenti
goffi l’indumento stretto e ingombrante, facendo passare il
capo nell’apertura del collo e lottando per inserire le braccia nelle maniche, prima di tirare e spingere per sistemare
il corpetto e la pesantissima parte inferiore della cotta di
maglia di ferro. Un guerriero poteva indossare l’usbergo
anche senza aiuto, ma era un’impresa ingrata e lunga, e
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quasi tutti preferivano affrontarla in coppia, dividendo la
fatica. Thomas Beg, che era al servizio di Bruce da molto
tempo, era ormai in grado di svolgere quel compito con rapida efficienza, abilità che il conte apprezzava moltissimo.
Thomas, da parte sua, preferiva avere le enormi braccia libere da qualunque impedimento per maneggiare la pesante ascia con cui era solito combattere, e sopra la tunica di
maglia di ferro, corta e senza maniche, indossava solo un
giustacuore di cuoio. Sotto la cintola, l’unica protezione
che si concedeva erano dei robusti gambali, anch’essi di
cuoio, agganciati in modo da proteggere la parte anteriore
e quella posteriore delle cosce e rinforzati con strisce d’acciaio sovrapposte. Gli stivali erano simili a quelli di Bruce,
fatti dallo stesso calzolaio ma rinforzati, come gli schinieri,
con altre strisce d’acciaio abbastanza robuste da deflettere
un colpo di spada.
Bruce aspettò con pazienza mentre Thomas gli agganciava in fretta le fibbie che chiudevano l’usbergo sulla schiena.
La lunga tunica di maglia di ferro, con il suo familiare odore di sudore umano ed equino, metallo e olio che serviva a
impedire che arrugginisse, era tagliata dalla vita in giù sia
davanti sia dietro, per consentire a chi la indossava di stare
in sella. Thomas Beg fece un passo indietro per osservare
con aria critica come cadeva. Infine annuì, soddisfatto, e si
chinò a prendere un fagottino di tela che aveva appoggiato
sul coperchio della scatola con l’occorrente per accendere il
fuoco.
Quando aprì il cartoccio, rivelando il suo contenuto fumante, Bruce sorrise di piacere: era una succulenta fetta di
carne, pressata tra due fette di pane spesse un pollice e tagliata in due porzioni. «Sia gloria al Signore» disse con l’acquolina in bocca. «E quella da dove salta fuori?»
Thomas Beg si irrigidì. «Secondo voi? Ieri sera ho notato
che discutevate con quel dannato inglese, prima che ve ne
andaste senza aver mangiato nulla, e sapevo che ve ne sareste pentito. Così ho preso un po’ di quello che era rimasto e
me lo sono portato via. Solo che poi non vi ho più visto.
Dovete essere venuto dritto a letto.»
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«Aye, è quello che ho fatto. Quel dannato inglese mi ha
fatto dimenticare la cena. Gesù, quel tizio è insopportabile.
Ho dovuto andarmene, per non mettergli le mani addosso.
Zotico bastardo. Comunque sia, sono in debito con te, Tam.
Di nuovo.»
Nessuno dei due aggiunse altro finché non ebbero finito
di mangiare, poi, sempre in silenzio, Thomas aiutò il conte
a indossare gli ultimi pezzi dell’armatura, sistemandogli sul
capo il camaglio foderato di cuoio, con le falde che coprivano il collo e le spalle, e allacciandoglielo sotto il mento prima di aggiungere la pesante corazza d’acciaio che proteggeva la schiena e il petto.
Stava fissando le ultime fibbie quando il fragore martellante della pioggia si spense di colpo, lasciando il posto al
rumore dell’acqua che gocciolava dal tetto spiovente della
tenda.
«Be’,» borbottò «grazie a Dio ha smesso. Sguazzeremo
comunque nel fango, ma almeno non ci bagneremo la testa.
A patto che non cominci di nuovo.» Si allontanò per scostare un lembo della tenda e rimase lì a guardare per un po’,
ascoltando il rumore dei passi di coloro che si muovevano,
invisibili, nell’oscurità. Quando un fragore di picche che cadevano, seguito da una sequela di coloriti improperi, annunciò che qualcuno, muovendosi a tentoni nelle tenebre, era
inciampato in una pila di lance, tornò a girarsi verso Bruce.
«È più buio di quanto dovrebbe, ma non avrebbe senso
portarsi dietro una torcia, anche ammesso che ne avessimo
una. Le nuvole devono essere terribilmente spesse. Siete
pronto?»
«Per quanto è possibile» rispose Bruce, tirando e spostando il fodero della spada finché non si sentì comodo.
«Andiamo a vedere se riusciamo a trovare quel lagnoso bastardo di uno scrivano, Benstead, per iniziare questa giornata in modo propizio.»
Thomas Beg lo guardò in tralice, ignorando l’ironia con cui
aveva sottolineato l’ultima parola. «Benstead?» domandò.
«Credevo lo aveste rimesso al suo posto una volta per tutte,
ieri. Perché mai dovreste andarlo a cercare ora?»
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Bruce sbuffò, disgustato. «Per via del suo vero ruolo. È
il rappresentante ufficiale di Edoardo. Cosa che non posso
cambiare né ignorare, anche se mi piacerebbe. Quindi andremo a cercarlo subito, per vedere se ha qualcosa da dire.
Dubito che mi piacerà quel che uscirà dalla sua bocca:
quell’uomo è un rettile velenoso. Ma in questo caso si tratta
di dovere, e non tanto nei suoi confronti quanto verso il suo
signore. Forza, fammi strada.»
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La contessa
«Ahi! Piccolo mostro!» Marjorie Bruce, contessa di Carrick, inarcò la schiena all’indietro e si staccò dal neonato
che stava allattando, ma l’ultimo dei suoi figli stava mettendo i dentini e non sembrava disposto ad allentare la presa
sul capezzolo.
La balia si precipitò verso di lei con una smorfia di simpatia e prese in braccio il bambino.
«Porta via questo piccolo cannibale» disse la contessa sistemandosi il corpetto. «Ora che ha finito di poppare dormirà tutto il pomeriggio, e io devo iniziare a prepararmi. Madre
di Dio, che giornata. Assicurati che faccia il ruttino, o ululerà come un lupo. E mandami Allie quando esci. Ho bisogno che mi aiuti, perché il conte Robert dovrebbe arrivare
a momenti e quando gli darò il benvenuto non voglio avere
l’aria di chi ha passato la notte nella stalla, con le mucche.
Domani il re in persona sarà qui, e il nostro Nicol dovrebbe
portare il giovane Robert e Angus Mohr nel pomeriggio, e
Dio solo sa quante cose abbiamo da fare prima del loro arrivo, quindi sbrigati e assicurati che anche gli altri bambini
siano puliti e abbiano mangiato.»
La balia annuì e se ne andò stringendosi il piccolo al petto, mentre la sua padrona si alzava, mettendosi le mani sui
fianchi e flettendo il busto avanti e indietro. Era incinta di
nuovo, e anche se ancora non si vedeva iniziava ad avvertire
i primi, familiari cambiamenti nel proprio corpo. Quel figlio sarebbe stato l’ottavo, a Dio piacendo, e a volte si sco-
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priva a chiedersi, con un filo di tristezza, se c’era mai stato
un momento nella sua vita adulta in cui non fosse stata gravida. Non se ne sarebbe mai lamentata, tuttavia, perché
Marjorie di Carrick credeva con tutta se stessa che Dio le
avesse fatto la grazia di diventare madre di una prole numerosa e felice in un’epoca in cui molte donne disperavano di
poter partorire e crescere anche un solo figlio. E per questo
riteneva di essere benedetta. Per molto tempo, quando era
più giovane, aveva temuto di non poter concepire.
Assorta in quelle riflessioni, si sedette su una poltrona accanto al grande camino in pietra e guardò l’accogliente stanza riservata alla famiglia, al secondo piano del mastio del
castello, elencando mentalmente ciò che occorreva fare per
renderla pulita, presentabile e accogliente in vista dell’arrivo del marito. Notando un indumento per terra, si chinò a
recuperarlo. Era un minuscolo berretto di lana che conservava ancora traccia del calore della testolina del bimbo. Rimase seduta per un po’ a fissarlo, lisciandolo con le dita e
sorridendo tra sé, mentre rifletteva sulle imperscrutabili vie
del Signore e su quanto fosse inutile cercare di scoprire che
cosa aveva in serbo per loro.
Essendo la sola erede di Carrick, unica figlia di un padre
vedovo, Marjorie era stata data in sposa all’età di undici
anni a un uomo che aveva quindici primavere più di lei e si
era ritrovata sola prima ancora di raggiungere la pubertà,
quando il suo testardo marito era partito al seguito di re
Edoardo d’Inghilterra per raggiungere le armate cristiane
dirette in Terra Santa per la sfortunata nona crociata. Era
morto ad Acri, ucciso in un’assurda scaramuccia contro il
sultano dei Mamelucchi Baibar – un nome tuttora incomprensibile per Marjorie – lasciandola vedova e illibata ad
appena quattordici anni.
Distrutta dalla notizia della morte del marito, era stata
quasi sopraffatta dalla disperazione, isolata e sola com’era
nella remota fortezza di Turnberry, a miglia di distanza da
qualunque luogo e con scarse probabilità di incontrare
qualcun altro che potesse prenderla in sposa. Il conte suo
padre era un brav’uomo, ma si avventurava raramente lon-
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tano da casa, e a Turnberry, con le sue antiche e solide mura
e la posizione quasi inaccessibile in riva al mare, arrivavano
pochissimi visitatori, e tra questi quasi nessuno era un partito accettabile.
Nei tre anni seguenti, il timore di un futuro senza un marito e senza figli aveva iniziato a sembrarle sempre più concreto, tanto più che sua zia Matilda, l’unica sorella di sua
madre ancora in vita, una donna austera e dalle labbra sottili che odiava gli uomini e che era stata destinata al convento fin da ragazzina, si era messa d’impegno per assicurarsi
che la giovanissima vedova trovasse consolazione nel diventare sposa di Cristo.
Per grazia di Dio il conte Niall non era d’accordo con la
cognata. Non aveva figli maschi, ma andava orgoglioso della sua figliola, una donna allegra, irreprensibile e grande
lavoratrice che, come amava ripetere, era la sua erede naturale e pari a qualunque uomo avesse intorno, giacché era
dotata della forza d’animo, del vigore fisico e della determinazione necessari per occuparsi delle sue terre e della sua
gente e per farsi strada nel mondo. E tutto questo, aggiungeva con affetto, nonostante l’immeritata sfortuna di aver
perso il marito quando era quasi troppo giovane per capire
che cosa le fosse capitato.
Il conte Niall era morto poco dopo il sedicesimo compleanno di Marjorie a causa dell’infezione di una ferita riportata durante una battuta di caccia al cinghiale, ma grazie alla sua amicizia con re Alessandro, prima di morire si
era assicurato che il titolo di contessa di Carrick passasse di
diritto alla sua amata figlia, con la benedizione e il sostegno
dello stesso sovrano. Marjorie era nobile quanto l’uomo
che aveva sposato poco dopo, Robert Bruce VI, e forse anche di più, giacché discendeva in linea diretta dagli antichi
re gaelici mentre lui era di stirpe franco-normanna.
La porta alle spalle di Marjorie si aprì e Allie, la governante, entrò borbottando sottovoce come suo solito, tirandosi dietro la grande borsa di tessuto dai manici di legno
che portava sempre con sé. Era grazie a lei e al marito, Murdo MacMurdo di Stranraer, il fattore, che la vita a Turnber-
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ry Castle funzionava senza intoppi. I due erano al servizio
dei conti di Carrick già ai tempi del padre di Marjorie e si
occupavano della miriade di dettagli che riguardavano la
gestione della dimora e delle terre con estrema efficienza.
«Il conte Robert è in ritardo» annunciò Allie prima ancora che la sua padrona avesse il tempo di voltarsi. «Il che,
visto come vanno le cose oggi, è una benedizione. Kirsty
aveva ragione: quel giovane pecoraio, Hector, si è rotto una
gamba cadendo dal carro quando l’assale si è spezzato. La
frattura è netta e frate Callum l’ha steccata, ma il ragazzo
non potrà correre molto per i prossimi...» Poi, notando
l’espressione della padrona, sgranò gli occhi. «Che è successo? State bene, bambina?»
Marjorie la guardò, sorpresa, perché non si era resa conto
che ci fosse qualcosa che non andava. «No, nessun problema» rispose con quello che immaginava fosse un cipiglio
spazientito. «Stavo solo pensando a tutto quello che c’è da
fare prima che il conte torni a casa, e devo essermi messa a
sognare a occhi aperti. Non ti ho sentita entrare e mi hai
fatto prendere un colpo, ecco tutto.»
Allie tirò su col naso e la sua espressione si addolcì. «Aye,
avete ragione a proposito di tutto quello che c’è da fare.
L’ultima cosa di cui avevamo bisogno oggi era un brutto
incidente. Ma il ragazzo sta abbastanza bene, come ho detto, e abbiamo un capretto in più sul quale non avevamo
fatto conto per sfamare i nostri ospiti domani. Quella stupida bestia è volata fuori dal carretto quando si è inclinato,
ed è rotolata sotto una ruota abbastanza lontano da farsi
ammazzare quando il pianale è crollato. Si è rotta il collo e
adesso è in cucina, dove il cuoco la sta pulendo per cuocerla allo spiedo. Inoltre stamattina Murdo ha mandato tre
uomini a tagliare legna e prendere torba secca, così il combustibile non manca, e la dispensa è ben rifornita di carne
di manzo e di cervo oltre che di selvaggina e pollame, gallo
cedrone, oca, anatra e coniglio. Una squadra di uomini è a
pescare nella baia e un’altra a mettere reti per le trote lungo
il fiume. I forni sono ben caldi e avremo abbastanza pane
da sfamare tutti quanti. I barilotti di Murdo sono pieni di
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birra pronta per essere spillata, ma quell’incapace del mercante di vino di Ayr non si è fatto vedere. Avrebbe dovuto
passare di qui la settimana scorsa e probabilmente si farà
vedere il mese prossimo, ma nel frattempo, se il re degli
scozzesi vuole bere del vino, dovrà portarselo o farsene una
ragione e accontentarsi della birra di Brewster come tutti
noi. Jesse mi ha detto che avete bisogno che vi aiuti. A fare
cosa?»
«A organizzare questa campagna di guerra, Allie, perché
è di questo che si tratta. Dovremo intrattenere MacDonald
di Islay e il re contemporaneamente, e il conte Robert non
è ancora arrivato, quindi vieni con me e aiutami a cambiarmi, dopodiché cercheremo di fare il punto della situazione.
A quanto pare Murdo sa esattamente di cosa deve occuparsi, e quindi non dovremmo avere difficoltà a capire che cosa
tocca a noi. Forza, aiutami a piegare queste coperte.»
Insieme raccolsero le variopinte coperte di lana sparpagliate su sedie e cuscini – tra quelle mura di pietra le notti
erano fredde anche d’estate – e dopo averle piegate le impilarono sul lungo tavolo addossato a una parete.
«Quanta gente ci sarà, lo sapete?» domandò la governante.
Marjorie si strinse nelle spalle posando l’ultima coperta.
«Parecchia, temo» rispose. «Nicol porterà Angus Mohr, e
lui senza dubbio sarà accompagnato dal solito codazzo di
vanagloriosi capiclan, ansiosi di vedere il re degli scozzesi,
anche se non lo ammetterebbero mai. E Alessandro, ovviamente, porterà il suo seguito, anche se non credo che sarà
numeroso. Qualcuno dei conti più anziani, suppongo, probabilmente MacDuff, Lennox e Mar. Sembra che siano i
suoi amici più intimi, e potrebbero esserci anche un paio di
vescovi, dal momento che ha bisogno di testimoni per ciò
che ha intenzione di proporre ad Angus Mohr, di qualunque cosa si tratti. Naturalmente ciascuno di loro sarà scortato dai propri uomini. Potrebbero arrivare fino a trenta.»
«Madre di Dio! Pensavo una ventina al massimo, ma addirittura trenta?»
«Aye, e potrebbero essere anche di più. Non ne avremo
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la certezza finché non arriveranno. Per quel che ne so potrebbero essercene persino altri dieci.»
«Ma dove li metteremo, tutti quanti?»
«Vieni con me e te lo dirò.»
La contessa si avviò verso una massiccia porta rivestita di
feltro per bloccare gli spifferi, ed entrò nel suo spogliatoio
privato, una stanza inondata dalla luce del giorno, che si
riversava dalle finestre alte e strette.
«Vediamo...» mormorò iniziando a passare in rassegna
gli abiti appesi nell’armadio di legno massiccio che campeggiava nella stanza. Non c’erano molti indumenti all’interno,
solo qualche veste dai colori vivaci, ma su uno scaffale di
fianco all’armadio spiccava un’insolita collezione di accessori: sciarpe di seta e scialli di lana, cinture di cuoio e gioielli di ogni colore, forma e dimensione, perché Marjorie di
Carrick aveva l’innata capacità, tutta femminile, di far apparire più raffinati i suoi abiti semplicissimi impreziosendoli con quegli ornamenti.
«Di cosa stavamo parlando? Oh, aye, di dove sistemare
gli uomini al seguito dei nostri ospiti, come li chiama il conte Robert. Be’, li metteremo dove li abbiamo sempre messi.» Socchiuse gli occhi scrutando le vesti appese e valutando mentalmente le diverse possibilità. «Non è la prima
volta che Carrick ospita il re degli scozzesi e non abbiamo
mai avuto problemi in passato, quindi non c’è ragione di
preoccuparsi.» Scelse alcuni capi e li passò ad Allie prima
di iniziare a togliersi l’abito che indossava. «La stanza per il
re è pronta, ho già provveduto, e ad Angus Mohr daremo
l’altra camera degli ospiti. Degli altri non potrebbe importarmi di meno.» Scelse un lungo nastro giallo chiaro con un
pendente e lo accostò a una delle due vesti che aveva scelto.
Soddisfatta, tese anche quello alla governante e continuò a
svestirsi. «I conti e i vescovi dormiranno nella sala grande,
dove c’è abbastanza spazio per loro, e gli altri, uomini del
seguito o tirapiedi, possono dormire fuori, sul prato. Ci sono abituati, ed è piena estate.
Ricordo quando mia cugina Janet si sposò qui... io ero appena una ragazzina. C’erano così tante persone che non po-
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tevamo ospitarle tutte dentro le mura e finirono per costruire
quella che sembrava una città di tende lungo il fiume. Rimasero qui per una settimana o più. Quindi la gente andrà
dove deve andare. Non è compito mio ospitarli tutti, soprattutto se non li ho invitati io. Questa è una casa. Grande,
è vero, ma pur sempre una casa, non una locanda.» Slacciò
l’ultimo bottone dell’abito e l’indumento le scivolò di dosso
raccogliendosi ai suoi piedi. Marjorie lo scavalcò, restando
con una semplice tunica lunga fino alle ginocchia, e si voltò
verso la parete accanto all’armadio, dove Murdo aveva appeso un lungo, lucido specchio incorniciato, ricavato da
un’unica lastra d’ottone perfettamente liscia che il conte
Robert le aveva comprato molti anni prima a York, durante
uno dei suoi viaggi in Inghilterra. Era il suo orgoglio e la sua
gioia, e l’unica concessione in tutto il castello alla vanità
femminile.
Rimase in piedi in silenzio per un po’, osservando il proprio riflesso, ancora stupita, pur dopo tanto tempo, della
fedeltà con cui lo specchio restituiva la sua immagine, e studiando con aria critica i cambiamenti che quegli anni – e
sette figli sani che aveva allattato personalmente – avevano
apportato al suo corpo. La sua figura era ancora aggraziata,
lo sapeva, e attraente per l’uomo che amava. Il seno, nonostante i dieci anni di gravidanze, era ancora notevole. E lei
lavorava ogni giorno per rassodare il ventre tra un figlio e
l’altro, benché tra i parti non fosse mai passato molto tempo. Aveva delle smagliature sull’addome, ma erano sottili, e
la pancia era meno pronunciata di quanto avrebbe potuto
essere, si vedeva appena sotto gli abiti. Cosce, gambe e glutei erano forti e ben formati e, come le braccia, erano ancora sodi perché percorreva diverse miglia a piedi ogni giorno
per fare visita ai suoi fittavoli e lavorava sodo come tutti gli
altri per mandare avanti il castello e le proprietà. Fin da
quando era piccola non aveva mai evitato la fatica fisica, che
si trattasse di portare al castello il raccolto dei campi circostanti o di dare una mano a pulire le stalle e le scuderie.
Sollevò una mano e la fece scorrere tra i capelli per assicurarsi che fossero puliti, decidendo che avrebbe dovuto
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trovare il tempo di lavarseli prima dell’arrivo degli uomini.
Marjorie di Carrick era orgogliosa dei propri capelli e del
fatto che avevano ispirato canzoni e poesie ai bardi che si
erano fermati al castello nel corso degli anni. Anche gli occhi erano particolarmente belli, un tratto che aveva ereditato dalla madre, grandi e ben disegnati sotto le sopracciglia
perfettamente arcuate, le iridi che tendevano al verde più
che all’azzurro e il bianco così brillante che spesso sembrava assumere una sfumatura azzurrina contro la carnagione
piuttosto scura.
Sospirando, raccolse uno degli abiti che aveva scelto e se
lo infilò velocemente, ruotando i fianchi per far cadere bene
la stoffa.
«Comunque,» disse «intendo apparire al meglio se devo
intrattenere sia il re sia l’altro illustre ospite. E questa, almeno, è una cosa su cui posso avere il controllo.»
Allie raccolse e piegò la veste scartata prima di voltarsi di
nuovo verso la padrona, ma il tentativo di Marjorie di placare
le sue preoccupazioni non l’aveva affatto tranquillizzata.
«Mio Dio, pensate a quanto ci costerà» mormorò mentre le
sistemava l’abito sulla schiena. «Come è venuto in mente al
conte Robert di invitare qui il re a fare qualcosa che a buon
diritto avrebbe dovuto avvenire a Dunfermline?»
«Quanto ci costerà?» Marjorie si girò a guardarla, sorridendo e al tempo stesso aggrottando la fronte mentre si aggiustava in vita il vestito. «Vedi se riesci a far sparire quelle
grinze. Sto ingrassando di nuovo e tra poco non riuscirò più
a indossare questa veste, almeno per qualche tempo.»
Allie lanciò un’occhiata alla vita della sua padrona e increspò le labbra. «Non siete affatto male. Bella abbastanza
da mantenere su di voi l’attenzione di vostro marito.»
«Aye, ed è per questo che sono incinta di nuovo. Quanto
ai costi cui accennavi, e al fatto che il re verrà qui anziché
starsene a casa sua... ebbene, non è poi una gran spesa, Allie, considerato quanto ci guadagnerà il conte Robert. I
Carrick non finiranno in miseria per questo, e puoi scommettere che le casse dei Bruce non ne soffriranno nemmeno
un po’. E poi, non è questo ciò che importa. Qui è in gioco
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la dignità del nostro sovrano. Angus Mohr non metterebbe
mai piede a Dunfermline, dal momento che è la residenza
del re. È una questione d’orgoglio tipicamente maschile.
Angus si fa chiamare Signore di Islay, ma non dubito che
quando dice signore nella sua mente intenda sovrano. Quindi per lui andare a Dunfermline significherebbe abbassarsi
al livello del re degli scozzesi, almeno ai suoi occhi. Alessandro lo capisce perfettamente, ne sono certa, ma per qualche
oscuro motivo si è messo in testa di incontrare Angus Mohr
faccia a faccia, e quindi deve per forza farlo da qualche altra
parte. Il conte Robert lo sa, e sa anche che Turnberry è il
luogo ideale in cui entrambi possono sentirsi a proprio agio.
Tutti e due sanno di essere i benvenuti, qui, e sia l’uno sia
l’altro si fidano di Robert e di me – anzi, dovrei dire e anche
di me – perché il conte ha dimostrato la propria fedeltà al
sovrano in più di un’occasione, e perché io conosco sia Angus Mohr sia Alessandro da quando ero una ragazzina.» Si
interruppe, inclinando il capo e tendendo l’orecchio, prima
di sollevare una mano. «Chi è?»
La porta si socchiuse e una delle donne del vicino villaggio di Turnberry si affacciò con aria esitante riuscendo,
malgrado la timidezza, a sbirciare nella stanza e a notare
tutto ciò che c’era da vedere nel luminoso spogliatoio della
contessa. Tutte le donne del villaggio, così come la gran parte degli uomini, erano state richiamate in servizio in vista
della visita reale, e il corpo principale del maniero, del quale in genere si occupavano pochi domestici, era invaso da
una moltitudine di servitori ingaggiati per l’occasione. Ce
n’erano più di quanti Marjorie ricordasse di averne mai visti
in una volta sola.
«Ebbene?» domandò alla donna. «Ti chiami Bella, vero?
Di che cosa hai bisogno?»
La donna annuì. «Perdonatemi, milady, ma alle cucine è
appena arrivato uno degli uomini del conte Robert con un
messaggio per voi.»
«Sai chi è?»
«Aye, signora. È quel tizio grande e grosso che cavalca
sempre insieme al conte, quello senza un orecchio.»
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Marjorie riconobbe all’istante il giovane che chiamavano
scherzosamente il Piccolo Thomas, per via delle sue dimensioni. Non era il più brillante tra gli uomini al seguito di suo
marito, ma era senz’altro uno dei più leali e impavidi. Il
quattordicenne, che era fisicamente gigantesco ma poco più
di un bambino dal punto di vista mentale, si era guadagnato
l’imperitura stima e gratitudine del conte per via della disinteressata ferocia con cui aveva affrontato tre uomini che
avevano teso un’imboscata a Robert, palesemente mandati
per ucciderlo, anche se non si era mai scoperto da chi. Armato solo di un vecchio dirk arrugginito, il ragazzo aveva
abbattuto uno degli aggressori e ne aveva ferito un altro
prima ancora che potessero rendersi conto di cosa stava
succedendo. Il suo attacco aveva dato al conte quell’attimo
di cui aveva bisogno per riprendersi dalla sorpresa, sfoderare la spada e occuparsi degli altri nemici. A quel punto,
tuttavia, il Piccolo Thomas sarebbe stato già ucciso se lo
spadone che lo aveva colpito di striscio tagliandogli un
orecchio lo avesse centrato.
Marjorie si rese conto che la donna era ancora sulla soglia. «Grazie, Bella. È ancora in cucina?» Quest’ultima annuì. «Bene. Digli di rimanere lì e di farsi dare qualcosa da
mangiare. Lo raggiungerò non appena avrò finito qui.»
Poco dopo Thomas Beg si alzò in piedi, arrossendo come
al solito quando la sua signora, che secondo lui era la donna
più bella su cui avesse mai posato gli occhi, entrò nelle cucine e si diresse verso il tavolo di legno grezzo a cui lui era
seduto. Il ragazzo, che fino a un attimo prima stava mangiando di gusto un delizioso stufato di cacciagione ammonticchiato su una fetta di pane appena sfornato, non appena
vide la contessa dimenticò del tutto ciò che stava facendo.
«Thomas» lo salutò lei sorridendo e ignorando il rossore
che gli imporporava il viso. «Mi hanno detto che hai un
messaggio per me da parte del conte Robert.»
Il ragazzo chinò il capo, ma rimase in silenzio.
«Coraggio, parla. Che cosa devi dirmi? O si tratta di qualcosa che non puoi riferire in presenza di altre persone?»
Il gigante arrossì ancora di più e balbettò: «Il conte non
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arriverà oggi. Ma sarà qui presto, con il re. Voleva che lo sapeste, così mi ha mandato avanti, con una lettera per voi».
«Una lettera? Hai una lettera per me?»
Thomas si infilò una mano sotto la camicia e ne estrasse
una borsa di cuoio. Marjorie la prese, la aprì e vide il foglio
di pergamena piegato al suo interno, ma resistette alla tentazione di tirarlo fuori e di leggerlo lì, davanti a tutti, e richiuse la borsa. «Ti ringrazio per avermela portata» disse al
ragazzo. «Sai se il conte aspetta una risposta?» Thomas
scosse il capo scrollando le spalle, e lei soffocò l’impulso di
rimproverarlo, sapendo che mettergli fretta sarebbe servito
solo a peggiorare la situazione. «Che cosa devi fare ora,
Thomas?» gli domandò con gentilezza. «Devi rimanere qui
o il conte Robert si aspetta che tu torni da lui? Dov’era
quando sei partito?»
Thomas Beg scosse il capo, le pupille dilatate come se
fosse prossimo al panico – cosa che gli accadeva ogni volta
che lei gli rivolgeva la parola, aveva notato Marjorie – ma
riuscì a rispondere alla domanda. «È a Dunfermline, milady, insieme al re, ma mi ha mandato avanti perché vi portassi quella.»
Marjorie fece un respiro profondo. «Aye, capisco. Be’,
allora devo leggerla. Siediti e continua a mangiare.»
Si allontanò e raggiunse una robusta sedia a un tavolo più
piccolo dove c’era una candela accesa, prima di aprire la
lettera; si sforzò di mantenere un’espressione impassibile
mentre la leggeva, sapendo che tutti la stavano guardando.
La missiva era scritta in latino, e non con la grafia spigolosa
e aguzza di suo marito: doveva averla dettata a un monaco
o a un prete dell’abbazia di Dunfermline, anche se la brevità era caratteristica del conte. La lesse lentamente e con attenzione, tenendo una mano davanti alla bocca per nascondere agli occhi dei curiosi le labbra che compitavano le
parole latine.
Amor mio, ti scrivo di fretta, sapendo che devi conoscere la
nuova piega che hanno preso gli avvenimenti, non tanto nella sostanza quanto nello scopo. L’Inghilterra è qui a Dunfer-
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mline, nella persona di Edoardo, accompagnato dalla regina
Eleonora e dal loro seguito. Ci sono anche suo fratello Riccardo dell’Ulster e la moglie Margaret, che è incinta e ormai
prossima al parto. L’occasione è un viaggio regale con il quale
Edoardo intende sottolineare la fine della guerra contro il
Galles facendo visita al suo cugino scozzese, prima di intraprendere una nuova campagna in Guascogna.
Quando è venuto a sapere che eravamo diretti a Turnberry
per incontrare Angus Mohr MacDonald, ha deciso di accompagnare il nostro re per fare da testimone all’evento e onorare
la nostra casa, adducendo a pretesto il fatto che non ti vede di
persona da quando presenziammo alla sua incoronazione a
Londra sei anni fa. Così seguirà Alessandro e porterà con sé il
de Burgh dell’Ulster. La regina Eleonora e le sue dame rimarranno a Dunfermline con la cognata Margaret, dal momento
che la contessa dell’Ulster non è in grado di viaggiare, mancando così pochi giorni al parto. Malgrado la presenza di entrambi i sovrani, il corteo reale sarà certo ridotto e tuttavia
ugualmente importante, con de Burgh e gli altri al seguito dei
monarchi, più una scorta reale inglese di dieci armigeri. Più
prossimo alle sessanta persone, temo, che alle trenta che ci
aspettavamo.
Poiché non ho alcuna scelta in questo frangente, posso soltanto avvisarti in anticipo sapendo che farai tutti i passi necessari per prepararti, amore mio, compiendo uno dei tuoi
soliti miracoli. Cercherò di procrastinare il nostro arrivo il più
possibile, organizzando una battuta di caccia per allietare i
nostri ospiti lungo il cammino e per procurare altra selvaggina per le nostre dispense. B.
Uno dei tuoi soliti miracoli, nientemeno! Marjorie rilesse
la lettera, notando il caratteristico svolazzo della “B” in calce
alla missiva che Bruce aveva apposto di proprio pugno, e
ammirando il modo in cui il suo istruito marito sapeva usare
le parole per spiegarsi con chiarezza e concisione. I suoi
pensieri, tuttavia, tornarono subito al nocciolo del messaggio. Sessanta persone avrebbero invaso la sua casa entro
una giornata al massimo. Piegò il foglio con cura, conce-
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dendosi il tempo di pensare e di cancellare dal proprio viso
ogni espressione prima di guardare i presenti. Il giovane
Thomas si era seduto di nuovo, ma continuava a fissarla con
aria timida, mentre le altre quattro persone nella cucina fingevano di ignorarla.
«Allora, Thomas, quando sei partito da Dunfermline?»
«Ieri mattina...» Il ragazzo si schiarì la voce prima di continuare. «Lord Robert mi ha detto di cavalcare come il vento e di non fermarmi finché non fossi arrivato qui.»
«Quanto saranno distanti gli altri, dunque?»
«Dovevano partire stamattina e fermarsi per la notte a
Stirling. Poi lord Robert ha detto che avrebbero trascorso
la notte seguente a Kilmarnock e che sarebbero arrivati qui
il giorno dopo ancora.»
«Ne sei certo? Non arriveranno domani?»
«No, non domani. Il conte Robert ha detto che ci avrebbero messo tre giorni... Credo che i re volessero andare a
caccia di cervi lungo la strada.»
«Dio sia ringraziato per questo, allora. Avremo bisogno di
ogni singolo minuto da qui a quando arriveranno!» Si diresse in fretta verso la porta, ma giunta sulla soglia si girò.
«Grazie, Thomas» disse. «Il conte Robert sarà felice di sapere che ti sei comportato bene. Ora, ti prego, corri a cercare Murdo e mandalo subito da me. Subito, mi raccomando... ho urgente bisogno di lui. Digli che sarò al piano di
sopra. Va’, ora.» Poi uscì, pensando già a ciò che andava
fatto senza indugio, e si diresse verso gli alloggi padronali.
Il primo problema da risolvere riguardava il protocollo, e
Marjorie di Carrick era abbastanza realistica da cogliere
l’ironia insita in quella situazione, anche se non era affatto
divertita. L’inaspettato arrivo di Edoardo d’Inghilterra significava che avrebbe dovuto ospitare quattro uomini orgogliosi e potenti sotto il proprio tetto per diverse notti, ma
aveva soltanto due camere da letto adeguate in cui alloggiarli. Due dei quattro, Edoardo e Alessandro, avrebbero
preteso di avere la precedenza per via del loro titolo reale,
ma che cosa poteva fare con gli altri due? De Burgh, conte
dell’Ulster, era l’uomo più potente d’Irlanda, e sarebbero
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stati degli emeriti sciocchi se avessero pensato che Angus
Mohr MacDonald di Islay si sarebbe lasciato intimidire da
lui. Nei suoi possedimenti sulla terraferma occidentale e
nelle centinaia di isole che formavano il Regno delle Isole,
Angus Mohr era considerato a tutti gli effetti un monarca,
potente nel suo territorio quanto gli altri lo erano nei loro,
e nessuno dubitava della sua autorità o la ignorava apertamente. Inoltre Angus era stato invitato di persona da Re
Alessandro a partecipare a quell’incontro e di conseguenza
era lui l’ospite d’onore che aveva diritto alla migliore sistemazione disponibile. Marjorie non aveva idea di come
avrebbe risolto quel problema, ma non aveva intenzione di
lasciarsi prendere dal panico.
Murdo la raggiunse poco dopo e lei gli fece segno di accomodarsi al lungo tavolo al quale lei e il conte Robert sedevano insieme ogni giorno per occuparsi dei loro affari.
Senza batter ciglio, il fattore si sedette e attese. Conosceva
Marjorie da quando era piccina, e aveva assistito a ogni suo
capriccio, sbalzo d’umore o accesso di collera che lei aveva
aggiunto al suo arsenale femminile crescendo, tanto che ormai la contessa di Carrick non riusciva più a sorprenderlo.
Marjorie lo ragguagliò rapidamente sui cambiamenti sopravvenuti da quando avevano parlato l’ultima volta, quel
mattino. Murdo ascoltò con aria solenne, senza interromperla. Poi, quando fu sicuro che non avesse altro da dire, si
schiarì la voce, annuendo.
«Aye» borbottò. «La Santa Madre di Dio dovette affrontare lo stesso problema: tre re che bussavano alla sua porta,
e tutto quello che aveva era un giaciglio di paglia in una
stalla. Ma quel pagliericcio era per lei e il Bambinello, e
ancor oggi nessuno sa dove abbiano dormito i Magi mentre
erano lì.»
Marjorie aprì la bocca per rimproverarlo, pensando che
stesse diventando impertinente, ma si interruppe quando
lui sollevò una mano.
«Non sono sciocchezze, ragazza mia. Ti sto dicendo soltanto quello che mi è venuto in mente mentre parlavi.» Tacque, fissando il piano del tavolo, e fu Marjorie, a quel pun-
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to, che rimase in silenzio aspettando che continuasse.
Murdo, che la conosceva da quando era una bambina, era
l’unico uomo che si azzardasse a chiamarla “ragazza mia”,
ma non le parlava mai con tanta confidenza in presenza
d’altri.
«Mi è venuta in mente quella volta che il conte Niall ospitò qui quattro importanti vescovi. Quattro vescovi contro i
tuoi quattro re. Quattro principi della Chiesa allora, quattro signori della Terra ora. Ricordi che cosa fece?»
«Murdo, non so di cosa tu stia parlando.»
Lui la guardò sorpreso. «Mi riferisco a quando il conte...»
Si interruppe, socchiudendo gli occhi. «Aye» mormorò. «Sì,
in effetti forse non eri ancora nata, ora che ci penso. È passato molto tempo e io stesso ero giovanissimo... Ebbene,
quattro importanti vescovi vennero a Turnberry contemporaneamente: Richard Inverkeithing di Dunkeld, Clement di
Dunblane, Bondington di Glasgow e il vecchio Gamelin di
St. Andrews... Cristo, sono morti da più di vent’anni, ormai. Ma non è questo il punto. Quello che voglio dire è che
tutti e quattro erano in viaggio per presenziare a un raduno
nel Nord dell’Inghilterra e si fermarono qui, senza preavviso e senza essere invitati, e ciascuno di loro si aspettava di
essere trattato secondo il proprio rango. In verità, tuttavia,
erano tutti di pari lignaggio, anche se ognuno di loro pensava di essere più importante degli altri. Quattro vescovi...»
«E...? Nel nome di Dio, Murdo, che cosa c’entra?»
«Frena, ragazza mia, e ascolta. Ciascuno di loro mandò
avanti un prete con un messaggio per avvisare il conte Niall
che sarebbe arrivato entro una settimana, e accadde che
tutti e quattro i messaggeri giunsero qui lo stesso giorno, a
distanza di qualche ora l’uno dall’altro. Ora, il conte sapeva
che non avrebbe potuto ospitarli tutti e quattro: non aveva
più spazio di quanto ne hai tu adesso, e tuttavia doveva trattarli tutti con lo stesso riguardo. Si arrovellò sulla questione
per un paio di giorni, senza sapere come risolvere il problema, finché tua madre, sia pace all’anima sua, non saltò fuori
con la soluzione.»
«Mia madre?»
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