n. 33 - settembre-dicembre 2010
n. 33 - settembre-dicembre 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Associazione
Cori della
Toscana
11
ennaio 20
g
1
3
il
o
tr
n
e
i
n
io
iscriz
)
t
P
(
e
m
r
e
T
i
n
i
t
a
c
e
t
Mon
un secolo di
canto popolare
RENATO DIONISI
INTERVISTA (POSTUMA)
UNA GRANDE
FESTA CORALE!
1º SALERNO FESTIVAL
CONCORSO DI AREZZO
FRA TRADIZIONE
E MODERNITÀ
Regione Toscana
6/9 aprile 2011
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
Italiafestival
Feniarco
13/16 aprile 2011
scuole superiori
www.feniarco.it
NATIVITAS
A CHRISTMAS FESTIVAL
Anno XI n. 33 - settembre-dicembre 2010
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Pier Paolo Scattolin,
Bruno Zanolini, Sandro Filippi, Marco Cimagalli,
Marco Rossi, Gian Nicola Vessia,
Enrico Miaroma, Rossana Paliaga,
Pierfranco Semeraro, Annarita Rigo,
Sarah Anania, Alvaro Vatri
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: Natività (1429), Miniatura del
corale D della Cattedrale di S. Stefano, Museo
dell’Opera del Duomo, Palazzo Vescovile,
Prato. Su gentile concessione della Fototeca
Ufficio Beni Culturali, Diocesi di Prato
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Poste Italiane SpA – Spedizione in
Abbonamento Postale – DL 353/2003
(conv. In L. 27/02/04 n. 46)
art. 1, comma 1 NE/PN
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Editoriale
Un sommario bilancio dell’anno che si chiude
registra una serie di spunti incoraggianti. Per
fermarci all’ultimo quadrimestre, il festival di Salerno
ha dato l’immagine di una coralità viva, capace di
mobilitarsi e coinvolgere una città in un grande
evento. Una coralità in cui cresce il senso di
appartenenza e la capacità di mettere insieme le
proprie esperienze, come ha mostrato anche la
recente assemblea nazionale di Trento. Un mondo
dove cantare non è solo un passatempo, ma un
modo di impegnare se stessi per una crescita
personale e collettiva, per raggiungere un obiettivo
culturale e civile al tempo stesso. Non è solo una
crescita organizzativa, quella della coralità italiana: è voglia di imparare, di
cercare, di essere protagonisti di un processo culturale che attraverso il coro
proponga elementi di innovazione nella cultura italiana.
Anche il cd che pubblichiamo, in questo terzo numero dell’anno, è un segno dei
fermenti che crescono nella coralità italiana: sono stati 21 i lavoro pervenuti,
segno dell’attenzione che la nostra coralità assegna a questo evento editoriale. Il
lavoro de I Piccoli Musici di Casazza, scelto per questo numero, è frutto di
un’eccellenza che trova pochi eguali in Italia. Ma se i risultati artistici e musicali
da loro raggiunti non sono comuni, dietro di loro non c’è il deserto: cresce una
coralità di qualità, tant’è che molti erano i lavori degni di pubblicazione, e forse
non sarà necessario, il prossimo anno, un altro bando.
Il coro è un fenomeno sociale, per sua natura. Non solo il coro è relazione tra le
persone che lo compongono, ma è espressione della più ampia collettività (la
città, la scuola, l’associazione: magari fosse anche la fabbrica…) di cui è
l’espressione. Perché ci sia un buon coro ci deve essere alle spalle una comunità
solida.
C’è l’uso, in alcune regioni vinicole, di piantare una rosa all’inizio dei filari. È molto
bello da vedere, ma non lo si fa per l’estetica: si crede che la rosa s’ammali per
prima degli stessi parassiti che colpiscono la vite, così che essa è un preallarme,
una specie di lampada del grisù che segnala la patologia prima della sua
manifestazione in forma irreversibile. La vigna dell’Italia appare malconcia per
molti aspetti. Ma la rosa del coro è sana, e possiamo sperare che la malattia non
sia fatale.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
n. 33 - settembre-dicembre 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
La coralità popolare
2
un secolo di canto popolare
Pier Paolo Scattolin
Dossier compositore
Renato Dionisi
16 non state a perder tempo
intervista (postuma) a renato Dionisi
Bruno Zanolini
22 La musica per coro di renato dionisi
Sandro Filippi
42 una grande festa …corale!
Nova et veterA
28 LE TROIS CHANSONS DE CHARLES D’ORLEANS
DI CLAUDE DEBUSSY
Efisio Blanc
Pierfranco Semeraro
49 Un nuovo mattone per la coralità italiana
Assemblea Feniarco a Trento
Sandro Bergamo
51 armonia di voci
festival nazionale
delle minoranze linguistiche
Annarita Rigo
53 IL CANTO CORALE
COME patrimonio culturale DELL’UMANITà
Sandro Bergamo
56 UNA SOLA VOCE PER LA MUSICA CORALE EUROPEA
Reportage dall’Assemblea 2010
di Europa Cantat
Marco Cimagalli
prima edizione di salerno festival
46 LUCI, SIPARIO E VIA
ALPE ADRIA CANTAT 2010
Attività dell’Associazione
Giorgio Morandi
58 access! La musica ai giovani
choraldisC
cronacA
60 ORGOGLIO DELLA TRADIZIONE
32 nativitas
a christmas festival
Mauro Zuccante
E PROGETTUALITÀ MODERNA
Rossana Paliaga
65 pécs cantat
34 CAROLS & CHRISTMAS
Sarah Anania
Marco Rossi e Gian Nicola Vessia
L’Europa dalla prospettiva ungherese
Rossana Paliaga
66 SANTE FORNASIER PREMIATO A CHIAVENNA
canto popolare
36 Giorgio Federico Ghedini
e il coro della SAT di Trento
Enrico Miaroma
Giorgio Morandi
68
Notizie dalle regioni
Rubriche
INDICE
72 Scaffale
74 Mondocoro
portrait
40 due binari ben distinti
Intervista a franco Monego
Rossana Paliaga
un secolo
di canto popolare
canto
di Pier Paolo Scattolin
docente di musica corale
e direzione di coro presso
il conservatorio di bologna
e direttore del coro euridice
di bologna
I. Tipologie corali tra la fine dell’800 e la prima metà del ’900
Tra la fine del XIX secolo e i primi trent’anni del XX secolo esistevano in Italia alcune differenti
tipologie di cori: quella più diffusa era quella “orfeonica”, erede della cultura corale laica nata
dalla rivoluzione francese1. Anche in Italia, come in Europa, la tradizione corale orfeonica era
sostanzialmente innestata nella cultura urbana e borghese ed era ben presente nelle maggiori
città italiane2; il suo repertorio era vario, principalmente legato alle pagine corali dei
melodrammi accanto al quale si inseriva il repertorio popolaresco di carattere polifonico classico
o legato alla canzone dialettale spesso d’autore. Rarissimi invece e poco diffusi sul territorio
italiano erano i cori polifonici interpreti della polifonia sacra e profana, specie rinascimentale;
in genere erano espressione culturale di qualche “Accademia” o “Società musicale”. Esistevano
inoltre cori legati al servizio liturgico nelle chiese, interpreti naturalmente di musiche sacre dal
Rinascimento in poi, protagonisti fra l’altro dell’importante movimento musicale chiamato
ceciliano e attivi non solo nelle cattedrali, ma anche in numerosissime chiese o sedi di
importanti culti religiosi. Nella tradizione corale ottocentesca c’erano anche cori spontanei:
in particolare a Bologna esistevano le “balle canore” che improvvisavano canti e non avevano
maestro; nel loro cantare c’è un modo di cantare a orecchio che sarebbe interessante indagare
per vedere se si tratti di un’eredità dello spontaneismo del canto popolare contadino; per quello
che si sa il repertorio era formato di canti derivati dalle opere liriche e di canti dialettali su cui si
è innestato anche il canto dialettale d’autore. Alla fine degli anni ’50 si aggiunsero i cori
professionali legati ai teatri e agli enti di produzione radiofonica e televisiva. La nascita della
coralità di repertorio popolare, quella che ha originariamente come fonte testi e melodie
provenienti dalla tradizione orale per lo più contadina, si fa coincidere con le esperienze trentine
del coro della SOSAT/SAT; essa avviene su un terreno in parte diverso, come più avanti avremo
modo di vedere, da quelli precedentemente descritti: il denominatore comune rimane l’ambiente
o
dossIER
colto-urbanizzato, in questo caso come l’espressione dell’interesse del ceto
borghese verso una società (quella contadina) destinata a scomparire, vista
quindi come punto di riferimento di alcuni valori etici e religiosi, spesso evocati
con nostalgia, qualche volta con ammiccamento ironico, o come empatia nei
riguardi di un destino ineluttabile come la guerra rivissuta spesso nei suoi
tragici ricordi, o aspirazione al modus vivendi conservativo dei valori della
famiglia, della religione e della patria. Anche se finora nessuna ricerca
musicologica abbia affrontato quest’aspetto e non si possa quindi parlare di
consequenzialità, il nesso tra il Lied e in particolare il Volkslied della tradizione
tardo ottocentesco-romantica,3 proseguita nella prima parte del ’900, e quella
italiana del canto su melodia popolare potrebbe essere qualcosa di più che
un’ipotesi suggestiva, poiché l’approccio ha elementi comuni: l’uso di melodie
popolari, la stroficità della struttura poetica e della forma musicale, l’esecuzione
che richiama un modo di cantare raffinato; l’interesse del Romanticismo
europeo per la letteratura popolare, i canti, le fiabe del popolo fu uno degli
aspetti fondamentali di quell’espressione estetico-filosofica.4
II. Il coro della SAT 5
Nell’anno 1926 nasce il coro della SAT di Trento per iniziativa dei fratelli Enrico,
Mario, Silvio e Aldo Pedrotti che, assieme a un gruppo di amici, inventarono un
nuovo modo di cantare e di interpretare il patrimonio della tradizione e della
cultura popolare: una nuova tipologia di coro destinata ad aprire la strada a uno
dei fenomeni di diffusione e di aggregazione corale più importanti in Italia, il cui
stile musicale fu definito e in parte lo è anche oggi come “coro di montagna”;
il suo repertorio affonda nella tradizione orale per la gran parte proveniente da
quella regione. Diretto per moltissimi anni da Silvio Pedrotti, qualche anno
prima della sua scomparsa la direzione fu assunta dal nipote Mauro Pedrotti,
attuale direttore.
Le caratteristiche erano del tutto differenti dalle tipologie corali
precedentemente viste. Il coro alle origini era formato da poche persone, una
dozzina di elementi maschili, senza preparazione musicale specifica e con una
tecnica vocale lontanissima da quella accademico-lirica, ma dotati di una buona
voce, di ottimo senso dell’intonazione e pregevole gusto nell’emissione; il
repertorio si basava sulla conoscenza di melodie popolari della zona trentina e
all’inizio il coro si basava sulla propria abilità nell’organizzare improvvisando
un’agglomerazione sonora simultanea di tre o al massimo quattro linee. Questo
iniziale spontaneismo vocale era segno e testimonianza della maniera di cantare
usata dalla gente delle valli trentine. I primi componenti della SAT erano grandi
appassionati della montagna ed è facile immaginare perché quel loro modo di
cantare fu definito transitivamente e tout court “canto di montagna”.
Successivamente Luigi Pigarelli, di professione magistrato ma buon musicista,
conservando l’aspetto amatoriale e “dilettantesco” del coro negli anni
successivi, diede compiuta configurazione allo stile del coro e contribuì in
maniera determinante alla grande diffusione e sviluppo di questo tipo di
coralità: nacque così la pratica dell’elaborazione corale (o armonizzazione) su
testi e temi popolari (ma anche di autore) secondo lo stile del primo gruppo di
coristi. La linearità e la semplicità nella stesura delle parti costituì un modello
prassi nella ricerca armonica ed espressiva utilizzato anche successivamente per
esempio dalle elaborazioni di Antonio Pedrotti (altro armonizzatore per il coro
della SAT nei primi anni) in perfetta adesione allo stile pigarelliano. Nel 1935 fu
pubblicata una raccolta che conteneva i primi “canti di montagna” del coro
trentino, cui faranno presto seguito le incisioni discografiche; dopo la crisi della
seconda guerra mondiale nell’immediato dopoguerra ripartirono anche le
iniziative culturali come quelle in particolare dedicate al fare attività insieme,
nello sviluppare l’idea del gruppo e in particolare quello musicale: specie
3
Note
1. La parola orfeonismo, con la quale
si intende la cultura e il movimento
corale orfeonica, deriva dal termine
francese Orphéon, che denominò
nell’Ottocento un movimento
culturale modellato sull’idea
filosofica secondo la quale la musica
possiede capacità morali e
pedagogiche (il mito di Orfeo ed
Euridice) e che lo studio musicale
allargato a tutti gli uomini, anche
quelli degli strati sociali più umili,
apporti un miglioramento e un
sollievo spirituale.
2. Vedi il capitolo “Origine e nascita
dell’organizzazione corale bolognese
nella seconda metà dell’Ottocento. La
Società Corale «Orfeonica»” in Pier
Paolo Scattolin, “Euridice”, Cento anni
di coralità a Bologna, Bologna
Tamari, 1982.
3. Un punto di contatto con il
repertorio liederistico del Volkslied
potrebbe intravvedersi per esempio
nella tarda produzione liederistica
(Zwölf walisische Lieder-1901) di Max
Bruch (1838-1920) e di Hugo Wolf
(1860-1903) Spanisches Liederbuch
(1891) e Italienisches Liederbuch
(1892, 1896).
4. Nel repertorio liederistico il mondo
del contadino o popolare è visto più
spesso come un modo per esprimere
i propri sentimenti come l’amore e la
natura appare autoreferenziale: per
esempio il bosco è un luogo dove
trovare pace e meditare piuttosto che
un luogo dove possono svolgersi
storie di incontri fra persone o fra
persone e animali.
5. Dalla documentazione disponibile
si evince che la denominazione
ufficiale originaria di “Coro della
S.O.S.A.T.” fu mantenuta dal 1926
fino ai primi anni Trenta, quando la
S.O.S.A.T. fu sciolta. Da allora
assunse la denominazione attuale di
Coro della S.A.T. e divenne sezione
della S.A.T. (Società Alpinisti
Tridentini) nel 1967. È intercorsa nel
rapporto fra il ricostituito coro SOSAT
e il coro SAT una complicata e
delicata querelle
giuridico-amministrativa.
6. Giorgio Vacchi, Scritti ed
elaborazioni per coro, a cura di Pier
Paolo Scattolin e Silvia Vacchi, in
Quaderni della rivista “Farcoro”, n. 8,
Aerco, Bologna, 2007, p. 78.
7. Si tratta di un intervento fatto
durante il Seminario di studi “Esempi
di catalogazione musicale”, svoltosi a
Bologna il 28.10.2000. È pubblicato in
Farcoro, 2003, 2-3, p. 30. «Con un
gruppo di persone abbiamo tentato
4
nell’area di estrazione cattolica si scopre la
“montagna” e il “canto di montagna”, e i
giovani si saldano con facilità a ripercorrere i
contenuti “morali” legati alla natura, alla
semplicità della vita, alla solidarietà fra le
persone in opposizione alle macerie sociali
create dalla guerra.
Il successo del “canto di montagna” e del
coro della SAT fu enorme soprattutto nel
Nord e Centro Italia: i gruppi formati
esclusivamente da uomini, anche perché nel
costume sociale del momento per la donna
era quasi impensabile uscire di casa la sera,
diversamente dall’uomo, per dedicarsi a un
hobby, nascono numerosi e rapidamente,
quasi tutti hanno al massimo trenta elementi,
qualche volta anche meno (per esempio il
Sestetto Penna Nera di Roma degli anni Cinquanta). La
ragione del successo stava nella scoperta di un nuovo modo
di “far musica” e della sua relativa facilità: non occorreva
conoscere la scrittura musicale perché si cantava a orecchio e
bastavano poche persone di buona volontà; occorreva è vero
una persona che avesse un po’ di dimestichezza con la
notazione e che insegnasse le “parti” cantandole più volte,
finché tutti le avessero imparate, ma per la realizzazione
espressiva della musica, l’interpretazione cioè, si ricorreva
all’imitazione del modello con la maggiore fedeltà possibile:
per questo le prime edizioni discografiche della SAT furono un
imprescindibile punto di riferimento. La fonte dell’elaborazione
proviene dai canti popolari trentini di tradizione orale, anche
se abbondano esempi provenienti da altre regioni e canti
d’autore. Alcuni musicisti che hanno composto le elaborazioni
corali hanno fatto la storia dello stile espressivo della SAT:
oltre ai citati Pigarelli e Antonio Pedrotti, fondamentali per
l’evoluzione del linguaggio del coro trentino sono stati Arturo
Benedetti Michelangeli e Renato Dionisi, i quali allontanandosi
dal modello pigarelliano portarono un modo assai innovativo
sia armonico che espressivo. Oltre a questi “storici”
armonizzatori anche altri hanno partecipato all’evoluzione
dello stile sattiano: Teo Usuelli, Bruno Bettinelli, Andrea
Mascagni e Mauro Zuccante hanno collaborato in maniera
determinante ad arricchire e differenziare il repertorio di un
coro che ha scritto una delle pagine più importanti della
tradizione corale italiana.
III. Gli studi demologici ed etnomusicologici
Nella seconda metà dell’800 fino alla prima metà del ’900 in
Italia lo studio del folklore era affidato ai risultati provenienti
dalla demologia e successivamente dalla etnomusicologia, la
cui ortodossia ha sempre considerato con diffidenza il
rapporto della coralità con la musica popolare, poiché la
dimensione elaborativa era ritenuta una vera e propria
distorsione “spettacolare” e un’appropriazione indebita del
musicista colto nei confronti della musica popolare. Del resto
l’approccio alla musica popolare in Italia da parte dei
musicisti compositori, tranne poche eccezioni, spesso
avveniva senza uno studio diretto delle fonti diversamente da
quanto successe in altre nazioni europee, come per esempio
in Ungheria, dove lo studio della musica popolare, presente
anche negli studi musicali accademici, ebbe per studiosi e
interpreti Béla Bartók e Zoltán Kodály; in questo caso la
spinta da parte di musicisti a studiare la musica popolare
nasceva da un’istanza nazionalistica, come ricerca di
un’autenticità di radici culturali intesa come riscatto
autonomistico dal dominio dell’impero asburgico. Nella
seconda metà del Novecento in Italia l’etnomusicologia
acquisì un peso culturale e scientifico sempre più importante
con alcuni ricercatori come Ernesto De Martino, Diego
Carpitella, Alan Lomax, e Roberto Leydi: quest’ultimo credette
di intravvedere nella Nuova Compagnia di Canto Popolare e
nel movimento chiamato Folk-Revival una maniera di
riproporre il canto popolare rispettandone l’originalità. In tale
prospettiva in Italia si sono attivati molti gruppi di canzonieri,
gruppi musicali vocali e strumentali. Non mancarono
espressioni di perplessità sul quel tipo di recupero del canto
popolare: pur giudicando fondamentali le tesi e i contributi
della ricerca musicologica, Giorgio Vacchi esprime alcune
riserve: «… il Folk-Revival, un movimento che aveva cercato di
avvicinare al pubblico delle sale da concerto i soggetti stessi
della cultura popolare (o altri che li imitassero alla
perfezione): ma ci si accorse presto che l’atmosfera, che
permeava i luoghi in cui questi soggetti (per lo più contadini)
normalmente si esibivano (la stalla, l’aia, l’osteria), non era
possibile “esportarla” in un teatro o in una sala da concerto.
Quasi tutto, dell’originale atmosfera, scompariva: aleggiava, al
suo posto, il gelo che contraddistingue l’incomunicabilità».6
Anche Paolo Bon non è favorevole a quel tipo di recupero e
chiarifica sinteticamente il suo pensiero, concettualmente
basato su una visione antropologica della cultura popolare
così obiettando: «nelle fonti orali si manifesta l’arcaico e non
la lotta di classe, e l’arcaico è insieme ontogenesi e
filogenesi; che l’arcaico evolve coi ritmi scanditi dalle ere (non
già dagli evi storici), per cui gli esiti orali che noi oggi
dossIER
raccogliamo altro non sono che la
sedimentazione attuale di espressioni
che accompagnano l’umanità fin dal
suo affacciarsi sulla soglia del pianeta
e anzi lo precedono; che in quanto
arcaici quegli esiti stanno sullo stesso
piano dei canti gregoriani, con la sola
differenza che questi ultimi si sono
fissati in documenti e cristallizzati
nella funzione liturgica, mentre gli
altri continuano a evolvere secondo
l’antico aforisma panta rèi
[espressione della filosofia greca che
significa “tutto scorre”, ndr]».
Un particolare aspetto del rapporto
fra l’origine del canto popolare e la
sua esecuzione è espresso dal “canto
spontaneo” che ha trovato in Italia
alcuni cultori e in particolare va citata
la ricerca svolta in Piemonte nel
territorio canavese da Amerigo
Vigliermo, direttore del
coro di Bajo Dora e
presidente del Centro
Etnologico Canavesano.
Nella sua visione musicale
fa posto la problematica
dell’elaborazione e
contiguamente anche quella del
cosiddetto “canto spontaneo” (che in
parte sintetizza la sua esperienza e il
suo concetto di musica corale) come
modo di “fare” canto popolare.7
Oggi il rapporto fra la musicologia e
la coralità sta fortunatamente
mutando e si cominciano a vedere
sotto un’altra luce le potenzialità
sinergiche fra il risultato scientifico
dell’etnomusicologia e l’attività
compositiva sviluppatasi nella coralità
riguardante l’elaborazione della
melodia popolare.
Interessante sul modo di vedere il
rapporto tra il colto e il canto
popolare anche un’affermazione di
Pietro Sassu: «Il rapporto tra il
popolare e il colto ha però assunto
un valore ed esiti diversi con
l’affermarsi di uno specifico campo di
studi sulla musica etnica che coincide
con l’invenzione di apparecchiature
per “catturare” e riprodurre il suono.
Sono nate così esigenze nuove e
bisogni conoscitivi meno generici
perché si iniziò a tener conto come un
tratto stilistico tipico anche la
specificità sonora, timbrica,
dell’emissione vocale».8
In Abruzzo Mario Santucci, in Sicilia
Mario Sarica e in Emilia Paolo Borghi
sono ricercatori che hanno un
atteggiamento di interesse verso la
creatività stimolata dal canto
popolare non isolando la ricerca
etnomusicologica in una chiusa teca
scientifica ma comprendendo la
diversa strada intrapresa dalla
coralità. Sicuramente è necessario,
come avremo modo di vedere più
avanti, da parte del compositore e
dell’esecutore una compartecipazione
approfondita e uno studio che entra
nei dettagli del melos oggetto della
“nuova” composizione: si intravvede
cioè nella melodia popolare un albero
che può dare frutti interessanti
Nelle fonti orali
si manifesta l’arcaico.
purché nascano da quella linfa,
lasciando che sia il materiale originale
a riprodursi, a mutare in qualcosa
d’altro, ben consapevoli che il
“nuovo” non appartiene direttamente
alla cultura del “seme”, bensì
rappresenti una possibilità diversa di
sviluppo artistico e di fruizione del
pubblico. In Molise è da segnalare
l’attività di Vincenzo Lombardi,
direttore di coro e direttore della
Biblioteca provinciale P. Albino di
Campobasso, in cui il progetto
“Biblioteca virtuale” produce materiali
e fonti riguardanti il canto popolare
molisano anche delle minoranze
etcnico-linguistiche.
IV. Le influenze del modello
del coro SAT
A partire dalla metà del ’900 il
repertorio del canto popolare ebbe un
rigoglioso sviluppo nella coralità
italiana, dopo gli esordi e grazie alla
crescente affermazione del coro della
SAT; sul modello del coro trentino
nacquero e si svilupparono un po’
5
una certa esperienza che, magari in
modo un po’ provocatorio, vorrei
proporre anche a voi. Ecco, proviamo
a fare un esperimento prendendo dal
passato la metodologia. Troviamoci in
gruppo, sei-sette persone per
esempio, scegliamo una melodia e il
testo relativi, le uniche cose che
servono per incominciare, le armonie
o meglio le polivocalità le mettiamo
in consonanza, ognuno secondo la
propria sensibilità ed esperienza
maturate in tanti anni di militanza
canora, e registriamo il risultato.
Questo è canto spontaneo, è anche
canto popolare? In senso assoluto
non lo è, ma forse lo è se viene
rapportato con la realtà attuale della
nostra vita. Forse le vostre
perplessità derivano da certe prese di
posizione di personaggi importanti
del mondo culturale ufficiale.
Secondo me c’è stato un equivoco,
mai chiarito, perche le due parti non
si sono mai seriamente incontrate,
legato al fatto, che i Cori Alpini
“rovinavano” i canti con delle
elaborazioni assurde. Però questi
signori non proponevano nulla se non
andare a fare il “verso” ai cantori
tradizionali. Francamente questa è
una cosa ridicola, per usare un
eufemismo, allora tanto vale seguire
modelli colti». Nel modo di
raccogliere la documentazione
sonora, oltre alla registrazione audio
degli informatori, era effettuata in un
secondo tempo anche quella video.
Egli assieme ai suoi cantori imparava
ed eseguiva i canti direttamente dagli
informatori, si può dire casa per casa,
diffondendone armonizzazioni assai
semplici, in varie occasioni, fra cui le
cerimonie nuziali e i funerali [n.d.r.].
8. Vedi la sua introduzione al libro di
Antonio Sanna “Su Concordu
Turritanu”, Canti popolari della
Sardegna, G.C. Ricci editore, Firenze,
1999, p. V. Interessante anche un
altro passo: «Siamo convinti della
piena e autonoma efficacia dei canti
popolari sardi nella loro veste
originaria (anche perché sembrano
essere ancora oggi pienamente vitali),
ma essi non sono oggetti intoccabili.»
9. I cori romagnoli che in genere
hanno la denominazione di “canterini
romagnoli” si collocano
nell’espressione corale di retaggio
orfeonico, di cui ereditano anche le
strutture sociali, e sono una delle
prime espressioni di canto popolare
della regione.
10. Tradizione popolare assai diffusa
in Italia legata ai rituali del ciclo del
calendario come le Pasquelle, le
6
dovunque cori per i quali rimase nel tempo la scelta musicale
definitiva. I cori cresciuti nell’alveo del modello sattiano
ebbero una grande diffusione soprattutto nel Nord Italia e
anche nel Centro come nel caso del coro abruzzese La Portella
de L’Aquila diretto da Vincenzo Vivio. Ovviamente l’area
dell’arco alpino dalla Liguria alla Venezia Giulia è quella dove
maggiore è la concentrazione di questa esperienza corale che
è penetrata e radicata fortissimamente nel tessuto sociale.
Attualmente si stanno evidenziando alcune novità per esempio
nell’organico, in quanto molti cori hanno inserito le sezioni
femminili e in alcuni casi hanno formando organici anche
esclusivamente femminili. Ciò in parte ha apportato positivi
arricchimenti al repertorio e anche nell’emissione vocale. Non
dimentichiamoci che una grande parte della trasmissione orale
del canto popolare avviene grazie alle testimonianze femminili
cui si lega sia l’emissione che l’espressività del rapporto
testo-melodia. Del resto l’ingresso della voce femminile nella
compagine corale può essere positivamente fonte di
inserimento di voci nuove e giovanili e quindi di quel
ringiovanimento complessivo del gruppo, che appare una delle
necessità più evidenti nel proseguimento artistico per una
larga parte dei cori che si muovono in questa tipologia corale.
In Val d’Aosta negli anni ’50 la Corale C.C.S. Cogne Aosta (nata
come Cral Cogne) è il primo gruppo corale fondato in Valle,
nato dall’iniziativa del friulano Gigi Aita. Nel 1958 nasce il coro
ANA Penne Nere di Saint Vincent. Negli anni ’60 la diffusione
del modello è in costante ascesa; ecco alcuni esempi: in Alto
Adige per esempio nasce nel 1967 per iniziativa di Sergio
Maccagnan il Coro Monti Pallidi (nome con cui le genti ladine
chiamano le Dolomiti) di Laives su quella tipologia. In
Lombardia si è anche assistito nell’evoluzione della vita
artistica di un coro al completo cambiamento nel repertorio
come è avvenuto per il Gruppo Corale ICAT di Treviglio (Bg),
costituito nel 1967 come coro maschile e affermatosi
brillantemente per il modo di eseguire canti tradizionali e
popolari. Nel 1985 si è trasformato in coro polifonico a voci
miste con un ampio repertorio che spazia dal canto gregoriano
ai più arditi brani di musica contemporanea. Dal 1997 è diretto
da Gian Luca Sanna. In Liguria Armando Corso con il coro
Monte Cauriol di Genova, pur ripercorrendo le strade della
SAT, ha saputo dare una veste armonizzativa semplice ma
assai efficace al repertorio. Diffusosi ampiamente anche in
Emilia-Romagna, il modello trentino ha trovato seguito in
alcuni importanti gruppi come il Coro CAI di Bologna fondato
da Mauro Camisa nel 1955 e attualmente diretto da Umberto
Bellagamba, il coro Cai Mariotti di Parma, diretto dal 1980 da
Gianbernardo Ugolotti. Si può sicuramente affermare che una
grande parte dell’Italia corale si è positivamente formata e
sviluppata su questo modello, che ha anche il merito, almeno
in parte, di aver costruito una sensibilità al cantare in coro con
un entusiasmo e una determinazione che raramente in quello
stesso periodo è riscontrabile nel professionismo e nei cori
“polifonici”, spesso impaniati in moduli espressivi paludati e
poco comunicativi, poco attraenti per chi, musicalmente non
esperto, aveva desiderio di fare musica attraverso il coro.
Certo il diffondersi imitativo dello stile “coro di montagna” ha
prodotto in qualche misura una sorta di manierismo, di
estetica del suono con qualche distacco dal contenuto e
attenta più spesso all’effetto che a veicolare l’espressione
testuale.
V. Il canto d’autore e i cori folkloristici
In Italia l’aggettivo folkloristico oggi è applicato a sostantivi
come coro, repertorio, spettacolo e si riferisce al mondo
popolare-contadino e rientra sociologicamente fra gli aspetti
che coinvolgono le tradizioni popolari come il cibo, il modo di
vestire, la poesia e quindi la musica cantata e per ballo,
contrapposto all’aggettivo urbano, accademico o classico.
In maniera più specifica, applicato alla musica, assume il
significato di una tradizione che ha come punto di riferimento
sempre la musica popolare legata per lo più ad avvenimenti
sociali, feste religiose o riti contadini stagionali, ma che può
diventare oggetto di composizioni poetiche e musicali dialettali
e di autore. Spesso il confine fra la elaborazione e l’invenzione
ex-novo non è sempre distinguibile come nel repertorio della
canta romagnola9: il repertorio dei Canterini romagnoli è
costituito per lo più dalle composizioni di Francesco Balilla
Pratella, Cesare Martuzzi (che musicò molte “cante” del poeta
Aldo Spallicci, i cui testi sono poesie in dialetto romagnolo) ed
Enzo Masetti; in queste composizioni l’inventiva del
compositore si innesta in maniera conseguente e spontanea
da non essere sempre definibile e distinguibile la melodia
popolare originale dalla ricostruzione compositiva e anche
l’invenzione. In alcune opere Pratella cita la fonte: in genere in
queste “cante” convivono melodie desunte da informatori
assieme ad altre abilmente inventate sullo stile popolare.
In ogni regione appaiono simili esempi. In Abruzzo attorno ai
cicli religiosi e stagionali come quello della maggiolata10 si
raccoglie un ricchissimo repertorio d’autore. Una grande parte
dell’attività di alcuni cori come l’Associazione corale Teramana
Giuseppe Verdi di Teramo, attualmente diretto da Carmine
dossIER
Leonzi, si riallaccia a questa tradizione e più in generale alla tradizione popolare
accanto alla quale confluiscono in maniera preponderante i canti d’autore.11
Ennio Vetuschi, fondatore nel 1948 e direttore fino al 2006 di questo importante
coro, ha scritto numerosissime composizioni e rielaborazioni corali. Non fa
eccezione il conosciutissimo brano Vola, vola, vola che ancora normalmente
passa come il canto popolare abruzzese più caratteristico: in realtà il testo è
stato scritto da Luigi Dommarco e la musica da Guido Albanese. Si tratta quindi
di una composizione vera e propria che appartiene a quel repertorio che ebbe
nella canzone napoletana e nell’opera di Francesco Paolo Tosti elementi
emergenti come spesso è ancora inteso il canto popolare/folkloristico. In
Sardegna la tradizione vocale dei tenores è proseguita dai cori chiamati appunto
folkloristici che ne traspongono in chiave corale i principali aspetti della tecnica
solistica dell’originale quartetto. Il Coro Polifonico Turritano, fondato nel 1959 da
Antonio Sanna, che l’ha guidato per 37 anni, ha dato un contributo assai
importante alla diffusione della musica corale polifonica e in particolare anche
di quella popolare.12 La rilettura di Sanna13 appartiene per certi aspetti proprio in
fascia di
trasposizione. Nel
filone della
tradizione della
canzone dialettale
a Bologna c’è da
segnalare i nomi
di Carlo Musi,
Dino Sarti, Quinto
Ferrari, Adriano
Ungarelli. Esistono in Italia anche concorsi per composizioni originali in dialetto
come quello che si svolge in Calabria legato ai canti natalizi in vernacolo
calabrese.14
Il confine tra elaborazione
e invenzione non è sempre
distinguibile.
VI. Gli sviluppi della coralità popolare
Dalla fine degli anni Sessanta una parte della coralità italiana iniziò un percorso
diverso rispetto alla tradizione della coralità popolare sul modello del “coro di
montagna”. La koiné espressiva e tecnica insita in quel modello si frammentò in
varie nuove esperienze e diede origine alla ricerca stilistica e di repertorio che
alcuni cori italiani intrapresero con motivazioni e risultati assai diversi e la storia
dei cori popolari spesso si è identificata con l’attività creativa dei loro direttori;
negli anni fra il ’50 e il ’60 fu un pullulare di interessantissime esperienze. La
pluralità di stili e di repertori che derivarono dalle esperienze dei cori nati
successivamente alla SAT o che si distaccarono gradualmente dal modello o
iniziarono subito un altro percorso musicale è uno dei patrimoni musicali più
significativi della cultura corale italiana del ’900, che trova rarissime
corrispondenze in Europa. Fu sviluppata da alcuni di questi cori anche una
pregevole tecnica vocale e interessante espressività: ciò costituì un arricchimento
e anche un esempio estetico che non ebbe in quel momento un corrispettivo
nella polifonia classica, nonostante alcune rare eccezioni. Ma il “laboratorio”
corale che germinò il repertorio “popolare” produsse risultati qualitativamente e
quantitativamente molto alti e fu un modo di far cantare tutti, anche le persone
più sprovvedute tecnicamente e musicalmente non alfabetizzate, riducendo in
qualche maniera quella distanza rispetto ai cori europei dovuta alla diversa
preparazione dei singoli cantori che spesso, visto la latitanza in Italia di un
percorso scolastico adeguato nel campo della pedagogia musicale, hanno
trovato in quella coralità un supporto aggregativo e sociale per fare musica.
In Piemonte importante è stata l’attività del coro Valchiusella: Bernardino
Streito, fondò a Vico il Piccolo Coro San Giovanni Battista, il gruppo musicale
7
Befanate etc.; sulla attuale situazione
della ricerca in Abruzzo vedi
l’articolo: Angela Troilo, L’abruzzo: un
territorio da dissodare, in Choraliter,
n. 13, 2004, p. 14.
11. Fra questi citiamo Pasquale
Colangelo, il francescano P. Settimio
Zimarino, Pietro Antonio Di Jorio (al
riguardo vedi il saggio di Concezio
Leonzi, Aspetti della vita e dell’arte
del musicista Antonio Di Jorio, “In
coro”, Ass.ne Corale “G. Verdi”,
Storia, cultura e profili dal 1948 al
1998, Teramo, 1998, pp. 71-80 e nella
raccolta annuale della XLI
Settembrata Abruzzese 1998,
Pescara, 1998, pp. 22-26).
12. Dal 1996 la direzione artistica è
affidata a Luca Sannai e dal 2003
Luca Sirigu si aggiunge come
maestro collaboratore.
13. Nell’introduzione alle sue
Composizioni per coro misto, Porto
Torres, 2000, Sanna afferma che
«Questi brani non sono “folclore
sardo”, tanto meno il tentativo di
migliorarlo, ma libere interpretazioni
di testi, melodie e ritmi che hanno la
loro origine nel canto popolare, ma
ne trascendono».
14. Uno dei brani usciti dal concorso
è Dormi, dormi Bambineju di Romolo
Calandruccio eseguito dal Coro
polifonico Musica Nova di Vibo
Valentia.
15. Una parte preponderante della
sua speculazione musicologica è
rintracciabile ne La teoria evolutiva
del Diatonismo e le sue applicazioni,
Giardini, Pisa 1995.
16. È autore del libro Le voci di
Cristallo, Nuovi Sentieri, Belluno,
1987, che ricostruisce la coralità
italiana di quegli anni.
17. I principi musicali si ritrovano
principalmente nel libro chiamato
Favola antica, Canti della Nuova
Creatività Popolare 1967/1989, Coop.
editoriale “Nuova Brianza” Renate,
Mariano Comense, 1989. Fra le sue
composizioni ricordiamo Strega 2000,
Sieropositiva, Morta di legge, Figli
dei fiori, etc., titoli significativi di
contenuti tematici moderni, testi di
cui Marelli è anche l’autore assieme
alla musica composta per coro
maschile.
18. La redazione fu spostata a
Bologna dove continuò dal 1977 fino
al 1986.
19. Angelo Agazzani (a cura di), Canti
popolari del vecchio Piemonte, Torino
1975.
20. In particolare vedi di questo
compositore La belle se siet au pied
de la tour, argomento approfondito
8
da Michele Napolitano, nella tesi di laurea
(Dams, Bologna) dal titolo Le chansons
polifoniche di Francis Poulenc.
21. Vedi di Italo Montiglio, La cultura musicale
popolare nella regione Friuli Venezia Giulia: il
panorama complesso e contraddittorio della
situazione attuale con particolare riferimento
alla musica popolare vocale e corale (relazione
svolta a Klagenfurt nell’ambito del simposio
internazionale sui rapporti fra musica popolare,
conoscenza/coscienza e commercio), Home Page
Seghizzi, 1999.
22. La Brigata Corale Tre Laghi fu diretta da
Guernelli fino alla sua prematura scomparsa nel
1995. Emanuele Mazzola ha guidato il coro fino
al 2006. Attualmente è diretto da Giovanni
Pavesi.
23. Terenzio Zardini, La terra, la gente, le
tradizioni, Raccolta di canti popolari mantovani,
Gruppo editoriale Eridania, Mantova 1995, con
un’introduzione di Giancarlo Gozzi.
24. Cito solo a mo’ di esempio il coro Studium
Canticum di Cagliari diretto da Stefania Pineider
e il coro Euridice di Bologna.
25. Giacomo Monica ne è il direttore ed è anche
l’elaboratore di un repertorio frutto del suo
lavoro di ricerca iniziato negli anni ’70 di canti
ora editi e raccolti nel libro Canti dall’Appennino
parmense.
26. Direttore di coro e ricercatore; fra i suoi
lavori in particolare segnaliamo Canti della
tradizione orale armonizzati o elaborati per
coro, a cura di Paolo Bon, Alessandro Buggiani
e Claudio Malcapi, in Voci & tradizione, Toscana,
Feniarco, 2008.
27. Natale Femia direttore del coro Polifonico
Diocesano Laetare di Locri (Rc) segnala alcuni
progressi recentemente fatti nella ricerca in
Calabria in: Una ricerca sul campo. I canti
religiosi della diocesi Locri-Gerace, in Choraliter,
n. 13, 2004, pp.13-14. Nell’articolo si dà notizia
della ricerca sviluppata insieme al prof. Michele
Furfaro sui canti tradizionali in vernacolo
calabrese della Diocesi di Locri-Gerace, raccolto
nel libro Benidittu lu Signuri pubblicato nel
gennaio 2000, dove sono raccolti trascritti oltre
750 canti registrati dalla viva voce delle anziane
donne nelle varie parrocchie e nei Santuari
diocesani durante le feste, le novene e le veglie
di preghiera.
28. Roberto Frisano (a cura di), Voci & tradizione,
Friuli Venezia Giulia, Feniarco, 2009. Si segnala
quest’anno una manifestazione della Feniarco
svoltasi in varie regioni italiane con gruppi che
eseguono musica popolare intitolata “Armonia
di voci, Festival nazionale delle minoranze
linguistiche”.
29. In campo etnomusicologico è fondamentale
il suo lavoro su Le tradizioni popolari degli
sloveni in Italia, recentemente ristampato. La
ricerca di melos arcaici provenienti dalla
tradizione popolare della sua terra d’origine
(Slovenia, Friuli e Venezia Giulia) si è riversata
su larga parte della propria produzione
compositiva con numerose elaborazioni per coro
a voci miste e per coro di voci bianche.
che si trasformò prima nella Corale
Valchiusella e poi definitivamente nel
1967 in Corale Polifonica, uno tra i
primi cori misti “a cappella” di
formazione cameristica in Piemonte.
Al coro Coro Tre Pini di Padova
fondato nel 1958 e guidato da Gianni
Malatesta si deve un importante
contributo verso nuovi traguardi
musicali, riconoscibili nello stile
elaborativo del proprio maestro e nel
raggiungimento di un altissimo livello
nella qualità della tecnica e dello stile
vocale. Un diverso atteggiamento sul
significato del canto popolare, che si
esprime con un’interpretazione
popolare diventa un’allusione e si
carica anche di significati di carattere
ecologico, un nostalgico rivolgersi al
passato per ricercare la bellezza e
l’originalità della natura; alcune volte
la sua narrazione sconfina
nell’immaginifico mondo del fiabesco.
Il confine della sua ispirazione si
sposta verso più completa libertà
della composizione. Parallelamente il
coro sviluppa uno stile vocale ancora
più teso verso la ricerca sonora e gli
effetti musicali di carattere
strumentale. Importante nello
sviluppo della coralità e del
repertorio dell’elaborazione è stata
l’attività un
altro
importante
coro: il Coro
Incas,
fondato e
diretto da
Mino
Bordignon,
recentemente scomparso, ha lasciato
un ricchissimo patrimonio di
elaborazioni di canti popolari,
originali per la scrittura
armonizzativa e dense per l’inventiva
e l’espressività. Nella storia della
coralità popolare un posto
significativo spetta a Giancarlo
Bregani16 scmparso nel 1987 direttore
del coro Cortina; fu il promotore a
Cortina d’Ampezzo di due
importantissimi Simposi della Coralità
Amatoriale d’ispirazione popolare e
sui complessi corali (1970 e 1972).
Questi convegni oltre a mostrare
quanto gli anni ’70 fossero ricchi di
fermento per la coralità italiana,
individuarono motivazioni e obiettivi
che oggi appaiono molto lungimiranti
nel delineare il senso
dell’associazionismo regionale e
quello più ampio e complesso di una
istituenda federazione nazionale.
Quel “manifesto” fu una pietra
miliare e i suoi contenuti ebbero il
senso quasi di una “costituzione”
corale.
In particolare rimarchevole fu il
fissare fra gli obiettivi quello della
ricerca e della pari dignità delle
La koiné insita in quel
modello si frammentò
in nuove esperienze.
antropologica di quel patrimonio e di
conseguenza dei mezzi espressivi
dell’elaborazione, si evidenzia con
l’opera teorica e musicale di Paolo
Bon; compositore, musicologo15,
ricercatore e coordinatore del Gruppo
Nuovocorale Montecesen di
Valdobbiadene (Tv) dal 1964 al 1980
egli fu ideatore e promotore del
movimento corale da lui chiamato
“Nuova Coralità”. Con Paolo Bon
entra nel dibattito attorno al canto
popolare una nuova tesi. Il suo
concetto espresso nella Nuova
Coralità vede l’elaborazione delle
melodie popolari come una
propaggine acquisita dalla musica
antica e come processi di
trasmissione orale che nascono da
archetipi.
Negli sviluppi corali innovativi hanno
un posto particolare il coro I Crodaioli
di Arzignano (Vi) e il suo direttorecompositore Bepi De Marzi. In realtà
l’opera di De Marzi andrebbe vista
più come rigenerazione di materiali
che trovano nella fantasia del
compositore che elude il dato
strettamente legato a una
preesistente melodia: il canto
dossIER
forme corali e soprattutto del rispetto verso tutti coloro che si dedicano al “far
coro”. L’anno successivo al primo Simposio nasceva la prima Associazione
Regionale in Italia (A.E.R.C.I.P.) che faceva esplicito riferimento ai cori di
ispirazione popolare e fu ritenuto un passaggio obbligato perché la coralità
amatoriale potesse crescere. Interessante è anche l’esperienza del Coro
Marianese di Mariano Comense diretto da Mario Marelli, assertore di una
coralità dell’uomo inurbato, appartenente alla borghesia definita come “Nuova
creatività corale popolare”. Marelli fondò il Coro nel 1953 col quale, oltre ai
tradizionali canti popolari di origine popolare della tradizione alpina, produsse
un nuovo repertorio da lui stesso definito “I canti dell’Utopia” che si ispirano a
una forma di pensiero sulla composizione corale popolare.17
Fu animatore e coordinatore del Convegno svoltosi a Mariano Comense
nell’ottobre del 1989 che ebbe per tema il “Ruolo, collocazione, prospettive e
problemi della Nuova creatività corale popolare”. Con lui ebbe inizio la
pubblicazione di Coro, la prima rivista nazionale sulla coralità.18 Al rinnovamento
del repertorio seguendo dei risultati della ricerca etnomusicologica contribuì in
maniera determinante la Camerata corale La Grangia di Torino diretta da Angelo
Agazzani.19 Interessante in particolare lo studio e la riscoperta del repertorio
della ballata piemontese-provenzale trascritte dal Nigra; c’è da osservare che
l’elaborazione di testi provenzali apprezzato da molti cori e compositori (per
esempio Paolo Bon con il brano Le roi Renaud, Gianni Malatesta con Le plaisir
sont doux, Arturo Benedetti Michelangeli con La blonde) prosegue il filone
compositivo che vede alcuni compositori francesi come Claude Debussy,
Maurice Ravel e Francis Poulenc20 riallacciarsi alla tradizione della chanson
polifonica francese. In Friuli importante e assai diffusa è la ricerca sul canto
popolare; fra molti contributi interessante è stato quello del coro Peresson di
Piano d’Arta Terme (Ud).21
Nell’ambito dei cori e dei direttori che in varie maniere hanno apportato
contributi nella ricerca e nell’esecuzione di un nuovo repertorio vanno ricordati il
coro Soldanella di Adria, il cui direttore Romano Beltramini è attivo anche come
ricercatore, la Brigata corale Tre Laghi di Mantova22, fondata nel 1971 dallo
scomparso Luigi Guernelli che si è avvalso della collaborazione per le
elaborazioni di padre Terenzio Zardini23, il coro El Castel di Sanguinetto (Verona),
a cui ha collaborato come ricercatore Dino Coltro anche lui recentemente
scomparso, il coro Sette Laghi di Varese attualmente diretto da Lino Conti che si
avvale della preziosa collaborazione del maestro Angelo Mazza del quale ha
eseguito ed esegue tuttora numerose composizioni e armonizzazioni. Nel
Veneto il Val Canzoi Bepi Cocco è un coro maschile fondato a Castelfranco
Veneto nel 1965 dal nome di uno dei cantori fondatori, prematuramente
scomparso nel 1969, e si occupa, sin dalla sua fondazione, della ricerca e della
valorizzazione del canto popolare. Diretto da Angelo Tieppo, il coro spazia dal
canto d’autore d’ispirazione popolare alle elaborazioni corali di canti di
tradizione orale, in particolare d’area veneta e alpina. La Corale Zumellese
diretta da Manolo Da Rold è il classico esempio di coro polifonico misto che
propone accanto al repertorio “classico” anche quello popolare. Questo criterio24
è molto diffuso e sancisce quella pari dignità dei repertori che era auspicato nel
Convegno di Cortina. In Emilia-Romagna per esempio il coro Stelutis fu lo
strumento musicale di Giorgio Vacchi, che fu nel mondo corale di quella regione
l’iniziatore della ricerca “sul campo”; egli convinse alcuni volonterosi che erano
attivi nel mondo corale amatoriale sia come direttori di coro sia come
elaboratori-compositori e interessati ai temi popolari, a percorrere valli e monti
per andare alla scoperta di quel mondo sconosciuto che cominciava a essere
chiamato “civiltà contadina”: il ritrovamento caparbiamente e meticolosamente
ottenuto attraverso la “registrazione” di melodie nuove (o conosciute ma con
diverso esito) fu un decisivo incentivo capace di avviare quel processo di
9
30. Bepi Carone, Contrade che canta:
documenti poetico-musicali della
tradizione orale raccolti a Prata di
Pordenone, Pordenone, Concordia
Sette, 1979; ’Na vita perfida,
Polcenigo, Comune di Polcenigo,
2000; vedi anche il suo articolo sul
problema dell’archiviazione dei canti
popolari Le ginocchia della nonna,
Note su/per un progetto di
archiviazione di materiali sonori in
Choraliter, n. 6, 2001, p. 11.
31. È autore de I suoni della
memoria, Canto popolare umbro,
A.R.C.UM.; Tozzi e boconi, Itinerario
di musica popolare umbra, Istituto
Culturale S. Anna, Perugia.
32. Luigi Colacicchi (Anagni, 1900
- Roma, 1976) è stato un
compositore, direttore di coro ed
etnomusicologo italiano.
Fondamentale è la sua raccolta di
Canti popolari di Ciociaria (1936); nel
1949 è curatore con Nataletti di una
delle prime raccolte complete dei
canti popolari italiani per conto della
Discoteca di Stato e il Centro
Nazionale di Studi di Musica Popolare
(oggi Archivi di Etnomusicologia).
Numerosi sono i brani popolari da lui
rielaborati. In campo
etnomusicologico sua è la Raccolta n.
111 per l’Archivio Etno-linguistico
della Discoteca di Stato: si tratta di
un’ampia ricognizione realizzata tra il
1971 e il 1972 in numerosi centri
dell’area settentrionale della
provincia di Frosinone (tra cui Anagni,
Fiuggi, Sgurgola, Vallecorsa, Veroli,
Vico nel Lazio).
33. «Io non sono convinto che sia
lecito servirsi della più “assoluta”
libertà quando prendiamo in esame,
con l’intenzione di procedere a una
elaborazione, una melodia popolare:
secondo me ciò è lecito quando
lavoriamo su una melodia d’autore.
Sarà sufficiente avere il suo
permesso per procedere
all’operazione. Ma a chi chiedere il
permesso quando una melodia risulta
far parte di una tradizione popolare,
spesso estremamente diffusa, che si
è caricata col passar degli anni di
infiniti particolari derivati da tanti,
successivi apporti diversi? Non sarà
allora opportuno tenere presente il
maggior numero possibile di quegli
“infiniti particolari” che concorrono
all’identità di un canto popolare per
non tradire, in fase di elaborazione,
le specificità del canto stesso?»
34. «Non avemmo dubbi, quindi, sul
fatto che la vocalità dei nostri cori
doveva adeguarsi ai modelli che ci
venivano suggeriti dai nostri
10
rinnovamento del repertorio della coralità regionale. Su questo
indirizzo sono orientati il Coro La Baita di Scandiano diretto da
Fedele Fantuzzi (attuale presidente dell’Aerco), che nel solco
della ricerca iniziata da Giorgio Vacchi ha impostato un
repertorio di canti popolari ritrovati nel reggiano, il Coro
Montenero di Ponte dell’Olio, il Coro Val di Nure di Bettola,
il Coro Toccacielo di Porretta Terme (Bo). Il coro Montecastello,
che nasce nel 1978 a Neviano degli Arduini (ora con sede a
Parma), ha adottato un repertorio di canti ispirati alla cultura
popolare dell’Appennino parmense che esegue seguendo però
una emissione vocale di tipo “classico”.25 In Toscana va
segnalato il Coro La Martinella, che è sorto nel 1970 in seno
alla sezione fiorentina del CAI per iniziativa di Claudio
Malcapi.26
Il suo repertorio comprende sia classici canti di montagna che
canti popolari toscani, questi ultimi frutto di sistematica
ricerca in varie zone della regione.
Nell’Italia del Sud citiamo i Cantori Materani diretti da
Alessandra Barbaro tramite le elaborazioni polifoniche di
Damiano D’Ambrosio. Nato sulla scia del coro di “montagna”
anche la Corale Cantori del Pollino di Terranova del Pollino
diretti da Mario Demitolo sono approdati successivamente al
recupero delle fonti della tradizione popolare del Pollino.27
La fondamentale importanza della coralità popolare ha
sicuramente contribuito alla creazione del pregevole progetto
editoriale della Feniarco sui canti popolari, iniziato con due
volumi contenenti fonti e armonizzazioni-elaborazioni, il
primo dedicato alla Toscana, il secondo al Friuli Venezia
Giulia.28
Per quella zona geografica è da segnalare la fondamentale
ricerca rigorosamente legata al patrimonio della tradizione
orale popolare di alcuni importanti musicisti: quella condotta
dal triestino compositore, etnomusicologo e linguista italiano
di origine slovena Pavle Merkù29 e quella del pordenonese
Bepi Carone,30 la cui ricerca avviata nel 1966 ebbe sviluppo
musicale soprattutto con l’esperienza del coro Paralipomeni.
In Umbria si segnala l’attività di Franco Radicchia31 con il
gruppo di musica popolare Armonia e Tradizione di Perugia,
che ha curato la revisione e trascrizione di due volumi di brani
popolari umbri. Nel rapporto fra ricerca e composizione è da
ricordare nel Lazio l’attività divulgatrice di Domenico Cieri e di
Luigi Colacicchi.32 Anche nell’attività compositiva di Orlando
Dipiazza ha spesso trovato spazio l’elaborazione del canto
popolare, sviluppata in larga parte con il Gruppo polifonico
Monteverdi di Ruda da lui fondato. Nel Molise il coro femminile
Samnium Concentus esegue musiche del direttore compositore
Guido Messore che ha curato personalmente le trascrizioni da
fonte orale di proprie elaborazioni per coro.
Nelle Marche notevole è l’attività di Giovanni Ginobili che tra
gli anni ’40 e ’50 svolse il suo lavoro di ricerca e trascrizione
dei canti popolari maceratesi e piceni (circa 300) che fanno
parte del repertorio del coro Sibilla, della Corale Cantando di
Macerata, della corale Bizzarri di Civitanova Marche, del Coro
Monti Azzurri di Pievebovigliana, del coro S. Maria in Viminatu
e del coro La cordata di Montalto diretto da Patrizio Paci.
Interessante e assai conosciuta è l’attività nella rielaborazione
del compositore e direttore di coro triestino Claudio Macchi.
VII. Il coro Stelutis, Giorgio Vacchi e la ricerca
La visione di Vacchi riguardo all’elaborazione della melodia
popolare si fonda sulla ricerca e sullo studio delle fonti. La
conoscenza diretta e non mediata del dato originale mette il
compositore al riparo dalla ripetizione di standard o modelli
armonizzativi. Anche dal punto di vista interpretativo
un’opportuna conoscenza del sound originale può contribuire
a scelte non dettate da schemi precostituiti: per esempio l’uso
della vocalità dura e ingolata può diventare elemento
espressivo, elemento integrativo e non oppositivo al
cosiddetto “bel suono”, la cui ricerca fine a se stessa può dare
luogo esclusivamente alla formale comunicazione sonora, ma
non diventa veicolo interpretativo del testo. Per Vacchi il
musicista-elaboratore che intende intraprendere la strada
pedagogica della trasmissione della cultura popolare ne deve
acquisire una conoscenza diretta per poter educare i nostri
cori nel confrontarsi anche questo nuovo sound. Molto
perentorio e deontologico è l’approccio di Vacchi con il metodo
di lavoro del compositore che si rivolge a melodie popolari.33
Dal punto di vista compositivo la ricerca dell’ambientazione e
del vestito sonoro non è frutto di cliché ma ricerca della
sottolineatura, dell’enfasi, “esplicando” ciò che nella melodia e
nel testo sono “impliciti”: la vocalità originale è risorsa, le
varianti possono diventare un suggerimento al modo di
comporre ed elaborare il canto. Una maieutica compositiva:
non il calare dall’alto un standard armonizzativo, ma
domandare e cercare nella melodia le basi dell’elaborazione.
Fondamentale per la regione Emilia-Romagna la ricerca di
Giorgio Vacchi34 che dalla fine degli anni ’50 ininterrottamente
ha iniziato quell’opera di raccolta di melodie popolari, poi
sfociata nell’archivio CCS (Centro Culturale Stelutis). La ricerca
è stata la base e il collante per la costruzione dell’Aerco che
all’inizio si chiamava Aercip (Associazione Emiliano-Romagnola
dossIER
Cori d’Ispirazione Popolare) perché nata da un primo nucleo di cori legati al
repertorio popolare, per qualcuno dei qual era già iniziata la ricerca in quel
repertorio: «Solo negli anni Ottanta, in definitiva, si giunse a un chiarimento
abbastanza generalizzato di tutto il problema;… alcuni musicisti, nell’elaborare i
temi popolari per coro, si sforzarono di studiare e approfondire queste
caratteristiche originali, al fine di allargare la gamma di espressività delle
armonizzazioni: si cominciava, insomma, a tener conto della interdipendenza tra
i suggerimenti impliciti nei temi popolari (sia in ordine alla melodia che ai loro
contenuti) e gli elementi che vanno a costituire la elaborazione corale: ciò che in
precedenza si era visto solo episodicamente».
La ricerca e l’armonizzazione secondo Vacchi sono gli elementi cioè che
determinarono l’identità del canto d’ispirazione nella maggioranza dei repertori
dei nostri cori: sono stati i due fondamenti sui quali che è stato costruito il
“canto di montagna” che SOSAT e SAT hanno proposto negli anni Venti e che ha
avuto quella eccezionale diffusione che nel secondo dopoguerra indusse
centinaia di cori a imitare e adottare quella soluzione corale. Seguiamo
direttamente il ragionamento di Vacchi: «Quanto alle armonizzazioni appare
subito chiaro che Pigarelli (e anche gli altri che operarono in quella prima fase
della vita del “canto di montagna”) fa delle scelte che vanno principalmente in
una direzione: quella di non contrastare mai l’andamento melodico, ma di
seguirlo con fedeltà, anzi
di blandirlo. Accordi per
lo più consonanti,
alternati a settime di
dominante, con qualche
deviazione sul quarto
grado: poco di più nello
schema armonico di quel
periodo. Passerà un bel
po’ di tempo prima di
arrivare a soluzioni più ardite. Il fatto è che davvero serviva (e bastava) quella
semplicità per rivestire, ed enfatizzare, le semplici melodie proposte. Poi ci fu,
sempre per cercare di non entrare in contrasto con le lineari melodie, una scelta
timbrica accattivante, in parte già presente nel canto spontaneo dell’area
trentina: quella voce virile piena e morbida, dalle vocali spesso rese un po’
scure e un tantino “intubate”, che creavano delle armonie piene e gratificanti».
Ma l’esigenza di approfondire il rapporto con il canto popolare fece fare a Vacchi
un cambiamento di prospettiva inaugurando la decisiva stagione della ricerca
sul campo: «…dopo vent’anni trascorsi a cantare in dialetto trentino (o veneto) e
imitando una prassi vocale certamente gratificante ma lontana da quella che io
sentivo essere propria della mia terra, decisi che era ora di provare. Si trattava,
insomma, di ripercorrere la strada che aveva fatto il “canto di montagna” sia
per quanto concerneva la ricerca che in ordine alle scelte di elaborazione corale.
Cominciai quindi a percorrere le valli appenniniche più vicine a Bologna alla
ricerca di anziani che avessero voglia di cantare, dentro al mio registratore, i
canti che erano stati tramandati oralmente dai padri e dai nonni, legati quasi
sempre alle attività proprie del mondo contadino: canti che erano a volte
espressione individuale ma più spesso si basavano su esecuzioni di gruppo,
nella stalla durante le veglie invernali, nelle feste, durante i lavori collettivi ecc.
Dovetti, ben presto, allargare l’area della ricerca alle altre provincie della mia
regione e in questa fase incontrai numerosi amici (il più delle volte appassionati
come me di canto corale) che si resero disponibili a collaborare al lavoro di
ricerca sul campo: in cambio diedi il mio impegno nel creare qualche
armonizzazione tratta da melodie ritrovate. Ma la fase della ricerca fu
estremamente importante, si può dire indispensabile, principalmente per due
L’espressività del canto
passa anche attraverso
la tipologia del suono.
11
informatori: ma quali erano le
caratteristiche del nostro canto?
Cominciammo ad ascoltare con
attenzione quei suoni duri, spesso
sgarbati, che caratterizzavano tante
esecuzioni dei nostri informatori, così
lontani dai suoni tanto più dolci e
accattivanti (e che si fondevano così
bene!) del canto trentino col pensiero
volto a un nuovo equilibrio armonico,
a una diversa fusione tra le voci, che
cogliesse lo “spirito” del canto
popolare della nostra terra… E
intanto veniva in superficie un altro
aspetto, forse quello di maggior
interesse, legato al problema ricerca,
aspetto che riguarda coloro che per
primi, accettando il suggerimento di
intraprendere questa nuova attività,
entrarono in contatto col mondo
popolare attraverso la figura
dell’informatore. Si cominciò ad
ascoltare con orecchio ben più
attento le tante storie in musica che
anziani informatori andavano
raccontando (magari le stesse che
tante volte aveva ascoltate dai nonni,
senza però dare a esse la minima
importanza), cercando di cogliere gli
infiniti messaggi che quel mondo era
ancora in grado di lanciare. Così
appariva sempre più evidente che in
ogni regione, pur incontrando filoni
che attraversavano aree molto più
vaste, mutavano le caratteristiche dei
canti; diversa la vocalità con cui
venivano espressi, con la presenza o
meno di melismi e abbellimenti, e
con diverse propensioni nel
privilegiare certe scelte armoniche
(quando si trattava di espressioni
corali) piuttosto che altre. Ecco
perché ci sembrò limitante la scelta
generalizzata della metodologia
“SAT” applicata sempre e dovunque:
mi spiego. Nel volume guida della
SAT Canti della montagna scoprivamo
esserci canti piemontesi, valdostani,
lombardi, laziali ecc., tutti proposti
con le medesime caratteristiche
melodiche e armoniche; dai dischi
inoltre ascoltavamo le stesse scelte
timbriche e vocali per canti che, così
diversi fra loro proprio perché
provenienti da mondi molto lontani e
diversificati, avrebbero invece dovuto
farci apprezzare espressività diverse
a seconda dei luoghi d’origine.»
35. Condivido fra le altre anche
questa perplessità di Vacchi davanti
a questa affermazione, che di fatto,
finisce col costituire una limitazione
espressiva del suono vocale. Il colpo
d’attacco è adottato con grande
espressività per esempio dal coro Il
Mistero delle Voci Bulgare, che,
12
motivi. Il primo è che, prendendo contatto con centinaia di
informatori (per la maggior parte “informatrici”), ho avuto la
possibilità di toccare con mano gli elementi di quella cultura di
tradizione orale di cui sapevo ben poco, e quel poco proveniva
da letture e non da elementi acquisiti di prima mano;
finalmente, avvicinandola, cominciavo a capire qualcosa di
quella “civiltà contadina”, scoprendone le leggi mai scritte e le
linee guida che indicavano ai singoli le norme di
comportamento. E questo era indispensabile per capire che
cosa era importante e cosa non lo era nella fase di scelta
degli elementi su cui costruire una piano di elaborazione delle
melodie. Il secondo motivo è stato che solo ascoltando dal
vivo centinaia di canti mi sono reso conto delle loro
caratteristiche: musicali, ritmiche, timbriche, ecc. Solamente il
contatto con la realtà mi avrebbe permesso di fare quelle
scelte che avrebbero modificato tante delle componenti
espressive del mio coro, qualora avessi voluto dedicare il
futuro alla scelta “regionale”. Parallelamente a questa prima
fase di ricerca, l’interesse per il canto popolare fu sviluppato
da più parti anche dal confronto con il lavoro che alcuni
studiosi italiani andavano facendo da qualche anno in diverse
zone della penisola italiana come Roberto Leydi, Ivan Della
Mea, Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Alan Lomax e altri
che operavano nell’ambito dell’Istituto Ernesto De Martino, del
Canzoniere Italiano e di Cantacronache. In altre parole era il
movimento etnomusicologico che nella fase realizzativa e
ripropositiva della ricerca sul campo prese il nome di FolkRevival, cui va il merito di aver fatto conoscere tanta parte del
patrimonio popolare attraverso numerose pubblicazioni e i
“Dischi del sole”».
Fu proprio l’approfondimento dello studio di queste
caratteristiche della vocalità della nostra regione a
determinare un’ipotesi di quale poteva essere il sound del
coro emiliano, che avrebbe potuto far riferimento a quella
vocalità piuttosto che a quelle proposte da altri modelli (della
polifonia classica o del “coro di montagna”). La
contemporanea scoperta dei fondamentali testi della
etnomusicologia a iniziare da Nigra, a D’Ancona e a Ferraro
permise inoltre di mettere a confronto le canzoni ritrovate con
le tante già conosciute e che altri avevano già raccolto e
pubblicato. L’approccio con le metodologie di ricerca suggerite
da Leydi e da Toschi e le metodologie di analisi comparata del
Santoli furono stimolanti punti di riferimento. Lo stile
elaborativo di Vacchi quindi assume un aspetto quasi
filosofico con un approccio molto approfondito della “materia”
oggetto dell’intervento compositivo e dell’atto creativo:
«Ricordate quanto diceva un illustre etnomusicologo [Roberto
Leidy, ndr.] a proposito della voce “lacerata in uso in certe
zone? Ebbene, quando mai sentiamo usare la voce ‘lacerata’ in
musiche che pur avrebbero bisogno di qualcosa di diverso da
quel ‘suono bello’ che pare sia il fine ultimo del cantare? Così
sentiamo eseguire elaborazioni di canti provenienti dal
repertorio, ad esempio, delle mondariso, canti carichi di
sentimenti vicini alla rabbia e alla cattiveria, con voci flautate
e perfettamente confezionate secondo le buone regole della
imperante scuola di bel canto, quando invece un po’ di quella
voce ‘lacerata’, di cui si parlava, sarebbe quanto mai
opportuna”».
L’espressività del canto passa dunque anche attraverso la
tipologia del suono. In questa prospettiva cadono dunque
alcuni capisaldi della tecnica della scuola del “bel canto” come
il suono che eviti il colore della laringe, il suono nasale, il
suono privo del suono d’attacco delle corde vocali, il suono
che non sfrutti continuamente le cavità superiori, la tecnica
che pratichi unicamente l’unificazione del registro, l’uso
continuo del vibrato che arriva a far dire a qualcuno che solo
l’oscillazione del vibrato ci permetterà di esprimere ogni
sentimento attraverso il canto; se questi principi fossero
applicati indiscriminatamente e senza contestualizzazione
stilistica alla tecnica vocale per coro rischieremmo di produrre
un processo di standardizzazione del suono corale.35 Il canto
popolare visto nell’ottica di rispetto delle caratteristiche
dell’emissione localizzata (anche di diverse aree regionali) ha
mostrato con chiarezza di rivelarsi come una miniera di
ricchezza timbrica ed espressiva. La tecnica corale ha esigenze
diverse di quella solistica.36
IX. Nuove tendenze
Il futuro dei cori che interpretano il mondo popolare è
difficilmente intuibile, ma i fermenti sono stati gettati e nuove
vie tracciate, come abbiamo visto. Il repertorio compositivo
ormai accumulato in poco meno di cento anni è un
monumento da cui la cultura musicale e in particolare quella
corale non può più prescindere. Raccogliamo un pensiero di
Giovanni Acciai: «Una società come la nostra che ha nella
globalizzazione il suo unico punto di forza; che è sottoposta
dai mass media alla costante distrazione; bombardata
incessantemente da stimoli i più disparati; tormentata dal
tedio e dalla noia: erosa spiritualmente e psicologicamente,
potrà sperare di salvarsi soltanto riappropriandosi delle sue
radici più autentiche, delle sue tradizioni più genuine. Con il
ritorno al canto popolare la società contemporanea potrà
dossIER
sperare di riuscire a mantenere vivo il suo
carattere nel contesto della cultura imperante,
come il fermento di un possibile rinnovamento
spirituale che dal passato deve trarre
ispirazione ed esempio».37
Da una parte dunque rimane l’immenso
patrimonio che nel tempo si è accumulato
grazie alla ricerca e che è disponibile per i
compositori che vogliono misurarsi in questa
dimensione che alla luce delle cose fin qui viste
appare tutt’altro che scontato se si vogliono
produrre opere che abbiano un significato
nuovo e che apportino nuove idee nella tecnica
compositiva. Il canto popolare come sempre è
successo è destinato a evolversi e sempre di
più i due livelli nella memoria degli informatori,
quello culturalmente più profondo e originario e
quello cresciuto nella attuale cultura più
standardizzato, meno ricco sotto il profilo
musicale, saranno da capire e da collegare.38
La ricerca stessa avrebbe ancora bisogno in
Italia di un serio approfondimento vincendo
scetticismi sulla attuale permanenza e
possibilità di nuovi rinvenimenti di quelle
melodie popolari nelle medesime condizioni di
quelle che son state ritrovate nella ricerca fin
qui fatta.39
L’interesse per la rielaborazione di melodie
popolari continua a produrre nuove
composizioni anche fra quei compositori come
Luciano Berio, Franco Donatoni e Giacinto
Scelsi, tecnicamente ed espressivamente
impegnati nella musica contemporanea. Questo
mette in rilievo l’obiettivo di considerare le
composizioni su melodia popolare alla stessa
stregua della composizione “libera” e che non
si debba confinare il repertorio popolare e la
sua esecuzione solamente nell’angusto limite
della monografia. Già in parte sono avviati da
alcuni cori progetti di studi e programmi
concertistici in cui il repertorio polifonico
“classico” convive e si mescola con successo a
quello popolare: le nuove composizioni sul
canto popolare possono fare da sentiero sul
quale innestare le nuove proposte.40
Alcune stimolanti indicazioni possono provenire
dalla fonte e dalla esecuzione dell’informatore
sia compositivamente che interpretativamente:
per esempio il superamento della visione di
canti provenienti da situazioni geograficamente
diverse e lontane con la medesima vocalità
“standardizzata” che induce a perseguire una
ricerca regione per regione di innesti nella
tecnica vocale legati alle caratteristiche locali; lo
studio di una espressività legata al brano da
13
appunto, attinge moltissimo dall’emissione del canto popolare. Un’altra strada che
nella tecnica moderna dell’impostazione vocale del coro non è l’uniformità della
singola voce o tra voce e voce, ma la fusione naturale fra vari timbri, quelli che ogni
voce si porta dietro come tratto specifico e irrinunciabile della personalità di ciascuna
persona, attraverso la modifica e l’uniformità solo nella posizione dell’apparato
modificatorio mobile (labbra, lingua apertura della bocca etc.). Vedi in proposito Pier
Paolo Scattolin, Valori tecnico-musicali della vocalità popolare e loro confronto con la
vocalità della musica rinascimentale e della produzione contemporanea, Atti del
convegno di studi e di aggiornamento, Modena 18 ottobre 2003, Farcoro, 2005, 2,
pp.18-23 [ndr]; Giovanni Torre, La Polifonia e il Canto Popolare, Aspetti
d’intersecazione tecnico-musicale, [Relazione svolta nel Convegno di Castelfranco
Emilia] Mercoledì 12 Maggio 2004, Aspetti della vocalità popolare nel rinascimento.
36. Un interessante richiamo alla tipologia dell’emissione popolare è richiamato
perfino nell’estetica rinascimentale da Domenico Pietro Cerone (1566-1625), teorico,
cantore e maestro di coro a Napoli, nel suo monumentale trattato El Melopeo y
Maestro, tractado de música theorica y pratica del 1613: «le Frottole e gli Strambotti,
come pure le canzoni Napoletane e le Villanelle, devono mantenere l’espressione
della rude anima del volgo e atteggiarsi al cantare contadinesco e grossolano».
37. Giovanni Acciai, Prefazione a Cantar Storie un viaggio nel canto di tradizione orale
tra i monti dell’Ossola, Ricerca sul campo e apparato filologico a cura di Luca e Loris
Bonavia, coordinamento e supervisione a cura di Paolo Bon, Grossi, Domodossola,
vol. III, 2004, p. 6. Le elaborazioni dei tre volumi sono state realizzate da Angelo
Agazzani, Mario Allia, Bruno Bettinelli, Paolo Bon, Luca Bonavia, Gian Carlo
Brocchetto, Alessandro Buggiani, Elena Camoletto, Roberto Cognazzo, Armando
Corso, Marco Crestani, Renato Dionisi, Gianmartino Durighello, Fedele Fantuzzi,
Sandro Filippi, Jacques Fombonne, Armando Franceschini, Mario Fulgoni, Riccardo
Giavina, Mario Lanaro, Marco Maiero, Gianni Malatesta, Andrea Mascagni, Angelo
Mazza, Paolo Mortara, Alejandro Nunez-Allauca, Bruno Pasut, Giovanni Uvire, Giorgio
Vacchi, Giovanni Veneri, Cecilia Vettorazzi, Mauro Zuccante.
38. Chiarissima al riguardo una precisazione di Giorgio Vacchi: «Certamente [nel
secondo livello si osserva] una maggior propensione per le melodie lineari e cantabili:
tendono ad affievolirsi i fronzoli e gli abbellimenti in favore di un approccio più
standardizzato (quindi meno personalizzato) alla linea melodica. Stanno scomparendo
quei giochi vocali melismatici di cui spesso chi cantava si serviva, specie nelle code
delle frasi, per creare espressività e tensione. Non esistono più, evidentemente, i
modelli da imitare per introdurre, in quel sottile gioco di appropriazione di un canto,
le variabili che servivano a dare l’impronta personale all’esecuzione. Anche la libertà
ritmica tende alla standardizzazione: la musica che si ascolta è per lo più ben
inquadrata ritmicamente, se non addirittura esasperatamente ritmata, e il senso di
libertà interpretativa, che era legato principalmente al fraseggio, non si ha più
l’abilità di gestirlo, ci si rifugia perciò in facili, scontate soluzioni».
39. Ancora un pensiero di Giorgio Vacchi: «Certamente però bisogna continuare la
ricerca, perché non è vero che quella “civiltà contadina” è completamente scomparsa:
in parte si è andata semplicemente trasformando. Il contadino abbandonando la
campagna ha portato con sé qualcosa del suo mondo e l’ha trasferito nella città dove
ora vive, cioè nella fabbrica, nell’ufficio, etc.: e qui ha cominciato ad aggiungere altri
pezzetti della sua nuova esperienza umana che sono andati a fondersi con quelli
vecchi. Sono entrate nuove canzonette, o anche solo qualche ritornello, e anche certe
sigle ascoltate in radio o attraverso la televisione: c’è tuttora una gran massa di
elementi sonori che ascoltati, riascoltati, canticchiati e ricanticchiati stanno andando
ad alimentare quel bacino che servirà in futuro per creare qualcosa che, se pur
diverso, assomiglierà non poco a un nuovo “canto popolare”… Poi qualcuno dovrà
certo indicare indirizzi diversi a chi voglia usare la voce, e ciò è anche compito
nostro: anche creando qualcosa di nuovo che metta in condizione il coro di diventare
interessante per le nuove generazioni. Certamente ci vorrà della buona musica, e qui
l’impegno dei compositori non mancherà come non è mai mancato in questi anni, ma
abbiamo visto che a questo impegno è corrisposta sempre anche una grande
attenzione per quel “canto popolare” elaborato che ha fatto la fortuna della pratica
corale. Anche in futuro credo che questa attenzione non debba venir meno, pur se,
trattandosi appunto del futuro, nessuno ha ancora ben chiaro come sarà questo
“nuovo”. Sarà bello scoprirlo!», relazione al convegno “Il canto di ispirazione
popolare: verso quale futuro?”, Bressanone (Bz), 28 settembre 2002.
40. In questo senso è stato importante il progetto del Coro Giovanile Italiano della
Feniarco del 2007 Alla fiera di Mastr’André… canti popolari delle regioni italiane,
affidato al direttore Stojan Kuret e impostato su elaborazioni e nuove composizioni
ispirate al repertorio popolare di alcune regioni italiane.
14
eseguire, al tema che è
sviluppato all’ambiente cui si
riferisce, ninna nanna, canto di
lavoro ecc.; la ricerca del
suono. L’avvicinamento del
repertorio popolare e quello
contemporaneo produce da
parte del coro uno stimolo e
una mentalità atta alla ricerca
che riporti la questione della
produzione del suono in
funzione espressiva in una
larga banda di possibilità;
anche il concetto di “bel
suono” è destinato ad
ampliarsi e ad allontanarsi da
un cliché che non comporti
quel suono “bello” come il fine
ultimo del cantare in coro.
Molti sono i nuovi gruppi vocali
che si esprimono attraverso l’elaborazione di melodie popolari.
Per esempio il progetto artistico del Latinobalcanica Ensemble
di Bologna mescola musica polifonica medievale, musica
contemporanea e rielaborazioni di melodie popolari: è una
ricerca prevalentemente basata su un percorso sonoro
omogeneo che tende a legare tre culture compositive diverse.
La ricerca consiste nello studio di un suono che, lontano ormai
dalle convenzioni accademiche “classiche” e belcantistiche,
metta a disposizione dell’emissione sonora un patrimonio
come quello popolare che molto ha da dire e che ha allargato
l’orizzonte della gamma timbrica, recuperando un’espressività
che è disponibile per applicazioni anche negli altri stili
compositivi e in genere nei gruppi vocali a repertorio
popolare.41 In questi gruppi, sorti sulla scia della Nuova
Compagnia di Canto Popolare, spesso la ricerca sulla
tradizione orale si fonde con la musica originale e in qualche
caso contemporanea come nel trio Latinobalcanica Ensemble.
Fra i più conosciuti citiamo i gruppi Kàlamos (Sicilia), Lu
Passagallë (Abruzzo), I DisCanto, I Uaragnaun e Faraualla
(Puglia), Neilos (Calabria), Al Qantara,42 Assurd (Campania); in
Emilia ricordiamo i Viulàn, importante anche il gruppo
Pivenelsacco che nasce nell’ambito della scuola di Musica
Popolare di Nonantola diretta da Fabio Bonvicini; nel
repertorio convivono efficacemente brani del periodo
rinascimentale e barocco adattati alle sonorità e alle
potenzialità della piva, i balli staccati (gighe, manfrine) e i
canti della tradizione emiliana.
X. Indicazioni tecnico espressive del canto popolare
La grande ricchezza costituita dal patrimonio dei cori popolari,
dell’enorme e prestigioso repertorio, degli importanti sviluppi
nella ricerca, delle preziose differenze di atteggiamenti e
risultati artistici, le conclusioni che si traggono
dall’osservazione di tali contributi portano a individuare alcune
indicazioni tecniche ed espressive che si ripercuotono
efficacemente anche nel campo di quella coralità che si
occupa esclusivamente della polifonia classica o colta. Uno dei
dati più interessanti nella vocalità popolare trasmessa dagli
informatori e diventato patrimonio espressivo dei cori è la
grande varietà e ricchezza dell’emissione della voce che ha
alcune caratteristiche importanti: l’uso del suono vibrato
contiguo a quello non vibrato; la presenza di suoni vocalici che
possono essere diversi da quelli della lingua italiana, in
quanto la fonetica è arricchita dall’apporto dell’idioma
dialettale; l’uso naturale del timbro vocalico e del suono
consonantico; la possibilità di utilizzo di alcuni suoni come il
suono ingolato della laringe alta e della voce urlata oppure
strascicata, a volte di difficile e complicata percezione
intonativa. Infatti si osserva che nel mondo popolare
l’organizzazione melodica, in altri termini la scala dei suoni,
risulta spesso diversa da quella che noi chiamiamo come
“sistema temperato o naturale”. Si riscontrano modi
differenziati di concepire l’intervallo, fra cui anche l’uso del
microintervallo;43 anche la distribuzione dei toni e semitoni
non si attiene ai moderni modi maggiore e minore, ma si
organizza secondo sistemi vicini ai “modi antichi”, per
esempio il lidio e il frigio. Il fraseggio gode di alcune libertà
espressive, collegate quasi sempre alla parola e in genere
all’espressione del suo contenuto: il ritmo è spesso
difficilmente inquadrabile nel ritmo uniformato della musica
classica occidentale; c’è un uso particolare nel legare e
connettere le parole del discorso; ci sono alcune particolarità
nel fraseggio come l’uso del respiro spesso usato per
sottolineare una parola ritenuta particolarmente importante ed
espressiva. Questi pochi ma ben documentati fenomeni del
mondo sonoro della cultura popolare aiutano a riflettere sulle
enormi potenzialità del timbro vocale e ad avere una visione
più allargata del mondo sonoro: ancora oggi, nonostante un
ampliamento delle possibilità foniche del suono vocalico (e
anche strumentale) dovuto alla sperimentazione molto
frequente nel repertorio della musica contemporanea, per chi
studia ed esercita l’attività musicale in senso accademico la
gamma delle differenziazioni sonore si inquadrano solamente
nella storia degli stili “classici” (per esempio lo stile barocco o
quello del melodramma ottocentesco). Questo modo di
pensare tuttavia offre una visione incompleta e finisce col
trascurare le enormi potenzialità che provengono da altri
sistemi fonatori e sonori come per esempio dal mondo
popolare. In altre parole spesso l’orizzonte sonoro “classicoaccademico” risulta impoverito e ristretto, perché è
quantomeno incanalato in atteggiamenti ed elementi tecnici ed
estetici costruito su alcuni standard. Del resto è noto che per
buona parte del XX secolo nel campo vocale la musica
rinascimentale e barocca ha subito l’influenza interpretativa e
quindi anche sonora del secolo precedente, precludendosi per
molto tempo un’alternativa nell’emissione vocale. In genere la
cultura musicale popolare non è materia di studio negli
ambienti scolastici e accademici; non di rado anzi il
disinteresse verso questa cultura deriva dalla persistenza di
stereotipi quale, per esempio, quello per cui si pensa che il
dossIER
materiale sonoro prodotto da tale cultura abbia una certa configurazione sonora
perché eseguita da persone non acculturate e tecnicamente impreparate. Il
cammino verso una concezione che consentisse una maggiore attenzione al
mondo sonoro popolare è stato lento, anche nel mondo corale, anche perché
per molta parte si è adagiato su modelli e standard sia nel campo della musica
di ispirazione popolare che in quella della polifonia classica.44 Il critico Mario
Bortolotto analizzando i lavori di Goffredo Petrassi riconosce, seppure in
maniera generica, che molto spesso, nella sua opera, si ritrovano tali andamenti
melodici, le cui caratteristiche intervallari e melismatiche sono dei frammenti
musicali che riconducono ai canti dell’Agro Pontino. La vocalità antilirica dei
quadretti ironici dei Nonsense si salda con molta naturalezza con la vocalità del
mondo popolare, e forse costituisce uno dei primi esempi italiani di
contaminazione o forse solo di incrocio di soluzioni fra due linguaggi, quello
colto e quello della cultura popolare, che in Europa avevano già prodotto,
seppur per ragioni estetiche diverse, molti capolavori nel repertorio corale come
nelle composizioni corali e strumentali di Béla Bartók.45 E in effetti la musica
balcanica costituisce un ponte notevole fra il canto popolare e la composizione
colta. Sicuramente se quello che giunge alla nostra sensibilità dell’elaborazione
compositiva del canto popolare rumeno-ungherese di Bartók è il colore delle
strutture ritmiche e armoniche, l’immediatezza del rapporto fra il testo e la
musica, altro discorso si deve fare per il repertorio per esempio delle voci
bulgare che a fronte di
impianti elaborativi assai
complessi che esaltano
per esempio il senso del
cambio di tonalità e il
ritmo, ci trasmettono nel
modo di cantare suoni e
prassi esecutive
direttamente derivate
dal canto popolare. In questo stile si evidenzia molto distintamente l’uso quasi
strumentale dell’emissione vocale che assomiglia nel suono laringeo a uno
strumento ad ancia come il clarinetto. In una composizione che riporta moduli
popolari in una rielaborazione moderna risulta naturale se non necessaria la
compatibilità di suoni gutturali prodotti con una posizione della laringe naturale
e in qualche caso alta con escursioni nel timbro nasale, con suoni di
impostazione classica. Infine l’attenzione all’abbellimento, così caratteristica
nella musica popolare di ogni cultura etnica, diviene elemento formale
importante nella elaborazione corale. Una delle caratteristiche della musica
contemporanea che la fonte orale aiuta a comprendere è la ricerca sul suono,
per un verso reso indipendente anche dal significato della parola, ma nello
stesso tempo proteso verso la ricerca del suono della parola in maniera
espressiva e metalinguistica, per amplificare il senso espressivo e la visione
musicale del testo poetico. In questo caso la parola si arricchisce di suoni
concepiti non come linea melodica e quindi impostati in tale senso, ma come
aspetto fonetico di “rumore”. Questi esempi possono solo indicare che culture
diverse hanno sviluppato ognuna nel proprio ambiente una grande ricchezza
nell’emissione del suono vocalico perché non rinchiuse in uno standard: può
darsi che le contaminazioni producano effetti di ulteriori allargamenti della
espressività musicale, di cui oggi sentiamo molto la necessità e l’urgenza sia dal
punto di vista compositivo che da quello interpretativo, come quando una
parola perde il suo significato per ritornare suono, puro, primitivo e potente.
La tecnica corale ha
esigenze diverse di
quella solistica.
15
41. Nell’interpretazione del trio
Latinobalcanica Ensemble di Bologna
si evidenzia l’uso di suoni spiegati a
laringe alta e l’accurata esecuzione di
caratteristici abbellimenti, che, in
varia forma, sono elementi espressivi
e tecnici ben presenti nella musica
popolare di ogni cultura. Anche
nell’esecuzione di questo gruppo si
ricerca l’idea di “restituzione
culturale” con un filtro vocale che,
pur risentendo di un’impostazione
classica, usa colori, abbellimenti e
fraseologia del canto popolare.
42. Il gruppo con caratteristiche
strumentali e vocali nasce nel 1990 a
Bologna: il suo repertorio è basato
sulla commistione fra musiche e canti
siciliani medievali e la tradizione
orale compresa quella di origine
araba.
43. Per esempio nelle Lamentazioni
funebri in lingua arberesh (usata
dagli Albanesi trapiantati in Italia)
raccolte da Cirese nel 1952 nella sua
ricerca svolta nella zona di Ururi e
Portocannone in Molise e che sono la
base di una mia composizione vocale,
risulta molto evidente l’impatto con
suoni e andamenti melodici molto
particolari, con uno sfondamento
nell’uso del microintervallo (che nel
linguaggio della musica
contemporanea diventa il “quarto di
tono”) difficilmente inquadrabile in
una “stonatura”.
44. Fino a metà del secolo scorso la
polifonia rinascimentale era trascritta
ed eseguita seguendo canoni estetici
del secolo precedente, quindi
grondante di stilemi provenienti dalla
musica lirica non solo nel senso
dell’emissione sonora ma anche del
fraseggio e del rapporto espressivo
fra il testo e la musica.
45. Béla Bartók assieme a Zoltán
Kodály è stato il maggior compositore
di area balcanica che ha trasferito
molti elementi del linguaggio della
propria tradizione popolare nelle
strutture di tutto il suo linguaggio
compositivo. La poetica bartokiana
ha costituito un riferimento
stilistico-estetico che ha influenzato
direttamente o indirettamente molti
compositori europei.
non state a
perder tempo
guardate sempre avanti… con curiosità
intervista (postuma) a renato Dionisi
renato
a cura di Bruno Zanolini
compositore
Caro Maestro, sono passati cento anni da quando è nato e dieci da quando ci
ha lasciati: ecco il motivo per cui da parte di molti si è pensato di organizzare
in questo 2010 tutta una serie di “omaggi” in suo onore, soprattutto a
Rovereto, a Milano nel “suo” conservatorio e all’università di Trento.
È soddisfatto?
Sarei bugiardo (e nella mia nuova veste non posso certo esserlo) se non
ammettessi che il vostro ricordo mi fa piacere, ma come sai ho sempre aborrito
tutto ciò che possa sapere di falso, ipocrita, posticcio: quindi continuo a dirvi
«non perdete tempo, guardate avanti non indietro» e se la mia musica
continuerà ad avere qualche valore sarà lei stessa a camminare con le proprie
gambe, indipendentemente da ricordi e commemorazioni più o meno sentite.
Come si usa dire giù nel “basso mondo”, è la Storia il vero giudice di ogni
artista.
compositorE
17
D’accordo, ma vorrei farle notare che il desiderio di dar vita a questi “festeggiamenti” è stato sentito da
tutti e condiviso ovunque, come si conviene a un Wanderer della musica quale lei in definitiva è stato.
Solo in un ambito geograficamente ridotto, per carità, ma psicologicamente questo è vero. Mi sono
sempre sentito aperto a una visione ampia, internazionale delle cose: nato sotto l’Impero a Rovigno
d’Istria, subito trasferito a Borgo Sacco di Rovereto, città della mia famiglia, poi Maribor e Salisburgo
durante la guerra, ancora Rovereto, gli studi a Bolzano e poi l’attività a Firenze, soprattutto a Milano (la
mia seconda “patria”), il continuo elastico fra Milano e Rovereto ecc. per poi concludere il “viaggetto” a
Verona, come sai. Tutto ciò, del resto, mi ha aiutato a entrare in contatto con molte esperienze musicali e
con i loro protagonisti, obbligandomi a mettermi continuamente in gioco ed evitando che rimanessi
chiuso fra le soffici e gratificanti coltri del paesello…
Ecco, le sue esperienze musicali, negli anni di formazione e in seguito… non devono essere state poche,
ce ne parli.
Come tutti, all’epoca, sono cresciuto all’ombra del melodramma, eseguito – in maniera più o meno
appropriata – in ogni dove e perciò fortemente radicato nella coscienza collettiva: forse per questo, per
innato spirito di ribellione (che ho sempre manifestato…), pur conoscendo il repertorio teatrale a memoria
e riconoscendone i grandissimi meriti, non mi ci sono poi creativamente accostato. A parte ciò, la prima
“cotta” – mai rinnegata – è stata per la musica francese del ’900, eseguita spesso a Rovereto grazie alla
passione del conte Marzani, in primis Ravel e Honegger e, in seguito, addirittura Schaeffer con i suoi
esperimenti di musica “concreta”. Naturalmente non mi è mancato l’interesse per i tedeschi e per Strauss
in particolare, tutte conoscenze che hanno integrato gli studi “accademici” per i quali ringrazio sia Mario
Mascagni sia soprattutto Celestino Eccher, gregorianista di scuola romana che più di tutti mi ha aperto
gli occhi su molteplici aspetti della musica. A Firenze poi e a Milano, città a quell’epoca particolarmente
stimolante dove operavano musicisti del calibro di Ghedini, Bettinelli (ai quali sono stato legato da
sincera amicizia) e poi Donatoni, Castiglioni ecc., mi sono confrontato con le esperienze neoclassiche,
dodecafonico-seriali e via dicendo, così da poter fare le dovute scelte e riuscire coerentemente a trovare
– spero nel migliore dei modi – la mia strada. Del resto, come ho sempre detto e tu sai bene, mi è
interessata più la musica d’altri che non la mia…
La sua strada… Come già ho espresso in vecchi discorsi tra noi, mi sembra che la sua sia stata una
conquista sofferta e “avanzata” nel tempo, nel senso che mi pare un traguardo raggiunto dagli anni ’70
in poi, soprattutto nei lavori da camera e corali.
Non spetta a me dirlo, ma è probabile che la mia vicenda assomigli a quella del vino genuino, che
migliora… invecchiando. Quanto ai lavori dei miei ultimi tre decenni di vita, penso di poter confermare il
tuo giudizio, che vede in queste composizioni un raggiunto equilibrio fra il dato linguistico, di matrice
seriale sia pur interpretata senza dogmatismi, il dato metrico, di riferimento per così dire “gregoriano” in
quanto basato sull’antica tradizione del “tempo primo” discorsivo quale piede da poter poi suddividere in
“neumi” dalla semplice ritmica binaria o ternaria (un tipo di serializzazione anch’esso), e il dato formale e
timbrico, caratterizzato da un’ideale impostazione dialogica, quasi gli strumenti siano personaggi che
conversano in maniera più o meno animata in un ambiente familiare (ecco perché i miei titoli: dialogo,
conversazione, litigio…) proponendo argomenti, ragionandone serenamente o scontrandosi in animosa
sovrapposizione e così via. A questa prospettiva si può anche far risalire la mia decisione di abolire in
molte composizioni le stanghette di battuta, cosa che mi risulta susciti ancor oggi perplessità in molti
che evidentemente non sanno “dialogare”: in realtà, una “prosa” come quella che governa i miei lavori
strumentali, direttamente legata con le sue figure alle parole musicali e alla loro metrica, mal sopporta le
indicazioni di tesi e arsi tipiche della battuta tradizionale, giacché si esprime in maniera
fraseologicamente meno costretta seppur rigorosa, al punto che le stanghette possono risultare
fuorvianti. D’altronde gli strumentisti sono bravissimi a leggere la loro parte e confrontarla
contemporaneamente con quella altrui…
o
Oltre alla musica da camera, scritta per lo più su commissione e per organici spesso inusuali, lei si è
dedicato molto alla coralità, riservando invece meno interesse al repertorio solistico o per grande
orchestra e nessuno al teatro (a parte qualche raro approccio alla musica di scena). E del mondo corale
si è dedicato quasi esclusivamente all’aspetto sacro oppure a quello “popolare” come si usa dire…
Sì, è vero e i motivi sono stati in parte ideali e in parte pratici o addirittura casuali. Oltre al fascino che
18
ha sempre avuto per me lo “strumento primordiale” in un
gioco d’assieme, del repertorio corale sacro mi ha sempre
attirato la dimensione spirituale, che nulla come la musica
riesce a sublimare: non per niente ho musicato più volte
alcuni testi a me particolarmente congeniali, alla ricerca di
soluzioni sempre più approfondite e adeguate. E poi non
dimentichiamo che il testo sacro (meglio se tratto dal libro
della Genesi, non si sa mai…) elimina drasticamente il
problema dei permessi editoriali e dei diritti d’autore, con tutti
i ritardi e le polemiche che necessariamente seguono…
Quanto poi al repertorio cosiddetto popolare, che più degli
altri ha fatto la mia notorietà, devo riconoscere che tutto è
nato per caso, o meglio per l’insistenza di alcuni amici, Silvio
Pedrotti in testa, da cui il mio legame pressoché esclusivo
sotto questo aspetto con il coro della SAT di Trento: ma sul
concetto di “popolare” e sulle varie scelte musicali adottate in
ambito corale (anche dal sottoscritto, sia chiaro) avrei
qualcosina da dire… controcorrente, ma dall’alto seggio in cui
ora sono non mi sembra il caso, anche perché adesso è
troppo facile per me trovar la soluzione ideale allo
snocciolarsi del “dramma”.
Già, i vantaggi del senno di poi! Comunque è da tutti
riconosciuto che i risultati dei suoi lavori corali siano del
massimo livello, come anche quelli della sua produzione per
l’infanzia…
Quanto al livello non vorrei dire, ma di sicuro ho sempre
guardato con estrema attenzione al mondo dei bambini, forse
perché avrei voluto dieci figli!, e quindi ho dedicato loro varie
composizioni (ti ricordi ad esempio Luctus in ludis, per il
quale mi hai aiutato a trovare il titolo?) o le ho pensate per
loro in termini didattici, proseguendo una tradizione che,
come sai bene, conta alcuni fra i più grandi nomi della
musica.
A proposito di “grandi nomi”, come vede in tal senso il
panorama contemporaneo e tutte le sue problematicità?
Direi che anche gli ultimi decenni hanno espresso, non
diversamente dal passato, grandi personalità musicali, da
Ligeti a Donatoni a Grisey, ma in generale ritengo che l’ultimo
secolo – fino all’oggi – rappresenti comunque un periodo
critico, seppur importante quale momento di ricerca e di
messa a fuoco di nuovi orientamenti espressivi, anche in
rapporto a determinate conquiste tecnologiche. Penso che per
vari aspetti il Novecento sia paragonabile al Seicento, altro
secolo che – seguito a un periodo aureo (il ’500 per l’uno,
l’800 per l’altro) – ha dovuto affrontare una rivoluzione
tecnico-espressiva di vasta portata, ovviamente non disgiunta
da altri grandi cambiamenti collegati: e come il Seicento, che
ha Monteverdi quale nume iniziale, ha intravisto al suo
termine la nascita di un apice musicale rappresentato dalla
generazione dell’85 (Bach, Haendel, Scarlatti), così il
Novecento (e questo inizio di XXI secolo), partito da Debussy,
dovrebbe a mio parere essere pronto – grazie al lavorio di
ricerca di tanti notevoli autori – per un nuovo periodo aureo…
Ce lo auguriamo tutti: e con questa speranza quale può
essere il suo consiglio ai giovani in particolare, il suo
messaggio?
Lo stesso che ho dato a te e a tutti i miei numerosissimi
allievi: quello di affrontare ogni esperienza con il massimo
impegno, senza faciloneria, di non dare mai nulla per scontato
ma di verificare sempre ogni cosa, di farsi soprattutto guidare
dalla curiosità artistica, in modo da poter fare le scelte a
ragion veduta, non per mancanza di conoscenza circa possibili
alternative. Personalmente devo dire che sono sempre stato
mosso da una grande curiosità per ogni aspetto musicale
(dalla serialità alla musica concreta, dal repertorio leggero –
ricordi il mio apprezzamento per Fred Buscaglione o per i
Beatles? – ai minimalisti), quindi anche per orizzonti
apparentemente lontani dal mio mondo. Quanto invece al
dovere e al piacere di verificare con mano ogni assunto
musicale – si tratta anche qui di curiosità – riconosco che da
questa “necessità” è partito lo stimolo per la mia attività di
ricerca didattica, che tu conosci bene visto che in gran parte
ci abbiamo lavorato assieme: non ho mai sopportato regole
preconcette, calate dall’alto senza un perché, senza una
giustificazione che non venisse dalla letteratura musicale
stessa. Insomma, mi sono impegnato in questa attività perché
È la storia il vero
giudice di ogni artista.
ero stufo di vedere maltrattata la Musica. E proprio perché la
ricerca non ha mai fine e comunque nessuno ha musicalmente
la verità in tasca, quello che non ho mai sopportato anche nei
maggiori musicisti che ho incontrato, figuriamoci nei mediocri,
è stato l’atteggiamento di superiorità, di tronfia prosopopea
– non faccio nomi – a cui ho sempre risposto con venature di
pungente se non addirittura caustica ironia: in questo sono
stato un “maestro” (tra virgolette, che come tutti sapete sono
il mio contrassegno letterario e anche in questa intervista mi
accorgo di averne fatto uso massiccio!).
Ritornando agli allievi (senza virgolette), deve riconoscere
che pochi maestri sono stati amati dai propri allievi come lei,
tra l’altro con grande spirito di riconoscenza come è
chiaramente emerso nei recenti incontri per il suo centenario/
decennale: alcuni allievi, oggi fra i più noti musicisti in
campo internazionale, nell’impossibilità di intervenire di
persona hanno inviato testimonianze scritte di commovente
intensità. Gliele farò leggere.
So di questo affetto, l’ho sempre percepito anche se talvolta
facevo il burbero per “difendermi”: ma come tutti voi avete di
certo capito il sentimento è stato reciproco, anche se in
definitiva ad averne più bisogno… ero io. Comunque, credo
che il feeling (non preoccuparti, qui in alto si parlano tutte le
lingue) sia in gran parte dipeso proprio da un certo metodo
compositorE
19
didattico, un metodo maieutico – per quanto riguarda la
composizione – che non schiacciasse le propensioni naturali e le
idealità estetico-linguistiche di ciascuno ma che aiutasse a
definirle e organizzarle al meglio, dando le necessarie dritte al
“mestiere”. Questo forse è il maggior motivo di riconoscenza.
Un’ultima domanda, Maestro: che musica è quella di cui si
diletta ora?
Una musica meravigliosa! Appena trasferito in questo nuovo
albergo a millanta stelle ho capito che l’armonia delle sfere non
è un semplice concetto, ma la verità nel più alto senso del
termine. Niente più dissonanze, passi duriusculi e parrhesie,
tritoni e false relazioni o simili diavolerie: tutto si snoda in un
contrappunto luminoso e… ma via, tu non puoi capire, devi
studiare ancora un pochino, forse un po’ tanto. Perciò, cari
saluti a tutta la compagnia e arrivederci alla prossima.
Renato Dionisi________
Nato cento anni fa a Rovigno d’Istria da famiglia roveretana, Renato Dionisi
inizia lo studio della composizione poco più che ventenne, ottenendo presto
riconoscimenti a livello nazionale. Consegue il diploma in soli sei anni presso
il conservatorio di Bolzano sotto la guida di Mario Mascagni, e già nel 1936
comincia la sua felice carriera didattica, passando per i conservatori di
Bolzano e Firenze finché, nel 1952, ottiene la cattedra di Armonia e
contrappunto complementare presso il conservatorio di Milano. In questa
città il maestro si stabilisce definitivamente ed entra in contatto con le più
importanti esperienze musicali italiane ed europee; tuttavia egli torna ogni
estate in Trentino, intessendo legami fecondi con numerosi musicisti e
personalità culturali di spicco.
Accanto all’attività di insegnamento (non solo istituzionale, ma anche rivolta
privatamente a generazioni di allievi) Dionisi ha intrapreso un’intensa
carriera compositiva, esplorando un’ampia varietà di organici e di tecniche. Il
suo linguaggio si ispira inizialmente alle correnti neomodali e neoclassiche,
avvicinandosi in seguito a sperimentazioni pseudo-dodecafoniche ed
evolvendosi poi su un terreno più liberamente atonale, pur sempre controllato dalla perfezione del contrappunto lineare e
spesso impreziosito da una elegante gestualità.
Una posizione centrale nel catalogo di Dionisi è occupata dalla musica corale, che più di ogni altro genere può rispecchiare
l’attitudine del sommo contrappuntista; meritano una menzione particolare le elaborazioni di canti della
montagna, che nella loro raffinata semplicità esprimono una vena nostalgica e commossa. Nei lavori strumentali si nota una
predilezione significativa per i piccoli complessi: il catalogo di Dionisi vanta infatti una copiosa produzione per strumento solo e
di musica da camera, anche se non mancano notevoli composizioni per orchestra. È anche autore di pregevoli pagine per
l’infanzia e di opere didattiche fondamentali sull’armonia e sul contrappunto.
Renato Dionisi si spegne a Verona il 24 agosto 2000.
Marina Rossi
20
Composizioni corali di Renato Dionisi
Alleluia (fuga a 4), Coro misto,
Manoscritto, 1934
Contrappunto a 8 voci, Doppio coro,
Manoscritto 1934
Perch’al viso d’amore, Coro misto,
Manoscritto 1934
Cantata di primavera, Soprano, voci
bianche e orchestra, Manoscritto
1936
Il dramma della crocifissione, Soli, coro
e orchestra, Manoscritto, 1940
Salmo L [Miserere mei Deus], Coro e
orchestra, Manoscritto, 1944
Oratorio sulla beata Verzeri, Coro e
orchestra, Partitura non reperita,
1947
Ubi charitas, Coro femminile, Partitura
non reperita, 1949
Sette invocazioni per il Natale, Tenore,
coro e orchestra, Manoscritto, 1956
Hodie nobis de caelo, Coro misto (c,t,b)
e organo, Stampa, 1959
Ninna nanna, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1959
2 proverbi, Voci bianche e piano,
Lucido, 1960
Deep River, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT, 1960
Girolemin, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT, 1960
Le carrozze, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT, 1960
Siam prigionieri, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1960
Girundin girundel, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1961
Puer natus est nobis, Coro femminile,
Manoscritto, 1963
Kyrie, Sanctus, Benedictus, Agnus dei
[Messa a 4 voci dispari], Coro misto,
Manoscritto, 1964
Il cammino della salvezza, Coro e
or­chestra, Partitura non reperita, 1965
Non trattarci Signore secondo i nostri
errori, Coro a una voce e organo,
Carrara, 1965
Piovete dall’alto o cieli, Coro a una voce
e organo, Carrara, 1965
Questa notte è nato in terra, Coro
maschile, Fondazione coro della
SAT, 1965
3 miniature cinesi, Coro maschile,
Stampa, 1966
A mezzanotte in punto, Coro maschile,
Stampa, 1966
Io tacerò, madrigale, Coro misto,
Manoscritto, 1966
O popolo mio, Coro misto, Elle di ci
Torino, 1966
La storia della salvezza, Coro e orchestra, Partitura non reperita, 1966
A sera, Coro maschile, Stampa, 1967
Canti popolari del Veneto, Voci bianche,
pf e perc., Ricordi 1967
Dio è il pastore, 3 voci miste, ass. e
organo, Carrara, 1967
La città di Dio, Solo, coro a 3 v. miste ed
ass., org Carrara 1967
Ti celebriamo o Dio, 3 voci virili e or­ga­no/
armonium, Elle di ci Torino, 1967
Evviva Noè, Partitura non reperita,
Partitura non reperita, 1968
Il mistero dell’amore, Coro misto,
Musica sacra, Milano, 1969
La chiesa, Signore, 2 voci bianche e
organo, Carrara, 1969
Piccola messa, Coro femminile 3-4 voci,
Usci, Carrara, 1970
Piccola messa, Coro misto a tre voci
(C,T,B) o a una voce sola e organo,
Manoscritto, 1970
Inverno, Coro maschile, Usci, 1971
Piccola messa, Voci bianche e organo,
Manoscritto, 1971
A la tor Vanga, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1972
Huic ergo, Coro misto, Manoscritto, 1974
O cara mama sé bona, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1974
O’ regirato l’Italgia e ’l Tirol, Coro
maschile, Fondazione coro della
SAT, 1974
Oi Lisabèla, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT, 1974
Siamo partiti, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1974
Son senza pan, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1974
Filastrocca dei mesi, Coro maschile,
Manoscritto, 1975
L’ane de Marion, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1975
Missa brevis, Coro misto, Manoscritto,
1976
Non temere piccolo gregge, Coro a una
voce e organo, Manoscritto, 1976
Requiem per un bambino, Coro voci
bianche, Manoscritto, 1976
Senti ’l martèlo, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1976
Tu scendi dalle stelle [2], Coro misto, e
organo, Manoscritto, 1977
[messa in caratteri cinesi], 3 voci pari,
Manoscritto, 1978
[Pater noster, Ave Maria, Gloria patri in
caratteri cinesi], 3 voci pari,
Manoscritto, 1978
Schnee walzer, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1978
E su la riva del mar, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1979
Goralu, Coro maschile, Fondazione coro
della SAT, 1979
Justorum animae [1], Coro misto,
Manoscritto, 1979
Ndorménzete popin, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1979
Salmo 150 (Laudate Dominum), Coro
maschile, Manoscritto, 1979
Agnus dei, Triplo coro maschile,
Manoscritto, 1982
Resta con noi Signore, Voci bianche e
pianoforte, Carish, 1982
Magnificat, Coro misto, Manoscritto,
1983
O Sanctissima [1ª versione], Coro
maschile, Fondazione coro della
SAT, 1983
Domine Jesu Christe [1] (Offertorio dalla
messa di requiem), Coro misto,
Manoscritto, 1984
Quanto è bella giovinezza, Coro misto,
Manoscritto, 1984
Ama chi t’ama, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1985
Il canto del boschiero, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1985
La si taglia i biondi capelli, Coro
maschile, Fondazione coro della
SAT, 1985
Justus ut palma florebit, Coro
femminile, Manoscritto, 1985
Justorum animae [2], Coro di voci
bianche, Manoscritto, 1986
Domine Jesu Christe [2], Coro misto,
Stampa, 1988
Justorum animae [3], Voci femminile,
Manoscritto, 1988
Justorum animae [4], Coro misto a 5
voci, Stampa, 1989
Noi siamo i tre Re Magi, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1991
O Sanctissima [2° versione], Coro
maschile, Fondazione coro della
SAT, 1991
compositorE
Aver ’na figlia sola soleta, Coro
maschile, Federaz. cori del Trentino,
1992
Ferdinando s’innamora, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1992
Graduale-Christus factus est, Coro a 4
voci miste, Manoscritto, 1992
Ninna nanna, Voci bianche e pianoforte,
Federaz. cori del Trentino, 1992
Noi siamo i tre re, Voci bianche e
pianoforte, Federaz. cori del Trentino,
1992
Lauda anima mea, Coro misto,
Manoscritto, 1993
Venite o pastori, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1993
Vori maridam, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1994
Un solo signore, una sola fede, Voce e
organo, Partitura non reperita, 1996
Antifone, Coro misto, soli e arpa,
Manoscritto, 1997
La vecia batana, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT, 1998
O felice o chiara notte, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
[4 pezzi per voci bianche in] Musica per i
bambini, Voci bianche, Stamperia
musicale Cipriani
3 canti natalizi (Tu scendi dalle stelle, Il
sonno di Gesù bambino [2],Gloria in
excelsis deo [2]), Coro voci bianche a
una voce e pianoforte, Stampa
Ad te domine levavi animam mea, Coro
misto, Manoscritto
Adeste fideles, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Ave Maria - Omni die dic Mariae, S e T,
Manoscritto
Ave Maris stella, Coro misto (c,t,b),
Manoscritto
Canto d’emigranti, Coro maschile,
Stampa
Cossa gavè voi pare, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Der froeliche Wanderer, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Dove èla la Gisela, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
El caretér, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT
Evviva la montagna, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Gloria in excelsis deo, Coro femminile e
arpa, Manoscritto
Gloria in excelsis deo [3], Coro misto,
Fondazione coro della SAT
Iande mironnai, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Il sonno di Gesù bambino [1], Voci
bianche e pianoforte (o arpa),
Manoscritto
Il sonno di Gesù bambino [3], Coro
misto, Fondazione coro della SAT
L’erba rosa, Coro misto, Fondazione coro
della SAT
My Bonnie, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT
Ninna nanna, Coro femminile,
Manoscritto
Ninna ninna Corbelinna, Coro misto,
Fondazione coro della SAT
O Canada, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT
Poco giudizi, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT
Sulla riva, Coro maschile, Fondazione
coro della SAT
Vieni dolce morte, Coro maschile,
Fondazione coro della SAT
Le indicazioni [] sono del curatore,
mentre le date in corsivo sono da
ritenersi indicative perché desunte dal
raffronto di più fonti (programmi di sala,
articoli di giornale o altro), ma non
presenti esplicitamente nel manoscritto
autografo.
La presente tabella è tratta dal Catalogo
delle opere di Renato Dionisi redatto da
Mattia Culmone nel 2010 su
commissione del conservatorio G. Verdi
di Milano.
Come si può notare molte partiture non
sono state date alle stampe e risultano
quindi difficilmente reperibili.
Nel corso della catalogazione si è deciso
di archiviare tutte le partiture rinvenute
presso la biblioteca civica “G. Tartarotti”
di Rovereto, accorpandole al “Fondo
Dionisi” già esistente. Esse sono ora
liberamente fruibili presso tale
istituzione.
21
22
La musica per coro di renato dionisi
di Sandro Filippi
direttore del coro filarmonico trentino e docente al conservatorio di bolzano
Prima di entrare negli aspetti del linguaggio compositivo
di Renato Dionisi ritengo che il lettore abbia una, sia pur
schematica e riassuntiva, panoramica della produzione
corale che può essere così sintetizzata:
1) armonizzazioni per il coro della SAT e altre
elaborazioni e armonizzazioni scritte per vari organici
anche con la presenza di qualche strumento;
2) musica sacra in particolare per coro a cappella;
3) musica su testo profano per coro a cappella e con
strumenti;
4) musica per soli coro e orchestra o per coro e
orchestra;
5) musica per uso liturgico per coro a cappella e con
accompagnamento d’organo o armonium.
È bene inoltre sottolineare che la quasi totalità di questo
repertorio (ma molto anche per quanto riguarda l’opera
strumentale) sia sempre stato scritto su “ordinazione”.
I destinatari in questo caso potevano essere direttori di
coro e i cori che erano in quel momento sotto la loro
guida, come Franco Monego, Angelo Mazza, Iris Niccolini,
Camillo Moser, Nicola Conci, Sandro Filippi (chiedo scusa
se dimentico qualcuno) e chiaramente sul versante del
canto popolare per la SAT e i fratelli Pedrotti, oppure
dedicati ad allievi e amici. Repertorio scritto ad
personam e come avrebbe detto lui “su misura”.
«Che linguaggio usa quando lei compone?» ebbi a
chiedere alla fine di una lezione al maestro. «Di tutto»,
fu la sua risposta.
«Il primo punto di partenza è stato chiaramente la
musica tonale perché in un piccolo centro non esistevano
altre possibilità. Perciò mi sono aggregato al senso del
melodramma storico. Poi sono stato subito attratto dal
neomodalismo francese e pian piano tutto il resto fino a
Boulez, ma con una precisazione: la matematica e la
fisica entrano nella musica, ma né l’una né l’altra sono
musica». [...] 1
«Dopo un periodo di ricerca – fa presente Zanolini –
orientato verso il neomodalismo e soprattutto verso le
esperienze francesi, da Ravel a Honegger, fu stato fra i
primi ad adottare il metodo dodecafonico seriale, subito
e poi sempre più filtrato senza dogmatismi attraverso le
maglie larghe di una sensibilità vocalistica mai
immemore della lezione lineare contrappuntistica di
scuola ‘romana’».2
Forte di una preparazione contrappuntistico-armonica
assimilata sotto la guida di Celestino Eccher, nel Salmo L
(1944) impiega tutte le tecniche che l’arte
contrappuntistica rinascimentale e non solo ha
tramandato. E ancora più avanti queste peculiarità si
potranno notare nei mottetti e nella Missa brevis (1976):
il linguaggio che traspare si rifà per molti versi alla
grande letteratura rinascimentale che al Nostro era
familiare grazie al lavoro di ricerca e approfondimento
condotto insieme con Zanolini, in collaborazione con il
quale pubblicò La tecnica del contrappunto vocale nel
cinquecento. Ma se nel Salmo le linee vocali
riecheggiano il linguaggio modale, ad esempio con la
presenza del primo modo (Dorico) successivamente
anche trasportato, le parti strumentali qui riassunte nella
versione organistica evidenziano maggiormente l’estetica
compositiva di Dionisi. Si potranno infatti notare
momenti di sovrapposizione bitonale sia contrappuntistici
che accordali, dove l’orchestra non si limita ad
accompagnare il coro, ma assume un ruolo autonomo
che fa risaltare ancora di più l’esposizione della parola
salmodica che il coro svilupperà nel divenire della
composizione, mediante l’alternarsi di episodi
contrappuntistici, omoritmici e monodici.
compositorE
Nell’analizzare attentamente il repertorio corale avremo modo di notare come
nel tempo il linguaggio di Dionisi andrà incontro a una continua ricerca ed
evoluzione. «Renato Dionisi – scrive Andrea Mascagni – ha lavorato sodo, in
anni e anni di continua ricerca musicale, di meditazione, di acquisizione attenta
e responsabile. La sua musica è il suo carattere: non conosce, non concepisce il
gesto clamoroso, la trovata compiaciuta e compiacente […] ignora il facile
allineamento alla moda. […] Egli vive attentamente il tempo attuale, ma possiede
la fortuna – natura, educazione, impegno – di distinguerne i momenti necessari
da quelli contingenti o fittizi».3 «Il tutto avviene, come sottolinea Zanolini, in un
clima espressivo sempre intimo, contenuto più che distaccato, nella
consapevolezza che la musica è arte anticoncettuale per eccellenza e quindi
– stravinskianamente parlando – non vuole e non deve dimostrare alcunchè.
Una poetica d’artigianato – “Io sono un operaio della musica”, diceva sempre
Dionisi – senza la quale non avremmo i risultati di cui s’è detto...»4
Ma se fino alla fine degli anni Cinquanta il repertorio corale era costituito da
partiture di più ampio respiro, considerata la presenza dell’orchestra come nella
Cantata di primavera, Il dramma della crocifissione, Salmo L e in altre ancora, a
partire dagli anni Sessanta questa esperienza compositiva verrà del tutto
abbandonata per orientarsi su composizioni nella quasi totale prevalenza per
coro a cappella e di breve durata, al massimo cinque minuti e non di più.
Se come risaputo
Dionisi odiava la
grande orchestra –
«non so cosa farmene
di tutta quella roba»
– anche la letteratura
corale si allinea a
quanto si è detto.
L’organico impiegato
va infatti dalle due alle quattro voci che in alcuni istanti si suddividono a loro
volta ulteriormente fra di loro: le quattro voci sono più che sufficienti per poter
dire tutto ciò che si vuole. Una qualche eccezione comunque la possiamo
trovare come nell’unico caso che mi risulti, in Justorum animae, mottetto a
cinque voci (due soprani, contralto, tenore e basso). In questo contesto una
mosca bianca figura al di fuori dal coro con Agnus Dei per triplo coro maschile.
Questa partitura rimane infatti un unicum nella produzione corale di Dionisi in
quanto scritta su un preciso invito rivoltogli da Franco Monego nell’intento di
coinvolgere tre cori maschili popolari della Lombardia per i quali teneva dei
corsi di formazione corale.
Il linguaggio si fa via via sempre più raffinato e sicuramente più impegnativo
per quanto riguarda l’aspetto esecutivo, si vedano ad esempio per il repertorio
sacro il Magnificat, Lauda anima mea, le Antifone per coro e arpa, Salmo 150, e
ancora Quanto è bella giovinezza, Io tacerò, A sera, Inverno, Tre miniature cinesi
per quanto riguarda la letteratura profana. Ma è bene ricordare anche
l’attenzione rivolta ai bambini come nei Proverbi: Chi va piano va sano e va
lontano, Meglio un asino vivo che un dottore morto con pianoforte, musica
fuori del tempo – la definisce Renato Chiesa, uno dei suoi tanti discepoli – per
la quale si trova a proprio perfetto agio, con un humour che arriva al massimo
al sorriso, mai alla risata.
La conduzione delle parti melodiche è sempre più cesellata, bastano infatti
brevissimi incisi tematici per delineare immediatamente il divenire della
partitura, le tessiture vocali non sono mai esasperate. Ho analizzato
attentamente tutto questo repertorio e non ho mai trovato ad esempio che i
soprani vadano a superare il sol4, o i tenori vadano oltre il la3, e se viene
superato entrano in gioco i falsetti da lui usati magistralmente nelle insuperabili
«Io sono un operaio
della musica».
23
Note
1. Omaggio a Renato Dionisi per l’80°
compleanno, a cura di Renato Chiesa
e Gian Luigi Dardo, Rovereto,
Tipoffset Moschini, 1990, pp. 17-18
2. Omaggio a Renato Dionisi e
Franco Donatoni, Milano,
Conservatorio “G. Verdi”, p. 1
3. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I
canti popolari armonizzati da Renato
Dionisi per il coro SAT, Trento,
Fondazione Coro della SAT, 2003,
p. 102
4. Ibidem, pp.101-102
5. Lettera inedita a Sandro Filippi,
Trento, 11 novembre 2010
6. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I
canti popolari armonizzati da Renato
Dionisi per il coro SAT, cit., pp.
101-102
7. Lettera inedita a Sandro Filippi,
Milano, aprile 1997
8. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama – I
canti popolari armonizzati da Renato
Dionisi per il coro SAT, cit.,
p. 100
9. Lettera inedita a Sandro Filippi, cit.
10. Bruno Zanolini, in Ama chi t’ama
– I canti popolari armonizzati da
Renato Dionisi per il coro SAT, cit.,
p. 100
11. Omaggio a Renato Dionisi per
l’80° compleanno, cit., p. 20
24
armonizzazioni per il coro della SAT. Il rapporto testo-musica
non è mai perso di vista, ogni mezzo viene impiegato con la
massima libertà pur non rinunciando a una rigorosa disciplina
stilistica che si rifà alla grande letteratura rinascimentale sia
sacra che profana. In altri termini, una stilizzazione della
letteratura rinascimentale innestata in una sensibilità armonica
neomadrigalistica novecentesca. Mi si permetta per un
momento di fare un breve collegamento con la figura di
Giorgio Federico Ghedini, che viene evidenziata su questo
numero da Enrico Miaroma con l’analisi di due partiture
dedicate al coro della SAT. Vi è un filo conduttore, se così ci
possiamo esprimere, fra Ghedini e Dionisi ben saldo da una
reciproca stima, dovuto dal fatto che entrambi ebbero modo di
incontrarsi presso il conservatorio di Milano dove Dionisi ne
era docente e Ghedini direttore a partire dagli inizi degli anni
Cinquanta. Rapporto consolidato (anche se non sempre) come
fa presente Renato Chiesa «da un’intesa ideale, e in qualche
caso concretizzata su posizioni comuni nette, come quelle per
la difesa delle scholae cantorum».5
Conversando con allievi e colleghi, Dionisi osservava che il
pubblico di allora era abituato a concentrarsi se non per pochi
minuti di ascolto – e oggi i tempi di concentrazione non sono
certamente aumentati – e quindi affermava che tutto deve
essere detto con pochi mezzi e senza dilungarsi troppo.
Ancora una volta sono di grande efficacia esplicativa le parole
di Zanolini: «[...] Di qui anche la brevità, essenziale e
concentrata, delle sue composizioni: “anche se io non sono
Webern” diceva spesso Dionisi nella sua inarrivabile e
autoironica modestia [...]».6
Quanto appena citato trova immediato riscontro nella Missa
brevis datata 1976, che propone solamente tre parti
dell’ordinarium: Kyrie, Sanctus e Agnus Dei. Il melos è ispirato
al canto cristiano monodico e i procedimenti compositivi si
basano su brevi cellule tematiche. «La legge del “minimo
mezzo”: legge economica e legge artistica fondamentale»,
usava dire Dionisi ai suoi allievi. Tali cellule vengono via via
riprese e dilatate come nel Kyrie,
e nell’Agnus Dei,
o nel Sanctus dove il quinteggiare fra tenori e bassi, quasi uno
scampanio sulla declamazione Hosanna in excelsis, va a
sostenere il melodizzare – alla maniera del bicinium
rinascimentale – di soprani e contralti.
compositorE
25
Le Antifone natalizie O Oriens, O Emmanuel, Puer natus est,
scritte nell’aprile del 1997 su mio invito, presentano un
dialogare fra l’arpa e il coro, che «Per quanto ‘scoperto’ [...]
non deve affrontare ‘passi’ molto difficili!».7 In questo contesto
il coro rende con essenzialità le immagini testuali con le
quattro voci dispari che si alternano di volta in volta con il
tenore e il contralto solista. L’essenzialità di questa partitura
ricorda per tanti aspetti il linguaggio weberniano e in
particolare lo Streichquartett op. 28, e la Sinfonia op.21 che
Dionisi conosceva benissimo.
Figurano infatti alcune espressioni madrigalistiche come in
Perch’al viso su testo del Petrarca un’opera giovanile (1934)
ma soprattutto in Io tacerò del 1966 su testo di Gesualdo da
Venosa, un chiaro omaggio al madrigale gesualdiano.
La partitura, come si può notare dall’esempio riportato, si
presenta senza battute; si potrebbe pensare a una prassi di
scrittura arcaica dove le stanghette di battuta non erano presenti,
o ancora al fraseggiare tipico del canto cristiano monodico con
cellule melodiche che alternano gruppi binari e ternari. «Del resto
– afferma Zanolini – il repertorio gregoriano in ogni suo aspetto è
sempre ‘faro’ stilistico per Dionisi!».8 A conferma di questo è lo
stesso Dionisi che nella terza antifona ricorre al melos gregoriano.
Egli stesso così si esprime a questo proposito: «Per la parte finale
ho usato – a guida dell’invenzione – il testo originale gregoriano
– ma con un taglio ritmico più vario».9
E ancora Zanolini così commenta: «Appena l’organico lo
permette, perché limitato, egli neppure usa le stanghette di
battuta, giudicandole inutili e fuorvianti; nei casi di organico
più vasto, invece, le stanghette sono usate, ma come semplice
aiuto esecutivo e non condizionano di certo il pensiero
musicale».10
Anche il repertorio profano possiede una sua connotazione
ben precisa, grazie a un’evidente accentuazione del
madrigalismo e ai prestiti della tradizione orale sia per quanto
riguarda le suggestioni musicali, sia per quanto riguarda la
scelta dei testi.
26
Premio Reina Sofia
a Giovanni Bonato
La Spagna ha reso
omaggio all’italiano
Giovanni Bonato
assegnandogli il
primo premio alla
XXVII edizione del
“Premio Reina
Sofia” per la
Composizione
Musicale.
Il prestigioso
premio è stato
istituito nel 1982
dalla fondazione
Ferrer-Salat per
promuovere la musica contemporanea ed è uno dei
più importanti riconoscimenti cui possa aspirare un
compositore.
Ottantasette in tutto le partiture presentate,
provenienti da 17 paesi. L’opera di Bonato è giunta
in finale assieme a AEther - For Choir and orchestra
dello svedese Kent Olofsson e a Ecos de un color
del cileno Miguel Farías Vázquez. Le tre composizioni
sono state eseguite al Teatro Monumental di Madrid
dall’orchestra dell’RTVE sotto la direzione di José
Luis Temes il 30 settembre. La giuria, dopo aver
esaminato le partiture e ascoltato l’esecuzione, ha
assegnato il premio a Dar Gaist ist heüte kemmet (lo
Spirito Santo arriva oggi), premio che è stato
consegnato nelle mani del compositore dalla stessa
regina Sofia di Spagna.
L’opera premiata è un omaggio personale dell’autore
alla cultura e alla gente dell’altipiano di Asiago,
basato su una preghiera popolare per la festa di
Pentecoste che mescola elementi sacri e profani.
Ha colpito la commissione il ruolo del coro, per la
sua complessità e per la particolare collocazione
nello spazio, che, come avviene frequentemente
nelle composizioni di Bonato, coinvolge il pubblico in
una singolare esperienza acustica.
Il riconoscimento fa onore alla coralità e alla musica
italiana e conferma le peculiari doti di compositore
di Giovanni Bonato. A lui le felicitazioni di Feniarco e
del Comitato di Redazione di Choraliter, con
l’impegno di ritornare più diffusamente, nei prossimi
numeri, su questo importante avvenimento e sulle
sue opere corali.
In Quant’è bella giovinezza, testo senza dubbio il più celebre di
Lorenzo il Magnifico, tratto dai Canti carnascialeschi, il
procedere della composizione qui trattata prevalentemente in
omoritmia tipico delle frottole carnascialesche rinascimentali. La
scrittura di queste partiture suggerisce di pensare a un organico
corale più piccolo (se non addirittura in parti reali), questo per
poter rendere più agile il fraseggio e plasmare via via i vari
momenti pittorici suggeriti dal testo.
Vorrei concludere questo breve intervento con le parole di
Renato Dionisi: «Per fare il musicista sul serio, come
professionista si esigono due cose: bisogna ricordarsi che l’arte
è artigianato e che si deve imparare un mestiere; in secondo
luogo che bisogna amarlo. È questo un binomio inscindibile e
una condizione assolutamente necessaria».11
I frammenti musicali sono stati gentilmente messi a disposizione
delle Edizioni Musicali Europee che ne stanno curando una
pubblicazione.
compositorE
27
lauda anima mea
Celestino Eccher, Messa “S. Cecilia” a due voci
bianche e organo. “Specie Tua” Mottetto a quattro
voci e organo. “Improperium per coro misto e
organo. Renato Dionisi, Missa Brevis per coro misto
a cappella. Lauda anima mea per coro misto a
cappella. Justorum animae per coro misto a cappella.
“Offertorio” dalla Messa di Requiem per coro misto
a cappella. Antifone per coro misto e arpa. Huic ergo
parce Deus per coro misto a cappella. Salmo 50 per
coro misto e organo. Arabeschi per organo (Simone
Vebber, organo). Segni, suoni, silenzi per arpa sola
(Marta Garcia Gomez, arpa).
Coro Filarmonico Trentino – direttore, Sandro Filippi.
Quarantesimo della morte del
maestro, decennale di quella
dell’allievo prediletto che oggi
avrebbe un secolo di vita. Tutto in
un programma: nel segno della
musica sacra, declinata per coro
da due storici compositori trentini
legati da rapporti di discepolanza.
L’impaginato di Sandro Filippi,
estremo lembo (come allievo di
Dionisi) di una lezione didattica di
forte impronta pratica e mai evasa
gratitudine per la storia del più
caratteristico stile polifonico
italiano, impone la bellezza delle
musiche accostate e la rara e preziosa competenza
esecutiva del Coro Filarmonico Trentino.
In avvio, le eleganti composizioni anni Quaranta di
monsignor Celestino Eccher danno un’immediata
sensazione di trovarci di fronte a un autore di forte e
serena impronta classica. Lo esprime bene l’arco
espressivo pacato e solido dei numeri della spiccia
Messa: frasi ben tornite, alternanza di brevi incipit
solistici e scorrevoli armonizzazioni e più voci, fedeli
all’antica regola musicaltridentina del audiri ad percipi:
far capire il senso oltre che le sillabe dei versetti
dell’Ordinario. Il medesimo principio palestriniano,
rammodernato nei tratti armonici, regola la fattura più
mossa, con brevi dialoghi tra i reperti vocali,
dell’intenso Mottetto mariano e del successivo
Improperium, articolati con pregevole levigatezza,
varietà di colori e morbidezza cantabile dal coro.
Con intenzionale accostamento, la selezione di lavori
omologhi di Dionisi – quasi tutti per voci a cappella;
ma l’impaginazione scaltra propone anche due lavori
per strumento solo che integrano il profilo stilistico
d’autore – si apre con la Missa brevis (1976): è facile
riconoscere i lasciti degli insegnamenti di Eccher
quanto apprezzare la caratteristica essenzialità e
pregnanza della scrittura dell’allievo roveretano. Con
Dionisi le voci spaziano maggiormente, sia quando
insistono sui registri acuti sia per la sofisticata
“recitazione” del testo che viene puntualmente
ridistribuito in microepisodi interni. Meno compunta è
anche la tavolozza armonica che modaleggia, ma senza
far mai mancare all’edificio polifonico la compattezza
accordale. Pur attenendosi a un’interpretazione
controllata e devota dei testi, Dionisi riesce sempre a
creare una “tinta” specifica per ogni pezzo: la
pacatezza assaporata nel Lauda anima mea fa spiccare
il confronto con più frastagliato sentimento sacrale
espresso nel Justorum animae – quasi che l’ombra delle
“malitiae”, e l’ansia del loro superamento segni
cromaticamente l’itinerario di affrancamento – e la più
teatrale declamazione del Domine Jesu Christe (già
esperita nel basaltico ma scorrevole Salmo 50 che
certifica debiti e autonomia d’artista rispetto al maestro
Eccher, anche nella quaresimale versione per organo
che Filippi ha tratto dall’originale per orchestra).
Più costruita, anche per la presenza dialogante
dell’arpa che suggerisce una distribuzione delle parti
più animata e un’assonanza armonica più moderna è il
tessuto musicale delle Antifone, non a caso una delle
ultime composizioni scritte. Quanto sia fallace mettere
in semplicistica relazione la cronologia con lo stile
eclettico di Dionisi, non dimostrativo quanto
francescanamente attuale e imprevedibile, speziato da
leggeri e divertititi madrigalismi, lo mostra
l’accostamento con l’importante Arabeschi per organo,
interpretato con estro da Simone Vebber che esalta le
voci del brillante strumento della Filarmonica di Trento.
Ma che gli anni settanta di Dionisi (Arabeschi è del
1997) siano stati una stagione di speciale libertà
creativa, e in cui certe raffinate derive lessicali e di
gusto francese trasmigravano dalla scrittura
strumentale a quella vocale lo ribadisce la superficie
corale vivace e volatile, variegata e intessuta di
arcaismi magici del Huic ergo parce Deus che in poche
pagine di musica essenziale e intellettualmente acuta
pare racchiudere l’idioma musicalmente sapienziale ma
pudico e aristocraticamente “pratico” dell’artigiano
Dionisi. Il maestro maneggia le voci con la sicurezza
tecnica e l’umanità di chi, agli uomini di buona volontà
che hanno la passione per il canto, ha sempre dedicato
particolare affetto. E ha saputo trasmetterlo agli allievi
sensibili come Filippi.
Angelo Foletto
LE TROIS CHANSONS
DE CHARLES
D’ORLEANS
claude
DI CLAUDE DEBUSSY
di Marco Cimagalli
compositore e direttore di coro
docente di esercitazioni corali
al conservatorio di roma
docente di analisi musicale
al pontificio istituto di musica sacra
Esiste un aspetto della vita artistica di Claude
Debussy non molto conosciuto: quello di
direttore di coro. Dal 1894, infatti, curò per
alcuni anni la preparazione di un coro
amatoriale organizzato dalla famiglia
Fontaine, presso una cui proprietà si tenevano
le prove; tale coro gli era stato affidato anche
per aiutarlo in un periodo di ristrettezze
economiche. Una giovane donna accolta nel
1898 come nuovo membro ne serbò un
ricordo molto bello, tratteggiando un inedito
ritratto del compositore mentre, con angelica
pazienza, istruiva i coristi ricorrendo anche
alla preparazione individuale.1
Proprio nel 1898 il compositore scrisse due
Chansons (Dieu! qu’il la fait bon regarder! e
Yver, vous n’estes qu’un villain, divenute poi
la prima e la terza del piccolo ciclo),
dedicandole a Lucien Fontaine, colui che
aveva lanciato l’idea del coro famigliare. Solo
a distanza di dieci anni, nel 1908, l’autore
compose Quant j’ai ouy le tabourin e fece
stampare le Trois Chansons dall’editore
Durand. A posteriori, possiamo constatare
come la pubblicazione di questo lavoro per
coro a cappella costituisca una preziosa
eccezione all’interno della produzione del
musicista francese, in quanto, a parte i lavori
nei quali il coro (femminile, maschile, misto o
di sole voci bianche) è impiegato in
combinazione con strumenti, Debussy
compose a cappella solo un paio di inediti.2
La prima esecuzione pubblica delle Trois
Chansons, sotto la direzione dell’autore, ebbe
luogo a Parigi nel 1909 a opera dell’ensemble
Engel-Bathori, lo stesso che, nel 1917, eseguì
per la prima volta le Trois Chansons di
Maurice Ravel.
Fin dal titolo, colpisce un certo arcaismo dal
“profumo” squisitamente francese, che
nova et vetera
29
traspare sia dal genere stesso della Chanson (basti ricordare, per esempio, le celebri Chansons
rinascimentali di Clément Janequin), sia dalla scelta dei testi, scritti oltre quattro secoli prima da
un raffinato poeta appartenente alla dinastia dei reali di Francia.3 Ciò riflette una tra le tendenze
della cultura musicale francese a cavallo di secolo: la rivisitazione del proprio passato preromantico, sia barocco che rinascimentale, al fine di trovarvi una linfa in grado di ravvivare
l’estetica e il linguaggio.4 Anche il ricorso di questi brani corali alla modalità – una modalità
moderna, eterogenea, non priva di contaminazioni con il linguaggio tonale – è indice di un
fecondo contatto con il passato.
I versi della prima Chanson esprimono una delicata e intensa contemplazione amorosa: il poeta
non si stancherebbe mai di guardare la donna amata, la cui bellezza, di cui non c’è pari né al di
qua né al di là del mare, sembra rinnovarsi ogni giorno. La musica riveste morbidamente il testo
e l’interpretazione dovrebbe prevedere una certa elasticità del tempo, particolarmente nei punti
di cesura fraseologica.5 Prevale un declamato sillabico, increspato da alcune rapide figurazioni,
prevalentemente in terzine, che sembrano alludere alla grazia femminile continuamente evocata.
L’assetto corale è tendenzialmente omoritmico, arricchito dalla presenza di lievi sfasature tra le
voci o di alcune loro entrate in successione,
particolarmente in un episodio; viene evitato,
però, il ricorso all’artificio contrappuntistico
dell’imitazione, ben poco amato dal
compositore fin dai suoi studi giovanili e
utilizzato in queste Chansons soltanto nella
terza. La struttura formale complessiva è
caratterizzata dal ritorno variato del segmento
iniziale, che si ripresenta sia al centro della
composizione (dove si verifica il susseguirsi
delle entrate, dall’acuto al grave, a cui ho
fatto prima riferimento) che nella sua ultima parte (Più lento, quasi una piccola coda), dove
viene operata una sintesi delle due apparizioni precedenti. All’ascolto il flusso musicale sembra
procedere per ondate successive di diversa ampiezza; si notino, in proposito, il disegno
melodico delle sezioni corali – particolarmente quello dei soprani, che iniziano e terminano ogni
arco melodico con la finalis modale del pezzo, il fa diesis – e l’oscillazione dinamica, che, senza
mai oltrepassare il mf, tende a crescere dal p/pp per poi ritornare al livello di partenza.
A proposito di ondate, si può osservare come, in coincidenza con il fugace accenno poetico al
mare (la cui immagine, peraltro, ha sempre suggestionato il compositore), vi sia un breve
ondeggiamento di tutta la compagine corale; tale risultato è il frutto del movimento parallelo
delle parti e di un particolare impiego dei segni dinamici e di fraseggio.
Nella seconda Chanson, probabilmente la più interessante e originale, il clima espressivo sembra
sdoppiarsi su due livelli simultanei: in primo piano, il languore di chi preferisce resistere ai vivaci
richiami del mondo esterno, rimanendo nella propria camera in uno stato di dormiveglia, senza
nemmeno alzare la testa dal cuscino; sullo sfondo, la vita allegra e pulsante che preme verso
l’interno – caratteristico è il suono del tamburello, che invita a un’antica festa rituale francese
associata alla data del primo maggio. Debussy utilizza qui un organico vocale lievemente
diverso rispetto a quello dei brani adiacenti: spicca la presenza di un contralto solista, l’unica
voce alla quale sia affidato il compito di cantare il testo poetico, mentre tace per tutto il pezzo
la sezione dei soprani, cosicché il colore timbrico dell’insieme diventa più scuro e “caldo”.6
E il coro cosa canta? Prendendo spunto dall’imitazione, sia pure stilizzata, del suono del
tamburello, innanzitutto ripete “la la la…” prevalentemente in staccato (in un episodio si trova,
ai tenori, la variante timbrica “lon lon lon…”), sollecitando sonorità dal sapore arcaico grazie a
numerosi accordi contenenti quinte vuote (cioè senza la terza). Interviene, inoltre, con
vocalizzazioni sulla vocale “a” dal carattere più melodico, nonché con ipnotiche fluttuazioni a
bocca chiusa fra due note contigue e, ancora, con note lungamente tenute basate sempre sulla
vocale “a”. Questo tipo di scrittura corale, che in parte si riallaccia a procedimenti onomatopeici
impiegati in numerose composizioni rinascimentali, anticipa alcuni aspetti che, nel corso del
Novecento, saranno diffusamente utilizzati; rivela, inoltre, un pensiero compositivo dal taglio
quasi orchestrale, come si può evincere, per esempio, dalla stratificazione di linee per lo più
de
La musica riveste
morbidamente il testo.
30
Note
1. Worms de Romilly, Debussy
professeur, par une de ses élèves,
in «Cahiers Debussy», 1978,
pp. 3-10.
2. Choeur des brises, per coro
femminile con soprano solo, del
1882 circa, e Noël pour célébrer
Pierre Louÿs «pour toutes les voix y
compris celle de peuple», su testo
proprio, del 1903.
3. Charles, duca d’Orléans, nipote
di Carlo V e padre di Luigi XII, visse
tra il 1394 e il 1465, trascorrendo
ben venticinque anni prigioniero in
Inghilterra.
4. Circa l’ambientazione
rinascimentale (assai vaga e non
certamente filologica) delle Trois
Chansons, così come circa altri
aspetti di tale ciclo – aspetti che
non è possibile approfondire in
questo breve articolo – si rimanda
a: M. Uvietta, Le Chansons de
Charles d’Orléans di Claude
Debussy, «La Cartellina», XXI, 1997,
n. 109, pp. 25-35; n. 110, pp. 15-21.
5. A beneficio dei direttori di coro
che fossero interessati a
confrontarsi con alcune proposte
interpretative relative a questa
prima Chanson segnalo l’articolo di
Stéphane Caillat, Le geste du chef
de chœr. Analyse de sa mise en
œvre dans l’inteprétation d’une
chanson a cappella de Debussy,
«Dieu! qu’il la fait bon regarder!»,
in «Analyse musicale», n. 10,
1988/1, pp. 31-34.
6. Nel manoscritto, in realtà,
Debussy indicò come voce solistica
quella di un tenore;
successivamente, in occasione della
pubblicazione, avvenne la
sostituzione con la voce di un
contralto.
indipendenti tra loro, spesso costituite
dalla reiterazione di brevi figure.
La composizione si articola in tre parti,
ciascuna delle quali comincia con gli
stessi versi (“Quando ho sentito il
tamburello suonare…”) musicati in
maniera tale che, mentre la linea del
solista rimane sostanzialmente identica,
varia il sottostante tessuto corale.
Nell’ultima sezione, dove l’analogia
testuale con l’inizio è completa, la
melodia del contralto solista, dopo aver
inizialmente ricalcato il cammino già
percorso, rimane incantata sopra una
sola nota, mentre il tempo diviene un
poco più lento (Più ritenuto) e la
dinamica – sempre piuttosto soffusa,
eccettuate poche misure collocate
all’incirca a metà pezzo – diminuisce fino
al ppp, comunicando così quel senso di
esangue abbandono suggerito dalla
poesia. La nota sulla quale approda il
canto solistico e che rappresenta la
finalis della Chanson costituisce un
elemento di continuità con il brano
precedente: infatti entrambi i pezzi si
basano sul fa diesis, con la differenza
che il modo d’impianto della prima
Chanson è di tipo maggiore, mentre
quello della seconda è di tipo minore.
L’avvio della terza Chanson si differenzia
nettamente da quello delle precedenti
per la veemenza con la quale viene
interpretato il primo, ironico verso della
poesia (“Inverno, non siete che un
villano”) con dinamica f/ff. Poche battute,
però, e si è subito trasportati in una
regione poetico-sonora totalmente
differente, dove canta dolcemente un
quartetto di solisti, che si alterna, quasi
impercettibilmente, con tutto il coro: è
l’estate, “piacevole e gentile”, che riveste
i campi di erba e di colori. La Chanson si
fonda, dunque, sul contrasto tra l’inverno
e la bella stagione, e musicalmente tale
opposizione si realizza attraverso una
pluralità di mezzi: ogni richiamo
all’inverno è caratterizzato dall’impiego
dell’intera compagine corale e da una
scrittura dinamicamente frastagliata,
comprendente procedimenti imitativi (in
particolare nella ripresa del motivo
iniziale, dove spicca la successione delle
entrate dal grave all’acuto) all’interno di
un’impostazione modale di tipo minore,
corrugata da passaggi fortemente
cromatici (in corrispondenza delle
immagini della neve, del vento e della
pioggia); i versi dedicati all’estate sono
invece prevalentemente cantati dal
quartetto solistico, che dispiega una
cantabilità morbida e distesa entro
un’impostazione modale di tipo maggiore
e luminosamente diatonica. Il finale, in
cui è molto efficace l’accumulo di
tensione direzionato verso l’ultimo
accordo, prevede un si acuto tenuto in
falsetto dai tenori al di sopra del
movimento delle altre voci; tale nota
viene quindi passata alla sezione dei
soprani, continuando ad accompagnare il
crescendo fin quasi alla conclusione del
brano.
Tra le registrazioni discografiche in
commercio di queste brevi perle corali
del primo Novecento, segnalo quella dei
The Cambridge Singers diretti da John
Rutter e quella del Monteverdi Choir
diretto da John Eliot Gardiner, entrambe
notevoli per la qualità vocale e per la
limpidezza esecutiva. Interessante, in
particolare, è il confronto tra le due
interpretazioni della seconda Chanson,
non solo per il tempo prescelto (più
veloce, forse anche troppo, quello del
Monteverdi Choir), ma, specialmente, per
il fatto che nell’incisione dei The
Cambridge Singers la voce solistica è
quella di un tenore (cfr. nota n. 6).
Incisioni discografiche
Cambridge Singers A Cappella
Britten, Schumann, Ravel,
Debussy and Poulenc
The Cambridge Singers
dir. John Rutter
Collegium Records, 1993 (©2002)
Fauré: Requiem
Debussy, Fauré, Ravel, Saint-Saëns:
Choral Works
Monteverdi Choir, etc.
dir. John Eliot Gardiner
Philips, 1994
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
31
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan,
39
tel. 0434 876724 - [email protected] - www.feniarco.it
5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000 5x1000
0
0
0
1
5
O
C
R
A
I
N
FE
E
P
5x1000
5x1000
5x
R
10005
10005x
ia
l
a
t
i
n
i
e
l
a
i
r
lità amato
la cora
x10005
x10
005x1
005x10
0005x1
00
05x10
05x100
005x10
Sostieni FENIARCO
e firma nell’apposito spazio della
dichiarazione dei redditi riservato al sostegno
delle Associazioni di Promozione Sociale (A.P.S.)
che trovi nei modelli 730, UNICO e CUD,
indicando a fianco il nostro codice fiscale:
92004340516
www.feniarco.it
00
nativitas
christm
a christmas festival
a cura di Mauro Zuccante
Natale e coro di voci bianche. Un’usuale accoppiata in virtù della quale si moltiplicano gli
appuntamenti musicali in questo particolare momento dell’anno.
Una consuetudine alla quale non si sottraggono I Piccoli Musici di Casazza. Il coro, compagine
d’eccellenza (ma vorrei sbilanciarmi molto di più) nell’ambito complessivo della musica corale
italiana, vanta la partecipazione a prestigiosi eventi. Tra gli altri, I Concerti di Natale in Vaticano
e nella Basilica superiore di Assisi, teletrasmessi in eurovisione. Ripetute esperienze che portano
al consolidamento di un repertorio. Un repertorio che merita di essere fissato in un album.
Ecco, pertanto, l’uscita di questa nuova antologia di brani natalizi; naturale prosecuzione del
fortunato cd Christmas Songs, pubblicato nel 2000, per l’etichetta Stradivarius.
Il titolo, Nativitas - A Christmas Festival, ben riassume il contenuto. La parola latina richiama la
tradizione europea. Ma l’espressione inglese sottolinea che gli antichi inni natalizi rivivono nelle
moderne vesti corali messe a punto da autori-arrangiatori di provenienza soprattutto
anglosassone (inglese e americana).
choraldisC
Dalla lista emergono i nomi di
Peter J. Wilhousky, Leroy Anderson,
David Willcocks, Mac Huff; e non
da ultimo (anzi per primo, verrebbe
da dire) quello di John Rutter, il cui
successo nel panorama della
musica corale attuale
internazionale è supportato da
un’innegabile perizia nel sapersi
calare in quella particolare
atmosfera espressiva, che definirei
Christmas-sound (mi si conceda
l’invenzione del termine).
Christmas sound, ovvero un
peculiare clima sonoro, tenero e
carezzevole, fusione di voci di fanciulli e di strumenti, confezionato
per evocare l’immaginario musicale collettivo sul tema del Natale e
le suggestioni che ne conseguono. Eppure, sotto la natura unificante
di questa tipica maniera espressiva natalizia, sono inclusi brani che
si differenziano per carattere musicale e forma di arrangiamento.
Si va dalla tradizionale carola di andamento pastorale (In dulci
jubilo), alla rock-song (A Jingle Bell Christmas), al medley poliedrico
(A Christmas Festival); dal semplice adattamento corale a cappella
(Carol Of The Bells), ad accostamenti di organico più ricercati, voci e
arpa (Angelus ad Virginem, Coventry Carol, Personent hodie), alla
generosità sonora di voci, organo e ottoni (Adeste fideles, Once In
Royal David’s City), alle magniloquenti combinazioni timbriche di
coro e orchestra (Angel’s Carol, Donkey Carol, Nativity Carol,
A Christmas
Festival).
All’interno
dell’ampia cornice
dei carols
tradizionali trovano
collocazione tre
opere originali per
coro a cappella di
compositori italiani
(Orlando Dipiazza, Riccardo Giavina e Mauro Zuccante) e un
arrangiamento di Pablo Colino. Con esse il quadro del Natale si
allarga a una visione più ampia, fino a includere il tema mariano
(Ave Maria e Magnificat) e del Santo patrono d’Italia, inventore del
presepe e apostolo di pace (Laudes creaturarum).
Si apprezzi come I Piccoli Musici di Casazza, sapientemente
ammaestrati dal raffinato gusto musicale di Mario Mora, sappiano
tradurre in emozioni questi canti con squisita duttilità vocale.
Il nome è conforme alla loro bravura. Non sono semplici cantori, ma
musici. Portano con sé il bagaglio di più ampie competenze
acquisite nella scuola di musica della quale sono fiore all’occhiello.
Una scuola di musica nella quale il canto corale è giustamente
considerato attività fondamentale per la formazione dei giovani
musicisti.
Christmas sound,
ovvero un peculiare
clima sonoro.
mas
33
Nativitas
A Christmas Festival
Adeste fideles, tradizionale,
arr. D. Willcocks
Once in Royal David’s City,
H. Gauntlett (1805-1876),
arr. M. Lanaro / D. Willcocks
Angelus ad Virginem, melodia del secolo
XIV, arr. J. Rutter
Coventry carol, melodia del secolo XVI,
arr. J. Rutter
Personent hodie, melodia del secolo XVI,
arr. J. Rutter
In dulci jubilo, tradizionale, arr. J. Rutter
Madre en la puerta, tradizionale,
arr. P. Colino
Carol of the bells, M. Leontovich
(1877-1921), arr. P.J. Wilhousky
Laudes creaturarum, M. Zuccante (1962)
Ave Maria, R. Giavina (1937)
Magnificat, O. Dipiazza (1929)
A jingle bell Christmas, J. Beal (1900-1967),
arr. M. Huff, M. Zuccante
Angels’ carol, J. Rutter (1945)
Donkey carol, J. Rutter (1945)
Nativity carol, J. Rutter (1945)
A Christmas festival, L. Anderson
(1908-1975)
I Piccoli Musici
Mario Mora, direttore
Luigi Panzeri, organo
Francesca Tirale, arpa
Denise Isonni, pianoforte
Stefano Mora, clarinetto
Gruppo di Ottoni dell’Istituto Superiore
di Studi Musicali Gaetano Donizetti di
Bergamo diretto da Ermes Giussani
Orchestra Carlo Antonio Marino diretta
da Natale Arnoldi
Registrato presso la
Chiesa parrocchiale San Vittore
Gaverina Terme,
24-25 aprile / 5-6 giugno 2010
34
CAROLS & CHRISTMAS
di Marco Rossi e Gian Nicola Vessia
musicologi e consulenti delle edizioni carrara
Spesso è più semplice fare musica che descriverla.
I carols sono uno dei repertori ai quali ci dedichiamo da
decenni, forse precursori (insieme a pochi altri) di
queste scelte di repertorio già dalla fine degli anni ’80
del secolo scorso. In Friuli, in vista di un concerto
natalizio e delle successive celebrazioni, tra i primi
abbiamo proposto Hark! The herald angels sing con il
suo discanto nella versione arrangiata da sir David
Willcocks. E l’argomento ritorna, puntualmente, non solo
a Natale. Per noi è motivo di discussione, di ricerca, di
proposta per tutto l’anno.
Provate a cercare sul web una registrazione video
proprio di Hark! The herald angels sing fatta nella
cattedrale londinese di St. Paul nella citata
elaborazione. Il direttore con un movimento sobrio ed
elegante si rivolge prima a coro e orchestra, poi
all’assemblea che letteralmente inonda le navate del
tempio religioso. Un delicato gesto della bacchetta. Un
preciso levare, l’orchestra inizia e… tutti cantano. Tutti!
Questo è il carol. Tecnicamente si tratta di un canto
festivo, non sempre correlato alla celebrazione liturgica.
Il carol ci riporta a una serie di molteplici definizioni e
relazioni: contenuto narrativo, contemplativo o
celebrativo, spirito semplice e forma strofica. Oggi,
ormai nell’immaginario collettivo, il carol si identifica
con il repertorio di canti per l’Avvento e per il Natale.
Più raramente per il periodo di Pasqua.
Il termine, etimologicamente, deriva da una forma
profana, da un tipo di danza fatta in cerchio da cui, per evoluzione del termine circle si arriva
alla parola carol. Da qui poi il carol viene utilizzato per la creazione di celebrazioni religiose, anzi
per quello che il mondo anglosassone definisce festival, evento che propone letture, preghiere e
soprattutto canti, ovvero carols, ove è frequente e importante la partecipazione assembleare.
Tra i più importanti eventi di questo genere ricordiamo A festival of Lessons & Carols a cui ci ha
abituato in maniera eccellente il King’s College
Choir di Cambridge (ma non solo) con diverse
preziose registrazioni.
Questa sorta di celebrazione con inni e letture
segue una forma che ha origine nei primi
decenni del Novecento in Inghilterra. È una sorta
di racconto che si apre con la frase più tipica:
«c’era una volta», e infatti il primo carol che
viene proposto tradizionalmente è Once in Royal
David’s city. Il coinvolgimento di direttori musicali diversi ha così permesso anche una sorta di
aggiornamento ed evoluzione del repertorio, sempre nel grandissimo rispetto della forma, della
cantabilità e della trasmissibilità del messaggio del Natale.
A livello compositivo il carol infatti si perde nella notte dei tempi. Tra le antiche raccolte che
citano fonti e originali non va infatti dimenticato The Penguin Book of Christmas Carols a cura
Questo è il mondo
dei carols!
choraldisC
di Elizabeth Poston. Un testo
fondamentale che raccoglie
numerose melodie, ma anche un
importante saggio musicologico con
fonti e prassi esecutiva di questo
repertorio. Altrettanto importanti le
raccolte di carols, quasi tutte
proposte dall’inglese Oxford
University Press: si tratta di
ricchissime collezioni di
composizioni antiche e moderne tra cui svetta l’edizione del
1928 a cura di Ralph Vaughan Williams con nuove edizioni
firmate dal citato Willcocks, ma anche da Stephen Cleobury,
John Rutter e così via. E qui il mondo moderno attinge a piene
mani dalla tradizione. Numerosi i carols composti tra
Ottocento e Novecento. E ci colleghiamo, quale
esemplificazione a questo punto, al citato Festival of Lessons
& Carols.
A fianco degli antichi carols sono state proposte nuove
composizioni nello stesso stile con nuovi discanti, nuove
armonizzazioni, nuove elaborazioni e strumentazioni: O come
all ye faithful (Adeste fideles), Sussex Carol, Star Carol nella
splendida scrittura di John Rutter; e ancora Hark! The herald
35
angels sing, una sorta di piccolo capolavoro che, dalla
scrittura di Felix Mendelssohn con le parole di C. Wesley e
G. Whitefield, ha trovato splendide aggiunte di discanti a
opera di sir David Willcocks e Philip Ledger.
E potremmo proseguire ricordando le diverse fonti che
accomunano i canti natalizi e che vengono definiti carols, dalla
tradizione anglosassone a quella innodica tedesca, a quella
americana.
Certo è che il messaggio fondamentale è sempre quello dello
spirito corale. Se cercate il video del King’s College Choir di
Cambridge che propone il suo Festival of Lessons & Carols
verrete rapiti immediatamente dall’introduzione: nella cappella
quattrocentesca, icona architettonica tra le più suggestive al
mondo, una voce bianca intona il versetto narrativo nella parte
della cappella alle spalle dell’organo. Poi si associano le altre
voci, inizia il corteo che, processionalmente, si indirizza verso
la parte pubblica della cappella. Il coro scorre lentamente
sotto il grande organo, e nelle ultime strofe interviene
l’assemblea mentre il coro propone il suo tradizionale
discanto. Il carol è cantato da tutti i presenti. Questo è il
mondo dei carols!
John Rutter_________
In un’intervista rilasciata nel 2003, nel corso della trasmissione 60
Minutes John Rutter ha affermato di non essere molto praticante, ma
essere tuttavia ispirato dalla spiritualità dei versi sacri e delle preghiere.
In effetti il nome del compositore inglese è associato alla musica sacra,
grazie alla sua numerosa produzione corale di carattere liturgico o più
genericamente religioso, comprese frequenti incursioni sul terreno della
musica di tradizione, come il carol.
Nato a Londra il 24 settembre 1945, Rutter ha studiato all’Highgate
School, dove ebbe compagno di corso un altro nome importante della
musica corale inglese, John Tavener. Successivamente ha studiato anche
al Clare College di Cambridge, diventando poi docente di organo e di
direzione corale, dal 1975 al 1979, nello stesso istituto.
La sua attività di direttore di coro lo ha portato, nel 1981, a fondare i
Cambridge Singers, formazione con cui lavora ancor oggi, incidendo un
vasto repertorio di musica sacra che comprende anche le proprie
composizioni.
La sua produzione, prevalentemente corale, comprende opere molto
estese e con ampi organici, come il Gloria e il Requiem, ma anche
numerosissimi brani a cappella o accompagnati dall’organo o dal
pianoforte: sono soprattutto questi ultimi, molto eseguiti dai cori, a fare
di Rutter uno dei più noti ed eseguiti compositori corali del mondo.
In effetti il suo successo commerciale è enorme: si stima che la sua
Shepherd’s Pipe Carol, scritta quando era ancora studente, abbia venduto
oltre un milione di copie soltanto di partiture.
36
Giorgio Federico Ghedini
e il coro della SAT di Trento
di Enrico Miaroma
direttore del coro di voci bianche garda trentino e advisor di ifcm
Cosa può muovere un compositore settantenne ormai
famoso e affermato in Italia e all’estero come Giorgio
Federico Ghedini, direttore del conservatorio di Milano,
con una ricca produzione orchestrale, operistica e di
musica da camera alle spalle, a comporre due
elaborazioni di canti popolari risorgimentali dedicandole
al coro trentino della SAT?
È il 5 maggio del 1962 e a Milano il coro della SAT si
esibisce in un concerto al Conservatorio G. Verdi. Il
compositore Giorgio Ghedini (Cuneo 1892 - Nervi,
Genova 1965), fino a quell’anno direttore dello stesso
conservatorio, viene invitato al concerto dall’amico e
collega Guglielmo Barblan, musicologo e responsabile
della biblioteca del conservatorio, che così scriverà di
quella serata: «l’autore di alcune tra le più belle pagine
corali della musica contemporanea fu talmente trascinato
da quelle esecuzioni da trasalire o commuoversi e
applaudire alla fine di ogni pezzo con lo stesso calore
del pubblico che affollava sino all’inverosimile la sala».
Ecco la risposta alla nostra domanda iniziale!
L’entusiasmo e la commozione che Ghedini prova durante
le esecuzioni è il motivo che lo porterà a scrivere la sera
stessa due elaborazioni corali per il coro trentino.
Appena tornato a casa, Ghedini sceglie infatti due canti
risorgimentali, li elabora per coro maschile a quattro voci
e già al mattino dopo è nello studio di Barblan con le due
partiture da far avere ai coristi trentini con un messaggio:
«…e dica loro che vi facciano tutte le modifiche che
vogliono: fatte da loro, le accetterò sempre».
Ricordando l’episodio Barblan ha commentato: «Era un
elogio raro, il massimo che un musicista di quella statura
poteva fare».
I due canti sono Rosa d’aprile e Son morti per la Patria.
Rosa d’aprile
Si tratta di un canto popolare del Risorgimento. Il testo
di questa canzone, scritto dal poeta toscano Francesco
Coppi, fa parte della “fiorita patriottica”, la ricca
produzione di versi che accompagna i due momenti
culminanti del Risorgimento, il Quarantotto e il
Cinquantanove. Autentica e tipica espressione della
poesia romantico-risorgimentale, il testo fu adattato sulla
melodia di un antico stornello toscano ed entrò nella
tradizione popolare. Testo e musica sono raccolti nel
volume Ricordi ed affetti di A. d’Ancona (Treves, Milano
1908).
Analisi
Scritto nella tonalità di si bemolle maggiore, il brano ha
come elemento di collegamento tra le varie strofe una
sorta di ostinato, sotto forma di semiminime con
acciaccatura, a volte inferiore e talvolta superiore,
vocalizzato con un “Ah!” che ricorda un lamento, di
grande intensità espressiva.
L’inizio, nella sua sobrietà di mezzi, è forse la parte più
carica di tensione e di una sensazione di sospensione
indefinita dell’intero brano. Per ben 41 battute l’elemento
della semiminima con acciaccatura viene usato dai
baritoni e bassi all’unisono a fare da ostinata pulsazione
sulla dominante, lasciando in tutta evidenza la linea della
melodia affidata ai tenori.
L’attesa sulla dominante, così a lungo lasciata in
sospeso, sfocia poi come una liberazione nel ritmico ed
esplosivo “Rosa d’april regina dei fior d’Italia i color tu
porti con te”, esposto omoritmicamente dal coro.
canto popolare
37
Il finale è costruito su un pedale di dominante di sei battute
affidato ai bassi “sventolerà per questo nostro cielo”, che
risolve sulla tonica “rosa d’april regina dei fior”, dove Ghedini
riprende il ritornello a conclusione della elaborazione.
È quindi il turno dei tenori primi a fare da pulsazione sulla
dominante, all’inizio e in più libero gioco armonico
successivamente, mentre i tenori secondi hanno la linea
melodica sostenuta armonicamente dalle altre due voci
inferiori.
Son morti per la Patria
È un canto popolare del Risorgimento, che oltre al coro della
SAT, è entrato a far parte del repertorio di altri cori come il
coro A.N.A. di Milano. Il manoscritto della trascrizione,
operata nel 1962 da Giorgio Federico Ghedini, porta la
specifica di “Canto popolare del Risorgimento”. La scomparsa
del maestro impedisce di documentare tale origine. Secondo
il critico musicale Andrea Della Corte il testo è stato
liberamente adattato sul motivo di una canzone catalana.
Analisi
Il brano ha un andamento solenne, che acquista un carattere
ancora più grave dal momento che è scritto nel modo di fa
minore. La scrittura corale è a quattro voci, ma le stesse sono
trattate da Ghedini a momenti all’unisono (vedi l’inizio).
Quasi sempre l’armonia del brano è a tre voci, dove una voce
non è che il raddoppio della quarta e solo nelle quattro
battute conclusive il compositore scrive l’armonia a quattro
parti. Curiosi e poco comuni sono il salto di sesta inferiore del
basso alla terza battuta
Nell’ultima parte del lavoro, la più elaborata dell’intero brano,
dopo il ritornello “rosa d’april…”, la linea della melodia torna
ai tenori primi raddoppiati alla terza inferiore dai tenori
secondi, all’ottava inferiore i baritoni, mentre i bassi
raddoppiano la frase, per poi seguire sempre per terze, in un
gioco ora a imitazione dei tenori sulle parole “verde è lo
stelo, come speranza che un vessillo solo”.
e il salto di nona inferiore alla battuta 16,
così come le due quinte giuste parallele discendenti a battuta
29-30, tra tenore primo e basso (così come a battuta 34 tra
baritono e basso); con l’inserimento del sol bemolle, la frase
acquista un sapore particolare, confermato successivamente
dal baritono e dai tenori.
38
il che conferisce al brano, assieme alla scelta di usare la
cadenza plagale ripetuta più volte nel corso della
composizione, una seriosità e una gravità tali da richiamare
alla mente il carattere di una marcia funebre, idealmente a
dedica dell’autore per coloro che “son morti per la patria,
onor, eterna gloria”.
Bella e intensa la successiva e unica modulazione del brano
alla tonalità di si bemolle minore sulle parole “Son morti per
la Patria”, con il ritorno alla tonalità d’impianto di fa minore
su “viva la lor memoria”.
Le voci in “Son morti per la patria” procedono praticamente
sempre in senso solennemente omoritmico, tranne che alle
battute 23-24 dove il tenore secondo rincorre a imitazione il
basso,
Conclusioni
Diverse sono la fortuna e la diffusione dei due brani. Come
accennato inizialmente, mentre Son morti per la Patria è stato
registrato dal coro della SAT e ancora oggi, talvolta, viene
eseguito in concerto o in commemorazioni di particolare
intento celebrativo, l’elaborazione di Rosa d’april non ha
suscitato lo stesso interesse. Il secondo brano, mai eseguito
dal coro al quale è stato dedicato (per quanto ci risulta),
aspetta a tutt’oggi un coro che lo scelga, inserendolo nel
proprio repertorio e sapendolo valorizzare con coraggio e
sensibilità musicale: la stessa sensibilità per l’appunto che ha
fatto subito capire al compositore Giorgio Federico Ghedini
che un brano corale ben eseguito, con passione e
competenza, può arrivare a emozionare e commuovere
l’ascoltatore, senza porsi troppo il problema se si tratti di una
semplice elaborazione di un canto popolare oppure di una
composizione originale, così come era successo proprio a lui,
quel 5 maggio del 1962.
Le partiture complete dei brani sono contenute nella raccolta
Sui monti Scarpazi, 50 canti popolari italiani e stranieri, dal
repertorio del Coro della SAT.
Bibliografia: CORO SAT 75 - Trento 2001
+ notizie>
+ approfondimenti>
+ curiosità>
+
rubriche>
+
+
musica>
servizi sui principali>
avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
abbonati a
aiutaci a sostenere la cultura corale
CHORALITER e avrai in omaggio ITALIACORI.IT
un magazine dedicato agli eventi corali e alle iniziative dell’associazione.
abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro
abbonati on-line: www.feniarco.it
Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Via Altan, 39 - 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia - Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - www.feniarco.it - [email protected]
40
due binari ben distinti
Intervista a franco Monego
a cura di Rossana Paliaga
giornalista
Franco Monego è il vincitore del VI premio nazionale “Una
vita per la direzione corale”. La pluralità di specializzazioni
caratterizza la sua multiforme attività di musicista a tempo
pieno, diviso tra l’ambito professionale e quello amatoriale al
quale si è nuovamente avvicinato al termine di una carriera
svolta all’interno di diversi enti lirici italiani.
Il pensionamento non ha rallentato i suoi ritmi di lavoro e
infatti non c’è momento in cui non lo si trovi stretto tra
diversi impegni tra i quali la sua (seconda) presidenza
dell’Usci Lombardia.
Mi sono sempre considerato un privilegiato per
aver potuto svolgere la mia attività lavorativa nel
campo della musica, la mia prima passione fin da
bambino. Ho potuto dedicarmi all’insegnamento
della materia che in assoluto ho sempre prediletto:
la musica corale e la direzione di coro. Nel
conservatorio, dove ho studiato e condiviso mete
musicali con colleghi illustri e direttori di ampie
vedute, ho formato una scuola di maestri che ora
svolgono la loro attività in teatri italiani e stranieri, insegnano
nei conservatori, lavorano per case editrici musicali,
collaborano con la Feniarco e si dedicano come me al mondo
amatoriale per qualificarlo sempre di più.
Ho avuto l’opportunità di lavorare per il teatro come
pianista e come maestro del coro, ma non ho trascurato il
“volontariato”, del quale ho sempre sostenuto l’importanza
culturale. Da molti anni collaboro con il Complesso Vocale
Syntagma di Milano, che nei decenni della mia direzione è
diventato un laboratorio di studio delle composizioni per
coro di tanti colleghi che ho coinvolto in questo progetto, al
quale hanno partecipato con entusiasmo. Quest’anno il
Syntagma offrirà ai milanesi la XXII Stagione di concerti
corali e strumentali che coinvolgono realtà corali italiane e
straniere, contribuendo alla divulgazione del canto corale
tra i giovani.
stimolante, si interagisce con musicisti, si parla la stessa
lingua e, se si riesce a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza
d’onda, il risultato è esaltante. Il coro amatoriale è un mondo
a sè. Frequentarlo è una terapia per sviluppare alcune doti
essenziali per un maestro: la pazienza, la disponibilità, la
sensibilità, la fiducia nelle possibilità degli altri. È un
momento di grande arricchimento umano oltre che di enorme
sviluppo delle proprie capacità di insegnamento. I tempi di
apprendimento sono lunghi e travagliati e i risultati sono il
frutto di un’intima fiducia tra coristi e maestro. In entrambi i
Le basi di una buona lettura
cantata vanno poste sin
dalla scuola materna.
Come ha accolto la notizia di essere il vincitore di un premio
alla carriera?
Un po’ perplesso! Una notizia inaspettata, ma certamente
gratificante.
La sua carriera nella coralità si è svolta tuttavia su due binari
ben distinti: cosa significa ritornare alla “missione” dei cori
non-professionali dopo aver lavorato per vent’anni in un
ambito dalle esigenze e potenzialità completamente diverse?
Preparare un coro di professionisti è impegnativo e
casi ho sempre cercato di trasmettere nel canto le emozioni
che la musica vuole comunicare all’ascoltatore.
Probabilmente un’adeguata educazione alla coralità
all’interno della scuola dell’obbligo contribuirebbe a gettare
le fondamenta per un lavoro più semplice e di maggiore
qualità. Sulla base della sua esperienza quale idea si è fatto
della situazione della cultura corale nelle scuole?
Nei conservatori si dovrebbe proporre la pratica della lettura
cantata con testo sin dal primo corso di teoria e solfeggio, ma
le basi di una buona lettura cantata vanno poste sin dalla
scuola materna, attraverso l’acquisizione di un repertorio di
canti semplici, con testi ed estensioni melodiche adatti all’età;
alle elementari lo studio devrebbe proseguire in modo
graduale sino al raggiungimento della capacità di intonare un
canto a prima vista. In alcuni istituti lombardi mi risulta che
insegnanti intraprendenti stiano facendo questa esperienza, e
con buoni risultati.
Nei teatri d’opera ha affrontato fondamentalmente il
repertorio richiesto dal cartellone, ma quali sono state le sue
scelte nel momento in cui è stato pienamente libero di
decidere?
Ricordo negli anni ’60 la proposta che feci a uno dei più
vecchi cori maschili milanesi, lo Stelutis, fondato nel 1946:
nuove armonizzazioni di canti popolari italiani e stranieri,
elaborazioni moderne, per passare poi a composizioni di varie
portraiT
epoche e linguaggi, repertori di canti religiosi e
profani, la letteratura dell’800 e del ’900, gli
autori rinascimentali.
Le mie proposte furono sempre accolte con
curiosità e impegno; lo sforzo profuso fu
notevole ma lo furono anche i risultati.
La letteratura di epoca rinascimentale ha avuto
un ruolo particolare nel suo percorso di
direttore.
Il repertorio rinascimentale per coro maschile è
vastissimo. Quando ho iniziato a frequentarlo
con il mio coro la filologia muoveva i primi
passi e se ne parlava poco. In quegli anni i testi
più usati erano i volumi di Schinelli, volumi che
si proponevano di fornire un repertorio sacro e
profano, considerato facile, ai numerosi cori che
allora si affacciavano alle loro prime esperienze
corali, senza porsi questioni di organico o di
stile. Il mio interesse per il periodo
rinascimentale iniziò quando constatai che
alcuni brani che avevo trasportato per coro
maschile “suonavano meglio” di quelli con l’organico nel quale erano maggiormente
diffusi a livello editoriale. Approfondendo le ricerche ho notato che gli originali in chiavi
antiche erano scritti per voci di estensioni diverse da quelle solitamente praticate e ho
iniziato così a fare filologia da autodidatta in anni in cui questo argomento non godeva di
grande interesse in Italia; altrove queste problematiche erano già state risolte. Ancora
oggi bisognerebbe promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza di questo
periodo attraverso l’organizzazione di corsi e convegni specifici ai quali invitare
musicologi e direttori di complessi specializzati.
Come valuta l’apporto dei compositori italiani alla coralità nazionale?
La coralità amatoriale dà grande spazio alla letteratura contemporanea che viene
promossa anche dalle associazioni
corali, tuttavia auspicherei un
sempre maggiore impegno e
partecipazione da parte dei
compositori. Con l’avvento
dell’opera, la produzione corale a
cappella in Italia è stata relegata
in una piccolissima nicchia, mentre nei paesi al di là delle Alpi la presenza dei cori ha
stimolato i compositori a comporre con linguaggi che hanno seguito l’evolversi dei tempi,
per questo il gusto e le capacità dei coristi si sono adattati gradualmente ai cambiamenti.
In Italia tutto questo non è avvenuto e solo nella seconda metà del secolo appena
concluso si è finalmente avviato un maggiore avvicinamento tra la coralità amatoriale e i
compositori.
Il coro amatoriale
è un mondo a sé.
Da addetto ai lavori conosce bene la realtà corale amatoriale italiana. Cosa le augura?
Negli ultimi 20 anni si è verificata una progressiva crescita, non solo numerica, della
coralità amatoriale in Italia. Questo sviluppo crea competizione, migliore qualità e la
ricerca di proposte nuove. Vedo che molti giovani compositori dedicano parte della loro
creatività al mondo corale, e mi auguro che questo coinvolgimento sia sempre più
collaborativo anche da parte dei direttori di coro.
41
Franco Monego__
Nato a Milano, compie gli
studi musicali presso il
Conservatorio G. Verdi della
sua città dove si diploma in
pianoforte, composizione,
musica corale e direzione di
coro, direzione d’orchestra,
polifonia vocale. Dal 1966
svolge attività di pianista e
maestro sostituto in alcuni
tra i più importanti teatri
italiani, dallo Sferisterio di
Macerata al Teatro alla Scala
di Milano. Attratto dalle
possibilità espressive del
coro affianca al’attività di
maestro collaboratore quella
di maestro di coro dirigendo
il Gruppo Barocco Lombardo,
la nuova Polifonica
Ambrosiana, il coro Franchino
Gaffurio di Varese e il Coro
maschile Stelutis (ora
Complesso Vocale Syntagma),
con il quale ottiene, nel 1974,
la vittoria al Primo Premio
agli XI Rencontres Chorales
Internationales de Montreux.
Ricopre l’incarico di “maestro
di coro” presso i cori
lirico-sinfonici della Rai di
Torino e di Milano e negli
Enti Lirici Teatro Verdi di
Trieste e Teatro Massimo di
Palermo collaborando con
alcuni dei più importanti
direttori d’orchestra italiani e
stranieri. Dal 1968 insegna
presso il Conservatorio
G. Verdi di Milano, dal 1980
al 2007 come titolare della
cattedra di musica corale e
direzione di coro.
Cofondatore, nel 1979, e
primo presidente dell’Unione
Società Corali della
Lombardia, nel maggio del
2009 è stato invitato a
riassumerne la presidenza.
una grande festa
…corale!
saler
una g
prima edizione di salerno festival
di Efisio Blanc
Salerno e i comuni limitrofi hanno accolto dal 4 al 7 novembre 2010 Salerno Festival, il primo festival
corale nazionale organizzato da Feniarco e dall’Arcc (Associazione Regionale Cori Campani), con la
collaborazione del Comune di Salerno. Oltre ogni più rosea previsione, 56 cori hanno portato per
quattro giorni nel salernitano oltre 1.600 coristi che si sono esibiti in ben 40 concerti, distribuiti tra
Salerno e altre suggestive località della Costiera Amalfitana (Atrani, Baronissi, Cava de’ Tirreni, Cetara,
Fisciano, Maiori, Pagani e Vallo della Lucania). Anche se circa la metà dei cori appartenevano
all’associazione dei cori campani (molti della provincia di Salerno), erano comunque rappresentate
altre 14 regioni: dalla Valle d’Aosta alla Sardegna, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia. Anche i generi e
gli stili corali erano i più diversificati: dal canto popolare alla polifonia classica, dal gospel ai cori
d’opera, dalla musica religiosa di tradizione extra europea al vocal pop. La varietà di organici dava
inoltre uno spaccato del ricambio generazionale attraverso la presenza, accanto ai gruppi (misti,
femminili e maschili) formati da persone più mature, di cori di voci bianche e di gruppi giovanili che si
esibivano a cappella ma anche accompagnati da un pianoforte o da una tastiera, da un violino o da
una fisarmonica, piuttosto che da un quartetto di clarinetti.
Obiettivo della manifestazione era principalmente quello di creare un’occasione in cui i cori associati
alla Feniarco, tutti i cori, potessero incontrarsi ed esibirsi, in un contesto privo delle tensioni tipiche di
un concorso, senza la necessità di un repertorio coeso come sarebbe stato richiesto da una rassegna
e senza neanche avere la necessità di un programma che coprisse un minimo di 50 o 60 minuti di
musica. Un incontro, insomma, senza preclusioni artistiche e di repertorio, fra gruppi che condividono
la passione per il canto corale, ma che sanno anche apprezzare la convivialità dello stare insieme e
dell’incontrarsi.
Ma questa necessità di incontrarsi, era un bisogno sentito dai cori? Alla luce del successo di molte
proposte di questo tipo organizzate da agenzie turistiche (sia per l’Italia che per l’estero), sembrava di
sì e la massiccia adesione dei cori alla proposta della Feniarco ne è stata una conferma: lo stesso staff
della Feniarco ha ammesso di essere stato “spiazzato” da una adesione così entusiastica a fronte di
una previsione che annoverava circa 20-25 cori.
La formula del festival prevedeva per ogni coro un massimo di quattro esibizioni. Ogni coro poteva
infatti esibirsi nel grande concerto di apertura o di chiusura del festival (al Teatro Augusteo di
Salerno); in un concerto sul territorio, nei comuni dell’entroterra; in un concerto aperitivo in città a
ASSOCIAZIONE
fine mattinata del sabato e in un concerto, sempre in città,
nel pomeriggio della stessa giornata, oltre alla
partecipazione all’animazione della Santa Messa solenne
che si è tenuta domenica 7 novembre nella Cattedrale di
Salerno. Ogni concerto prevedeva la partecipazione di più
cori (in genere 3 o 4), raggruppati secondo il repertorio
proposto e, per quanto riguarda i concerti in città, distribuiti
nei luoghi più belli e rappresentativi di Salerno: le chiese
per la musica sacra (chiesa di San Giorgio, di Santa Maria
delle Grazie, del SS. Crocifisso e altre ancora), piazze e
luoghi di cultura per i repertori profani (ad esempio la
Scalinata di Palazzo Città, la Pinacoteca provinciale, piazza
Flavio Gioia, largo Tempio di Pomona, Salone Genovesi
presso la Camera di Commercio, ecc.).
Nella mattinata del sabato, per i cori che si erano iscritti, si
sono svolti tre workshop dedicati rispettivamente alla musica
italiana (tenuto da Mauro Marchetti), alla canzone napoletana
(tenuto da Silvana Noschese) e al gospel (tenuto da Gianna
Grazzini) e i gruppi che avevano frequentato i tre workshop si
43
giusto rilievo a tutti i cori presenti e giusta dignità a tutte le
proposte concertistiche, confermando come questa occasione
di incontro sia stata tenuta in alta considerazione dagli
organizzatori.
Una scelta che andrebbe forse ripensata è quella relativa
all’amplificazione in occasione dei grandi concerti di apertura
e di chiusura del festival: se da una parte questa soluzione
ha facilitato l’esecuzione di quei gruppi che solitamente si
avvalgono di tali supporti tecnici, dall’altra ha in parte
compromesso l’esecuzione di quei gruppi che solitamente si
esibiscono a cappella e che quindi hanno bisogno, anche solo
per ragioni di intonazione, di un riscontro acustico.
A margine di queste righe di cronaca, si possono forse
azzardare alcune considerazioni. Al di là della funzione
culturale di questo evento si intravede in questi incontri
anche una funzione “didattica” per l’opportunità di confronto
fra cori. Si tratta di un confronto inteso nella sua accezione
più costruttiva (e non competitiva) quale modo per crescere,
per conoscere delle realtà migliori o forse anche solo diverse
dalla propria, per imparare da altri, per fare propri quegli
aspetti a cui forse non avevamo mai pensato o che
semplicemente non ritenevamo validi. Non si tratta certo di
una ricerca di omologazione – la ricerca di qualità non è
questo – bensì l’essere aperti a un continuo miglioramento,
sia tecnico che musicale, e avere la capacità (soprattutto per i
direttori) di mettersi continuamente in discussione. Proprio in
questa ottica sarebbe auspicabile che le prossime edizioni del
festival vedessero una maggiore adesione di cori di alto
livello, di cori che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti o
che, per diversi motivi, possono contare su realtà
tecnicamente più solide e musicalmente valide. È vero, questi
gruppi godono di molte altre occasioni in cui esibirsi ed è
anche comprensibile che siano in genere più impegnati, sia
per l’attività di preparazione che per l’attività concertistica.
Questa partecipazione però risponderebbe a uno spirito di
“appartenenza” che, all’interno della federazione, vedrebbe i
cori più bravi essere da incitamento per i cori “meno
attrezzati”, offrendo loro modelli validi, talvolta innovativi nel
repertorio e nei generi, e offrendo loro spunti su possibili
itinerari da percorrere, pur nel pieno rispetto delle possibilità
di ognuno, delle proprie inclinazioni e dei propri gusti.
Avere la possibilità di ascoltare cori il cui livello permette
prestazioni tecniche ottime (ad esempio, sotto il profilo
dell’intonazione) è sicuramente una valida scuola per
confrontarsi sul lavoro da intraprendere: la validità degli
aspetti tecnici vale tanto per un coro polifonico come per un
coro popolare o per un coro gospel. Da parte loro, i direttori
di coro potrebbero utilizzare questi incontri per mettere in
discussione il proprio operato attraverso un confronto leale
che evidenzi le buone pratiche già messe in atto, ma anche le
carenze del proprio lavoro, le tappe che rimangono da
percorrere, consapevoli della grande responsabilità che la
guida di un gruppo corale comporta.
Da parte loro, i cori “più avanti” avrebbero la soddisfazione di
essere apprezzati da persone competenti (direttori e coristi
rno fes
grande
sono poi esibiti nel grande concerto di chiusura del sabato
sera eseguendo il brano studiato nel laboratorio.
Salerno, per un fine settimana, è stata letteralmente invasa
da cori e coristi e i diversi costumi e le diverse divise
provocavano la curiosità dei passanti che talvolta fermavano i
coristi per strada per chiedere conto del loro modo di vestire.
Ineccepibile l’organizzazione della Feniarco in collaborazione
con l’Arcc: dalla visibilità della manifestazione attraverso un
ampio “battage” pubblicitario, all’accoglienza dei cori nei vari
alberghi, alle location e all’organizzazione delle varie
esibizioni, ai materiali distribuiti nei singoli concerti. Pur
essendo la più grande manifestazione sinora organizzata dalla
federazione, una “macchina” organizzatrice ormai collaudata
ha fornito ottime prestazioni, al di là di alcuni piccoli
imprevisti che fanno parte di ogni evento di questo tipo.
Il livello dell’organizzazione ha inoltre contribuito a dare
44
Cori partecipanti
Coro Soldanella di Adria (Ro)
Gospel Voices di Afragola (Na)
Coro Polifonico di Aosta
Corale Laurentiana di Ardea (Rm)
Coro polifonico Pina Elefante di Atrani (Sa)
Insieme per Caso di Baronissi (Sa)
Nausicaa Children Choir / Coro giovanile Overjoyed di Baronissi (Sa)
Gruppo vocale Accordo Libero di Battipaglia (Sa)
Corale polifonica Flos Carmeli di Caivano (Na)
Coro Calauce di Calolziocorte (Lc)
Corale Santa Rita di Cascia (Pg)
Corale Fonte Vetica di Castel del Monte (Aq)
Coro polifonico San Giorgio di Catania
Insieme per Caso di Cava de’ Tirreni (Sa)
Coro polifonico Sant’Antonio Abate di Cordenons (Pn)
Corale polifonica Città di Ercolano (Na)
Coro Musica nell’Anima di Fisciano (Sa)
Coro popolare misto Le Castellane di Fossalta di Portogruaro (Ve)
Coro S. Ignazio di Gorizia
Coro polifonico San Martino di Lancusi (Sa)
Coro polifonico di Montagano (Cb)
Corale Mimma Scarpiello di Montecorvino Rovella (Sa)
Coro polifonico Santa Caterina a Chiaia di Napoli
Coro Vocalia di Napoli
Gruppo vocale strumentale La Coriola di Napoli
Coro Vox Nova di Napoli
Soul Six Vocal Group di Pagani (Sa)
Civitella Gospel Choir / Miafonè di Pellare (Sa)
Corale Melodie d’Abruzzo del DLF di Pescara
Coro Allegra Primavera di Pianiga (Ve)
Coro For Children di Pomigliano d’Arco (Na)
Coro polifonico Anema & Gospel di Pompei (Na)
Corale Popolifonica di Popoli (Pe)
Coro AMA Associazione Musicisti Agraria di Portici (Na)
Coro Diapason di Rocca di Papa (Rm)
Coro polifonico Res Musica di Roccasecca (Fr)
Coro Altrenote di Roma
Coro dell’Angolo di Roma
Coro polifonico Ostia Antica di Sant’Aurea di Roma
Ensemble Vocale Note…volmente di Roma
Corale Città di Rosolini (Sr)
Coro Armonia di Salerno
Coro Daltrocanto di Salerno
Coro di voci bianche Santa Teresa di Salerno
Coro polifonico Casella di Salerno
Estro Armonico / Il Calicanto di Salerno
Coro polifonico Amici della Musica di Sant’Arsenio (Sa)
Coro La Baita di Scandiano (Re)
Associazione Musicale Aedi del Borgo di Somma Vesuviana (Na)
Coro polifonico SS. Cosma e Damiano di Suni (Or)
Corale Libentia Cantus di Torre del Greco (Na)
Coro Santa Cecilia di Torre del Greco (Na)
Corale polifonica di Trasacco (Aq)
Laeti Cantores della scuola media Martiri de Mattia
di Vallo della Lucania (Sa)
Schola Cantorum San Pantaleone di Vallo della Lucania (Sa)
Nuova corale polifonica di Vibo Valentia
degli altri cori) e la gratificazione di sapere
di essere in qualche modo utili per il
percorso artistico che altri gruppi stanno
percorrendo o che vorrebbero intraprendere.
Un’ultima riflessione in merito alla scelta di
Salerno quale sede per il festival. Un bilancio
consuntivo non può che constatare che si è
trattato di una scelta vincente sotto molti
punti di vista: è stato valorizzato uno scorcio
di Italia stupendo sotto il profilo
paesaggistico, l’Arcc e tutti i volontari si sono
dimostrati un validissimo aiuto per
l’organizzazione, i cori che hanno coordinato
i concerti sul territorio si sono prodigati con
generosità e dedizione per accogliere i
gruppi ospiti, il comune di Salerno e degli
otto paesi limitrofi hanno dimostrato una
sensibilità non facilmente riscontrabili,
soprattutto in questi tempi di non facile
gestione per le Istituzioni Pubbliche.
Salerno Festival è stata poi un’occasione per
constatare come una città, e altri comuni, del
sud Italia si siano rivelati all’altezza di
ospitare in modo eccellente un evento di così
grande risonanza, sfatando pregiudizi e
stereotipi che spesso danneggiano
l’immagine di queste località fra le più belle
della nostra penisola.
r
E
a
N
t
a
cè g ovaNe!
45
c
oncorso
festival
tività
ostra crea
v
la
a
t
t
u
campo t
arie
Mettete in coro che vorrei”.
e second
ie
r
a
il
im
“
r
cuole p
sul tema
olto alle s .
iv
r
o
s
r
o
c
Con
o grado
2011.
e second
15 maggio
il
o
r
t
n
di primo
e
dei lavori
Consegna
Torino, 29 giu
gno-3 luglio 20
11.
150 voci e oltre
per festeggiare
i 150 anni dell’U
Festival rivolto
nità d’Italia.
a cori di voci b
ianche e giovan
Adesioni entro
il
i.
il 15 febbraio 20
11.
scopri tutti i dettagli su J
progetto realizzato con il contributo del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
www.feniarco.it
46
LUCI, SIPARIO
E VIA
ALPE
ADRIA
ALPE ADRIA CANTAT 2010
di Pierfranco Semeraro
Si accendono le luci, si apre il sipario ed ecco a
voi: «Signore e Signori, buonasera e benvenuti
alla tredicesima edizioni di Alpe Adria Cantat».
Quella appena terminata è stata senza ombra di
dubbio un’eccellente settimana cantante: dieci
cori in formazione completa provenienti da tutta
Italia, cinque cori provenienti rispettivamente da
Spagna, Russia, Slovenia, Islanda e Svezia; oltre
quattrocento tra coristi, direttori di coro,
accompagnatori e staff; quattordici i Paesi
rappresentati, dall’Austria al Venezuela passando
per ancora per il Belgio, la Francia, la Germania,
gli Stati Uniti, la Svizzera e l’Ungheria. Tra le
centinaia di partecipanti indubbiamente
entusiasma scorgere volti noti, quasi abituali, a
conferma della formula vincente messa in atto
dal prezioso e attento staff Feniarco. Una formula
vincente quanto consolidata fatta di precisione,
grande professionalità, attenzione a ogni più
piccolo bisogno, condita poi con l’immancabile
sorriso.
Chi ha partecipato anche soltanto a una sola di
queste settimane conosce bene il suo
programma: musica, sole, concerti e formazione,
e quest’ultima rappresenta per Alpe Adria Cantat
la caratteristica significativa. È stato così attivato
l’atelier di Musica per cori di bambini e corso per
direttori il cui docente è stata la genovese
Roberta Paraninfo e che ha visto la massiccia
partecipazione di centoventisette tra bambini e
direttori; l’atelier di Spiritual & Gospel, diretto
dall’americano Walt Whitman con la
partecipazione di settantasette coristi; l’atelier di
Musica romantica, tenuto dal tedesco Jan
Schumacher attivato con ottantacinque coristi; e
ancora Vocal pop/jazz diretto ancora da una
tedesca, Stephanie Miceli, che ha visto la
partecipazione di quarantasei giovani; e infine
l’atelier di Musica sudamericana con Ana María
Raga dal Venezuela che contava su quarantatre
partecipanti. Il menu della settimana era reso
ulteriormente ghiotto da alcuni interessanti
concerti sia all’interno del Villaggio Ge.Tur. di
Lignano Sabbiadoro sia al di fuori, come a
Trieste e a Codroipo in provincia di Udine.
Ma Lignano durante la settimana offre anche la
possibilità agli “Stati Maggiori” della coralità
italiana ed europea di darsi appuntamento per il
ASSOCIAZIONE
costante e appassionato lavoro che è quello di programmare il
futuro analizzando il passato. E così al venerdì si è riunito il
Consiglio di Presidenza di Feniarco, mentre sabato si è
incontrato l’Executive Board di Europa Cantat. Entrambi, oltre
all’agenda fitta di punti in programma e progetti in fieri, hanno
posto l’attenzione per quello che si prospetta essere per la
coralità italiana l’evento più importante degli ultimi anni: il
Festival Europa Cantat Torino 2012. Nella giornata di
domenica, infine, si è tenuto un incontro dei partner del
progetto Voice (Vision On Innovation for Choral Music in
Europe), progetto di rete proposto da Europa Cantat con il
coinvolgimento di 13 organizzazioni corali europee.
47
L’ultimo atto della settimana cantante ha visto tutti i cori,
coristi, direttori e ospiti ritrovarsi insieme per il concerto finale
in cui ogni laboratorio con il suo insegnante ha potuto
regalare il frutto del paziente e appassionato lavoro della
settimana; e con grande professionalità, dal bambino più
piccolo al meno giovane corista, tutti hanno saputo regalare le
emozioni vissute insieme. Questa è la musica corale e soltanto
chi ha la fortuna di viverla quotidianamente o settimanalmente
conosce le magie che sa regalare. E così anche Alpe Adria
Cantat 2010 si è conclusa nella maniera migliore e tutti,
salutandosi l’un l’altro, si sono dati appuntamento al prossimo
anno mentre le luci si spegnevano e calava il sipario.
Grazie, Ana María
Contagiosa! Così ho vissuto l’energia musicale e carismatica di
Ana María Raga, docente di musica sudamericana, ma anche
magistrale aggregatrice di quella che definirei la “familiarità”
di un gruppo corale. Un direttore che da subito guarda negli
occhi uno per uno, che alla fine del primo giorno fa anche
l’appello – sforzandosi di memorizzare il nome di ciascuno – e
che ti punta, quando stai “cedendo”, con la frase «io ho
bisogno di te», dimostra di entrare in relazione profonda con i
propri coristi e di considerare da subito a pieno titolo i 43
allievi dell’atelier il “my coro”.
Ridendo osservavo con le mie vicine di posto dei contralti che
facevamo parte del gruppo over (49, 50…), molto ben
rappresentato in tutte le sezioni vocali; ancor più divertente è
stato scoprire che l’atelier di musica romantica era composto
solo da teenager, il che dimostra che davvero la musica è
senza confini, spaziali e temporali (nel senso di età dei
coristi…).
Incredibile la capacità di coinvolgimento della nostra diretora,
manifestata con strabiliante mobilità facciale e atletici saltelli
di gioia, allorché il suono emesso era come lei lo voleva.
Interessanti gli esercizi di apnea vuoto/pieno, da applicare
nell’immediato per gli accenti da dare a ogni sillaba, «muy
corta y muy rapida». Non mi ha creato problemi ascoltare le
spiegazioni in spagnolo (sarà servito il corso di lingua
spagnola frequentato un mese prima in Spagna, con la mia
originaria compagna di stanza, conosciuta proprio ad Alpe
Adria Cantat nel 2006?) e, strepitoso (!), sono riuscita a
imparare a memoria ben quattro brani su sei, evento storico
per chi, come me, fa “corpo unico” con lo spartito. È indubbia
l’efficacia dei mezzi ausiliari utilizzati da Ana María Raga per
memorizzare: fumetti alla lavagna, mimica descrittiva,
sillabazione con le labbra anche in esecuzione. Quanto ci è
stato ripetuto che non basta aver appreso la melodia, il testo,
la gestualità! Alla nausea è stato detto che conta l’intenzione
e la cara (espressione facciale).
In quelle occasioni è stata anticipata la presenza (inquietante)
tra il pubblico di un fantomatico “taiwanese”, che nulla sa di
musica e di Sudamerica, ma, pur
in fondo alla sala, ha diritto di
comprendere cosa stiamo
comunicando… e tale
comprensione dipende da
ciascuno di noi.
All’ultimo giorno qualcuno,
proseguendo nello scherzo, ha
appeso sulla porta la foto,
appunto… del fantomatico “taiwanese”…
Sugli spartiti ho preso appunti – come sempre – ma stavolta
sono in spagnolo: voluntad (se voglio, posso persino imparare
a memoria); compas (significa battuta, ma anche andare a
tempo); musica sudamericana non è morbida (come il tai chi
chuan), ma è a scatti (come il karate).
E inoltre quanto occorre “mimetizzare” le pronunce: la b è
talmente secca, da diventare quasi p; il dum della ninna nanna
si trasforma in tum. Non è certo agevole per chi come me,
avvezza al gregoriano, porta all’esasperazione la pronuncia e
gli stacchi…
Il corso è terminato da quattro giorni e io ho ancora nella
testa melodie, frammenti di ritornelli, questa bella energia di
sorrisi e ammiccamenti…
Grazie, Ana María: come ti ho anche detto salutandoti, da te
ho imparato molto.
Sotto la dedica che mi hai scritto sulla copertina degli spartiti,
trovo due frasi tue, che mi sono piaciute e le ho subito
“fermate”: «Non basta lavorare, occorre poi difendere il lavoro
svolto» e noi «tuo coro», questo l’abbiamo fatto in concerto,
proprio come volevi, e come hai dimostrato con la tua gioia e i
ringraziamenti a saggio appena concluso.
Eppure come ogni anno, tornando a casa da Lignano, capisco
che il vero obiettivo non è imparare i brani da eseguire
l’ultimo giorno in pubblico, ma il trascorrere, nella magia di un
gruppo che sino a ieri non esisteva – quasi fosse un mandala
– questa esperienza umana, prima ancora che musicale.
Isabella Geronti
usCi
Friuli VeneZiA GiuliA
Via Altan
S.Vito al Tagliamento (Pn)
Italy
Tel +39 0434 876724
Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it
[email protected]
AsAC
Veneto
reGione
Friuli VeneZiA GiuliA
ministero per i beni
e le AttiVità CulturAli
e
l
a
n
o
i
z
a
n
r
e
l
e
t
a
n
r
i
o
a
c
n
o
a
t
n
m
i
a
r
t
c
t
u
i
e
o
d
t
s
dy
u
t
s
l
a
n
io
t
a
n
r
e
t
in
tori
diret
r
e
p
orso
niec
i
b
m
diba
cori eo(IT)
r
e
p
ica
iL
na
1 Mus ente:Luig
r
e
i
nezia T)
l
e
e
c
V
t
o
A
a
l
d
(I
•
Scuo mbardo
a
l
l
e
d
ica
oLo
Mus te:Fabi
2
r
e
i
n
l
A)
doce
• Ate
(US
pel
s
n
o
a
g
m
tuale
Whit
Spiri e:Walt
3
r
nt
lie
E)
doce
• Ate
er(D
ica
t
h
n
c
a
a
um
rom
usica JanSch
M
4
:
lier docente
(DE)
• Ate
celi
zz
i
a
j
M
/
anie
lpop
Voca e:Steph
5
r
nt
lie
N)
a
doce
• Ate
rican Raga(VE
e
m
a
ría
sud
usica AnaMa
M
6
:
lier docente
(IT)
• Ate
r
u
utti
o
g
r
t
a
y
oM
tud
nAl s te:Corrad
o
i
t
A
ern docen
• int
liGnAno (ud)
28 AGosto»4 settembre
isCriZioni entro il 31 mAGGio 2011
ASSOCIAZIONE
49
Un nuovo mattone per la coralità italiana
Assemblea Feniarco a Trento
di Sandro Bergamo
A ogni assemblea nazionale di Feniarco è come se un
nuovo mattone si aggiungesse alla costruzione della
nostra coralità. Il mattone Trento è quello della
collaborazione sempre più stretta tra le federazioni
regionali e quella nazionale nella progettazione e nella
gestione delle iniziative sul territorio.
L’esempio più recente è quello della prima edizione di
Salerno Festival (cfr. p. 42 di questo numero di
Choraliter): un successo nei numeri (56 cori, oltre 1.600
coristi) confermatosi poi un successo nella conduzione
di quattro frenetiche giornate dove tutto è filato
secondo le previsioni, senza incidenti, senza intoppi
dell’ultima ora, senza problemi che non trovassero lo
staff di Feniarco e dell’Arcc pronti a risolverli. Un
successo che impegna fin d’ora tutta la federazione a
riproporre per il prossimo anno la manifestazione, con
un invito particolare che l’assemblea nazionale ha
rivolto ai cori d’eccellenza a intervenirvi. Un’assenza,
questa, che molti hanno notato come indice di
sottovalutazione dell’importanza di una propria
presenza. Salerno Festival è diventata fin da subito una
delle vetrine della coralità e parteciparvi è un modo di
esercitare il proprio ruolo di guida e di caposcuola, che
non può essere limitato al momento concorsuale.
Salerno Festival si aggiunge così alla collaborazione
con Asac e Usci Fvg per Alpe Adria Cantat, con l’Arcom
per l’Accademia di Fano, con Arcova per il Seminario di
composizione di Aosta (che quest’anno ha visto anche
la partecipazione di un coro laboratorio di quella
regione), con l’Act per il Festival di Primavera, senza
dimenticare la continua partecipazione di tutte le
associazioni regionali alla realizzazione dei progetti
APS, da InDirection ad Armonia di Voci (cfr. p. 51), in
una crescente capacità di fare sistema che ottimizza le
risorse e rende più efficace e visibile il lavoro
dell’associazionismo corale.
Un ruolo, peraltro, ormai ampiamente riconosciuto. Ne
è un esempio il progetto Paci (cfr. p. 53), che riveste
un’importanza ben superiore alla dimensione
economica relativamente modesta del lavoro compiuto
da Feniarco su incarico del Ministero dei Beni Culturali
per conto dell’Unesco. Un doppio riconoscimento, da
un lato alla coralità, identificata dall’organismo
internazionale come un bene culturale immateriale da
tutelare, dall’altro a Feniarco, che il Ministero riconosce
come l’organismo rappresentativo della coralità italiana
e che diviene consulente dell’Unesco.
Un’occasione, quella del censimento per il Ministero,
per gettare ancora una volta lo sguardo oltre i nostri
confini, a tutti i cori che non vivono una dimensione
associativa, ma che pure cantano e producono musica
e cultura. E poi la realtà ancora più vasta, magari
informe, ma parte importante di quella diffusione della
coralità sul territorio nazionale: diffusione crescente, a
dispetto di tutti i profeti di sventure, fatta di migliaia di
cori scolastici e di cori parrocchiali dove decine di
migliaia di persone hanno il loro primo incontro con la
musica, e che non possono non costituire per noi un
bacino su cui investire per la promozione della musica
corale in Italia.
Ci proponiamo da anni di far uscire dalla marginalità
culturale la coralità e possiamo segnare qualcosa di
più che qualche punto: forse arrivare a celebrare la
pari dignità del coro con gli altri generi musicali, o
quantomeno registrarne alcuni segni. Quando un ente
come Verona Fiere chiede di intervenire all’assemblea
per proporre la partecipazione dei cori alla Fiera della
Musica, si tratta appunto di questo. L’importante ente
fieristico sta progettando una grande manifestazione
che, a partire dal 2012, sarà dedicata esclusivamente
alla musica classica. Unica in Europa (altre
50
manifestazioni rubricate sotto questo nome assegnano spazi
marginali alla musica classica), la Fiera della Musica avrà
carattere internazionale e Verona Fiere ha già contattato
colossi come EMI o Sony e coinvolto istituzioni come la Scala
o l’accademia di Santa Cecilia, come pure, attraverso le
rispettive ambasciate, istituzioni musicali del Giappone, degli
Usa e di molti paesi europei. In questo contesto è previsto un
grande evento corale di respiro e qualità internazionale, alla
cui progettazione e attuazione siamo chiamati a collaborare.
Certo, questo paesaggio incoraggiante è offuscato dai timori
legati ai rischi che le risorse finanziarie si riducano, come
peraltro avviene, oltre che in Italia, in altri paesi europei
sull’onda della crisi finanziaria internazionale, che vede in
affanno tanto i finanziatori pubblici quanto quelli privati. A
questo si dovrà rispondere essenzialmente su tre linee. Da un
lato, si dovrà perseguire l’autofinanziamento delle nostre
iniziative, inducendo nella nostra stessa base un
cambiamento di mentalità che porti a investire nel proprio
hobby, come avviene per la pratica di uno sport o per
qualsiasi forma di collezionismo. Dall’altro allargare la platea
dei possibili finanziatori, trovandoli al di là dell’ente pubblico
La cultura non è un costo,
ma una risorsa.
territoriale più prossimo sul quale spesso pigramente ci si
adagia: può diventare per tutti un modello la Förderverein
Europäischer Chormusik (Associazione degli amici della
musica corale in Europa) istituita da Europa Cantat per
coinvolgere personalità autorevoli nella ricerca di fonti nuove
di finanziamento. E infine far leva sulla crescente
autorevolezza della coralità per far maturare sempre più nei
pubblici amministratori come negli investitori privati la
consapevolezza che la cultura non è un costo, ma una risorsa
e che all’interno di questa la musica corale gioca un ruolo di
primo piano.
Questi sono solo alcuni degli spunti usciti da un dibattito
sviluppatosi nel corso di un fine settimana intenso, dove,
come sempre, il lavoro dell’assemblea si è alternato a
momenti meno formali ma altrettanto utili a stimolare il
confronto delle idee e delle proposte. Momenti anche di
incontro con la coralità locale, con il bel concerto offerto nella
sua sede dallo storico coro della SOSAT, e con la
partecipazione ai lavori dell’assemblea del Presidente della
Südtiroler Chorverbände, la federazione dei cori del Sud
Tirolo. E la convivialità che sempre contraddistingue le
assemblee di Feniarco, grazie in questo caso all’ospitalità
della Federazione Cori del Trentino, non fa che sottolineare,
anche negli aspetti più esteriori, quella gioia che il canto
orale è pronto a distribuire a chiunque lo sappia accogliere.
armonia
di voci
festival nazionale
delle minoranze linguistiche
armoni
di Annarita Rigo
A dicembre si è concluso il progetto Armonia di
voci realizzato, nel corso del 2010, con il
sostegno del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali e in collaborazione con le
associazioni regionali corali. Un’idea progettuale
che ha trovato concretezza grazie alla volontà e
caparbietà di Feniarco di mettersi continuamente
in gioco e di innovarsi investendo preziose
risorse nella valorizzazione della coralità italiana,
considerata in tutte le sue espressioni, anche
quelle meno praticate. La proposta ha rivolto la
propria attenzione al mondo cultural-musicale
dei gruppi di minoranza linguistica presenti nel
nostro Paese. Va ricordato che la Repubblica
Italiana è uno dei pochi stati europei che
esplicitamente tutela, nella sua Costituzione (art.
6) e tramite la legge n. 482 del 15 dicembre
1999, le minoranze linguistiche e nello specifico
la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi,
catalane, germaniche, greche, slovene e croate e
di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale,
il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
L’Italia può essere considerata il Paese delle
etnie e del plurilinguismo, può essere rapportata
a un grande mosaico formato da milioni di
tessere che, apparentemente simili tra loro, in
realtà sono uniche, dotate di una propria
sfumatura e tipicità. I tasselli, incollati uno
accanto all’altro indelebilmente, danno forma
all’opera d’arte generale. Le infinite variazioni
linguistiche presenti nel nostro Paese sono
paragonabili alle tessere di questo mosaico,
uniche e insostituibili nella determinazione di un
disegno tanto complesso quanto prezioso e
unico. Pluralità linguistiche e culturali che
convivono all’interno dello stesso tessuto
geografico, confinanti l’una con l’altra ma ognuna
con una propria identità specifica. Così le
comunità di minoranza linguistica sono realtà
vive del nostro Paese. Non si tratta di folclore o
di mera tradizione, ma di gruppi dalla forte
connotazione identitaria e culturale, strettamente
52
ARMONIA DI VOCI
Festival nazionale
delle minoranze linguistiche
Calendario dei concerti
Lunedì 23 agosto 2010, ore 21,00
Moena (Tn), Aula Magna
del polo scolastico
Sabato 28 agosto 2010, ore 21,00
Aradeo (Le), Teatro comunale
“D. Modugno”
Domenica 29 agosto 2010, ore 21,00
Lignano Sabbiadoro (Ud),
Villaggio Ge.Tur
Sabato 4 settembre 2010, ore 21,00
Sauris di Sotto (Ud),
Kursaal - Sala a gradoni
Domenica 12 settembre 2010, ore 21,00
Alghero (Ss), Chiostro di S. Francesco
Venerdì 24 settembre 2010, ore 21,00
Bova Marina (Rc), Teatro Don Bosco
Sabato 25 settembre 2010, ore 21,00
La Villa (Bz), Casa della Cultura
Sabato 25 settembre 2010, ore 19,00
S. Marco in Lamis (Fg),
Santuario di S. Maria di Stignano
Sabato 25 settembre 2010, ore 19,00
Giarre (Ct), Duomo
Venerdì 1 ottobre 2010, ore 20,30
Domegge di Cadore (Bl),
Sala S. Giorgio
Sabato 9 ottobre 2010, ore 20,30
Pinerolo (To), Basilica di S. Maurizio
Domenica 10 ottobre 2010, ore 18,00
Gressan (Ao), Sala polivalente
legati al territorio in cui sono insediati, alle vicende storiche e alla
conservazione delle tradizioni. La cultura “immateriale” custodita e
tramandata di generazione in generazione da queste comunità porta con sé
valori inestimabili e di una vivacità intellettuale che però corre il rischio di
rimanere sommersa e confinata.
Feniarco ha voluto dare un significativo contributo alla valorizzazione e alla
conoscenza di questi, alle volte piccolissimi, “universi” linguistici attraverso
l’organizzazione di un festival di rilievo nazionale, un ponte comunicativo fra
diverse culture, usi e tradizioni, un evento di prestigio all’interno dello
scenario corale e culturale del Paese.
Il festival nazionale delle minoranze linguistiche Armonia di voci si è
concretizzato con l’organizzazione e realizzazione, tra agosto e ottobre, di 12
appuntamenti corali dislocati sul territorio nazionale, che hanno toccato 9
regioni (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna, Sicilia, Piemonte,
Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto) e coinvolto 30 formazioni
appartenenti a specifiche comunità di minoranza linguistica, gruppi corali
misti, maschili, femminili e giovanili, ognuno dei quali ha eseguito un
repertorio tipico della propria minoranza linguistica di riferimento, dal
francoprovenzale all’arbëreshë (albanese antico), dal tedesco antico al
catalano e sardo, dal ladino al grecanico e ancora dallo sloveno all’occitano,
dal friulano al walser, dal francese al cimbro. Un excursus su repertori
musicali e tradizioni etno-linguistiche di particolare interesse, sconosciute al
pubblico più ampio, nonché un confronto interculturale di portata nazionale.
Un’Armonia di voci che, a seconda delle varietà linguistiche, diventava
Armonia de osc (ladino), Harmonija glasov (sloveno), Tosse orìe fonè
(grecanico), Jonia ë vuxhavet (arbëreshë), S’Armonia de boches (sardo),
Armonie di vôs (friulano) e altre ancora.
Un progetto di rilievo accolto con vivo interesse dalle associazioni regionali
corali, dai cori coinvolti, dalle amministrazioni comunali e dagli enti locali che
hanno collaborato attivamente alla realizzazione del festival e che Feniarco
ringrazia sentitamente, nonché dal pubblico che ha preso parte ai concerti.
Per valorizzare le peculiarità di questo progetto Feniarco ha, inoltre, previsto
la realizzazione di una pubblicazione che raccolga alcuni pezzi presentati
nell’ambito del festival.
L’intero percorso si è concretizzato come un’occasione esclusiva per
approfondire un ulteriore aspetto della coralità italiana: realtà corali e
musicali di minoranza linguistica radicate nel territorio nazionale, vettori di
patrimoni tangibili e unici.
ASSOCIAZIONE
53
IL CANTO CORALE
COME patrimonio culturale DELL’UMANITà
di Sandro Bergamo
Il Ministero dei Beni Culturali ha avviato il progetto Paci (Progetto Integrato per il Patrimonio
Culturale Immateriale e la Diversità Culturale) in attuazione delle Convenzioni Unesco di Parigi
per la salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale (2003) e sulla Protezione e Promozione
delle espressioni della diversità culturale (2005). Nell’ambito di questo progetto, Feniarco è
stata incaricata di realizzare il censimento e la mappatura della coralità italiana intesa come
“patrimonio culturale immateriale”. È stato un importante riconoscimento da parte del Ministero
della funzione che Feniarco esercita nel mondo corale italiano e al tempo stesso un’occasione
preziosa per approfondire la conoscenza della coralità esterna alla nostra realtà associativa, con
particolare attenzione al mondo scolastico, ai cori liturgici e alle minoranze linguistiche del
nostro paese. La ricerca consegnata al Ministero è contenuta in un volume di 220 pagine, che è
a disposizione per consultazione anche nella nostra sede.
Ne pubblichiamo in anteprima la prefazione.
Il concetto di patrimonio culturale immateriale è relativamente recente. Matura in ambito
internazionale con la Convenzione Unesco di Parigi (2003), frutto di un percorso iniziato negli
anni Novanta del secolo scorso. La convenzione Unesco è stata poi ratificata con legge 167 del
2007.
La legislazione italiana, in realtà, fin dalle sue prime mosse in merito alla conservazione dei beni
culturali, si estende al di là della semplice materialità del bene: già la legge 11 giugno 1922
n. 778 tutelava le bellezze panoramiche (art. 1), concetto che trascende la somma degli oggetti
fisici, naturali e non, che le compongono, e ne garantiva il loro pieno godimento (art. 5):
un’impostazione poi seguita dalla legislazione del 1939, che per oltre sessant’anni fu alla base
della politica culturale dello Stato italiano. L’art. 7bis dell’attuale normativa tutela, con esplicito
riferimento alle convenzioni Unesco del 2003 e del 2005, i beni culturali immateriali, sia pur
legati alla loro sussistenza in testimonianze materiali: in sostanza, per quanto concerne il
patrimonio musicale, tutela i nastri, i
filmati, i files frutto dell’attività dei
ricercatori in ambito demologico.
In realtà la convenzione Unesco ha
un orizzonte più ampio, che investe,
oltre agli strumenti del sapere, le
pratiche, rappresentazioni,
espressioni, conoscenze che le
comunità, i gruppi […] riconoscono
come parte del loro patrimonio
culturale. Non il supporto, dunque, ma il contenuto stesso. In un quadro siffatto rientra a pieno
titolo la musica corale, tanto nella sua entità espressiva (le musiche che compongono il
repertorio corale) quanto nella sua dimensione sociale (i cori che ne garantiscono la pratica e la
trasmissione).
Il coro è infatti il luogo dove si concretizza, per larghi strati della popolazione italiana, la
formazione musicale di base, l’incontro con il patrimonio culturale rappresentato dalla musica,
capace di allargarsi poi oltre l’ambito corale per diventare esperienza musicale a più ampio
raggio. È il luogo dove avviene la trasmissione di un sapere concernente non solo la conoscenza
di un repertorio, ma anche delle tecniche necessarie a riprodurlo e renderlo fruibile a se stessi
in primis e quindi al più vasto pubblico.
Ma, oltre al dato strettamente musicale, il coro è il luogo dell’identità di gruppo. È un fatto
acquisito che il coro si sviluppi all’interno di comunità della cui solidità è espressione e al tempo
Il coro diventa portavoce
delle diverse culture che
convivono in una società.
54
la
coralità
italiana
coralità italiana
patrimonio culturale
immateriale
la
stesso elemento costitutivo. Il coro diventa quindi portavoce delle diverse
culture che convivono in una società, facendosi in tal modo espressione
di quella diversità culturale la cui salvaguardia e promozione è uno degli
obbiettivi della Convenzione di Parigi. Al tempo stesso nel coro i portati
culturali e le esperienze personali di ciascuno si integrano nel lavoro
d’insieme, così che il coro possa diventare a un tempo il luogo della
salvaguardia dell’identità e dell’integrazione.
Le differenti culture musicali regionali, le cui caratteristiche affondano a
volte le radici nella situazione dell’Italia pre-unitaria, hanno determinato
nel nostro paese una diversificazione, tanto in merito alla quantità quanto
alla tipologia, del fenomeno corale: cambia l’organico, con una maggior
diffusione nell’arco alpino del coro maschile, sul modello delle
Liedertafeln di area tedesca e un predominio del coro misto nelle altre
aree del Paese; cambia il repertorio, più collegato alla tradizione musicale
popolare nel nord, dove questa è di tipo corale, più ispirato al repertorio
polifonico classico dove invece la tradizione popolare si esprime di più
con il canto solistico. Ovunque, tuttavia, si è verificato, negli ultimi
decenni, un incremento dell’attività corale, che ha ridotto le distanze e,
grazie all’associazionismo corale, ha prodotto
scambi che hanno favorito l’integrazione dei
repertori e il loro arricchimento.
Come è diffusa su tutto il territorio nazionale, così
Feniarco
la coralità lo è all’interno di ogni ambiente sociale
e classe di età. Se in Italia la tradizione dei cori
FE.N.I.A.R.CO.
aziendali, tipica dell’est europeo, conta pochi
esempi, si è invece espanso molto il fenomeno del
coro scolastico, che investe tutti gli ordini di
scuola, da quella primaria all’università. Il coro è
poi espressione delle diverse comunità religiose:
accanto ai numerosissimi cori delle parrocchie
cattoliche, che proseguono nella loro attività pur
nel confronto con le trasformazioni liturgiche del
periodo postconciliare, esistono quelli di altre
confessioni religiose, che rappresentano e
identificano nei termini sopradescritti. Altrettanto
avviene per le culture e le lingue minoritarie del
Paese.
icori associat
Abruzzo
i
- cori associat
.C.A.Regionale Cori Abruzzo
A.Rciaz
ione
Asso
Spoltore (Pe)
ecco, 56/A - 65010
zo.it
Sede: Via Montes
www.coriabruz
oriabruzzo.it sito:
E-mail: info@c
1983
Anno fondazione:
Vecchiati
Presidente: Gianni
i Corali
ioni Regional
Italiana Associaz
ionale
Fax. 0434 877554
Federazione NazSan Vito al Tagliamento (Pn) - Tel. 0434 876724 39 - 33078
t
Sede: Via Altan,
www.feniarco.i
eniarco.it sito:
E-mail: info@f
1984
Anno fondazione:
Fornasier
Presidente: Sante
CORI ISCRITTI
0,61%
11,79%
11,79%
1,41%
1,41%
1,41%
4,23%
popolare
48,98%
48,98%
popolare
Primo passo alla valorizzazione di un patrimonio
culturale, materiale o immateriale che sia, è la sua
conoscenza e questa passa per il suo censimento. A questo mira il
progetto integrato PACI, in attuazione delle già citata convenzione
Unesco. La presente ricerca è realizzata da Feniarco, la principale realtà
associativa nazionale, che, attraverso le associazioni regionali federate,
raggruppa oltre 2.500 cori italiani. Un primo, necessario passo, compiuto
il quale sarà possibile utilizzare le conoscenze acquisite per approntare
strumenti di diffusione della conoscenza on line, realizzare un più efficace
coordinamento interistituzionale tra le istituzioni e la società civile, offrire
supporto alle amministrazioni locali e centrali e alle altre istituzioni: in
una parola, al sistema-Paese.
Te
15
64,72%
Aq
88,73%
Pe
Te
10
1,41%
Aq
Ch
Pe
Te
1,41%
4,23%
Ch
Tipologia
27,78%
4,23%
dei cori
1,37%
1,37%
1,37%
4,11%
Misti
4,11%
Misti
Maschili
Maschili
Femminili
Femminili
Voci bianche
Voci bianche
5
0
Ch
27,40%
Giovanili
vocali
Gruppi
Giovanili
Gruppi vocali
Misti
Voci bianche
17,08%
l pop/leggero
Aq
Capoluogo
Voci bianche
Giovanili
spiritual/gospel/voca pop/leggero
vocal
spiritual/gospel/
16
Pe
Provincia
Maschili
Maschili
li
Femminili
Femmini
10
liturgico
liturgico
polifonico
o
polifonic
32,93%
Ch
0
Misti
lirico lirico
32,93%
Aq
Pe
22,22%
3,74%
4,26%
gregoriano
35,62%
21,92%
20
ico
dei cori per organ
7,33%
gregoriano
Aq
36,11%
25
Provin cia
Capolu ogo
2,87%
cia
dei cori per provin
Te
13,89%
15,07%
4,23%
15
ogni
Coriogni
Cori
per
Coriper
Cori
abit.
5.000abit.
iaia 5.000
provinc
provinc
0,42
0,42
35,62%
35,62%
0,25
0,25
27,40%
27,40%
0,25
0,25
21,92%
21,92%
0,18
0,18
15,07%
15,07%
0,27
0,27
100,00%
100,00%
Coriinin
Cori
nel
Corinel
Cori Cori
Cori
com.
altricom.
gogo altri
capoluo
totale capoluo
totale
1919
77
2626
2020
00
2020
33
1313
1616
88
3
3
1111
5050
2323
7373
Distribuzione
per provincia
Numero dei cori
5
Distribuzione
20
2,44%
3,25%
309.264
309.264
396.852
396.852
321.192
321.192
311.590
311.590
9898
1.338.8
1.338.8
150.819
150.819
193.128
193.128
154.614
154.614
152.191
152.191
650.752
650.752
158.445
158.445
203.724
203.724
166.578
166.578
159.399
159.399
688.146
688.146
1,41%
orio
dei cori per repert
3,25%
ii
Abitant
Abitant
totale
totale
ii
Abitant
Abitant
uomini
uomini
ii
Abitant
Abitant
donne
donne
30
25
0,61%
2,44%
108
108
104
104
4646
4747
305
305
L'Aquila
L'Aquila
Chieti
Chieti
Pescara
Pescara
Teramo
Teramo
Totale
Totale
CORI ISCRITTI
Distribuzione
Comuni
Comuni
aa
Provinci
Provinci
ogni
Coriogni
Cori
per
Coriper
Cori
abit.
Coriinin
Cori
5.000abit.
nel
Corinel
regione 5.000
regione
Cori Cori
Cori
com.
altricom.
ii
Abitant
gogo altri
Abitant
0,27
0,27
capoluo
ii
totali capoluo
totali
Abitant
2,91%
Abitant
2,91%
totali
totali
ii
6666
Abitant
Abitant
0,28
0,28
77
uomini
uomini
1,12%
1,12%
7373
donne
donne
1414
Comuni
9898
Comuni
0,17
0,17
1.338.8
1.338.8
1414
0,80%
Regioni
650.752
0,80%
Regioni
2828
650.752
1818
0,09
503.434
688.146
0,09
503.434
688.146
22
305
305
1,39%
248.563
1,39%
2020
248.563
34
34
0,04
254.871
588.879
0,04
254.871
588.879
Abruzzo
11
Abruzzo
116
116
2,07%
288.274
2,07%
3535
288.274
4747
2424
Adige
0,20
300.605
0,20
300.605
2.010.5
2.010.5
AltoAdige
55
Alto
131
131
7,13%
52
979.589
7,13%
52
979.589
152
152
6262
3535
tata
1,28
1,28
5.824.6
1.030.9
5.824.6
1.030.9
Basilica
Basilica
2727
409
3535
409
12,54%
179
2.824.9
12,54%
179
2.824.9
275
275
3535
2727
0,10
0,10
4.377.4
2.999.7
4.377.4
2.999.7
Calabria
40
Calabria
40
551
6666
551
4,54%
4,54%
315
2.126.9
315
2.126.9
5858
7979
6969
iaia
0,12
0,12
1.234.0
2.250.4
1.234.0
2.250.4
Campan
Campan
5656
341
341
1,55%
597.575
1,55%
114
597.575
114
21
21
68
omagna
68
omagna
0,19
636.504
0,19
636.504
5.681.8
5.681.8
Emilia-R
Emilia-R
1818
219
2525
219
14,70%
3939
2.731.4
14,70%
2.731.4
Giulia
334
334
8686
4343
VeneziaGiulia
0,31
0,31
1.615.9
2.950.4
1.615.9
2.950.4
FriuliVenezia
35
Friuli
35
378
378
3,94%
767.593
3,94%
369
767.593
369
9595
4141
0,14
848.393
0,14
848.393
9.826.1
9.826.1
Lazio
44
Lazio
235
6363
235
0,36%
0,36%
9999
4.802.3
4.802.3
7
7
76
78
76
78
0,24
0,24
5.023.7
1.577.6
5.023.7
1.577.6
2
Liguria
2
Liguria
1.546
1.546
8,32%
99
766.662
8,32%
766.662
181
181
dia
dia
0,08
811.014
320.229
0,08
811.014
320.229
Lombar
Lombar
2828
246
246
2,59%
155.835
2,59%
209
155.835
209
6262
3030
0,12
164.394
0,12
164.394
4.446.2
4.446.2
Marche
33
Marche
136
2626
136
1,59%
1,59%
6565
2.154.8
2.154.8
3333
3535
0404
0,09
0,09
2.291.4
4.084.0
2.291.4
4.084.0
7
Molise
7
Molise
02
02
1.206
1.206
3,54%
3,54%
4040
1.980.9
1.980.9
7272
0404
3333
tete
0,17
0,17
2.103.1
1.672.4
2.103.1
1.672.4
Piemon
Piemon
1717
268
268
5,18%
819.875
5,18%
8989
819.875
118
92
118
92
1,77
852.529
1,77
852.529
5.042.9
5.042.9
Puglia
Puglia
1212
377
9595
377
7,41%
7,41%
130
2.436.4
130
2.436.4
167
167
3030
9797
aa
0,52
0,52
3.730.1
2.606.4
3.730.1
2.606.4
Sardegn
Sardegn
1919
35
390
35
390
3,74%
3,74%
186
1.797.2
186
1.797.2
7373
9595
1,06
524.826
1,06
524.826
1.932.8
1.932.8
Sicilia
Sicilia
2121
287
287
1,08%
256.602
1,08%
9494
256.602
1919
0,35
900.790
268.224
0,35
900.790
268.224
8
Toscana
8
Toscana
223
223
434.058
13,50%
2727
434.058
13,50%
332
332
0,21
127.866
466.732
0,21
127.866
466.732
Trentino
77
Trentino
9292
62.743
62.743
339
100,00%
339
100,00%
2.178
3838
2.178
65.123
65.123
4.912.4
4.912.4
Umbria
Umbria
333
333
2121
7474
2.404.7
2.511
2.404.7
52230 2.511
1717
522
d'Aosta
2.507.7
60.341.
2.507.7
Valled'Aosta
60.341.
Valle
581
989
581
989
29.287.
29.287.
533
533
31.053.
Veneto
31.053.
Veneto
8.111
8.111
Totale
Totale
Ch
87,67%
Gruppi vocali
Giovanili
Gruppi vocali
Pe
88,73%
Te
17
CMT
Choral
Management
Today
Gestione e organizzazione
delle associazioni corali
febbraio / maggio 2011
Stage per giovani manager
in ambito corale-musicale
Torino, 26 giugno / 3 luglio 2011
info su
www.feniarco.it
iniziativa realizzata
con il contributo del
Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali
56
UNA SOLA VOCE PER LA MUSICA CORALE EUROPEA
Reportage dall’Assemblea 2010 di Europa Cantat
di Giorgio Morandi
A Namur (Belgio) dal 26 al 28 novembre la Fédération Chorale
Wallonie-Bruxelles A Coeur Joie ha organizzato l’Assemblea
Generale di Europa Cantat.
Oltre ai resoconti sulle questioni legali e finanziarie che
l’Assemblea ha discusso e approvato, sono stati presentati e
discussi molti altri argomenti, programmi, progetti innovativi e
iniziative di grande respiro che ragioni di spazio non
permettono qui neppure di accennare, ma che potranno
trovare adeguata presentazione in altre occasioni.
Al momento ci pare importante sottolineare – come il titolo di
questa breve relazione bene evidenzia – il grande evento che
ha caratterizzato l’assemblea di quest’anno.
I convenuti hanno ratificato definitivamente la fusione delle
due grandi associazioni corali europee fino ad ora esistenti,
Europa Cantat e AGEC - Arbeitsgemeinschaft Europäischer
Chorverbände (Associazione delle Società Corali Europee).
Il significato profondo e complessivo dell’unione è risultato
sicuramente ancor più evidente dopo la relazione sulla storia e
i valori di 55 anni di attività dell’AGEC presentata dal suo
presidente Michael Scheck e dopo lo scrupoloso excursus di
Jeroen Schrijner (presidente di Europa Cantat dal 2000 al
2009) che ha parlato della vita e dell’attività cinquantennale di
Europa Cantat. È una importante sottolineatura rendere
esplicito che i due presidenti citati sono stati gli artefici della
fusione che si è testé perfezionata. Ma ciò che conta, ora, è il
futuro. Fondamentale, a questo proposito, è stata la relazione
di Sante Fornasier, ultimo presidente di Europa Cantat e primo
presidente di European Choral Association - Europa Cantat: un
discorso politico programmatico di respiro veramente europeo,
proiettato davvero verso il futuro, per una coralità europea
sempre in crescita, sempre più cosciente, sempre più
produttiva ad alto livello, sempre più importante nella vita
dell’Europa Unita.
Per entrare un po’ più nel dettaglio della creazione dell’unica
grande associazione corale europea, ci rifacciamo al
comunicato stampa rilasciato dalla Segreteria Generale
dell’associazione, dandovene qui di seguito una traduzione
estemporanea.
«Il 27 novembre scorso i membri di Europa Cantat,
Federazione Europea dei Cori Giovani (FEJC EC), e
l’Associazione delle Società Corali Europee (AGEC) hanno
completato la fusione delle due organizzazioni nell’unica
European Choral Association - Europa Cantat. Con questa
denominazione dal 1 gennaio 2011 le due organizzazioni corali
continueranno unitariamente la loro attività nell’unica
organizzazione non profit pan-europea. Rivolgendo la propria
attenzione sia ai giovani sia agli adulti essa si dedicherà
all’educazione e agli scambi culturali nel campo della musica
vocale.
L’AGEC era stata fondata nel 1955 e la missione principale che
si era proposta era la collaborazione fra le associazioni corali
nazionali allo scopo di promuovere la comprensione reciproca
attraverso il canto e il fare musica.
Europa Cantat era stata fondata nel 1960/1963 quale
strumento per organizzare la cooperazione internazionale, la
promozione della tolleranza e della pace attraverso il canto
comune e lo scambio interculturale del repertorio corale.
Senza rinunciare ai rispettivi ideali le due organizzazioni ora
uniranno tutti i loro sforzi nell’unica nuova associazione.
European Choral Association - Europa Cantat rappresenterà
direttamente circa 50 organizzazioni nazionali e regionali dei
cori e dei direttori di coro, ben oltre un milione di cantori, di
direttori, di compositori e di manager corali arrivando a
coinvolgere oltre 20 milioni di persone in oltre 40 paesi
europei.
Attraverso European Choral Association - Europa Cantat la
musica corale in Europa parlerà con una sola voce e
rappresenterà il mondo corale europeo nelle organizzazioni
musicali internazionali e a livello politico europeo.
Con questa fusione, European Choral Association - Europa
Cantat mira a rafforzare la posizione della musica corale
all’interno dell’Europa e a promuovere gli effetti umani,
educativi e sociali del canto corale e del far musica insieme.
Per raggiungere questi scopi l’associazione continuerà a
organizzare e sviluppare attività in collaborazione con i soci
ASSOCIAZIONE
Europa Cantat:
50 anni molto ben portati
Lo scorso 15 maggio abbiamo festeggiato 50 anni da quel 15 maggio 1960 in cui
un gruppo di direttori di coro provenienti da diversi paesi coinvolti nella
Seconda Guerra Mondiale (Austria, Germania, Francia, Italia, Spagna, Svizzera e
Jugoslavia) si riunì a Ginevra e decise di costituire una Federazione Europea di
Cori Giovanili. Questi padri fondatori avevano ancora in mente la guerra e
cercavano dei modi per promuovere la comprensione tra i popoli attraverso i
loro cori giovanili. Le forze trainanti furono due direttori da Francia e Germania,
César Geoffray e Gottried Wolters, e le organizzazioni corali: la francese A Coeur
Joie e la tedesca Arbeitkreis Musik in der Jugend. Una serie di incontri
internazionali di giovani a Lorelei negli anni ’50 aveva aperto la strada all’idea:
quale miglior modo per promuovere la reciproca comprensione che con un
evento di dieci giorni durante i quali i giovani avrebbero potuto non solo cantare
per gli altri ma con gli altri, condividendo anche l’alloggio e i pasti così da
passare insieme tutto il loro tempo? Nel 1961 si svolse a Passau il primo Festival
Europa Cantat con 69 cori da 12 diversi paesi europei. L’elenco includeva anche
un coro della ex Jugoslavia e un coro da Lipsia, i cui coristi vissero la speciale
atmosfera di un incontro internazionale solo pochi giorni prima della costruzione
del muro, e la cosa poi non sarebbe stata più possibile per molti anni. Durante
il festival Gottfried Wolters salì sul palco assieme a Roger Motz, rimasto cieco
durante la guerra. Raccontarono ai giovani di come avevano scoperto di aver
combattuto entrambi nello stesso giorno nei due fronti del Reno.
Quindi, forse uno è stato il responsabile della cecità dell’altro e perciò hanno
voluto impedire assieme, tramite il Festival Europa Cantat, che qualcosa del
genere succedesse di nuovo. L’idea di base di promuovere la tolleranza e la
pace attraverso il cantare insieme in eventi interculturali e promuovere e
diffondere il repertorio corale europeo, è ancora oggi il fondamento dell’ampio
programma della federazione, che intanto negli anni ’90 ha cambiato nome in
Europa Cantat - Federazione Europea dei Cori Giovanili. Il 9 febbraio 1963
l’associazione fu registrata a Bonn come associazione non-profit secondo le
leggi tedesche, e sin dalla sua fondazione è stata supportata dal Ministero per
le Politiche Giovanili e recentemente anche dall’Unione Europea. Oggi Europa
Cantat conta fra i suoi associati oltre 40 federazioni da 28 paesi europei,
centinaia di cori e singoli membri. Il suo programma include il festival triennale,
ma anche diverse tipologie di eventi per cori, direttori di coro, compositori e
manager corali. Nell’anno dell’anniversario Europa Cantat ha organizzato una
serie di eventi (si possono vedere nel sito www.europacantat.org). Nel giorno
del suo compleanno, il Presidente Sante Fornasier (primo italiano eletto alla
guida della Federazione Europea) è stato presente al concerto di Hearts-inHarmony in cui bambini e giovani disabili hanno cantato assieme ad altri
giovani: Europa Cantat significa cantare assieme oltre tutti i confini, non solo in
senso geografico. E a 50 anni Europa Cantat si sente matura per ulteriori
cambiamenti. Così l’Assemblea Generale dell’autunno 2009 ha deciso la fusione
di Europa Cantat con l’Associazione Europea delle Federazioni Corali (AGEC),
fusione ratificata definitivamenre nel corso dell’assemblea 2010 a Namur.
Da gennaio 2011 i membri delle due associazioni parleranno con una voce
sola a nome della musica corale in Europa, con il nome di European Choral
Association - Europa Cantat. Una nuova avventura, e per la coralità amatoriale
italiana è sicuramente un motivo di soddisfazione e di grande responsabilità che
alla guida di questa magnifica realtà ci sia il presidente di Feniarco.
57
attuali e con quelli che verranno
acquisiti in futuro. Per ampliare
questi scopi rafforzerà la
collaborazione con istituti di
ricerca, esplorerà e acquisirà
conoscenze nuove sugli aspetti
fisici del canto. Cercherà di
sostenere lo sviluppo economico
del settore entrando in campi
quali quello del management
culturale, della raccolta fondi e
della sponsorizzazione.
Avendo in mente progetti di
grande successo e di vasta
ispirazione, European Choral
Association - Europa Cantat
continuerà a lanciare progetti per
l’integrazione musicale delle
minoranze e delle persone disabili.
Il programma di European Choral
Association - Europa Cantat per i
prossimi anni comprende il
Festival Europa Cantat a Torino
(luglio-agosto 2012), il Festival
Europa Cantat Junior a Parnu in
Estonia (luglio 2011), due sessioni
annuali di EuroChoir (2011 in Italia
e 2012 in Repupplica Ceca), il Coro
Mondiale Giovanile, un buon
numero di settimane cantanti
internazionali in diversi paesi
europei, seminari, corsi, study
tours per direttori di coro,
compositori e manager corali,
concorsi di composizione e
conferenze.
European Choral Association Europa Cantat sarà gestita
inizialmente da un Board di 15
persone provenienti da 13 paesi
europei, rappresentative dei Board
di entrambe le organizzazioni, e
sotto la presidenza di Sante
Fornasier (Italia) che si avvarrà
della collaborazione dei
vicepresidenti Gábor Móczár
(Ungheria), Fred Sjöberg (Svezia) e
Anneliese Zeh (Austria) e del
tesoriere Jean Smeets (Belgio).
La sede dell’associazione è a Bonn
(Germania) dove risiede la
Segreteria Generale retta da Sonja
Greiner e il suo staff».
58
access! La musica ai giovani
di Sarah Anania
Dal 15 al 17 ottobre 2010, si è svolto a Torino il primo forum
europeo sui giovani e la musica. Esso rientra nel progetto
Access!, ideato e coordinato dal Working Group Youth
(WGY), comitato di giovani che opera all’interno
dell’European Music Council, in collaborazione con Europa
Cantat e Feniarco.
La scelta della location per questo progetto nella splendida
città piemontese, eletta Capitale Europea dei Giovani per il
2010, è stata determinata dalla stretta relazione che Access!
ha con quello che sarà un evento unico nel suo genere,
ossia il Festival Europa Cantat Torino 2012, in particolare a
sottolinearne lo spirito multiculturale, democratico e
sensibile al mondo giovanile e al suo futuro.
Ad Access! hanno partecipato circa 60 giovani provenienti
da tutta Europa con lo scopo di confrontarsi sui molteplici
aspetti relativi al mondo della musica, con la supervisione
di professionisti del settore, che hanno non solo
sapientemente impartito insegnamenti e consigli, ma hanno
soprattutto fornito spunti di riflessione e di discussione ai
veri protagonisti del meeting: i giovani. Durante i tre giorni,
diversi sono stati gli workshops: politiche giovanili in
campo musicale, arts management, social networking ed
educazione musicale sono solo alcuni degli argomenti
trattati.
Circa la metà dei partecipanti attivi e degli organizzatori di
Access! erano italiani: ciò in parte è dipeso certamente dal
fatto che il forum si svolgesse in una città italiana, ma
anche dalla grande capacità organizzativa e divulgativa
delle associazioni italiane che hanno collaborato al
progetto. L’Italia si è rivelata parte fondamentale nei
dibattiti che hanno colorato i tre giorni dedicati al forum,
guadagnandosi una rappresentante italiana nella nuova
formazione del WGY, Arianna Stornello, la cui elezione
accrescere sicuramente il valore del progetto a livello
nazionale, poiché costituisce un vero e proprio fil rouge tra
i giovani italiani e le organizzazioni europee impegnate in
campo musicale, facendosi così da un lato portavoce
dell’esperienza e della situazione italiana, e dall’altro
membro in grado di influenzare le scelte e le azioni dello
stesso organo.
Un programma interattivo quello di Access! basato sul
dialogo e la partecipazione attiva dei giovani alla
discussione e che si fonda sul principio “for youth by
youth”, in quanto creato dai giovani delle organizzazioni
collaboranti al progetto, al servizio degli stessi e dello loro
aspirazioni.
Uno dei traguardi raggiunti al termine del forum è stata la
stesura della European Agenda for Youth and Music, un
vero e proprio documento con valenza politica nel quale i
giovani partecipanti hanno inserito e definito le loro
aspirazioni e i loro attuali interessi nel campo della musica
e della politica culturale giovanile. Questo testo, che sarà
poi diffuso a livello mondiale, fungerà da punto di
riferimento per le organizzazioni musicali e le politiche
europee, nonché da stimolo per le generazioni di giovani
presenti e future. Il punto di vista nell’Agenda è certamente
quello dei giovani che, partecipando ad Access!, hanno dato
il loro contributo raccontando e confrontando le proprie
esperienze con quelle di altri ragazzi provenienti da tutti gli
angoli d’Europa, discutendo e cercando soluzioni e
proposte a problemi comuni o specifici ma, soprattutto,
collaborando nella trascrizione di punti chiari, rispettosi e
rappresentativi delle aspirazioni di ciascun partecipante, sia
che esso rappresentasse esclusivamente se stesso o una
associazione e/o organizzazione operante in campo
musicale o “semplicemente” il proprio paese di
provenienza. Il prodotto è certamente di carattere europeo
e in linea con la ricerca di una vera “identità europea”
nell’ottica, però, del rispetto delle peculiarità di ogni singolo
popolo e nazione facente parte della Comunità: united in
Ogni individuo ha diritto
di prendere parte alla vita
culturale della comunità.
diversity (trad. “uniti nella diversità”). Questo c.d. European
motto ha una stretta relazione con l’art 151 del trattato di
Amsterdam (2 ottobre 1997): «la Comunità contribuisce al
pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto
delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel
contempo il retaggio comune». Entro questa prospettiva, si
può certamente affermare che Access! abbia gettato le basi
per l’affermazione di una possibile “cultura europea”
giovanile in ambito musicale.
La European Agenda e Access! trovano le loro origini nella
Comunicazione intitolata A european agenda for culture in
a globalising world (trad. “documento europeo sulla cultura
nel mondo globalizzato”), adottata dalla Commissione
Europea nel 2007, sviluppando i principi di una cultura in
senso ampio espressi dalla Unesco Convention on the
Protection and Promotion of the Diversity of Cultural
Expression 2005 (trad. “Convenzione dell’Unesco sulla
Protezione e Promozione della diversità delle espressioni
culturali”). Affinché si realizzasse l’ambizioso progetto della
ASSOCIAZIONE
European Agenda, il Consiglio all’epoca propose una strategia
basata sull’individuazione di campi d’azione ben definiti; tra
questi la mobilità dei giovani, l’educazione culturale e
artistica, e l’accesso a tutte le espressioni artistiche. Da qui il
titolo Access! che sta a significare proprio l’opportunità di
accesso per i giovani nell’ambito musicale e il loro
inserimento in un dialogo interculturale proficuo e costruttivo
tra popoli non solo a livello europeo, ma anche
internazionale, creando una vera e propria piattaforma per i
giovani in cui questi ultimi possano interagire con le
organizzazioni e le istituzioni.
L’Art. 27,1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
del 10 dicembre 1948 recita: «Ogni individuo ha diritto di
prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità,
di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico
ed ai suoi benefici». E ancora «the right for all children and
adults to have access to musical involvement through
participation, listening, creation and information» (trad. “il
diritto per tutti i bambini e gli adulti di avere accesso in
qualsiasi implicazione in campo musicale attraverso la
partecipazione, l’ascolto, la creazione e l’informazione”):
è uno dei cinque Musical Rights rispettati e supportati
dall’European e International Music Council.
Questi due documenti sanciscono l’importanza della
partecipazione e del dialogo come strumenti di evoluzione e
crescita della società; strumenti che non solo devono
permettere uno scambio di informazioni e un confronto
culturale a livello transnazionale, ma anche
multigenerazionale. Se è vero che le più giovani generazioni
rappresentano il futuro, è altrettanto vero che bisogna agire
ora, nel presente: sono i giovani di oggi a dover gettare le
basi per il loro e l’altrui futuro. Ciò può verificarsi solo
creando una mutual understanding, cioè una “comprensione
profonda e reciproca” tra individui portatori di uniche e
inimitabili esperienze.
Queste sono le motivazioni grazie alle quali si può certo
affermare la notevole lungimiranza e coraggio degli organi e
delle associazioni nazionali e internazionali che hanno
pensato e attuato il forum Access! 2010, investendo e
partecipando attivamente alla sua realizzazione, dando così a
decine di giovani la possibilità e l’opportunità di mettersi in
gioco, “mobilitarsi” ed essere attivi per il proprio futuro.
59
60
ORGOGLIO DELLA TRADIZIONE
E PROGETTUALITÀ MODERNA
di Rossana Paliaga
Il concorso polifonico internazionale Guido d’Arezzo ha
festeggiato dal 14 al 19 settembre 58 anni di attività, con la
volontà di mantenere una tradizione, ma di rinfrescare sotto
la nuova presidenza la propria immagine, soprattutto a livello
istituzionale. Alla volontà di riconfermare aspetti
caratterizzanti di questo concorso come l’intitolazione a Guido
d’Arezzo va ricondotto il ritorno della rassegna dedicata al
canto monodico, una vetrina specifica alla quale hanno preso
parte quattro gruppi di cui tre italiani. La vittoria è andata
all’armonioso ensemble femminile viennese Schola Resupina,
forte di ottime soliste, un suono rotondo e compatto.
Nelle cinque categorie del concorso internazionale si sono
esibiti 15 cori da 13 paesi. Non ci sono stati dubbi sulla
consegna del Grand Prix, assegnato al coro Svenska
Kammarkören di Göteborg, vincitore del primo premio per il
repertorio classico-romantico, per il repertorio
contemporaneo, dal programma particolarmente interessante,
e per la sezione storica con obbligo del mottetto Dum aurora
finem daret di Palestrina. Il coro svedese ha dimostrato di
avere molto da raccontare con la raffinatezza, il controllo del
suono, la sicurezza e l’espressività che hanno caratterizzato
tutte le esibizioni.
Ottimi anche i piazzamenti del coro irlandese New Dublin
Voices, vincitore nella polifonia rinascimentale e con due terzi
posti nella debole categoria dei gruppi vocali (dove il primo
premio non è stato assegnato), e nella sezione con
programma storico. Il coro ha presentato un lavoro onesto ma
parco di colori, un suono modesto, ma grande entusiasmo.
Ha pienamente convinto, gratificando un ottimo lavoro, il
primo premio al coro di voci bianche Prague Philharmonic,
rafforzato dall’altrettanto condivisibile premio Mariele Ventre
al miglior direttore consegnato al giovane Petr Louz̆ensky che
nonostante un’apparenza austera si è dimostrato capace di
trasmettere ai suoi giovani coristi la propria sensibilità e
musicalità, tradotte in estrema eleganza, precisione,
omogeneità, disciplina e un suono curatissimo che ha
regalato al pubblico alcune delle emozioni più belle di questa
edizione.
Il buon livello, ma sostanzialmente senza esibizioni
sorprendenti, espresso dal concorso internazionale, è stato
integrato dai risultati più che soddisfacenti del concorso
nazionale. All’interno della 27ª edizione si sono esibiti nove
cori che per provenienza hanno abbracciato il territorio
nazionale da Trento a Reggio Calabria. Il terzo posto è andato
all’energia del coro misto Hrast di Doberdò del lago (Go)
diretto da Hilarij Lavrenc̆ic̆, il secondo al coro Città di Piazzola
sul Brenta diretto da Paolo Piana che si è distinto per
l’equilibrio delle voci. Il meritato primo premio e la medaglia
presidenziale sono stati conquistati dal Vocalia Consort di
Roma, un coro maturo, sicuro e dall’espressione intensa,
diretto da Marco Berrini. Il premio Feniarco è andato invece ai
Valsugana Singers di Giancarlo Comar, un incentivo per la
giovane età dei cantanti e i risultati apprezzabili in un
repertorio impegnativo.
Il concorso di Arezzo vuole rilanciarsi anche agli occhi delle
istituzioni e sta cercando la giusta misura per farlo, con
qualche prevedibile intoppo organizzativo, dovuto
principalmente a motivi logistici come l’utilizzo degli spazi
ridotti della chiesa di Sant’Ignazio per grandi eventi corredati
da ricco parterre di personalità, con evidenti problemi di
capienza che hanno suscitato vivaci contestazioni da parte del
pubblico della serata finale. Il lato scintillante della medaglia
è stata invece la presenza della cantante Katia Ricciarelli
come madrina delle premiazioni finali e del presidente di RAI
International, oltre a un’ampia rappresentanza di direttori dei
grandi concorsi europei. Peccato invece che la cura
dell’immagine di prestigio internazionale non sia stata
sostenuta anche da una presentazione multilingue
adeguatamente professionale.
Il ricco programma del concorso è stato completato da
concerti serali e dalla rassegna di canto popolare nella
cornice storica dell’anfiteatro romano di Arezzo, che ha
ospitato il folclore di Repubblica Ceca, Russia, Brasile,
Finlandia, Norvegia e Svezia. Due concerti hanno avuto un
significato particolare in quanto dedicati ai vincitori del
Guidoneum award, il riconoscimento alla carriera, consegnato
al coro norvegese Grex Vocalis che festeggia i 40 anni di
attività e ai fuoriclasse dei Philippine Madrigal Singers,
entrambi ammirati in due concerti memorabili da tutto
esaurito.
L’impegno per la formazione di direttori di coro che possano
portare i loro ensemble a livelli simili a questi è stato invece
testimoniato dalla masterclass di direzione di coro con
concerto-esame finale con i quali ha avuto inizio il programma
del concorso. Preside della scuola è Francesco Luisi, che
rimane una presenza storica all’interno del concorso nel ruolo
di sovrintendente, mentre la presidenza è passata a Pasquale
Macrì che ha sottolineato da subito il suo impegno sui fronti
della ricerca di fondi e dell’inserimento nel territorio,
ipotizzando inoltre una candidatura di Arezzo al
riconoscimento Unesco come città della musica: «Al concorso
serve comunicazione a livello cittadino, regionale e nazionale,
una maggiore apertura alla gente. La coralità deve
raggiungere e coinvolgere le persone, perché in questa
CRONACA
61
capacità risiede la sua forza. L’impegno di questa presidenza sarà quello
di stimolare alla partecipazione, rinnovando l’orgoglio che con il tempo si
è perso, mentre l’alta qualità è rimasta costante. Il mio primo banco di
prova è stata la città stessa, quando ho riunito i rappresentanti dei
quartieri storici della Giostra del Saracino proponendo loro la
collaborazione nell’accoglienza dei coristi. La risposta è stata ottima e
spero si possa rafforzare con collaborazioni reciproche fin dalla prossima
edizione. Riguardo alle difficoltà con gli spazi voglio essere prudente
rispetto ai progetti futuri, ma stiamo lavorando per ottenere l’utilizzo di
altre sedi. Punto in particolare sul teatro vasariano perché penso che
avere a disposizione un teatro di tale valore storico e artistico possa
essere un motivo di orgoglio per la Fondazione».
58º CONCORSO POLIFONICO
INTERNAZIONALE GUIDO D’AREZZO
Premio per la miglior esecuzione del brano d’obbligo:
Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia)
Categoria A – Canto monodico
Gran Premio Città di Arezzo
Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia)
Categoria B – Polifonia
Sez. 3 - Gruppi Vocali
1° premio: non assegnato
2° premio: Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia)
3° premio: New Dublin Voices - Dublino (Irlanda)
Sez. 4 - Cori
1° premio: Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia)
2° premio: Batavia Madrigal Singers - Jakarta (Indonesia)
3° premio: New Dublin Voices - Dublino (Irlanda)
Sez. 5 - Voci Bianche
1° premio: Prague Philarmonic Children’s Choir - Praga
(Repubblica Ceca)
2° premio: Vdokhnovenie - Mosca (Russia)
Sez. 6 - Rassegna per periodi storici
Premio speciale periodo B:
New Dublin Voices - Dublino (Irlanda)
Premio speciale periodo C: non assegnato
Premio speciale periodo D:
Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia)
Premio speciale periodo E:
Svenska Kammarkoren - Goteborg (Svezia)
Sez. 7 - Rassegna di musica corale contemporanea
Premio speciale: non assegnato
Sez. 8 - Canto Popolare
Premio commissione d’ascolto: Madrigal de Brasilia (Brasile)
Premio del pubblico: Madrigal de Brasilia (Brasile)
Premio speciale offerto dalla Fondazione “Mariele Ventre”,
per il miglior direttore della Cat. B: Petr Louzensky,
direttore del Prague Philharmonic Children’s Choir - Praga
(Repubblica Ceca)
Sez. 1 - Rassegna di canto monodico
Premio speciale: Schola Resupina - Vienna (Austria)
Sez. 2 - Programma da concerto di Canto Monodico
Premio speciale ex aequo:
Schola Resupina - Vienna (Austria)
Gruppo Vocale Armoniosoincanto - Perugia (Italia)
Premio speciale al gruppo che abbia presentato il programma
più interessante dal punto di vista della ricerca nel
settore, per la Categoria A:
Gruppo Vocale Armoniosoincanto - Perugia (Italia)
27º CONCORSO POLIFONICO
NAZIONALE
1° premio: Vocalia Consort - Roma 2° premio: Coro Città di Piazzola sul Brenta (Padova)
3° premio: Coro misto Hrast - Doberdò del Lago (Gorizia)
Seguono in ordine di punteggio:
4. Ensemble vocale femminile Kamenes Incanto - Perugia
5. Valsugana Singers - Borgo Valsugana (Trento)
6. Ensemble Fonte Gaia - Rovagnate (Lecco)
7. Gruppo corale Licabella - Rovagnate (Lecco)
8. Coro polif. Madonna della Consolazione - Reggio Calabria
9. Coro polifonico Stella Maris - Vasto Marina (Chieti)
Premio Feniarco: Valsugana Singers - Borgo Valsugana
(Trento), diretto da Giancarlo Comar
62
IMPRESSIONI DA GRAND PRIX TRA AREZZO E TOURS
Intervista a Lorenzo Donati
di Rossana Paliaga
Direttore dell’insieme vocale Vox Cordis, dell’Hesperimenta Vocal
Ensemble di Arezzo, del Vocalia Consort di Roma e docente al
conservatorio di Trento, il compositore e direttore di coro toscano
Lorenzo Donati è di casa al concorso di Arezzo, ma ha potuto
sperimentare quest’anno anche un’esperienza diversa all’interno
del circuito del Grand Prix debuttando come giurato al Florilège
Vocal di Tours.
Essere compositore oltre che direttore di coro significa accostarsi
alla responsabilità e al lavoro di giurato da una prospettiva
diversa, soprattutto nell’attenzione alle scelte di programma dei
cori partecipanti. Come è stato ascoltare le selezioni del Florilège
con la sensibilità di chi vive la musica non soltanto da esecutore
ma anche da autore?
Sicuramente è un concorso che dà spazio alla musica
contemporanea. Alcuni cori hanno scelto brani che in Italia sono di
rara o rarissima esecuzione, tuttavia non sempre si tratta di
composizioni interessanti a livello musicale. A volte ci si limita a un
virtuosismo tecnico che risulta difficoltoso per il pubblico e poco
stimolante anche a un’analisi più attenta. Con gli altri membri della
giuria ci siamo trovati d’accordo nell’affermare che non molti brani
di repertorio contemporaneo ascoltati alle selezioni hanno rivelato
un valore pregevole, nonostante ne siano stati presentati molti.
Cori che hanno risolto molto bene notevoli difficoltà tecniche non
sono stati gratificati dalla giuria perché si trattava comunque di
scelte capaci di valorizzare soltanto la padronanza del mezzo
vocale e del brano, mentre noi volevamo riscontrare nelle
esecuzioni anche l’efficacia, il valore musicale che a volte è difficile
trovare in questo tipo di letteratura.
Oltre al Novecento i cori devono necessariamente eseguire anche
brani di epoche più antiche, inseriti all’interno di un programma
storico. Quanto conta nella valutazione della giuria la padronanza
di stili abitualmente meno frequentati?
È importante, ma devo ammettere che è sempre più raro ascoltare
cori che riescano a evidenziare nell’esecuzione tre tipi di vocalità
diversi, caratteristica fondamentale per la resa ottimale delle
atmosfere sonore di rinascimento, romanticismo e musica
moderna. Qualcuno riesce a ottenere una buona vocalità per il
romanticismo, oppure ricerca un’idea di non-vibrato da utilizzare
sia per il rinascimento che per il repertorio contemporaneo. A
livello stilistico il rinascimento presenta gli ostacoli maggiori e
spesso i risultati più soddisfacenti si ottengono a livello di singoli
brani con una bella idea di fraseggio, la corretta intonazione,
indovinate scelte di organico. Troppo poco per modificare la
tendenza generale dei grandi concorsi corali dove la vittoria è
legata principalmente all’esecuzione di pezzi contemporanei.
La mancanza di una adeguata attenzione stilistica è responsabilità
del direttore. O possiamo a volte parlare di buoni direttori che non
raggiungono i risultati sperati per inadeguatezza dei coristi?
Buon direttore fa buon coro. Tuttavia non sono infrequenti casi di
buoni cori con direttori non eccellenti.
Può funzionare?
Si tratta di un’equazione particolare, della ricerca di un delicato
equilibrio. Il coro può essere per potenziale superiore al direttore,
ma senza superare determinati limiti perché quando il divario tra i
due fattori si fa troppo ampio, si rischia di distruggere una
macchina che funziona. I buoni risultati sono il prodotto di scelte
ponderate.
L’esperienza necessaria a fare le scelte giuste può essere
consolidata dal direttore anche attraverso l’affinamento del senso
critico richiesto al giurato in un contesto competitivo.
Soprattutto se ha intenzione di mettersi in gioco partecipando egli
stesso ad altri concorsi. Si imparano gli errori da non fare, anche
soltanto osservando quante informazioni e impressioni può fornire
il primo impatto con un coro, la sua entrata in scena. Alcuni
riescono a trasmettere la propria idea di professionalità con la sola
disposizione, il modo di stare sul palcoscenico. Stando in giuria o
semplicemente tra il pubblico si impara ad ascoltare gli altri.
Quando componi musica, osservi il risultato dall’interno, la ascolti
con un orecchio attento ai problemi tecnici, non guardi alla totalità
dell’effetto da lontano. È importante inoltre mettere a confronto
idee diverse di musica e capire dall’impatto concreto quelle che ti
piacciono di più e verso le quali vuoi indirizzare la tua attenzione.
Concorsi e festival si svolgono spesso in luoghi relativamente
piccoli o periferici rispetto alle grandi città. Questo dà maggiore
risalto alle iniziative, contribuendo probabilmente a sviluppare nel
territorio l’interesse per un determinato settore artistico e la
coralità ha certamente bisogno di essere promossa e diffusa nelle
sue espressioni qualitativamente più alte.
Non c’è dubbio che iniziative simili aiutino la coralità, soprattutto
se godono di un reale sostegno da parte della città ospitante. Ad
Arezzo il concorso corale esiste da cinquant’anni e i risultati sono
visibili perché si riscontra nel territorio una solida base di cultura
corale. Quest’anno a Tours ha vinto un coro di Tolosa, altro luogo
dove ha sede uno di questi importanti concorsi corali ed è chiaro
che i coristi hanno respirato per anni questa qualità. Vivere a
contatto con una situazione, un’atmosfera stimolante, genera
necessariamente l’impulso a creare qualcosa di valido. Quasi tutte
le città o i territori che godono dell’influenza di un concorso hanno
poi buoni cori.
Una buona coralità ha bisogno di buoni direttori. A questo scopo
ha messo a disposizione della Scuola superiore per direttori di
coro legata alla Fondazione Guido D’Arezzo la sua esperienza e il
suo coro Vox Cordis. Di cosa si tratta?
Nato diversi anni fa e ripreso dopo alcuni anni di assenza, il corso
di direzione, emanazione autonoma della Fondazione, si compone
di 15 weekend di studio con docenti italiani e stranieri. Comprende
lezioni di concertazione e parti teoriche, vocalità, analisi,
musicologia. Il corso dura tre anni ma è possibile frequentare
anche i singoli weekend. L’esame finale, presentato all’interno del
programma del concorso, prevede una tesi musicologica, una
concertazione a prima vista e un concerto davanti a una
commissione formata dai professori della scuola di cui tre sono
stabili: il sottoscritto, Walter Marzilli e Luigi Marzola. Tra gli
insegnanti stranieri possiamo annoverare i nomi di Graden, Corti,
Neumann. L’obiettivo è alzare il livello della direzione nei cori
italiani per non sentirsi direttori “abbozzati”, ma a poco a poco
professionisti, sempre più preparati e adeguati.
CRONACA
63
DAL PUNTO DI VISTA DELLA GIURIA
Intervista a Stojan Kuret
di Rossana Paliaga
Personaggio autorevole della coralità internazionale, il triestino
Stojan Kuret ha aggiunto quest'anno un titolo ulteriore al già
blasonato curriculum conquistando il Grand Prix europeo a Varna e
diventando così il primo direttore nella storia del prestigioso
circuito a conseguire due volte l'ambito riconoscimento: la prima
volta nel 2002 ad Arezzo con il coro accademico sloveno APZ Tone
Toms̆ ic̆, nel 2010 con il coro maschile VAL (Vokalna Akademija di
Ljubljana). Presenza costante nella rete dei più importanti concorsi
corali in Europa sia in qualità di direttore che di giurato, è stato
nuovamente invitato quest'anno a esercitare la sua competenza
nella valutazione dei cori del concorso di Arezzo e del Florilège di
Tours.
In un contesto competitivo i cori si mettono in evidenza in
particolar modo per le loro doti tecniche. Musicalità e cuore sono
in questo caso soltanto doti e opzioni aggiuntive?
Non c'è musica senza emozioni. Se l'esecuzione non ha intensità e
forza comunicativa, non ha senso di esistere. Questo è il nostro
obiettivo; tutti miriamo o dovremmo mirare a raggiungere un livello
qualitativo tale da riuscire a emozionare il pubblico e questa è
l'essenza del nostro operare. Con una solida preparazione tecnica
puoi attingere a un tipo di repertorio più impegnativo, simile e
molte volte identico a quello frequentato dai cori di professionisti.
Tuttavia, se oltre a questo sei capace di trasmettere qualcosa di
personale e di convincere chi ti ascolta, sei sicuramente sulla
strada giusta e con un po' di fortuna hai il successo in pugno.
Cosa significa per un direttore di coro essere il detentore di ben
due Grand Prix europei?
Non importa il numero di vittorie, noi musicisti ci mettiamo in
gioco ogni volta che saliamo sul palco e il risultato dipende da
molti fattori, obiettivi ma anche contingenti. Per prima cosa si
canta per propria soddisfazione e la gioia diventa poi maggiore
ottenendo una buona valutazione dove nessuno ti conosce e sei
veramente uno tra i tanti a confrontarsi con gli altri cori in
competizione. Oltretutto la resa varia da concorso a concorso, in
base alle esigenze del regolamento, alla durata del programma
richiesto, alla concorrenza e ovviamente dipende anche da chi
siede al tavolo della giuria. Troppo spesso veniamo giudicati da
persone che con il mondo corale attivo non hanno nulla a che fare,
persone che mai hanno cantato o diretto un coro o a loro volta non
hanno mai partecipato a un concorso corale. Giudicare un coro non
è cosa facile e in troppi non si rendono conto della responsabilità
affidata alle loro mani: il lavoro di stagioni intere.
È piuttosto raro che cori maschili si cimentino in competizioni di
questo livello. Lei ha conquistato invece il Gran premio a Varna
proprio con un ensemble maschile di recentissima formazione,
ottenendo il secondo record, ovvero la prima esibizione di un coro
maschile nella finale di un Grand Prix europeo. A cosa attribuisce
la scarsa frequenza di questo tipo di risultati?
Posso rispondere principalmente in relazione al panorama musicale
sloveno nel quale lavoro e che conosco in maniera più
approfondita, ma anche in quello italiano troveremmo parallelismi
simili. Tuttavia in Italia si sta crescendo molto e dopo lo storico
coro della SAT abbiamo un affermatissimo Polifonico di Ruda
diretto da Fabiana Noro, l'ottimo gruppo Coenobium Vocale di
Maria Dal Bianco e ultimamente promette bene il gruppo La Stele
diretto da Matteo Valbusa.
In Slovenia in questo ambito non ci sono cori maschili di qualità
tale da poter aspirare a risultati artistici di grande livello. Il
fenomeno dipende in buona parte dall'esempio condizionante del
celebre Ottetto sloveno, un gruppo nazionale di rappresentanza
che ha contagiato con il suo modello l'intera coralità. Sulla scia
della popolarità e del successo di questo ensemble i cori maschili
sono diventati sempre più rari e ha iniziato ad avere enorme
diffusione l'organico dell'ottetto maschile, nella maggior parte dei
casi, purtroppo, di scarsa qualità (per la difficoltà di trovare coristi
vocalmente preparati e persone competenti per guidarli) e legato
per emulazione a un tipo di repertorio ormai datato. Il fenomeno è
relativamente recente; alla fine dell'800 e inizi '900 c'era infatti una
predominanza di cori virili, confermata anche dalla quantità di
composizioni scritte proprio per questo organico. Proprio per
questo motivo ho accettato una nuova sfida fondando il gruppo
VAL (Vokalna Akademija Ljubljana) per scuotere il nucleo stesso
della coralità slovena e dimostrare che accanto a ottimi ensemble
femminili e misti si può emergere per qualità di esecuzione e
repertorio anche con i meno diffusi organici virili. L'abbiamo
dimostrato con successo nell'ambito del concorso di Arezzo 2009.
Il punto di partenza è stato a ogni modo avere una base di coristi
scelti, amatori ma con una notevole esperienza corale alle spalle.
Senza dubbio è questa la chiave per ottenere in così poco tempo
un risultato di questo genere. Occorre iniziare con parametri
piuttosto alti, ovvero al livello delle proprie ambizioni. Secondo me
è una ricerca reciproca; un buon direttore cerca coristi validi e
viceversa, dato che anche i coristi non vogliono perdere tempo se
hanno un obiettivo di fronte a loro: innanzitutto fare buona musica
per il piacere che ne deriva. È una regola che vale ovunque e una
condizione non può prescindere dall'altra.
Quando ascoltiamo i cori che si esibiscono ai grandi concorsi
internazionali e che si dimostrano capaci di affrontare con
notevole virtuosismo programmi di grande impegno tecnico e
artistico, è lecito domandarsi dove sia il confine tra il
dilettantismo che rappresentano e il professionismo.
Il nocciolo della questione risiede nella stessa parola: amatoriale.
Se analizziamo la sua etimologia, deriva infatti da amare, ovvero
appassionarsi e fare qualcosa proprio per questo motivo.
Purtroppo il termine ha acquistato una valenza negativa,
confermata soprattutto da parte dei cosiddetti professionisti che
hanno solitamente una considerazione molto bassa di chi si occupa
di questioni artistiche senza essere retribuito per questo, quasi
fosse un sinonimo di superficialità. I risultati non si valutano dal
guadagno, ma dal tipo di qualità espressa con il proprio lavoro.
Associazione Regionale
Cori Marchigiani
6a ACCAdeMIA euRopeA
per
direttori di coro
ecantori
FANO (pu)
4/11Settembre2011
Direttore
NicoleCorti
Repertorio francese e inglese
del 20o Secolo
In collaborazione con
Comune dI Fano
Coro polIFonICo malatestIano
InContro InternazIonale polIFonICo
CIttà dI Fano
Con il contributo di
mInIstero del lavoro, della salute e delle polItIChe soCIalI
Iscrizioni entro
il 31 maggio 2011
CRONACA
65
pécs cantat
L’Europa dalla prospettiva ungherese
di Rossana Paliaga
L’Europa dei cori vuole dialogare, sentirsi con ognuno dei
propri paesi al centro di un grande palcoscenico senza
barriere. E proprio nella coralità risiede in maniera ideale
quell’unione di diversità che non si teme, ma si ricerca,
quella che non confonde né annulla l’identità singola, ma
rende la sua particolarità necessaria per lo scambio e
l’arricchimento collettivo. L’ha dimostrato il grande
incontro corale internazionale Pécs Cantat che si è svolto
dal 15 al 22 agosto nella città dell’Ungheria, famosa per
essere stata da sempre luogo di incontro di culture
diverse.
La voglia di confermare il proprio legame con la coralità
europea si è rivelata in tutto il suo sincero entusiasmo
nell’accoglienza riservata a Sante Fornasier, presidente di
Europa Cantat che con la sua presenza ha dato un segno
importante, sottolineato nelle occasioni ufficiali da
organizzatori e media, di come il grande, ormai
cinquantenario organismo internazionale non sia un’entità
simbolica ma un reale, efficace mezzo di comunicazione
dove l’eco di ogni attività non si ferma entro i confini del
paese promotore. Fornasier ha portato il suo saluto in
occasione della serata conclusiva del festival, ricordando
il fondamentale contributo dell’ex presidente di Europa
Cantat Marcel Corneloup, scomparso nell’estate di
quest’anno, che nel 1988, in un continente ancora diviso
dai confini, ha portato il festival per la prima volta
nell’Europa dell’est e nella città di Pécs.
Un mosaico europeo di 21 paesi rivolto verso la cultura
ungherese in un mondo profondamente cambiato e
certamente più aperto è quanto la città ha potuto vivere
più di vent’anni dopo in un’euforia che ha coinvolto
pubblico, partecipanti e organizzatori di una struttura
efficiente, alla quale ha portato il suo entusiastico
contributo, anche dal palcoscenico delle serate più
importanti, il coordinatore e vicepresidente di Europa
Cantat Gábor Móczár.
«È nostra ferma convinzione che l’umanità vivrà più
felicemente quando avrà imparato con la musica a vivere
più degnamente. Chiunque si impegni a promuovere
questo fine non avrà vissuto invano», recitano le parole
del compositore Zoltán Kodály, nume tutelare del festival
al quale sono stati dedicati tre atelier monografici e un
solenne, raffinato concerto di gala per cori e orchestra
nella cattedrale alla presenza della vedova, originaria
della città di Pécs. Oltre ai laboratori sul Te Deum di
Buda, sul Psalmus Hungaricus e sul repertorio per voci
bianche di Kodály, sono stati attivati anche gli atelier
riguardanti swing, letteratura
ungherese per cori misti giovanili,
l’opera di Béla Bartók per voci pari
femminili e una scelta di canzoni
sul vino per voci pari maschili.
Al termine del variegato
programma, il direttore artistico
Tamás Lakner ha avuto motivo di
brindare a un evento assolutamente
riuscito: «L’idea base è nata
all’interno del progetto Pécs
capitale della cultura europea con
la volontà di affermare in questo contesto il ruolo della
coralità ungherese. Per questo motivo abbiamo
evidenziato nel programma la tradizione nazionale e in
particolare quella della città attraverso i suoi eccellenti
direttori, impegnati negli atelier internazionali. Oltre a
Budapest non esiste un’altra città dell’Ungheria capace
di esprimersi con un potenziale così forte. I due grandi
autori considerati nelle scelte di repertorio sono
chiaramente Kodály e Bartók. Non abbiamo trascurato
tuttavia la musica contemporanea, commissionando a
Vajda János un brano nuovo, il Pannonii Carmen, che è
stato eseguito nel concerto di chiusura. L’atelier dedicato
ai canti sul vino si lega a una nostra tradizione, un
festival tematico dedicato alle voci virili che organizziamo
dal 1993. Per includere anche la musica leggera abbiamo
invitato Robert Sund. Inizialmente abbiamo previsto la
partecipazione di 800 coristi da dividere in 6 grandi
atelier, ma il grande successo dell’iniziativa ci ha imposto
di aggiungere il settimo atelier. Compresi i cori residenti
abbiamo raggiunto quasi i 1500 partecipanti. Con le
nostre iniziative siamo usciti dall’auditorium per portare
la coralità ai cittadini e ai turisti perché il canto e il
nostro prezioso patrimonio nazionale si rivolgono alla
gente. Il risultato più importante sono state le oltre mille
persone che hanno riempito la platea nella piazza del
duomo e alle quali abbiamo distribuito gratuitamente i
5000 song-book stampati per l’occasione con tutti i brani
da intonare ogni sera nei momenti di canto comune
gestiti dai docenti dei vari atelier. Il senso di questi
incontri si potrebbe riassumere nelle parole di un
anziano che una sera mi ha detto: “Non se la prenda se
ho cantato anch’io. Deve sapere che tutti i miei amici mi
considerano stonato, ma stasera non sono riuscito a
trattenere la mia voglia di cantare”».
66
SANTE FORNASIER PREMIATO A CHIAVENNA
di Giorgio Morandi
«Le Chiavi d’Argento,
premio speciale “Flavio
Bossi” conferito a Sante
Fornasier, sapiente cultore
della musica corale di cui
sa trasfondere, con
coinvolgente slancio, gli alti
valori. Animatore
impareggiabile delle
Associazioni Corali.
Chiavenna, 8 maggio 2010».
Concisa, semplice,
completa, pratica come il suo destinatario è la motivazione
del premio ricevuto dal presidente della Feniarco e di Europa
Cantat.
Il presentatore informa il pubblico dichiarando che il “Flavio
Bossi” è «un premio speciale finalizzato a premiare
personaggi particolarmente meritevoli nel campo corale, legati
alla nostra città e alla nostra Valle». È denominato premio
speciale “Flavio Bossi” «per ricordare una indimenticabile
figura di chiavennasco, di cantore, di maestro e di amico».
Nella storia della rassegna il premio è già stato assegnato
sette volte. I destinatari sono stati: Franco Monego (1994),
Giovanni Acciai (1996), Bepi De Marzi (1999), Irlando Danieli
(2003), Filippo Maria Bressan (2004), Mario Pigazzini (2005) e
Tullio Broggio (2006).
Quest’anno viene consegnato a Sante Fornasier, direttore di
coro da 30 anni, abitante a Rauscedo nel Friuli Venezia Giulia.
«Un grande maestro che, accanto all’attività professionale, si
è sempre interessato, con passione, all’area no profit e in
particolare al settore musicale-corale», dice il presentatore che
continua ricordando brevemente la “carriera” del premiato:
«Dal 1994 al 2010 è stato presidente dell’Unione Società Corali
del Friuli Venezia Giulia, e ha portato l’Associazione ai vertici
della coralità nazionale italiana realizzando importanti progetti
in campo artistico, musicale ed editoriale. Dal 1999, Sante
Fornasier è presidente di Feniarco, la Federazione Nazionale
Italiana delle Associazioni Regionali Corali, che rappresenta
oltre 2.400 cori. Sotto la sua presidenza Feniarco ha avuto
uno slancio importante di crescita e di innovazione creando
una “rete” ampia e ben organizzata su tutto il territorio
italiano; ha promosso e organizzato importanti progetti
musicali, editoriali, formativi per cantori, direttori e
compositori collaborando con enti e istituzioni e in particolare
con Europa Cantat. Da novembre 2009, Sante Fornasier è
presidente di Europa Cantat, la Federazione Europea dei Cori,
che dopo cinquant’anni di attività associa 41 federazioni
nazionali tra cui anche l’italiana Feniarco».
La voce ferma e chiara del rappresentante del Comitato per le
Chiavi d’Argento va verso la conclusione affermando: «Come
capite, è un onore per la nostra rassegna avere a Chiavenna
questa sera un personaggio come lui, tanto più se pensate
che Sante Fornasier segue da vicino ogni anno la nostra
rassegna e spesso è lui stesso che ci segnala dei cori per
rendere bella la nostra manifestazione. Sono mille pertanto le
ragioni che giustificano questo premio, il piacere di
consegnarlo e di poterlo condividere».
L’ultima affermazione diventa anche didascalia precisa della
foto qui presentata a ricordo dell’evento: «Come ormai è
tradizione, è la sorella di Flavio, Wanda Bossi, che consegna
al maestro Sante Fornasier il premio speciale “Flavio Bossi”
della Rassegna Corale delle Chiavi d’Argento, anno 2010».
Concluso il secondo concorso
di composizione di musica sacra
Mottetti per una Messa domenicale
Con le deliberazioni finali della giuria si è concluso il secondo
concorso di composizione di musica sacra organizzato dalla
Federazione Italiana Pueri Cantores, con il patrocinio della
Federazione Internazionale Pueri Cantores e della Feniarco, e
dedicato, quest’anno, ai Mottetti per una Messa domenicale.
Ogni concorrente doveva inviare tre mottetti per tre diversi
momenti della celebrazione liturgica, ossia un canto d’ingresso,
un canto di offertorio e un canto di comunione, composti su testi
in lingua italiana o latina scelti dalla commissione artistica, tratti
dalla Seconda domenica del Tempo Ordinario e dalla Liturgia
eucaristica, e allegati al bando di concorso. Il bando, inoltre,
prescriveva che i mottetti fossero a due o tre voci pari, con o
senza accompagnamento d’organo, e si raccomandava che
tenessero conto delle caratteristiche vocali dei cori associati alla
Federazione Italiana Pueri Cantores, composti in prevalenza da
voci bianche. La partecipazione di una ventina di compositori al
concorso è stata confortante, a riprova dell’interesse dei
musicisti per nuove composizioni di musica sacra e per l’organico
a voci bianche. Apprezzabile è stata, in generale, anche la
qualità dei mottetti inviati, che la giuria, presieduta da Walter
Marzilli e composta da Fabio Nesbeda, Gian Luca Paolucci,
Robert Tyrala e Josep Torrents, ha attentamente esaminato in
tutti i dettagli.
Alla fine i risultati sono stati i seguenti:
Primo premio: non assegnato
Secondo premio: Orlando Dipiazza (Ajello del Friuli - Udine)
Terzo premio: Mattia Culmone (Trento)
Premio come miglior mottetto: Jubilate di Orlando Di Piazza
Segnalati: Angelo Bernardelli (Bresso - Milano) e Padre Remigio
De Cristofaro (Firenze)
www.solevoci.it
68
Notizie dalle regioni
A.R.C.A.
Associazione Regionale Cori d’Abruzzo
Via Montesecco, 56/A - Spoltore (Pe)
Presidente: Gianni Vecchiati
Dal folklore alla musica nella liturgia
I Laboratori di musica corale dell’Arca, dedicati di volta in volta a stili e repertori specifici
dal medioevo al contemporaneo, hanno proposto domenica 14 novembre alla folta platea
convenuta il tema “Il canto popolare nell’interpretazione del coro di montagna”. Nella sala
convegni del Municipio di Penne (Pescara), Vincenzo Vivio ha parlato delle «semplici melodie
che nei decenni sono state trasformate in raffinate armonie» esponendo, anche con l’ausilio
di audiovisivi, le proprie e altrui esperienze. Nel pomeriggio, laboratorio pratico con lo studio
di alcuni dei canti alpini più famosi, presentati poi nel concerto serale del Coro della Portella
di L’Aquila tenutosi nella Chiesa della SS. Annunziata.
L’esigenza di cercare una risposta alle numerose questioni relative alla musica – e in particolare il coro – nella liturgia, ha portato l’associazione regionale a chiedere lumi a un “esperto
del settore”. Il 25 settembre nell’Auditorium S. Agostino di Atri (Te), Walter Marzilli ha presentato lo “stato dell’arte”, lasciandoci però il timore che l’attuale musica nelle chiese sia
l’unico esemplare possibile riconosciuto dalle nuove generazioni e che purtroppo il canto
gregoriano, la polifonia, l’organo possano essere erroneamente considerate cose d’altri
tempi. Il maestro ha poi illustrato quali e quante siano ancora oggi le possibilità di legittimo
utilizzo del coro nella liturgia, sulla base dei documenti espliciti della Chiesa.
Positivi riscontri alla prima edizione del Concorso Corale Regionale con ben otto cori iscritti
alla sezione folklore e sette alla sezione polifonia e con larga partecipazione di pubblico.
L’ottima acustica dell’auditorium di Atri ha permesso di fruire con attenzione il denso programma della giornata reso di agile svolgimento dall’ottima organizzazione curata dal Coro
Stella Maris di Vasto. La giuria, che vantava le presenze di Fabrizio Barchi, Aldo Cicconofri
e Walter Marzilli, decretava il successo della Compagnia Virtuosa di Pescara per la polifonia
e della Corale Trebula di Quadri per il folklore.
A.BA.CO.
Associazione Basilicata Cori
Via Lucania, 12 - 75023 Montalbano Jonico (Mt)
Presidente: Rocco Pontevolpe
Al via il Coro Regionale della Basilicata
Il 31 ottobre a Venosa (Pz) si è tenuta l’assemblea autunnale dell’Abaco, alla presenza dei
presidenti e dei direttori delle associazioni iscritte. Si sono discussi il regolamento del Co.Re.
Ba. (Coro Regionale della Basilicata) e le iniziative per il 2011, molte delle quali pensate in
preparazione al grande Festival Europa Cantat Torino 2012. Lo stesso Co.Re.Ba. è stato al
centro del convegno organizzato il 18 settembre nella cornice del Teatro Stabile di Potenza
e volto a presentare al pubblico il progetto del coro regionale, fortemente voluto e sostenuto
dall’associazione regionale. Il convegno è stato poi l’occasione per fare il punto sulla coralità
regionale e per discutere della tanto attesa legge regionale sulla coralità. Al termine, a giusta
conclusione della giornata, il coro si è esibito nella sua prima performance pubblica.
Infine il 16 ottobre a Oppido Lucano (Pz), con la partecipazione di dieci gruppi corali, si è
REGIONI
tenuta la XII Rassegna regionale corale “Basilicata Canta”, significativo
appuntamento annuale che promuove l’incontro e la presentazione al
pubblico della coralità lucana.
U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia
Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia
Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn)
Presidente: Franco Colussi
Percorsi corali dal canto gregoriano
alla musica contemporanea
Decisamente positivo il bilancio della sedicesima edizione di Verbum
Resonans - Seminari internazionali di canto gregoriano, svoltisi dal
26 al 31 luglio presso l’Abbazia di Rosazzo con la partecipazione di
oltre 30 corsisti, che hanno potuto accostarsi al repertorio gregoriano con differenti livelli di approfondimento, guidati dal qualificato
corpo docenti: Nino Albarosa (direttore dei corsi), Bruna Caruso,
Carmen Petcu, Paolo Loss e don Michele Centomo. A integrazione
pratica delle attività seminariali, è stato proposto anche quest’anno
un ricco calendario di Concerti e Messe in canto gregoriano: da Rosazzo a Sesto al Reghena, da Trieste ad Aquileia, passando per
Grado, Moggio Udinese, Prata di Pordenone e Ronchi dei Legionari,
le proposte si sono diffuse su tutte le province culminando nei due
concerti del coro ospite Mediae Aetatis Sodalicium di Bologna, diretto dallo stesso prof. Albarosa.
A fine ottobre, dal 29 al 31, si è svolto il Corso superiore per direttori
di cori, proposta formativa di livello avanzato organizzata dall’Usci
Friuli Venezia Giulia a cadenza biennale, e dedicata quest’anno all’approfondimento tecnico e stilistico della musica contemporanea. Sotto la guida del docente Lorenzo Donati e con l’ausilio dei due cori
laboratorio Multifariam di Ruda e Nuovo Accordo di Trieste, gli allievi
attivi hanno avuto modo di affrontare composizioni di autori del
Novecento e contemporanei, cimentandosi alla fine nella direzione
del concerto conclusivo.
Da sottolineare, infine, il significativo traguardo raggiunto – nella
sua decima edizione – da Nativitas, il progetto di rete con cui l’Usci
Friuli Venezia Giulia chiude il vecchio anno e apre quello nuovo. Un
traguardo che consiste in oltre 130 appuntamenti corali, un’adesione
che supera quella di tutti gli anni precedenti a conferma dell’importanza crescente di questa iniziativa che racconta un Natale radicato
nella storia e nelle tradizioni. Ampio e interessante il ventaglio delle
proposte musicali, che spaziano dai grandi classici alle opere di importanti compositori del Novecento, dagli autori del passato – a volte
persino inediti – alle tradizioni friulane e venete, dal folklore internazionale alla liturgia gregoriana e alla musica contemporanea.
69
A.R.C.L.
Associazione Regionale Cori del Lazio
Via Valle della Storta, 5 - 00123 Roma
Presidente: Alvaro Vatri
3x3 appuntamenti in Lazio
Il 26 settembre, presso il Pontificio Oratorio San Paolo in Roma, si è
svolta la terza Giornata Corale Arcl, terzo appuntamento con l’open
day della coralità amatoriale. I partecipanti sono stati impegnati per
l’intera giornata: al mattino si sono attivati 5 atelier tenuti dai maestri
Piero Caraba, Marco Schunnach, Lucio Ivaldi, Marina Mungai e Fabio
De Angelis, mentre nel pomeriggio è proseguito il lavoro di studio
conclusosi con l’esibizione dei cori degli atelier nel Teatro del Pontificio
Oratorio.
Si è concluso il 16 e 17 ottobre il ciclo triennale sulla musica polifonica
tenuto dal maestro Marco Berrini. La formula è stata quelle di ammettere tre cori al completo che hanno lavorato sul proprio repertorio e
un quarto coro formato da cantori e direttori singoli, che ha lavorato
su brani proposti dal docente. La prestigiosa sede, accanto alla celebre
Villa d’Este, ha rappresentato un valore aggiunto importante e permesso di realizzare un evento formativo anche nella provincia di Roma.
Si è riunita infine il 20 novembre presso il Teatro Pontificio Oratorio
San Paolo in Roma l’Assemblea Ordinaria dell’Arcl. All’ordine del giorno
il resoconto sulla attività svolta da maggio a novembre e le iniziative
in corso fino alla primavera 2011. Sono stati “lanciati” tre nuovi progetti: “Chi ha paura della polifonia?”, “Adotta un compositore” e “Cori
e manager”. Il primo è articolato in sessioni di educazione all’ascolto
della musica polifonica (con direttori e cantori) seguite da tavole rotonde sulle problematiche della prassi e delle fonti della musica polifonica rinascimentale; il secondo intende promuovere nuove composizioni di qualità e il terzo si svilupperà intorno al report da Polyfollia
di Fabrizio Vestri. Infine è stato proclamato il “Coro dell’anno”: il Coro
Giovanile Vivaldi diretto da Amedeo Scudiero.
FE.R.S.A.CO.
Federazione Regionale Sarda Associazioni Corali
Via Brusco Onnis, 38 - 08100 Nuoro
Presidente: Antonio Sanna
Esperienze di formazione corale
Si è svolto il 2 e 3 ottobre a Nuoro il Seminario per cantori e direttori
di cori giovanili, tenuto dal docente Alessandro Cadario e incentrato
sullo studio di brani di diverso genere, epoca e stile, dalla musica
antica a quella contemporanea, al vocal pop italiano caratterizzato da
peculiarità diverse da quelle degli altri Paesi.
La settimana successiva, dall’8 al 10 ottobre, a Sassari il maestro Dario
70
Tabbia ha tenuto un corso per direttori di coro pensato quale momento di approfondimento
della tecnica di direzione corale, vocale e d’interpretazione del repertorio, articolato in lezioni
teorico/pratiche e in analisi e concertazione dei brani oggetto di studio, con l’ausilio del coro
Ass. Musicale G. Rossini in qualità di coro-laboratorio.
Il 10 ottobre, a conclusione del corso, si è svolta infine la rassegna annuale della Fersaco,
con l’obiettivo di favorire l’affiatamento tra gli associati e stimolare l’educazione musicale nel
contesto sociale e culturale del territorio. La rassegna ha coinvolto direttamente anche tutti
i direttori “corsisti” che hanno diretto, con un brano ciascuno, il coro laboratorio.
A.R.S. CORI
Associazione Regionale Siciliana Cori
Largo Celso, 4 - 95043 Militello V.C. (Ct)
Presidente: Alfio Penna
Il gesto, la voce, il repertorio, la formazione
Diverse le iniziative realizzate negli ultimi mesi in Sicilia a cura dell’associazione regionale.
Dopo il consenso positivo ottenuto lo scorso anno, il 17 e 18 luglio è stato riproposto il corso
di direzione “Il Gesto e la Voce” tenuto dal maestro Fabio Ciulla, che ha saputo coinvolgere
e stimolare i giovani direttori e cantori. Oltre a curare la direzione di coro, è stata approfondita
la vocalità, requisito necessario per crescere artisticamente, attraverso gli incontri tenuti dal
maestro Ezio Spinoccia. Il corso si è concluso con il saggio-concerto del coro laboratorio Ad
Dei Laudem di Lentini.
Giunta ormai alla tredicesima edizione, si è svolta il 15 settembre a Militello in Val di Catania
la Rassegna polifonica Militello Chori Cantantes, con la partecipazione di cinque tra le migliori
formazioni polifoniche siciliane. La manifestazione si afferma sempre più come una delle più
qualificate iniziative finalizzate alla promozione della musica vocale e polifonica in Sicilia.
Il 25 e 26 settembre si è tenuto l’undicesimo Raduno Ars Cori, che ha visto convergere a
Giarre (Ct) ben venticinque cori, più di mille cantori provenienti da diverse zone della regione,
per condividere con gli altri le proprie proposte artistiche. Ampia e diversificata la gamma
dei repertori presentati, dalla musica antica a quella romantica, dal gospel e spiritual alla
musica contemporanea e popolare. La serata di sabato 25 ha visto esibirsi in concerto il coro
ospite del raduno, il coro polifonico ungherese Hegyalia di Szserencs, mentre domenica 26 i
cori partecipanti si sono esibiti davanti a una giuria di qualità che ha fornito consigli e suggerimenti utili per un continuo miglioramento. In serata, il concerto finale al quale sono intervenuti tutti i cori partecipanti.
Dal 22 al 24 ottobre si è svolto a Lentini il corso di direzione per cori di voci bianche “Dal
coro di bambini al coro giovanile”, tenuto dal docente Nicola Conci e rivolto sia ai direttori di
cori di voci bianche che ai docenti di educazione musicale delle scuole secondarie di primo
grado. Al centro delle lezioni, il bambino inteso non come “strumento” ma come parte attiva
della produzione musicale.
REGIONI
A.S.A.C. VENETO
Associazione per lo Sviluppo delle Attività Corali del Veneto
Via Vittorio Veneto, 10 - 31033 Castelfranco Veneto (Tv)
Presidente: Alessandro Raschi
La coralità veneta tra formazione e progettualità
Si è svolto dal 23 al 29 agosto il corso residenziale 2010 di formazione
e aggiornamento per direttori e allievi direttori di coro, tenuto dai docenti Marco Berrini e Giorgio Mazzuccato e articolato in un doppio
percorso: da un lato per chi desidera avviarsi alla direzione o approfondire le basi della direzione corale e della vocalità; dall’altro per direttori di consolidata esperienza interessati ad affrontare e analizzare
nuovi repertori, vocalità e metodologie di gestione delle prove ed esecutive. Le lezioni si sono svolte sia in forma individuale che collettiva,
con il supporto di tre cori laboratorio. Nella mattinata di domenica 29
si è tenuto un “Incontro con l’autore” con il maestro Mauro Zuccante,
nel pomeriggio la concertazione dei brani con i cori laboratorio e in
serata il concerto pubblico nella Chiesa Arcipretale di Lentiai.
Il mese di ottobre ha visto poi la realizzazione del 6° Festival della
Coralità Veneta. I cori partecipanti alle categorie non competitive (Composizioni d’autore sacre e/o profane; Composizioni, elaborazioni o
arrangiamenti su temi di ispirazione popolare) si sono esibiti in uno
dei concerti previsti nei giorni 9, 16 e 23 ottobre presentando un repertorio in forma di progetto allo scopo di stimolare e valorizzare nuove
esperienze nel campo della composizione e dell’esecuzione corale sacra
e profana, e promuovere repertori nuovi e tradizionali, colti e d’ispirazione popolare. Ai concerti era presente una commissione d’ascolto
composta da alcuni membri della commissione artistica dell’Asac, i
quali hanno relazionato ai direttori dei cori in merito all’esecuzione.
Nella giornata di domenica 24 si è svolta la parte competitiva del festival, incentrata sulle categorie Composizioni, elaborazioni o arrangiamenti su temi di ispirazione popolare, vocal pop-jazz, gospel e
spirituals; Composizioni per cori di voci bianche e cori scolastici; Composizioni d’autore sacre e/o profane. In serata, la cerimonia di premiazione dei cori e il Concerto di Gala con i cori classificati in fascia di
eccellenza per l’assegnazione del Gran Premio, conferito dalla Giuria
al coro Monte Cimon di Miane (Tv), diretto da Paolo Vian.
L’Asac ha inoltre attribuito un riconoscimento da parte del mondo corale
veneto alla memoria del maestro Marco Crestani, per la sua prolifica
attività di compositore e di didatta, nonché membro della commissione
artistica dell’Asac sin dalla sua fondazione.
71
72
SCAFFALE
Elena Camoletto
Quando nell’ombra
Canti della devozione mariana tra modernità e tradizione
Alba, Associazione Corale Intonando, 2009
Nova et vetera, così si intitola lo spazio che la rivista Choraliter riserva di consueto
al ponte tra l’antico e il moderno, al filo conduttore che unisce le opere del passato
a quelle più recenti. Ben si conviene questa definizione alla presentazione del
volume Quando nell’ombra, Canti della devozione mariana tra modernità e tradizione, di Elena Camoletto, pubblicato dall’Associazione Corale Intonando.
La compositrice piemontese ha selezionato 11 canti della tradizione mariana, tra
quelli che erano fino a qualche decennio fa conosciutissimi e che hanno accompagnato e scandito la ricorrenza di devozioni, processioni e ritualità popolari dedicate alla Vergine Maria. Come ben evidenziato nella autorevole nota di Enzo
Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, questi canti «riportano in vita
una realtà che diversamente resterebbe lettera e musica morta. A maggior ragione
questo vale per quei canti alla Madonna che non sono né antichi né tanto meno
vecchi, ma canti mariani di una volta. Sono infatti ancora in vita persone che li
hanno cantati, anche se perlopiù sono anziani come me». Canti sepolti nel passato,
dunque; manifestazioni di un sentimento religioso e di un linguaggio verbale ormai
desueti; testimonianze di antiquate usanze religiose popolari che oggi stentiamo a
riconoscere come appartenenti alla nostra cultura. «Sarebbe anacronismo – continua Enzo Bianchi – voler riprodurre oggi quello che è stato ieri. Per questo è bene
che quei canti mariani ormai non più eseguiti diventino brani concertistici, rivisitati
e quasi interpretati». Pertanto, il lavoro di Elena Camoletto, musicista di solida
formazione tradizionale, ma nel contempo aperta alla modernità, può essere letto
nell’ottica della formula nova et vetera. Sostiene, infatti, la compositrice che «il
filo conduttore di tutta la raccolta può essere individuato nell’intenzione di mettere
in qualche relazione e far dialogare la tradizione con l’innovazione, l’antico con il
contemporaneo, di rendere attuale il vecchio e nello stesso tempo legittimare il
nuovo». Sfogliando i brani che compongono la raccolta, si nota il ricorso a stili,
tecniche vocali e scrittura corale diversificati. Camoletto esplora, infatti, diverse
maniere di elaborazione delle vecchie melodie, contestualizzando ciascuna in una
forma corale specifica. O Santissima, dal solido impianto verticale, Veglia onor su
me, nel modo di una melodia accompagnata, Madre dolcissima, nel segno di riverberazioni canoniche in eco, Tu del Libano, contraddistinta dal suono emergente
di un sassofono che dialoga con le voci, Ave Maria di Lourdes, inquadrata in
suggestioni armonico-timbriche di stampo moderno, e così via.
La discontinuità nella condotta dei lavori espone la raccolta al rischio di un esito
artistico dai tratti impersonali. Ma il principio mai tradito di chiarezza ed efficacia
nella scrittura corale assicurano un grado di qualità omogenea ai vari brani.
È possibile ottenere un riscontro audio dei brani contenuti nel volume Quando
nell’ombra, attraverso l’ascolto del cd omonimo, realizzato dalla stessa Associazione Corale Intonando. Tutte le informazioni sul sito www.intonando.com.
Mauro Zuccante
RUBRICHE
Piero Caraba e Carlo Pedini
73
Camillo De Biasi
Le forme della musica
Cori di-Vini
Brugherio, Edizioni Musicali Sinfonica Jazz, 2010
Padova, Armelin Musica, 2010
I lettori di Choraliter da tempo conoscono e apprezzano gli scritti
di Piero Caraba nella rubrica Nova et vetera o in altra parte
della nostra rivista, dedicati all’analisi di pagine corali, che con
linguaggio chiaro e comprensibile anche ai non “iniziati” ci introducono nel “misterioso” mondo delle forme musicali stimolando la nostra curiosità e fornendoci strumenti preziosi per
gustare la musica che ascoltiamo o eseguiamo non solo sotto
il profilo estetico. Per alcuni versi tali scritti sono stati l’anticipazione del lavoro sistematico, portato a termine da Piero Caraba insieme con Carlo Pedini, docente anch’egli presso il conservatorio di Perugia, sulle forme musicali uscito presso le
edizioni Sinfonica con il titolo Le forme della musica. Personalmente ho avuto il piacere di ricevere il volume, fresco di stampa,
all’inizio di settembre. È evidente che l’amicizia e la stima personale con gli autori hanno sollecitato un immediato atteggiamento partigiano e quindi non nego che lo slancio con cui ho
iniziato a sfogliare il volume è stato più di natura empatica che
oggettiva, ma subito, a pagina 1, il capitolo sul “Concetto e
funzione della forma musicale”, con la sua impaginazione ariosa
e funzionale, mi ha invogliato alla lettura, e la chiarezza, nella
sapiente sinteticità, dei contenuti mi ha catturato.
Risultato: non pensavo più a chi l’aveva scritto, ma a ciò che
leggevo (o meglio “spizzicavo”) pagina dopo pagina ed è finita
che ho chiuso il libro solo quando sono arrivato all’indice generale, dopo 475 pagine e tre ore di “vagabondaggio” musicale
tra inni, messe, mottetti, madrigali, sonate cicliche, suite, minuetti, ottave siciliane e tantissime altre informazioni, tutte
esposte con grande chiarezza e comprensibilità, rigore scientifico, apertura dell’orizzonte storico, completezza degli esempi
(finalmente delle pagine musicali non viene fatto uno “spezzatino” per arricchire il numero delle opere citate e contenere il
numero delle pagine!), inequivocabile frutto della grande esperienza e sapienza musicale e didattica dei due autori.
Nella quarta di copertina leggiamo: «Nella nostra cultura occidentale, al pari di ogni altro oggetto d’arte, la musica ha una
sua forma? In che modo tale forma si rende visibile? Quali i suoi
contenuti? Queste le domande che potrebbero essere rivolte
con eguale efficacia sia a studenti di musica che ad appassionati
musicofili. La presente pubblicazione si rivolge e si adopera per
offrire risposte a entrambe queste categorie di lettori». Direi:
missione compiuta! In bocca al lupo ai nostri cari e preziosi
amici e buona lettura a tutti.
Alvaro Vatri
Il diffuso apprezzamento per il vino Prosecco, non poteva mancare di tradursi in ambito corale nella proposta editoriale di un
musicista-DOC della Marca trevigiana. È di Camillo De Biasi,
infatti, l’iniziativa di raccogliere in un volume ben 70 canti corali
aventi un’attinenza vinicola.
Parliamo dell’antologia Cori di-Vini, pubblicata presso le edizioni
Armelin Musica di Padova, che reca come sottotitolo la seguente
dicitura: «Un percorso dal Medioevo ai nostri giorni di canti sul
vino della tradizione popolare e colta a una e più voci».
Il curatore suddivide l’ideale viaggio tematico in tre sezioni. La
prima (Canti tradizionali) presenta i canti di fonte orale nella
semplice forma melodica. La seconda (Canti dal 1220 al 1800)
attinge al repertorio storico del canto polifonico. Infine, la terza
(Canti a più voci di autori contemporanei) offre una serie di
nuove creazioni ed elaborazioni corali sul tema enologico. Insomma, una “botte di canti” che contiene el bon e ’l tristo (come
si usa dire dalle nostre parti), ma nel senso di aulico e triviale;
una miscellanea dalla quale chi volesse potrà estrapolare un
suo ideale percorso dionisiaco. Un florilegio dal quale i direttori
di coro potranno attingere idee di repertorio per il concerto,
oppure vendemmiare spunti per il post-concerto.
E a tal proposito, vorrei segnalare alcune pagine di assoluto
valore artistico. Le raffinate composizioni di Jachet De Berchem
e Orlando Di Lasso; le invenzioni madrigalistische di Orazio
Vecchi; i disinvolti canoni del divino Mozart; e su tutti l’incomparabile bellezza del Trinklied di Schubert. Ma vanno segnalati
anche i lavori degli autori contemporanei, di area triveneta, viventi e non (tra cui E. Casagrande, S. Zanon, P. Bon, A. Furgeri,
G. Durighello, A. De Colle, O. Dipiazza, G. Zotto, G. Viozzi, oltre
allo stesso De Biasi), alcuni dei quali di apprezzabile impegno
e fattura compositiva. Alla pubblicazione è allegato un cd audio
contenente 17 brani tratti dalla raccolta ed eseguiti da I Cantori
di Sottoselva, diretti dallo stesso De Biasi.
Insomma, cori e vini, abbinamento indissociabile, in quanto ingredienti di base della piacevole convivialità.
Impossibile dimenticare la grottesca ed esilarante situazione in
cui, il compianto professor Giuseppe Porzionato, alle 4 del mattino, descriveva (cartina alla mano) dettagliatamente e in stretto
dialetto padovano, a un componente di un coro svedese, spaesato e inabile bevitore, le varietà vinicole italiane, associandole
alle sfumature espressive del linguaggio musicale.
Prosit!
Mauro Zuccante
74
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
…Quando la musica bussa alla nostra porta,
risveglia memorie da tempo nascoste
nelle profondità del passato.
Quando Dio creò l’uomo,
gli diede la musica
come linguaggio diverso
da ogni altro linguaggio…
…Ma a volte, a volte l’uomo piange
ascoltando dei suoni,
e nel profondo del suo cuore
il creato diviene musica,
e questa musica ali,
ali che lo innalzano con il corpo e lo spirito
e in quel momento, in quel momento solo,
allora l’uomo comprende
il canto dell’Universo…
(Il canto dell’Universo, da Le parole non dette… di Kahlil Gibran)
Il “canto dell’universo”, in questi ultimi due mesi a cavallo tra il vecchio e il nuovo
anno, per noi cantori si realizza in tanti concerti di Avvento e Natale e in tanto
studio che ora continuerà ancor più intenso nei primi mesi dell’anno solitamente
scarsi di esecuzioni pubbliche.
Mentre scrivo è tempo di fare auguri, ma se di Buone Feste si tratta, secondo i
tempi di Choraliter gli auguri arriveranno in ritardo; meglio, quindi, auguri di Buon
Anno! Che sia generoso in salute, produttivo nel lavoro, ricco di attività musicale
entusiastica ed entusiasmante, abbondante di musica buona e di ottimo livello che
– come dice il poeta – innalzi il corpo e lo spirito di chi la crea e di chi la gode.
Buon 2010!
VOICE
Parola magica? In italiano voce, e… forse pensiamo immediatamente allo stupendo
The Voice - Frank Sinatra, ma nulla più.
«Insieme dei suoni che vengono prodotti a livello della laringe… Con riferimento
alle particolari qualità della voce umana e [in campo musicale] voce di testa, voce
di petto… voce di basso, voce di soprano… e poi ancora voce tonante, voce argentina, voce imperiosa, voce implorante… ognuna delle parti melodiche che formano
una composizione polifonica… aver voce un capitolo… corre voce che... ». Interessante davvero, e non è tutto qui per un buon vocabolario, ma di “magico” non c’è
gran che!
Consideriamolo allora un acronimo, più semplicemente una sigla che sta per Vision
On Innovation for Choral music in Europe. Non so come si esprimano i traduttori
ufficiali, ma credo che letteralmente possiamo dire “sguardo/attenzione all’innovazione della musica corale europea” e più liberamente, forse, “immaginiamo,
puntiamo al rinnovamento della musica corale europea”.
Comunque sia, VOICE è titolo che ben esprime il progetto pluriennale che Europa
Cantat in collaborazione con molte altre associazioni europee (fra cui Feniarco e
RUBRICHE
la Federazione Cori del Trentino) lo scorso mese di settembre
ha depositato presso l’UE chiedendo collaborazione e finanziamento nell’ambito del programma “Cultura 2007-2013”.
VOICE ha come obiettivo quello di promuovere la mobilità dei
(giovani) musicisti, il repertorio corale europeo, il dialogo
interculturale e il canto a tutte le età, lo sviluppo di tutte le
manifestazioni corali innovative, la creazione di musica corale
innovativa e il canto corale all’interno dell’educazione musicale.
Questo progetto vuole incoraggiare lo studio della voce e la
raccolta dati nel campo della musica corale, come pure vuole
garantire uno sviluppo durevole della vita corale europea. Per
tutta la durata del progetto (triennio 2011-2014) saranno organizzate attività miranti al conseguimento degli obiettivi prefissati, come per esempio il Festival Europa Cantat di Torino (2012),
il Festival Europa Cantat Junior in Estonia, un Urban Youth Choirs
Festival in Svezia, una Settimana Cantante nei Paesi Bassi, “Il
Canto, strumento di riconciliazione” a Cipro, due sessioni di
EuroChoir per giovani cantori in Italia e in Repubblica Ceca, un
concorso, una conferenza e uno study tour in Ungheria, dei corsi
formativi e dei seminari per direttori di coro e manager di gruppi
corali in Austria, Italia e Svezia, una conferenza sulla musica
dell’area mediterranea in Spagna, una settimana di formazione
vocale per insegnanti e direttori di coro e un programma di
cooperazione nel campo educativo in Belgio, dei programmi di
ricerca sullo sviluppo dei giovani in relazione alla loro voce di
canto, la salute vocale dei cantori amatoriali realizzati (questi
programmi) in Austria e Belgio, e delle raccolte dati sulla vita
corale, sulla formazione vocale e sulla formazione di direttori
di coro in Europa.
Per una più completa informazione immediata vogliate visitare
www.EuropaCantat.org/voice; ulteriori notizie dettagliate verranno fornite nel corso dell’entrante anno 2011.
Il canto corale può cambiare il mondo?
Cantare non è soltanto e semplicemente una buona attività. Noi
cantiamo, e ci piace! Spesso ci commuoviamo fin nel profondo
del nostro animo. Noi piangiamo. Piangono persone tra il pubblico. Gli ultimi accordi vanno spegnendosi nella sala. Andiamo
a casa. Mangiamo. Dormiamo. Sogniamo di cantare!
Ha qualche importanza tutto questo? In un mondo pieno di
guerra, di terrore, di povertà e di calamità di ogni genere, alzare
la nostra voce nel canto fa qualche differenza?
La fa! Ci sono molte storie che lo dimostrano. Aumentare attraverso il canto la consapevolezza dei problemi locali, nazionali
e mondiali può davvero fare la differenza, dal semplice cambio
di atteggiamento verso le cause e dall’informazione della gente
circa le stesse fino alla raccolta fondi e al raggiungimento di
75
tutti i soggetti interessati (cfr. Can Choral Singing Change
the World?, di Kelsey Menehan, scrittrice, corista, psicoterapista che vive a San Francisco).
L’importanza dell’apprendimento
nei primi anni di vita
In tutto il mondo l’importanza dell’educazione nei primi anni di
vita sta diventando sempre più evidente. La mente dei bambini
è come una spugna. Essi imparano a una velocità straordinaria.
Educando un giovane si investe per una vita. Ogni persona porta
con sé uno strumento musicale: la propria voce per cantare.
Non costa nulla e dà grande soddisfazione a persone di tutte
le età. Il canto abbraccia tutto. La musica fornisce ai ragazzi
l’opportunità di esplorare i sentimenti e di esprimersi in modi
che sostengono, o che vanno ben oltre la comunicazione verbale. …Gli educatori della prima infanzia hanno spesso considerato la musica un mezzo naturale per migliorare l’apprendimento delle lingue, della matematica, degli studi sociali e così
pure un costruttore di fiducia.
…La musica è come una lingua. Se impari una lingua in giovane
età essa è qualcosa che ti verrà naturale per tutta la vita… È
molto più difficile imparare una lingua in età avanzata… La musica dovrebbe essere appresa da tutti e io credo che il miglior
modo per fare questo è quello di educare, nella nostra società,
i più giovani, rendendo la musica accessibile a tutti.
Educazione musicale: i primi rudimenti quando ancora nel grembo materno? Come tutti sappiamo, cantare è una delle forme
di espressione più naturali. Perché non utilizzarla e incoraggiare
il canto fin dall’età più giovane possibile? “Una via musicale
all’apprendimento” è un progetto finanziato dalla città di Derry
in Irlanda. È basato sull’insegnamento musicale attraverso il
canto in età pre-scolare a partire da un anno di età (cfr. EC
Magazine, 02/2010).
Cantare in un coro mantiene giovani
Anche se Brahms e Beethoven non sono ciò che Richard Simmons (istruttore di fitness) aveva in mente con Sweatin ’al Oldies (serie di dischi che contengono ciascuno almeno 60 minuti
di esercizi di aerobica a basso impatto per incrementare le prestazioni cardiache e per bruciare i grassi), la nuova ricerca suggerisce che il lavoro corale dei compositori dovrebbe essere
proprio quello che vuole il tuo corpo.
Secondo Vittoria Meredith, professore universitario dell’Ontario
che ha utilizzato i cori di adulti della scuola come “laboratorio
di ricerca dal vivo”, l’esercizio della musica corale porta a un
aumento della funzionalità respiratoria, a un miglioramento
76
della salute globale, a un sistema immunitario più attivo e a migliori funzioni cerebrali. Meredith conclude che cantare in un coro tiene più giovani e più sani per
più lungo tempo. Ma anche altri studi hanno portato a rilevare che persone che
cantano su base regolare richiedono un minor numero di visite mediche, sono
meno inclini a cadute di salute, non hanno bisogno di tanti farmaci e sono meno
soggetti alla depressione.
In altre parole: cantare in coro offre i benefici dell’esercizio fisico, ma senza umiliazione. Ecco cosa dichiarano alcuni cantori: «Quando un concerto va bene e ti
senti come se avessi influenzato le altre persone, hai influenzato positivamente
anche te stesso. Dopo una performance corale mi sento ringiovanito, un po’ come
se la mia anima fosse stata rivitalizzata» (McMillan, 28 anni che da quando ha
cominciato a cantare dice di ammalarsi meno spesso, di avere più energia e di
sentirsi in generale più felice). «Cantare mantiene la mia mente più agile». «Cantare
aumenta la quantità di gioia nella mia vita». «Da quando canto il mio respiro è
migliore, anche dopo una operazione chirurgica polmonare».
Quali libri? I direttori rispondono
Quali libri ti sono stati più utili come direttore di coro? Quali ti hanno aiutato di
più all’inizio della tua carriera? Quali risorse hai trovato che ti aiuteranno per
sempre?
Fra i tanti, cinque direttori di coro americani hanno risposto:
1. Beyond Singing (Oltre il canto), di Stan McGill e Elizabeth Volk, pubblicato da
Hal Leonard. «Dopo cinquant’anni di carriera come direttore di cori e di orchestre
– dai gruppi pre-scolastici ai gruppi di musicisti amatoriali e agli artisti professionisti – mi sono imbattuto in un libro che ogni direttore di musica dovrebbe avere.
Davvero esso è basilare e permette a coloro fra noi che sono molto esperti di
considerare alcune importanti idee di base, che dobbiamo riprendere e praticare.
Benché sia stato scritto per direttori di cori scolastici, il libro ci ricorda, di ciò che
facciamo, molti aspetti importanti che non dovremmo mai dimenticare noi direttori
di coro e nemmeno dovrebbero essere dimenticati da coloro che ci assistono come
amministratori».
2. «A me piace The Talent Code (Il codice del talento) di Daniel Coyle. Non è un
libro sui cori in particolare ma fornisce interessantissime informazioni su come
pensano i musicisti, su cosa ci vuole per motivare ed esercitare i giovani artisti,
e cosa ci vuole per essere un bravo docente. Mi piace talmente tanto che ne ho
comprato copie per tutti i miei studenti».
3. Basic Conducting Techniques di Joseph A. Labuta, Prentice Hall; The Score, the
Orchestra, the Conductor di Gusatv Meier, Oxford; Solutions for Singers di Richard
Miller, Oxford; The Diagnosis and Correction of Vocal Faults di James C. McKinney,
Waveland Press Inc.
4. Quali risorse hai trovato che userai per sempre? Naxos Music Library, YouTube,
Wikipedia, Choralnet, ACDA Convention, Oxford Music Online.
5. Quali libri ti sono stati più utili come direttore di coro? «Libri riguardanti la dizione e la fonetica pratica: Grove Dictionary».
6. Quali libri ti hanno aiutato di più all’inizio della tua carriera? «Non i libri, ma gli
insegnanti e i professori della mia università».
RUBRICHE
Altri libri, articoli e risorse informatiche
La voce degli adolescenti
Su questo problema Alan Gumm della Central Michigan University suggerisce Working With the Adolescent Voice (Lavorare
con la voce adolescente), libro di John Cooksey, il quale ha speso
un’intera carriera risolvendo problemi collegati al cambio della
voce negli adolescenti. Sul problema particolare dell’intonazione (ma anche altri grandi problemi) il prof. Gumm si autocita
con il libro Making More Sense of How to Sing (Dare più senso
al come si canta).
Ed ecco un link a una pagina web dove si possono trovare altre
interessanti grandi risorse sul cambio della voce:
http://www.menc.org/documents/journals/tm/changing_
voice_biblio_feb_tm_bonuscontent.pdf
L’alfabeto fonetico internazionale e il canto
È disponibile online una serie di sussidi video-sonori relativi
all’alfabeto fonetico internazionale (IPA, International Phonetic
Alphabet). Anche questo è sicuramente uno strumento molto
utile per cantare e parlare in lingua straniera. Il materiale, vere
e proprie video-lezioni, è stato predisposto da “Singer Network”
(Chorus America) in collaborazione con il tenore e insegnante
di fonetica e dizione Daniel Molkentin.
Carmina Burana di Carl Orff
Analisi in sedici pagine delle realizzazioni dell’opera; studio
fatto da Jonathan Babcock su oltre 60 registrazioni reperibili in
commercio. Lo studio si conclude con la dichiarazione di J. Babcock, secondo cui «quando l’opera viene eseguita con tutte le
intenzioni provatamente attribuite a Carl Orff, Carmina Burana
diventa un’esperienza corale pulsante, viscerale e catartica».
L’autore dello studio è Direttore associato delle attività musicali
dell’Università Statale del Texas (cfr. Choral Journal, novembre
2010, pagg. 48-63, pubblicazione ufficiale della ACDA - American Choral Director Association).
Altri paesi, altre chiese
Mi racconta un amico (*) che è stato in Inghilterra ed è andato
a un servizio di culto anglicano: «Niente guida per il canto, come
del resto in tutte le chiese anglicane. L’unico vero animatore è
l’organista che attiva l’assemblea con un tempo vigoroso per
prevenire quella mollezza e quei rallentamenti che caratterizzano spesso i canti delle messe italiane (ndr: mi dicono anche
francesi, ma è la consolazione del disperato quella di vederne
altri nella propria condizione!). In capo alla navata un coro di
uomini e di donne, vestiti – secondo la bella tradizione inglese
77
– di una tonaca blu e di una cotta. Scommetto che questo abito
li aiuta a prendere coscienza che essi compiono un vero ministero e che non cantano per il pubblico, ma per il Signore e per
la sua assemblea. È da sottolineare anche il fatto che i lettori
non guardano mai l’assemblea: così è chiaro a tutti che non
sono loro che esortano e consolano, ma Dio di cui sono, in
senso stretto, i porta-parola. La stessa attitudine è espressa da
chi prega per conto dell’assemblea (il pastore, ma anche i laici):
essi manifestano chiaramente che è a Dio che essi si rivolgono,
e non ai fedeli. E infine, l’assemblea! Un canto all’unisono! Quale
testimonianza di fede! Per questo ogni volta che si dice una
preghiera in nome dell’assemblea ogni fedele (in quella chiesa
si sta seduti) si china leggermente».
Non è tempo perso andare a vedere che cosa succede in altri
paesi e in altre chiese: italiani e cattolici, come s’usa dire, abbiamo sempre da imparare… e parecchio!
(*) L’amico è Roby Zenner, presidente dell’Associazione San Pio
X, la Federazione Nazionale dei Cori della Chiesa dell’Arcidiocesi
di Lussemburgo.
Il coro… dell(e)’Ave Maria
Pensieri: può un coro sopravvivere e perfino prosperare su un
repertorio di sole elaborazioni dell’Ave Maria? Un coro ha bisogno di un repertorio più vario per tenere occupati e interessati
i suoi cantori? L’Ave Maria è probabilmente il testo che in assoluto è stato usato più spesso da tutti i compositori della storia
e che è presente in infinite forme, colori e interpretazioni. C’è
varietà ed è una sfida per tutti.
Si veda il sito www.avemariasongs.org.
Al momento esistono più di 3000 diversi arrangiamenti dell’Ave
Maria, curati da oltre 2800 compositori vissuti dall’anno 1000
a oggi. Naturalmente la lista non è completa. Più di 1600 Ave
Maria sono state documentate con una partitura musicale, un
midi e con registrazioni audio/video. Più di 660 sono disponibili
in formato midi. Centinaia di partiture non coperte da copyright
sono liberamente scaricabili.
Un invito, una sfida: nessuno di voi è interessato a provare?
Nessuno è interessato a provare un approccio più dolce includendo nel repertorio del proprio coro una buona varietà di Ave
Maria?
Per favore fate registrazioni audio/video e se vengono bene
abbastanza per rappresentare il vostro coro, postatele su YouTube. Chissà, forse potrebbe nascerne qualcosa di tipo…
concorso.
78
Aríon Choir & Consort del Collegio Ghisleri di Pavia
Mondocoro si rivolge abbastanza raramente a fatti, eventi, incisioni, pubblicazioni,
temi corali in genere che si realizzano in Italia perché ritiene che essi trovino comunque mezzi e sistemi di veicolazione interna più che accessibili alla coralità italiana. Questa volta, però, un’eccezione è giustificata dall’importanza e dal­l’originalità
del gruppo e dell’iniziativa che si vuole segnalare e che si è concretizzata nelle
pagine e nell’allegato della rivista musicale Amadeus di maggio 2010. Come sempre
anche questo è un flash di segnalazione, una estra­polazione che per via della sua
importanza e dell’interesse che può suscitare rimanda al servizio originale
inte­grale.
Alla richiesta dell’intervistatrice N. Sguben: «Raccontateci di
Arìon e del Ghisleri:
sembrano una realtà
che scende da un altro pianeta», il direttore d’orchestra Giulio Prandi risponde:
«Il fatto di essere nati
in una istituzione di
alta formazione culturale… ci rende certamente un “unicum”
sul piano nazionale.
Arìon è un gruppo giovane, ma è solo l’ultima tessera di un mosaico che affonda
le radici nella storia, inserendosi nella tradizione di un collegio che vanta 450 anni
e che ha come missione istituzionale la promozione dei giovani, della cultura e del
merito».
Ma è Alberto Guerrero (violinista, con Prandi instancabile animatore dell’istituzione
musicale pavese) che rispondendo alla domanda «Giovani che imitano musicisti
di esperienza, vero?» dirige un potente fascio di luce chiarificatrice sul nuovo giovane complesso musicale: «Esatto: un gruppo di giovanissimi cantori e musicisti
di grande esperienza si sono incontrati e hanno creduto in un progetto comune,
dando ciascuno il meglio di sé per realizzarlo. I più giovani hanno trascinato il
gruppo con il loro entusiasmo e la loro forza di volontà; i musicisti più esperti
hanno guidato e stimolato i più giovani nella loro rapida maturazione professionale
in una “gara” che non si è mai interrotta».
Ma di chi si sta parlando? La presentazione è ancora del maestro Prandi: «Il suo
celebre allievo Padre Martini lo descrive come meglio non si può. Perti (Giacomo
Antonio, ndr) era un musicista tra i più colti della sua generazione, ma al tempo
stesso cercava ossessivamente la semplicità. Per tutta la vita, fino a 95 anni, ha
rivisto e aggiornato le sue composizioni sotto la spinta dei grandi mutamenti stilistici in corso, incarnando nella sua vicenda personale il passaggio tra due grandi
epoche. Nel Kyrie della Messa Lambertina, ad esempio, un coro che declama un
contrappunto che riporta a Carissimi convive con un’orchestra perfettamente a
suo agio nello stile galante».
RUBRICHE
E di che cosa si sta parlando? La risposta è a due voci. Guerrero
e Prandi dicono:
G.: «Una delle cose più interessanti nella realizzazione di un
disco (Giacomo Antonio Perti, Musica Sacra, allegato alla rivista,
ndr) è il percorso di progettazione e di ricerca che precede l’incisione. Il momento più importante non è forse la pubblicazione,
ma la sfida e la tensione verso la qualità, che portano il gruppo
a maturare».
P.: «Con questo cd abbiamo realizzato uno dei nostri sogni. È
un punto di arrivo ma anche un grande punto di partenza. Le
idee non ci mancano e il percorso è chiaro. Speriamo che non
manchino occasioni per obiettivi sempre più importanti…» (libera citazione da Amadeus, maggio 2010).
Sing for Hope - Play me, I’m yours. Una domanda!
Canta per la speranza - Suonami, sono tuo: sono due semplicissime frasi la cui “forza interna” però mi ha spinto a farne
subito spunto di un breve flash per Mondocoro.
Agli angoli della città, nei parchi di New York, i pianoforti sono
“musica” per gli occhi oltre che per gli orecchi, con quelle casse
che attirano per quel colore verde, blu o nero anziché il consueto
bianco in 52 sfumature e nero in 36 varianti. Prima che tutta la
città scopra che ha bisogno di ripassare il “Minuetto in Sol”
degli artisti volontari, individui e gruppi scolastici, hanno già
passato sui pianoforti i loro pennelli colorati.
Il gruppo artistico non profit, Sing for Hope, che sta dietro questo progetto Play me, I’m yours scommette che trasformando
i pianoforti in qualcosa da vedere oltre che da sentire, renderà
l’iniziativa estremamente accattivante.
I 60 pianoforti sono tutti perfettamente funzionanti. È vero, sono
di legno che durante le piogge si impregna. E quindi cosa succede
se piove?
79
Sing for Hope ha un telo
di plastica da stendere
su ogni pianoforte e un
“volontario del pianoforte” incaricato di tenere d’occhio il meteo e
fregare il nubifragio che
sta per abbattersi, proprio come gli equipaggi
allo Yankee Stadium.
E nel caso che qualcuno
fosse tentato di allontanarsi con un pianoforte,
dovrà vedersela con un particolare dispositivo antifurto: un
pesante blocco di scorie incatenato alla cassa. Ma prima di tutto
Sing for Hope ha dovuto trovare i pianoforti. Molti sono stati
donati, anche da case costruttrici minori, operanti anche fin nel
lontano Ohio. Un Winter, per esempio, è stato costruito una o
due generazioni fa a Brooklyn.
Entro il venerdì pomeriggio alcuni pianoforti avevano acquisito
un’aria Pollock-iana per la vernice gettata sulle sue casse, altri
invece avevano disegni più elaborati. Uno portava su di esso
una scultura con uno skyline cittadino fatto di alte costruzioni.
Un pianoforte era stato sistemato in modo che il lampione stradale illuminasse bene il leggio (per quei cittadini che non avendola memorizzata si portano appresso la partitura).
L’organizzatrice di Sing for Hope, signora Zamora, dice che i
cittadini hanno paura di toccare i pianoforti: «Non vogliono
mettere in imbarazzo se stessi».
Uno degli artisti al lavoro è stata Sophie Matisse. Pianoforti e
pittura sembrano funzionare nella sua famiglia. Il suo bisnonno,
Henri Matisse, nel 1916 aveva dipinto La lezione di Piano. Certo,
lui ha usato colori a olio su tela, mentre quello della pronipote
era smalto a base d’acqua su un Kimball. «Amo dipingere oggetti», ha detto la signora Matisse, «e farlo su superfici tridimensionali è una sfida. È tutto affare di angoli e superfici e c’è
molto da imparare».
Non resta che la domanda importante: il mondo corale potrebbe
fare qualcosa di simile in una città italiana? Cosa ne pensate?
Vi invitiamo a scrivere i vostri pensieri alla redazione di
Mondocoro.
80
Capitali cantanti della cultura europea
Essen in Germania, Pécs in Ungheria e Istanbul in Turchia sono le tre Capitali
Europee della Cultura per il 2010. È un piacere sottolineare che tutte e tre le capitali
in questo anno culturale organizzeranno eventi di canto corale.
Sotto il motto “Sing Europa!” in Germania migliaia di cantori si sono incontrati in
occasione del “Sing day of song”.
In Turchia lo scorso mese di aprile ha avuto luogo il primo Festival dei Cori Universitari Giovanili sponsorizzato dall’Agenzia per Istanbul Capitale Culturale Europea 2010. Nello stesso mese ha avuto luogo il primo Festival di Cori Universitari
Giovanili del Bosforo a cui hanno partecipato diversi cori della Turchia e altri provenienti dall’estero.
In Ungheria il dr. Lakner Tamàs è direttore artistico di Pécs Cantat, l’iniziativa
corale che caratterizza tutte le iniziative culturali realizzate quest’anno nella città.
Il festival, che ha coinvolto cori, direttori di coro e compositori locali affiancati da
quanti provengono da lontano, ha avuto luogo dal 15 al 22 agosto 2010. Gli organizzatori di Pécs Cantat, d’accordo con Europa Cantat come co-organizzatrice, ha
definito l’evento come prima edizione di una serie in cui le future Capitali Culturali
d’Europa che vorranno unirsi all’iniziativa sono benvenute.
Eventi internazionali: Zimriya, incontro internazionale di cori
Fondato nel 1952 da Aharon Zvi Propes, Zimriya è, nel mondo, uno dei primi eventi,
se non il primo in assoluto, che vede il raggruppamento e l’incontro fra più cori.
Oggi è un evento internazionale triennale che ha luogo a Gerusalemme presso
l’Università Ebraica di Monte Scopus (fondata nel 1925). I giorni di Zimriya sono
molto intensi di attività. A fatica i partecipanti riescono a godersi la vista mozzafiato
di Gerusalemme dal Monte Scopus (unico punto di osservazione da cui è possibile
ammirare il Mar Morto e la Cupola della Roccia) perché i laboratori corali hanno
luogo sia al mattino sia al pomeriggio e il programma serale è molto intenso.
Anno XI n. 33 - settembre-dicembre 2010
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Pier Paolo Scattolin,
Bruno Zanolini, Sandro Filippi, Marco Cimagalli,
Marco Rossi, Gian Nicola Vessia,
Enrico Miaroma, Rossana Paliaga,
Pierfranco Semeraro, Annarita Rigo,
Sarah Anania, Alvaro Vatri
Redazione: via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
In copertina: Natività (1429), Miniatura del
corale D della Cattedrale di S. Stefano, Museo
dell’Opera del Duomo, Palazzo Vescovile,
Prato. Su gentile concessione della Fototeca
Ufficio Beni Culturali, Diocesi di Prato
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
ISSN 2035-4851
Poste Italiane SpA – Spedizione in
Abbonamento Postale – DL 353/2003
(conv. In L. 27/02/04 n. 46)
art. 1, comma 1 NE/PN
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Editoriale
Un sommario bilancio dell’anno che si chiude
registra una serie di spunti incoraggianti. Per
fermarci all’ultimo quadrimestre, il festival di Salerno
ha dato l’immagine di una coralità viva, capace di
mobilitarsi e coinvolgere una città in un grande
evento. Una coralità in cui cresce il senso di
appartenenza e la capacità di mettere insieme le
proprie esperienze, come ha mostrato anche la
recente assemblea nazionale di Trento. Un mondo
dove cantare non è solo un passatempo, ma un
modo di impegnare se stessi per una crescita
personale e collettiva, per raggiungere un obiettivo
culturale e civile al tempo stesso. Non è solo una
crescita organizzativa, quella della coralità italiana: è voglia di imparare, di
cercare, di essere protagonisti di un processo culturale che attraverso il coro
proponga elementi di innovazione nella cultura italiana.
Anche il cd che pubblichiamo, in questo terzo numero dell’anno, è un segno dei
fermenti che crescono nella coralità italiana: sono stati 21 i lavoro pervenuti,
segno dell’attenzione che la nostra coralità assegna a questo evento editoriale. Il
lavoro de I Piccoli Musici di Casazza, scelto per questo numero, è frutto di
un’eccellenza che trova pochi eguali in Italia. Ma se i risultati artistici e musicali
da loro raggiunti non sono comuni, dietro di loro non c’è il deserto: cresce una
coralità di qualità, tant’è che molti erano i lavori degni di pubblicazione, e forse
non sarà necessario, il prossimo anno, un altro bando.
Il coro è un fenomeno sociale, per sua natura. Non solo il coro è relazione tra le
persone che lo compongono, ma è espressione della più ampia collettività (la
città, la scuola, l’associazione: magari fosse anche la fabbrica…) di cui è
l’espressione. Perché ci sia un buon coro ci deve essere alle spalle una comunità
solida.
C’è l’uso, in alcune regioni vinicole, di piantare una rosa all’inizio dei filari. È molto
bello da vedere, ma non lo si fa per l’estetica: si crede che la rosa s’ammali per
prima degli stessi parassiti che colpiscono la vite, così che essa è un preallarme,
una specie di lampada del grisù che segnala la patologia prima della sua
manifestazione in forma irreversibile. La vigna dell’Italia appare malconcia per
molti aspetti. Ma la rosa del coro è sana, e possiamo sperare che la malattia non
sia fatale.
Sandro Bergamo
direttore responsabile
n. 33 - settembre-dicembre 2010
n. 33 - settembre-dicembre 2010
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Associazione
Cori della
Toscana
11
ennaio 20
g
1
3
il
o
tr
n
e
i
n
io
iscriz
)
t
P
(
e
m
r
e
T
i
n
i
t
a
c
e
t
Mon
un secolo di
canto popolare
RENATO DIONISI
INTERVISTA (POSTUMA)
UNA GRANDE
FESTA CORALE!
1º SALERNO FESTIVAL
CONCORSO DI AREZZO
FRA TRADIZIONE
E MODERNITÀ
Regione Toscana
6/9 aprile 2011
scuole medie
Provincia di Pistoia
Comune di
Montecatini Terme
Italiafestival
Feniarco
13/16 aprile 2011
scuole superiori
www.feniarco.it
NATIVITAS
A CHRISTMAS FESTIVAL