Donne manager nei trasporti (terrestri): tra pari opportunità e

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Rapporti|Cesit
pubblicazione Cesit CEntro Studi sui Sistemi di Trasporto
a cura di
Mario PEZZILLO IACONO
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Centrostudi
suiSistemi
diTrasporto
CarloMarioGuerci
2009
Donne manager nei trasporti (terrestri):
tra pari opportunità e valorizzazione
delle differenze
Rapporti|Cesit 2009
Rapporti|Cesit
pubblicazione Cesit CEntro Studi sui Sistemi di Trasporto
2009
Centrostudi
suiSistemi
diTrasporto
CarloMarioGuerci
presidente
Enzo Pontarollo
direttore scientifico
Riccardo Mercurio
ricercatori
Paolo Canonico
Stefano Consiglio
Ernesto De Nito
Paolo de Vita
Vincenza Esposito
Gianluigi Mangia
Marcello Martinez
Luigi Moschera
Mario Pezzillo
segreteria amministrazione
Cesit - Centro Studi sui Sistemi
di Trasporto Carlo Mario Guerci
Napoli via Carducci, 37
tel 081 408347
fax 081 409496
www.consorziocesit.it
[email protected]
progetto grafico
e impaginazione
Annalisa Camerlingo
Donne manager nei trasporti (terrestri): tra pari opportunità e valorizzazione delle differenze
Donne manager nei trasporti (terrestri): tra pari opportunità e valorizzazione delle differenze
Donne manager nei trasporti (terrestri):
tra pari opportunità e valorizzazione
delle differenze
a cura di Mario PEZZILLO IACONO
Il Cesit
Il Cesit, CEntro studi sui SIstemi di Trasporto “Carlo Mario Guerci”, è un consorzio
di ricerca che, da quasi trenta anni, promuove e realizza studi e ricerche su temi di
carattere economico, manageriale, organizzativo e finanziario collegati al trasporto
collettivo.
All’attività di ricerca si associano interventi di consulenza per gli operatori del settore
e le amministrazioni locali nel comparto dei trasporti.
Mario Pezzillo Iacono
Dottore di Ricerca in Organizzazione, Tecnologia e Gestione delle Risorse Umane
(Università degli Studi del Molise), Research Student presso la Cardiff Business
School e Professore a contratto di Organizzazione Aziendale (Seconda Università
degli Studi di Napoli) e di Metodi e Strumenti di Progettazione Organizzativa
(Università degli Studi di Napoli Federico II). Le sue principali aree di impegno
scientifico presso il CESIT sono l’analisi strategica ed organizzativa delle diverse
filieredel sistema di trasporto pubblico e del TPL in particolare.
Per il CESIT ha curato studi sull’evoluzione strategica, organizzativa e competitiva
delle imprese di produzione ferrotranviaria italiane ed internazionali.
L’analisi ha l’obiettivo di verificare l’evoluzione della governance (in termini di
diversità di genere) e della cultura delle differenze e/o delle pari opportunità
in un sistema di business, quello dei trasporti terrestri, tradizionalmente
considerato di “pertinenza” prettamente maschile.
Lo studio è stato condotto da un lato attraverso un’analisi quantitativa sulle
aziende di erogazione di servizi di trasporto (200 aziende di TPL e le aziende
del gruppo FS) e dall’altro attraverso una pluralità di interviste rivolte a donne
manager in aziende esercenti o alla guida di associazioni di categoria del
settore.
Dalla ricerca emerge una positiva, seppur leggera tendenza al superamento
del cosiddetto “soffitto di cristallo” sia che si consideri il numero di donne
in posizioni di vertice di nomina tipicamente politica (come componenti di
organi sociali, ad esempio), sia se si guada alla presenza femminile in posizioni
manageriali, sia, infine, se si analizza, la diffusione (in aumento significativo)
e l’incidenza (ancora bassa) di politiche e strumenti aziendali di gestione delle
differenze.
Dalle interviste realizzate, l’idea che viene alla luce con consenso unanime è
che una apertura autentica alle donne in posizioni manageriali e in ruoli di
leadership costituirebbe un’opportunità ed un vantaggio sia a livello generale
(sociale), sia con riferimento specifico alle aziende di trasporti.
Questa idea muove però da due prospettive alquanto differenti: la prima
parte dal presupposto che le pari opportunità debbano rappresentare
una conseguenza fisiologica di un sistema autenticamente fondato sulla
meritocrazia; la seconda individua nella valorizzazione delle differenze di
genere e nella specificità delle competenze al femminile, i principi alla base del
superamento della stessa segregazione femminile. In questo senso nell’analisi
si schematizza un decalogo di fattori o qualità manageriali che le donne
intervistate ritengono essere state molto importanti nello sviluppo dei loro
percorsi di carriera nel settore dei trasporti.
I
l termine meritocrazia è richiamato con una frequenza sempre maggiore da
libri, riviste, trasmissioni televisive, editoriali di giornali, ricerche sia di carattere
più generalista, sia di natura tecnico-specialistica. Il tema è fisiologicamente
interdipendente con un’altra questione di grande rilevanza economico-sociale e
mediatica: quello delle pari opportunità uomo/donna, o, meglio, della centralità di
una cultura delle differenze autenticamente ispirata al riconoscimento delle identità/
diversità di ciascuno anche con riferimento al genere.
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Focalizzando l’analisi su uno specifico ambito di riferimento, lo studio del
CESIT - CEntro studi sui SIstemi di Trasporto “Carlo Mario Guerci”- si è posto come
obiettivo quello di verificare l’evoluzione della cultura delle pari opportunità in un
sistema di business, quello dei trasporti, tradizionalmente considerato di “pertinenza”
prettamente maschile.
Lo studio è stato condotto da un lato attraverso un’analisi quantitativa sulle
aziende di erogazione di servizi di trasporto e dall’altro attraverso una pluralità di
interviste rivolte ad alcuni interlocutori privilegiati del settore: si tratta di donne
manager in aziende esercenti servizi di trasporto oppure donne alla guida di
associazioni di categoria. L’analisi si è focalizzata innanzitutto sulla composizione
dei consigli di amministrazione delle quasi duecento aziende di Trasporto Pubblico
Locale (TPL) che contano più di cinquanta dipendenti e sono distribuite su tutto il
territorio nazionale.
Il dato che emerge è che la percentuale femminile all’interno dei CDA delle
aziende in oggetto è di quasi il 5% (vedi Tavola 1). Tale dato, pur esplicativo di una
tendenza ancora prettamente “maschilista” del settore, risulta essere di gran lunga
“superiore” rispetto a quello più generale relativo alla presenza femminile media nei
CDA di aziende italiane che si attesta intorno ad uno sconfortante 2% (vedi infra).
L’indicatore (il 5% appunto) appare tuttavia spostato verso l’alto da due casi
“particolarmente virtuosi”: il primo è l’ATAF di Firenze, che ha tre donne nel CDA;
ed il secondo è la SEAC di Campobasso in cui siedono le tre sorelle Saliola, eredi del
fondatore dell’azienda. Non considerare queste situazioni definibili, in certo senso,
come “eccezionali” porterebbe a percentuali evidentemente inferiori.
Altro dato, questa volta meno incoraggiante, emerge dalla verifica del numero
di donne alla guida (ossia presidenti dei consigli di amministrazione) delle stesse
aziende di TPL. Si sono riscontrati soltanto due casi: nella fattispecie, Loredana
di Lorenzo, presidente della Ferrovia Adriatico Sangritana e Maria Capezzuoli,
presidente dell’ATAF di Firenze. Il ruolo di presidenza è stato dunque affidato ad una
donna solo nell’1% delle aziende in oggetto. Tale dato appare coerente con i risultati
di una recente indagine Cerved (2009), secondo cui il settore caratterizzato dalla
minore frequenza di “donne capo” è proprio quello delle utilities: poco meno del 3%
di tali aziende, infatti, risultano guidate da una donna.
Lo studio si è focalizzato anche sulla composizione degli organi sociali
dell’insieme delle aziende del gruppo delle Ferrovie dello Stato: FS, Trenitalia, RFI,
Italfer, Ferservizi, FS logistica, Grandi Stazioni, Cento Stazioni e Sita Sogin.
L’indicazione di una positiva, seppur lieve tendenza al superamento del
cosiddetto “soffitto di cristallo”, sembra essere confermata anche in questo caso: su
57 posti nei CDA delle aziende citate, quelli coperti da donne sono 4, nella fattispecie:
Barbara Morgante, consigliere RFI e Centostazioni; Elisabetta Scoscerai, consigliere
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Italferr; Sara Venturosi, consigliere Centostazioni; Luisa Cecilia Velardi, Presidente Sita
Login. L’incidenza in questo caso è di circa il 7%.
Tav. 1 - Alcuni dati sul tasso di occupazione femminile di aziende del settore
% donne
% uomini
Presidenze aziende TPL
1
99
Componenti CDA TPL
4,9
96,1
Organi sociali società Gruppo FS
7
93
Management società Gruppo FS
7
93
17,5
82,5
2,5
97,5
Occupati nel comparto trasporti terrestri
Assessori regionali e comunali con competenze nei trasporti
Fonte: Cesit (2009)
Anche dall’analisi del management delle medesime aziende del gruppo FS,
emerge un’incidenza femminile complessiva molto simile: su oltre 100 posizioni
manageriali delle 9 società in questione, sono rinvenibili 7 donne (Giuseppina
Mariani, Direzione Centrale Affari Societari FS; Barbara Morgante, Direzione Centrale
Strategie e Pianificazione FS; Stefania Ramadori, Internal Auditing Grandi Stazioni;
Vera Fiorani, Direzione Amministrazione, Finanza, Controllo e Patrimonio RFI; Luciana
Perfetti, Direzione Acquisti Trenitalia; Concetta Cammarata, Polo Palermo Ferservizi;
Luisa Cecilia Velardi, Direzione Strategia Trenitalia). Va sottolineato che in due casi,
si rileva una sovrapposizione tra posizione occupata negli organi sociali e posizione
manageriale ricoperta in un’altra azienda del gruppo.
La lettura complessiva di questi dati, pur confermando in termini assoluti
una “segregazione verticale” di genere caratterizzante il settore, mette in luce una
situazione non del tutto negativa sia in rapporto alla presenza femminile complessiva
nel comparto analizzato, sia nel confronto con altri settori.
Va detto, innanzitutto, che i dati relativi alle percentuali femminili in organi
sociali e/o nel management devono essere raffrontati con le presenze femminili
(a tutti il livelli) nei trasporti: secondo una recente indagine dell’Isfol le donne
rappresentano solo il 17,5% degli occupati del settore (segregazione orizzontale) con
un differenziale negativo di reddito che si aggira intorno al 10%, segno che è ancora
difficile accedere a professioni (e fare carriera) dove la concentrazione di dipendenti
uomini è ancora largamente preponderante.
Le differenze di retribuzione confermano inoltre la maggiore difficoltà delle
lavoratrici a collocarsi in posizioni di responsabilità meglio retribuite. Nell’ambito
di FS, ad esempio, le attività a rilevante incidenza femminile sono soprattutto
l’assistenza a bordo e a terra ed il settore amministrativo.
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Il “soffitto di cristallo” che emerge dall’analisi del comparto dei trasporti
terrestri è una caratteristica che, come accennato, deve essere anche messa a
confronto con i dati, ancora meno consolanti, relativi al sistema paese nel suo
complesso. Tale confronto fa venire alla luce che le aspettative che caratterizzano il
comparto, tipicamente considerato refrattario alle donne, sono in parte ingiustificate.
Le donne presenti nei CDA di società italiane sono, infatti, effettivamente molto
poche e la segregazione verticale in Italia sembra essere parte integrante del mondo
del lavoro per gli alti dirigenti d’azienda.
Tav. 2a – La presenza femminile nei CDA
Presenza donne nei CDA
TPL
Gruppo FS
Media in Italia
4,9%
7%
2%
Media
nella UE
10,5%
Fonte: Cesit (2009), Università di Cambridge (2008)
Tav. 2b – La presenza femminile nei CDA nei paesi UE
Fonte: Professional Women’s Association (2008)
Secondo i dati di Noreena Hertz del Centre for International Business
- Università di Cambridge - su cento “poltrone” dei CDA, le donne sono
rispettivamente: ventidue in Svezia, diciotto in Danimarca, undici in Gran Bretagna,
sette in Germania e nei Paesi Bassi e soltanto due in Italia (vedi Tavola 2a). Il nostro
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paese si caratterizza, dunque, per una media del 2% contro il 10,5% della media
europea1.
Né le cose sembrano andare meglio se si guarda soltanto ai CDA delle grandi
aziende.
Il Board Women Monitor 2008 elaborato dall’associazione Pwa (Professional
Women’s Association) ha tracciato, infatti, un bilancio della presenza femminile
all’interno dei CDA delle 300 maggiori società europee. L’ingresso nella stanza dei
bottoni, secondo la ricerca, è “terribilmente lento” ed è fermo a circa il 10% a livello
europeo nel 2008, ma è significativamente più basso in Italia (il 2,1%), definita
letteralmente (insieme con il Portogallo) una nazione “ritardata” (vedi Tavola 2b).
I dati delle ricerche citate, come è evidente dalle due tavole riportate di seguito,
sono, in sostanza, perfettamente sovrapponibili.
In questa ottica, nel confronto con un sistema paese ancora decisamente
“orientato al maschile”, vanno quindi interpretati i dati relativi alle aziende
analizzate in questo studio. Il dato collegato alla presenza di donne nei CDA del TPL,
ad esempio, è significativamente più elevato, addirittura più che doppio (4,9% contro
il 2%), rispetto a quello più generale italiano. Ragionamento simile si può fare se si
prendono in esame le aziende del gruppo FS (7% contro 2%).
In questo senso si potrebbe parlare di un cambiamento nel settore nel senso di
una maggiore apertura alle donne in posizione di vertice; un cambiamento ancora in
fase embrionale ed ancora molto lento.
Le percezioni degli addetti ai lavori, è doveroso sottolinearlo, non sembrano
essere sempre coerenti con tale visione.
Nella visione della Dott.ssa Luisa Cecilia Velardi - Direttore della Strategia di
Trenitalia e Presidente della Sita Login - i numeri assoluti mettono in evidenza che il
settore dei trasporti è ancora estremamente maschilista; il motivo sarebbe attribuibile
ai forti contenuti tecnici che caratterizzano le attività core del business: le donne da
un lato tenderebbero ad essere escluse per una sorta di consuetudine culturale e
dall’altro sono portate ad auto-escludersi. Le pratiche sociali agirebbero, dunque, sia
sulle donne che non scelgono lavori inconsueti, sia su chi le assume o le dirige. In FS,
ad esempio, solo negli ultimi anni si può verificare una maggiore presenza femminile
negli organici, anche le donne impiegate sono tipicamente bigliettaie e, da pochi
anni, capotreno.
Secondo Anna Donati - Direttore Generale dell’ACAM, l’Agenzia di supporto
della Regione Campania per la mobilità sostenibile - nelle scelte per la composizione
1 La novità che emerge da una ricerca di Cerved sulle donne manager è che le imprese italiane
guidate dalle donne vanno meglio rispetto alle altre, accrescono più velocemente i ricavi, generano
più profitti e sono meno rischiose.
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dei consigli di amministrazione, oltre alle competenze, giocano in modo determinante
anche altri fattori, come le relazioni istituzionali, le alleanze di potere e le scelte
politiche. Tali fattori tenderebbero a penalizzare ulteriormente la componente
femminile, in linea generale “meno dotata” del cosiddetto capitale sociale..
A rinforzo di questa tesi, si può mettere in luce che, se si guarda alla presenza
femminile nei trasporti a livello politico locale in ruoli politico-amministrativi, (i
20 assessorati regionali ai trasporti ed i 20 assessorati comunali dei capoluoghi di
Regione), il solo nome di donna che compare è quello dell’Assessore alla Viabilità e ai
Trasporti del comune di Torino, Maria Grazia Sestero.
Per Pina Amarelli - membro del consiglio di amministrazione dell’ANM di
Napoli - il maschilismo che storicamente caratterizza il settore dei trasporti nel
suo complesso è fisiologicamente legato a una questione culturale, associabile alle
competenze/capacità che vengono tipicamente richieste. Esiste tuttavia, a giudizio
della Amarelli, una evidente, seppur ancora troppo lenta, inversione di tendenza in
tal senso, che è testimoniata, tra l’altro, dalla diffusione delle politiche di gestione
delle risorse umane che sempre più aziende esercenti servizi di trasporto stanno
mettendo in atto a supporto del lavoro femminile: formazione ad hoc per le donne,
comunicazione interna focalizzata sui principi delle pari opportunità, nuovi criteri
di reclutamento e selezione del personale, trasparenza nei percorsi di carriera,
istituzione di comitati per le pari opportunità, ecc.. Seguendo il ragionamento, il
discrimine andrebbe fatto, non tanto per settore di attività ma tra settore pubblico e
privato: nel pubblico il cosiddetto soffitto di cristallo rappresenterebbe una barriera
ancora più difficile da attraversare.
Va sottolineato, in ogni caso, che, almeno in questo senso, Napoli può
rappresentare una sorta di benchmark: la stessa Pina Amarelli è nel CDA di ANM;
e alla guida di organizzazioni come Unicocampania (il consorzio che gestisce
l’integrazione tariffaria di tredici aziende di trasporto pubblico in Campania) e
dell’ACAM, ci sono due donne: rispettivamente Antonietta Sannino e Anna Donati.
Proprio Anna Donati, che ha esperienze sia politiche sia gestionali nel
settore, mettendo in luce la difficoltà delle donne (purtroppo ancora riscontrabile)
ad entrare e fare carriera nella logistica e/o nei trasporti, nel tentare di spiegarne le
cause, enfatizza soprattutto la questione delle competenze legate alla formazione
e alle esperienze. La Donati ritiene che il settore dei trasporti sia più maschilista
di altri luoghi di lavoro o decisione, soprattutto perché da sempre è legato ad una
visone tecnologica ed ingegneristica, dove motori, infrastrutture e investimenti
rappresentano il cuore delle attività; un sistema legato in modo molto stretto al
mondo scientifico, tecnologico e matematico, mondi tradizionalmente prelusi o
lontani dagli studi della formazione femminile. Secondo la Donati, tuttavia, le donne
hanno oggi finalmente più spazio, non solo perché possono studiare e studiano di
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più (anche le materie scientifiche) ma perché è cambiata la domanda di competenza
nei trasporti e quindi hanno più opportunità anche in professioni nuove rispetto al
sistema rigido del passato.
L’impressione di una inversione di tendenza è confermata da Betty Schiavoni,
tra le altre cose, presidente di ALSEA, Consigliere FEDIT e Membro della giunta di
CONFETRA. La Schiavoni sottolinea come nel passato il binomio donne-trasporti non
era neanche preso in considerazione; mentre si sta lentamente aprendo una breccia
verso i principi della valutazione del merito a prescindere dalle diversità di genere.
A suo giudizio, tuttavia, al di là della retorica sulle pari opportunità, le donne sono
ancora avvolte da una radicata e fastidiosa forma di pregiudizio secondo cui essere
donna implica necessariamente avere un minore commitment verso il lavoro rispetto
alla vita familiare.
Particolarmente interessante è la storia professionale di Antonietta Sanninno,
attualmente direttore di Unicocampania: “quando ho iniziato il mio percorso
lavorativo – sottolinea la Sannino - il settore era prettamente al maschile. Sono
entrata nel 1980 in FS, che era un’azienda con una gerarchia quasi militare. A quel
tempo mi vedevano quasi come se fossi un alieno. Lo sviluppo della mia carriera
in quella organizzazione è stato molto duro: avevo la percezione di dover lavorare
il triplo rispetto ai miei colleghi maschi per ottenere poi gli stessi risultati. Le cose,
lentamente ed almeno in parte, ho la sensazione stiano cambiando, almeno in tema
di pregiudizi e stereotipi negativi legati al genere. È, tuttavia, doveroso mettere in
evidenza che le donne che rivestono ruoli manageriali nel settore sono ancora troppo
poche. Quello dei trasporti è un sistema molto complesso, che esige competenze
altrettanto complesse e dedizione quasi assoluta: a livello manageriale richiede
un commitment ed un impegno straordinari; bisogna essere sempre disponibili.
Ecco perché le donne tendono a fuggirne, soprattutto al sud. In questo senso la
segregazione verticale è anche legate ai comportamenti femminili. La cultura
maschilista si modifica anche con la presenza: il numero ancora limitato di donne in
ruoli manageriali, può rappresentare, in questo senso, un circolo vizioso”.
Il problema della gestione dei tempi, già richiamato più di una volta, è messo in
rilievo anche da Marilena Pozzi - referente dell’Associazione imprenditrici e donne
dirigenti d’azienda per i trasporti. Il settore è maschile - secondo la Pozzi - soprattutto
a causa dell’impegno che il segmento logistica e trasporti richiede, è difficilmente
conciliabile con gli impegni di natura familiare; essere ai vertici di aziende di
logistica implicherebbe una disponibilità ed una mobilità maggiore rispetto ad altri
settori. Una donna che vuole arrivare ai vertici in questo campo sarebbe costretta a
sacrificare in maniera drastica il progetto famiglia. “E purtroppo – continua la nostra
interlocutrice - spesse volte non si è giudicate per merito: anzi in alcune occasioni non
viene nemmeno offerta la possibilità di dimostrare il valore aggiunto che si potrebbe
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portare. Lo stereotipo è più forte dei fatti”.
Nell’opinione di Annita Serio, direttore di Federmobilità, la vocazione
maschilista dei livelli apicali delle aziende di trasporto tende a modificarsi troppo
lentamente, fondandosi sulla consolidata convinzione che esiste una equazione del
tipo trasporti=ingegneri=maschi.
Sembra emergere, dunque, da un lato un sistema di valori “istituzionali”
dominante nel settore che agisce sia come una barriera all’entrata per le donne
sia come un disincentivo all’acquisizione della formazione e delle esperienze
professionali necessarie a favorire un proficuo percorso di carriera; e dall’altro una
oggettiva difficoltà collegata alla conciliazione e alla flessibilità dei tempi di vita
familiare con quelli di lavoro.
Non a caso in molte aziende di erogazione di servizi di trasporto, si registrano
iniziative volte alla gestione delle diversità di genere che tipicamente hanno come
elementi fondanti la comunicazione (percorsi di formazione tendenzialmente orientati
verso il cambiamento culturale o con un focus su specifiche competenze, come quelle
di leadership) e/o interventi di work-life balance. È il caso ad esempio delle FS che ha
istituito un Comitato Pari Opportunità (sia a livello di corporate sia a livello locale)
definito come un “organismo aziendale bilaterale e paritetico che promuove iniziative
e azioni per offrire alle lavoratrici condizioni di lavoro più favorevoli e maggiori
opportunità di realizzazione”.
Ma anche in aziende di TPL di dimensioni evidentemente più piccole si
riscontrano iniziative simili: tra le più attive in al senso, la Trambus di Roma e l’Amt
di Genova, che, tra l’altro, hanno costituito comitati pari opportunità; ma anche che
l’ATM di Milano che ha realizzato un servizio di asilo nido aziendale.
Nel complesso il canale maggiormente utilizzato per parlare di pari opportunità
è rappresentato dalle circolari interne, e poi dalle brochures e dalla corporate identity/
carta dei valori (dove presenti).
Circa i programmi e le iniziative intrapresi dalle aziende più illuminate in
materia di pari opportunità nell’ultimo triennio, il ventaglio delle indicazioni è
piuttosto ampio e articolato: indagini sulle forme di flessibilità contrattuali e di
orario di lavoro, progetti per la sicurezza del personale femminile front-line e di
bordo, attività di formazione per sviluppare le professionalità femminili in ambito
commerciale, sostegno nell’assistenza ai bambini, formazione del management sui
temi delle pari opportunità.
Molte delle nostre interlocutrici hanno però sottolineato sia il carattere
consultivo e non decisionale dei comitati, sia i rischi collegati ad alcuni di quegli
strumenti considerati di supporto al lavoro delle donne. Ad esempio, i contratti parttime, spesso sono proposti alla lavoratrice per soddisfare le esigenze dell’azienda
(lavori flessibili e precari), più che per soddisfare le esigenze della lavoratrice stessa.
Donne manager nei trasporti (terrestri): tra pari opportunità e valorizzazione delle differenze
Un ultimo aspetto da approfondire è legato proprio ai concetti di pari
opportunità versus valorizzazione delle differenze.
Dalle interviste realizzate dal CESIT l’idea che emerge con consenso unanime è
che una apertura autentica alle donne in posizioni manageriali e in ruoli di leadership
costituirebbe una opportunità ed un vantaggio sia a livello generale (sociale), sia con
riferimento specifico alle aziende di trasporti. “Le donne possono fare la differenza”:
è l’espressione più comune impiegata dalle donne intervistate.
Le considerazioni di cui sopra, pur nell’unitarietà dell’idea-obiettivo, muovono
però da due prospettive differenti.
La prima è collegata al tradizionale binomio uguaglianza-merito: ossia ad
una concezione della meritocrazia come principio guida (nel contesto aziendale e
sociale), a prescindere dalle diversità di genere. “Non sono interessata alla cultura
della differenza, a cui non credo - sostiene Luisa Cecilia Velardi (Trenitalia) - Credo
invece che le pari opportunità debbano cercare di sostenere le donne che sono
sistematicamente discriminate, specialmente negli ambienti quasi esclusivamente
maschili come il nostro”.
A giudizio di Marilena Pozzi non esistono delle qualità in termini di
competenze collegate al genere. L’unico criterio praticamente ed eticamente
difendibile è il merito. Sono gli skill, le capacità, le motivazioni e, soprattutto, le
performance di una persona a doverne determinare le responsabilità, il livello
retributivo, il percorso di carriera, ecc. Qualsiasi altro criterio che punti, ad esempio,
a “salvaguardare” una minoranza di lavoratori, tenderebbe a provocare delle
distorsioni, incrementando le difficoltà di organizzazione e di gestione delle risorse
umane.
La seconda prospettiva si fonda invece su quello che è possibile definire come
il binomio merito-valorizzazione delle diversità: ossia sull’ipotesi dell’esistenza di
“competenze al femminile”, intese come orientamenti e capacità prettamente
collegabili all’essere donna.
Si fa riferimento, ad esempio, alla concretezza, alla capacità di ascolto, alla
capacità di problem solving e di gestione della complessità, all’orientamento ai
valori della relazione, ad una cultura della democrazia e della partecipazione,
allo sviluppo di senso di commitment nei collaboratori. Tali qualità (nella prima
prospettiva individuate quasi in senso negativo come “stereotipi politically correct”)
sono interpretati come competenze potenzialmente utili sia dal punto di vista dei
processi interni (della comunicazione ad esempio), sia nella dimensione esterna
nell’interazione con la società civile e con le istituzioni, nell’attenzione alla qualità
per consumatori o nella capacità di stabilire forme networking tra imprese (il
cosiddetto capitale sociale).
A parere della Sannino, le differenze nell’approccio al lavoro esistono di
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fatto. L’approccio al lavoro in una donna è generalmente più pratico, più concreto ed
essenziale, meno conservativo. Le donne sarebbero maggiormente capaci di gestire
la complessità e di farsi promotrici, interpretare ed implementare il cambiamento
organizzativo e l’innovazione tecnologica. Queste differenze - nell’opinione
richiamata - farebbero riferimento non solo o non tanto al genere in quanto tale, ma
sono legate al ruolo sociale delle donne.
In questa prospettiva, si può parlare di riconoscimento di “competenze al
femminile” che, nei ruoli manageriali dei trasporti, sarebbero particolarmente utili
nel gestire le relazioni sindacali. Proprio tali competenze, infatti, quella della capacità
femminile di gestione del conflitto, di comunicazione e, soprattutto, di negoziazione
(anche con in sindacati), sono state individuate, da molte delle nostre interlocutrici,
come caratteristiche tipicamente avvicinabili all’universo femminile. Competenze che,
appare forse scontato sottolinearlo, sono particolarmente rilevanti ed apprezzate,
nello specifico sistema di business in oggetto.
In linea con tale visione, è possibile schematizzare anche un decalogo di
fattori o qualità manageriali che le donne intervistate ritengono essere state molto
importanti nello sviluppo dei loro percorsi di carriera nel settore dei trasporti. Tali
fattori possono essere sintetizzati come di seguito:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Leadership partecipativa orientata alla relazione;
Capacità di ascolto e di comunicazione;
Capacità di gestione del conflitto e abilità negoziali;
Impegno ed identificazione nei confronti dell’organizzazione;
Senso di concretezza e praticità nelle decisioni;
Abilità e fermezza nell’affrontare situazioni critiche e/o urgenti;
Capacità di visione complessiva nelle analisi e nei processi decisionali;
Capacità di problem solving e di gestione della complessità;
Capacità di conciliare lavoro e famiglia;
Apertura e flessibilità nei confronti delle innovazione tecnologiche.
Al di là della polarizzazione tra pari opportunità e valorizzazione delle
differenze, sembra potersi affermare che la necessità e le opportunità legate al
reale superamento della segregazione di genere si scontri con un contesto che, pur
avvertendo e addirittura proclamando questa esigenza, fa ancora troppo poco per
sviluppare un cambiamento effettivo in questo senso.
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