n. 33 - settembre-dicembre 2010 n. 33 - settembre-dicembre 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Associazione Cori della Toscana 11 ennaio 20 g 1 3 il o tr n e i n io iscriz ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon un secolo di canto popolare RENATO DIONISI INTERVISTA (POSTUMA) UNA GRANDE FESTA CORALE! 1º SALERNO FESTIVAL CONCORSO DI AREZZO FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Regione Toscana 6/9 aprile 2011 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme Italiafestival Feniarco 13/16 aprile 2011 scuole superiori www.feniarco.it NATIVITAS A CHRISTMAS FESTIVAL Anno XI n. 33 - settembre-dicembre 2010 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Pier Paolo Scattolin, Bruno Zanolini, Sandro Filippi, Marco Cimagalli, Marco Rossi, Gian Nicola Vessia, Enrico Miaroma, Rossana Paliaga, Pierfranco Semeraro, Annarita Rigo, Sarah Anania, Alvaro Vatri Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Natività (1429), Miniatura del corale D della Cattedrale di S. Stefano, Museo dell’Opera del Duomo, Palazzo Vescovile, Prato. Su gentile concessione della Fototeca Ufficio Beni Culturali, Diocesi di Prato Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Editoriale Un sommario bilancio dell’anno che si chiude registra una serie di spunti incoraggianti. Per fermarci all’ultimo quadrimestre, il festival di Salerno ha dato l’immagine di una coralità viva, capace di mobilitarsi e coinvolgere una città in un grande evento. Una coralità in cui cresce il senso di appartenenza e la capacità di mettere insieme le proprie esperienze, come ha mostrato anche la recente assemblea nazionale di Trento. Un mondo dove cantare non è solo un passatempo, ma un modo di impegnare se stessi per una crescita personale e collettiva, per raggiungere un obiettivo culturale e civile al tempo stesso. Non è solo una crescita organizzativa, quella della coralità italiana: è voglia di imparare, di cercare, di essere protagonisti di un processo culturale che attraverso il coro proponga elementi di innovazione nella cultura italiana. Anche il cd che pubblichiamo, in questo terzo numero dell’anno, è un segno dei fermenti che crescono nella coralità italiana: sono stati 21 i lavoro pervenuti, segno dell’attenzione che la nostra coralità assegna a questo evento editoriale. Il lavoro de I Piccoli Musici di Casazza, scelto per questo numero, è frutto di un’eccellenza che trova pochi eguali in Italia. Ma se i risultati artistici e musicali da loro raggiunti non sono comuni, dietro di loro non c’è il deserto: cresce una coralità di qualità, tant’è che molti erano i lavori degni di pubblicazione, e forse non sarà necessario, il prossimo anno, un altro bando. Il coro è un fenomeno sociale, per sua natura. Non solo il coro è relazione tra le persone che lo compongono, ma è espressione della più ampia collettività (la città, la scuola, l’associazione: magari fosse anche la fabbrica…) di cui è l’espressione. Perché ci sia un buon coro ci deve essere alle spalle una comunità solida. C’è l’uso, in alcune regioni vinicole, di piantare una rosa all’inizio dei filari. È molto bello da vedere, ma non lo si fa per l’estetica: si crede che la rosa s’ammali per prima degli stessi parassiti che colpiscono la vite, così che essa è un preallarme, una specie di lampada del grisù che segnala la patologia prima della sua manifestazione in forma irreversibile. La vigna dell’Italia appare malconcia per molti aspetti. Ma la rosa del coro è sana, e possiamo sperare che la malattia non sia fatale. Sandro Bergamo direttore responsabile n. 33 - settembre-dicembre 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR La coralità popolare 2 un secolo di canto popolare Pier Paolo Scattolin Dossier compositore Renato Dionisi 16 non state a perder tempo intervista (postuma) a renato Dionisi Bruno Zanolini 22 La musica per coro di renato dionisi Sandro Filippi 42 una grande festa …corale! Nova et veterA 28 LE TROIS CHANSONS DE CHARLES D’ORLEANS DI CLAUDE DEBUSSY Efisio Blanc Pierfranco Semeraro 49 Un nuovo mattone per la coralità italiana Assemblea Feniarco a Trento Sandro Bergamo 51 armonia di voci festival nazionale delle minoranze linguistiche Annarita Rigo 53 IL CANTO CORALE COME patrimonio culturale DELL’UMANITà Sandro Bergamo 56 UNA SOLA VOCE PER LA MUSICA CORALE EUROPEA Reportage dall’Assemblea 2010 di Europa Cantat Marco Cimagalli prima edizione di salerno festival 46 LUCI, SIPARIO E VIA ALPE ADRIA CANTAT 2010 Attività dell’Associazione Giorgio Morandi 58 access! La musica ai giovani choraldisC cronacA 60 ORGOGLIO DELLA TRADIZIONE 32 nativitas a christmas festival Mauro Zuccante E PROGETTUALITÀ MODERNA Rossana Paliaga 65 pécs cantat 34 CAROLS & CHRISTMAS Sarah Anania Marco Rossi e Gian Nicola Vessia L’Europa dalla prospettiva ungherese Rossana Paliaga 66 SANTE FORNASIER PREMIATO A CHIAVENNA canto popolare 36 Giorgio Federico Ghedini e il coro della SAT di Trento Enrico Miaroma Giorgio Morandi 68 Notizie dalle regioni Rubriche INDICE 72 Scaffale 74 Mondocoro portrait 40 due binari ben distinti Intervista a franco Monego Rossana Paliaga un secolo di canto popolare canto di Pier Paolo Scattolin docente di musica corale e direzione di coro presso il conservatorio di bologna e direttore del coro euridice di bologna I. Tipologie corali tra la fine dell’800 e la prima metà del ’900 Tra la fine del XIX secolo e i primi trent’anni del XX secolo esistevano in Italia alcune differenti tipologie di cori: quella più diffusa era quella “orfeonica”, erede della cultura corale laica nata dalla rivoluzione francese1. Anche in Italia, come in Europa, la tradizione corale orfeonica era sostanzialmente innestata nella cultura urbana e borghese ed era ben presente nelle maggiori città italiane2; il suo repertorio era vario, principalmente legato alle pagine corali dei melodrammi accanto al quale si inseriva il repertorio popolaresco di carattere polifonico classico o legato alla canzone dialettale spesso d’autore. Rarissimi invece e poco diffusi sul territorio italiano erano i cori polifonici interpreti della polifonia sacra e profana, specie rinascimentale; in genere erano espressione culturale di qualche “Accademia” o “Società musicale”. Esistevano inoltre cori legati al servizio liturgico nelle chiese, interpreti naturalmente di musiche sacre dal Rinascimento in poi, protagonisti fra l’altro dell’importante movimento musicale chiamato ceciliano e attivi non solo nelle cattedrali, ma anche in numerosissime chiese o sedi di importanti culti religiosi. Nella tradizione corale ottocentesca c’erano anche cori spontanei: in particolare a Bologna esistevano le “balle canore” che improvvisavano canti e non avevano maestro; nel loro cantare c’è un modo di cantare a orecchio che sarebbe interessante indagare per vedere se si tratti di un’eredità dello spontaneismo del canto popolare contadino; per quello che si sa il repertorio era formato di canti derivati dalle opere liriche e di canti dialettali su cui si è innestato anche il canto dialettale d’autore. Alla fine degli anni ’50 si aggiunsero i cori professionali legati ai teatri e agli enti di produzione radiofonica e televisiva. La nascita della coralità di repertorio popolare, quella che ha originariamente come fonte testi e melodie provenienti dalla tradizione orale per lo più contadina, si fa coincidere con le esperienze trentine del coro della SOSAT/SAT; essa avviene su un terreno in parte diverso, come più avanti avremo modo di vedere, da quelli precedentemente descritti: il denominatore comune rimane l’ambiente o dossIER colto-urbanizzato, in questo caso come l’espressione dell’interesse del ceto borghese verso una società (quella contadina) destinata a scomparire, vista quindi come punto di riferimento di alcuni valori etici e religiosi, spesso evocati con nostalgia, qualche volta con ammiccamento ironico, o come empatia nei riguardi di un destino ineluttabile come la guerra rivissuta spesso nei suoi tragici ricordi, o aspirazione al modus vivendi conservativo dei valori della famiglia, della religione e della patria. Anche se finora nessuna ricerca musicologica abbia affrontato quest’aspetto e non si possa quindi parlare di consequenzialità, il nesso tra il Lied e in particolare il Volkslied della tradizione tardo ottocentesco-romantica,3 proseguita nella prima parte del ’900, e quella italiana del canto su melodia popolare potrebbe essere qualcosa di più che un’ipotesi suggestiva, poiché l’approccio ha elementi comuni: l’uso di melodie popolari, la stroficità della struttura poetica e della forma musicale, l’esecuzione che richiama un modo di cantare raffinato; l’interesse del Romanticismo europeo per la letteratura popolare, i canti, le fiabe del popolo fu uno degli aspetti fondamentali di quell’espressione estetico-filosofica.4 II. Il coro della SAT 5 Nell’anno 1926 nasce il coro della SAT di Trento per iniziativa dei fratelli Enrico, Mario, Silvio e Aldo Pedrotti che, assieme a un gruppo di amici, inventarono un nuovo modo di cantare e di interpretare il patrimonio della tradizione e della cultura popolare: una nuova tipologia di coro destinata ad aprire la strada a uno dei fenomeni di diffusione e di aggregazione corale più importanti in Italia, il cui stile musicale fu definito e in parte lo è anche oggi come “coro di montagna”; il suo repertorio affonda nella tradizione orale per la gran parte proveniente da quella regione. Diretto per moltissimi anni da Silvio Pedrotti, qualche anno prima della sua scomparsa la direzione fu assunta dal nipote Mauro Pedrotti, attuale direttore. Le caratteristiche erano del tutto differenti dalle tipologie corali precedentemente viste. Il coro alle origini era formato da poche persone, una dozzina di elementi maschili, senza preparazione musicale specifica e con una tecnica vocale lontanissima da quella accademico-lirica, ma dotati di una buona voce, di ottimo senso dell’intonazione e pregevole gusto nell’emissione; il repertorio si basava sulla conoscenza di melodie popolari della zona trentina e all’inizio il coro si basava sulla propria abilità nell’organizzare improvvisando un’agglomerazione sonora simultanea di tre o al massimo quattro linee. Questo iniziale spontaneismo vocale era segno e testimonianza della maniera di cantare usata dalla gente delle valli trentine. I primi componenti della SAT erano grandi appassionati della montagna ed è facile immaginare perché quel loro modo di cantare fu definito transitivamente e tout court “canto di montagna”. Successivamente Luigi Pigarelli, di professione magistrato ma buon musicista, conservando l’aspetto amatoriale e “dilettantesco” del coro negli anni successivi, diede compiuta configurazione allo stile del coro e contribuì in maniera determinante alla grande diffusione e sviluppo di questo tipo di coralità: nacque così la pratica dell’elaborazione corale (o armonizzazione) su testi e temi popolari (ma anche di autore) secondo lo stile del primo gruppo di coristi. La linearità e la semplicità nella stesura delle parti costituì un modello prassi nella ricerca armonica ed espressiva utilizzato anche successivamente per esempio dalle elaborazioni di Antonio Pedrotti (altro armonizzatore per il coro della SAT nei primi anni) in perfetta adesione allo stile pigarelliano. Nel 1935 fu pubblicata una raccolta che conteneva i primi “canti di montagna” del coro trentino, cui faranno presto seguito le incisioni discografiche; dopo la crisi della seconda guerra mondiale nell’immediato dopoguerra ripartirono anche le iniziative culturali come quelle in particolare dedicate al fare attività insieme, nello sviluppare l’idea del gruppo e in particolare quello musicale: specie 3 Note 1. La parola orfeonismo, con la quale si intende la cultura e il movimento corale orfeonica, deriva dal termine francese Orphéon, che denominò nell’Ottocento un movimento culturale modellato sull’idea filosofica secondo la quale la musica possiede capacità morali e pedagogiche (il mito di Orfeo ed Euridice) e che lo studio musicale allargato a tutti gli uomini, anche quelli degli strati sociali più umili, apporti un miglioramento e un sollievo spirituale. 2. Vedi il capitolo “Origine e nascita dell’organizzazione corale bolognese nella seconda metà dell’Ottocento. La Società Corale «Orfeonica»” in Pier Paolo Scattolin, “Euridice”, Cento anni di coralità a Bologna, Bologna Tamari, 1982. 3. Un punto di contatto con il repertorio liederistico del Volkslied potrebbe intravvedersi per esempio nella tarda produzione liederistica (Zwölf walisische Lieder-1901) di Max Bruch (1838-1920) e di Hugo Wolf (1860-1903) Spanisches Liederbuch (1891) e Italienisches Liederbuch (1892, 1896). 4. Nel repertorio liederistico il mondo del contadino o popolare è visto più spesso come un modo per esprimere i propri sentimenti come l’amore e la natura appare autoreferenziale: per esempio il bosco è un luogo dove trovare pace e meditare piuttosto che un luogo dove possono svolgersi storie di incontri fra persone o fra persone e animali. 5. Dalla documentazione disponibile si evince che la denominazione ufficiale originaria di “Coro della S.O.S.A.T.” fu mantenuta dal 1926 fino ai primi anni Trenta, quando la S.O.S.A.T. fu sciolta. Da allora assunse la denominazione attuale di Coro della S.A.T. e divenne sezione della S.A.T. (Società Alpinisti Tridentini) nel 1967. È intercorsa nel rapporto fra il ricostituito coro SOSAT e il coro SAT una complicata e delicata querelle giuridico-amministrativa. 6. Giorgio Vacchi, Scritti ed elaborazioni per coro, a cura di Pier Paolo Scattolin e Silvia Vacchi, in Quaderni della rivista “Farcoro”, n. 8, Aerco, Bologna, 2007, p. 78. 7. Si tratta di un intervento fatto durante il Seminario di studi “Esempi di catalogazione musicale”, svoltosi a Bologna il 28.10.2000. È pubblicato in Farcoro, 2003, 2-3, p. 30. «Con un gruppo di persone abbiamo tentato 4 nell’area di estrazione cattolica si scopre la “montagna” e il “canto di montagna”, e i giovani si saldano con facilità a ripercorrere i contenuti “morali” legati alla natura, alla semplicità della vita, alla solidarietà fra le persone in opposizione alle macerie sociali create dalla guerra. Il successo del “canto di montagna” e del coro della SAT fu enorme soprattutto nel Nord e Centro Italia: i gruppi formati esclusivamente da uomini, anche perché nel costume sociale del momento per la donna era quasi impensabile uscire di casa la sera, diversamente dall’uomo, per dedicarsi a un hobby, nascono numerosi e rapidamente, quasi tutti hanno al massimo trenta elementi, qualche volta anche meno (per esempio il Sestetto Penna Nera di Roma degli anni Cinquanta). La ragione del successo stava nella scoperta di un nuovo modo di “far musica” e della sua relativa facilità: non occorreva conoscere la scrittura musicale perché si cantava a orecchio e bastavano poche persone di buona volontà; occorreva è vero una persona che avesse un po’ di dimestichezza con la notazione e che insegnasse le “parti” cantandole più volte, finché tutti le avessero imparate, ma per la realizzazione espressiva della musica, l’interpretazione cioè, si ricorreva all’imitazione del modello con la maggiore fedeltà possibile: per questo le prime edizioni discografiche della SAT furono un imprescindibile punto di riferimento. La fonte dell’elaborazione proviene dai canti popolari trentini di tradizione orale, anche se abbondano esempi provenienti da altre regioni e canti d’autore. Alcuni musicisti che hanno composto le elaborazioni corali hanno fatto la storia dello stile espressivo della SAT: oltre ai citati Pigarelli e Antonio Pedrotti, fondamentali per l’evoluzione del linguaggio del coro trentino sono stati Arturo Benedetti Michelangeli e Renato Dionisi, i quali allontanandosi dal modello pigarelliano portarono un modo assai innovativo sia armonico che espressivo. Oltre a questi “storici” armonizzatori anche altri hanno partecipato all’evoluzione dello stile sattiano: Teo Usuelli, Bruno Bettinelli, Andrea Mascagni e Mauro Zuccante hanno collaborato in maniera determinante ad arricchire e differenziare il repertorio di un coro che ha scritto una delle pagine più importanti della tradizione corale italiana. III. Gli studi demologici ed etnomusicologici Nella seconda metà dell’800 fino alla prima metà del ’900 in Italia lo studio del folklore era affidato ai risultati provenienti dalla demologia e successivamente dalla etnomusicologia, la cui ortodossia ha sempre considerato con diffidenza il rapporto della coralità con la musica popolare, poiché la dimensione elaborativa era ritenuta una vera e propria distorsione “spettacolare” e un’appropriazione indebita del musicista colto nei confronti della musica popolare. Del resto l’approccio alla musica popolare in Italia da parte dei musicisti compositori, tranne poche eccezioni, spesso avveniva senza uno studio diretto delle fonti diversamente da quanto successe in altre nazioni europee, come per esempio in Ungheria, dove lo studio della musica popolare, presente anche negli studi musicali accademici, ebbe per studiosi e interpreti Béla Bartók e Zoltán Kodály; in questo caso la spinta da parte di musicisti a studiare la musica popolare nasceva da un’istanza nazionalistica, come ricerca di un’autenticità di radici culturali intesa come riscatto autonomistico dal dominio dell’impero asburgico. Nella seconda metà del Novecento in Italia l’etnomusicologia acquisì un peso culturale e scientifico sempre più importante con alcuni ricercatori come Ernesto De Martino, Diego Carpitella, Alan Lomax, e Roberto Leydi: quest’ultimo credette di intravvedere nella Nuova Compagnia di Canto Popolare e nel movimento chiamato Folk-Revival una maniera di riproporre il canto popolare rispettandone l’originalità. In tale prospettiva in Italia si sono attivati molti gruppi di canzonieri, gruppi musicali vocali e strumentali. Non mancarono espressioni di perplessità sul quel tipo di recupero del canto popolare: pur giudicando fondamentali le tesi e i contributi della ricerca musicologica, Giorgio Vacchi esprime alcune riserve: «… il Folk-Revival, un movimento che aveva cercato di avvicinare al pubblico delle sale da concerto i soggetti stessi della cultura popolare (o altri che li imitassero alla perfezione): ma ci si accorse presto che l’atmosfera, che permeava i luoghi in cui questi soggetti (per lo più contadini) normalmente si esibivano (la stalla, l’aia, l’osteria), non era possibile “esportarla” in un teatro o in una sala da concerto. Quasi tutto, dell’originale atmosfera, scompariva: aleggiava, al suo posto, il gelo che contraddistingue l’incomunicabilità».6 Anche Paolo Bon non è favorevole a quel tipo di recupero e chiarifica sinteticamente il suo pensiero, concettualmente basato su una visione antropologica della cultura popolare così obiettando: «nelle fonti orali si manifesta l’arcaico e non la lotta di classe, e l’arcaico è insieme ontogenesi e filogenesi; che l’arcaico evolve coi ritmi scanditi dalle ere (non già dagli evi storici), per cui gli esiti orali che noi oggi dossIER raccogliamo altro non sono che la sedimentazione attuale di espressioni che accompagnano l’umanità fin dal suo affacciarsi sulla soglia del pianeta e anzi lo precedono; che in quanto arcaici quegli esiti stanno sullo stesso piano dei canti gregoriani, con la sola differenza che questi ultimi si sono fissati in documenti e cristallizzati nella funzione liturgica, mentre gli altri continuano a evolvere secondo l’antico aforisma panta rèi [espressione della filosofia greca che significa “tutto scorre”, ndr]». Un particolare aspetto del rapporto fra l’origine del canto popolare e la sua esecuzione è espresso dal “canto spontaneo” che ha trovato in Italia alcuni cultori e in particolare va citata la ricerca svolta in Piemonte nel territorio canavese da Amerigo Vigliermo, direttore del coro di Bajo Dora e presidente del Centro Etnologico Canavesano. Nella sua visione musicale fa posto la problematica dell’elaborazione e contiguamente anche quella del cosiddetto “canto spontaneo” (che in parte sintetizza la sua esperienza e il suo concetto di musica corale) come modo di “fare” canto popolare.7 Oggi il rapporto fra la musicologia e la coralità sta fortunatamente mutando e si cominciano a vedere sotto un’altra luce le potenzialità sinergiche fra il risultato scientifico dell’etnomusicologia e l’attività compositiva sviluppatasi nella coralità riguardante l’elaborazione della melodia popolare. Interessante sul modo di vedere il rapporto tra il colto e il canto popolare anche un’affermazione di Pietro Sassu: «Il rapporto tra il popolare e il colto ha però assunto un valore ed esiti diversi con l’affermarsi di uno specifico campo di studi sulla musica etnica che coincide con l’invenzione di apparecchiature per “catturare” e riprodurre il suono. Sono nate così esigenze nuove e bisogni conoscitivi meno generici perché si iniziò a tener conto come un tratto stilistico tipico anche la specificità sonora, timbrica, dell’emissione vocale».8 In Abruzzo Mario Santucci, in Sicilia Mario Sarica e in Emilia Paolo Borghi sono ricercatori che hanno un atteggiamento di interesse verso la creatività stimolata dal canto popolare non isolando la ricerca etnomusicologica in una chiusa teca scientifica ma comprendendo la diversa strada intrapresa dalla coralità. Sicuramente è necessario, come avremo modo di vedere più avanti, da parte del compositore e dell’esecutore una compartecipazione approfondita e uno studio che entra nei dettagli del melos oggetto della “nuova” composizione: si intravvede cioè nella melodia popolare un albero che può dare frutti interessanti Nelle fonti orali si manifesta l’arcaico. purché nascano da quella linfa, lasciando che sia il materiale originale a riprodursi, a mutare in qualcosa d’altro, ben consapevoli che il “nuovo” non appartiene direttamente alla cultura del “seme”, bensì rappresenti una possibilità diversa di sviluppo artistico e di fruizione del pubblico. In Molise è da segnalare l’attività di Vincenzo Lombardi, direttore di coro e direttore della Biblioteca provinciale P. Albino di Campobasso, in cui il progetto “Biblioteca virtuale” produce materiali e fonti riguardanti il canto popolare molisano anche delle minoranze etcnico-linguistiche. IV. Le influenze del modello del coro SAT A partire dalla metà del ’900 il repertorio del canto popolare ebbe un rigoglioso sviluppo nella coralità italiana, dopo gli esordi e grazie alla crescente affermazione del coro della SAT; sul modello del coro trentino nacquero e si svilupparono un po’ 5 una certa esperienza che, magari in modo un po’ provocatorio, vorrei proporre anche a voi. Ecco, proviamo a fare un esperimento prendendo dal passato la metodologia. Troviamoci in gruppo, sei-sette persone per esempio, scegliamo una melodia e il testo relativi, le uniche cose che servono per incominciare, le armonie o meglio le polivocalità le mettiamo in consonanza, ognuno secondo la propria sensibilità ed esperienza maturate in tanti anni di militanza canora, e registriamo il risultato. Questo è canto spontaneo, è anche canto popolare? In senso assoluto non lo è, ma forse lo è se viene rapportato con la realtà attuale della nostra vita. Forse le vostre perplessità derivano da certe prese di posizione di personaggi importanti del mondo culturale ufficiale. Secondo me c’è stato un equivoco, mai chiarito, perche le due parti non si sono mai seriamente incontrate, legato al fatto, che i Cori Alpini “rovinavano” i canti con delle elaborazioni assurde. Però questi signori non proponevano nulla se non andare a fare il “verso” ai cantori tradizionali. Francamente questa è una cosa ridicola, per usare un eufemismo, allora tanto vale seguire modelli colti». Nel modo di raccogliere la documentazione sonora, oltre alla registrazione audio degli informatori, era effettuata in un secondo tempo anche quella video. Egli assieme ai suoi cantori imparava ed eseguiva i canti direttamente dagli informatori, si può dire casa per casa, diffondendone armonizzazioni assai semplici, in varie occasioni, fra cui le cerimonie nuziali e i funerali [n.d.r.]. 8. Vedi la sua introduzione al libro di Antonio Sanna “Su Concordu Turritanu”, Canti popolari della Sardegna, G.C. Ricci editore, Firenze, 1999, p. V. Interessante anche un altro passo: «Siamo convinti della piena e autonoma efficacia dei canti popolari sardi nella loro veste originaria (anche perché sembrano essere ancora oggi pienamente vitali), ma essi non sono oggetti intoccabili.» 9. I cori romagnoli che in genere hanno la denominazione di “canterini romagnoli” si collocano nell’espressione corale di retaggio orfeonico, di cui ereditano anche le strutture sociali, e sono una delle prime espressioni di canto popolare della regione. 10. Tradizione popolare assai diffusa in Italia legata ai rituali del ciclo del calendario come le Pasquelle, le 6 dovunque cori per i quali rimase nel tempo la scelta musicale definitiva. I cori cresciuti nell’alveo del modello sattiano ebbero una grande diffusione soprattutto nel Nord Italia e anche nel Centro come nel caso del coro abruzzese La Portella de L’Aquila diretto da Vincenzo Vivio. Ovviamente l’area dell’arco alpino dalla Liguria alla Venezia Giulia è quella dove maggiore è la concentrazione di questa esperienza corale che è penetrata e radicata fortissimamente nel tessuto sociale. Attualmente si stanno evidenziando alcune novità per esempio nell’organico, in quanto molti cori hanno inserito le sezioni femminili e in alcuni casi hanno formando organici anche esclusivamente femminili. Ciò in parte ha apportato positivi arricchimenti al repertorio e anche nell’emissione vocale. Non dimentichiamoci che una grande parte della trasmissione orale del canto popolare avviene grazie alle testimonianze femminili cui si lega sia l’emissione che l’espressività del rapporto testo-melodia. Del resto l’ingresso della voce femminile nella compagine corale può essere positivamente fonte di inserimento di voci nuove e giovanili e quindi di quel ringiovanimento complessivo del gruppo, che appare una delle necessità più evidenti nel proseguimento artistico per una larga parte dei cori che si muovono in questa tipologia corale. In Val d’Aosta negli anni ’50 la Corale C.C.S. Cogne Aosta (nata come Cral Cogne) è il primo gruppo corale fondato in Valle, nato dall’iniziativa del friulano Gigi Aita. Nel 1958 nasce il coro ANA Penne Nere di Saint Vincent. Negli anni ’60 la diffusione del modello è in costante ascesa; ecco alcuni esempi: in Alto Adige per esempio nasce nel 1967 per iniziativa di Sergio Maccagnan il Coro Monti Pallidi (nome con cui le genti ladine chiamano le Dolomiti) di Laives su quella tipologia. In Lombardia si è anche assistito nell’evoluzione della vita artistica di un coro al completo cambiamento nel repertorio come è avvenuto per il Gruppo Corale ICAT di Treviglio (Bg), costituito nel 1967 come coro maschile e affermatosi brillantemente per il modo di eseguire canti tradizionali e popolari. Nel 1985 si è trasformato in coro polifonico a voci miste con un ampio repertorio che spazia dal canto gregoriano ai più arditi brani di musica contemporanea. Dal 1997 è diretto da Gian Luca Sanna. In Liguria Armando Corso con il coro Monte Cauriol di Genova, pur ripercorrendo le strade della SAT, ha saputo dare una veste armonizzativa semplice ma assai efficace al repertorio. Diffusosi ampiamente anche in Emilia-Romagna, il modello trentino ha trovato seguito in alcuni importanti gruppi come il Coro CAI di Bologna fondato da Mauro Camisa nel 1955 e attualmente diretto da Umberto Bellagamba, il coro Cai Mariotti di Parma, diretto dal 1980 da Gianbernardo Ugolotti. Si può sicuramente affermare che una grande parte dell’Italia corale si è positivamente formata e sviluppata su questo modello, che ha anche il merito, almeno in parte, di aver costruito una sensibilità al cantare in coro con un entusiasmo e una determinazione che raramente in quello stesso periodo è riscontrabile nel professionismo e nei cori “polifonici”, spesso impaniati in moduli espressivi paludati e poco comunicativi, poco attraenti per chi, musicalmente non esperto, aveva desiderio di fare musica attraverso il coro. Certo il diffondersi imitativo dello stile “coro di montagna” ha prodotto in qualche misura una sorta di manierismo, di estetica del suono con qualche distacco dal contenuto e attenta più spesso all’effetto che a veicolare l’espressione testuale. V. Il canto d’autore e i cori folkloristici In Italia l’aggettivo folkloristico oggi è applicato a sostantivi come coro, repertorio, spettacolo e si riferisce al mondo popolare-contadino e rientra sociologicamente fra gli aspetti che coinvolgono le tradizioni popolari come il cibo, il modo di vestire, la poesia e quindi la musica cantata e per ballo, contrapposto all’aggettivo urbano, accademico o classico. In maniera più specifica, applicato alla musica, assume il significato di una tradizione che ha come punto di riferimento sempre la musica popolare legata per lo più ad avvenimenti sociali, feste religiose o riti contadini stagionali, ma che può diventare oggetto di composizioni poetiche e musicali dialettali e di autore. Spesso il confine fra la elaborazione e l’invenzione ex-novo non è sempre distinguibile come nel repertorio della canta romagnola9: il repertorio dei Canterini romagnoli è costituito per lo più dalle composizioni di Francesco Balilla Pratella, Cesare Martuzzi (che musicò molte “cante” del poeta Aldo Spallicci, i cui testi sono poesie in dialetto romagnolo) ed Enzo Masetti; in queste composizioni l’inventiva del compositore si innesta in maniera conseguente e spontanea da non essere sempre definibile e distinguibile la melodia popolare originale dalla ricostruzione compositiva e anche l’invenzione. In alcune opere Pratella cita la fonte: in genere in queste “cante” convivono melodie desunte da informatori assieme ad altre abilmente inventate sullo stile popolare. In ogni regione appaiono simili esempi. In Abruzzo attorno ai cicli religiosi e stagionali come quello della maggiolata10 si raccoglie un ricchissimo repertorio d’autore. Una grande parte dell’attività di alcuni cori come l’Associazione corale Teramana Giuseppe Verdi di Teramo, attualmente diretto da Carmine dossIER Leonzi, si riallaccia a questa tradizione e più in generale alla tradizione popolare accanto alla quale confluiscono in maniera preponderante i canti d’autore.11 Ennio Vetuschi, fondatore nel 1948 e direttore fino al 2006 di questo importante coro, ha scritto numerosissime composizioni e rielaborazioni corali. Non fa eccezione il conosciutissimo brano Vola, vola, vola che ancora normalmente passa come il canto popolare abruzzese più caratteristico: in realtà il testo è stato scritto da Luigi Dommarco e la musica da Guido Albanese. Si tratta quindi di una composizione vera e propria che appartiene a quel repertorio che ebbe nella canzone napoletana e nell’opera di Francesco Paolo Tosti elementi emergenti come spesso è ancora inteso il canto popolare/folkloristico. In Sardegna la tradizione vocale dei tenores è proseguita dai cori chiamati appunto folkloristici che ne traspongono in chiave corale i principali aspetti della tecnica solistica dell’originale quartetto. Il Coro Polifonico Turritano, fondato nel 1959 da Antonio Sanna, che l’ha guidato per 37 anni, ha dato un contributo assai importante alla diffusione della musica corale polifonica e in particolare anche di quella popolare.12 La rilettura di Sanna13 appartiene per certi aspetti proprio in fascia di trasposizione. Nel filone della tradizione della canzone dialettale a Bologna c’è da segnalare i nomi di Carlo Musi, Dino Sarti, Quinto Ferrari, Adriano Ungarelli. Esistono in Italia anche concorsi per composizioni originali in dialetto come quello che si svolge in Calabria legato ai canti natalizi in vernacolo calabrese.14 Il confine tra elaborazione e invenzione non è sempre distinguibile. VI. Gli sviluppi della coralità popolare Dalla fine degli anni Sessanta una parte della coralità italiana iniziò un percorso diverso rispetto alla tradizione della coralità popolare sul modello del “coro di montagna”. La koiné espressiva e tecnica insita in quel modello si frammentò in varie nuove esperienze e diede origine alla ricerca stilistica e di repertorio che alcuni cori italiani intrapresero con motivazioni e risultati assai diversi e la storia dei cori popolari spesso si è identificata con l’attività creativa dei loro direttori; negli anni fra il ’50 e il ’60 fu un pullulare di interessantissime esperienze. La pluralità di stili e di repertori che derivarono dalle esperienze dei cori nati successivamente alla SAT o che si distaccarono gradualmente dal modello o iniziarono subito un altro percorso musicale è uno dei patrimoni musicali più significativi della cultura corale italiana del ’900, che trova rarissime corrispondenze in Europa. Fu sviluppata da alcuni di questi cori anche una pregevole tecnica vocale e interessante espressività: ciò costituì un arricchimento e anche un esempio estetico che non ebbe in quel momento un corrispettivo nella polifonia classica, nonostante alcune rare eccezioni. Ma il “laboratorio” corale che germinò il repertorio “popolare” produsse risultati qualitativamente e quantitativamente molto alti e fu un modo di far cantare tutti, anche le persone più sprovvedute tecnicamente e musicalmente non alfabetizzate, riducendo in qualche maniera quella distanza rispetto ai cori europei dovuta alla diversa preparazione dei singoli cantori che spesso, visto la latitanza in Italia di un percorso scolastico adeguato nel campo della pedagogia musicale, hanno trovato in quella coralità un supporto aggregativo e sociale per fare musica. In Piemonte importante è stata l’attività del coro Valchiusella: Bernardino Streito, fondò a Vico il Piccolo Coro San Giovanni Battista, il gruppo musicale 7 Befanate etc.; sulla attuale situazione della ricerca in Abruzzo vedi l’articolo: Angela Troilo, L’abruzzo: un territorio da dissodare, in Choraliter, n. 13, 2004, p. 14. 11. Fra questi citiamo Pasquale Colangelo, il francescano P. Settimio Zimarino, Pietro Antonio Di Jorio (al riguardo vedi il saggio di Concezio Leonzi, Aspetti della vita e dell’arte del musicista Antonio Di Jorio, “In coro”, Ass.ne Corale “G. Verdi”, Storia, cultura e profili dal 1948 al 1998, Teramo, 1998, pp. 71-80 e nella raccolta annuale della XLI Settembrata Abruzzese 1998, Pescara, 1998, pp. 22-26). 12. Dal 1996 la direzione artistica è affidata a Luca Sannai e dal 2003 Luca Sirigu si aggiunge come maestro collaboratore. 13. Nell’introduzione alle sue Composizioni per coro misto, Porto Torres, 2000, Sanna afferma che «Questi brani non sono “folclore sardo”, tanto meno il tentativo di migliorarlo, ma libere interpretazioni di testi, melodie e ritmi che hanno la loro origine nel canto popolare, ma ne trascendono». 14. Uno dei brani usciti dal concorso è Dormi, dormi Bambineju di Romolo Calandruccio eseguito dal Coro polifonico Musica Nova di Vibo Valentia. 15. Una parte preponderante della sua speculazione musicologica è rintracciabile ne La teoria evolutiva del Diatonismo e le sue applicazioni, Giardini, Pisa 1995. 16. È autore del libro Le voci di Cristallo, Nuovi Sentieri, Belluno, 1987, che ricostruisce la coralità italiana di quegli anni. 17. I principi musicali si ritrovano principalmente nel libro chiamato Favola antica, Canti della Nuova Creatività Popolare 1967/1989, Coop. editoriale “Nuova Brianza” Renate, Mariano Comense, 1989. Fra le sue composizioni ricordiamo Strega 2000, Sieropositiva, Morta di legge, Figli dei fiori, etc., titoli significativi di contenuti tematici moderni, testi di cui Marelli è anche l’autore assieme alla musica composta per coro maschile. 18. La redazione fu spostata a Bologna dove continuò dal 1977 fino al 1986. 19. Angelo Agazzani (a cura di), Canti popolari del vecchio Piemonte, Torino 1975. 20. In particolare vedi di questo compositore La belle se siet au pied de la tour, argomento approfondito 8 da Michele Napolitano, nella tesi di laurea (Dams, Bologna) dal titolo Le chansons polifoniche di Francis Poulenc. 21. Vedi di Italo Montiglio, La cultura musicale popolare nella regione Friuli Venezia Giulia: il panorama complesso e contraddittorio della situazione attuale con particolare riferimento alla musica popolare vocale e corale (relazione svolta a Klagenfurt nell’ambito del simposio internazionale sui rapporti fra musica popolare, conoscenza/coscienza e commercio), Home Page Seghizzi, 1999. 22. La Brigata Corale Tre Laghi fu diretta da Guernelli fino alla sua prematura scomparsa nel 1995. Emanuele Mazzola ha guidato il coro fino al 2006. Attualmente è diretto da Giovanni Pavesi. 23. Terenzio Zardini, La terra, la gente, le tradizioni, Raccolta di canti popolari mantovani, Gruppo editoriale Eridania, Mantova 1995, con un’introduzione di Giancarlo Gozzi. 24. Cito solo a mo’ di esempio il coro Studium Canticum di Cagliari diretto da Stefania Pineider e il coro Euridice di Bologna. 25. Giacomo Monica ne è il direttore ed è anche l’elaboratore di un repertorio frutto del suo lavoro di ricerca iniziato negli anni ’70 di canti ora editi e raccolti nel libro Canti dall’Appennino parmense. 26. Direttore di coro e ricercatore; fra i suoi lavori in particolare segnaliamo Canti della tradizione orale armonizzati o elaborati per coro, a cura di Paolo Bon, Alessandro Buggiani e Claudio Malcapi, in Voci & tradizione, Toscana, Feniarco, 2008. 27. Natale Femia direttore del coro Polifonico Diocesano Laetare di Locri (Rc) segnala alcuni progressi recentemente fatti nella ricerca in Calabria in: Una ricerca sul campo. I canti religiosi della diocesi Locri-Gerace, in Choraliter, n. 13, 2004, pp.13-14. Nell’articolo si dà notizia della ricerca sviluppata insieme al prof. Michele Furfaro sui canti tradizionali in vernacolo calabrese della Diocesi di Locri-Gerace, raccolto nel libro Benidittu lu Signuri pubblicato nel gennaio 2000, dove sono raccolti trascritti oltre 750 canti registrati dalla viva voce delle anziane donne nelle varie parrocchie e nei Santuari diocesani durante le feste, le novene e le veglie di preghiera. 28. Roberto Frisano (a cura di), Voci & tradizione, Friuli Venezia Giulia, Feniarco, 2009. Si segnala quest’anno una manifestazione della Feniarco svoltasi in varie regioni italiane con gruppi che eseguono musica popolare intitolata “Armonia di voci, Festival nazionale delle minoranze linguistiche”. 29. In campo etnomusicologico è fondamentale il suo lavoro su Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia, recentemente ristampato. La ricerca di melos arcaici provenienti dalla tradizione popolare della sua terra d’origine (Slovenia, Friuli e Venezia Giulia) si è riversata su larga parte della propria produzione compositiva con numerose elaborazioni per coro a voci miste e per coro di voci bianche. che si trasformò prima nella Corale Valchiusella e poi definitivamente nel 1967 in Corale Polifonica, uno tra i primi cori misti “a cappella” di formazione cameristica in Piemonte. Al coro Coro Tre Pini di Padova fondato nel 1958 e guidato da Gianni Malatesta si deve un importante contributo verso nuovi traguardi musicali, riconoscibili nello stile elaborativo del proprio maestro e nel raggiungimento di un altissimo livello nella qualità della tecnica e dello stile vocale. Un diverso atteggiamento sul significato del canto popolare, che si esprime con un’interpretazione popolare diventa un’allusione e si carica anche di significati di carattere ecologico, un nostalgico rivolgersi al passato per ricercare la bellezza e l’originalità della natura; alcune volte la sua narrazione sconfina nell’immaginifico mondo del fiabesco. Il confine della sua ispirazione si sposta verso più completa libertà della composizione. Parallelamente il coro sviluppa uno stile vocale ancora più teso verso la ricerca sonora e gli effetti musicali di carattere strumentale. Importante nello sviluppo della coralità e del repertorio dell’elaborazione è stata l’attività un altro importante coro: il Coro Incas, fondato e diretto da Mino Bordignon, recentemente scomparso, ha lasciato un ricchissimo patrimonio di elaborazioni di canti popolari, originali per la scrittura armonizzativa e dense per l’inventiva e l’espressività. Nella storia della coralità popolare un posto significativo spetta a Giancarlo Bregani16 scmparso nel 1987 direttore del coro Cortina; fu il promotore a Cortina d’Ampezzo di due importantissimi Simposi della Coralità Amatoriale d’ispirazione popolare e sui complessi corali (1970 e 1972). Questi convegni oltre a mostrare quanto gli anni ’70 fossero ricchi di fermento per la coralità italiana, individuarono motivazioni e obiettivi che oggi appaiono molto lungimiranti nel delineare il senso dell’associazionismo regionale e quello più ampio e complesso di una istituenda federazione nazionale. Quel “manifesto” fu una pietra miliare e i suoi contenuti ebbero il senso quasi di una “costituzione” corale. In particolare rimarchevole fu il fissare fra gli obiettivi quello della ricerca e della pari dignità delle La koiné insita in quel modello si frammentò in nuove esperienze. antropologica di quel patrimonio e di conseguenza dei mezzi espressivi dell’elaborazione, si evidenzia con l’opera teorica e musicale di Paolo Bon; compositore, musicologo15, ricercatore e coordinatore del Gruppo Nuovocorale Montecesen di Valdobbiadene (Tv) dal 1964 al 1980 egli fu ideatore e promotore del movimento corale da lui chiamato “Nuova Coralità”. Con Paolo Bon entra nel dibattito attorno al canto popolare una nuova tesi. Il suo concetto espresso nella Nuova Coralità vede l’elaborazione delle melodie popolari come una propaggine acquisita dalla musica antica e come processi di trasmissione orale che nascono da archetipi. Negli sviluppi corali innovativi hanno un posto particolare il coro I Crodaioli di Arzignano (Vi) e il suo direttorecompositore Bepi De Marzi. In realtà l’opera di De Marzi andrebbe vista più come rigenerazione di materiali che trovano nella fantasia del compositore che elude il dato strettamente legato a una preesistente melodia: il canto dossIER forme corali e soprattutto del rispetto verso tutti coloro che si dedicano al “far coro”. L’anno successivo al primo Simposio nasceva la prima Associazione Regionale in Italia (A.E.R.C.I.P.) che faceva esplicito riferimento ai cori di ispirazione popolare e fu ritenuto un passaggio obbligato perché la coralità amatoriale potesse crescere. Interessante è anche l’esperienza del Coro Marianese di Mariano Comense diretto da Mario Marelli, assertore di una coralità dell’uomo inurbato, appartenente alla borghesia definita come “Nuova creatività corale popolare”. Marelli fondò il Coro nel 1953 col quale, oltre ai tradizionali canti popolari di origine popolare della tradizione alpina, produsse un nuovo repertorio da lui stesso definito “I canti dell’Utopia” che si ispirano a una forma di pensiero sulla composizione corale popolare.17 Fu animatore e coordinatore del Convegno svoltosi a Mariano Comense nell’ottobre del 1989 che ebbe per tema il “Ruolo, collocazione, prospettive e problemi della Nuova creatività corale popolare”. Con lui ebbe inizio la pubblicazione di Coro, la prima rivista nazionale sulla coralità.18 Al rinnovamento del repertorio seguendo dei risultati della ricerca etnomusicologica contribuì in maniera determinante la Camerata corale La Grangia di Torino diretta da Angelo Agazzani.19 Interessante in particolare lo studio e la riscoperta del repertorio della ballata piemontese-provenzale trascritte dal Nigra; c’è da osservare che l’elaborazione di testi provenzali apprezzato da molti cori e compositori (per esempio Paolo Bon con il brano Le roi Renaud, Gianni Malatesta con Le plaisir sont doux, Arturo Benedetti Michelangeli con La blonde) prosegue il filone compositivo che vede alcuni compositori francesi come Claude Debussy, Maurice Ravel e Francis Poulenc20 riallacciarsi alla tradizione della chanson polifonica francese. In Friuli importante e assai diffusa è la ricerca sul canto popolare; fra molti contributi interessante è stato quello del coro Peresson di Piano d’Arta Terme (Ud).21 Nell’ambito dei cori e dei direttori che in varie maniere hanno apportato contributi nella ricerca e nell’esecuzione di un nuovo repertorio vanno ricordati il coro Soldanella di Adria, il cui direttore Romano Beltramini è attivo anche come ricercatore, la Brigata corale Tre Laghi di Mantova22, fondata nel 1971 dallo scomparso Luigi Guernelli che si è avvalso della collaborazione per le elaborazioni di padre Terenzio Zardini23, il coro El Castel di Sanguinetto (Verona), a cui ha collaborato come ricercatore Dino Coltro anche lui recentemente scomparso, il coro Sette Laghi di Varese attualmente diretto da Lino Conti che si avvale della preziosa collaborazione del maestro Angelo Mazza del quale ha eseguito ed esegue tuttora numerose composizioni e armonizzazioni. Nel Veneto il Val Canzoi Bepi Cocco è un coro maschile fondato a Castelfranco Veneto nel 1965 dal nome di uno dei cantori fondatori, prematuramente scomparso nel 1969, e si occupa, sin dalla sua fondazione, della ricerca e della valorizzazione del canto popolare. Diretto da Angelo Tieppo, il coro spazia dal canto d’autore d’ispirazione popolare alle elaborazioni corali di canti di tradizione orale, in particolare d’area veneta e alpina. La Corale Zumellese diretta da Manolo Da Rold è il classico esempio di coro polifonico misto che propone accanto al repertorio “classico” anche quello popolare. Questo criterio24 è molto diffuso e sancisce quella pari dignità dei repertori che era auspicato nel Convegno di Cortina. In Emilia-Romagna per esempio il coro Stelutis fu lo strumento musicale di Giorgio Vacchi, che fu nel mondo corale di quella regione l’iniziatore della ricerca “sul campo”; egli convinse alcuni volonterosi che erano attivi nel mondo corale amatoriale sia come direttori di coro sia come elaboratori-compositori e interessati ai temi popolari, a percorrere valli e monti per andare alla scoperta di quel mondo sconosciuto che cominciava a essere chiamato “civiltà contadina”: il ritrovamento caparbiamente e meticolosamente ottenuto attraverso la “registrazione” di melodie nuove (o conosciute ma con diverso esito) fu un decisivo incentivo capace di avviare quel processo di 9 30. Bepi Carone, Contrade che canta: documenti poetico-musicali della tradizione orale raccolti a Prata di Pordenone, Pordenone, Concordia Sette, 1979; ’Na vita perfida, Polcenigo, Comune di Polcenigo, 2000; vedi anche il suo articolo sul problema dell’archiviazione dei canti popolari Le ginocchia della nonna, Note su/per un progetto di archiviazione di materiali sonori in Choraliter, n. 6, 2001, p. 11. 31. È autore de I suoni della memoria, Canto popolare umbro, A.R.C.UM.; Tozzi e boconi, Itinerario di musica popolare umbra, Istituto Culturale S. Anna, Perugia. 32. Luigi Colacicchi (Anagni, 1900 - Roma, 1976) è stato un compositore, direttore di coro ed etnomusicologo italiano. Fondamentale è la sua raccolta di Canti popolari di Ciociaria (1936); nel 1949 è curatore con Nataletti di una delle prime raccolte complete dei canti popolari italiani per conto della Discoteca di Stato e il Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare (oggi Archivi di Etnomusicologia). Numerosi sono i brani popolari da lui rielaborati. In campo etnomusicologico sua è la Raccolta n. 111 per l’Archivio Etno-linguistico della Discoteca di Stato: si tratta di un’ampia ricognizione realizzata tra il 1971 e il 1972 in numerosi centri dell’area settentrionale della provincia di Frosinone (tra cui Anagni, Fiuggi, Sgurgola, Vallecorsa, Veroli, Vico nel Lazio). 33. «Io non sono convinto che sia lecito servirsi della più “assoluta” libertà quando prendiamo in esame, con l’intenzione di procedere a una elaborazione, una melodia popolare: secondo me ciò è lecito quando lavoriamo su una melodia d’autore. Sarà sufficiente avere il suo permesso per procedere all’operazione. Ma a chi chiedere il permesso quando una melodia risulta far parte di una tradizione popolare, spesso estremamente diffusa, che si è caricata col passar degli anni di infiniti particolari derivati da tanti, successivi apporti diversi? Non sarà allora opportuno tenere presente il maggior numero possibile di quegli “infiniti particolari” che concorrono all’identità di un canto popolare per non tradire, in fase di elaborazione, le specificità del canto stesso?» 34. «Non avemmo dubbi, quindi, sul fatto che la vocalità dei nostri cori doveva adeguarsi ai modelli che ci venivano suggeriti dai nostri 10 rinnovamento del repertorio della coralità regionale. Su questo indirizzo sono orientati il Coro La Baita di Scandiano diretto da Fedele Fantuzzi (attuale presidente dell’Aerco), che nel solco della ricerca iniziata da Giorgio Vacchi ha impostato un repertorio di canti popolari ritrovati nel reggiano, il Coro Montenero di Ponte dell’Olio, il Coro Val di Nure di Bettola, il Coro Toccacielo di Porretta Terme (Bo). Il coro Montecastello, che nasce nel 1978 a Neviano degli Arduini (ora con sede a Parma), ha adottato un repertorio di canti ispirati alla cultura popolare dell’Appennino parmense che esegue seguendo però una emissione vocale di tipo “classico”.25 In Toscana va segnalato il Coro La Martinella, che è sorto nel 1970 in seno alla sezione fiorentina del CAI per iniziativa di Claudio Malcapi.26 Il suo repertorio comprende sia classici canti di montagna che canti popolari toscani, questi ultimi frutto di sistematica ricerca in varie zone della regione. Nell’Italia del Sud citiamo i Cantori Materani diretti da Alessandra Barbaro tramite le elaborazioni polifoniche di Damiano D’Ambrosio. Nato sulla scia del coro di “montagna” anche la Corale Cantori del Pollino di Terranova del Pollino diretti da Mario Demitolo sono approdati successivamente al recupero delle fonti della tradizione popolare del Pollino.27 La fondamentale importanza della coralità popolare ha sicuramente contribuito alla creazione del pregevole progetto editoriale della Feniarco sui canti popolari, iniziato con due volumi contenenti fonti e armonizzazioni-elaborazioni, il primo dedicato alla Toscana, il secondo al Friuli Venezia Giulia.28 Per quella zona geografica è da segnalare la fondamentale ricerca rigorosamente legata al patrimonio della tradizione orale popolare di alcuni importanti musicisti: quella condotta dal triestino compositore, etnomusicologo e linguista italiano di origine slovena Pavle Merkù29 e quella del pordenonese Bepi Carone,30 la cui ricerca avviata nel 1966 ebbe sviluppo musicale soprattutto con l’esperienza del coro Paralipomeni. In Umbria si segnala l’attività di Franco Radicchia31 con il gruppo di musica popolare Armonia e Tradizione di Perugia, che ha curato la revisione e trascrizione di due volumi di brani popolari umbri. Nel rapporto fra ricerca e composizione è da ricordare nel Lazio l’attività divulgatrice di Domenico Cieri e di Luigi Colacicchi.32 Anche nell’attività compositiva di Orlando Dipiazza ha spesso trovato spazio l’elaborazione del canto popolare, sviluppata in larga parte con il Gruppo polifonico Monteverdi di Ruda da lui fondato. Nel Molise il coro femminile Samnium Concentus esegue musiche del direttore compositore Guido Messore che ha curato personalmente le trascrizioni da fonte orale di proprie elaborazioni per coro. Nelle Marche notevole è l’attività di Giovanni Ginobili che tra gli anni ’40 e ’50 svolse il suo lavoro di ricerca e trascrizione dei canti popolari maceratesi e piceni (circa 300) che fanno parte del repertorio del coro Sibilla, della Corale Cantando di Macerata, della corale Bizzarri di Civitanova Marche, del Coro Monti Azzurri di Pievebovigliana, del coro S. Maria in Viminatu e del coro La cordata di Montalto diretto da Patrizio Paci. Interessante e assai conosciuta è l’attività nella rielaborazione del compositore e direttore di coro triestino Claudio Macchi. VII. Il coro Stelutis, Giorgio Vacchi e la ricerca La visione di Vacchi riguardo all’elaborazione della melodia popolare si fonda sulla ricerca e sullo studio delle fonti. La conoscenza diretta e non mediata del dato originale mette il compositore al riparo dalla ripetizione di standard o modelli armonizzativi. Anche dal punto di vista interpretativo un’opportuna conoscenza del sound originale può contribuire a scelte non dettate da schemi precostituiti: per esempio l’uso della vocalità dura e ingolata può diventare elemento espressivo, elemento integrativo e non oppositivo al cosiddetto “bel suono”, la cui ricerca fine a se stessa può dare luogo esclusivamente alla formale comunicazione sonora, ma non diventa veicolo interpretativo del testo. Per Vacchi il musicista-elaboratore che intende intraprendere la strada pedagogica della trasmissione della cultura popolare ne deve acquisire una conoscenza diretta per poter educare i nostri cori nel confrontarsi anche questo nuovo sound. Molto perentorio e deontologico è l’approccio di Vacchi con il metodo di lavoro del compositore che si rivolge a melodie popolari.33 Dal punto di vista compositivo la ricerca dell’ambientazione e del vestito sonoro non è frutto di cliché ma ricerca della sottolineatura, dell’enfasi, “esplicando” ciò che nella melodia e nel testo sono “impliciti”: la vocalità originale è risorsa, le varianti possono diventare un suggerimento al modo di comporre ed elaborare il canto. Una maieutica compositiva: non il calare dall’alto un standard armonizzativo, ma domandare e cercare nella melodia le basi dell’elaborazione. Fondamentale per la regione Emilia-Romagna la ricerca di Giorgio Vacchi34 che dalla fine degli anni ’50 ininterrottamente ha iniziato quell’opera di raccolta di melodie popolari, poi sfociata nell’archivio CCS (Centro Culturale Stelutis). La ricerca è stata la base e il collante per la costruzione dell’Aerco che all’inizio si chiamava Aercip (Associazione Emiliano-Romagnola dossIER Cori d’Ispirazione Popolare) perché nata da un primo nucleo di cori legati al repertorio popolare, per qualcuno dei qual era già iniziata la ricerca in quel repertorio: «Solo negli anni Ottanta, in definitiva, si giunse a un chiarimento abbastanza generalizzato di tutto il problema;… alcuni musicisti, nell’elaborare i temi popolari per coro, si sforzarono di studiare e approfondire queste caratteristiche originali, al fine di allargare la gamma di espressività delle armonizzazioni: si cominciava, insomma, a tener conto della interdipendenza tra i suggerimenti impliciti nei temi popolari (sia in ordine alla melodia che ai loro contenuti) e gli elementi che vanno a costituire la elaborazione corale: ciò che in precedenza si era visto solo episodicamente». La ricerca e l’armonizzazione secondo Vacchi sono gli elementi cioè che determinarono l’identità del canto d’ispirazione nella maggioranza dei repertori dei nostri cori: sono stati i due fondamenti sui quali che è stato costruito il “canto di montagna” che SOSAT e SAT hanno proposto negli anni Venti e che ha avuto quella eccezionale diffusione che nel secondo dopoguerra indusse centinaia di cori a imitare e adottare quella soluzione corale. Seguiamo direttamente il ragionamento di Vacchi: «Quanto alle armonizzazioni appare subito chiaro che Pigarelli (e anche gli altri che operarono in quella prima fase della vita del “canto di montagna”) fa delle scelte che vanno principalmente in una direzione: quella di non contrastare mai l’andamento melodico, ma di seguirlo con fedeltà, anzi di blandirlo. Accordi per lo più consonanti, alternati a settime di dominante, con qualche deviazione sul quarto grado: poco di più nello schema armonico di quel periodo. Passerà un bel po’ di tempo prima di arrivare a soluzioni più ardite. Il fatto è che davvero serviva (e bastava) quella semplicità per rivestire, ed enfatizzare, le semplici melodie proposte. Poi ci fu, sempre per cercare di non entrare in contrasto con le lineari melodie, una scelta timbrica accattivante, in parte già presente nel canto spontaneo dell’area trentina: quella voce virile piena e morbida, dalle vocali spesso rese un po’ scure e un tantino “intubate”, che creavano delle armonie piene e gratificanti». Ma l’esigenza di approfondire il rapporto con il canto popolare fece fare a Vacchi un cambiamento di prospettiva inaugurando la decisiva stagione della ricerca sul campo: «…dopo vent’anni trascorsi a cantare in dialetto trentino (o veneto) e imitando una prassi vocale certamente gratificante ma lontana da quella che io sentivo essere propria della mia terra, decisi che era ora di provare. Si trattava, insomma, di ripercorrere la strada che aveva fatto il “canto di montagna” sia per quanto concerneva la ricerca che in ordine alle scelte di elaborazione corale. Cominciai quindi a percorrere le valli appenniniche più vicine a Bologna alla ricerca di anziani che avessero voglia di cantare, dentro al mio registratore, i canti che erano stati tramandati oralmente dai padri e dai nonni, legati quasi sempre alle attività proprie del mondo contadino: canti che erano a volte espressione individuale ma più spesso si basavano su esecuzioni di gruppo, nella stalla durante le veglie invernali, nelle feste, durante i lavori collettivi ecc. Dovetti, ben presto, allargare l’area della ricerca alle altre provincie della mia regione e in questa fase incontrai numerosi amici (il più delle volte appassionati come me di canto corale) che si resero disponibili a collaborare al lavoro di ricerca sul campo: in cambio diedi il mio impegno nel creare qualche armonizzazione tratta da melodie ritrovate. Ma la fase della ricerca fu estremamente importante, si può dire indispensabile, principalmente per due L’espressività del canto passa anche attraverso la tipologia del suono. 11 informatori: ma quali erano le caratteristiche del nostro canto? Cominciammo ad ascoltare con attenzione quei suoni duri, spesso sgarbati, che caratterizzavano tante esecuzioni dei nostri informatori, così lontani dai suoni tanto più dolci e accattivanti (e che si fondevano così bene!) del canto trentino col pensiero volto a un nuovo equilibrio armonico, a una diversa fusione tra le voci, che cogliesse lo “spirito” del canto popolare della nostra terra… E intanto veniva in superficie un altro aspetto, forse quello di maggior interesse, legato al problema ricerca, aspetto che riguarda coloro che per primi, accettando il suggerimento di intraprendere questa nuova attività, entrarono in contatto col mondo popolare attraverso la figura dell’informatore. Si cominciò ad ascoltare con orecchio ben più attento le tante storie in musica che anziani informatori andavano raccontando (magari le stesse che tante volte aveva ascoltate dai nonni, senza però dare a esse la minima importanza), cercando di cogliere gli infiniti messaggi che quel mondo era ancora in grado di lanciare. Così appariva sempre più evidente che in ogni regione, pur incontrando filoni che attraversavano aree molto più vaste, mutavano le caratteristiche dei canti; diversa la vocalità con cui venivano espressi, con la presenza o meno di melismi e abbellimenti, e con diverse propensioni nel privilegiare certe scelte armoniche (quando si trattava di espressioni corali) piuttosto che altre. Ecco perché ci sembrò limitante la scelta generalizzata della metodologia “SAT” applicata sempre e dovunque: mi spiego. Nel volume guida della SAT Canti della montagna scoprivamo esserci canti piemontesi, valdostani, lombardi, laziali ecc., tutti proposti con le medesime caratteristiche melodiche e armoniche; dai dischi inoltre ascoltavamo le stesse scelte timbriche e vocali per canti che, così diversi fra loro proprio perché provenienti da mondi molto lontani e diversificati, avrebbero invece dovuto farci apprezzare espressività diverse a seconda dei luoghi d’origine.» 35. Condivido fra le altre anche questa perplessità di Vacchi davanti a questa affermazione, che di fatto, finisce col costituire una limitazione espressiva del suono vocale. Il colpo d’attacco è adottato con grande espressività per esempio dal coro Il Mistero delle Voci Bulgare, che, 12 motivi. Il primo è che, prendendo contatto con centinaia di informatori (per la maggior parte “informatrici”), ho avuto la possibilità di toccare con mano gli elementi di quella cultura di tradizione orale di cui sapevo ben poco, e quel poco proveniva da letture e non da elementi acquisiti di prima mano; finalmente, avvicinandola, cominciavo a capire qualcosa di quella “civiltà contadina”, scoprendone le leggi mai scritte e le linee guida che indicavano ai singoli le norme di comportamento. E questo era indispensabile per capire che cosa era importante e cosa non lo era nella fase di scelta degli elementi su cui costruire una piano di elaborazione delle melodie. Il secondo motivo è stato che solo ascoltando dal vivo centinaia di canti mi sono reso conto delle loro caratteristiche: musicali, ritmiche, timbriche, ecc. Solamente il contatto con la realtà mi avrebbe permesso di fare quelle scelte che avrebbero modificato tante delle componenti espressive del mio coro, qualora avessi voluto dedicare il futuro alla scelta “regionale”. Parallelamente a questa prima fase di ricerca, l’interesse per il canto popolare fu sviluppato da più parti anche dal confronto con il lavoro che alcuni studiosi italiani andavano facendo da qualche anno in diverse zone della penisola italiana come Roberto Leydi, Ivan Della Mea, Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Alan Lomax e altri che operavano nell’ambito dell’Istituto Ernesto De Martino, del Canzoniere Italiano e di Cantacronache. In altre parole era il movimento etnomusicologico che nella fase realizzativa e ripropositiva della ricerca sul campo prese il nome di FolkRevival, cui va il merito di aver fatto conoscere tanta parte del patrimonio popolare attraverso numerose pubblicazioni e i “Dischi del sole”». Fu proprio l’approfondimento dello studio di queste caratteristiche della vocalità della nostra regione a determinare un’ipotesi di quale poteva essere il sound del coro emiliano, che avrebbe potuto far riferimento a quella vocalità piuttosto che a quelle proposte da altri modelli (della polifonia classica o del “coro di montagna”). La contemporanea scoperta dei fondamentali testi della etnomusicologia a iniziare da Nigra, a D’Ancona e a Ferraro permise inoltre di mettere a confronto le canzoni ritrovate con le tante già conosciute e che altri avevano già raccolto e pubblicato. L’approccio con le metodologie di ricerca suggerite da Leydi e da Toschi e le metodologie di analisi comparata del Santoli furono stimolanti punti di riferimento. Lo stile elaborativo di Vacchi quindi assume un aspetto quasi filosofico con un approccio molto approfondito della “materia” oggetto dell’intervento compositivo e dell’atto creativo: «Ricordate quanto diceva un illustre etnomusicologo [Roberto Leidy, ndr.] a proposito della voce “lacerata in uso in certe zone? Ebbene, quando mai sentiamo usare la voce ‘lacerata’ in musiche che pur avrebbero bisogno di qualcosa di diverso da quel ‘suono bello’ che pare sia il fine ultimo del cantare? Così sentiamo eseguire elaborazioni di canti provenienti dal repertorio, ad esempio, delle mondariso, canti carichi di sentimenti vicini alla rabbia e alla cattiveria, con voci flautate e perfettamente confezionate secondo le buone regole della imperante scuola di bel canto, quando invece un po’ di quella voce ‘lacerata’, di cui si parlava, sarebbe quanto mai opportuna”». L’espressività del canto passa dunque anche attraverso la tipologia del suono. In questa prospettiva cadono dunque alcuni capisaldi della tecnica della scuola del “bel canto” come il suono che eviti il colore della laringe, il suono nasale, il suono privo del suono d’attacco delle corde vocali, il suono che non sfrutti continuamente le cavità superiori, la tecnica che pratichi unicamente l’unificazione del registro, l’uso continuo del vibrato che arriva a far dire a qualcuno che solo l’oscillazione del vibrato ci permetterà di esprimere ogni sentimento attraverso il canto; se questi principi fossero applicati indiscriminatamente e senza contestualizzazione stilistica alla tecnica vocale per coro rischieremmo di produrre un processo di standardizzazione del suono corale.35 Il canto popolare visto nell’ottica di rispetto delle caratteristiche dell’emissione localizzata (anche di diverse aree regionali) ha mostrato con chiarezza di rivelarsi come una miniera di ricchezza timbrica ed espressiva. La tecnica corale ha esigenze diverse di quella solistica.36 IX. Nuove tendenze Il futuro dei cori che interpretano il mondo popolare è difficilmente intuibile, ma i fermenti sono stati gettati e nuove vie tracciate, come abbiamo visto. Il repertorio compositivo ormai accumulato in poco meno di cento anni è un monumento da cui la cultura musicale e in particolare quella corale non può più prescindere. Raccogliamo un pensiero di Giovanni Acciai: «Una società come la nostra che ha nella globalizzazione il suo unico punto di forza; che è sottoposta dai mass media alla costante distrazione; bombardata incessantemente da stimoli i più disparati; tormentata dal tedio e dalla noia: erosa spiritualmente e psicologicamente, potrà sperare di salvarsi soltanto riappropriandosi delle sue radici più autentiche, delle sue tradizioni più genuine. Con il ritorno al canto popolare la società contemporanea potrà dossIER sperare di riuscire a mantenere vivo il suo carattere nel contesto della cultura imperante, come il fermento di un possibile rinnovamento spirituale che dal passato deve trarre ispirazione ed esempio».37 Da una parte dunque rimane l’immenso patrimonio che nel tempo si è accumulato grazie alla ricerca e che è disponibile per i compositori che vogliono misurarsi in questa dimensione che alla luce delle cose fin qui viste appare tutt’altro che scontato se si vogliono produrre opere che abbiano un significato nuovo e che apportino nuove idee nella tecnica compositiva. Il canto popolare come sempre è successo è destinato a evolversi e sempre di più i due livelli nella memoria degli informatori, quello culturalmente più profondo e originario e quello cresciuto nella attuale cultura più standardizzato, meno ricco sotto il profilo musicale, saranno da capire e da collegare.38 La ricerca stessa avrebbe ancora bisogno in Italia di un serio approfondimento vincendo scetticismi sulla attuale permanenza e possibilità di nuovi rinvenimenti di quelle melodie popolari nelle medesime condizioni di quelle che son state ritrovate nella ricerca fin qui fatta.39 L’interesse per la rielaborazione di melodie popolari continua a produrre nuove composizioni anche fra quei compositori come Luciano Berio, Franco Donatoni e Giacinto Scelsi, tecnicamente ed espressivamente impegnati nella musica contemporanea. Questo mette in rilievo l’obiettivo di considerare le composizioni su melodia popolare alla stessa stregua della composizione “libera” e che non si debba confinare il repertorio popolare e la sua esecuzione solamente nell’angusto limite della monografia. Già in parte sono avviati da alcuni cori progetti di studi e programmi concertistici in cui il repertorio polifonico “classico” convive e si mescola con successo a quello popolare: le nuove composizioni sul canto popolare possono fare da sentiero sul quale innestare le nuove proposte.40 Alcune stimolanti indicazioni possono provenire dalla fonte e dalla esecuzione dell’informatore sia compositivamente che interpretativamente: per esempio il superamento della visione di canti provenienti da situazioni geograficamente diverse e lontane con la medesima vocalità “standardizzata” che induce a perseguire una ricerca regione per regione di innesti nella tecnica vocale legati alle caratteristiche locali; lo studio di una espressività legata al brano da 13 appunto, attinge moltissimo dall’emissione del canto popolare. Un’altra strada che nella tecnica moderna dell’impostazione vocale del coro non è l’uniformità della singola voce o tra voce e voce, ma la fusione naturale fra vari timbri, quelli che ogni voce si porta dietro come tratto specifico e irrinunciabile della personalità di ciascuna persona, attraverso la modifica e l’uniformità solo nella posizione dell’apparato modificatorio mobile (labbra, lingua apertura della bocca etc.). Vedi in proposito Pier Paolo Scattolin, Valori tecnico-musicali della vocalità popolare e loro confronto con la vocalità della musica rinascimentale e della produzione contemporanea, Atti del convegno di studi e di aggiornamento, Modena 18 ottobre 2003, Farcoro, 2005, 2, pp.18-23 [ndr]; Giovanni Torre, La Polifonia e il Canto Popolare, Aspetti d’intersecazione tecnico-musicale, [Relazione svolta nel Convegno di Castelfranco Emilia] Mercoledì 12 Maggio 2004, Aspetti della vocalità popolare nel rinascimento. 36. Un interessante richiamo alla tipologia dell’emissione popolare è richiamato perfino nell’estetica rinascimentale da Domenico Pietro Cerone (1566-1625), teorico, cantore e maestro di coro a Napoli, nel suo monumentale trattato El Melopeo y Maestro, tractado de música theorica y pratica del 1613: «le Frottole e gli Strambotti, come pure le canzoni Napoletane e le Villanelle, devono mantenere l’espressione della rude anima del volgo e atteggiarsi al cantare contadinesco e grossolano». 37. Giovanni Acciai, Prefazione a Cantar Storie un viaggio nel canto di tradizione orale tra i monti dell’Ossola, Ricerca sul campo e apparato filologico a cura di Luca e Loris Bonavia, coordinamento e supervisione a cura di Paolo Bon, Grossi, Domodossola, vol. III, 2004, p. 6. Le elaborazioni dei tre volumi sono state realizzate da Angelo Agazzani, Mario Allia, Bruno Bettinelli, Paolo Bon, Luca Bonavia, Gian Carlo Brocchetto, Alessandro Buggiani, Elena Camoletto, Roberto Cognazzo, Armando Corso, Marco Crestani, Renato Dionisi, Gianmartino Durighello, Fedele Fantuzzi, Sandro Filippi, Jacques Fombonne, Armando Franceschini, Mario Fulgoni, Riccardo Giavina, Mario Lanaro, Marco Maiero, Gianni Malatesta, Andrea Mascagni, Angelo Mazza, Paolo Mortara, Alejandro Nunez-Allauca, Bruno Pasut, Giovanni Uvire, Giorgio Vacchi, Giovanni Veneri, Cecilia Vettorazzi, Mauro Zuccante. 38. Chiarissima al riguardo una precisazione di Giorgio Vacchi: «Certamente [nel secondo livello si osserva] una maggior propensione per le melodie lineari e cantabili: tendono ad affievolirsi i fronzoli e gli abbellimenti in favore di un approccio più standardizzato (quindi meno personalizzato) alla linea melodica. Stanno scomparendo quei giochi vocali melismatici di cui spesso chi cantava si serviva, specie nelle code delle frasi, per creare espressività e tensione. Non esistono più, evidentemente, i modelli da imitare per introdurre, in quel sottile gioco di appropriazione di un canto, le variabili che servivano a dare l’impronta personale all’esecuzione. Anche la libertà ritmica tende alla standardizzazione: la musica che si ascolta è per lo più ben inquadrata ritmicamente, se non addirittura esasperatamente ritmata, e il senso di libertà interpretativa, che era legato principalmente al fraseggio, non si ha più l’abilità di gestirlo, ci si rifugia perciò in facili, scontate soluzioni». 39. Ancora un pensiero di Giorgio Vacchi: «Certamente però bisogna continuare la ricerca, perché non è vero che quella “civiltà contadina” è completamente scomparsa: in parte si è andata semplicemente trasformando. Il contadino abbandonando la campagna ha portato con sé qualcosa del suo mondo e l’ha trasferito nella città dove ora vive, cioè nella fabbrica, nell’ufficio, etc.: e qui ha cominciato ad aggiungere altri pezzetti della sua nuova esperienza umana che sono andati a fondersi con quelli vecchi. Sono entrate nuove canzonette, o anche solo qualche ritornello, e anche certe sigle ascoltate in radio o attraverso la televisione: c’è tuttora una gran massa di elementi sonori che ascoltati, riascoltati, canticchiati e ricanticchiati stanno andando ad alimentare quel bacino che servirà in futuro per creare qualcosa che, se pur diverso, assomiglierà non poco a un nuovo “canto popolare”… Poi qualcuno dovrà certo indicare indirizzi diversi a chi voglia usare la voce, e ciò è anche compito nostro: anche creando qualcosa di nuovo che metta in condizione il coro di diventare interessante per le nuove generazioni. Certamente ci vorrà della buona musica, e qui l’impegno dei compositori non mancherà come non è mai mancato in questi anni, ma abbiamo visto che a questo impegno è corrisposta sempre anche una grande attenzione per quel “canto popolare” elaborato che ha fatto la fortuna della pratica corale. Anche in futuro credo che questa attenzione non debba venir meno, pur se, trattandosi appunto del futuro, nessuno ha ancora ben chiaro come sarà questo “nuovo”. Sarà bello scoprirlo!», relazione al convegno “Il canto di ispirazione popolare: verso quale futuro?”, Bressanone (Bz), 28 settembre 2002. 40. In questo senso è stato importante il progetto del Coro Giovanile Italiano della Feniarco del 2007 Alla fiera di Mastr’André… canti popolari delle regioni italiane, affidato al direttore Stojan Kuret e impostato su elaborazioni e nuove composizioni ispirate al repertorio popolare di alcune regioni italiane. 14 eseguire, al tema che è sviluppato all’ambiente cui si riferisce, ninna nanna, canto di lavoro ecc.; la ricerca del suono. L’avvicinamento del repertorio popolare e quello contemporaneo produce da parte del coro uno stimolo e una mentalità atta alla ricerca che riporti la questione della produzione del suono in funzione espressiva in una larga banda di possibilità; anche il concetto di “bel suono” è destinato ad ampliarsi e ad allontanarsi da un cliché che non comporti quel suono “bello” come il fine ultimo del cantare in coro. Molti sono i nuovi gruppi vocali che si esprimono attraverso l’elaborazione di melodie popolari. Per esempio il progetto artistico del Latinobalcanica Ensemble di Bologna mescola musica polifonica medievale, musica contemporanea e rielaborazioni di melodie popolari: è una ricerca prevalentemente basata su un percorso sonoro omogeneo che tende a legare tre culture compositive diverse. La ricerca consiste nello studio di un suono che, lontano ormai dalle convenzioni accademiche “classiche” e belcantistiche, metta a disposizione dell’emissione sonora un patrimonio come quello popolare che molto ha da dire e che ha allargato l’orizzonte della gamma timbrica, recuperando un’espressività che è disponibile per applicazioni anche negli altri stili compositivi e in genere nei gruppi vocali a repertorio popolare.41 In questi gruppi, sorti sulla scia della Nuova Compagnia di Canto Popolare, spesso la ricerca sulla tradizione orale si fonde con la musica originale e in qualche caso contemporanea come nel trio Latinobalcanica Ensemble. Fra i più conosciuti citiamo i gruppi Kàlamos (Sicilia), Lu Passagallë (Abruzzo), I DisCanto, I Uaragnaun e Faraualla (Puglia), Neilos (Calabria), Al Qantara,42 Assurd (Campania); in Emilia ricordiamo i Viulàn, importante anche il gruppo Pivenelsacco che nasce nell’ambito della scuola di Musica Popolare di Nonantola diretta da Fabio Bonvicini; nel repertorio convivono efficacemente brani del periodo rinascimentale e barocco adattati alle sonorità e alle potenzialità della piva, i balli staccati (gighe, manfrine) e i canti della tradizione emiliana. X. Indicazioni tecnico espressive del canto popolare La grande ricchezza costituita dal patrimonio dei cori popolari, dell’enorme e prestigioso repertorio, degli importanti sviluppi nella ricerca, delle preziose differenze di atteggiamenti e risultati artistici, le conclusioni che si traggono dall’osservazione di tali contributi portano a individuare alcune indicazioni tecniche ed espressive che si ripercuotono efficacemente anche nel campo di quella coralità che si occupa esclusivamente della polifonia classica o colta. Uno dei dati più interessanti nella vocalità popolare trasmessa dagli informatori e diventato patrimonio espressivo dei cori è la grande varietà e ricchezza dell’emissione della voce che ha alcune caratteristiche importanti: l’uso del suono vibrato contiguo a quello non vibrato; la presenza di suoni vocalici che possono essere diversi da quelli della lingua italiana, in quanto la fonetica è arricchita dall’apporto dell’idioma dialettale; l’uso naturale del timbro vocalico e del suono consonantico; la possibilità di utilizzo di alcuni suoni come il suono ingolato della laringe alta e della voce urlata oppure strascicata, a volte di difficile e complicata percezione intonativa. Infatti si osserva che nel mondo popolare l’organizzazione melodica, in altri termini la scala dei suoni, risulta spesso diversa da quella che noi chiamiamo come “sistema temperato o naturale”. Si riscontrano modi differenziati di concepire l’intervallo, fra cui anche l’uso del microintervallo;43 anche la distribuzione dei toni e semitoni non si attiene ai moderni modi maggiore e minore, ma si organizza secondo sistemi vicini ai “modi antichi”, per esempio il lidio e il frigio. Il fraseggio gode di alcune libertà espressive, collegate quasi sempre alla parola e in genere all’espressione del suo contenuto: il ritmo è spesso difficilmente inquadrabile nel ritmo uniformato della musica classica occidentale; c’è un uso particolare nel legare e connettere le parole del discorso; ci sono alcune particolarità nel fraseggio come l’uso del respiro spesso usato per sottolineare una parola ritenuta particolarmente importante ed espressiva. Questi pochi ma ben documentati fenomeni del mondo sonoro della cultura popolare aiutano a riflettere sulle enormi potenzialità del timbro vocale e ad avere una visione più allargata del mondo sonoro: ancora oggi, nonostante un ampliamento delle possibilità foniche del suono vocalico (e anche strumentale) dovuto alla sperimentazione molto frequente nel repertorio della musica contemporanea, per chi studia ed esercita l’attività musicale in senso accademico la gamma delle differenziazioni sonore si inquadrano solamente nella storia degli stili “classici” (per esempio lo stile barocco o quello del melodramma ottocentesco). Questo modo di pensare tuttavia offre una visione incompleta e finisce col trascurare le enormi potenzialità che provengono da altri sistemi fonatori e sonori come per esempio dal mondo popolare. In altre parole spesso l’orizzonte sonoro “classicoaccademico” risulta impoverito e ristretto, perché è quantomeno incanalato in atteggiamenti ed elementi tecnici ed estetici costruito su alcuni standard. Del resto è noto che per buona parte del XX secolo nel campo vocale la musica rinascimentale e barocca ha subito l’influenza interpretativa e quindi anche sonora del secolo precedente, precludendosi per molto tempo un’alternativa nell’emissione vocale. In genere la cultura musicale popolare non è materia di studio negli ambienti scolastici e accademici; non di rado anzi il disinteresse verso questa cultura deriva dalla persistenza di stereotipi quale, per esempio, quello per cui si pensa che il dossIER materiale sonoro prodotto da tale cultura abbia una certa configurazione sonora perché eseguita da persone non acculturate e tecnicamente impreparate. Il cammino verso una concezione che consentisse una maggiore attenzione al mondo sonoro popolare è stato lento, anche nel mondo corale, anche perché per molta parte si è adagiato su modelli e standard sia nel campo della musica di ispirazione popolare che in quella della polifonia classica.44 Il critico Mario Bortolotto analizzando i lavori di Goffredo Petrassi riconosce, seppure in maniera generica, che molto spesso, nella sua opera, si ritrovano tali andamenti melodici, le cui caratteristiche intervallari e melismatiche sono dei frammenti musicali che riconducono ai canti dell’Agro Pontino. La vocalità antilirica dei quadretti ironici dei Nonsense si salda con molta naturalezza con la vocalità del mondo popolare, e forse costituisce uno dei primi esempi italiani di contaminazione o forse solo di incrocio di soluzioni fra due linguaggi, quello colto e quello della cultura popolare, che in Europa avevano già prodotto, seppur per ragioni estetiche diverse, molti capolavori nel repertorio corale come nelle composizioni corali e strumentali di Béla Bartók.45 E in effetti la musica balcanica costituisce un ponte notevole fra il canto popolare e la composizione colta. Sicuramente se quello che giunge alla nostra sensibilità dell’elaborazione compositiva del canto popolare rumeno-ungherese di Bartók è il colore delle strutture ritmiche e armoniche, l’immediatezza del rapporto fra il testo e la musica, altro discorso si deve fare per il repertorio per esempio delle voci bulgare che a fronte di impianti elaborativi assai complessi che esaltano per esempio il senso del cambio di tonalità e il ritmo, ci trasmettono nel modo di cantare suoni e prassi esecutive direttamente derivate dal canto popolare. In questo stile si evidenzia molto distintamente l’uso quasi strumentale dell’emissione vocale che assomiglia nel suono laringeo a uno strumento ad ancia come il clarinetto. In una composizione che riporta moduli popolari in una rielaborazione moderna risulta naturale se non necessaria la compatibilità di suoni gutturali prodotti con una posizione della laringe naturale e in qualche caso alta con escursioni nel timbro nasale, con suoni di impostazione classica. Infine l’attenzione all’abbellimento, così caratteristica nella musica popolare di ogni cultura etnica, diviene elemento formale importante nella elaborazione corale. Una delle caratteristiche della musica contemporanea che la fonte orale aiuta a comprendere è la ricerca sul suono, per un verso reso indipendente anche dal significato della parola, ma nello stesso tempo proteso verso la ricerca del suono della parola in maniera espressiva e metalinguistica, per amplificare il senso espressivo e la visione musicale del testo poetico. In questo caso la parola si arricchisce di suoni concepiti non come linea melodica e quindi impostati in tale senso, ma come aspetto fonetico di “rumore”. Questi esempi possono solo indicare che culture diverse hanno sviluppato ognuna nel proprio ambiente una grande ricchezza nell’emissione del suono vocalico perché non rinchiuse in uno standard: può darsi che le contaminazioni producano effetti di ulteriori allargamenti della espressività musicale, di cui oggi sentiamo molto la necessità e l’urgenza sia dal punto di vista compositivo che da quello interpretativo, come quando una parola perde il suo significato per ritornare suono, puro, primitivo e potente. La tecnica corale ha esigenze diverse di quella solistica. 15 41. Nell’interpretazione del trio Latinobalcanica Ensemble di Bologna si evidenzia l’uso di suoni spiegati a laringe alta e l’accurata esecuzione di caratteristici abbellimenti, che, in varia forma, sono elementi espressivi e tecnici ben presenti nella musica popolare di ogni cultura. Anche nell’esecuzione di questo gruppo si ricerca l’idea di “restituzione culturale” con un filtro vocale che, pur risentendo di un’impostazione classica, usa colori, abbellimenti e fraseologia del canto popolare. 42. Il gruppo con caratteristiche strumentali e vocali nasce nel 1990 a Bologna: il suo repertorio è basato sulla commistione fra musiche e canti siciliani medievali e la tradizione orale compresa quella di origine araba. 43. Per esempio nelle Lamentazioni funebri in lingua arberesh (usata dagli Albanesi trapiantati in Italia) raccolte da Cirese nel 1952 nella sua ricerca svolta nella zona di Ururi e Portocannone in Molise e che sono la base di una mia composizione vocale, risulta molto evidente l’impatto con suoni e andamenti melodici molto particolari, con uno sfondamento nell’uso del microintervallo (che nel linguaggio della musica contemporanea diventa il “quarto di tono”) difficilmente inquadrabile in una “stonatura”. 44. Fino a metà del secolo scorso la polifonia rinascimentale era trascritta ed eseguita seguendo canoni estetici del secolo precedente, quindi grondante di stilemi provenienti dalla musica lirica non solo nel senso dell’emissione sonora ma anche del fraseggio e del rapporto espressivo fra il testo e la musica. 45. Béla Bartók assieme a Zoltán Kodály è stato il maggior compositore di area balcanica che ha trasferito molti elementi del linguaggio della propria tradizione popolare nelle strutture di tutto il suo linguaggio compositivo. La poetica bartokiana ha costituito un riferimento stilistico-estetico che ha influenzato direttamente o indirettamente molti compositori europei. non state a perder tempo guardate sempre avanti… con curiosità intervista (postuma) a renato Dionisi renato a cura di Bruno Zanolini compositore Caro Maestro, sono passati cento anni da quando è nato e dieci da quando ci ha lasciati: ecco il motivo per cui da parte di molti si è pensato di organizzare in questo 2010 tutta una serie di “omaggi” in suo onore, soprattutto a Rovereto, a Milano nel “suo” conservatorio e all’università di Trento. È soddisfatto? Sarei bugiardo (e nella mia nuova veste non posso certo esserlo) se non ammettessi che il vostro ricordo mi fa piacere, ma come sai ho sempre aborrito tutto ciò che possa sapere di falso, ipocrita, posticcio: quindi continuo a dirvi «non perdete tempo, guardate avanti non indietro» e se la mia musica continuerà ad avere qualche valore sarà lei stessa a camminare con le proprie gambe, indipendentemente da ricordi e commemorazioni più o meno sentite. Come si usa dire giù nel “basso mondo”, è la Storia il vero giudice di ogni artista. compositorE 17 D’accordo, ma vorrei farle notare che il desiderio di dar vita a questi “festeggiamenti” è stato sentito da tutti e condiviso ovunque, come si conviene a un Wanderer della musica quale lei in definitiva è stato. Solo in un ambito geograficamente ridotto, per carità, ma psicologicamente questo è vero. Mi sono sempre sentito aperto a una visione ampia, internazionale delle cose: nato sotto l’Impero a Rovigno d’Istria, subito trasferito a Borgo Sacco di Rovereto, città della mia famiglia, poi Maribor e Salisburgo durante la guerra, ancora Rovereto, gli studi a Bolzano e poi l’attività a Firenze, soprattutto a Milano (la mia seconda “patria”), il continuo elastico fra Milano e Rovereto ecc. per poi concludere il “viaggetto” a Verona, come sai. Tutto ciò, del resto, mi ha aiutato a entrare in contatto con molte esperienze musicali e con i loro protagonisti, obbligandomi a mettermi continuamente in gioco ed evitando che rimanessi chiuso fra le soffici e gratificanti coltri del paesello… Ecco, le sue esperienze musicali, negli anni di formazione e in seguito… non devono essere state poche, ce ne parli. Come tutti, all’epoca, sono cresciuto all’ombra del melodramma, eseguito – in maniera più o meno appropriata – in ogni dove e perciò fortemente radicato nella coscienza collettiva: forse per questo, per innato spirito di ribellione (che ho sempre manifestato…), pur conoscendo il repertorio teatrale a memoria e riconoscendone i grandissimi meriti, non mi ci sono poi creativamente accostato. A parte ciò, la prima “cotta” – mai rinnegata – è stata per la musica francese del ’900, eseguita spesso a Rovereto grazie alla passione del conte Marzani, in primis Ravel e Honegger e, in seguito, addirittura Schaeffer con i suoi esperimenti di musica “concreta”. Naturalmente non mi è mancato l’interesse per i tedeschi e per Strauss in particolare, tutte conoscenze che hanno integrato gli studi “accademici” per i quali ringrazio sia Mario Mascagni sia soprattutto Celestino Eccher, gregorianista di scuola romana che più di tutti mi ha aperto gli occhi su molteplici aspetti della musica. A Firenze poi e a Milano, città a quell’epoca particolarmente stimolante dove operavano musicisti del calibro di Ghedini, Bettinelli (ai quali sono stato legato da sincera amicizia) e poi Donatoni, Castiglioni ecc., mi sono confrontato con le esperienze neoclassiche, dodecafonico-seriali e via dicendo, così da poter fare le dovute scelte e riuscire coerentemente a trovare – spero nel migliore dei modi – la mia strada. Del resto, come ho sempre detto e tu sai bene, mi è interessata più la musica d’altri che non la mia… La sua strada… Come già ho espresso in vecchi discorsi tra noi, mi sembra che la sua sia stata una conquista sofferta e “avanzata” nel tempo, nel senso che mi pare un traguardo raggiunto dagli anni ’70 in poi, soprattutto nei lavori da camera e corali. Non spetta a me dirlo, ma è probabile che la mia vicenda assomigli a quella del vino genuino, che migliora… invecchiando. Quanto ai lavori dei miei ultimi tre decenni di vita, penso di poter confermare il tuo giudizio, che vede in queste composizioni un raggiunto equilibrio fra il dato linguistico, di matrice seriale sia pur interpretata senza dogmatismi, il dato metrico, di riferimento per così dire “gregoriano” in quanto basato sull’antica tradizione del “tempo primo” discorsivo quale piede da poter poi suddividere in “neumi” dalla semplice ritmica binaria o ternaria (un tipo di serializzazione anch’esso), e il dato formale e timbrico, caratterizzato da un’ideale impostazione dialogica, quasi gli strumenti siano personaggi che conversano in maniera più o meno animata in un ambiente familiare (ecco perché i miei titoli: dialogo, conversazione, litigio…) proponendo argomenti, ragionandone serenamente o scontrandosi in animosa sovrapposizione e così via. A questa prospettiva si può anche far risalire la mia decisione di abolire in molte composizioni le stanghette di battuta, cosa che mi risulta susciti ancor oggi perplessità in molti che evidentemente non sanno “dialogare”: in realtà, una “prosa” come quella che governa i miei lavori strumentali, direttamente legata con le sue figure alle parole musicali e alla loro metrica, mal sopporta le indicazioni di tesi e arsi tipiche della battuta tradizionale, giacché si esprime in maniera fraseologicamente meno costretta seppur rigorosa, al punto che le stanghette possono risultare fuorvianti. D’altronde gli strumentisti sono bravissimi a leggere la loro parte e confrontarla contemporaneamente con quella altrui… o Oltre alla musica da camera, scritta per lo più su commissione e per organici spesso inusuali, lei si è dedicato molto alla coralità, riservando invece meno interesse al repertorio solistico o per grande orchestra e nessuno al teatro (a parte qualche raro approccio alla musica di scena). E del mondo corale si è dedicato quasi esclusivamente all’aspetto sacro oppure a quello “popolare” come si usa dire… Sì, è vero e i motivi sono stati in parte ideali e in parte pratici o addirittura casuali. Oltre al fascino che 18 ha sempre avuto per me lo “strumento primordiale” in un gioco d’assieme, del repertorio corale sacro mi ha sempre attirato la dimensione spirituale, che nulla come la musica riesce a sublimare: non per niente ho musicato più volte alcuni testi a me particolarmente congeniali, alla ricerca di soluzioni sempre più approfondite e adeguate. E poi non dimentichiamo che il testo sacro (meglio se tratto dal libro della Genesi, non si sa mai…) elimina drasticamente il problema dei permessi editoriali e dei diritti d’autore, con tutti i ritardi e le polemiche che necessariamente seguono… Quanto poi al repertorio cosiddetto popolare, che più degli altri ha fatto la mia notorietà, devo riconoscere che tutto è nato per caso, o meglio per l’insistenza di alcuni amici, Silvio Pedrotti in testa, da cui il mio legame pressoché esclusivo sotto questo aspetto con il coro della SAT di Trento: ma sul concetto di “popolare” e sulle varie scelte musicali adottate in ambito corale (anche dal sottoscritto, sia chiaro) avrei qualcosina da dire… controcorrente, ma dall’alto seggio in cui ora sono non mi sembra il caso, anche perché adesso è troppo facile per me trovar la soluzione ideale allo snocciolarsi del “dramma”. Già, i vantaggi del senno di poi! Comunque è da tutti riconosciuto che i risultati dei suoi lavori corali siano del massimo livello, come anche quelli della sua produzione per l’infanzia… Quanto al livello non vorrei dire, ma di sicuro ho sempre guardato con estrema attenzione al mondo dei bambini, forse perché avrei voluto dieci figli!, e quindi ho dedicato loro varie composizioni (ti ricordi ad esempio Luctus in ludis, per il quale mi hai aiutato a trovare il titolo?) o le ho pensate per loro in termini didattici, proseguendo una tradizione che, come sai bene, conta alcuni fra i più grandi nomi della musica. A proposito di “grandi nomi”, come vede in tal senso il panorama contemporaneo e tutte le sue problematicità? Direi che anche gli ultimi decenni hanno espresso, non diversamente dal passato, grandi personalità musicali, da Ligeti a Donatoni a Grisey, ma in generale ritengo che l’ultimo secolo – fino all’oggi – rappresenti comunque un periodo critico, seppur importante quale momento di ricerca e di messa a fuoco di nuovi orientamenti espressivi, anche in rapporto a determinate conquiste tecnologiche. Penso che per vari aspetti il Novecento sia paragonabile al Seicento, altro secolo che – seguito a un periodo aureo (il ’500 per l’uno, l’800 per l’altro) – ha dovuto affrontare una rivoluzione tecnico-espressiva di vasta portata, ovviamente non disgiunta da altri grandi cambiamenti collegati: e come il Seicento, che ha Monteverdi quale nume iniziale, ha intravisto al suo termine la nascita di un apice musicale rappresentato dalla generazione dell’85 (Bach, Haendel, Scarlatti), così il Novecento (e questo inizio di XXI secolo), partito da Debussy, dovrebbe a mio parere essere pronto – grazie al lavorio di ricerca di tanti notevoli autori – per un nuovo periodo aureo… Ce lo auguriamo tutti: e con questa speranza quale può essere il suo consiglio ai giovani in particolare, il suo messaggio? Lo stesso che ho dato a te e a tutti i miei numerosissimi allievi: quello di affrontare ogni esperienza con il massimo impegno, senza faciloneria, di non dare mai nulla per scontato ma di verificare sempre ogni cosa, di farsi soprattutto guidare dalla curiosità artistica, in modo da poter fare le scelte a ragion veduta, non per mancanza di conoscenza circa possibili alternative. Personalmente devo dire che sono sempre stato mosso da una grande curiosità per ogni aspetto musicale (dalla serialità alla musica concreta, dal repertorio leggero – ricordi il mio apprezzamento per Fred Buscaglione o per i Beatles? – ai minimalisti), quindi anche per orizzonti apparentemente lontani dal mio mondo. Quanto invece al dovere e al piacere di verificare con mano ogni assunto musicale – si tratta anche qui di curiosità – riconosco che da questa “necessità” è partito lo stimolo per la mia attività di ricerca didattica, che tu conosci bene visto che in gran parte ci abbiamo lavorato assieme: non ho mai sopportato regole preconcette, calate dall’alto senza un perché, senza una giustificazione che non venisse dalla letteratura musicale stessa. Insomma, mi sono impegnato in questa attività perché È la storia il vero giudice di ogni artista. ero stufo di vedere maltrattata la Musica. E proprio perché la ricerca non ha mai fine e comunque nessuno ha musicalmente la verità in tasca, quello che non ho mai sopportato anche nei maggiori musicisti che ho incontrato, figuriamoci nei mediocri, è stato l’atteggiamento di superiorità, di tronfia prosopopea – non faccio nomi – a cui ho sempre risposto con venature di pungente se non addirittura caustica ironia: in questo sono stato un “maestro” (tra virgolette, che come tutti sapete sono il mio contrassegno letterario e anche in questa intervista mi accorgo di averne fatto uso massiccio!). Ritornando agli allievi (senza virgolette), deve riconoscere che pochi maestri sono stati amati dai propri allievi come lei, tra l’altro con grande spirito di riconoscenza come è chiaramente emerso nei recenti incontri per il suo centenario/ decennale: alcuni allievi, oggi fra i più noti musicisti in campo internazionale, nell’impossibilità di intervenire di persona hanno inviato testimonianze scritte di commovente intensità. Gliele farò leggere. So di questo affetto, l’ho sempre percepito anche se talvolta facevo il burbero per “difendermi”: ma come tutti voi avete di certo capito il sentimento è stato reciproco, anche se in definitiva ad averne più bisogno… ero io. Comunque, credo che il feeling (non preoccuparti, qui in alto si parlano tutte le lingue) sia in gran parte dipeso proprio da un certo metodo compositorE 19 didattico, un metodo maieutico – per quanto riguarda la composizione – che non schiacciasse le propensioni naturali e le idealità estetico-linguistiche di ciascuno ma che aiutasse a definirle e organizzarle al meglio, dando le necessarie dritte al “mestiere”. Questo forse è il maggior motivo di riconoscenza. Un’ultima domanda, Maestro: che musica è quella di cui si diletta ora? Una musica meravigliosa! Appena trasferito in questo nuovo albergo a millanta stelle ho capito che l’armonia delle sfere non è un semplice concetto, ma la verità nel più alto senso del termine. Niente più dissonanze, passi duriusculi e parrhesie, tritoni e false relazioni o simili diavolerie: tutto si snoda in un contrappunto luminoso e… ma via, tu non puoi capire, devi studiare ancora un pochino, forse un po’ tanto. Perciò, cari saluti a tutta la compagnia e arrivederci alla prossima. Renato Dionisi________ Nato cento anni fa a Rovigno d’Istria da famiglia roveretana, Renato Dionisi inizia lo studio della composizione poco più che ventenne, ottenendo presto riconoscimenti a livello nazionale. Consegue il diploma in soli sei anni presso il conservatorio di Bolzano sotto la guida di Mario Mascagni, e già nel 1936 comincia la sua felice carriera didattica, passando per i conservatori di Bolzano e Firenze finché, nel 1952, ottiene la cattedra di Armonia e contrappunto complementare presso il conservatorio di Milano. In questa città il maestro si stabilisce definitivamente ed entra in contatto con le più importanti esperienze musicali italiane ed europee; tuttavia egli torna ogni estate in Trentino, intessendo legami fecondi con numerosi musicisti e personalità culturali di spicco. Accanto all’attività di insegnamento (non solo istituzionale, ma anche rivolta privatamente a generazioni di allievi) Dionisi ha intrapreso un’intensa carriera compositiva, esplorando un’ampia varietà di organici e di tecniche. Il suo linguaggio si ispira inizialmente alle correnti neomodali e neoclassiche, avvicinandosi in seguito a sperimentazioni pseudo-dodecafoniche ed evolvendosi poi su un terreno più liberamente atonale, pur sempre controllato dalla perfezione del contrappunto lineare e spesso impreziosito da una elegante gestualità. Una posizione centrale nel catalogo di Dionisi è occupata dalla musica corale, che più di ogni altro genere può rispecchiare l’attitudine del sommo contrappuntista; meritano una menzione particolare le elaborazioni di canti della montagna, che nella loro raffinata semplicità esprimono una vena nostalgica e commossa. Nei lavori strumentali si nota una predilezione significativa per i piccoli complessi: il catalogo di Dionisi vanta infatti una copiosa produzione per strumento solo e di musica da camera, anche se non mancano notevoli composizioni per orchestra. È anche autore di pregevoli pagine per l’infanzia e di opere didattiche fondamentali sull’armonia e sul contrappunto. Renato Dionisi si spegne a Verona il 24 agosto 2000. Marina Rossi 20 Composizioni corali di Renato Dionisi Alleluia (fuga a 4), Coro misto, Manoscritto, 1934 Contrappunto a 8 voci, Doppio coro, Manoscritto 1934 Perch’al viso d’amore, Coro misto, Manoscritto 1934 Cantata di primavera, Soprano, voci bianche e orchestra, Manoscritto 1936 Il dramma della crocifissione, Soli, coro e orchestra, Manoscritto, 1940 Salmo L [Miserere mei Deus], Coro e orchestra, Manoscritto, 1944 Oratorio sulla beata Verzeri, Coro e orchestra, Partitura non reperita, 1947 Ubi charitas, Coro femminile, Partitura non reperita, 1949 Sette invocazioni per il Natale, Tenore, coro e orchestra, Manoscritto, 1956 Hodie nobis de caelo, Coro misto (c,t,b) e organo, Stampa, 1959 Ninna nanna, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1959 2 proverbi, Voci bianche e piano, Lucido, 1960 Deep River, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1960 Girolemin, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1960 Le carrozze, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1960 Siam prigionieri, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1960 Girundin girundel, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1961 Puer natus est nobis, Coro femminile, Manoscritto, 1963 Kyrie, Sanctus, Benedictus, Agnus dei [Messa a 4 voci dispari], Coro misto, Manoscritto, 1964 Il cammino della salvezza, Coro e or­chestra, Partitura non reperita, 1965 Non trattarci Signore secondo i nostri errori, Coro a una voce e organo, Carrara, 1965 Piovete dall’alto o cieli, Coro a una voce e organo, Carrara, 1965 Questa notte è nato in terra, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1965 3 miniature cinesi, Coro maschile, Stampa, 1966 A mezzanotte in punto, Coro maschile, Stampa, 1966 Io tacerò, madrigale, Coro misto, Manoscritto, 1966 O popolo mio, Coro misto, Elle di ci Torino, 1966 La storia della salvezza, Coro e orchestra, Partitura non reperita, 1966 A sera, Coro maschile, Stampa, 1967 Canti popolari del Veneto, Voci bianche, pf e perc., Ricordi 1967 Dio è il pastore, 3 voci miste, ass. e organo, Carrara, 1967 La città di Dio, Solo, coro a 3 v. miste ed ass., org Carrara 1967 Ti celebriamo o Dio, 3 voci virili e or­ga­no/ armonium, Elle di ci Torino, 1967 Evviva Noè, Partitura non reperita, Partitura non reperita, 1968 Il mistero dell’amore, Coro misto, Musica sacra, Milano, 1969 La chiesa, Signore, 2 voci bianche e organo, Carrara, 1969 Piccola messa, Coro femminile 3-4 voci, Usci, Carrara, 1970 Piccola messa, Coro misto a tre voci (C,T,B) o a una voce sola e organo, Manoscritto, 1970 Inverno, Coro maschile, Usci, 1971 Piccola messa, Voci bianche e organo, Manoscritto, 1971 A la tor Vanga, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1972 Huic ergo, Coro misto, Manoscritto, 1974 O cara mama sé bona, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1974 O’ regirato l’Italgia e ’l Tirol, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1974 Oi Lisabèla, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1974 Siamo partiti, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1974 Son senza pan, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1974 Filastrocca dei mesi, Coro maschile, Manoscritto, 1975 L’ane de Marion, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1975 Missa brevis, Coro misto, Manoscritto, 1976 Non temere piccolo gregge, Coro a una voce e organo, Manoscritto, 1976 Requiem per un bambino, Coro voci bianche, Manoscritto, 1976 Senti ’l martèlo, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1976 Tu scendi dalle stelle [2], Coro misto, e organo, Manoscritto, 1977 [messa in caratteri cinesi], 3 voci pari, Manoscritto, 1978 [Pater noster, Ave Maria, Gloria patri in caratteri cinesi], 3 voci pari, Manoscritto, 1978 Schnee walzer, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1978 E su la riva del mar, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1979 Goralu, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1979 Justorum animae [1], Coro misto, Manoscritto, 1979 Ndorménzete popin, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1979 Salmo 150 (Laudate Dominum), Coro maschile, Manoscritto, 1979 Agnus dei, Triplo coro maschile, Manoscritto, 1982 Resta con noi Signore, Voci bianche e pianoforte, Carish, 1982 Magnificat, Coro misto, Manoscritto, 1983 O Sanctissima [1ª versione], Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1983 Domine Jesu Christe [1] (Offertorio dalla messa di requiem), Coro misto, Manoscritto, 1984 Quanto è bella giovinezza, Coro misto, Manoscritto, 1984 Ama chi t’ama, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1985 Il canto del boschiero, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1985 La si taglia i biondi capelli, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1985 Justus ut palma florebit, Coro femminile, Manoscritto, 1985 Justorum animae [2], Coro di voci bianche, Manoscritto, 1986 Domine Jesu Christe [2], Coro misto, Stampa, 1988 Justorum animae [3], Voci femminile, Manoscritto, 1988 Justorum animae [4], Coro misto a 5 voci, Stampa, 1989 Noi siamo i tre Re Magi, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1991 O Sanctissima [2° versione], Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1991 compositorE Aver ’na figlia sola soleta, Coro maschile, Federaz. cori del Trentino, 1992 Ferdinando s’innamora, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1992 Graduale-Christus factus est, Coro a 4 voci miste, Manoscritto, 1992 Ninna nanna, Voci bianche e pianoforte, Federaz. cori del Trentino, 1992 Noi siamo i tre re, Voci bianche e pianoforte, Federaz. cori del Trentino, 1992 Lauda anima mea, Coro misto, Manoscritto, 1993 Venite o pastori, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1993 Vori maridam, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1994 Un solo signore, una sola fede, Voce e organo, Partitura non reperita, 1996 Antifone, Coro misto, soli e arpa, Manoscritto, 1997 La vecia batana, Coro maschile, Fondazione coro della SAT, 1998 O felice o chiara notte, Coro maschile, Fondazione coro della SAT [4 pezzi per voci bianche in] Musica per i bambini, Voci bianche, Stamperia musicale Cipriani 3 canti natalizi (Tu scendi dalle stelle, Il sonno di Gesù bambino [2],Gloria in excelsis deo [2]), Coro voci bianche a una voce e pianoforte, Stampa Ad te domine levavi animam mea, Coro misto, Manoscritto Adeste fideles, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Ave Maria - Omni die dic Mariae, S e T, Manoscritto Ave Maris stella, Coro misto (c,t,b), Manoscritto Canto d’emigranti, Coro maschile, Stampa Cossa gavè voi pare, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Der froeliche Wanderer, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Dove èla la Gisela, Coro maschile, Fondazione coro della SAT El caretér, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Evviva la montagna, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Gloria in excelsis deo, Coro femminile e arpa, Manoscritto Gloria in excelsis deo [3], Coro misto, Fondazione coro della SAT Iande mironnai, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Il sonno di Gesù bambino [1], Voci bianche e pianoforte (o arpa), Manoscritto Il sonno di Gesù bambino [3], Coro misto, Fondazione coro della SAT L’erba rosa, Coro misto, Fondazione coro della SAT My Bonnie, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Ninna nanna, Coro femminile, Manoscritto Ninna ninna Corbelinna, Coro misto, Fondazione coro della SAT O Canada, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Poco giudizi, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Sulla riva, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Vieni dolce morte, Coro maschile, Fondazione coro della SAT Le indicazioni [] sono del curatore, mentre le date in corsivo sono da ritenersi indicative perché desunte dal raffronto di più fonti (programmi di sala, articoli di giornale o altro), ma non presenti esplicitamente nel manoscritto autografo. La presente tabella è tratta dal Catalogo delle opere di Renato Dionisi redatto da Mattia Culmone nel 2010 su commissione del conservatorio G. Verdi di Milano. Come si può notare molte partiture non sono state date alle stampe e risultano quindi difficilmente reperibili. Nel corso della catalogazione si è deciso di archiviare tutte le partiture rinvenute presso la biblioteca civica “G. Tartarotti” di Rovereto, accorpandole al “Fondo Dionisi” già esistente. Esse sono ora liberamente fruibili presso tale istituzione. 21 22 La musica per coro di renato dionisi di Sandro Filippi direttore del coro filarmonico trentino e docente al conservatorio di bolzano Prima di entrare negli aspetti del linguaggio compositivo di Renato Dionisi ritengo che il lettore abbia una, sia pur schematica e riassuntiva, panoramica della produzione corale che può essere così sintetizzata: 1) armonizzazioni per il coro della SAT e altre elaborazioni e armonizzazioni scritte per vari organici anche con la presenza di qualche strumento; 2) musica sacra in particolare per coro a cappella; 3) musica su testo profano per coro a cappella e con strumenti; 4) musica per soli coro e orchestra o per coro e orchestra; 5) musica per uso liturgico per coro a cappella e con accompagnamento d’organo o armonium. È bene inoltre sottolineare che la quasi totalità di questo repertorio (ma molto anche per quanto riguarda l’opera strumentale) sia sempre stato scritto su “ordinazione”. I destinatari in questo caso potevano essere direttori di coro e i cori che erano in quel momento sotto la loro guida, come Franco Monego, Angelo Mazza, Iris Niccolini, Camillo Moser, Nicola Conci, Sandro Filippi (chiedo scusa se dimentico qualcuno) e chiaramente sul versante del canto popolare per la SAT e i fratelli Pedrotti, oppure dedicati ad allievi e amici. Repertorio scritto ad personam e come avrebbe detto lui “su misura”. «Che linguaggio usa quando lei compone?» ebbi a chiedere alla fine di una lezione al maestro. «Di tutto», fu la sua risposta. «Il primo punto di partenza è stato chiaramente la musica tonale perché in un piccolo centro non esistevano altre possibilità. Perciò mi sono aggregato al senso del melodramma storico. Poi sono stato subito attratto dal neomodalismo francese e pian piano tutto il resto fino a Boulez, ma con una precisazione: la matematica e la fisica entrano nella musica, ma né l’una né l’altra sono musica». [...] 1 «Dopo un periodo di ricerca – fa presente Zanolini – orientato verso il neomodalismo e soprattutto verso le esperienze francesi, da Ravel a Honegger, fu stato fra i primi ad adottare il metodo dodecafonico seriale, subito e poi sempre più filtrato senza dogmatismi attraverso le maglie larghe di una sensibilità vocalistica mai immemore della lezione lineare contrappuntistica di scuola ‘romana’».2 Forte di una preparazione contrappuntistico-armonica assimilata sotto la guida di Celestino Eccher, nel Salmo L (1944) impiega tutte le tecniche che l’arte contrappuntistica rinascimentale e non solo ha tramandato. E ancora più avanti queste peculiarità si potranno notare nei mottetti e nella Missa brevis (1976): il linguaggio che traspare si rifà per molti versi alla grande letteratura rinascimentale che al Nostro era familiare grazie al lavoro di ricerca e approfondimento condotto insieme con Zanolini, in collaborazione con il quale pubblicò La tecnica del contrappunto vocale nel cinquecento. Ma se nel Salmo le linee vocali riecheggiano il linguaggio modale, ad esempio con la presenza del primo modo (Dorico) successivamente anche trasportato, le parti strumentali qui riassunte nella versione organistica evidenziano maggiormente l’estetica compositiva di Dionisi. Si potranno infatti notare momenti di sovrapposizione bitonale sia contrappuntistici che accordali, dove l’orchestra non si limita ad accompagnare il coro, ma assume un ruolo autonomo che fa risaltare ancora di più l’esposizione della parola salmodica che il coro svilupperà nel divenire della composizione, mediante l’alternarsi di episodi contrappuntistici, omoritmici e monodici. compositorE Nell’analizzare attentamente il repertorio corale avremo modo di notare come nel tempo il linguaggio di Dionisi andrà incontro a una continua ricerca ed evoluzione. «Renato Dionisi – scrive Andrea Mascagni – ha lavorato sodo, in anni e anni di continua ricerca musicale, di meditazione, di acquisizione attenta e responsabile. La sua musica è il suo carattere: non conosce, non concepisce il gesto clamoroso, la trovata compiaciuta e compiacente […] ignora il facile allineamento alla moda. […] Egli vive attentamente il tempo attuale, ma possiede la fortuna – natura, educazione, impegno – di distinguerne i momenti necessari da quelli contingenti o fittizi».3 «Il tutto avviene, come sottolinea Zanolini, in un clima espressivo sempre intimo, contenuto più che distaccato, nella consapevolezza che la musica è arte anticoncettuale per eccellenza e quindi – stravinskianamente parlando – non vuole e non deve dimostrare alcunchè. Una poetica d’artigianato – “Io sono un operaio della musica”, diceva sempre Dionisi – senza la quale non avremmo i risultati di cui s’è detto...»4 Ma se fino alla fine degli anni Cinquanta il repertorio corale era costituito da partiture di più ampio respiro, considerata la presenza dell’orchestra come nella Cantata di primavera, Il dramma della crocifissione, Salmo L e in altre ancora, a partire dagli anni Sessanta questa esperienza compositiva verrà del tutto abbandonata per orientarsi su composizioni nella quasi totale prevalenza per coro a cappella e di breve durata, al massimo cinque minuti e non di più. Se come risaputo Dionisi odiava la grande orchestra – «non so cosa farmene di tutta quella roba» – anche la letteratura corale si allinea a quanto si è detto. L’organico impiegato va infatti dalle due alle quattro voci che in alcuni istanti si suddividono a loro volta ulteriormente fra di loro: le quattro voci sono più che sufficienti per poter dire tutto ciò che si vuole. Una qualche eccezione comunque la possiamo trovare come nell’unico caso che mi risulti, in Justorum animae, mottetto a cinque voci (due soprani, contralto, tenore e basso). In questo contesto una mosca bianca figura al di fuori dal coro con Agnus Dei per triplo coro maschile. Questa partitura rimane infatti un unicum nella produzione corale di Dionisi in quanto scritta su un preciso invito rivoltogli da Franco Monego nell’intento di coinvolgere tre cori maschili popolari della Lombardia per i quali teneva dei corsi di formazione corale. Il linguaggio si fa via via sempre più raffinato e sicuramente più impegnativo per quanto riguarda l’aspetto esecutivo, si vedano ad esempio per il repertorio sacro il Magnificat, Lauda anima mea, le Antifone per coro e arpa, Salmo 150, e ancora Quanto è bella giovinezza, Io tacerò, A sera, Inverno, Tre miniature cinesi per quanto riguarda la letteratura profana. Ma è bene ricordare anche l’attenzione rivolta ai bambini come nei Proverbi: Chi va piano va sano e va lontano, Meglio un asino vivo che un dottore morto con pianoforte, musica fuori del tempo – la definisce Renato Chiesa, uno dei suoi tanti discepoli – per la quale si trova a proprio perfetto agio, con un humour che arriva al massimo al sorriso, mai alla risata. La conduzione delle parti melodiche è sempre più cesellata, bastano infatti brevissimi incisi tematici per delineare immediatamente il divenire della partitura, le tessiture vocali non sono mai esasperate. Ho analizzato attentamente tutto questo repertorio e non ho mai trovato ad esempio che i soprani vadano a superare il sol4, o i tenori vadano oltre il la3, e se viene superato entrano in gioco i falsetti da lui usati magistralmente nelle insuperabili «Io sono un operaio della musica». 23 Note 1. Omaggio a Renato Dionisi per l’80° compleanno, a cura di Renato Chiesa e Gian Luigi Dardo, Rovereto, Tipoffset Moschini, 1990, pp. 17-18 2. Omaggio a Renato Dionisi e Franco Donatoni, Milano, Conservatorio “G. Verdi”, p. 1 3. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I canti popolari armonizzati da Renato Dionisi per il coro SAT, Trento, Fondazione Coro della SAT, 2003, p. 102 4. Ibidem, pp.101-102 5. Lettera inedita a Sandro Filippi, Trento, 11 novembre 2010 6. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I canti popolari armonizzati da Renato Dionisi per il coro SAT, cit., pp. 101-102 7. Lettera inedita a Sandro Filippi, Milano, aprile 1997 8. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I canti popolari armonizzati da Renato Dionisi per il coro SAT, cit., p. 100 9. Lettera inedita a Sandro Filippi, cit. 10. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I canti popolari armonizzati da Renato Dionisi per il coro SAT, cit., p. 100 11. Omaggio a Renato Dionisi per l’80° compleanno, cit., p. 20 24 armonizzazioni per il coro della SAT. Il rapporto testo-musica non è mai perso di vista, ogni mezzo viene impiegato con la massima libertà pur non rinunciando a una rigorosa disciplina stilistica che si rifà alla grande letteratura rinascimentale sia sacra che profana. In altri termini, una stilizzazione della letteratura rinascimentale innestata in una sensibilità armonica neomadrigalistica novecentesca. Mi si permetta per un momento di fare un breve collegamento con la figura di Giorgio Federico Ghedini, che viene evidenziata su questo numero da Enrico Miaroma con l’analisi di due partiture dedicate al coro della SAT. Vi è un filo conduttore, se così ci possiamo esprimere, fra Ghedini e Dionisi ben saldo da una reciproca stima, dovuto dal fatto che entrambi ebbero modo di incontrarsi presso il conservatorio di Milano dove Dionisi ne era docente e Ghedini direttore a partire dagli inizi degli anni Cinquanta. Rapporto consolidato (anche se non sempre) come fa presente Renato Chiesa «da un’intesa ideale, e in qualche caso concretizzata su posizioni comuni nette, come quelle per la difesa delle scholae cantorum».5 Conversando con allievi e colleghi, Dionisi osservava che il pubblico di allora era abituato a concentrarsi se non per pochi minuti di ascolto – e oggi i tempi di concentrazione non sono certamente aumentati – e quindi affermava che tutto deve essere detto con pochi mezzi e senza dilungarsi troppo. Ancora una volta sono di grande efficacia esplicativa le parole di Zanolini: «[...] Di qui anche la brevità, essenziale e concentrata, delle sue composizioni: “anche se io non sono Webern” diceva spesso Dionisi nella sua inarrivabile e autoironica modestia [...]».6 Quanto appena citato trova immediato riscontro nella Missa brevis datata 1976, che propone solamente tre parti dell’ordinarium: Kyrie, Sanctus e Agnus Dei. Il melos è ispirato al canto cristiano monodico e i procedimenti compositivi si basano su brevi cellule tematiche. «La legge del “minimo mezzo”: legge economica e legge artistica fondamentale», usava dire Dionisi ai suoi allievi. Tali cellule vengono via via riprese e dilatate come nel Kyrie, e nell’Agnus Dei, o nel Sanctus dove il quinteggiare fra tenori e bassi, quasi uno scampanio sulla declamazione Hosanna in excelsis, va a sostenere il melodizzare – alla maniera del bicinium rinascimentale – di soprani e contralti. compositorE 25 Le Antifone natalizie O Oriens, O Emmanuel, Puer natus est, scritte nell’aprile del 1997 su mio invito, presentano un dialogare fra l’arpa e il coro, che «Per quanto ‘scoperto’ [...] non deve affrontare ‘passi’ molto difficili!».7 In questo contesto il coro rende con essenzialità le immagini testuali con le quattro voci dispari che si alternano di volta in volta con il tenore e il contralto solista. L’essenzialità di questa partitura ricorda per tanti aspetti il linguaggio weberniano e in particolare lo Streichquartett op. 28, e la Sinfonia op.21 che Dionisi conosceva benissimo. Figurano infatti alcune espressioni madrigalistiche come in Perch’al viso su testo del Petrarca un’opera giovanile (1934) ma soprattutto in Io tacerò del 1966 su testo di Gesualdo da Venosa, un chiaro omaggio al madrigale gesualdiano. La partitura, come si può notare dall’esempio riportato, si presenta senza battute; si potrebbe pensare a una prassi di scrittura arcaica dove le stanghette di battuta non erano presenti, o ancora al fraseggiare tipico del canto cristiano monodico con cellule melodiche che alternano gruppi binari e ternari. «Del resto – afferma Zanolini – il repertorio gregoriano in ogni suo aspetto è sempre ‘faro’ stilistico per Dionisi!».8 A conferma di questo è lo stesso Dionisi che nella terza antifona ricorre al melos gregoriano. Egli stesso così si esprime a questo proposito: «Per la parte finale ho usato – a guida dell’invenzione – il testo originale gregoriano – ma con un taglio ritmico più vario».9 E ancora Zanolini così commenta: «Appena l’organico lo permette, perché limitato, egli neppure usa le stanghette di battuta, giudicandole inutili e fuorvianti; nei casi di organico più vasto, invece, le stanghette sono usate, ma come semplice aiuto esecutivo e non condizionano di certo il pensiero musicale».10 Anche il repertorio profano possiede una sua connotazione ben precisa, grazie a un’evidente accentuazione del madrigalismo e ai prestiti della tradizione orale sia per quanto riguarda le suggestioni musicali, sia per quanto riguarda la scelta dei testi. 26 Premio Reina Sofia a Giovanni Bonato La Spagna ha reso omaggio all’italiano Giovanni Bonato assegnandogli il primo premio alla XXVII edizione del “Premio Reina Sofia” per la Composizione Musicale. Il prestigioso premio è stato istituito nel 1982 dalla fondazione Ferrer-Salat per promuovere la musica contemporanea ed è uno dei più importanti riconoscimenti cui possa aspirare un compositore. Ottantasette in tutto le partiture presentate, provenienti da 17 paesi. L’opera di Bonato è giunta in finale assieme a AEther - For Choir and orchestra dello svedese Kent Olofsson e a Ecos de un color del cileno Miguel Farías Vázquez. Le tre composizioni sono state eseguite al Teatro Monumental di Madrid dall’orchestra dell’RTVE sotto la direzione di José Luis Temes il 30 settembre. La giuria, dopo aver esaminato le partiture e ascoltato l’esecuzione, ha assegnato il premio a Dar Gaist ist heüte kemmet (lo Spirito Santo arriva oggi), premio che è stato consegnato nelle mani del compositore dalla stessa regina Sofia di Spagna. L’opera premiata è un omaggio personale dell’autore alla cultura e alla gente dell’altipiano di Asiago, basato su una preghiera popolare per la festa di Pentecoste che mescola elementi sacri e profani. Ha colpito la commissione il ruolo del coro, per la sua complessità e per la particolare collocazione nello spazio, che, come avviene frequentemente nelle composizioni di Bonato, coinvolge il pubblico in una singolare esperienza acustica. Il riconoscimento fa onore alla coralità e alla musica italiana e conferma le peculiari doti di compositore di Giovanni Bonato. A lui le felicitazioni di Feniarco e del Comitato di Redazione di Choraliter, con l’impegno di ritornare più diffusamente, nei prossimi numeri, su questo importante avvenimento e sulle sue opere corali. In Quant’è bella giovinezza, testo senza dubbio il più celebre di Lorenzo il Magnifico, tratto dai Canti carnascialeschi, il procedere della composizione qui trattata prevalentemente in omoritmia tipico delle frottole carnascialesche rinascimentali. La scrittura di queste partiture suggerisce di pensare a un organico corale più piccolo (se non addirittura in parti reali), questo per poter rendere più agile il fraseggio e plasmare via via i vari momenti pittorici suggeriti dal testo. Vorrei concludere questo breve intervento con le parole di Renato Dionisi: «Per fare il musicista sul serio, come professionista si esigono due cose: bisogna ricordarsi che l’arte è artigianato e che si deve imparare un mestiere; in secondo luogo che bisogna amarlo. È questo un binomio inscindibile e una condizione assolutamente necessaria».11 I frammenti musicali sono stati gentilmente messi a disposizione delle Edizioni Musicali Europee che ne stanno curando una pubblicazione. compositorE 27 lauda anima mea Celestino Eccher, Messa “S. Cecilia” a due voci bianche e organo. “Specie Tua” Mottetto a quattro voci e organo. “Improperium per coro misto e organo. Renato Dionisi, Missa Brevis per coro misto a cappella. Lauda anima mea per coro misto a cappella. Justorum animae per coro misto a cappella. “Offertorio” dalla Messa di Requiem per coro misto a cappella. Antifone per coro misto e arpa. Huic ergo parce Deus per coro misto a cappella. Salmo 50 per coro misto e organo. Arabeschi per organo (Simone Vebber, organo). Segni, suoni, silenzi per arpa sola (Marta Garcia Gomez, arpa). Coro Filarmonico Trentino – direttore, Sandro Filippi. Quarantesimo della morte del maestro, decennale di quella dell’allievo prediletto che oggi avrebbe un secolo di vita. Tutto in un programma: nel segno della musica sacra, declinata per coro da due storici compositori trentini legati da rapporti di discepolanza. L’impaginato di Sandro Filippi, estremo lembo (come allievo di Dionisi) di una lezione didattica di forte impronta pratica e mai evasa gratitudine per la storia del più caratteristico stile polifonico italiano, impone la bellezza delle musiche accostate e la rara e preziosa competenza esecutiva del Coro Filarmonico Trentino. In avvio, le eleganti composizioni anni Quaranta di monsignor Celestino Eccher danno un’immediata sensazione di trovarci di fronte a un autore di forte e serena impronta classica. Lo esprime bene l’arco espressivo pacato e solido dei numeri della spiccia Messa: frasi ben tornite, alternanza di brevi incipit solistici e scorrevoli armonizzazioni e più voci, fedeli all’antica regola musicaltridentina del audiri ad percipi: far capire il senso oltre che le sillabe dei versetti dell’Ordinario. Il medesimo principio palestriniano, rammodernato nei tratti armonici, regola la fattura più mossa, con brevi dialoghi tra i reperti vocali, dell’intenso Mottetto mariano e del successivo Improperium, articolati con pregevole levigatezza, varietà di colori e morbidezza cantabile dal coro. Con intenzionale accostamento, la selezione di lavori omologhi di Dionisi – quasi tutti per voci a cappella; ma l’impaginazione scaltra propone anche due lavori per strumento solo che integrano il profilo stilistico d’autore – si apre con la Missa brevis (1976): è facile riconoscere i lasciti degli insegnamenti di Eccher quanto apprezzare la caratteristica essenzialità e pregnanza della scrittura dell’allievo roveretano. Con Dionisi le voci spaziano maggiormente, sia quando insistono sui registri acuti sia per la sofisticata “recitazione” del testo che viene puntualmente ridistribuito in microepisodi interni. Meno compunta è anche la tavolozza armonica che modaleggia, ma senza far mai mancare all’edificio polifonico la compattezza accordale. Pur attenendosi a un’interpretazione controllata e devota dei testi, Dionisi riesce sempre a creare una “tinta” specifica per ogni pezzo: la pacatezza assaporata nel Lauda anima mea fa spiccare il confronto con più frastagliato sentimento sacrale espresso nel Justorum animae – quasi che l’ombra delle “malitiae”, e l’ansia del loro superamento segni cromaticamente l’itinerario di affrancamento – e la più teatrale declamazione del Domine Jesu Christe (già esperita nel basaltico ma scorrevole Salmo 50 che certifica debiti e autonomia d’artista rispetto al maestro Eccher, anche nella quaresimale versione per organo che Filippi ha tratto dall’originale per orchestra). Più costruita, anche per la presenza dialogante dell’arpa che suggerisce una distribuzione delle parti più animata e un’assonanza armonica più moderna è il tessuto musicale delle Antifone, non a caso una delle ultime composizioni scritte. Quanto sia fallace mettere in semplicistica relazione la cronologia con lo stile eclettico di Dionisi, non dimostrativo quanto francescanamente attuale e imprevedibile, speziato da leggeri e divertititi madrigalismi, lo mostra l’accostamento con l’importante Arabeschi per organo, interpretato con estro da Simone Vebber che esalta le voci del brillante strumento della Filarmonica di Trento. Ma che gli anni settanta di Dionisi (Arabeschi è del 1997) siano stati una stagione di speciale libertà creativa, e in cui certe raffinate derive lessicali e di gusto francese trasmigravano dalla scrittura strumentale a quella vocale lo ribadisce la superficie corale vivace e volatile, variegata e intessuta di arcaismi magici del Huic ergo parce Deus che in poche pagine di musica essenziale e intellettualmente acuta pare racchiudere l’idioma musicalmente sapienziale ma pudico e aristocraticamente “pratico” dell’artigiano Dionisi. Il maestro maneggia le voci con la sicurezza tecnica e l’umanità di chi, agli uomini di buona volontà che hanno la passione per il canto, ha sempre dedicato particolare affetto. E ha saputo trasmetterlo agli allievi sensibili come Filippi. Angelo Foletto LE TROIS CHANSONS DE CHARLES D’ORLEANS claude DI CLAUDE DEBUSSY di Marco Cimagalli compositore e direttore di coro docente di esercitazioni corali al conservatorio di roma docente di analisi musicale al pontificio istituto di musica sacra Esiste un aspetto della vita artistica di Claude Debussy non molto conosciuto: quello di direttore di coro. Dal 1894, infatti, curò per alcuni anni la preparazione di un coro amatoriale organizzato dalla famiglia Fontaine, presso una cui proprietà si tenevano le prove; tale coro gli era stato affidato anche per aiutarlo in un periodo di ristrettezze economiche. Una giovane donna accolta nel 1898 come nuovo membro ne serbò un ricordo molto bello, tratteggiando un inedito ritratto del compositore mentre, con angelica pazienza, istruiva i coristi ricorrendo anche alla preparazione individuale.1 Proprio nel 1898 il compositore scrisse due Chansons (Dieu! qu’il la fait bon regarder! e Yver, vous n’estes qu’un villain, divenute poi la prima e la terza del piccolo ciclo), dedicandole a Lucien Fontaine, colui che aveva lanciato l’idea del coro famigliare. Solo a distanza di dieci anni, nel 1908, l’autore compose Quant j’ai ouy le tabourin e fece stampare le Trois Chansons dall’editore Durand. A posteriori, possiamo constatare come la pubblicazione di questo lavoro per coro a cappella costituisca una preziosa eccezione all’interno della produzione del musicista francese, in quanto, a parte i lavori nei quali il coro (femminile, maschile, misto o di sole voci bianche) è impiegato in combinazione con strumenti, Debussy compose a cappella solo un paio di inediti.2 La prima esecuzione pubblica delle Trois Chansons, sotto la direzione dell’autore, ebbe luogo a Parigi nel 1909 a opera dell’ensemble Engel-Bathori, lo stesso che, nel 1917, eseguì per la prima volta le Trois Chansons di Maurice Ravel. Fin dal titolo, colpisce un certo arcaismo dal “profumo” squisitamente francese, che nova et vetera 29 traspare sia dal genere stesso della Chanson (basti ricordare, per esempio, le celebri Chansons rinascimentali di Clément Janequin), sia dalla scelta dei testi, scritti oltre quattro secoli prima da un raffinato poeta appartenente alla dinastia dei reali di Francia.3 Ciò riflette una tra le tendenze della cultura musicale francese a cavallo di secolo: la rivisitazione del proprio passato preromantico, sia barocco che rinascimentale, al fine di trovarvi una linfa in grado di ravvivare l’estetica e il linguaggio.4 Anche il ricorso di questi brani corali alla modalità – una modalità moderna, eterogenea, non priva di contaminazioni con il linguaggio tonale – è indice di un fecondo contatto con il passato. I versi della prima Chanson esprimono una delicata e intensa contemplazione amorosa: il poeta non si stancherebbe mai di guardare la donna amata, la cui bellezza, di cui non c’è pari né al di qua né al di là del mare, sembra rinnovarsi ogni giorno. La musica riveste morbidamente il testo e l’interpretazione dovrebbe prevedere una certa elasticità del tempo, particolarmente nei punti di cesura fraseologica.5 Prevale un declamato sillabico, increspato da alcune rapide figurazioni, prevalentemente in terzine, che sembrano alludere alla grazia femminile continuamente evocata. L’assetto corale è tendenzialmente omoritmico, arricchito dalla presenza di lievi sfasature tra le voci o di alcune loro entrate in successione, particolarmente in un episodio; viene evitato, però, il ricorso all’artificio contrappuntistico dell’imitazione, ben poco amato dal compositore fin dai suoi studi giovanili e utilizzato in queste Chansons soltanto nella terza. La struttura formale complessiva è caratterizzata dal ritorno variato del segmento iniziale, che si ripresenta sia al centro della composizione (dove si verifica il susseguirsi delle entrate, dall’acuto al grave, a cui ho fatto prima riferimento) che nella sua ultima parte (Più lento, quasi una piccola coda), dove viene operata una sintesi delle due apparizioni precedenti. All’ascolto il flusso musicale sembra procedere per ondate successive di diversa ampiezza; si notino, in proposito, il disegno melodico delle sezioni corali – particolarmente quello dei soprani, che iniziano e terminano ogni arco melodico con la finalis modale del pezzo, il fa diesis – e l’oscillazione dinamica, che, senza mai oltrepassare il mf, tende a crescere dal p/pp per poi ritornare al livello di partenza. A proposito di ondate, si può osservare come, in coincidenza con il fugace accenno poetico al mare (la cui immagine, peraltro, ha sempre suggestionato il compositore), vi sia un breve ondeggiamento di tutta la compagine corale; tale risultato è il frutto del movimento parallelo delle parti e di un particolare impiego dei segni dinamici e di fraseggio. Nella seconda Chanson, probabilmente la più interessante e originale, il clima espressivo sembra sdoppiarsi su due livelli simultanei: in primo piano, il languore di chi preferisce resistere ai vivaci richiami del mondo esterno, rimanendo nella propria camera in uno stato di dormiveglia, senza nemmeno alzare la testa dal cuscino; sullo sfondo, la vita allegra e pulsante che preme verso l’interno – caratteristico è il suono del tamburello, che invita a un’antica festa rituale francese associata alla data del primo maggio. Debussy utilizza qui un organico vocale lievemente diverso rispetto a quello dei brani adiacenti: spicca la presenza di un contralto solista, l’unica voce alla quale sia affidato il compito di cantare il testo poetico, mentre tace per tutto il pezzo la sezione dei soprani, cosicché il colore timbrico dell’insieme diventa più scuro e “caldo”.6 E il coro cosa canta? Prendendo spunto dall’imitazione, sia pure stilizzata, del suono del tamburello, innanzitutto ripete “la la la…” prevalentemente in staccato (in un episodio si trova, ai tenori, la variante timbrica “lon lon lon…”), sollecitando sonorità dal sapore arcaico grazie a numerosi accordi contenenti quinte vuote (cioè senza la terza). Interviene, inoltre, con vocalizzazioni sulla vocale “a” dal carattere più melodico, nonché con ipnotiche fluttuazioni a bocca chiusa fra due note contigue e, ancora, con note lungamente tenute basate sempre sulla vocale “a”. Questo tipo di scrittura corale, che in parte si riallaccia a procedimenti onomatopeici impiegati in numerose composizioni rinascimentali, anticipa alcuni aspetti che, nel corso del Novecento, saranno diffusamente utilizzati; rivela, inoltre, un pensiero compositivo dal taglio quasi orchestrale, come si può evincere, per esempio, dalla stratificazione di linee per lo più de La musica riveste morbidamente il testo. 30 Note 1. Worms de Romilly, Debussy professeur, par une de ses élèves, in «Cahiers Debussy», 1978, pp. 3-10. 2. Choeur des brises, per coro femminile con soprano solo, del 1882 circa, e Noël pour célébrer Pierre Louÿs «pour toutes les voix y compris celle de peuple», su testo proprio, del 1903. 3. Charles, duca d’Orléans, nipote di Carlo V e padre di Luigi XII, visse tra il 1394 e il 1465, trascorrendo ben venticinque anni prigioniero in Inghilterra. 4. Circa l’ambientazione rinascimentale (assai vaga e non certamente filologica) delle Trois Chansons, così come circa altri aspetti di tale ciclo – aspetti che non è possibile approfondire in questo breve articolo – si rimanda a: M. Uvietta, Le Chansons de Charles d’Orléans di Claude Debussy, «La Cartellina», XXI, 1997, n. 109, pp. 25-35; n. 110, pp. 15-21. 5. A beneficio dei direttori di coro che fossero interessati a confrontarsi con alcune proposte interpretative relative a questa prima Chanson segnalo l’articolo di Stéphane Caillat, Le geste du chef de chœr. Analyse de sa mise en œvre dans l’inteprétation d’une chanson a cappella de Debussy, «Dieu! qu’il la fait bon regarder!», in «Analyse musicale», n. 10, 1988/1, pp. 31-34. 6. Nel manoscritto, in realtà, Debussy indicò come voce solistica quella di un tenore; successivamente, in occasione della pubblicazione, avvenne la sostituzione con la voce di un contralto. indipendenti tra loro, spesso costituite dalla reiterazione di brevi figure. La composizione si articola in tre parti, ciascuna delle quali comincia con gli stessi versi (“Quando ho sentito il tamburello suonare…”) musicati in maniera tale che, mentre la linea del solista rimane sostanzialmente identica, varia il sottostante tessuto corale. Nell’ultima sezione, dove l’analogia testuale con l’inizio è completa, la melodia del contralto solista, dopo aver inizialmente ricalcato il cammino già percorso, rimane incantata sopra una sola nota, mentre il tempo diviene un poco più lento (Più ritenuto) e la dinamica – sempre piuttosto soffusa, eccettuate poche misure collocate all’incirca a metà pezzo – diminuisce fino al ppp, comunicando così quel senso di esangue abbandono suggerito dalla poesia. La nota sulla quale approda il canto solistico e che rappresenta la finalis della Chanson costituisce un elemento di continuità con il brano precedente: infatti entrambi i pezzi si basano sul fa diesis, con la differenza che il modo d’impianto della prima Chanson è di tipo maggiore, mentre quello della seconda è di tipo minore. L’avvio della terza Chanson si differenzia nettamente da quello delle precedenti per la veemenza con la quale viene interpretato il primo, ironico verso della poesia (“Inverno, non siete che un villano”) con dinamica f/ff. Poche battute, però, e si è subito trasportati in una regione poetico-sonora totalmente differente, dove canta dolcemente un quartetto di solisti, che si alterna, quasi impercettibilmente, con tutto il coro: è l’estate, “piacevole e gentile”, che riveste i campi di erba e di colori. La Chanson si fonda, dunque, sul contrasto tra l’inverno e la bella stagione, e musicalmente tale opposizione si realizza attraverso una pluralità di mezzi: ogni richiamo all’inverno è caratterizzato dall’impiego dell’intera compagine corale e da una scrittura dinamicamente frastagliata, comprendente procedimenti imitativi (in particolare nella ripresa del motivo iniziale, dove spicca la successione delle entrate dal grave all’acuto) all’interno di un’impostazione modale di tipo minore, corrugata da passaggi fortemente cromatici (in corrispondenza delle immagini della neve, del vento e della pioggia); i versi dedicati all’estate sono invece prevalentemente cantati dal quartetto solistico, che dispiega una cantabilità morbida e distesa entro un’impostazione modale di tipo maggiore e luminosamente diatonica. Il finale, in cui è molto efficace l’accumulo di tensione direzionato verso l’ultimo accordo, prevede un si acuto tenuto in falsetto dai tenori al di sopra del movimento delle altre voci; tale nota viene quindi passata alla sezione dei soprani, continuando ad accompagnare il crescendo fin quasi alla conclusione del brano. Tra le registrazioni discografiche in commercio di queste brevi perle corali del primo Novecento, segnalo quella dei The Cambridge Singers diretti da John Rutter e quella del Monteverdi Choir diretto da John Eliot Gardiner, entrambe notevoli per la qualità vocale e per la limpidezza esecutiva. Interessante, in particolare, è il confronto tra le due interpretazioni della seconda Chanson, non solo per il tempo prescelto (più veloce, forse anche troppo, quello del Monteverdi Choir), ma, specialmente, per il fatto che nell’incisione dei The Cambridge Singers la voce solistica è quella di un tenore (cfr. nota n. 6). Incisioni discografiche Cambridge Singers A Cappella Britten, Schumann, Ravel, Debussy and Poulenc The Cambridge Singers dir. John Rutter Collegium Records, 1993 (©2002) Fauré: Requiem Debussy, Fauré, Ravel, Saint-Saëns: Choral Works Monteverdi Choir, etc. dir. John Eliot Gardiner Philips, 1994 Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 31 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39 tel. 0434 876724 - [email protected] - www.feniarco.it 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 0 0 0 1 5 O C R A I N FE E P 5x1000 5x1000 5x R 10005 10005x ia l a t i n i e l a i r lità amato la cora x10005 x10 005x1 005x10 0005x1 00 05x10 05x100 005x10 Sostieni FENIARCO e firma nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi riservato al sostegno delle Associazioni di Promozione Sociale (A.P.S.) che trovi nei modelli 730, UNICO e CUD, indicando a fianco il nostro codice fiscale: 92004340516 www.feniarco.it 00 nativitas christm a christmas festival a cura di Mauro Zuccante Natale e coro di voci bianche. Un’usuale accoppiata in virtù della quale si moltiplicano gli appuntamenti musicali in questo particolare momento dell’anno. Una consuetudine alla quale non si sottraggono I Piccoli Musici di Casazza. Il coro, compagine d’eccellenza (ma vorrei sbilanciarmi molto di più) nell’ambito complessivo della musica corale italiana, vanta la partecipazione a prestigiosi eventi. Tra gli altri, I Concerti di Natale in Vaticano e nella Basilica superiore di Assisi, teletrasmessi in eurovisione. Ripetute esperienze che portano al consolidamento di un repertorio. Un repertorio che merita di essere fissato in un album. Ecco, pertanto, l’uscita di questa nuova antologia di brani natalizi; naturale prosecuzione del fortunato cd Christmas Songs, pubblicato nel 2000, per l’etichetta Stradivarius. Il titolo, Nativitas - A Christmas Festival, ben riassume il contenuto. La parola latina richiama la tradizione europea. Ma l’espressione inglese sottolinea che gli antichi inni natalizi rivivono nelle moderne vesti corali messe a punto da autori-arrangiatori di provenienza soprattutto anglosassone (inglese e americana). choraldisC Dalla lista emergono i nomi di Peter J. Wilhousky, Leroy Anderson, David Willcocks, Mac Huff; e non da ultimo (anzi per primo, verrebbe da dire) quello di John Rutter, il cui successo nel panorama della musica corale attuale internazionale è supportato da un’innegabile perizia nel sapersi calare in quella particolare atmosfera espressiva, che definirei Christmas-sound (mi si conceda l’invenzione del termine). Christmas sound, ovvero un peculiare clima sonoro, tenero e carezzevole, fusione di voci di fanciulli e di strumenti, confezionato per evocare l’immaginario musicale collettivo sul tema del Natale e le suggestioni che ne conseguono. Eppure, sotto la natura unificante di questa tipica maniera espressiva natalizia, sono inclusi brani che si differenziano per carattere musicale e forma di arrangiamento. Si va dalla tradizionale carola di andamento pastorale (In dulci jubilo), alla rock-song (A Jingle Bell Christmas), al medley poliedrico (A Christmas Festival); dal semplice adattamento corale a cappella (Carol Of The Bells), ad accostamenti di organico più ricercati, voci e arpa (Angelus ad Virginem, Coventry Carol, Personent hodie), alla generosità sonora di voci, organo e ottoni (Adeste fideles, Once In Royal David’s City), alle magniloquenti combinazioni timbriche di coro e orchestra (Angel’s Carol, Donkey Carol, Nativity Carol, A Christmas Festival). All’interno dell’ampia cornice dei carols tradizionali trovano collocazione tre opere originali per coro a cappella di compositori italiani (Orlando Dipiazza, Riccardo Giavina e Mauro Zuccante) e un arrangiamento di Pablo Colino. Con esse il quadro del Natale si allarga a una visione più ampia, fino a includere il tema mariano (Ave Maria e Magnificat) e del Santo patrono d’Italia, inventore del presepe e apostolo di pace (Laudes creaturarum). Si apprezzi come I Piccoli Musici di Casazza, sapientemente ammaestrati dal raffinato gusto musicale di Mario Mora, sappiano tradurre in emozioni questi canti con squisita duttilità vocale. Il nome è conforme alla loro bravura. Non sono semplici cantori, ma musici. Portano con sé il bagaglio di più ampie competenze acquisite nella scuola di musica della quale sono fiore all’occhiello. Una scuola di musica nella quale il canto corale è giustamente considerato attività fondamentale per la formazione dei giovani musicisti. Christmas sound, ovvero un peculiare clima sonoro. mas 33 Nativitas A Christmas Festival Adeste fideles, tradizionale, arr. D. Willcocks Once in Royal David’s City, H. Gauntlett (1805-1876), arr. M. Lanaro / D. Willcocks Angelus ad Virginem, melodia del secolo XIV, arr. J. Rutter Coventry carol, melodia del secolo XVI, arr. J. Rutter Personent hodie, melodia del secolo XVI, arr. J. Rutter In dulci jubilo, tradizionale, arr. J. Rutter Madre en la puerta, tradizionale, arr. P. Colino Carol of the bells, M. Leontovich (1877-1921), arr. P.J. Wilhousky Laudes creaturarum, M. Zuccante (1962) Ave Maria, R. Giavina (1937) Magnificat, O. Dipiazza (1929) A jingle bell Christmas, J. Beal (1900-1967), arr. M. Huff, M. Zuccante Angels’ carol, J. Rutter (1945) Donkey carol, J. Rutter (1945) Nativity carol, J. Rutter (1945) A Christmas festival, L. Anderson (1908-1975) I Piccoli Musici Mario Mora, direttore Luigi Panzeri, organo Francesca Tirale, arpa Denise Isonni, pianoforte Stefano Mora, clarinetto Gruppo di Ottoni dell’Istituto Superiore di Studi Musicali Gaetano Donizetti di Bergamo diretto da Ermes Giussani Orchestra Carlo Antonio Marino diretta da Natale Arnoldi Registrato presso la Chiesa parrocchiale San Vittore Gaverina Terme, 24-25 aprile / 5-6 giugno 2010 34 CAROLS & CHRISTMAS di Marco Rossi e Gian Nicola Vessia musicologi e consulenti delle edizioni carrara Spesso è più semplice fare musica che descriverla. I carols sono uno dei repertori ai quali ci dedichiamo da decenni, forse precursori (insieme a pochi altri) di queste scelte di repertorio già dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso. In Friuli, in vista di un concerto natalizio e delle successive celebrazioni, tra i primi abbiamo proposto Hark! The herald angels sing con il suo discanto nella versione arrangiata da sir David Willcocks. E l’argomento ritorna, puntualmente, non solo a Natale. Per noi è motivo di discussione, di ricerca, di proposta per tutto l’anno. Provate a cercare sul web una registrazione video proprio di Hark! The herald angels sing fatta nella cattedrale londinese di St. Paul nella citata elaborazione. Il direttore con un movimento sobrio ed elegante si rivolge prima a coro e orchestra, poi all’assemblea che letteralmente inonda le navate del tempio religioso. Un delicato gesto della bacchetta. Un preciso levare, l’orchestra inizia e… tutti cantano. Tutti! Questo è il carol. Tecnicamente si tratta di un canto festivo, non sempre correlato alla celebrazione liturgica. Il carol ci riporta a una serie di molteplici definizioni e relazioni: contenuto narrativo, contemplativo o celebrativo, spirito semplice e forma strofica. Oggi, ormai nell’immaginario collettivo, il carol si identifica con il repertorio di canti per l’Avvento e per il Natale. Più raramente per il periodo di Pasqua. Il termine, etimologicamente, deriva da una forma profana, da un tipo di danza fatta in cerchio da cui, per evoluzione del termine circle si arriva alla parola carol. Da qui poi il carol viene utilizzato per la creazione di celebrazioni religiose, anzi per quello che il mondo anglosassone definisce festival, evento che propone letture, preghiere e soprattutto canti, ovvero carols, ove è frequente e importante la partecipazione assembleare. Tra i più importanti eventi di questo genere ricordiamo A festival of Lessons & Carols a cui ci ha abituato in maniera eccellente il King’s College Choir di Cambridge (ma non solo) con diverse preziose registrazioni. Questa sorta di celebrazione con inni e letture segue una forma che ha origine nei primi decenni del Novecento in Inghilterra. È una sorta di racconto che si apre con la frase più tipica: «c’era una volta», e infatti il primo carol che viene proposto tradizionalmente è Once in Royal David’s city. Il coinvolgimento di direttori musicali diversi ha così permesso anche una sorta di aggiornamento ed evoluzione del repertorio, sempre nel grandissimo rispetto della forma, della cantabilità e della trasmissibilità del messaggio del Natale. A livello compositivo il carol infatti si perde nella notte dei tempi. Tra le antiche raccolte che citano fonti e originali non va infatti dimenticato The Penguin Book of Christmas Carols a cura Questo è il mondo dei carols! choraldisC di Elizabeth Poston. Un testo fondamentale che raccoglie numerose melodie, ma anche un importante saggio musicologico con fonti e prassi esecutiva di questo repertorio. Altrettanto importanti le raccolte di carols, quasi tutte proposte dall’inglese Oxford University Press: si tratta di ricchissime collezioni di composizioni antiche e moderne tra cui svetta l’edizione del 1928 a cura di Ralph Vaughan Williams con nuove edizioni firmate dal citato Willcocks, ma anche da Stephen Cleobury, John Rutter e così via. E qui il mondo moderno attinge a piene mani dalla tradizione. Numerosi i carols composti tra Ottocento e Novecento. E ci colleghiamo, quale esemplificazione a questo punto, al citato Festival of Lessons & Carols. A fianco degli antichi carols sono state proposte nuove composizioni nello stesso stile con nuovi discanti, nuove armonizzazioni, nuove elaborazioni e strumentazioni: O come all ye faithful (Adeste fideles), Sussex Carol, Star Carol nella splendida scrittura di John Rutter; e ancora Hark! The herald 35 angels sing, una sorta di piccolo capolavoro che, dalla scrittura di Felix Mendelssohn con le parole di C. Wesley e G. Whitefield, ha trovato splendide aggiunte di discanti a opera di sir David Willcocks e Philip Ledger. E potremmo proseguire ricordando le diverse fonti che accomunano i canti natalizi e che vengono definiti carols, dalla tradizione anglosassone a quella innodica tedesca, a quella americana. Certo è che il messaggio fondamentale è sempre quello dello spirito corale. Se cercate il video del King’s College Choir di Cambridge che propone il suo Festival of Lessons & Carols verrete rapiti immediatamente dall’introduzione: nella cappella quattrocentesca, icona architettonica tra le più suggestive al mondo, una voce bianca intona il versetto narrativo nella parte della cappella alle spalle dell’organo. Poi si associano le altre voci, inizia il corteo che, processionalmente, si indirizza verso la parte pubblica della cappella. Il coro scorre lentamente sotto il grande organo, e nelle ultime strofe interviene l’assemblea mentre il coro propone il suo tradizionale discanto. Il carol è cantato da tutti i presenti. Questo è il mondo dei carols! John Rutter_________ In un’intervista rilasciata nel 2003, nel corso della trasmissione 60 Minutes John Rutter ha affermato di non essere molto praticante, ma essere tuttavia ispirato dalla spiritualità dei versi sacri e delle preghiere. In effetti il nome del compositore inglese è associato alla musica sacra, grazie alla sua numerosa produzione corale di carattere liturgico o più genericamente religioso, comprese frequenti incursioni sul terreno della musica di tradizione, come il carol. Nato a Londra il 24 settembre 1945, Rutter ha studiato all’Highgate School, dove ebbe compagno di corso un altro nome importante della musica corale inglese, John Tavener. Successivamente ha studiato anche al Clare College di Cambridge, diventando poi docente di organo e di direzione corale, dal 1975 al 1979, nello stesso istituto. La sua attività di direttore di coro lo ha portato, nel 1981, a fondare i Cambridge Singers, formazione con cui lavora ancor oggi, incidendo un vasto repertorio di musica sacra che comprende anche le proprie composizioni. La sua produzione, prevalentemente corale, comprende opere molto estese e con ampi organici, come il Gloria e il Requiem, ma anche numerosissimi brani a cappella o accompagnati dall’organo o dal pianoforte: sono soprattutto questi ultimi, molto eseguiti dai cori, a fare di Rutter uno dei più noti ed eseguiti compositori corali del mondo. In effetti il suo successo commerciale è enorme: si stima che la sua Shepherd’s Pipe Carol, scritta quando era ancora studente, abbia venduto oltre un milione di copie soltanto di partiture. 36 Giorgio Federico Ghedini e il coro della SAT di Trento di Enrico Miaroma direttore del coro di voci bianche garda trentino e advisor di ifcm Cosa può muovere un compositore settantenne ormai famoso e affermato in Italia e all’estero come Giorgio Federico Ghedini, direttore del conservatorio di Milano, con una ricca produzione orchestrale, operistica e di musica da camera alle spalle, a comporre due elaborazioni di canti popolari risorgimentali dedicandole al coro trentino della SAT? È il 5 maggio del 1962 e a Milano il coro della SAT si esibisce in un concerto al Conservatorio G. Verdi. Il compositore Giorgio Ghedini (Cuneo 1892 - Nervi, Genova 1965), fino a quell’anno direttore dello stesso conservatorio, viene invitato al concerto dall’amico e collega Guglielmo Barblan, musicologo e responsabile della biblioteca del conservatorio, che così scriverà di quella serata: «l’autore di alcune tra le più belle pagine corali della musica contemporanea fu talmente trascinato da quelle esecuzioni da trasalire o commuoversi e applaudire alla fine di ogni pezzo con lo stesso calore del pubblico che affollava sino all’inverosimile la sala». Ecco la risposta alla nostra domanda iniziale! L’entusiasmo e la commozione che Ghedini prova durante le esecuzioni è il motivo che lo porterà a scrivere la sera stessa due elaborazioni corali per il coro trentino. Appena tornato a casa, Ghedini sceglie infatti due canti risorgimentali, li elabora per coro maschile a quattro voci e già al mattino dopo è nello studio di Barblan con le due partiture da far avere ai coristi trentini con un messaggio: «…e dica loro che vi facciano tutte le modifiche che vogliono: fatte da loro, le accetterò sempre». Ricordando l’episodio Barblan ha commentato: «Era un elogio raro, il massimo che un musicista di quella statura poteva fare». I due canti sono Rosa d’aprile e Son morti per la Patria. Rosa d’aprile Si tratta di un canto popolare del Risorgimento. Il testo di questa canzone, scritto dal poeta toscano Francesco Coppi, fa parte della “fiorita patriottica”, la ricca produzione di versi che accompagna i due momenti culminanti del Risorgimento, il Quarantotto e il Cinquantanove. Autentica e tipica espressione della poesia romantico-risorgimentale, il testo fu adattato sulla melodia di un antico stornello toscano ed entrò nella tradizione popolare. Testo e musica sono raccolti nel volume Ricordi ed affetti di A. d’Ancona (Treves, Milano 1908). Analisi Scritto nella tonalità di si bemolle maggiore, il brano ha come elemento di collegamento tra le varie strofe una sorta di ostinato, sotto forma di semiminime con acciaccatura, a volte inferiore e talvolta superiore, vocalizzato con un “Ah!” che ricorda un lamento, di grande intensità espressiva. L’inizio, nella sua sobrietà di mezzi, è forse la parte più carica di tensione e di una sensazione di sospensione indefinita dell’intero brano. Per ben 41 battute l’elemento della semiminima con acciaccatura viene usato dai baritoni e bassi all’unisono a fare da ostinata pulsazione sulla dominante, lasciando in tutta evidenza la linea della melodia affidata ai tenori. L’attesa sulla dominante, così a lungo lasciata in sospeso, sfocia poi come una liberazione nel ritmico ed esplosivo “Rosa d’april regina dei fior d’Italia i color tu porti con te”, esposto omoritmicamente dal coro. canto popolare 37 Il finale è costruito su un pedale di dominante di sei battute affidato ai bassi “sventolerà per questo nostro cielo”, che risolve sulla tonica “rosa d’april regina dei fior”, dove Ghedini riprende il ritornello a conclusione della elaborazione. È quindi il turno dei tenori primi a fare da pulsazione sulla dominante, all’inizio e in più libero gioco armonico successivamente, mentre i tenori secondi hanno la linea melodica sostenuta armonicamente dalle altre due voci inferiori. Son morti per la Patria È un canto popolare del Risorgimento, che oltre al coro della SAT, è entrato a far parte del repertorio di altri cori come il coro A.N.A. di Milano. Il manoscritto della trascrizione, operata nel 1962 da Giorgio Federico Ghedini, porta la specifica di “Canto popolare del Risorgimento”. La scomparsa del maestro impedisce di documentare tale origine. Secondo il critico musicale Andrea Della Corte il testo è stato liberamente adattato sul motivo di una canzone catalana. Analisi Il brano ha un andamento solenne, che acquista un carattere ancora più grave dal momento che è scritto nel modo di fa minore. La scrittura corale è a quattro voci, ma le stesse sono trattate da Ghedini a momenti all’unisono (vedi l’inizio). Quasi sempre l’armonia del brano è a tre voci, dove una voce non è che il raddoppio della quarta e solo nelle quattro battute conclusive il compositore scrive l’armonia a quattro parti. Curiosi e poco comuni sono il salto di sesta inferiore del basso alla terza battuta Nell’ultima parte del lavoro, la più elaborata dell’intero brano, dopo il ritornello “rosa d’april…”, la linea della melodia torna ai tenori primi raddoppiati alla terza inferiore dai tenori secondi, all’ottava inferiore i baritoni, mentre i bassi raddoppiano la frase, per poi seguire sempre per terze, in un gioco ora a imitazione dei tenori sulle parole “verde è lo stelo, come speranza che un vessillo solo”. e il salto di nona inferiore alla battuta 16, così come le due quinte giuste parallele discendenti a battuta 29-30, tra tenore primo e basso (così come a battuta 34 tra baritono e basso); con l’inserimento del sol bemolle, la frase acquista un sapore particolare, confermato successivamente dal baritono e dai tenori. 38 il che conferisce al brano, assieme alla scelta di usare la cadenza plagale ripetuta più volte nel corso della composizione, una seriosità e una gravità tali da richiamare alla mente il carattere di una marcia funebre, idealmente a dedica dell’autore per coloro che “son morti per la patria, onor, eterna gloria”. Bella e intensa la successiva e unica modulazione del brano alla tonalità di si bemolle minore sulle parole “Son morti per la Patria”, con il ritorno alla tonalità d’impianto di fa minore su “viva la lor memoria”. Le voci in “Son morti per la patria” procedono praticamente sempre in senso solennemente omoritmico, tranne che alle battute 23-24 dove il tenore secondo rincorre a imitazione il basso, Conclusioni Diverse sono la fortuna e la diffusione dei due brani. Come accennato inizialmente, mentre Son morti per la Patria è stato registrato dal coro della SAT e ancora oggi, talvolta, viene eseguito in concerto o in commemorazioni di particolare intento celebrativo, l’elaborazione di Rosa d’april non ha suscitato lo stesso interesse. Il secondo brano, mai eseguito dal coro al quale è stato dedicato (per quanto ci risulta), aspetta a tutt’oggi un coro che lo scelga, inserendolo nel proprio repertorio e sapendolo valorizzare con coraggio e sensibilità musicale: la stessa sensibilità per l’appunto che ha fatto subito capire al compositore Giorgio Federico Ghedini che un brano corale ben eseguito, con passione e competenza, può arrivare a emozionare e commuovere l’ascoltatore, senza porsi troppo il problema se si tratti di una semplice elaborazione di un canto popolare oppure di una composizione originale, così come era successo proprio a lui, quel 5 maggio del 1962. Le partiture complete dei brani sono contenute nella raccolta Sui monti Scarpazi, 50 canti popolari italiani e stranieri, dal repertorio del Coro della SAT. Bibliografia: CORO SAT 75 - Trento 2001 + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA abbonati a aiutaci a sostenere la cultura corale CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione. abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro abbonati on-line: www.feniarco.it Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected] 40 due binari ben distinti Intervista a franco Monego a cura di Rossana Paliaga giornalista Franco Monego è il vincitore del VI premio nazionale “Una vita per la direzione corale”. La pluralità di specializzazioni caratterizza la sua multiforme attività di musicista a tempo pieno, diviso tra l’ambito professionale e quello amatoriale al quale si è nuovamente avvicinato al termine di una carriera svolta all’interno di diversi enti lirici italiani. Il pensionamento non ha rallentato i suoi ritmi di lavoro e infatti non c’è momento in cui non lo si trovi stretto tra diversi impegni tra i quali la sua (seconda) presidenza dell’Usci Lombardia. Mi sono sempre considerato un privilegiato per aver potuto svolgere la mia attività lavorativa nel campo della musica, la mia prima passione fin da bambino. Ho potuto dedicarmi all’insegnamento della materia che in assoluto ho sempre prediletto: la musica corale e la direzione di coro. Nel conservatorio, dove ho studiato e condiviso mete musicali con colleghi illustri e direttori di ampie vedute, ho formato una scuola di maestri che ora svolgono la loro attività in teatri italiani e stranieri, insegnano nei conservatori, lavorano per case editrici musicali, collaborano con la Feniarco e si dedicano come me al mondo amatoriale per qualificarlo sempre di più. Ho avuto l’opportunità di lavorare per il teatro come pianista e come maestro del coro, ma non ho trascurato il “volontariato”, del quale ho sempre sostenuto l’importanza culturale. Da molti anni collaboro con il Complesso Vocale Syntagma di Milano, che nei decenni della mia direzione è diventato un laboratorio di studio delle composizioni per coro di tanti colleghi che ho coinvolto in questo progetto, al quale hanno partecipato con entusiasmo. Quest’anno il Syntagma offrirà ai milanesi la XXII Stagione di concerti corali e strumentali che coinvolgono realtà corali italiane e straniere, contribuendo alla divulgazione del canto corale tra i giovani. stimolante, si interagisce con musicisti, si parla la stessa lingua e, se si riesce a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda, il risultato è esaltante. Il coro amatoriale è un mondo a sè. Frequentarlo è una terapia per sviluppare alcune doti essenziali per un maestro: la pazienza, la disponibilità, la sensibilità, la fiducia nelle possibilità degli altri. È un momento di grande arricchimento umano oltre che di enorme sviluppo delle proprie capacità di insegnamento. I tempi di apprendimento sono lunghi e travagliati e i risultati sono il frutto di un’intima fiducia tra coristi e maestro. In entrambi i Le basi di una buona lettura cantata vanno poste sin dalla scuola materna. Come ha accolto la notizia di essere il vincitore di un premio alla carriera? Un po’ perplesso! Una notizia inaspettata, ma certamente gratificante. La sua carriera nella coralità si è svolta tuttavia su due binari ben distinti: cosa significa ritornare alla “missione” dei cori non-professionali dopo aver lavorato per vent’anni in un ambito dalle esigenze e potenzialità completamente diverse? Preparare un coro di professionisti è impegnativo e casi ho sempre cercato di trasmettere nel canto le emozioni che la musica vuole comunicare all’ascoltatore. Probabilmente un’adeguata educazione alla coralità all’interno della scuola dell’obbligo contribuirebbe a gettare le fondamenta per un lavoro più semplice e di maggiore qualità. Sulla base della sua esperienza quale idea si è fatto della situazione della cultura corale nelle scuole? Nei conservatori si dovrebbe proporre la pratica della lettura cantata con testo sin dal primo corso di teoria e solfeggio, ma le basi di una buona lettura cantata vanno poste sin dalla scuola materna, attraverso l’acquisizione di un repertorio di canti semplici, con testi ed estensioni melodiche adatti all’età; alle elementari lo studio devrebbe proseguire in modo graduale sino al raggiungimento della capacità di intonare un canto a prima vista. In alcuni istituti lombardi mi risulta che insegnanti intraprendenti stiano facendo questa esperienza, e con buoni risultati. Nei teatri d’opera ha affrontato fondamentalmente il repertorio richiesto dal cartellone, ma quali sono state le sue scelte nel momento in cui è stato pienamente libero di decidere? Ricordo negli anni ’60 la proposta che feci a uno dei più vecchi cori maschili milanesi, lo Stelutis, fondato nel 1946: nuove armonizzazioni di canti popolari italiani e stranieri, elaborazioni moderne, per passare poi a composizioni di varie portraiT epoche e linguaggi, repertori di canti religiosi e profani, la letteratura dell’800 e del ’900, gli autori rinascimentali. Le mie proposte furono sempre accolte con curiosità e impegno; lo sforzo profuso fu notevole ma lo furono anche i risultati. La letteratura di epoca rinascimentale ha avuto un ruolo particolare nel suo percorso di direttore. Il repertorio rinascimentale per coro maschile è vastissimo. Quando ho iniziato a frequentarlo con il mio coro la filologia muoveva i primi passi e se ne parlava poco. In quegli anni i testi più usati erano i volumi di Schinelli, volumi che si proponevano di fornire un repertorio sacro e profano, considerato facile, ai numerosi cori che allora si affacciavano alle loro prime esperienze corali, senza porsi questioni di organico o di stile. Il mio interesse per il periodo rinascimentale iniziò quando constatai che alcuni brani che avevo trasportato per coro maschile “suonavano meglio” di quelli con l’organico nel quale erano maggiormente diffusi a livello editoriale. Approfondendo le ricerche ho notato che gli originali in chiavi antiche erano scritti per voci di estensioni diverse da quelle solitamente praticate e ho iniziato così a fare filologia da autodidatta in anni in cui questo argomento non godeva di grande interesse in Italia; altrove queste problematiche erano già state risolte. Ancora oggi bisognerebbe promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza di questo periodo attraverso l’organizzazione di corsi e convegni specifici ai quali invitare musicologi e direttori di complessi specializzati. Come valuta l’apporto dei compositori italiani alla coralità nazionale? La coralità amatoriale dà grande spazio alla letteratura contemporanea che viene promossa anche dalle associazioni corali, tuttavia auspicherei un sempre maggiore impegno e partecipazione da parte dei compositori. Con l’avvento dell’opera, la produzione corale a cappella in Italia è stata relegata in una piccolissima nicchia, mentre nei paesi al di là delle Alpi la presenza dei cori ha stimolato i compositori a comporre con linguaggi che hanno seguito l’evolversi dei tempi, per questo il gusto e le capacità dei coristi si sono adattati gradualmente ai cambiamenti. In Italia tutto questo non è avvenuto e solo nella seconda metà del secolo appena concluso si è finalmente avviato un maggiore avvicinamento tra la coralità amatoriale e i compositori. Il coro amatoriale è un mondo a sé. Da addetto ai lavori conosce bene la realtà corale amatoriale italiana. Cosa le augura? Negli ultimi 20 anni si è verificata una progressiva crescita, non solo numerica, della coralità amatoriale in Italia. Questo sviluppo crea competizione, migliore qualità e la ricerca di proposte nuove. Vedo che molti giovani compositori dedicano parte della loro creatività al mondo corale, e mi auguro che questo coinvolgimento sia sempre più collaborativo anche da parte dei direttori di coro. 41 Franco Monego__ Nato a Milano, compie gli studi musicali presso il Conservatorio G. Verdi della sua città dove si diploma in pianoforte, composizione, musica corale e direzione di coro, direzione d’orchestra, polifonia vocale. Dal 1966 svolge attività di pianista e maestro sostituto in alcuni tra i più importanti teatri italiani, dallo Sferisterio di Macerata al Teatro alla Scala di Milano. Attratto dalle possibilità espressive del coro affianca al’attività di maestro collaboratore quella di maestro di coro dirigendo il Gruppo Barocco Lombardo, la nuova Polifonica Ambrosiana, il coro Franchino Gaffurio di Varese e il Coro maschile Stelutis (ora Complesso Vocale Syntagma), con il quale ottiene, nel 1974, la vittoria al Primo Premio agli XI Rencontres Chorales Internationales de Montreux. Ricopre l’incarico di “maestro di coro” presso i cori lirico-sinfonici della Rai di Torino e di Milano e negli Enti Lirici Teatro Verdi di Trieste e Teatro Massimo di Palermo collaborando con alcuni dei più importanti direttori d’orchestra italiani e stranieri. Dal 1968 insegna presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, dal 1980 al 2007 come titolare della cattedra di musica corale e direzione di coro. Cofondatore, nel 1979, e primo presidente dell’Unione Società Corali della Lombardia, nel maggio del 2009 è stato invitato a riassumerne la presidenza. una grande festa …corale! saler una g prima edizione di salerno festival di Efisio Blanc Salerno e i comuni limitrofi hanno accolto dal 4 al 7 novembre 2010 Salerno Festival, il primo festival corale nazionale organizzato da Feniarco e dall’Arcc (Associazione Regionale Cori Campani), con la collaborazione del Comune di Salerno. Oltre ogni più rosea previsione, 56 cori hanno portato per quattro giorni nel salernitano oltre 1.600 coristi che si sono esibiti in ben 40 concerti, distribuiti tra Salerno e altre suggestive località della Costiera Amalfitana (Atrani, Baronissi, Cava de’ Tirreni, Cetara, Fisciano, Maiori, Pagani e Vallo della Lucania). Anche se circa la metà dei cori appartenevano all’associazione dei cori campani (molti della provincia di Salerno), erano comunque rappresentate altre 14 regioni: dalla Valle d’Aosta alla Sardegna, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia. Anche i generi e gli stili corali erano i più diversificati: dal canto popolare alla polifonia classica, dal gospel ai cori d’opera, dalla musica religiosa di tradizione extra europea al vocal pop. La varietà di organici dava inoltre uno spaccato del ricambio generazionale attraverso la presenza, accanto ai gruppi (misti, femminili e maschili) formati da persone più mature, di cori di voci bianche e di gruppi giovanili che si esibivano a cappella ma anche accompagnati da un pianoforte o da una tastiera, da un violino o da una fisarmonica, piuttosto che da un quartetto di clarinetti. Obiettivo della manifestazione era principalmente quello di creare un’occasione in cui i cori associati alla Feniarco, tutti i cori, potessero incontrarsi ed esibirsi, in un contesto privo delle tensioni tipiche di un concorso, senza la necessità di un repertorio coeso come sarebbe stato richiesto da una rassegna e senza neanche avere la necessità di un programma che coprisse un minimo di 50 o 60 minuti di musica. Un incontro, insomma, senza preclusioni artistiche e di repertorio, fra gruppi che condividono la passione per il canto corale, ma che sanno anche apprezzare la convivialità dello stare insieme e dell’incontrarsi. Ma questa necessità di incontrarsi, era un bisogno sentito dai cori? Alla luce del successo di molte proposte di questo tipo organizzate da agenzie turistiche (sia per l’Italia che per l’estero), sembrava di sì e la massiccia adesione dei cori alla proposta della Feniarco ne è stata una conferma: lo stesso staff della Feniarco ha ammesso di essere stato “spiazzato” da una adesione così entusiastica a fronte di una previsione che annoverava circa 20-25 cori. La formula del festival prevedeva per ogni coro un massimo di quattro esibizioni. Ogni coro poteva infatti esibirsi nel grande concerto di apertura o di chiusura del festival (al Teatro Augusteo di Salerno); in un concerto sul territorio, nei comuni dell’entroterra; in un concerto aperitivo in città a ASSOCIAZIONE fine mattinata del sabato e in un concerto, sempre in città, nel pomeriggio della stessa giornata, oltre alla partecipazione all’animazione della Santa Messa solenne che si è tenuta domenica 7 novembre nella Cattedrale di Salerno. Ogni concerto prevedeva la partecipazione di più cori (in genere 3 o 4), raggruppati secondo il repertorio proposto e, per quanto riguarda i concerti in città, distribuiti nei luoghi più belli e rappresentativi di Salerno: le chiese per la musica sacra (chiesa di San Giorgio, di Santa Maria delle Grazie, del SS. Crocifisso e altre ancora), piazze e luoghi di cultura per i repertori profani (ad esempio la Scalinata di Palazzo Città, la Pinacoteca provinciale, piazza Flavio Gioia, largo Tempio di Pomona, Salone Genovesi presso la Camera di Commercio, ecc.). Nella mattinata del sabato, per i cori che si erano iscritti, si sono svolti tre workshop dedicati rispettivamente alla musica italiana (tenuto da Mauro Marchetti), alla canzone napoletana (tenuto da Silvana Noschese) e al gospel (tenuto da Gianna Grazzini) e i gruppi che avevano frequentato i tre workshop si 43 giusto rilievo a tutti i cori presenti e giusta dignità a tutte le proposte concertistiche, confermando come questa occasione di incontro sia stata tenuta in alta considerazione dagli organizzatori. Una scelta che andrebbe forse ripensata è quella relativa all’amplificazione in occasione dei grandi concerti di apertura e di chiusura del festival: se da una parte questa soluzione ha facilitato l’esecuzione di quei gruppi che solitamente si avvalgono di tali supporti tecnici, dall’altra ha in parte compromesso l’esecuzione di quei gruppi che solitamente si esibiscono a cappella e che quindi hanno bisogno, anche solo per ragioni di intonazione, di un riscontro acustico. A margine di queste righe di cronaca, si possono forse azzardare alcune considerazioni. Al di là della funzione culturale di questo evento si intravede in questi incontri anche una funzione “didattica” per l’opportunità di confronto fra cori. Si tratta di un confronto inteso nella sua accezione più costruttiva (e non competitiva) quale modo per crescere, per conoscere delle realtà migliori o forse anche solo diverse dalla propria, per imparare da altri, per fare propri quegli aspetti a cui forse non avevamo mai pensato o che semplicemente non ritenevamo validi. Non si tratta certo di una ricerca di omologazione – la ricerca di qualità non è questo – bensì l’essere aperti a un continuo miglioramento, sia tecnico che musicale, e avere la capacità (soprattutto per i direttori) di mettersi continuamente in discussione. Proprio in questa ottica sarebbe auspicabile che le prossime edizioni del festival vedessero una maggiore adesione di cori di alto livello, di cori che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti o che, per diversi motivi, possono contare su realtà tecnicamente più solide e musicalmente valide. È vero, questi gruppi godono di molte altre occasioni in cui esibirsi ed è anche comprensibile che siano in genere più impegnati, sia per l’attività di preparazione che per l’attività concertistica. Questa partecipazione però risponderebbe a uno spirito di “appartenenza” che, all’interno della federazione, vedrebbe i cori più bravi essere da incitamento per i cori “meno attrezzati”, offrendo loro modelli validi, talvolta innovativi nel repertorio e nei generi, e offrendo loro spunti su possibili itinerari da percorrere, pur nel pieno rispetto delle possibilità di ognuno, delle proprie inclinazioni e dei propri gusti. Avere la possibilità di ascoltare cori il cui livello permette prestazioni tecniche ottime (ad esempio, sotto il profilo dell’intonazione) è sicuramente una valida scuola per confrontarsi sul lavoro da intraprendere: la validità degli aspetti tecnici vale tanto per un coro polifonico come per un coro popolare o per un coro gospel. Da parte loro, i direttori di coro potrebbero utilizzare questi incontri per mettere in discussione il proprio operato attraverso un confronto leale che evidenzi le buone pratiche già messe in atto, ma anche le carenze del proprio lavoro, le tappe che rimangono da percorrere, consapevoli della grande responsabilità che la guida di un gruppo corale comporta. Da parte loro, i cori “più avanti” avrebbero la soddisfazione di essere apprezzati da persone competenti (direttori e coristi rno fes grande sono poi esibiti nel grande concerto di chiusura del sabato sera eseguendo il brano studiato nel laboratorio. Salerno, per un fine settimana, è stata letteralmente invasa da cori e coristi e i diversi costumi e le diverse divise provocavano la curiosità dei passanti che talvolta fermavano i coristi per strada per chiedere conto del loro modo di vestire. Ineccepibile l’organizzazione della Feniarco in collaborazione con l’Arcc: dalla visibilità della manifestazione attraverso un ampio “battage” pubblicitario, all’accoglienza dei cori nei vari alberghi, alle location e all’organizzazione delle varie esibizioni, ai materiali distribuiti nei singoli concerti. Pur essendo la più grande manifestazione sinora organizzata dalla federazione, una “macchina” organizzatrice ormai collaudata ha fornito ottime prestazioni, al di là di alcuni piccoli imprevisti che fanno parte di ogni evento di questo tipo. Il livello dell’organizzazione ha inoltre contribuito a dare 44 Cori partecipanti Coro Soldanella di Adria (Ro) Gospel Voices di Afragola (Na) Coro Polifonico di Aosta Corale Laurentiana di Ardea (Rm) Coro polifonico Pina Elefante di Atrani (Sa) Insieme per Caso di Baronissi (Sa) Nausicaa Children Choir / Coro giovanile Overjoyed di Baronissi (Sa) Gruppo vocale Accordo Libero di Battipaglia (Sa) Corale polifonica Flos Carmeli di Caivano (Na) Coro Calauce di Calolziocorte (Lc) Corale Santa Rita di Cascia (Pg) Corale Fonte Vetica di Castel del Monte (Aq) Coro polifonico San Giorgio di Catania Insieme per Caso di Cava de’ Tirreni (Sa) Coro polifonico Sant’Antonio Abate di Cordenons (Pn) Corale polifonica Città di Ercolano (Na) Coro Musica nell’Anima di Fisciano (Sa) Coro popolare misto Le Castellane di Fossalta di Portogruaro (Ve) Coro S. Ignazio di Gorizia Coro polifonico San Martino di Lancusi (Sa) Coro polifonico di Montagano (Cb) Corale Mimma Scarpiello di Montecorvino Rovella (Sa) Coro polifonico Santa Caterina a Chiaia di Napoli Coro Vocalia di Napoli Gruppo vocale strumentale La Coriola di Napoli Coro Vox Nova di Napoli Soul Six Vocal Group di Pagani (Sa) Civitella Gospel Choir / Miafonè di Pellare (Sa) Corale Melodie d’Abruzzo del DLF di Pescara Coro Allegra Primavera di Pianiga (Ve) Coro For Children di Pomigliano d’Arco (Na) Coro polifonico Anema & Gospel di Pompei (Na) Corale Popolifonica di Popoli (Pe) Coro AMA Associazione Musicisti Agraria di Portici (Na) Coro Diapason di Rocca di Papa (Rm) Coro polifonico Res Musica di Roccasecca (Fr) Coro Altrenote di Roma Coro dell’Angolo di Roma Coro polifonico Ostia Antica di Sant’Aurea di Roma Ensemble Vocale Note…volmente di Roma Corale Città di Rosolini (Sr) Coro Armonia di Salerno Coro Daltrocanto di Salerno Coro di voci bianche Santa Teresa di Salerno Coro polifonico Casella di Salerno Estro Armonico / Il Calicanto di Salerno Coro polifonico Amici della Musica di Sant’Arsenio (Sa) Coro La Baita di Scandiano (Re) Associazione Musicale Aedi del Borgo di Somma Vesuviana (Na) Coro polifonico SS. Cosma e Damiano di Suni (Or) Corale Libentia Cantus di Torre del Greco (Na) Coro Santa Cecilia di Torre del Greco (Na) Corale polifonica di Trasacco (Aq) Laeti Cantores della scuola media Martiri de Mattia di Vallo della Lucania (Sa) Schola Cantorum San Pantaleone di Vallo della Lucania (Sa) Nuova corale polifonica di Vibo Valentia degli altri cori) e la gratificazione di sapere di essere in qualche modo utili per il percorso artistico che altri gruppi stanno percorrendo o che vorrebbero intraprendere. Un’ultima riflessione in merito alla scelta di Salerno quale sede per il festival. Un bilancio consuntivo non può che constatare che si è trattato di una scelta vincente sotto molti punti di vista: è stato valorizzato uno scorcio di Italia stupendo sotto il profilo paesaggistico, l’Arcc e tutti i volontari si sono dimostrati un validissimo aiuto per l’organizzazione, i cori che hanno coordinato i concerti sul territorio si sono prodigati con generosità e dedizione per accogliere i gruppi ospiti, il comune di Salerno e degli otto paesi limitrofi hanno dimostrato una sensibilità non facilmente riscontrabili, soprattutto in questi tempi di non facile gestione per le Istituzioni Pubbliche. Salerno Festival è stata poi un’occasione per constatare come una città, e altri comuni, del sud Italia si siano rivelati all’altezza di ospitare in modo eccellente un evento di così grande risonanza, sfatando pregiudizi e stereotipi che spesso danneggiano l’immagine di queste località fra le più belle della nostra penisola. r E a N t a cè g ovaNe! 45 c oncorso festival tività ostra crea v la a t t u campo t arie Mettete in coro che vorrei”. e second ie r a il im “ r cuole p sul tema olto alle s . iv r o s r o c Con o grado 2011. e second 15 maggio il o r t n di primo e dei lavori Consegna Torino, 29 giu gno-3 luglio 20 11. 150 voci e oltre per festeggiare i 150 anni dell’U Festival rivolto nità d’Italia. a cori di voci b ianche e giovan Adesioni entro il i. il 15 febbraio 20 11. scopri tutti i dettagli su J progetto realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali www.feniarco.it 46 LUCI, SIPARIO E VIA ALPE ADRIA ALPE ADRIA CANTAT 2010 di Pierfranco Semeraro Si accendono le luci, si apre il sipario ed ecco a voi: «Signore e Signori, buonasera e benvenuti alla tredicesima edizioni di Alpe Adria Cantat». Quella appena terminata è stata senza ombra di dubbio un’eccellente settimana cantante: dieci cori in formazione completa provenienti da tutta Italia, cinque cori provenienti rispettivamente da Spagna, Russia, Slovenia, Islanda e Svezia; oltre quattrocento tra coristi, direttori di coro, accompagnatori e staff; quattordici i Paesi rappresentati, dall’Austria al Venezuela passando per ancora per il Belgio, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, la Svizzera e l’Ungheria. Tra le centinaia di partecipanti indubbiamente entusiasma scorgere volti noti, quasi abituali, a conferma della formula vincente messa in atto dal prezioso e attento staff Feniarco. Una formula vincente quanto consolidata fatta di precisione, grande professionalità, attenzione a ogni più piccolo bisogno, condita poi con l’immancabile sorriso. Chi ha partecipato anche soltanto a una sola di queste settimane conosce bene il suo programma: musica, sole, concerti e formazione, e quest’ultima rappresenta per Alpe Adria Cantat la caratteristica significativa. È stato così attivato l’atelier di Musica per cori di bambini e corso per direttori il cui docente è stata la genovese Roberta Paraninfo e che ha visto la massiccia partecipazione di centoventisette tra bambini e direttori; l’atelier di Spiritual & Gospel, diretto dall’americano Walt Whitman con la partecipazione di settantasette coristi; l’atelier di Musica romantica, tenuto dal tedesco Jan Schumacher attivato con ottantacinque coristi; e ancora Vocal pop/jazz diretto ancora da una tedesca, Stephanie Miceli, che ha visto la partecipazione di quarantasei giovani; e infine l’atelier di Musica sudamericana con Ana María Raga dal Venezuela che contava su quarantatre partecipanti. Il menu della settimana era reso ulteriormente ghiotto da alcuni interessanti concerti sia all’interno del Villaggio Ge.Tur. di Lignano Sabbiadoro sia al di fuori, come a Trieste e a Codroipo in provincia di Udine. Ma Lignano durante la settimana offre anche la possibilità agli “Stati Maggiori” della coralità italiana ed europea di darsi appuntamento per il ASSOCIAZIONE costante e appassionato lavoro che è quello di programmare il futuro analizzando il passato. E così al venerdì si è riunito il Consiglio di Presidenza di Feniarco, mentre sabato si è incontrato l’Executive Board di Europa Cantat. Entrambi, oltre all’agenda fitta di punti in programma e progetti in fieri, hanno posto l’attenzione per quello che si prospetta essere per la coralità italiana l’evento più importante degli ultimi anni: il Festival Europa Cantat Torino 2012. Nella giornata di domenica, infine, si è tenuto un incontro dei partner del progetto Voice (Vision On Innovation for Choral Music in Europe), progetto di rete proposto da Europa Cantat con il coinvolgimento di 13 organizzazioni corali europee. 47 L’ultimo atto della settimana cantante ha visto tutti i cori, coristi, direttori e ospiti ritrovarsi insieme per il concerto finale in cui ogni laboratorio con il suo insegnante ha potuto regalare il frutto del paziente e appassionato lavoro della settimana; e con grande professionalità, dal bambino più piccolo al meno giovane corista, tutti hanno saputo regalare le emozioni vissute insieme. Questa è la musica corale e soltanto chi ha la fortuna di viverla quotidianamente o settimanalmente conosce le magie che sa regalare. E così anche Alpe Adria Cantat 2010 si è conclusa nella maniera migliore e tutti, salutandosi l’un l’altro, si sono dati appuntamento al prossimo anno mentre le luci si spegnevano e calava il sipario. Grazie, Ana María Contagiosa! Così ho vissuto l’energia musicale e carismatica di Ana María Raga, docente di musica sudamericana, ma anche magistrale aggregatrice di quella che definirei la “familiarità” di un gruppo corale. Un direttore che da subito guarda negli occhi uno per uno, che alla fine del primo giorno fa anche l’appello – sforzandosi di memorizzare il nome di ciascuno – e che ti punta, quando stai “cedendo”, con la frase «io ho bisogno di te», dimostra di entrare in relazione profonda con i propri coristi e di considerare da subito a pieno titolo i 43 allievi dell’atelier il “my coro”. Ridendo osservavo con le mie vicine di posto dei contralti che facevamo parte del gruppo over (49, 50…), molto ben rappresentato in tutte le sezioni vocali; ancor più divertente è stato scoprire che l’atelier di musica romantica era composto solo da teenager, il che dimostra che davvero la musica è senza confini, spaziali e temporali (nel senso di età dei coristi…). Incredibile la capacità di coinvolgimento della nostra diretora, manifestata con strabiliante mobilità facciale e atletici saltelli di gioia, allorché il suono emesso era come lei lo voleva. Interessanti gli esercizi di apnea vuoto/pieno, da applicare nell’immediato per gli accenti da dare a ogni sillaba, «muy corta y muy rapida». Non mi ha creato problemi ascoltare le spiegazioni in spagnolo (sarà servito il corso di lingua spagnola frequentato un mese prima in Spagna, con la mia originaria compagna di stanza, conosciuta proprio ad Alpe Adria Cantat nel 2006?) e, strepitoso (!), sono riuscita a imparare a memoria ben quattro brani su sei, evento storico per chi, come me, fa “corpo unico” con lo spartito. È indubbia l’efficacia dei mezzi ausiliari utilizzati da Ana María Raga per memorizzare: fumetti alla lavagna, mimica descrittiva, sillabazione con le labbra anche in esecuzione. Quanto ci è stato ripetuto che non basta aver appreso la melodia, il testo, la gestualità! Alla nausea è stato detto che conta l’intenzione e la cara (espressione facciale). In quelle occasioni è stata anticipata la presenza (inquietante) tra il pubblico di un fantomatico “taiwanese”, che nulla sa di musica e di Sudamerica, ma, pur in fondo alla sala, ha diritto di comprendere cosa stiamo comunicando… e tale comprensione dipende da ciascuno di noi. All’ultimo giorno qualcuno, proseguendo nello scherzo, ha appeso sulla porta la foto, appunto… del fantomatico “taiwanese”… Sugli spartiti ho preso appunti – come sempre – ma stavolta sono in spagnolo: voluntad (se voglio, posso persino imparare a memoria); compas (significa battuta, ma anche andare a tempo); musica sudamericana non è morbida (come il tai chi chuan), ma è a scatti (come il karate). E inoltre quanto occorre “mimetizzare” le pronunce: la b è talmente secca, da diventare quasi p; il dum della ninna nanna si trasforma in tum. Non è certo agevole per chi come me, avvezza al gregoriano, porta all’esasperazione la pronuncia e gli stacchi… Il corso è terminato da quattro giorni e io ho ancora nella testa melodie, frammenti di ritornelli, questa bella energia di sorrisi e ammiccamenti… Grazie, Ana María: come ti ho anche detto salutandoti, da te ho imparato molto. Sotto la dedica che mi hai scritto sulla copertina degli spartiti, trovo due frasi tue, che mi sono piaciute e le ho subito “fermate”: «Non basta lavorare, occorre poi difendere il lavoro svolto» e noi «tuo coro», questo l’abbiamo fatto in concerto, proprio come volevi, e come hai dimostrato con la tua gioia e i ringraziamenti a saggio appena concluso. Eppure come ogni anno, tornando a casa da Lignano, capisco che il vero obiettivo non è imparare i brani da eseguire l’ultimo giorno in pubblico, ma il trascorrere, nella magia di un gruppo che sino a ieri non esisteva – quasi fosse un mandala – questa esperienza umana, prima ancora che musicale. Isabella Geronti usCi Friuli VeneZiA GiuliA Via Altan S.Vito al Tagliamento (Pn) Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected] AsAC Veneto reGione Friuli VeneZiA GiuliA ministero per i beni e le AttiVità CulturAli e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d t s dy u t s l a n io t a n r e t in tori diret r e p orso niec i b m diba cori eo(IT) r e p ica iL na 1 Mus ente:Luig r e i nezia T) l e e c V t o A a l d (I • Scuo mbardo a l l e d ica oLo Mus te:Fabi 2 r e i n l A) doce • Ate (US pel s n o a g m tuale Whit Spiri e:Walt 3 r nt lie E) doce • Ate er(D ica t h n c a a um rom usica JanSch M 4 : lier docente (DE) • Ate celi zz i a j M / anie lpop Voca e:Steph 5 r nt lie N) a doce • Ate rican Raga(VE e m a ría sud usica AnaMa M 6 : lier docente (IT) • Ate r u utti o g r t a y oM tud nAl s te:Corrad o i t A ern docen • int liGnAno (ud) 28 AGosto»4 settembre isCriZioni entro il 31 mAGGio 2011 ASSOCIAZIONE 49 Un nuovo mattone per la coralità italiana Assemblea Feniarco a Trento di Sandro Bergamo A ogni assemblea nazionale di Feniarco è come se un nuovo mattone si aggiungesse alla costruzione della nostra coralità. Il mattone Trento è quello della collaborazione sempre più stretta tra le federazioni regionali e quella nazionale nella progettazione e nella gestione delle iniziative sul territorio. L’esempio più recente è quello della prima edizione di Salerno Festival (cfr. p. 42 di questo numero di Choraliter): un successo nei numeri (56 cori, oltre 1.600 coristi) confermatosi poi un successo nella conduzione di quattro frenetiche giornate dove tutto è filato secondo le previsioni, senza incidenti, senza intoppi dell’ultima ora, senza problemi che non trovassero lo staff di Feniarco e dell’Arcc pronti a risolverli. Un successo che impegna fin d’ora tutta la federazione a riproporre per il prossimo anno la manifestazione, con un invito particolare che l’assemblea nazionale ha rivolto ai cori d’eccellenza a intervenirvi. Un’assenza, questa, che molti hanno notato come indice di sottovalutazione dell’importanza di una propria presenza. Salerno Festival è diventata fin da subito una delle vetrine della coralità e parteciparvi è un modo di esercitare il proprio ruolo di guida e di caposcuola, che non può essere limitato al momento concorsuale. Salerno Festival si aggiunge così alla collaborazione con Asac e Usci Fvg per Alpe Adria Cantat, con l’Arcom per l’Accademia di Fano, con Arcova per il Seminario di composizione di Aosta (che quest’anno ha visto anche la partecipazione di un coro laboratorio di quella regione), con l’Act per il Festival di Primavera, senza dimenticare la continua partecipazione di tutte le associazioni regionali alla realizzazione dei progetti APS, da InDirection ad Armonia di Voci (cfr. p. 51), in una crescente capacità di fare sistema che ottimizza le risorse e rende più efficace e visibile il lavoro dell’associazionismo corale. Un ruolo, peraltro, ormai ampiamente riconosciuto. Ne è un esempio il progetto Paci (cfr. p. 53), che riveste un’importanza ben superiore alla dimensione economica relativamente modesta del lavoro compiuto da Feniarco su incarico del Ministero dei Beni Culturali per conto dell’Unesco. Un doppio riconoscimento, da un lato alla coralità, identificata dall’organismo internazionale come un bene culturale immateriale da tutelare, dall’altro a Feniarco, che il Ministero riconosce come l’organismo rappresentativo della coralità italiana e che diviene consulente dell’Unesco. Un’occasione, quella del censimento per il Ministero, per gettare ancora una volta lo sguardo oltre i nostri confini, a tutti i cori che non vivono una dimensione associativa, ma che pure cantano e producono musica e cultura. E poi la realtà ancora più vasta, magari informe, ma parte importante di quella diffusione della coralità sul territorio nazionale: diffusione crescente, a dispetto di tutti i profeti di sventure, fatta di migliaia di cori scolastici e di cori parrocchiali dove decine di migliaia di persone hanno il loro primo incontro con la musica, e che non possono non costituire per noi un bacino su cui investire per la promozione della musica corale in Italia. Ci proponiamo da anni di far uscire dalla marginalità culturale la coralità e possiamo segnare qualcosa di più che qualche punto: forse arrivare a celebrare la pari dignità del coro con gli altri generi musicali, o quantomeno registrarne alcuni segni. Quando un ente come Verona Fiere chiede di intervenire all’assemblea per proporre la partecipazione dei cori alla Fiera della Musica, si tratta appunto di questo. L’importante ente fieristico sta progettando una grande manifestazione che, a partire dal 2012, sarà dedicata esclusivamente alla musica classica. Unica in Europa (altre 50 manifestazioni rubricate sotto questo nome assegnano spazi marginali alla musica classica), la Fiera della Musica avrà carattere internazionale e Verona Fiere ha già contattato colossi come EMI o Sony e coinvolto istituzioni come la Scala o l’accademia di Santa Cecilia, come pure, attraverso le rispettive ambasciate, istituzioni musicali del Giappone, degli Usa e di molti paesi europei. In questo contesto è previsto un grande evento corale di respiro e qualità internazionale, alla cui progettazione e attuazione siamo chiamati a collaborare. Certo, questo paesaggio incoraggiante è offuscato dai timori legati ai rischi che le risorse finanziarie si riducano, come peraltro avviene, oltre che in Italia, in altri paesi europei sull’onda della crisi finanziaria internazionale, che vede in affanno tanto i finanziatori pubblici quanto quelli privati. A questo si dovrà rispondere essenzialmente su tre linee. Da un lato, si dovrà perseguire l’autofinanziamento delle nostre iniziative, inducendo nella nostra stessa base un cambiamento di mentalità che porti a investire nel proprio hobby, come avviene per la pratica di uno sport o per qualsiasi forma di collezionismo. Dall’altro allargare la platea dei possibili finanziatori, trovandoli al di là dell’ente pubblico La cultura non è un costo, ma una risorsa. territoriale più prossimo sul quale spesso pigramente ci si adagia: può diventare per tutti un modello la Förderverein Europäischer Chormusik (Associazione degli amici della musica corale in Europa) istituita da Europa Cantat per coinvolgere personalità autorevoli nella ricerca di fonti nuove di finanziamento. E infine far leva sulla crescente autorevolezza della coralità per far maturare sempre più nei pubblici amministratori come negli investitori privati la consapevolezza che la cultura non è un costo, ma una risorsa e che all’interno di questa la musica corale gioca un ruolo di primo piano. Questi sono solo alcuni degli spunti usciti da un dibattito sviluppatosi nel corso di un fine settimana intenso, dove, come sempre, il lavoro dell’assemblea si è alternato a momenti meno formali ma altrettanto utili a stimolare il confronto delle idee e delle proposte. Momenti anche di incontro con la coralità locale, con il bel concerto offerto nella sua sede dallo storico coro della SOSAT, e con la partecipazione ai lavori dell’assemblea del Presidente della Südtiroler Chorverbände, la federazione dei cori del Sud Tirolo. E la convivialità che sempre contraddistingue le assemblee di Feniarco, grazie in questo caso all’ospitalità della Federazione Cori del Trentino, non fa che sottolineare, anche negli aspetti più esteriori, quella gioia che il canto orale è pronto a distribuire a chiunque lo sappia accogliere. armonia di voci festival nazionale delle minoranze linguistiche armoni di Annarita Rigo A dicembre si è concluso il progetto Armonia di voci realizzato, nel corso del 2010, con il sostegno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e in collaborazione con le associazioni regionali corali. Un’idea progettuale che ha trovato concretezza grazie alla volontà e caparbietà di Feniarco di mettersi continuamente in gioco e di innovarsi investendo preziose risorse nella valorizzazione della coralità italiana, considerata in tutte le sue espressioni, anche quelle meno praticate. La proposta ha rivolto la propria attenzione al mondo cultural-musicale dei gruppi di minoranza linguistica presenti nel nostro Paese. Va ricordato che la Repubblica Italiana è uno dei pochi stati europei che esplicitamente tutela, nella sua Costituzione (art. 6) e tramite la legge n. 482 del 15 dicembre 1999, le minoranze linguistiche e nello specifico la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. L’Italia può essere considerata il Paese delle etnie e del plurilinguismo, può essere rapportata a un grande mosaico formato da milioni di tessere che, apparentemente simili tra loro, in realtà sono uniche, dotate di una propria sfumatura e tipicità. I tasselli, incollati uno accanto all’altro indelebilmente, danno forma all’opera d’arte generale. Le infinite variazioni linguistiche presenti nel nostro Paese sono paragonabili alle tessere di questo mosaico, uniche e insostituibili nella determinazione di un disegno tanto complesso quanto prezioso e unico. Pluralità linguistiche e culturali che convivono all’interno dello stesso tessuto geografico, confinanti l’una con l’altra ma ognuna con una propria identità specifica. Così le comunità di minoranza linguistica sono realtà vive del nostro Paese. Non si tratta di folclore o di mera tradizione, ma di gruppi dalla forte connotazione identitaria e culturale, strettamente 52 ARMONIA DI VOCI Festival nazionale delle minoranze linguistiche Calendario dei concerti Lunedì 23 agosto 2010, ore 21,00 Moena (Tn), Aula Magna del polo scolastico Sabato 28 agosto 2010, ore 21,00 Aradeo (Le), Teatro comunale “D. Modugno” Domenica 29 agosto 2010, ore 21,00 Lignano Sabbiadoro (Ud), Villaggio Ge.Tur Sabato 4 settembre 2010, ore 21,00 Sauris di Sotto (Ud), Kursaal - Sala a gradoni Domenica 12 settembre 2010, ore 21,00 Alghero (Ss), Chiostro di S. Francesco Venerdì 24 settembre 2010, ore 21,00 Bova Marina (Rc), Teatro Don Bosco Sabato 25 settembre 2010, ore 21,00 La Villa (Bz), Casa della Cultura Sabato 25 settembre 2010, ore 19,00 S. Marco in Lamis (Fg), Santuario di S. Maria di Stignano Sabato 25 settembre 2010, ore 19,00 Giarre (Ct), Duomo Venerdì 1 ottobre 2010, ore 20,30 Domegge di Cadore (Bl), Sala S. Giorgio Sabato 9 ottobre 2010, ore 20,30 Pinerolo (To), Basilica di S. Maurizio Domenica 10 ottobre 2010, ore 18,00 Gressan (Ao), Sala polivalente legati al territorio in cui sono insediati, alle vicende storiche e alla conservazione delle tradizioni. La cultura “immateriale” custodita e tramandata di generazione in generazione da queste comunità porta con sé valori inestimabili e di una vivacità intellettuale che però corre il rischio di rimanere sommersa e confinata. Feniarco ha voluto dare un significativo contributo alla valorizzazione e alla conoscenza di questi, alle volte piccolissimi, “universi” linguistici attraverso l’organizzazione di un festival di rilievo nazionale, un ponte comunicativo fra diverse culture, usi e tradizioni, un evento di prestigio all’interno dello scenario corale e culturale del Paese. Il festival nazionale delle minoranze linguistiche Armonia di voci si è concretizzato con l’organizzazione e realizzazione, tra agosto e ottobre, di 12 appuntamenti corali dislocati sul territorio nazionale, che hanno toccato 9 regioni (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna, Sicilia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto) e coinvolto 30 formazioni appartenenti a specifiche comunità di minoranza linguistica, gruppi corali misti, maschili, femminili e giovanili, ognuno dei quali ha eseguito un repertorio tipico della propria minoranza linguistica di riferimento, dal francoprovenzale all’arbëreshë (albanese antico), dal tedesco antico al catalano e sardo, dal ladino al grecanico e ancora dallo sloveno all’occitano, dal friulano al walser, dal francese al cimbro. Un excursus su repertori musicali e tradizioni etno-linguistiche di particolare interesse, sconosciute al pubblico più ampio, nonché un confronto interculturale di portata nazionale. Un’Armonia di voci che, a seconda delle varietà linguistiche, diventava Armonia de osc (ladino), Harmonija glasov (sloveno), Tosse orìe fonè (grecanico), Jonia ë vuxhavet (arbëreshë), S’Armonia de boches (sardo), Armonie di vôs (friulano) e altre ancora. Un progetto di rilievo accolto con vivo interesse dalle associazioni regionali corali, dai cori coinvolti, dalle amministrazioni comunali e dagli enti locali che hanno collaborato attivamente alla realizzazione del festival e che Feniarco ringrazia sentitamente, nonché dal pubblico che ha preso parte ai concerti. Per valorizzare le peculiarità di questo progetto Feniarco ha, inoltre, previsto la realizzazione di una pubblicazione che raccolga alcuni pezzi presentati nell’ambito del festival. L’intero percorso si è concretizzato come un’occasione esclusiva per approfondire un ulteriore aspetto della coralità italiana: realtà corali e musicali di minoranza linguistica radicate nel territorio nazionale, vettori di patrimoni tangibili e unici. ASSOCIAZIONE 53 IL CANTO CORALE COME patrimonio culturale DELL’UMANITà di Sandro Bergamo Il Ministero dei Beni Culturali ha avviato il progetto Paci (Progetto Integrato per il Patrimonio Culturale Immateriale e la Diversità Culturale) in attuazione delle Convenzioni Unesco di Parigi per la salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale (2003) e sulla Protezione e Promozione delle espressioni della diversità culturale (2005). Nell’ambito di questo progetto, Feniarco è stata incaricata di realizzare il censimento e la mappatura della coralità italiana intesa come “patrimonio culturale immateriale”. È stato un importante riconoscimento da parte del Ministero della funzione che Feniarco esercita nel mondo corale italiano e al tempo stesso un’occasione preziosa per approfondire la conoscenza della coralità esterna alla nostra realtà associativa, con particolare attenzione al mondo scolastico, ai cori liturgici e alle minoranze linguistiche del nostro paese. La ricerca consegnata al Ministero è contenuta in un volume di 220 pagine, che è a disposizione per consultazione anche nella nostra sede. Ne pubblichiamo in anteprima la prefazione. Il concetto di patrimonio culturale immateriale è relativamente recente. Matura in ambito internazionale con la Convenzione Unesco di Parigi (2003), frutto di un percorso iniziato negli anni Novanta del secolo scorso. La convenzione Unesco è stata poi ratificata con legge 167 del 2007. La legislazione italiana, in realtà, fin dalle sue prime mosse in merito alla conservazione dei beni culturali, si estende al di là della semplice materialità del bene: già la legge 11 giugno 1922 n. 778 tutelava le bellezze panoramiche (art. 1), concetto che trascende la somma degli oggetti fisici, naturali e non, che le compongono, e ne garantiva il loro pieno godimento (art. 5): un’impostazione poi seguita dalla legislazione del 1939, che per oltre sessant’anni fu alla base della politica culturale dello Stato italiano. L’art. 7bis dell’attuale normativa tutela, con esplicito riferimento alle convenzioni Unesco del 2003 e del 2005, i beni culturali immateriali, sia pur legati alla loro sussistenza in testimonianze materiali: in sostanza, per quanto concerne il patrimonio musicale, tutela i nastri, i filmati, i files frutto dell’attività dei ricercatori in ambito demologico. In realtà la convenzione Unesco ha un orizzonte più ampio, che investe, oltre agli strumenti del sapere, le pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze che le comunità, i gruppi […] riconoscono come parte del loro patrimonio culturale. Non il supporto, dunque, ma il contenuto stesso. In un quadro siffatto rientra a pieno titolo la musica corale, tanto nella sua entità espressiva (le musiche che compongono il repertorio corale) quanto nella sua dimensione sociale (i cori che ne garantiscono la pratica e la trasmissione). Il coro è infatti il luogo dove si concretizza, per larghi strati della popolazione italiana, la formazione musicale di base, l’incontro con il patrimonio culturale rappresentato dalla musica, capace di allargarsi poi oltre l’ambito corale per diventare esperienza musicale a più ampio raggio. È il luogo dove avviene la trasmissione di un sapere concernente non solo la conoscenza di un repertorio, ma anche delle tecniche necessarie a riprodurlo e renderlo fruibile a se stessi in primis e quindi al più vasto pubblico. Ma, oltre al dato strettamente musicale, il coro è il luogo dell’identità di gruppo. È un fatto acquisito che il coro si sviluppi all’interno di comunità della cui solidità è espressione e al tempo Il coro diventa portavoce delle diverse culture che convivono in una società. 54 la coralità italiana coralità italiana patrimonio culturale immateriale la stesso elemento costitutivo. Il coro diventa quindi portavoce delle diverse culture che convivono in una società, facendosi in tal modo espressione di quella diversità culturale la cui salvaguardia e promozione è uno degli obbiettivi della Convenzione di Parigi. Al tempo stesso nel coro i portati culturali e le esperienze personali di ciascuno si integrano nel lavoro d’insieme, così che il coro possa diventare a un tempo il luogo della salvaguardia dell’identità e dell’integrazione. Le differenti culture musicali regionali, le cui caratteristiche affondano a volte le radici nella situazione dell’Italia pre-unitaria, hanno determinato nel nostro paese una diversificazione, tanto in merito alla quantità quanto alla tipologia, del fenomeno corale: cambia l’organico, con una maggior diffusione nell’arco alpino del coro maschile, sul modello delle Liedertafeln di area tedesca e un predominio del coro misto nelle altre aree del Paese; cambia il repertorio, più collegato alla tradizione musicale popolare nel nord, dove questa è di tipo corale, più ispirato al repertorio polifonico classico dove invece la tradizione popolare si esprime di più con il canto solistico. Ovunque, tuttavia, si è verificato, negli ultimi decenni, un incremento dell’attività corale, che ha ridotto le distanze e, grazie all’associazionismo corale, ha prodotto scambi che hanno favorito l’integrazione dei repertori e il loro arricchimento. Come è diffusa su tutto il territorio nazionale, così Feniarco la coralità lo è all’interno di ogni ambiente sociale e classe di età. Se in Italia la tradizione dei cori FE.N.I.A.R.CO. aziendali, tipica dell’est europeo, conta pochi esempi, si è invece espanso molto il fenomeno del coro scolastico, che investe tutti gli ordini di scuola, da quella primaria all’università. Il coro è poi espressione delle diverse comunità religiose: accanto ai numerosissimi cori delle parrocchie cattoliche, che proseguono nella loro attività pur nel confronto con le trasformazioni liturgiche del periodo postconciliare, esistono quelli di altre confessioni religiose, che rappresentano e identificano nei termini sopradescritti. Altrettanto avviene per le culture e le lingue minoritarie del Paese. icori associat Abruzzo i - cori associat .C.A.Regionale Cori Abruzzo A.Rciaz ione Asso Spoltore (Pe) ecco, 56/A - 65010 zo.it Sede: Via Montes www.coriabruz oriabruzzo.it sito: E-mail: info@c 1983 Anno fondazione: Vecchiati Presidente: Gianni i Corali ioni Regional Italiana Associaz ionale Fax. 0434 877554 Federazione NazSan Vito al Tagliamento (Pn) - Tel. 0434 876724 39 - 33078 t Sede: Via Altan, www.feniarco.i eniarco.it sito: E-mail: info@f 1984 Anno fondazione: Fornasier Presidente: Sante CORI ISCRITTI 0,61% 11,79% 11,79% 1,41% 1,41% 1,41% 4,23% popolare 48,98% 48,98% popolare Primo passo alla valorizzazione di un patrimonio culturale, materiale o immateriale che sia, è la sua conoscenza e questa passa per il suo censimento. A questo mira il progetto integrato PACI, in attuazione delle già citata convenzione Unesco. La presente ricerca è realizzata da Feniarco, la principale realtà associativa nazionale, che, attraverso le associazioni regionali federate, raggruppa oltre 2.500 cori italiani. Un primo, necessario passo, compiuto il quale sarà possibile utilizzare le conoscenze acquisite per approntare strumenti di diffusione della conoscenza on line, realizzare un più efficace coordinamento interistituzionale tra le istituzioni e la società civile, offrire supporto alle amministrazioni locali e centrali e alle altre istituzioni: in una parola, al sistema-Paese. Te 15 64,72% Aq 88,73% Pe Te 10 1,41% Aq Ch Pe Te 1,41% 4,23% Ch Tipologia 27,78% 4,23% dei cori 1,37% 1,37% 1,37% 4,11% Misti 4,11% Misti Maschili Maschili Femminili Femminili Voci bianche Voci bianche 5 0 Ch 27,40% Giovanili vocali Gruppi Giovanili Gruppi vocali Misti Voci bianche 17,08% l pop/leggero Aq Capoluogo Voci bianche Giovanili spiritual/gospel/voca pop/leggero vocal spiritual/gospel/ 16 Pe Provincia Maschili Maschili li Femminili Femmini 10 liturgico liturgico polifonico o polifonic 32,93% Ch 0 Misti lirico lirico 32,93% Aq Pe 22,22% 3,74% 4,26% gregoriano 35,62% 21,92% 20 ico dei cori per organ 7,33% gregoriano Aq 36,11% 25 Provin cia Capolu ogo 2,87% cia dei cori per provin Te 13,89% 15,07% 4,23% 15 ogni Coriogni Cori per Coriper Cori abit. 5.000abit. iaia 5.000 provinc provinc 0,42 0,42 35,62% 35,62% 0,25 0,25 27,40% 27,40% 0,25 0,25 21,92% 21,92% 0,18 0,18 15,07% 15,07% 0,27 0,27 100,00% 100,00% Coriinin Cori nel Corinel Cori Cori Cori com. altricom. gogo altri capoluo totale capoluo totale 1919 77 2626 2020 00 2020 33 1313 1616 88 3 3 1111 5050 2323 7373 Distribuzione per provincia Numero dei cori 5 Distribuzione 20 2,44% 3,25% 309.264 309.264 396.852 396.852 321.192 321.192 311.590 311.590 9898 1.338.8 1.338.8 150.819 150.819 193.128 193.128 154.614 154.614 152.191 152.191 650.752 650.752 158.445 158.445 203.724 203.724 166.578 166.578 159.399 159.399 688.146 688.146 1,41% orio dei cori per repert 3,25% ii Abitant Abitant totale totale ii Abitant Abitant uomini uomini ii Abitant Abitant donne donne 30 25 0,61% 2,44% 108 108 104 104 4646 4747 305 305 L'Aquila L'Aquila Chieti Chieti Pescara Pescara Teramo Teramo Totale Totale CORI ISCRITTI Distribuzione Comuni Comuni aa Provinci Provinci ogni Coriogni Cori per Coriper Cori abit. Coriinin Cori 5.000abit. nel Corinel regione 5.000 regione Cori Cori Cori com. altricom. ii Abitant gogo altri Abitant 0,27 0,27 capoluo ii totali capoluo totali Abitant 2,91% Abitant 2,91% totali totali ii 6666 Abitant Abitant 0,28 0,28 77 uomini uomini 1,12% 1,12% 7373 donne donne 1414 Comuni 9898 Comuni 0,17 0,17 1.338.8 1.338.8 1414 0,80% Regioni 650.752 0,80% Regioni 2828 650.752 1818 0,09 503.434 688.146 0,09 503.434 688.146 22 305 305 1,39% 248.563 1,39% 2020 248.563 34 34 0,04 254.871 588.879 0,04 254.871 588.879 Abruzzo 11 Abruzzo 116 116 2,07% 288.274 2,07% 3535 288.274 4747 2424 Adige 0,20 300.605 0,20 300.605 2.010.5 2.010.5 AltoAdige 55 Alto 131 131 7,13% 52 979.589 7,13% 52 979.589 152 152 6262 3535 tata 1,28 1,28 5.824.6 1.030.9 5.824.6 1.030.9 Basilica Basilica 2727 409 3535 409 12,54% 179 2.824.9 12,54% 179 2.824.9 275 275 3535 2727 0,10 0,10 4.377.4 2.999.7 4.377.4 2.999.7 Calabria 40 Calabria 40 551 6666 551 4,54% 4,54% 315 2.126.9 315 2.126.9 5858 7979 6969 iaia 0,12 0,12 1.234.0 2.250.4 1.234.0 2.250.4 Campan Campan 5656 341 341 1,55% 597.575 1,55% 114 597.575 114 21 21 68 omagna 68 omagna 0,19 636.504 0,19 636.504 5.681.8 5.681.8 Emilia-R Emilia-R 1818 219 2525 219 14,70% 3939 2.731.4 14,70% 2.731.4 Giulia 334 334 8686 4343 VeneziaGiulia 0,31 0,31 1.615.9 2.950.4 1.615.9 2.950.4 FriuliVenezia 35 Friuli 35 378 378 3,94% 767.593 3,94% 369 767.593 369 9595 4141 0,14 848.393 0,14 848.393 9.826.1 9.826.1 Lazio 44 Lazio 235 6363 235 0,36% 0,36% 9999 4.802.3 4.802.3 7 7 76 78 76 78 0,24 0,24 5.023.7 1.577.6 5.023.7 1.577.6 2 Liguria 2 Liguria 1.546 1.546 8,32% 99 766.662 8,32% 766.662 181 181 dia dia 0,08 811.014 320.229 0,08 811.014 320.229 Lombar Lombar 2828 246 246 2,59% 155.835 2,59% 209 155.835 209 6262 3030 0,12 164.394 0,12 164.394 4.446.2 4.446.2 Marche 33 Marche 136 2626 136 1,59% 1,59% 6565 2.154.8 2.154.8 3333 3535 0404 0,09 0,09 2.291.4 4.084.0 2.291.4 4.084.0 7 Molise 7 Molise 02 02 1.206 1.206 3,54% 3,54% 4040 1.980.9 1.980.9 7272 0404 3333 tete 0,17 0,17 2.103.1 1.672.4 2.103.1 1.672.4 Piemon Piemon 1717 268 268 5,18% 819.875 5,18% 8989 819.875 118 92 118 92 1,77 852.529 1,77 852.529 5.042.9 5.042.9 Puglia Puglia 1212 377 9595 377 7,41% 7,41% 130 2.436.4 130 2.436.4 167 167 3030 9797 aa 0,52 0,52 3.730.1 2.606.4 3.730.1 2.606.4 Sardegn Sardegn 1919 35 390 35 390 3,74% 3,74% 186 1.797.2 186 1.797.2 7373 9595 1,06 524.826 1,06 524.826 1.932.8 1.932.8 Sicilia Sicilia 2121 287 287 1,08% 256.602 1,08% 9494 256.602 1919 0,35 900.790 268.224 0,35 900.790 268.224 8 Toscana 8 Toscana 223 223 434.058 13,50% 2727 434.058 13,50% 332 332 0,21 127.866 466.732 0,21 127.866 466.732 Trentino 77 Trentino 9292 62.743 62.743 339 100,00% 339 100,00% 2.178 3838 2.178 65.123 65.123 4.912.4 4.912.4 Umbria Umbria 333 333 2121 7474 2.404.7 2.511 2.404.7 52230 2.511 1717 522 d'Aosta 2.507.7 60.341. 2.507.7 Valled'Aosta 60.341. Valle 581 989 581 989 29.287. 29.287. 533 533 31.053. Veneto 31.053. Veneto 8.111 8.111 Totale Totale Ch 87,67% Gruppi vocali Giovanili Gruppi vocali Pe 88,73% Te 17 CMT Choral Management Today Gestione e organizzazione delle associazioni corali febbraio / maggio 2011 Stage per giovani manager in ambito corale-musicale Torino, 26 giugno / 3 luglio 2011 info su www.feniarco.it iniziativa realizzata con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 56 UNA SOLA VOCE PER LA MUSICA CORALE EUROPEA Reportage dall’Assemblea 2010 di Europa Cantat di Giorgio Morandi A Namur (Belgio) dal 26 al 28 novembre la Fédération Chorale Wallonie-Bruxelles A Coeur Joie ha organizzato l’Assemblea Generale di Europa Cantat. Oltre ai resoconti sulle questioni legali e finanziarie che l’Assemblea ha discusso e approvato, sono stati presentati e discussi molti altri argomenti, programmi, progetti innovativi e iniziative di grande respiro che ragioni di spazio non permettono qui neppure di accennare, ma che potranno trovare adeguata presentazione in altre occasioni. Al momento ci pare importante sottolineare – come il titolo di questa breve relazione bene evidenzia – il grande evento che ha caratterizzato l’assemblea di quest’anno. I convenuti hanno ratificato definitivamente la fusione delle due grandi associazioni corali europee fino ad ora esistenti, Europa Cantat e AGEC - Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände (Associazione delle Società Corali Europee). Il significato profondo e complessivo dell’unione è risultato sicuramente ancor più evidente dopo la relazione sulla storia e i valori di 55 anni di attività dell’AGEC presentata dal suo presidente Michael Scheck e dopo lo scrupoloso excursus di Jeroen Schrijner (presidente di Europa Cantat dal 2000 al 2009) che ha parlato della vita e dell’attività cinquantennale di Europa Cantat. È una importante sottolineatura rendere esplicito che i due presidenti citati sono stati gli artefici della fusione che si è testé perfezionata. Ma ciò che conta, ora, è il futuro. Fondamentale, a questo proposito, è stata la relazione di Sante Fornasier, ultimo presidente di Europa Cantat e primo presidente di European Choral Association - Europa Cantat: un discorso politico programmatico di respiro veramente europeo, proiettato davvero verso il futuro, per una coralità europea sempre in crescita, sempre più cosciente, sempre più produttiva ad alto livello, sempre più importante nella vita dell’Europa Unita. Per entrare un po’ più nel dettaglio della creazione dell’unica grande associazione corale europea, ci rifacciamo al comunicato stampa rilasciato dalla Segreteria Generale dell’associazione, dandovene qui di seguito una traduzione estemporanea. «Il 27 novembre scorso i membri di Europa Cantat, Federazione Europea dei Cori Giovani (FEJC EC), e l’Associazione delle Società Corali Europee (AGEC) hanno completato la fusione delle due organizzazioni nell’unica European Choral Association - Europa Cantat. Con questa denominazione dal 1 gennaio 2011 le due organizzazioni corali continueranno unitariamente la loro attività nell’unica organizzazione non profit pan-europea. Rivolgendo la propria attenzione sia ai giovani sia agli adulti essa si dedicherà all’educazione e agli scambi culturali nel campo della musica vocale. L’AGEC era stata fondata nel 1955 e la missione principale che si era proposta era la collaborazione fra le associazioni corali nazionali allo scopo di promuovere la comprensione reciproca attraverso il canto e il fare musica. Europa Cantat era stata fondata nel 1960/1963 quale strumento per organizzare la cooperazione internazionale, la promozione della tolleranza e della pace attraverso il canto comune e lo scambio interculturale del repertorio corale. Senza rinunciare ai rispettivi ideali le due organizzazioni ora uniranno tutti i loro sforzi nell’unica nuova associazione. European Choral Association - Europa Cantat rappresenterà direttamente circa 50 organizzazioni nazionali e regionali dei cori e dei direttori di coro, ben oltre un milione di cantori, di direttori, di compositori e di manager corali arrivando a coinvolgere oltre 20 milioni di persone in oltre 40 paesi europei. Attraverso European Choral Association - Europa Cantat la musica corale in Europa parlerà con una sola voce e rappresenterà il mondo corale europeo nelle organizzazioni musicali internazionali e a livello politico europeo. Con questa fusione, European Choral Association - Europa Cantat mira a rafforzare la posizione della musica corale all’interno dell’Europa e a promuovere gli effetti umani, educativi e sociali del canto corale e del far musica insieme. Per raggiungere questi scopi l’associazione continuerà a organizzare e sviluppare attività in collaborazione con i soci ASSOCIAZIONE Europa Cantat: 50 anni molto ben portati Lo scorso 15 maggio abbiamo festeggiato 50 anni da quel 15 maggio 1960 in cui un gruppo di direttori di coro provenienti da diversi paesi coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale (Austria, Germania, Francia, Italia, Spagna, Svizzera e Jugoslavia) si riunì a Ginevra e decise di costituire una Federazione Europea di Cori Giovanili. Questi padri fondatori avevano ancora in mente la guerra e cercavano dei modi per promuovere la comprensione tra i popoli attraverso i loro cori giovanili. Le forze trainanti furono due direttori da Francia e Germania, César Geoffray e Gottried Wolters, e le organizzazioni corali: la francese A Coeur Joie e la tedesca Arbeitkreis Musik in der Jugend. Una serie di incontri internazionali di giovani a Lorelei negli anni ’50 aveva aperto la strada all’idea: quale miglior modo per promuovere la reciproca comprensione che con un evento di dieci giorni durante i quali i giovani avrebbero potuto non solo cantare per gli altri ma con gli altri, condividendo anche l’alloggio e i pasti così da passare insieme tutto il loro tempo? Nel 1961 si svolse a Passau il primo Festival Europa Cantat con 69 cori da 12 diversi paesi europei. L’elenco includeva anche un coro della ex Jugoslavia e un coro da Lipsia, i cui coristi vissero la speciale atmosfera di un incontro internazionale solo pochi giorni prima della costruzione del muro, e la cosa poi non sarebbe stata più possibile per molti anni. Durante il festival Gottfried Wolters salì sul palco assieme a Roger Motz, rimasto cieco durante la guerra. Raccontarono ai giovani di come avevano scoperto di aver combattuto entrambi nello stesso giorno nei due fronti del Reno. Quindi, forse uno è stato il responsabile della cecità dell’altro e perciò hanno voluto impedire assieme, tramite il Festival Europa Cantat, che qualcosa del genere succedesse di nuovo. L’idea di base di promuovere la tolleranza e la pace attraverso il cantare insieme in eventi interculturali e promuovere e diffondere il repertorio corale europeo, è ancora oggi il fondamento dell’ampio programma della federazione, che intanto negli anni ’90 ha cambiato nome in Europa Cantat - Federazione Europea dei Cori Giovanili. Il 9 febbraio 1963 l’associazione fu registrata a Bonn come associazione non-profit secondo le leggi tedesche, e sin dalla sua fondazione è stata supportata dal Ministero per le Politiche Giovanili e recentemente anche dall’Unione Europea. Oggi Europa Cantat conta fra i suoi associati oltre 40 federazioni da 28 paesi europei, centinaia di cori e singoli membri. Il suo programma include il festival triennale, ma anche diverse tipologie di eventi per cori, direttori di coro, compositori e manager corali. Nell’anno dell’anniversario Europa Cantat ha organizzato una serie di eventi (si possono vedere nel sito www.europacantat.org). Nel giorno del suo compleanno, il Presidente Sante Fornasier (primo italiano eletto alla guida della Federazione Europea) è stato presente al concerto di Hearts-inHarmony in cui bambini e giovani disabili hanno cantato assieme ad altri giovani: Europa Cantat significa cantare assieme oltre tutti i confini, non solo in senso geografico. E a 50 anni Europa Cantat si sente matura per ulteriori cambiamenti. Così l’Assemblea Generale dell’autunno 2009 ha deciso la fusione di Europa Cantat con l’Associazione Europea delle Federazioni Corali (AGEC), fusione ratificata definitivamenre nel corso dell’assemblea 2010 a Namur. Da gennaio 2011 i membri delle due associazioni parleranno con una voce sola a nome della musica corale in Europa, con il nome di European Choral Association - Europa Cantat. Una nuova avventura, e per la coralità amatoriale italiana è sicuramente un motivo di soddisfazione e di grande responsabilità che alla guida di questa magnifica realtà ci sia il presidente di Feniarco. 57 attuali e con quelli che verranno acquisiti in futuro. Per ampliare questi scopi rafforzerà la collaborazione con istituti di ricerca, esplorerà e acquisirà conoscenze nuove sugli aspetti fisici del canto. Cercherà di sostenere lo sviluppo economico del settore entrando in campi quali quello del management culturale, della raccolta fondi e della sponsorizzazione. Avendo in mente progetti di grande successo e di vasta ispirazione, European Choral Association - Europa Cantat continuerà a lanciare progetti per l’integrazione musicale delle minoranze e delle persone disabili. Il programma di European Choral Association - Europa Cantat per i prossimi anni comprende il Festival Europa Cantat a Torino (luglio-agosto 2012), il Festival Europa Cantat Junior a Parnu in Estonia (luglio 2011), due sessioni annuali di EuroChoir (2011 in Italia e 2012 in Repupplica Ceca), il Coro Mondiale Giovanile, un buon numero di settimane cantanti internazionali in diversi paesi europei, seminari, corsi, study tours per direttori di coro, compositori e manager corali, concorsi di composizione e conferenze. European Choral Association Europa Cantat sarà gestita inizialmente da un Board di 15 persone provenienti da 13 paesi europei, rappresentative dei Board di entrambe le organizzazioni, e sotto la presidenza di Sante Fornasier (Italia) che si avvarrà della collaborazione dei vicepresidenti Gábor Móczár (Ungheria), Fred Sjöberg (Svezia) e Anneliese Zeh (Austria) e del tesoriere Jean Smeets (Belgio). La sede dell’associazione è a Bonn (Germania) dove risiede la Segreteria Generale retta da Sonja Greiner e il suo staff». 58 access! La musica ai giovani di Sarah Anania Dal 15 al 17 ottobre 2010, si è svolto a Torino il primo forum europeo sui giovani e la musica. Esso rientra nel progetto Access!, ideato e coordinato dal Working Group Youth (WGY), comitato di giovani che opera all’interno dell’European Music Council, in collaborazione con Europa Cantat e Feniarco. La scelta della location per questo progetto nella splendida città piemontese, eletta Capitale Europea dei Giovani per il 2010, è stata determinata dalla stretta relazione che Access! ha con quello che sarà un evento unico nel suo genere, ossia il Festival Europa Cantat Torino 2012, in particolare a sottolinearne lo spirito multiculturale, democratico e sensibile al mondo giovanile e al suo futuro. Ad Access! hanno partecipato circa 60 giovani provenienti da tutta Europa con lo scopo di confrontarsi sui molteplici aspetti relativi al mondo della musica, con la supervisione di professionisti del settore, che hanno non solo sapientemente impartito insegnamenti e consigli, ma hanno soprattutto fornito spunti di riflessione e di discussione ai veri protagonisti del meeting: i giovani. Durante i tre giorni, diversi sono stati gli workshops: politiche giovanili in campo musicale, arts management, social networking ed educazione musicale sono solo alcuni degli argomenti trattati. Circa la metà dei partecipanti attivi e degli organizzatori di Access! erano italiani: ciò in parte è dipeso certamente dal fatto che il forum si svolgesse in una città italiana, ma anche dalla grande capacità organizzativa e divulgativa delle associazioni italiane che hanno collaborato al progetto. L’Italia si è rivelata parte fondamentale nei dibattiti che hanno colorato i tre giorni dedicati al forum, guadagnandosi una rappresentante italiana nella nuova formazione del WGY, Arianna Stornello, la cui elezione accrescere sicuramente il valore del progetto a livello nazionale, poiché costituisce un vero e proprio fil rouge tra i giovani italiani e le organizzazioni europee impegnate in campo musicale, facendosi così da un lato portavoce dell’esperienza e della situazione italiana, e dall’altro membro in grado di influenzare le scelte e le azioni dello stesso organo. Un programma interattivo quello di Access! basato sul dialogo e la partecipazione attiva dei giovani alla discussione e che si fonda sul principio “for youth by youth”, in quanto creato dai giovani delle organizzazioni collaboranti al progetto, al servizio degli stessi e dello loro aspirazioni. Uno dei traguardi raggiunti al termine del forum è stata la stesura della European Agenda for Youth and Music, un vero e proprio documento con valenza politica nel quale i giovani partecipanti hanno inserito e definito le loro aspirazioni e i loro attuali interessi nel campo della musica e della politica culturale giovanile. Questo testo, che sarà poi diffuso a livello mondiale, fungerà da punto di riferimento per le organizzazioni musicali e le politiche europee, nonché da stimolo per le generazioni di giovani presenti e future. Il punto di vista nell’Agenda è certamente quello dei giovani che, partecipando ad Access!, hanno dato il loro contributo raccontando e confrontando le proprie esperienze con quelle di altri ragazzi provenienti da tutti gli angoli d’Europa, discutendo e cercando soluzioni e proposte a problemi comuni o specifici ma, soprattutto, collaborando nella trascrizione di punti chiari, rispettosi e rappresentativi delle aspirazioni di ciascun partecipante, sia che esso rappresentasse esclusivamente se stesso o una associazione e/o organizzazione operante in campo musicale o “semplicemente” il proprio paese di provenienza. Il prodotto è certamente di carattere europeo e in linea con la ricerca di una vera “identità europea” nell’ottica, però, del rispetto delle peculiarità di ogni singolo popolo e nazione facente parte della Comunità: united in Ogni individuo ha diritto di prendere parte alla vita culturale della comunità. diversity (trad. “uniti nella diversità”). Questo c.d. European motto ha una stretta relazione con l’art 151 del trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997): «la Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio comune». Entro questa prospettiva, si può certamente affermare che Access! abbia gettato le basi per l’affermazione di una possibile “cultura europea” giovanile in ambito musicale. La European Agenda e Access! trovano le loro origini nella Comunicazione intitolata A european agenda for culture in a globalising world (trad. “documento europeo sulla cultura nel mondo globalizzato”), adottata dalla Commissione Europea nel 2007, sviluppando i principi di una cultura in senso ampio espressi dalla Unesco Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expression 2005 (trad. “Convenzione dell’Unesco sulla Protezione e Promozione della diversità delle espressioni culturali”). Affinché si realizzasse l’ambizioso progetto della ASSOCIAZIONE European Agenda, il Consiglio all’epoca propose una strategia basata sull’individuazione di campi d’azione ben definiti; tra questi la mobilità dei giovani, l’educazione culturale e artistica, e l’accesso a tutte le espressioni artistiche. Da qui il titolo Access! che sta a significare proprio l’opportunità di accesso per i giovani nell’ambito musicale e il loro inserimento in un dialogo interculturale proficuo e costruttivo tra popoli non solo a livello europeo, ma anche internazionale, creando una vera e propria piattaforma per i giovani in cui questi ultimi possano interagire con le organizzazioni e le istituzioni. L’Art. 27,1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948 recita: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici». E ancora «the right for all children and adults to have access to musical involvement through participation, listening, creation and information» (trad. “il diritto per tutti i bambini e gli adulti di avere accesso in qualsiasi implicazione in campo musicale attraverso la partecipazione, l’ascolto, la creazione e l’informazione”): è uno dei cinque Musical Rights rispettati e supportati dall’European e International Music Council. Questi due documenti sanciscono l’importanza della partecipazione e del dialogo come strumenti di evoluzione e crescita della società; strumenti che non solo devono permettere uno scambio di informazioni e un confronto culturale a livello transnazionale, ma anche multigenerazionale. Se è vero che le più giovani generazioni rappresentano il futuro, è altrettanto vero che bisogna agire ora, nel presente: sono i giovani di oggi a dover gettare le basi per il loro e l’altrui futuro. Ciò può verificarsi solo creando una mutual understanding, cioè una “comprensione profonda e reciproca” tra individui portatori di uniche e inimitabili esperienze. Queste sono le motivazioni grazie alle quali si può certo affermare la notevole lungimiranza e coraggio degli organi e delle associazioni nazionali e internazionali che hanno pensato e attuato il forum Access! 2010, investendo e partecipando attivamente alla sua realizzazione, dando così a decine di giovani la possibilità e l’opportunità di mettersi in gioco, “mobilitarsi” ed essere attivi per il proprio futuro. 59 60 ORGOGLIO DELLA TRADIZIONE E PROGETTUALITÀ MODERNA di Rossana Paliaga Il concorso polifonico internazionale Guido d’Arezzo ha festeggiato dal 14 al 19 settembre 58 anni di attività, con la volontà di mantenere una tradizione, ma di rinfrescare sotto la nuova presidenza la propria immagine, soprattutto a livello istituzionale. Alla volontà di riconfermare aspetti caratterizzanti di questo concorso come l’intitolazione a Guido d’Arezzo va ricondotto il ritorno della rassegna dedicata al canto monodico, una vetrina specifica alla quale hanno preso parte quattro gruppi di cui tre italiani. La vittoria è andata all’armonioso ensemble femminile viennese Schola Resupina, forte di ottime soliste, un suono rotondo e compatto. Nelle cinque categorie del concorso internazionale si sono esibiti 15 cori da 13 paesi. Non ci sono stati dubbi sulla consegna del Grand Prix, assegnato al coro Svenska Kammarkören di Göteborg, vincitore del primo premio per il repertorio classico-romantico, per il repertorio contemporaneo, dal programma particolarmente interessante, e per la sezione storica con obbligo del mottetto Dum aurora finem daret di Palestrina. Il coro svedese ha dimostrato di avere molto da raccontare con la raffinatezza, il controllo del suono, la sicurezza e l’espressività che hanno caratterizzato tutte le esibizioni. Ottimi anche i piazzamenti del coro irlandese New Dublin Voices, vincitore nella polifonia rinascimentale e con due terzi posti nella debole categoria dei gruppi vocali (dove il primo premio non è stato assegnato), e nella sezione con programma storico. Il coro ha presentato un lavoro onesto ma parco di colori, un suono modesto, ma grande entusiasmo. Ha pienamente convinto, gratificando un ottimo lavoro, il primo premio al coro di voci bianche Prague Philharmonic, rafforzato dall’altrettanto condivisibile premio Mariele Ventre al miglior direttore consegnato al giovane Petr Louz̆ensky che nonostante un’apparenza austera si è dimostrato capace di trasmettere ai suoi giovani coristi la propria sensibilità e musicalità, tradotte in estrema eleganza, precisione, omogeneità, disciplina e un suono curatissimo che ha regalato al pubblico alcune delle emozioni più belle di questa edizione. Il buon livello, ma sostanzialmente senza esibizioni sorprendenti, espresso dal concorso internazionale, è stato integrato dai risultati più che soddisfacenti del concorso nazionale. All’interno della 27ª edizione si sono esibiti nove cori che per provenienza hanno abbracciato il territorio nazionale da Trento a Reggio Calabria. Il terzo posto è andato all’energia del coro misto Hrast di Doberdò del lago (Go) diretto da Hilarij Lavrenc̆ic̆, il secondo al coro Città di Piazzola sul Brenta diretto da Paolo Piana che si è distinto per l’equilibrio delle voci. Il meritato primo premio e la medaglia presidenziale sono stati conquistati dal Vocalia Consort di Roma, un coro maturo, sicuro e dall’espressione intensa, diretto da Marco Berrini. Il premio Feniarco è andato invece ai Valsugana Singers di Giancarlo Comar, un incentivo per la giovane età dei cantanti e i risultati apprezzabili in un repertorio impegnativo. Il concorso di Arezzo vuole rilanciarsi anche agli occhi delle istituzioni e sta cercando la giusta misura per farlo, con qualche prevedibile intoppo organizzativo, dovuto principalmente a motivi logistici come l’utilizzo degli spazi ridotti della chiesa di Sant’Ignazio per grandi eventi corredati da ricco parterre di personalità, con evidenti problemi di capienza che hanno suscitato vivaci contestazioni da parte del pubblico della serata finale. Il lato scintillante della medaglia è stata invece la presenza della cantante Katia Ricciarelli come madrina delle premiazioni finali e del presidente di RAI International, oltre a un’ampia rappresentanza di direttori dei grandi concorsi europei. Peccato invece che la cura dell’immagine di prestigio internazionale non sia stata sostenuta anche da una presentazione multilingue adeguatamente professionale. Il ricco programma del concorso è stato completato da concerti serali e dalla rassegna di canto popolare nella cornice storica dell’anfiteatro romano di Arezzo, che ha ospitato il folclore di Repubblica Ceca, Russia, Brasile, Finlandia, Norvegia e Svezia. Due concerti hanno avuto un significato particolare in quanto dedicati ai vincitori del Guidoneum award, il riconoscimento alla carriera, consegnato al coro norvegese Grex Vocalis che festeggia i 40 anni di attività e ai fuoriclasse dei Philippine Madrigal Singers, entrambi ammirati in due concerti memorabili da tutto esaurito. L’impegno per la formazione di direttori di coro che possano portare i loro ensemble a livelli simili a questi è stato invece testimoniato dalla masterclass di direzione di coro con concerto-esame finale con i quali ha avuto inizio il programma del concorso. Preside della scuola è Francesco Luisi, che rimane una presenza storica all’interno del concorso nel ruolo di sovrintendente, mentre la presidenza è passata a Pasquale Macrì che ha sottolineato da subito il suo impegno sui fronti della ricerca di fondi e dell’inserimento nel territorio, ipotizzando inoltre una candidatura di Arezzo al riconoscimento Unesco come città della musica: «Al concorso serve comunicazione a livello cittadino, regionale e nazionale, una maggiore apertura alla gente. La coralità deve raggiungere e coinvolgere le persone, perché in questa CRONACA 61 capacità risiede la sua forza. L’impegno di questa presidenza sarà quello di stimolare alla partecipazione, rinnovando l’orgoglio che con il tempo si è perso, mentre l’alta qualità è rimasta costante. Il mio primo banco di prova è stata la città stessa, quando ho riunito i rappresentanti dei quartieri storici della Giostra del Saracino proponendo loro la collaborazione nell’accoglienza dei coristi. La risposta è stata ottima e spero si possa rafforzare con collaborazioni reciproche fin dalla prossima edizione. Riguardo alle difficoltà con gli spazi voglio essere prudente rispetto ai progetti futuri, ma stiamo lavorando per ottenere l’utilizzo di altre sedi. Punto in particolare sul teatro vasariano perché penso che avere a disposizione un teatro di tale valore storico e artistico possa essere un motivo di orgoglio per la Fondazione». 58º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE GUIDO D’AREZZO Premio per la miglior esecuzione del brano d’obbligo: Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia) Categoria A – Canto monodico Gran Premio Città di Arezzo Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia) Categoria B – Polifonia Sez. 3 - Gruppi Vocali 1° premio: non assegnato 2° premio: Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia) 3° premio: New Dublin Voices - Dublino (Irlanda) Sez. 4 - Cori 1° premio: Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia) 2° premio: Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia) 3° premio: New Dublin Voices - Dublino (Irlanda) Sez. 5 - Voci Bianche 1° premio: Prague Philarmonic Children’s Choir - Praga (Repubblica Ceca) 2° premio: Vdokhnovenie - Mosca (Russia) Sez. 6 - Rassegna per periodi storici Premio speciale periodo B: New Dublin Voices - Dublino (Irlanda) Premio speciale periodo C: non assegnato Premio speciale periodo D: Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia) Premio speciale periodo E: Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia) Sez. 7 - Rassegna di musica corale contemporanea Premio speciale: non assegnato Sez. 8 - Canto Popolare Premio commissione d’ascolto: Madrigal de Brasilia (Brasile) Premio del pubblico: Madrigal de Brasilia (Brasile) Premio speciale offerto dalla Fondazione “Mariele Ventre”, per il miglior direttore della Cat. B: Petr Louzensky, direttore del Prague Philharmonic Children’s Choir - Praga (Repubblica Ceca) Sez. 1 - Rassegna di canto monodico Premio speciale: Schola Resupina - Vienna (Austria) Sez. 2 - Programma da concerto di Canto Monodico Premio speciale ex aequo: Schola Resupina - Vienna (Austria) Gruppo Vocale Armoniosoincanto - Perugia (Italia) Premio speciale al gruppo che abbia presentato il programma più interessante dal punto di vista della ricerca nel settore, per la Categoria A: Gruppo Vocale Armoniosoincanto - Perugia (Italia) 27º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 1° premio: Vocalia Consort - Roma 2° premio: Coro Città di Piazzola sul Brenta (Padova) 3° premio: Coro misto Hrast - Doberdò del Lago (Gorizia) Seguono in ordine di punteggio: 4. Ensemble vocale femminile Kamenes Incanto - Perugia 5. Valsugana Singers - Borgo Valsugana (Trento) 6. Ensemble Fonte Gaia - Rovagnate (Lecco) 7. Gruppo corale Licabella - Rovagnate (Lecco) 8. Coro polif. Madonna della Consolazione - Reggio Calabria 9. Coro polifonico Stella Maris - Vasto Marina (Chieti) Premio Feniarco: Valsugana Singers - Borgo Valsugana (Trento), diretto da Giancarlo Comar 62 IMPRESSIONI DA GRAND PRIX TRA AREZZO E TOURS Intervista a Lorenzo Donati di Rossana Paliaga Direttore dell’insieme vocale Vox Cordis, dell’Hesperimenta Vocal Ensemble di Arezzo, del Vocalia Consort di Roma e docente al conservatorio di Trento, il compositore e direttore di coro toscano Lorenzo Donati è di casa al concorso di Arezzo, ma ha potuto sperimentare quest’anno anche un’esperienza diversa all’interno del circuito del Grand Prix debuttando come giurato al Florilège Vocal di Tours. Essere compositore oltre che direttore di coro significa accostarsi alla responsabilità e al lavoro di giurato da una prospettiva diversa, soprattutto nell’attenzione alle scelte di programma dei cori partecipanti. Come è stato ascoltare le selezioni del Florilège con la sensibilità di chi vive la musica non soltanto da esecutore ma anche da autore? Sicuramente è un concorso che dà spazio alla musica contemporanea. Alcuni cori hanno scelto brani che in Italia sono di rara o rarissima esecuzione, tuttavia non sempre si tratta di composizioni interessanti a livello musicale. A volte ci si limita a un virtuosismo tecnico che risulta difficoltoso per il pubblico e poco stimolante anche a un’analisi più attenta. Con gli altri membri della giuria ci siamo trovati d’accordo nell’affermare che non molti brani di repertorio contemporaneo ascoltati alle selezioni hanno rivelato un valore pregevole, nonostante ne siano stati presentati molti. Cori che hanno risolto molto bene notevoli difficoltà tecniche non sono stati gratificati dalla giuria perché si trattava comunque di scelte capaci di valorizzare soltanto la padronanza del mezzo vocale e del brano, mentre noi volevamo riscontrare nelle esecuzioni anche l’efficacia, il valore musicale che a volte è difficile trovare in questo tipo di letteratura. Oltre al Novecento i cori devono necessariamente eseguire anche brani di epoche più antiche, inseriti all’interno di un programma storico. Quanto conta nella valutazione della giuria la padronanza di stili abitualmente meno frequentati? È importante, ma devo ammettere che è sempre più raro ascoltare cori che riescano a evidenziare nell’esecuzione tre tipi di vocalità diversi, caratteristica fondamentale per la resa ottimale delle atmosfere sonore di rinascimento, romanticismo e musica moderna. Qualcuno riesce a ottenere una buona vocalità per il romanticismo, oppure ricerca un’idea di non-vibrato da utilizzare sia per il rinascimento che per il repertorio contemporaneo. A livello stilistico il rinascimento presenta gli ostacoli maggiori e spesso i risultati più soddisfacenti si ottengono a livello di singoli brani con una bella idea di fraseggio, la corretta intonazione, indovinate scelte di organico. Troppo poco per modificare la tendenza generale dei grandi concorsi corali dove la vittoria è legata principalmente all’esecuzione di pezzi contemporanei. La mancanza di una adeguata attenzione stilistica è responsabilità del direttore. O possiamo a volte parlare di buoni direttori che non raggiungono i risultati sperati per inadeguatezza dei coristi? Buon direttore fa buon coro. Tuttavia non sono infrequenti casi di buoni cori con direttori non eccellenti. Può funzionare? Si tratta di un’equazione particolare, della ricerca di un delicato equilibrio. Il coro può essere per potenziale superiore al direttore, ma senza superare determinati limiti perché quando il divario tra i due fattori si fa troppo ampio, si rischia di distruggere una macchina che funziona. I buoni risultati sono il prodotto di scelte ponderate. L’esperienza necessaria a fare le scelte giuste può essere consolidata dal direttore anche attraverso l’affinamento del senso critico richiesto al giurato in un contesto competitivo. Soprattutto se ha intenzione di mettersi in gioco partecipando egli stesso ad altri concorsi. Si imparano gli errori da non fare, anche soltanto osservando quante informazioni e impressioni può fornire il primo impatto con un coro, la sua entrata in scena. Alcuni riescono a trasmettere la propria idea di professionalità con la sola disposizione, il modo di stare sul palcoscenico. Stando in giuria o semplicemente tra il pubblico si impara ad ascoltare gli altri. Quando componi musica, osservi il risultato dall’interno, la ascolti con un orecchio attento ai problemi tecnici, non guardi alla totalità dell’effetto da lontano. È importante inoltre mettere a confronto idee diverse di musica e capire dall’impatto concreto quelle che ti piacciono di più e verso le quali vuoi indirizzare la tua attenzione. Concorsi e festival si svolgono spesso in luoghi relativamente piccoli o periferici rispetto alle grandi città. Questo dà maggiore risalto alle iniziative, contribuendo probabilmente a sviluppare nel territorio l’interesse per un determinato settore artistico e la coralità ha certamente bisogno di essere promossa e diffusa nelle sue espressioni qualitativamente più alte. Non c’è dubbio che iniziative simili aiutino la coralità, soprattutto se godono di un reale sostegno da parte della città ospitante. Ad Arezzo il concorso corale esiste da cinquant’anni e i risultati sono visibili perché si riscontra nel territorio una solida base di cultura corale. Quest’anno a Tours ha vinto un coro di Tolosa, altro luogo dove ha sede uno di questi importanti concorsi corali ed è chiaro che i coristi hanno respirato per anni questa qualità. Vivere a contatto con una situazione, un’atmosfera stimolante, genera necessariamente l’impulso a creare qualcosa di valido. Quasi tutte le città o i territori che godono dell’influenza di un concorso hanno poi buoni cori. Una buona coralità ha bisogno di buoni direttori. A questo scopo ha messo a disposizione della Scuola superiore per direttori di coro legata alla Fondazione Guido D’Arezzo la sua esperienza e il suo coro Vox Cordis. Di cosa si tratta? Nato diversi anni fa e ripreso dopo alcuni anni di assenza, il corso di direzione, emanazione autonoma della Fondazione, si compone di 15 weekend di studio con docenti italiani e stranieri. Comprende lezioni di concertazione e parti teoriche, vocalità, analisi, musicologia. Il corso dura tre anni ma è possibile frequentare anche i singoli weekend. L’esame finale, presentato all’interno del programma del concorso, prevede una tesi musicologica, una concertazione a prima vista e un concerto davanti a una commissione formata dai professori della scuola di cui tre sono stabili: il sottoscritto, Walter Marzilli e Luigi Marzola. Tra gli insegnanti stranieri possiamo annoverare i nomi di Graden, Corti, Neumann. L’obiettivo è alzare il livello della direzione nei cori italiani per non sentirsi direttori “abbozzati”, ma a poco a poco professionisti, sempre più preparati e adeguati. CRONACA 63 DAL PUNTO DI VISTA DELLA GIURIA Intervista a Stojan Kuret di Rossana Paliaga Personaggio autorevole della coralità internazionale, il triestino Stojan Kuret ha aggiunto quest'anno un titolo ulteriore al già blasonato curriculum conquistando il Grand Prix europeo a Varna e diventando così il primo direttore nella storia del prestigioso circuito a conseguire due volte l'ambito riconoscimento: la prima volta nel 2002 ad Arezzo con il coro accademico sloveno APZ Tone Toms̆ ic̆, nel 2010 con il coro maschile VAL (Vokalna Akademija di Ljubljana). Presenza costante nella rete dei più importanti concorsi corali in Europa sia in qualità di direttore che di giurato, è stato nuovamente invitato quest'anno a esercitare la sua competenza nella valutazione dei cori del concorso di Arezzo e del Florilège di Tours. In un contesto competitivo i cori si mettono in evidenza in particolar modo per le loro doti tecniche. Musicalità e cuore sono in questo caso soltanto doti e opzioni aggiuntive? Non c'è musica senza emozioni. Se l'esecuzione non ha intensità e forza comunicativa, non ha senso di esistere. Questo è il nostro obiettivo; tutti miriamo o dovremmo mirare a raggiungere un livello qualitativo tale da riuscire a emozionare il pubblico e questa è l'essenza del nostro operare. Con una solida preparazione tecnica puoi attingere a un tipo di repertorio più impegnativo, simile e molte volte identico a quello frequentato dai cori di professionisti. Tuttavia, se oltre a questo sei capace di trasmettere qualcosa di personale e di convincere chi ti ascolta, sei sicuramente sulla strada giusta e con un po' di fortuna hai il successo in pugno. Cosa significa per un direttore di coro essere il detentore di ben due Grand Prix europei? Non importa il numero di vittorie, noi musicisti ci mettiamo in gioco ogni volta che saliamo sul palco e il risultato dipende da molti fattori, obiettivi ma anche contingenti. Per prima cosa si canta per propria soddisfazione e la gioia diventa poi maggiore ottenendo una buona valutazione dove nessuno ti conosce e sei veramente uno tra i tanti a confrontarsi con gli altri cori in competizione. Oltretutto la resa varia da concorso a concorso, in base alle esigenze del regolamento, alla durata del programma richiesto, alla concorrenza e ovviamente dipende anche da chi siede al tavolo della giuria. Troppo spesso veniamo giudicati da persone che con il mondo corale attivo non hanno nulla a che fare, persone che mai hanno cantato o diretto un coro o a loro volta non hanno mai partecipato a un concorso corale. Giudicare un coro non è cosa facile e in troppi non si rendono conto della responsabilità affidata alle loro mani: il lavoro di stagioni intere. È piuttosto raro che cori maschili si cimentino in competizioni di questo livello. Lei ha conquistato invece il Gran premio a Varna proprio con un ensemble maschile di recentissima formazione, ottenendo il secondo record, ovvero la prima esibizione di un coro maschile nella finale di un Grand Prix europeo. A cosa attribuisce la scarsa frequenza di questo tipo di risultati? Posso rispondere principalmente in relazione al panorama musicale sloveno nel quale lavoro e che conosco in maniera più approfondita, ma anche in quello italiano troveremmo parallelismi simili. Tuttavia in Italia si sta crescendo molto e dopo lo storico coro della SAT abbiamo un affermatissimo Polifonico di Ruda diretto da Fabiana Noro, l'ottimo gruppo Coenobium Vocale di Maria Dal Bianco e ultimamente promette bene il gruppo La Stele diretto da Matteo Valbusa. In Slovenia in questo ambito non ci sono cori maschili di qualità tale da poter aspirare a risultati artistici di grande livello. Il fenomeno dipende in buona parte dall'esempio condizionante del celebre Ottetto sloveno, un gruppo nazionale di rappresentanza che ha contagiato con il suo modello l'intera coralità. Sulla scia della popolarità e del successo di questo ensemble i cori maschili sono diventati sempre più rari e ha iniziato ad avere enorme diffusione l'organico dell'ottetto maschile, nella maggior parte dei casi, purtroppo, di scarsa qualità (per la difficoltà di trovare coristi vocalmente preparati e persone competenti per guidarli) e legato per emulazione a un tipo di repertorio ormai datato. Il fenomeno è relativamente recente; alla fine dell'800 e inizi '900 c'era infatti una predominanza di cori virili, confermata anche dalla quantità di composizioni scritte proprio per questo organico. Proprio per questo motivo ho accettato una nuova sfida fondando il gruppo VAL (Vokalna Akademija Ljubljana) per scuotere il nucleo stesso della coralità slovena e dimostrare che accanto a ottimi ensemble femminili e misti si può emergere per qualità di esecuzione e repertorio anche con i meno diffusi organici virili. L'abbiamo dimostrato con successo nell'ambito del concorso di Arezzo 2009. Il punto di partenza è stato a ogni modo avere una base di coristi scelti, amatori ma con una notevole esperienza corale alle spalle. Senza dubbio è questa la chiave per ottenere in così poco tempo un risultato di questo genere. Occorre iniziare con parametri piuttosto alti, ovvero al livello delle proprie ambizioni. Secondo me è una ricerca reciproca; un buon direttore cerca coristi validi e viceversa, dato che anche i coristi non vogliono perdere tempo se hanno un obiettivo di fronte a loro: innanzitutto fare buona musica per il piacere che ne deriva. È una regola che vale ovunque e una condizione non può prescindere dall'altra. Quando ascoltiamo i cori che si esibiscono ai grandi concorsi internazionali e che si dimostrano capaci di affrontare con notevole virtuosismo programmi di grande impegno tecnico e artistico, è lecito domandarsi dove sia il confine tra il dilettantismo che rappresentano e il professionismo. Il nocciolo della questione risiede nella stessa parola: amatoriale. Se analizziamo la sua etimologia, deriva infatti da amare, ovvero appassionarsi e fare qualcosa proprio per questo motivo. Purtroppo il termine ha acquistato una valenza negativa, confermata soprattutto da parte dei cosiddetti professionisti che hanno solitamente una considerazione molto bassa di chi si occupa di questioni artistiche senza essere retribuito per questo, quasi fosse un sinonimo di superficialità. I risultati non si valutano dal guadagno, ma dal tipo di qualità espressa con il proprio lavoro. Associazione Regionale Cori Marchigiani 6a ACCAdeMIA euRopeA per direttori di coro ecantori FANO (pu) 4/11Settembre2011 Direttore NicoleCorti Repertorio francese e inglese del 20o Secolo In collaborazione con Comune dI Fano Coro polIFonICo malatestIano InContro InternazIonale polIFonICo CIttà dI Fano Con il contributo di mInIstero del lavoro, della salute e delle polItIChe soCIalI Iscrizioni entro il 31 maggio 2011 CRONACA 65 pécs cantat L’Europa dalla prospettiva ungherese di Rossana Paliaga L’Europa dei cori vuole dialogare, sentirsi con ognuno dei propri paesi al centro di un grande palcoscenico senza barriere. E proprio nella coralità risiede in maniera ideale quell’unione di diversità che non si teme, ma si ricerca, quella che non confonde né annulla l’identità singola, ma rende la sua particolarità necessaria per lo scambio e l’arricchimento collettivo. L’ha dimostrato il grande incontro corale internazionale Pécs Cantat che si è svolto dal 15 al 22 agosto nella città dell’Ungheria, famosa per essere stata da sempre luogo di incontro di culture diverse. La voglia di confermare il proprio legame con la coralità europea si è rivelata in tutto il suo sincero entusiasmo nell’accoglienza riservata a Sante Fornasier, presidente di Europa Cantat che con la sua presenza ha dato un segno importante, sottolineato nelle occasioni ufficiali da organizzatori e media, di come il grande, ormai cinquantenario organismo internazionale non sia un’entità simbolica ma un reale, efficace mezzo di comunicazione dove l’eco di ogni attività non si ferma entro i confini del paese promotore. Fornasier ha portato il suo saluto in occasione della serata conclusiva del festival, ricordando il fondamentale contributo dell’ex presidente di Europa Cantat Marcel Corneloup, scomparso nell’estate di quest’anno, che nel 1988, in un continente ancora diviso dai confini, ha portato il festival per la prima volta nell’Europa dell’est e nella città di Pécs. Un mosaico europeo di 21 paesi rivolto verso la cultura ungherese in un mondo profondamente cambiato e certamente più aperto è quanto la città ha potuto vivere più di vent’anni dopo in un’euforia che ha coinvolto pubblico, partecipanti e organizzatori di una struttura efficiente, alla quale ha portato il suo entusiastico contributo, anche dal palcoscenico delle serate più importanti, il coordinatore e vicepresidente di Europa Cantat Gábor Móczár. «È nostra ferma convinzione che l’umanità vivrà più felicemente quando avrà imparato con la musica a vivere più degnamente. Chiunque si impegni a promuovere questo fine non avrà vissuto invano», recitano le parole del compositore Zoltán Kodály, nume tutelare del festival al quale sono stati dedicati tre atelier monografici e un solenne, raffinato concerto di gala per cori e orchestra nella cattedrale alla presenza della vedova, originaria della città di Pécs. Oltre ai laboratori sul Te Deum di Buda, sul Psalmus Hungaricus e sul repertorio per voci bianche di Kodály, sono stati attivati anche gli atelier riguardanti swing, letteratura ungherese per cori misti giovanili, l’opera di Béla Bartók per voci pari femminili e una scelta di canzoni sul vino per voci pari maschili. Al termine del variegato programma, il direttore artistico Tamás Lakner ha avuto motivo di brindare a un evento assolutamente riuscito: «L’idea base è nata all’interno del progetto Pécs capitale della cultura europea con la volontà di affermare in questo contesto il ruolo della coralità ungherese. Per questo motivo abbiamo evidenziato nel programma la tradizione nazionale e in particolare quella della città attraverso i suoi eccellenti direttori, impegnati negli atelier internazionali. Oltre a Budapest non esiste un’altra città dell’Ungheria capace di esprimersi con un potenziale così forte. I due grandi autori considerati nelle scelte di repertorio sono chiaramente Kodály e Bartók. Non abbiamo trascurato tuttavia la musica contemporanea, commissionando a Vajda János un brano nuovo, il Pannonii Carmen, che è stato eseguito nel concerto di chiusura. L’atelier dedicato ai canti sul vino si lega a una nostra tradizione, un festival tematico dedicato alle voci virili che organizziamo dal 1993. Per includere anche la musica leggera abbiamo invitato Robert Sund. Inizialmente abbiamo previsto la partecipazione di 800 coristi da dividere in 6 grandi atelier, ma il grande successo dell’iniziativa ci ha imposto di aggiungere il settimo atelier. Compresi i cori residenti abbiamo raggiunto quasi i 1500 partecipanti. Con le nostre iniziative siamo usciti dall’auditorium per portare la coralità ai cittadini e ai turisti perché il canto e il nostro prezioso patrimonio nazionale si rivolgono alla gente. Il risultato più importante sono state le oltre mille persone che hanno riempito la platea nella piazza del duomo e alle quali abbiamo distribuito gratuitamente i 5000 song-book stampati per l’occasione con tutti i brani da intonare ogni sera nei momenti di canto comune gestiti dai docenti dei vari atelier. Il senso di questi incontri si potrebbe riassumere nelle parole di un anziano che una sera mi ha detto: “Non se la prenda se ho cantato anch’io. Deve sapere che tutti i miei amici mi considerano stonato, ma stasera non sono riuscito a trattenere la mia voglia di cantare”». 66 SANTE FORNASIER PREMIATO A CHIAVENNA di Giorgio Morandi «Le Chiavi d’Argento, premio speciale “Flavio Bossi” conferito a Sante Fornasier, sapiente cultore della musica corale di cui sa trasfondere, con coinvolgente slancio, gli alti valori. Animatore impareggiabile delle Associazioni Corali. Chiavenna, 8 maggio 2010». Concisa, semplice, completa, pratica come il suo destinatario è la motivazione del premio ricevuto dal presidente della Feniarco e di Europa Cantat. Il presentatore informa il pubblico dichiarando che il “Flavio Bossi” è «un premio speciale finalizzato a premiare personaggi particolarmente meritevoli nel campo corale, legati alla nostra città e alla nostra Valle». È denominato premio speciale “Flavio Bossi” «per ricordare una indimenticabile figura di chiavennasco, di cantore, di maestro e di amico». Nella storia della rassegna il premio è già stato assegnato sette volte. I destinatari sono stati: Franco Monego (1994), Giovanni Acciai (1996), Bepi De Marzi (1999), Irlando Danieli (2003), Filippo Maria Bressan (2004), Mario Pigazzini (2005) e Tullio Broggio (2006). Quest’anno viene consegnato a Sante Fornasier, direttore di coro da 30 anni, abitante a Rauscedo nel Friuli Venezia Giulia. «Un grande maestro che, accanto all’attività professionale, si è sempre interessato, con passione, all’area no profit e in particolare al settore musicale-corale», dice il presentatore che continua ricordando brevemente la “carriera” del premiato: «Dal 1994 al 2010 è stato presidente dell’Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia, e ha portato l’Associazione ai vertici della coralità nazionale italiana realizzando importanti progetti in campo artistico, musicale ed editoriale. Dal 1999, Sante Fornasier è presidente di Feniarco, la Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali, che rappresenta oltre 2.400 cori. Sotto la sua presidenza Feniarco ha avuto uno slancio importante di crescita e di innovazione creando una “rete” ampia e ben organizzata su tutto il territorio italiano; ha promosso e organizzato importanti progetti musicali, editoriali, formativi per cantori, direttori e compositori collaborando con enti e istituzioni e in particolare con Europa Cantat. Da novembre 2009, Sante Fornasier è presidente di Europa Cantat, la Federazione Europea dei Cori, che dopo cinquant’anni di attività associa 41 federazioni nazionali tra cui anche l’italiana Feniarco». La voce ferma e chiara del rappresentante del Comitato per le Chiavi d’Argento va verso la conclusione affermando: «Come capite, è un onore per la nostra rassegna avere a Chiavenna questa sera un personaggio come lui, tanto più se pensate che Sante Fornasier segue da vicino ogni anno la nostra rassegna e spesso è lui stesso che ci segnala dei cori per rendere bella la nostra manifestazione. Sono mille pertanto le ragioni che giustificano questo premio, il piacere di consegnarlo e di poterlo condividere». L’ultima affermazione diventa anche didascalia precisa della foto qui presentata a ricordo dell’evento: «Come ormai è tradizione, è la sorella di Flavio, Wanda Bossi, che consegna al maestro Sante Fornasier il premio speciale “Flavio Bossi” della Rassegna Corale delle Chiavi d’Argento, anno 2010». Concluso il secondo concorso di composizione di musica sacra Mottetti per una Messa domenicale Con le deliberazioni finali della giuria si è concluso il secondo concorso di composizione di musica sacra organizzato dalla Federazione Italiana Pueri Cantores, con il patrocinio della Federazione Internazionale Pueri Cantores e della Feniarco, e dedicato, quest’anno, ai Mottetti per una Messa domenicale. Ogni concorrente doveva inviare tre mottetti per tre diversi momenti della celebrazione liturgica, ossia un canto d’ingresso, un canto di offertorio e un canto di comunione, composti su testi in lingua italiana o latina scelti dalla commissione artistica, tratti dalla Seconda domenica del Tempo Ordinario e dalla Liturgia eucaristica, e allegati al bando di concorso. Il bando, inoltre, prescriveva che i mottetti fossero a due o tre voci pari, con o senza accompagnamento d’organo, e si raccomandava che tenessero conto delle caratteristiche vocali dei cori associati alla Federazione Italiana Pueri Cantores, composti in prevalenza da voci bianche. La partecipazione di una ventina di compositori al concorso è stata confortante, a riprova dell’interesse dei musicisti per nuove composizioni di musica sacra e per l’organico a voci bianche. Apprezzabile è stata, in generale, anche la qualità dei mottetti inviati, che la giuria, presieduta da Walter Marzilli e composta da Fabio Nesbeda, Gian Luca Paolucci, Robert Tyrala e Josep Torrents, ha attentamente esaminato in tutti i dettagli. Alla fine i risultati sono stati i seguenti: Primo premio: non assegnato Secondo premio: Orlando Dipiazza (Ajello del Friuli - Udine) Terzo premio: Mattia Culmone (Trento) Premio come miglior mottetto: Jubilate di Orlando Di Piazza Segnalati: Angelo Bernardelli (Bresso - Milano) e Padre Remigio De Cristofaro (Firenze) www.solevoci.it 68 Notizie dalle regioni A.R.C.A. Associazione Regionale Cori d’Abruzzo Via Montesecco, 56/A - Spoltore (Pe) Presidente: Gianni Vecchiati Dal folklore alla musica nella liturgia I Laboratori di musica corale dell’Arca, dedicati di volta in volta a stili e repertori specifici dal medioevo al contemporaneo, hanno proposto domenica 14 novembre alla folta platea convenuta il tema “Il canto popolare nell’interpretazione del coro di montagna”. Nella sala convegni del Municipio di Penne (Pescara), Vincenzo Vivio ha parlato delle «semplici melodie che nei decenni sono state trasformate in raffinate armonie» esponendo, anche con l’ausilio di audiovisivi, le proprie e altrui esperienze. Nel pomeriggio, laboratorio pratico con lo studio di alcuni dei canti alpini più famosi, presentati poi nel concerto serale del Coro della Portella di L’Aquila tenutosi nella Chiesa della SS. Annunziata. L’esigenza di cercare una risposta alle numerose questioni relative alla musica – e in particolare il coro – nella liturgia, ha portato l’associazione regionale a chiedere lumi a un “esperto del settore”. Il 25 settembre nell’Auditorium S. Agostino di Atri (Te), Walter Marzilli ha presentato lo “stato dell’arte”, lasciandoci però il timore che l’attuale musica nelle chiese sia l’unico esemplare possibile riconosciuto dalle nuove generazioni e che purtroppo il canto gregoriano, la polifonia, l’organo possano essere erroneamente considerate cose d’altri tempi. Il maestro ha poi illustrato quali e quante siano ancora oggi le possibilità di legittimo utilizzo del coro nella liturgia, sulla base dei documenti espliciti della Chiesa. Positivi riscontri alla prima edizione del Concorso Corale Regionale con ben otto cori iscritti alla sezione folklore e sette alla sezione polifonia e con larga partecipazione di pubblico. L’ottima acustica dell’auditorium di Atri ha permesso di fruire con attenzione il denso programma della giornata reso di agile svolgimento dall’ottima organizzazione curata dal Coro Stella Maris di Vasto. La giuria, che vantava le presenze di Fabrizio Barchi, Aldo Cicconofri e Walter Marzilli, decretava il successo della Compagnia Virtuosa di Pescara per la polifonia e della Corale Trebula di Quadri per il folklore. A.BA.CO. Associazione Basilicata Cori Via Lucania, 12 - 75023 Montalbano Jonico (Mt) Presidente: Rocco Pontevolpe Al via il Coro Regionale della Basilicata Il 31 ottobre a Venosa (Pz) si è tenuta l’assemblea autunnale dell’Abaco, alla presenza dei presidenti e dei direttori delle associazioni iscritte. Si sono discussi il regolamento del Co.Re. Ba. (Coro Regionale della Basilicata) e le iniziative per il 2011, molte delle quali pensate in preparazione al grande Festival Europa Cantat Torino 2012. Lo stesso Co.Re.Ba. è stato al centro del convegno organizzato il 18 settembre nella cornice del Teatro Stabile di Potenza e volto a presentare al pubblico il progetto del coro regionale, fortemente voluto e sostenuto dall’associazione regionale. Il convegno è stato poi l’occasione per fare il punto sulla coralità regionale e per discutere della tanto attesa legge regionale sulla coralità. Al termine, a giusta conclusione della giornata, il coro si è esibito nella sua prima performance pubblica. Infine il 16 ottobre a Oppido Lucano (Pz), con la partecipazione di dieci gruppi corali, si è REGIONI tenuta la XII Rassegna regionale corale “Basilicata Canta”, significativo appuntamento annuale che promuove l’incontro e la presentazione al pubblico della coralità lucana. U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Franco Colussi Percorsi corali dal canto gregoriano alla musica contemporanea Decisamente positivo il bilancio della sedicesima edizione di Verbum Resonans - Seminari internazionali di canto gregoriano, svoltisi dal 26 al 31 luglio presso l’Abbazia di Rosazzo con la partecipazione di oltre 30 corsisti, che hanno potuto accostarsi al repertorio gregoriano con differenti livelli di approfondimento, guidati dal qualificato corpo docenti: Nino Albarosa (direttore dei corsi), Bruna Caruso, Carmen Petcu, Paolo Loss e don Michele Centomo. A integrazione pratica delle attività seminariali, è stato proposto anche quest’anno un ricco calendario di Concerti e Messe in canto gregoriano: da Rosazzo a Sesto al Reghena, da Trieste ad Aquileia, passando per Grado, Moggio Udinese, Prata di Pordenone e Ronchi dei Legionari, le proposte si sono diffuse su tutte le province culminando nei due concerti del coro ospite Mediae Aetatis Sodalicium di Bologna, diretto dallo stesso prof. Albarosa. A fine ottobre, dal 29 al 31, si è svolto il Corso superiore per direttori di cori, proposta formativa di livello avanzato organizzata dall’Usci Friuli Venezia Giulia a cadenza biennale, e dedicata quest’anno all’approfondimento tecnico e stilistico della musica contemporanea. Sotto la guida del docente Lorenzo Donati e con l’ausilio dei due cori laboratorio Multifariam di Ruda e Nuovo Accordo di Trieste, gli allievi attivi hanno avuto modo di affrontare composizioni di autori del Novecento e contemporanei, cimentandosi alla fine nella direzione del concerto conclusivo. Da sottolineare, infine, il significativo traguardo raggiunto – nella sua decima edizione – da Nativitas, il progetto di rete con cui l’Usci Friuli Venezia Giulia chiude il vecchio anno e apre quello nuovo. Un traguardo che consiste in oltre 130 appuntamenti corali, un’adesione che supera quella di tutti gli anni precedenti a conferma dell’importanza crescente di questa iniziativa che racconta un Natale radicato nella storia e nelle tradizioni. Ampio e interessante il ventaglio delle proposte musicali, che spaziano dai grandi classici alle opere di importanti compositori del Novecento, dagli autori del passato – a volte persino inediti – alle tradizioni friulane e venete, dal folklore internazionale alla liturgia gregoriana e alla musica contemporanea. 69 A.R.C.L. Associazione Regionale Cori del Lazio Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma Presidente: Alvaro Vatri 3x3 appuntamenti in Lazio Il 26 settembre, presso il Pontificio Oratorio San Paolo in Roma, si è svolta la terza Giornata Corale Arcl, terzo appuntamento con l’open day della coralità amatoriale. I partecipanti sono stati impegnati per l’intera giornata: al mattino si sono attivati 5 atelier tenuti dai maestri Piero Caraba, Marco Schunnach, Lucio Ivaldi, Marina Mungai e Fabio De Angelis, mentre nel pomeriggio è proseguito il lavoro di studio conclusosi con l’esibizione dei cori degli atelier nel Teatro del Pontificio Oratorio. Si è concluso il 16 e 17 ottobre il ciclo triennale sulla musica polifonica tenuto dal maestro Marco Berrini. La formula è stata quelle di ammettere tre cori al completo che hanno lavorato sul proprio repertorio e un quarto coro formato da cantori e direttori singoli, che ha lavorato su brani proposti dal docente. La prestigiosa sede, accanto alla celebre Villa d’Este, ha rappresentato un valore aggiunto importante e permesso di realizzare un evento formativo anche nella provincia di Roma. Si è riunita infine il 20 novembre presso il Teatro Pontificio Oratorio San Paolo in Roma l’Assemblea Ordinaria dell’Arcl. All’ordine del giorno il resoconto sulla attività svolta da maggio a novembre e le iniziative in corso fino alla primavera 2011. Sono stati “lanciati” tre nuovi progetti: “Chi ha paura della polifonia?”, “Adotta un compositore” e “Cori e manager”. Il primo è articolato in sessioni di educazione all’ascolto della musica polifonica (con direttori e cantori) seguite da tavole rotonde sulle problematiche della prassi e delle fonti della musica polifonica rinascimentale; il secondo intende promuovere nuove composizioni di qualità e il terzo si svilupperà intorno al report da Polyfollia di Fabrizio Vestri. Infine è stato proclamato il “Coro dell’anno”: il Coro Giovanile Vivaldi diretto da Amedeo Scudiero. FE.R.S.A.CO. Federazione Regionale Sarda Associazioni Corali Via Brusco Onnis, 38 - 08100 Nuoro Presidente: Antonio Sanna Esperienze di formazione corale Si è svolto il 2 e 3 ottobre a Nuoro il Seminario per cantori e direttori di cori giovanili, tenuto dal docente Alessandro Cadario e incentrato sullo studio di brani di diverso genere, epoca e stile, dalla musica antica a quella contemporanea, al vocal pop italiano caratterizzato da peculiarità diverse da quelle degli altri Paesi. La settimana successiva, dall’8 al 10 ottobre, a Sassari il maestro Dario 70 Tabbia ha tenuto un corso per direttori di coro pensato quale momento di approfondimento della tecnica di direzione corale, vocale e d’interpretazione del repertorio, articolato in lezioni teorico/pratiche e in analisi e concertazione dei brani oggetto di studio, con l’ausilio del coro Ass. Musicale G. Rossini in qualità di coro-laboratorio. Il 10 ottobre, a conclusione del corso, si è svolta infine la rassegna annuale della Fersaco, con l’obiettivo di favorire l’affiatamento tra gli associati e stimolare l’educazione musicale nel contesto sociale e culturale del territorio. La rassegna ha coinvolto direttamente anche tutti i direttori “corsisti” che hanno diretto, con un brano ciascuno, il coro laboratorio. A.R.S. CORI Associazione Regionale Siciliana Cori Largo Celso, 4 - 95043 Militello V.C. (Ct) Presidente: Alfio Penna Il gesto, la voce, il repertorio, la formazione Diverse le iniziative realizzate negli ultimi mesi in Sicilia a cura dell’associazione regionale. Dopo il consenso positivo ottenuto lo scorso anno, il 17 e 18 luglio è stato riproposto il corso di direzione “Il Gesto e la Voce” tenuto dal maestro Fabio Ciulla, che ha saputo coinvolgere e stimolare i giovani direttori e cantori. Oltre a curare la direzione di coro, è stata approfondita la vocalità, requisito necessario per crescere artisticamente, attraverso gli incontri tenuti dal maestro Ezio Spinoccia. Il corso si è concluso con il saggio-concerto del coro laboratorio Ad Dei Laudem di Lentini. Giunta ormai alla tredicesima edizione, si è svolta il 15 settembre a Militello in Val di Catania la Rassegna polifonica Militello Chori Cantantes, con la partecipazione di cinque tra le migliori formazioni polifoniche siciliane. La manifestazione si afferma sempre più come una delle più qualificate iniziative finalizzate alla promozione della musica vocale e polifonica in Sicilia. Il 25 e 26 settembre si è tenuto l’undicesimo Raduno Ars Cori, che ha visto convergere a Giarre (Ct) ben venticinque cori, più di mille cantori provenienti da diverse zone della regione, per condividere con gli altri le proprie proposte artistiche. Ampia e diversificata la gamma dei repertori presentati, dalla musica antica a quella romantica, dal gospel e spiritual alla musica contemporanea e popolare. La serata di sabato 25 ha visto esibirsi in concerto il coro ospite del raduno, il coro polifonico ungherese Hegyalia di Szserencs, mentre domenica 26 i cori partecipanti si sono esibiti davanti a una giuria di qualità che ha fornito consigli e suggerimenti utili per un continuo miglioramento. In serata, il concerto finale al quale sono intervenuti tutti i cori partecipanti. Dal 22 al 24 ottobre si è svolto a Lentini il corso di direzione per cori di voci bianche “Dal coro di bambini al coro giovanile”, tenuto dal docente Nicola Conci e rivolto sia ai direttori di cori di voci bianche che ai docenti di educazione musicale delle scuole secondarie di primo grado. Al centro delle lezioni, il bambino inteso non come “strumento” ma come parte attiva della produzione musicale. REGIONI A.S.A.C. VENETO Associazione per lo Sviluppo delle Attività Corali del Veneto Via Vittorio Veneto, 10 - 31033 Castelfranco Veneto (Tv) Presidente: Alessandro Raschi La coralità veneta tra formazione e progettualità Si è svolto dal 23 al 29 agosto il corso residenziale 2010 di formazione e aggiornamento per direttori e allievi direttori di coro, tenuto dai docenti Marco Berrini e Giorgio Mazzuccato e articolato in un doppio percorso: da un lato per chi desidera avviarsi alla direzione o approfondire le basi della direzione corale e della vocalità; dall’altro per direttori di consolidata esperienza interessati ad affrontare e analizzare nuovi repertori, vocalità e metodologie di gestione delle prove ed esecutive. Le lezioni si sono svolte sia in forma individuale che collettiva, con il supporto di tre cori laboratorio. Nella mattinata di domenica 29 si è tenuto un “Incontro con l’autore” con il maestro Mauro Zuccante, nel pomeriggio la concertazione dei brani con i cori laboratorio e in serata il concerto pubblico nella Chiesa Arcipretale di Lentiai. Il mese di ottobre ha visto poi la realizzazione del 6° Festival della Coralità Veneta. I cori partecipanti alle categorie non competitive (Composizioni d’autore sacre e/o profane; Composizioni, elaborazioni o arrangiamenti su temi di ispirazione popolare) si sono esibiti in uno dei concerti previsti nei giorni 9, 16 e 23 ottobre presentando un repertorio in forma di progetto allo scopo di stimolare e valorizzare nuove esperienze nel campo della composizione e dell’esecuzione corale sacra e profana, e promuovere repertori nuovi e tradizionali, colti e d’ispirazione popolare. Ai concerti era presente una commissione d’ascolto composta da alcuni membri della commissione artistica dell’Asac, i quali hanno relazionato ai direttori dei cori in merito all’esecuzione. Nella giornata di domenica 24 si è svolta la parte competitiva del festival, incentrata sulle categorie Composizioni, elaborazioni o arrangiamenti su temi di ispirazione popolare, vocal pop-jazz, gospel e spirituals; Composizioni per cori di voci bianche e cori scolastici; Composizioni d’autore sacre e/o profane. In serata, la cerimonia di premiazione dei cori e il Concerto di Gala con i cori classificati in fascia di eccellenza per l’assegnazione del Gran Premio, conferito dalla Giuria al coro Monte Cimon di Miane (Tv), diretto da Paolo Vian. L’Asac ha inoltre attribuito un riconoscimento da parte del mondo corale veneto alla memoria del maestro Marco Crestani, per la sua prolifica attività di compositore e di didatta, nonché membro della commissione artistica dell’Asac sin dalla sua fondazione. 71 72 SCAFFALE Elena Camoletto Quando nell’ombra Canti della devozione mariana tra modernità e tradizione Alba, Associazione Corale Intonando, 2009 Nova et vetera, così si intitola lo spazio che la rivista Choraliter riserva di consueto al ponte tra l’antico e il moderno, al filo conduttore che unisce le opere del passato a quelle più recenti. Ben si conviene questa definizione alla presentazione del volume Quando nell’ombra, Canti della devozione mariana tra modernità e tradizione, di Elena Camoletto, pubblicato dall’Associazione Corale Intonando. La compositrice piemontese ha selezionato 11 canti della tradizione mariana, tra quelli che erano fino a qualche decennio fa conosciutissimi e che hanno accompagnato e scandito la ricorrenza di devozioni, processioni e ritualità popolari dedicate alla Vergine Maria. Come ben evidenziato nella autorevole nota di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, questi canti «riportano in vita una realtà che diversamente resterebbe lettera e musica morta. A maggior ragione questo vale per quei canti alla Madonna che non sono né antichi né tanto meno vecchi, ma canti mariani di una volta. Sono infatti ancora in vita persone che li hanno cantati, anche se perlopiù sono anziani come me». Canti sepolti nel passato, dunque; manifestazioni di un sentimento religioso e di un linguaggio verbale ormai desueti; testimonianze di antiquate usanze religiose popolari che oggi stentiamo a riconoscere come appartenenti alla nostra cultura. «Sarebbe anacronismo – continua Enzo Bianchi – voler riprodurre oggi quello che è stato ieri. Per questo è bene che quei canti mariani ormai non più eseguiti diventino brani concertistici, rivisitati e quasi interpretati». Pertanto, il lavoro di Elena Camoletto, musicista di solida formazione tradizionale, ma nel contempo aperta alla modernità, può essere letto nell’ottica della formula nova et vetera. Sostiene, infatti, la compositrice che «il filo conduttore di tutta la raccolta può essere individuato nell’intenzione di mettere in qualche relazione e far dialogare la tradizione con l’innovazione, l’antico con il contemporaneo, di rendere attuale il vecchio e nello stesso tempo legittimare il nuovo». Sfogliando i brani che compongono la raccolta, si nota il ricorso a stili, tecniche vocali e scrittura corale diversificati. Camoletto esplora, infatti, diverse maniere di elaborazione delle vecchie melodie, contestualizzando ciascuna in una forma corale specifica. O Santissima, dal solido impianto verticale, Veglia onor su me, nel modo di una melodia accompagnata, Madre dolcissima, nel segno di riverberazioni canoniche in eco, Tu del Libano, contraddistinta dal suono emergente di un sassofono che dialoga con le voci, Ave Maria di Lourdes, inquadrata in suggestioni armonico-timbriche di stampo moderno, e così via. La discontinuità nella condotta dei lavori espone la raccolta al rischio di un esito artistico dai tratti impersonali. Ma il principio mai tradito di chiarezza ed efficacia nella scrittura corale assicurano un grado di qualità omogenea ai vari brani. È possibile ottenere un riscontro audio dei brani contenuti nel volume Quando nell’ombra, attraverso l’ascolto del cd omonimo, realizzato dalla stessa Associazione Corale Intonando. Tutte le informazioni sul sito www.intonando.com. Mauro Zuccante RUBRICHE Piero Caraba e Carlo Pedini 73 Camillo De Biasi Le forme della musica Cori di-Vini Brugherio, Edizioni Musicali Sinfonica Jazz, 2010 Padova, Armelin Musica, 2010 I lettori di Choraliter da tempo conoscono e apprezzano gli scritti di Piero Caraba nella rubrica Nova et vetera o in altra parte della nostra rivista, dedicati all’analisi di pagine corali, che con linguaggio chiaro e comprensibile anche ai non “iniziati” ci introducono nel “misterioso” mondo delle forme musicali stimolando la nostra curiosità e fornendoci strumenti preziosi per gustare la musica che ascoltiamo o eseguiamo non solo sotto il profilo estetico. Per alcuni versi tali scritti sono stati l’anticipazione del lavoro sistematico, portato a termine da Piero Caraba insieme con Carlo Pedini, docente anch’egli presso il conservatorio di Perugia, sulle forme musicali uscito presso le edizioni Sinfonica con il titolo Le forme della musica. Personalmente ho avuto il piacere di ricevere il volume, fresco di stampa, all’inizio di settembre. È evidente che l’amicizia e la stima personale con gli autori hanno sollecitato un immediato atteggiamento partigiano e quindi non nego che lo slancio con cui ho iniziato a sfogliare il volume è stato più di natura empatica che oggettiva, ma subito, a pagina 1, il capitolo sul “Concetto e funzione della forma musicale”, con la sua impaginazione ariosa e funzionale, mi ha invogliato alla lettura, e la chiarezza, nella sapiente sinteticità, dei contenuti mi ha catturato. Risultato: non pensavo più a chi l’aveva scritto, ma a ciò che leggevo (o meglio “spizzicavo”) pagina dopo pagina ed è finita che ho chiuso il libro solo quando sono arrivato all’indice generale, dopo 475 pagine e tre ore di “vagabondaggio” musicale tra inni, messe, mottetti, madrigali, sonate cicliche, suite, minuetti, ottave siciliane e tantissime altre informazioni, tutte esposte con grande chiarezza e comprensibilità, rigore scientifico, apertura dell’orizzonte storico, completezza degli esempi (finalmente delle pagine musicali non viene fatto uno “spezzatino” per arricchire il numero delle opere citate e contenere il numero delle pagine!), inequivocabile frutto della grande esperienza e sapienza musicale e didattica dei due autori. Nella quarta di copertina leggiamo: «Nella nostra cultura occidentale, al pari di ogni altro oggetto d’arte, la musica ha una sua forma? In che modo tale forma si rende visibile? Quali i suoi contenuti? Queste le domande che potrebbero essere rivolte con eguale efficacia sia a studenti di musica che ad appassionati musicofili. La presente pubblicazione si rivolge e si adopera per offrire risposte a entrambe queste categorie di lettori». Direi: missione compiuta! In bocca al lupo ai nostri cari e preziosi amici e buona lettura a tutti. Alvaro Vatri Il diffuso apprezzamento per il vino Prosecco, non poteva mancare di tradursi in ambito corale nella proposta editoriale di un musicista-DOC della Marca trevigiana. È di Camillo De Biasi, infatti, l’iniziativa di raccogliere in un volume ben 70 canti corali aventi un’attinenza vinicola. Parliamo dell’antologia Cori di-Vini, pubblicata presso le edizioni Armelin Musica di Padova, che reca come sottotitolo la seguente dicitura: «Un percorso dal Medioevo ai nostri giorni di canti sul vino della tradizione popolare e colta a una e più voci». Il curatore suddivide l’ideale viaggio tematico in tre sezioni. La prima (Canti tradizionali) presenta i canti di fonte orale nella semplice forma melodica. La seconda (Canti dal 1220 al 1800) attinge al repertorio storico del canto polifonico. Infine, la terza (Canti a più voci di autori contemporanei) offre una serie di nuove creazioni ed elaborazioni corali sul tema enologico. Insomma, una “botte di canti” che contiene el bon e ’l tristo (come si usa dire dalle nostre parti), ma nel senso di aulico e triviale; una miscellanea dalla quale chi volesse potrà estrapolare un suo ideale percorso dionisiaco. Un florilegio dal quale i direttori di coro potranno attingere idee di repertorio per il concerto, oppure vendemmiare spunti per il post-concerto. E a tal proposito, vorrei segnalare alcune pagine di assoluto valore artistico. Le raffinate composizioni di Jachet De Berchem e Orlando Di Lasso; le invenzioni madrigalistische di Orazio Vecchi; i disinvolti canoni del divino Mozart; e su tutti l’incomparabile bellezza del Trinklied di Schubert. Ma vanno segnalati anche i lavori degli autori contemporanei, di area triveneta, viventi e non (tra cui E. Casagrande, S. Zanon, P. Bon, A. Furgeri, G. Durighello, A. De Colle, O. Dipiazza, G. Zotto, G. Viozzi, oltre allo stesso De Biasi), alcuni dei quali di apprezzabile impegno e fattura compositiva. Alla pubblicazione è allegato un cd audio contenente 17 brani tratti dalla raccolta ed eseguiti da I Cantori di Sottoselva, diretti dallo stesso De Biasi. Insomma, cori e vini, abbinamento indissociabile, in quanto ingredienti di base della piacevole convivialità. Impossibile dimenticare la grottesca ed esilarante situazione in cui, il compianto professor Giuseppe Porzionato, alle 4 del mattino, descriveva (cartina alla mano) dettagliatamente e in stretto dialetto padovano, a un componente di un coro svedese, spaesato e inabile bevitore, le varietà vinicole italiane, associandole alle sfumature espressive del linguaggio musicale. Prosit! Mauro Zuccante 74 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi …Quando la musica bussa alla nostra porta, risveglia memorie da tempo nascoste nelle profondità del passato. Quando Dio creò l’uomo, gli diede la musica come linguaggio diverso da ogni altro linguaggio… …Ma a volte, a volte l’uomo piange ascoltando dei suoni, e nel profondo del suo cuore il creato diviene musica, e questa musica ali, ali che lo innalzano con il corpo e lo spirito e in quel momento, in quel momento solo, allora l’uomo comprende il canto dell’Universo… (Il canto dell’Universo, da Le parole non dette… di Kahlil Gibran) Il “canto dell’universo”, in questi ultimi due mesi a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, per noi cantori si realizza in tanti concerti di Avvento e Natale e in tanto studio che ora continuerà ancor più intenso nei primi mesi dell’anno solitamente scarsi di esecuzioni pubbliche. Mentre scrivo è tempo di fare auguri, ma se di Buone Feste si tratta, secondo i tempi di Choraliter gli auguri arriveranno in ritardo; meglio, quindi, auguri di Buon Anno! Che sia generoso in salute, produttivo nel lavoro, ricco di attività musicale entusiastica ed entusiasmante, abbondante di musica buona e di ottimo livello che – come dice il poeta – innalzi il corpo e lo spirito di chi la crea e di chi la gode. Buon 2010! VOICE Parola magica? In italiano voce, e… forse pensiamo immediatamente allo stupendo The Voice - Frank Sinatra, ma nulla più. «Insieme dei suoni che vengono prodotti a livello della laringe… Con riferimento alle particolari qualità della voce umana e [in campo musicale] voce di testa, voce di petto… voce di basso, voce di soprano… e poi ancora voce tonante, voce argentina, voce imperiosa, voce implorante… ognuna delle parti melodiche che formano una composizione polifonica… aver voce un capitolo… corre voce che... ». Interessante davvero, e non è tutto qui per un buon vocabolario, ma di “magico” non c’è gran che! Consideriamolo allora un acronimo, più semplicemente una sigla che sta per Vision On Innovation for Choral music in Europe. Non so come si esprimano i traduttori ufficiali, ma credo che letteralmente possiamo dire “sguardo/attenzione all’innovazione della musica corale europea” e più liberamente, forse, “immaginiamo, puntiamo al rinnovamento della musica corale europea”. Comunque sia, VOICE è titolo che ben esprime il progetto pluriennale che Europa Cantat in collaborazione con molte altre associazioni europee (fra cui Feniarco e RUBRICHE la Federazione Cori del Trentino) lo scorso mese di settembre ha depositato presso l’UE chiedendo collaborazione e finanziamento nell’ambito del programma “Cultura 2007-2013”. VOICE ha come obiettivo quello di promuovere la mobilità dei (giovani) musicisti, il repertorio corale europeo, il dialogo interculturale e il canto a tutte le età, lo sviluppo di tutte le manifestazioni corali innovative, la creazione di musica corale innovativa e il canto corale all’interno dell’educazione musicale. Questo progetto vuole incoraggiare lo studio della voce e la raccolta dati nel campo della musica corale, come pure vuole garantire uno sviluppo durevole della vita corale europea. Per tutta la durata del progetto (triennio 2011-2014) saranno organizzate attività miranti al conseguimento degli obiettivi prefissati, come per esempio il Festival Europa Cantat di Torino (2012), il Festival Europa Cantat Junior in Estonia, un Urban Youth Choirs Festival in Svezia, una Settimana Cantante nei Paesi Bassi, “Il Canto, strumento di riconciliazione” a Cipro, due sessioni di EuroChoir per giovani cantori in Italia e in Repubblica Ceca, un concorso, una conferenza e uno study tour in Ungheria, dei corsi formativi e dei seminari per direttori di coro e manager di gruppi corali in Austria, Italia e Svezia, una conferenza sulla musica dell’area mediterranea in Spagna, una settimana di formazione vocale per insegnanti e direttori di coro e un programma di cooperazione nel campo educativo in Belgio, dei programmi di ricerca sullo sviluppo dei giovani in relazione alla loro voce di canto, la salute vocale dei cantori amatoriali realizzati (questi programmi) in Austria e Belgio, e delle raccolte dati sulla vita corale, sulla formazione vocale e sulla formazione di direttori di coro in Europa. Per una più completa informazione immediata vogliate visitare www.EuropaCantat.org/voice; ulteriori notizie dettagliate verranno fornite nel corso dell’entrante anno 2011. Il canto corale può cambiare il mondo? Cantare non è soltanto e semplicemente una buona attività. Noi cantiamo, e ci piace! Spesso ci commuoviamo fin nel profondo del nostro animo. Noi piangiamo. Piangono persone tra il pubblico. Gli ultimi accordi vanno spegnendosi nella sala. Andiamo a casa. Mangiamo. Dormiamo. Sogniamo di cantare! Ha qualche importanza tutto questo? In un mondo pieno di guerra, di terrore, di povertà e di calamità di ogni genere, alzare la nostra voce nel canto fa qualche differenza? La fa! Ci sono molte storie che lo dimostrano. Aumentare attraverso il canto la consapevolezza dei problemi locali, nazionali e mondiali può davvero fare la differenza, dal semplice cambio di atteggiamento verso le cause e dall’informazione della gente circa le stesse fino alla raccolta fondi e al raggiungimento di 75 tutti i soggetti interessati (cfr. Can Choral Singing Change the World?, di Kelsey Menehan, scrittrice, corista, psicoterapista che vive a San Francisco). L’importanza dell’apprendimento nei primi anni di vita In tutto il mondo l’importanza dell’educazione nei primi anni di vita sta diventando sempre più evidente. La mente dei bambini è come una spugna. Essi imparano a una velocità straordinaria. Educando un giovane si investe per una vita. Ogni persona porta con sé uno strumento musicale: la propria voce per cantare. Non costa nulla e dà grande soddisfazione a persone di tutte le età. Il canto abbraccia tutto. La musica fornisce ai ragazzi l’opportunità di esplorare i sentimenti e di esprimersi in modi che sostengono, o che vanno ben oltre la comunicazione verbale. …Gli educatori della prima infanzia hanno spesso considerato la musica un mezzo naturale per migliorare l’apprendimento delle lingue, della matematica, degli studi sociali e così pure un costruttore di fiducia. …La musica è come una lingua. Se impari una lingua in giovane età essa è qualcosa che ti verrà naturale per tutta la vita… È molto più difficile imparare una lingua in età avanzata… La musica dovrebbe essere appresa da tutti e io credo che il miglior modo per fare questo è quello di educare, nella nostra società, i più giovani, rendendo la musica accessibile a tutti. Educazione musicale: i primi rudimenti quando ancora nel grembo materno? Come tutti sappiamo, cantare è una delle forme di espressione più naturali. Perché non utilizzarla e incoraggiare il canto fin dall’età più giovane possibile? “Una via musicale all’apprendimento” è un progetto finanziato dalla città di Derry in Irlanda. È basato sull’insegnamento musicale attraverso il canto in età pre-scolare a partire da un anno di età (cfr. EC Magazine, 02/2010). Cantare in un coro mantiene giovani Anche se Brahms e Beethoven non sono ciò che Richard Simmons (istruttore di fitness) aveva in mente con Sweatin ’al Oldies (serie di dischi che contengono ciascuno almeno 60 minuti di esercizi di aerobica a basso impatto per incrementare le prestazioni cardiache e per bruciare i grassi), la nuova ricerca suggerisce che il lavoro corale dei compositori dovrebbe essere proprio quello che vuole il tuo corpo. Secondo Vittoria Meredith, professore universitario dell’Ontario che ha utilizzato i cori di adulti della scuola come “laboratorio di ricerca dal vivo”, l’esercizio della musica corale porta a un aumento della funzionalità respiratoria, a un miglioramento 76 della salute globale, a un sistema immunitario più attivo e a migliori funzioni cerebrali. Meredith conclude che cantare in un coro tiene più giovani e più sani per più lungo tempo. Ma anche altri studi hanno portato a rilevare che persone che cantano su base regolare richiedono un minor numero di visite mediche, sono meno inclini a cadute di salute, non hanno bisogno di tanti farmaci e sono meno soggetti alla depressione. In altre parole: cantare in coro offre i benefici dell’esercizio fisico, ma senza umiliazione. Ecco cosa dichiarano alcuni cantori: «Quando un concerto va bene e ti senti come se avessi influenzato le altre persone, hai influenzato positivamente anche te stesso. Dopo una performance corale mi sento ringiovanito, un po’ come se la mia anima fosse stata rivitalizzata» (McMillan, 28 anni che da quando ha cominciato a cantare dice di ammalarsi meno spesso, di avere più energia e di sentirsi in generale più felice). «Cantare mantiene la mia mente più agile». «Cantare aumenta la quantità di gioia nella mia vita». «Da quando canto il mio respiro è migliore, anche dopo una operazione chirurgica polmonare». Quali libri? I direttori rispondono Quali libri ti sono stati più utili come direttore di coro? Quali ti hanno aiutato di più all’inizio della tua carriera? Quali risorse hai trovato che ti aiuteranno per sempre? Fra i tanti, cinque direttori di coro americani hanno risposto: 1. Beyond Singing (Oltre il canto), di Stan McGill e Elizabeth Volk, pubblicato da Hal Leonard. «Dopo cinquant’anni di carriera come direttore di cori e di orchestre – dai gruppi pre-scolastici ai gruppi di musicisti amatoriali e agli artisti professionisti – mi sono imbattuto in un libro che ogni direttore di musica dovrebbe avere. Davvero esso è basilare e permette a coloro fra noi che sono molto esperti di considerare alcune importanti idee di base, che dobbiamo riprendere e praticare. Benché sia stato scritto per direttori di cori scolastici, il libro ci ricorda, di ciò che facciamo, molti aspetti importanti che non dovremmo mai dimenticare noi direttori di coro e nemmeno dovrebbero essere dimenticati da coloro che ci assistono come amministratori». 2. «A me piace The Talent Code (Il codice del talento) di Daniel Coyle. Non è un libro sui cori in particolare ma fornisce interessantissime informazioni su come pensano i musicisti, su cosa ci vuole per motivare ed esercitare i giovani artisti, e cosa ci vuole per essere un bravo docente. Mi piace talmente tanto che ne ho comprato copie per tutti i miei studenti». 3. Basic Conducting Techniques di Joseph A. Labuta, Prentice Hall; The Score, the Orchestra, the Conductor di Gusatv Meier, Oxford; Solutions for Singers di Richard Miller, Oxford; The Diagnosis and Correction of Vocal Faults di James C. McKinney, Waveland Press Inc. 4. Quali risorse hai trovato che userai per sempre? Naxos Music Library, YouTube, Wikipedia, Choralnet, ACDA Convention, Oxford Music Online. 5. Quali libri ti sono stati più utili come direttore di coro? «Libri riguardanti la dizione e la fonetica pratica: Grove Dictionary». 6. Quali libri ti hanno aiutato di più all’inizio della tua carriera? «Non i libri, ma gli insegnanti e i professori della mia università». RUBRICHE Altri libri, articoli e risorse informatiche La voce degli adolescenti Su questo problema Alan Gumm della Central Michigan University suggerisce Working With the Adolescent Voice (Lavorare con la voce adolescente), libro di John Cooksey, il quale ha speso un’intera carriera risolvendo problemi collegati al cambio della voce negli adolescenti. Sul problema particolare dell’intonazione (ma anche altri grandi problemi) il prof. Gumm si autocita con il libro Making More Sense of How to Sing (Dare più senso al come si canta). Ed ecco un link a una pagina web dove si possono trovare altre interessanti grandi risorse sul cambio della voce: http://www.menc.org/documents/journals/tm/changing_ voice_biblio_feb_tm_bonuscontent.pdf L’alfabeto fonetico internazionale e il canto È disponibile online una serie di sussidi video-sonori relativi all’alfabeto fonetico internazionale (IPA, International Phonetic Alphabet). Anche questo è sicuramente uno strumento molto utile per cantare e parlare in lingua straniera. Il materiale, vere e proprie video-lezioni, è stato predisposto da “Singer Network” (Chorus America) in collaborazione con il tenore e insegnante di fonetica e dizione Daniel Molkentin. Carmina Burana di Carl Orff Analisi in sedici pagine delle realizzazioni dell’opera; studio fatto da Jonathan Babcock su oltre 60 registrazioni reperibili in commercio. Lo studio si conclude con la dichiarazione di J. Babcock, secondo cui «quando l’opera viene eseguita con tutte le intenzioni provatamente attribuite a Carl Orff, Carmina Burana diventa un’esperienza corale pulsante, viscerale e catartica». L’autore dello studio è Direttore associato delle attività musicali dell’Università Statale del Texas (cfr. Choral Journal, novembre 2010, pagg. 48-63, pubblicazione ufficiale della ACDA - American Choral Director Association). Altri paesi, altre chiese Mi racconta un amico (*) che è stato in Inghilterra ed è andato a un servizio di culto anglicano: «Niente guida per il canto, come del resto in tutte le chiese anglicane. L’unico vero animatore è l’organista che attiva l’assemblea con un tempo vigoroso per prevenire quella mollezza e quei rallentamenti che caratterizzano spesso i canti delle messe italiane (ndr: mi dicono anche francesi, ma è la consolazione del disperato quella di vederne altri nella propria condizione!). In capo alla navata un coro di uomini e di donne, vestiti – secondo la bella tradizione inglese 77 – di una tonaca blu e di una cotta. Scommetto che questo abito li aiuta a prendere coscienza che essi compiono un vero ministero e che non cantano per il pubblico, ma per il Signore e per la sua assemblea. È da sottolineare anche il fatto che i lettori non guardano mai l’assemblea: così è chiaro a tutti che non sono loro che esortano e consolano, ma Dio di cui sono, in senso stretto, i porta-parola. La stessa attitudine è espressa da chi prega per conto dell’assemblea (il pastore, ma anche i laici): essi manifestano chiaramente che è a Dio che essi si rivolgono, e non ai fedeli. E infine, l’assemblea! Un canto all’unisono! Quale testimonianza di fede! Per questo ogni volta che si dice una preghiera in nome dell’assemblea ogni fedele (in quella chiesa si sta seduti) si china leggermente». Non è tempo perso andare a vedere che cosa succede in altri paesi e in altre chiese: italiani e cattolici, come s’usa dire, abbiamo sempre da imparare… e parecchio! (*) L’amico è Roby Zenner, presidente dell’Associazione San Pio X, la Federazione Nazionale dei Cori della Chiesa dell’Arcidiocesi di Lussemburgo. Il coro… dell(e)’Ave Maria Pensieri: può un coro sopravvivere e perfino prosperare su un repertorio di sole elaborazioni dell’Ave Maria? Un coro ha bisogno di un repertorio più vario per tenere occupati e interessati i suoi cantori? L’Ave Maria è probabilmente il testo che in assoluto è stato usato più spesso da tutti i compositori della storia e che è presente in infinite forme, colori e interpretazioni. C’è varietà ed è una sfida per tutti. Si veda il sito www.avemariasongs.org. Al momento esistono più di 3000 diversi arrangiamenti dell’Ave Maria, curati da oltre 2800 compositori vissuti dall’anno 1000 a oggi. Naturalmente la lista non è completa. Più di 1600 Ave Maria sono state documentate con una partitura musicale, un midi e con registrazioni audio/video. Più di 660 sono disponibili in formato midi. Centinaia di partiture non coperte da copyright sono liberamente scaricabili. Un invito, una sfida: nessuno di voi è interessato a provare? Nessuno è interessato a provare un approccio più dolce includendo nel repertorio del proprio coro una buona varietà di Ave Maria? Per favore fate registrazioni audio/video e se vengono bene abbastanza per rappresentare il vostro coro, postatele su YouTube. Chissà, forse potrebbe nascerne qualcosa di tipo… concorso. 78 Aríon Choir & Consort del Collegio Ghisleri di Pavia Mondocoro si rivolge abbastanza raramente a fatti, eventi, incisioni, pubblicazioni, temi corali in genere che si realizzano in Italia perché ritiene che essi trovino comunque mezzi e sistemi di veicolazione interna più che accessibili alla coralità italiana. Questa volta, però, un’eccezione è giustificata dall’importanza e dal­l’originalità del gruppo e dell’iniziativa che si vuole segnalare e che si è concretizzata nelle pagine e nell’allegato della rivista musicale Amadeus di maggio 2010. Come sempre anche questo è un flash di segnalazione, una estra­polazione che per via della sua importanza e dell’interesse che può suscitare rimanda al servizio originale inte­grale. Alla richiesta dell’intervistatrice N. Sguben: «Raccontateci di Arìon e del Ghisleri: sembrano una realtà che scende da un altro pianeta», il direttore d’orchestra Giulio Prandi risponde: «Il fatto di essere nati in una istituzione di alta formazione culturale… ci rende certamente un “unicum” sul piano nazionale. Arìon è un gruppo giovane, ma è solo l’ultima tessera di un mosaico che affonda le radici nella storia, inserendosi nella tradizione di un collegio che vanta 450 anni e che ha come missione istituzionale la promozione dei giovani, della cultura e del merito». Ma è Alberto Guerrero (violinista, con Prandi instancabile animatore dell’istituzione musicale pavese) che rispondendo alla domanda «Giovani che imitano musicisti di esperienza, vero?» dirige un potente fascio di luce chiarificatrice sul nuovo giovane complesso musicale: «Esatto: un gruppo di giovanissimi cantori e musicisti di grande esperienza si sono incontrati e hanno creduto in un progetto comune, dando ciascuno il meglio di sé per realizzarlo. I più giovani hanno trascinato il gruppo con il loro entusiasmo e la loro forza di volontà; i musicisti più esperti hanno guidato e stimolato i più giovani nella loro rapida maturazione professionale in una “gara” che non si è mai interrotta». Ma di chi si sta parlando? La presentazione è ancora del maestro Prandi: «Il suo celebre allievo Padre Martini lo descrive come meglio non si può. Perti (Giacomo Antonio, ndr) era un musicista tra i più colti della sua generazione, ma al tempo stesso cercava ossessivamente la semplicità. Per tutta la vita, fino a 95 anni, ha rivisto e aggiornato le sue composizioni sotto la spinta dei grandi mutamenti stilistici in corso, incarnando nella sua vicenda personale il passaggio tra due grandi epoche. Nel Kyrie della Messa Lambertina, ad esempio, un coro che declama un contrappunto che riporta a Carissimi convive con un’orchestra perfettamente a suo agio nello stile galante». RUBRICHE E di che cosa si sta parlando? La risposta è a due voci. Guerrero e Prandi dicono: G.: «Una delle cose più interessanti nella realizzazione di un disco (Giacomo Antonio Perti, Musica Sacra, allegato alla rivista, ndr) è il percorso di progettazione e di ricerca che precede l’incisione. Il momento più importante non è forse la pubblicazione, ma la sfida e la tensione verso la qualità, che portano il gruppo a maturare». P.: «Con questo cd abbiamo realizzato uno dei nostri sogni. È un punto di arrivo ma anche un grande punto di partenza. Le idee non ci mancano e il percorso è chiaro. Speriamo che non manchino occasioni per obiettivi sempre più importanti…» (libera citazione da Amadeus, maggio 2010). Sing for Hope - Play me, I’m yours. Una domanda! Canta per la speranza - Suonami, sono tuo: sono due semplicissime frasi la cui “forza interna” però mi ha spinto a farne subito spunto di un breve flash per Mondocoro. Agli angoli della città, nei parchi di New York, i pianoforti sono “musica” per gli occhi oltre che per gli orecchi, con quelle casse che attirano per quel colore verde, blu o nero anziché il consueto bianco in 52 sfumature e nero in 36 varianti. Prima che tutta la città scopra che ha bisogno di ripassare il “Minuetto in Sol” degli artisti volontari, individui e gruppi scolastici, hanno già passato sui pianoforti i loro pennelli colorati. Il gruppo artistico non profit, Sing for Hope, che sta dietro questo progetto Play me, I’m yours scommette che trasformando i pianoforti in qualcosa da vedere oltre che da sentire, renderà l’iniziativa estremamente accattivante. I 60 pianoforti sono tutti perfettamente funzionanti. È vero, sono di legno che durante le piogge si impregna. E quindi cosa succede se piove? 79 Sing for Hope ha un telo di plastica da stendere su ogni pianoforte e un “volontario del pianoforte” incaricato di tenere d’occhio il meteo e fregare il nubifragio che sta per abbattersi, proprio come gli equipaggi allo Yankee Stadium. E nel caso che qualcuno fosse tentato di allontanarsi con un pianoforte, dovrà vedersela con un particolare dispositivo antifurto: un pesante blocco di scorie incatenato alla cassa. Ma prima di tutto Sing for Hope ha dovuto trovare i pianoforti. Molti sono stati donati, anche da case costruttrici minori, operanti anche fin nel lontano Ohio. Un Winter, per esempio, è stato costruito una o due generazioni fa a Brooklyn. Entro il venerdì pomeriggio alcuni pianoforti avevano acquisito un’aria Pollock-iana per la vernice gettata sulle sue casse, altri invece avevano disegni più elaborati. Uno portava su di esso una scultura con uno skyline cittadino fatto di alte costruzioni. Un pianoforte era stato sistemato in modo che il lampione stradale illuminasse bene il leggio (per quei cittadini che non avendola memorizzata si portano appresso la partitura). L’organizzatrice di Sing for Hope, signora Zamora, dice che i cittadini hanno paura di toccare i pianoforti: «Non vogliono mettere in imbarazzo se stessi». Uno degli artisti al lavoro è stata Sophie Matisse. Pianoforti e pittura sembrano funzionare nella sua famiglia. Il suo bisnonno, Henri Matisse, nel 1916 aveva dipinto La lezione di Piano. Certo, lui ha usato colori a olio su tela, mentre quello della pronipote era smalto a base d’acqua su un Kimball. «Amo dipingere oggetti», ha detto la signora Matisse, «e farlo su superfici tridimensionali è una sfida. È tutto affare di angoli e superfici e c’è molto da imparare». Non resta che la domanda importante: il mondo corale potrebbe fare qualcosa di simile in una città italiana? Cosa ne pensate? Vi invitiamo a scrivere i vostri pensieri alla redazione di Mondocoro. 80 Capitali cantanti della cultura europea Essen in Germania, Pécs in Ungheria e Istanbul in Turchia sono le tre Capitali Europee della Cultura per il 2010. È un piacere sottolineare che tutte e tre le capitali in questo anno culturale organizzeranno eventi di canto corale. Sotto il motto “Sing Europa!” in Germania migliaia di cantori si sono incontrati in occasione del “Sing day of song”. In Turchia lo scorso mese di aprile ha avuto luogo il primo Festival dei Cori Universitari Giovanili sponsorizzato dall’Agenzia per Istanbul Capitale Culturale Europea 2010. Nello stesso mese ha avuto luogo il primo Festival di Cori Universitari Giovanili del Bosforo a cui hanno partecipato diversi cori della Turchia e altri provenienti dall’estero. In Ungheria il dr. Lakner Tamàs è direttore artistico di Pécs Cantat, l’iniziativa corale che caratterizza tutte le iniziative culturali realizzate quest’anno nella città. Il festival, che ha coinvolto cori, direttori di coro e compositori locali affiancati da quanti provengono da lontano, ha avuto luogo dal 15 al 22 agosto 2010. Gli organizzatori di Pécs Cantat, d’accordo con Europa Cantat come co-organizzatrice, ha definito l’evento come prima edizione di una serie in cui le future Capitali Culturali d’Europa che vorranno unirsi all’iniziativa sono benvenute. Eventi internazionali: Zimriya, incontro internazionale di cori Fondato nel 1952 da Aharon Zvi Propes, Zimriya è, nel mondo, uno dei primi eventi, se non il primo in assoluto, che vede il raggruppamento e l’incontro fra più cori. Oggi è un evento internazionale triennale che ha luogo a Gerusalemme presso l’Università Ebraica di Monte Scopus (fondata nel 1925). I giorni di Zimriya sono molto intensi di attività. A fatica i partecipanti riescono a godersi la vista mozzafiato di Gerusalemme dal Monte Scopus (unico punto di osservazione da cui è possibile ammirare il Mar Morto e la Cupola della Roccia) perché i laboratori corali hanno luogo sia al mattino sia al pomeriggio e il programma serale è molto intenso. Anno XI n. 33 - settembre-dicembre 2010 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Pier Paolo Scattolin, Bruno Zanolini, Sandro Filippi, Marco Cimagalli, Marco Rossi, Gian Nicola Vessia, Enrico Miaroma, Rossana Paliaga, Pierfranco Semeraro, Annarita Rigo, Sarah Anania, Alvaro Vatri Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Natività (1429), Miniatura del corale D della Cattedrale di S. Stefano, Museo dell’Opera del Duomo, Palazzo Vescovile, Prato. Su gentile concessione della Fototeca Ufficio Beni Culturali, Diocesi di Prato Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Editoriale Un sommario bilancio dell’anno che si chiude registra una serie di spunti incoraggianti. Per fermarci all’ultimo quadrimestre, il festival di Salerno ha dato l’immagine di una coralità viva, capace di mobilitarsi e coinvolgere una città in un grande evento. Una coralità in cui cresce il senso di appartenenza e la capacità di mettere insieme le proprie esperienze, come ha mostrato anche la recente assemblea nazionale di Trento. Un mondo dove cantare non è solo un passatempo, ma un modo di impegnare se stessi per una crescita personale e collettiva, per raggiungere un obiettivo culturale e civile al tempo stesso. Non è solo una crescita organizzativa, quella della coralità italiana: è voglia di imparare, di cercare, di essere protagonisti di un processo culturale che attraverso il coro proponga elementi di innovazione nella cultura italiana. Anche il cd che pubblichiamo, in questo terzo numero dell’anno, è un segno dei fermenti che crescono nella coralità italiana: sono stati 21 i lavoro pervenuti, segno dell’attenzione che la nostra coralità assegna a questo evento editoriale. Il lavoro de I Piccoli Musici di Casazza, scelto per questo numero, è frutto di un’eccellenza che trova pochi eguali in Italia. Ma se i risultati artistici e musicali da loro raggiunti non sono comuni, dietro di loro non c’è il deserto: cresce una coralità di qualità, tant’è che molti erano i lavori degni di pubblicazione, e forse non sarà necessario, il prossimo anno, un altro bando. Il coro è un fenomeno sociale, per sua natura. Non solo il coro è relazione tra le persone che lo compongono, ma è espressione della più ampia collettività (la città, la scuola, l’associazione: magari fosse anche la fabbrica…) di cui è l’espressione. Perché ci sia un buon coro ci deve essere alle spalle una comunità solida. C’è l’uso, in alcune regioni vinicole, di piantare una rosa all’inizio dei filari. È molto bello da vedere, ma non lo si fa per l’estetica: si crede che la rosa s’ammali per prima degli stessi parassiti che colpiscono la vite, così che essa è un preallarme, una specie di lampada del grisù che segnala la patologia prima della sua manifestazione in forma irreversibile. La vigna dell’Italia appare malconcia per molti aspetti. Ma la rosa del coro è sana, e possiamo sperare che la malattia non sia fatale. Sandro Bergamo direttore responsabile n. 33 - settembre-dicembre 2010 n. 33 - settembre-dicembre 2010 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Associazione Cori della Toscana 11 ennaio 20 g 1 3 il o tr n e i n io iscriz ) t P ( e m r e T i n i t a c e t Mon un secolo di canto popolare RENATO DIONISI INTERVISTA (POSTUMA) UNA GRANDE FESTA CORALE! 1º SALERNO FESTIVAL CONCORSO DI AREZZO FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Regione Toscana 6/9 aprile 2011 scuole medie Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme Italiafestival Feniarco 13/16 aprile 2011 scuole superiori www.feniarco.it NATIVITAS A CHRISTMAS FESTIVAL