I CORROTTI PRIMA O POI LA PAGANO» Quella versione che parla

Alla nostra attenzione gli Esami della Maturità Classica 2016
che ci riportano all’eterno valore dell’invettiva di Dante ai corrotti
«I CORROTTI PRIMA O POI LA PAGANO»
Quella versione che parla ai politici
di Cataldo Greco
Temi molto vicini alla realtà quotidiana, hanno fornito spunti di riflessione interessanti (come
sempre riferendosi al filone dei valori), ai nostri ragazzi della Maturità Classica 2016, i quali si sono
cimentati, come abbiamo visto, sulla scelta di Isocrate, secondo il quale «vivere secondo giustizia
non è solo corretto, ma anche conveniente». Da qui l’esortazione ai cittadini «a non cadere nella
trappola dell’ingiustizia» perché «chi viola le norme si illude di trarne un vantaggio immediato, ma
alla lunga finisce in rovina». Parole, ha commentato il grecista Luciano Canfora, che parlano ai
politici di oggi, perché il monito lanciato da Isocrate «è un riferimento che potremmo scolpire su
tutti i palazzi pubblici del nostro Paese».
L’etica di quel messaggio è una lezione importante di vita esistenziale per tutti, ancora attuale.
Il brano, come si ricorderà e come tutti sappiamo, è tratto dall’orazione di Isocrate “Sulla pace” del
355 a.C., presenta, infatti, straordinari spunti
di riflessione sui concetti espressi e
straordinarie opportunità di interpretazione
linguistica. L’invito che Isocrate rivolge ai
suoi concittadini appare, come si è detto, di
estrema attualità: no ad ogni forma di
imperialismo, no alla volontà di dominazione
l’uno sull’altro; sì, invece, alla ricerca di
soluzioni politiche, richieste dalle circostanze
in atto, in grado di far superare la presente crisi
politica, economica e sociale. Gli Stati, i
popoli, per questo devono affidarsi agli
«uomini assennati», agli onesti, in grado di
attenersi a «ciò che più spesso giova» a tutti,
opponendosi a coloro che scelgono la via
dell’interesse, dei propri tornaconti, del male.
È indispensabile allora che ognuno faccia la
sua scelta, recuperando e praticando la virtù,
isolando coloro che corrompono e ingannano
“Dante e Virgilio all’Inferno” (1850)
solo per il loro vantaggio politico e che,
dell’artista francese William-Adolphe Bouguereau
sognando inattuali glorie antiche, mirano a
rinnovare scontri e contrasti, mossi all’unico ideale del loro potere e della loro ricchezza personale
con grave danno per il popolo. Il carattere universale di questo messaggio è scandito da una prosa
musicale, da figure ritmiche ricche di assonanze, antitesi e isocolìe: sono le strutture linguistiche
(participi sostantivati e predicativi), e il lessico pregnante ricco di termini chiave («scegliere»,
«virtù», «essere corrotti», «imbrogliare», ecc.) che danno forza ai concetti espressi. È una bellissima
IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS)
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lezione di etica per fronteggiare l’oggi, questa ci viene data da Isocrate. Contro lo scetticismo
ritroviamo il peso della stessa tensione morale in Dante, contro gli evasori fiscali e la lunga fila dei
corrotti della nostra Italia.
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie,
ma di bordello”, scriveva il nostro Dante Alighieri circa sette secoli fa nel sesto Canto del
Purgatorio. Questa era una denuncia o qualcosa di più? L’Inferno e anche il Purgatorio dantesco
graduano colpe e pene, non uniformano le responsabilità e i delitti posti in essere in vita. La
costruzione delle cantiche dantesche e la struttura anche fisica disegnata dall’Alighieri differenziano
i giudizi sui comportamenti umani. Dante non espone una uniforme denuncia, ma indica
specificatamente colpe e pene e, al culmine dei casi più gravi, lancia invettive morali. La prima
invettiva è nel diciannovesimo Canto dell’Inferno, nell’ottavo Cerchio, dove i fraudolenti, fra i quali
i simoniaci, cioè coloro che in vita fecero commercio di beni spirituali e uffici della Chiesa. In
quella bolgia Dante colloca Papa Bonifacio VIII che era stato una delle principali cause del suo
esilio. In altri Canti dell’Inferno Dante lancia invettive, quando descrive la bolgia dei ladri, nonché
nel Canto assai noto del Conte Ugolino, traditore della città e dei suoi figli. L’invettiva contro i
pisani arriva ad auspicare che le isole di Capraia e Gorgona, dell’arcipelago toscano, si avvicinino
alla foce dell’Arno per ostruirla, per farne straripare le acque e per annegare tutti i pisani. Sette
secoli dopo, la denuncia nella contemporanea commissione mediatica, soprattutto nei lunghi anni
della grave crisi economica, è stata un elemento prevalente, continuo, quasi uniforme, scadenzato
nei palinsesti televisivi, spesso senza differenziare i toni, senza molte distinzioni e tantomeno
sottigliezze, e senza arrivare alle più alte conseguenze morali, senza raggiungere i livelli
dell’invettiva. Ne è conseguita assuefazione, rassegnazione e una sfiducia quasi generalizzata verso
tutto e tutti, una caduta anche delle speranze di un domani migliore, con la crescita di un assai
diffuso scetticismo.
L’appiattimento e la continuità dell’informazione di denuncia, priva della forza morale e
dell’impennata dell’invettiva, ha portato anche una diffusa assuefazione verso vari modi di
delinquere. Nonostante le continue denunce, l’evasione fiscale e la corruzione sono cresciute in un
quadro di frequente rassegnazione. È impellente la necessità di cambiare registro. Occorre
un’impennata etica, una reazione morale che non assuefaccia, ma produca un vero salto di qualità
nel civismo, nei doveri e nei diritti di cittadinanza, per una più consapevole responsabilità civile.
Non si può immaginare che in Italia, così martoriata da una diffusa evasione fiscale e corruzione,
possa essere in grado di divenire una delle grandi Nazioni economicamente e civilmente più
competitive in un mondo assai globalizzato, in un’Europa quanto mai integrata.
Occorre alzare il livello della tensione morale e ideale, non limitarsi alla continuità della denuncia,
ma avere la capacità dantesca di riuscire a realizzare anche invettive di alto spessore morale che
possano essere efficaci per cambiare in meglio la società. Solo dai Pontefici, negli ultimi decenni,
sono venute invettive morali: indimenticabili quelle di Giovanni Paolo II. Ma occorre anche che il
mondo civile cresca una tensione morale per travolgere lo scetticismo uniforme e far produrre forti
ripensamenti. La prima invettiva civile va, oggi, rivolta contro la corruzione e l’evasione fiscale,
contro reati che sono innanzitutto verso la fiducia pubblica, la collettività e gli stessi principi
costituzionali dello Stato di Diritto. La corruzione e l’evasione fiscale sono atteggiamenti da
rifiutare anche come profondamente asociali. Occorre, quindi, ricorrere all’invettiva a sostegno
della legalità, per favorire la ripresa civile ed economica di un’Italia che sta ritrovando (così pare)
qualche via di maggior fiducia.
IL FARO – Periodico del Centro Studi “ Pier Giorgio Frassati ” – Cariati (CS)
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