La crisi finanziaria nei paesi in crisi Recentemente il dott. Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea, ha tenuto un intervento presso la sezione di Milano della UCID – Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti su: “Lezioni dalla crisi: Etica, Mercati, Democrazia”. L’intervento mi ha colpito: infatti è la prima volta, perlomeno a mia conoscenza, che un rappresentante di una Banca centrale dichiara pubblicamente che le Banche centrali, hanno di fatto perso il potere sui mercati finanziari a favore di finanziarie private (c.d. merchant banks). L’autorevolezza del relatore, la gravità del tema, la pericolosità della situazione che stiamo attraversando e la coscienza che stiamo vivendo il passaggio a una nuova era mi inducono a proporre alcune riflessioni che ritengo possano agevolare una più completa visione del tema durante questo nostro particolare periodo storico. C’è stato un tempo in cui gli Stati erano sovrani; il potere legislativo emanava leggi che erano cogenti all’interno dello Stato e a tutti era dato rispettarle e farle rispettare. Una tipica prerogativa di tali Stati era l’emissione in esclusiva della moneta e il suo conseguente governo. Al delicato compito di emissione e gestione della moneta provvedevano le Banche centrali, organismi variamente configurati, che avevano il compito di garantire la stabilità della moneta nazionale, all’interno del quadro generale di politica economica del governo. * Crisi = etim. separazione e fig. decisione. Momento che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da altra differente. Per perseguire tale fine le Banche centrali, pur in armonia col potere esecutivo e legislativo, dovevano necessariamente godere di una sostanziale autonomia dal potere politico; quest’ultimo infatti per acquisire il necessario consenso popolare tendeva naturalmente ad avere la propensione a misure di politica monetaria non sempre compatibili con l’obiettivo della conservazione del valore della moneta. Oggi tutto questo è profondamente mutato. La cosiddetta globalizzazione provocata dallo straordinario sviluppo della telematica e dall’ingresso nel sistema dell’economia di libero mercato di popolazioni dapprima escluse per propria scelta politica, la conseguente libertà di circolazione di idee, capitali, merci e persone ci pongono di fronte a una realtà nuova, sostanzialmente diversa e destinata a configurare una nuova era. Gli Stati più sviluppati (Nord America, Europa, Giappone) se adottano un sistema di welfare o misure a tutela del lavoro mettono i propri bilanci o il binomio lavoratori – imprese in condizioni di difficoltà rispetto agli Stati che non adottano tali misure; se stabiliscono una imposizione fiscale più gravosa gli operatori si spostano o vengono sostituiti dove si trovano condizioni fiscali più convenienti; se lo Stato disciplina il matrimonio in un certo modo, ancorchè conforme a una consolidata tradizione, il cittadino può andare a contrarre matrimonio in altro Stato che non pone gli stessi vincoli; se uno Stato disciplina la ricerca scientifica, ad esempio vietando l’uso di cavie, la ricerca si sposta in uno Stato che lo consente e così via. Per quanto riguarda la moneta oggi la maggior parte degli Stati europei ha spontaneamente rinunciato alla sovranità monetaria a favore di una istituzione europea, dotata di ampia autonomia ancorché controllata dalle Banche centrali nazionali; è mancato tuttavia il passo ulteriore della creazione di altra istituzione europea cui affidare il collegato potere in campo economico. La speranza che la creazione di una moneta unica avrebbe promosso e accellerato dapprima l’unificazione delle politiche economiche nazionali e di conseguenza l’unione politica dell’Europa è andata delusa. L’emissione e il governo della moneta, come sopra detto, è una prerogativa tipica del potere sovrano. In ambito internazionale il potere (scientifico, militare, economico e culturale) è stato finora detenuto dagli Stati Uniti; corrispondentemente il dollaro USA è divenuto la moneta internazionale e gli Stati Uniti hanno progressivamente inondato il resto del mondo di dollari al fine di finanziare il proprio deficit e mantenere elevato il livello di vita dei cittadini americani. Il dollaro è quindi la moneta mondiale che viene gestita, non nell’interesse mondiale, ma nell’interesse dei residenti americani. Negli anni ’70 negli Stati Uniti è stata avviata una politica di deregulation e liberalisation in materia finanziaria e monetaria applicando anche a questo delicato comparto dell’economia la teoria dei mercati finanziari perfetti. Dopo secoli di saggezza e prudenza nel governo della moneta nella consapevolezza che la moneta non è un bene come gli altri e il mercato monetario e finanziario non può essere regolato dal libero incontro della domanda con l’offerta, si è progressivamente andati verso un regime di libero mercato. Alcuni autorevoli economisti, sulla scia delle prestigiose scuole classiche, hanno fornito la base teorica; le banche d’affari (che banche non sono con tutto ciò che questa distinzione comporta) hanno colto la straordinaria opportunità creando strumenti finanziari (che per inciso rappresentano debito similmente alla moneta) e offrendoli sia al settore privato che al settore pubblico. E gli operatori di entrambi questi settori hanno altamente gradito le nuove possibilità che venivano così offerte loro: le imprese per promuovere nuovi investimenti per produrre e offrire nuovi beni e servizi a un mercato tendenzialmente in espansione per l’aumento della massa monetaria; i governanti, finalmente liberi dal vincolo monetario in quanto i nuovi strumenti non generavano di per sé inflazione, potevano distribuire benessere a tutti i cittadini; si è così diffusa la convinzione che il benessere di tutti era un diritto ormai comunque acquisito da ognuno, non essendoci più le ristrettezze di un vincolo di bilancio insuperabile. In tal modo sia la grande impresa che i governanti, sia centrali che locali, si sono trovati a dipendere quali debitori di importi sempre crescenti dalle banche d’affari: e certamente, almeno per quanto riguarda i debitori pubblici, si tratta di soggetti sicuramente insolventi. Le Banche d’affari, forti della posizione di potere acquisita e della straordinaria accumulazione di capitale realizzata, sono arrivate a controllare la politica, l’industria, la stampa e hanno progressivamente occupato con uomini di loro espressione tutte le istituzioni rilevanti per il controllo dei mercati: i media, le Borse, le società di rating, le grandi società di consulenza e persino i vertici di Banche centrali. A queste ultime sembra rimasto il controllo della stabilità della moneta inteso riduttivamente come controllo della stabilità dei prezzi di beni e servizi. Non so se la buona fede degli economisti che hanno teorizzato l’applicabilità del laissez-faire all’ambito finanziario sia pari a quella del Cancelliere che all’Imperatore nel Faust di Volfango Goethe (1831) in una sera di sbornia fece firmare l’editto: “Sia reso noto a tutte le persone : questo biglietto vale mille corone. Lo garantisce in tutta sicurezza nel suol sepolta l’imperial ricchezza. Ora in coscienza si provvederà a che il tesor, nello stesso momento in cui dal suolo cavato sarà, serva al biglietto di risarcimento”. L’invenzione della carta moneta, “naturale” evoluzione della moneta metallica passata attraverso il gold standard prima e il gold exchange standard poi, aveva “l’aria d’una truffa colossale”, come dichiarato dall’Imperatore, ma certamente i sudditi dell’Imperatore hanno goduto di larghi benefici a seguito della sua introduzione. E certamente anche noi tutti abbiamo beneficiato largamente della straordinaria massa di liquidità aggiuntiva creata a seguito della liberalizzazione della finanza. Ne hanno beneficiato le aziende, ne hanno beneficiato i governanti che, liberi dalla austerità delle Banche centrali, hanno potuto più facilmente finanziare ogni “buona” iniziativa e così ottenere il consenso popolare, ne hanno beneficiato i cittadini per tenere elevato il loro tenore di vita. Anche l’invenzione della carta moneta ha rappresentato un pericolo terribile per il mondo di allora, ma la società è stata capace di organizzarsi, di darsi delle regole che quando sono state rispettate hanno mantenuto i benefici della carta moneta e ne hanno neutralizzato i potenziali effetti negativi; quando le regole non sono state rispettate abbiamo avuto inflazioni terribili con conseguenze disastrose. Oggi di fronte al nuovo occorre che la classe dirigente si interroghi e risponda prontamente con regole adeguate alla nuova realtà. Nell’attesa che il mondo sia maturo per un ordine fondato sulla giustizia, il sistema di libero mercato si è dimostrato il migliore per garantire la massima diffusione dello sviluppo. Tuttavia è in primo luogo necessario ricordare che il regime di libero mercato non può essere applicato a tutti i campi dell’attività umana, ma solo al campo dell’attività economica di produzione e di scambio di beni e servizi e peraltro non di tutti. Infatti vi sono settori di attività economica che non possono essere semplicemente lasciati ai meccanismi di mercato. Settori quali ad esempio la cultura, i media, l’istruzione, la sanità, la sicurezza, la giustizia sono sì servizi economici nel senso che essi sono finalizzati a soddisfare bisogni anche economici, ma possono essere forniti solo in parte, più o meno estesa, dall’iniziativa privata; tali servizi richiedono evidentemente un preciso intervento dello Stato che deve fornirli direttamente o comunque regolarli e, in ultima istanza, garantirli. E certamente la moneta rientra fra questi. La logica imprenditoriale che deve essere tesa al profitto perché in tal modo genera benefici all’intera collettività in questi settori non può trovare piena applicazione, ma deve essere lo Stato a stabilire quanto e come il servizio debba essere fornito dall’iniziativa privata in una logica che sostanzialmente non è quella di libero mercato. Servizi come la giustizia o la sicurezza possono sì essere effettuati da organizzazioni private in logica di profitto, si pensi alle camere arbitrali o alla vigilanza armata agli sportelli bancari, ma sono servizi che devono essere svolti primariamente e essenzialmente, e comunque in ultima istanza, dallo Stato. In secondo luogo va ricordato che il guadagno nelle sue varie forme di profitto, di utile o di remunerazione non può essere lasciato alla determinazione di rapporti di forza a seguito dei quali ciascuno tende a massimizzare il proprio guadagno: in un sistema di libero mercato il guadagno di una persona o di una impresa deve essere funzione del beneficio che la società nel suo complesso riceve dallo svolgimento dell’attività della persona o dell’impresa. Se questo rapporto viene meno il sistema si configura come un regime di prevaricazione, non di libero mercato. Quest’ultimo infatti richiede necessariamente un complesso di regole che pongono il guadagno in correlazione con il beneficio sociale derivante dall’attività svolta. Tanto maggiore è il beneficio che la società riceve in termini di valore non solo economico dall’attività svolta, tanto maggiore deve essere il compenso ottenuto dall’operatore. Questa è una legge assolutamente necessaria e fondante il sistema di libero mercato e questa relazione richiede che siano identificati i valori su cui si basa la convivenza sociale E questo a sua volta richiede una weltanschauung fondata sulla teologia. S.S. Benedetto XVI ci ha recentemente donato la sua ultima enciclica “Caritas in veritate”. Quest’enciclica, che si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali, non è come affermato da taluni un trattato di economia: essendo il prodotto di un grande teologo l’enciclica ci fornisce la visione attuale dei fondamenti teologici che regolano la nostra società e che si sintetizzano nei seguenti enunciati che rispondono alla condizione sufficiente di essere stati rivelati e alla condizione necessaria del riscontro, effettuato dalla ragione, di conformità alla intima coscienza interiore dell’uomo: 1) Dio esiste, è sempre stato e sempre sarà; 2) Dio è creatore di tutte le cose visibili e invisibili; 3) Dio è infinitamente buono; 4) Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Da questi quattro punti discende tutta la costruzione della nostra società e questi quattro punti sono le pietre angolari della nostra weltanschauung. Viceversa in mancanza o negazione di uno solo di questi punti, crolla tutto il nostro sistema occidentale come è stato costruito finora. In mancanza anche di una sola di queste quattro pietre non si capisce infatti perché non prevaricare l’altro, o rubare, o uccidere uno che è di ostacolo a realizzare i propri desideri o violare un altro qualunque dei dieci comandamenti o delle altre regole morali che su quelle quattro pietre sono state costruite. Perché porre una questione ecologica. Se il problema ecologico è solo tecnico e solo tecniche sono le relative soluzioni, come ritengono taluni, lasciamo che lo risolva il tecnico della generazione futura quando si esaurirà una certa risorsa. Analogamente in campo economico perché non continuare a lasciar creare strumenti finanziari e chi può si arricchisca quanto più può usando le risorse ottenute per mantenere in buona pace gli altri. Cosa fare? Io non lo so ma quando si ha di fronte un malato, e qui il malato c’è ed è il mondo sviluppato (Nord America, Europa occidentale e Giappone), si può mutare la metodologia utilizzata dalla scienza medica che distingue tre fasi: anamnesi, diagnosi e terapia ovvero, nel nostro caso l’individuazione dei punti rilevanti e la loro esposizione ordinata, la condivisione delle ragioni o cause all’origine del male e infine la scelta e l’applicazione dei rimedi. Occorre quindi innanzitutto prendere atto della situazione individuando i principali aspetti che caratterizzano la realtà attuale. • Oggi il potere economico, e non solo, è detenuto dalle banche d’affari che sono creditrici di Stati, di enti pubblici territoriali e non, di grandi imprese e che di fatto controllano i mercati attraverso media, società di rating e istituzioni finanziarie. Negare questo solo perché taluni o molti non vorrebbero che fosse così sarebbe un grave errore. Non so perché sia stato detto che la finanza è il cervello dell’economia: forse è stato scritto per mero errore, forse si è trattato di un lapsus freudiano, forse si è voluto evidenziare che oggi la finanza si è impadronita del sistema economico e non solo. Certo restando all’apologo di Menenio Agrippa la finanza tradizionalmente era non il cervello, ma il sistema nervoso dell’economia. • Il mercato, tendente al mercato perfetto, che esisteva al tempo degli stati sovrani, oggi in campo internazionale (alias mondiale) non c’è più. Le condizioni di libero mercato sono rimaste operanti solo in piccoli mercati marginali di estensione locale. Il mercato di tutte le materie prime è in mano alle multinazionali nel mondo ed è in regime di oligopolio ormai da decenni. Le leggi antitrust americane si applicano e possono solo trovare applicazione all’interno degli Stati Uniti; nel resto del mondo vale il cartello stabilito dai grandi operatori del settore. Anche il mercato dei principali beni sia durevoli che di consumo è in mano a pochi produttori o a pochi distributori organizzati in potenti reti di vendita. • I mercati finanziari per effetto della globalizzazione sono diventati un unico mercato nel quale si è passati da una scarsità di informazione a una sovrabbondanza di informazione disponibile a tutti, ma controllata da pochi. La conseguenza ovvia è che il comportamento della massa viene orientato a favore dell’interesse di quei pochi. • La concentrazione del potere in mano ai manager di vertice ha creato situazioni di conflitto d’interessi estese, strutturali e permanenti. • Mentre le società a ristretta base azionaria erano di norma in mano a imprenditori formati alla cultura d’impresa e le grandi società un tempo avevano insito al loro interno un meccanismo di controllo basato sulla divisione fra la proprietà e la gestione, con il passaggio al c.d. capitalismo manageriale il meccanismo del controllo della proprietà sulla gestione non funziona più. Il manager al vertice della grande società è padrone senza essere proprietario: il potere su tutti gli stake-holders, azionisti compresi, è nelle sue mani. L’ovvia conseguenza è che i manager stabiliscono per sé compensi tali da lasciare tutti esterefatti. • Le caratteristiche degli assetti proprietari dei soggetti che dominano i mercati fanno si che le logiche di profitto siano tutte di breve periodo, l’unico obiettivo di lungo periodo essendo quello di conservare il controllo del mercato. • Occorre quindi prendere atto che oggi nelle società di maggiori dimensioni l’utile degli azionisti non coincide più con l’utile dell’azienda, poiché le azioni rappresentative della proprietà partecipano a un mercato diverso da quello dell’azienda che obbedisce ad altre logiche; peraltro anche le azioni vengono rappresentate da altri titoli o strumenti finanziari che a loro volta presentano andamenti dei prezzi difformi da quelli delle azioni rappresentate e così via in una specie di catena di Sant’Antonio. • L’interesse degli operatori richiede che le oscillazioni dei prezzi siano ampie e rapide: se c’è stabilità nei corsi i margini di profitto sono sempre modesti, forti guadagni si fanno solo su forti oscillazioni di masse rilevanti. E’ lontano il tempo in cui al NYSE (principale borsa americana) gli specialists, operatori paragonabili al nostro agente di borsa di un tempo, avevano il compito e la responsabilità di stabilizzare il corso del singolo titolo (o gruppi di piccoli titoli) intervenendo in acquisto in fase di discesa del corso e servendo il mercato quando il titolo correva. • Un tempo una persona che avesse dato i propri risparmi ad una altra persona chiedendogli di impiegarli come riteneva meglio, sarebbe stato ritenuto incapace di intendere e volere; oggi questo rappresenta un comportamento comune. Notare che neppure coloro che consigliano l’impiego al risparmiatore conoscono la destinazione e addirittura l’effettivo destinatario della somma. • La crisi in atto è oggetto da noi di una imponente attività convegnistica e mediatica che tende a presentarci il fenomeno come globale, ma così non è. Mentre il mondo occidentale e il Giappone, cioè il mondo sviluppato, che fino a pochi anni fa costituiva l’intero sistema di libero mercato, sta subendo una crisi straordinaria, i paesi del lontano oriente, Cina, India e altri paesi dimensionalmente minori dell’Asia, stanno vivendo una fase di eccezionale ed entusiasmante sviluppo economico, culturale e politico. • La crisi è stata originata negli Stati Uniti da un eccesso di attività finanziarie e si è propagata nel reso del mondo sviluppato e si è riflessa inevitabilmente nella economia reale: non occorrono doti divinatorie per prevedere che avrà conseguenze sugli assetti politico-istituzionali di alcuni Stati anche perché i provvedimenti presi per contrastarne gli effetti finora sono consistiti in un ulteriore massiccio incremento delle attività finanziarie. • I paesi del lontano Oriente, la Cina in particolare, sono caratterizzati da un assetto politico istituzionale tale per cui la classe dirigente politica è effettivamente dominante e forma e realizza progetti nell’interesse del proprio Paese, mentre la classe politica dei paesi sviluppati è condizionata da quelli che noi chiamiamo poteri forti e agisce non nell’ottica di lungo periodo, ma in vista della successiva scadenza elettorale. Le osservazioni sopra riportate sono molto sintetiche ed apodittiche e meriterebbero sia una descrizione più accurata e completa sia una più rigorosa analisi; talune affermazioni andrebbero peraltro provate. Tuttavia la circostanza che si tratta di fotografie di aspetti della realtà mi fa pensare che sia preferibile, perché più facile e più consistente, che ciascun eventuale lettore riscontri direttamente quanto esposto con la realtà dei fatti. Certamente data la parzialità e incompletezza delle rilevazioni espresse fa si che ulteriori osservazioni e il completamento e l’approfondimento di quanto espresso può portare a considerazioni più complete e profonde. Voglio comunque tentare ora di proporre alcune riflessioni conseguenti a quanto rappresentato. La causa profonda della crisi non è nei titoli sub prime, ma sta nell’abbandono dei valori su cui si fonda la nostra società: è una crisi di valori che avviene nella fase di passaggio da un’epoca industriale, iniziata alla fine del ‘700 in Inghilterra con la rivoluzione industriale e in Francia con la rivoluzione Francese, all’epoca della globalizzazione. La crisi è dunque endogena ai paesi sviluppati, paesi nei quali si è affermata la convinzione che i valori sui quali si basava la convivenza e lo sviluppo non erano più necessari né utili, ma anzi essi erano di ostacolo a un maggior sviluppo. Le battaglie condotte contro la famiglia, la religione (si pensi al divieto di esposizione di simboli religiosi), le istituzioni statali e la vita stessa, come tradizionalmente concepita nella sua sacralità, costituiscono testimonianze evidenti a tutti. Dobbiamo ricercare nuovi valori su cui fondare la convivenza sociale, aggiornare i nostri valori tradizionali o dobbiamo riprendere e rilanciare i valori che hanno sostenuto finora lo sviluppo dell’Occidente? A questo punto se le osservazioni sopra esposte corrispondono a verità e se le deduzioni sono condivise la terapia, o almeno alcuni interventi terapeutici, possono essere individuati di conseguenza. Nell’attesa e nella speranza che il lavoro di rivalutazione dei valori possa creare condizioni favorevoli allo sviluppo, occorre impegnarsi per l’individuazione e l’applicazione di nuove regole tese sia ad evitare il pericolo di collasso del sistema che ad agevolare una convivenza sociale più ordinata. Su questo fronte è in atto un forte impegno della comunità internazionale sia al di qua che al di là dell’Oceano per ripristinare un corretto funzionamento dei mercati. Certamente è almeno altrettanto importante che si recuperi il corretto funzionamento del settore pubblico. Ma vi è un terzo settore che merita la massima attenzione ed è l’associativismo. Per associazionismo intendo tutta l’attività di volontariato e cioè di attività prestata a favore di altri sostanzialmente priva di contropartita economica per chi la presta; sia essa di natura laica o religiosa l’assistenza agli anziani, ai disabili, la cura degli animali, il volontariato nel campo dello sport, o dell’ecologia, degli hobbies o di mille altri settori anche minori coinvolge nel nostro paese milioni di persone. E questa trilogia privato, pubblico terzo settore forse non casualmente trova coincidenza nel titolo dell’intervento del dott. Lorenzo Bini Smaghi: Etica, Mercati, Democrazia. Nell’ultima enciclica il Santo Padre ha affermato il principio di gratuità fondato sulla constatazione che l’essere umano è fatto per il dono. La cellula sociale nella quale in primis si attua e si sviluppa questa tendenza dell’animo umano è la famiglia, entità fondata sul principio che chi più ha più da a chi ha meno, sia in senso materiale che morale. Lo straordinario mondo del volontariato, già esistente e ampiamente esteso, dà corpo alla speranza che su questo possiamo contare per lo sviluppo dell’uomo e non certo su un mondo costruito sull’egoismo. La società civile organizzata in associazioni, cooperative, società no profit o società che dedicano il profitto a fini sociali costituiscono un variegato e complesso sistema, anche economico, di grande importanza. Inserito in questo quadro, l’impegno della UCID è chiaro. Una associazione di uomini di fede, prammatici e di pensiero che ha come finalità l’approfondimento, la diffusione e l’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa può e deve, di concerto con gli altri soggetti attivi del mondo del volontariato, dare un contributo sostanziale a diffondere nella società civile uno spirito di perseguimento del bene comune: approfondendo il significato del principio di gratuità e promuovendolo con la coscienza che qualunque attività dell’uomo, anche se prestata senza corrispettivo economico, è tesa a creare ricchezza. La conservazione, lo sviluppo e la diffusione in ambiti sempre più vasti della società civile dei valori su cui poggia lo sviluppo, non solo economico, dell’uomo è un obiettivo concreto da perseguire nell’attesa che si verifichino le condizioni per il superamento dell’attuale fase di crisi perché il novus ordo del potere pubblico che verrà trovi un terreno più fertile per una società tesa al rispetto della dignità dell’uomo e alla sua valorizzazione, fine ultimo della Dottrina Sociale della Chiesa. Roma, giugno 2010