Sentiero Beltrami
Testi e immagini dei 7 Tabelloni
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”
Negli anni Quaranta, la famiglia Beltrami possedeva, già da alcune
generazioni, una casa di vacanza in questa località. L'architetto
Filippo Maria Beltrami, "ël scior Filippo", come era chiamato in
zona, era conosciuto e stimato tra gli abitanti di Cireggio.
Nell’autunno 1942, in seguito a un disastroso bombardamento su
Milano, Beltrami decise di trasferire tutta la famiglia (la moglie
Giuliana e i figli) nella casa di Cireggio. Egli continuò invece a
prestare servizio nell’esercito a Milano tra le strade della città
devastata.
L'8 settembre 1943, la notizia dell'armistizio colse impreparate le
truppe del Regio Esercito, lasciando il Paese in balia
dell’occupazione nazista. L’architetto Beltrami riuscì fortunosamente
a fuggire dalla caserma di Baggio (MI), ormai circondata dalla truppe
tedesche e, dopo quattro giorni, raggiunse in bicicletta Cireggio.
«Anche sulla montagna di Omegna si era formato un gruppo di
“sbandati”, come allora si chiamavano, collegati con amici ed ex
commilitoni nascosti in città e nei dintorni». Decisi a combattere
l’occupante chiederanno a Beltrami di prendere il comando della
nascente formazione partigiana.
Gli uomini che costituivano quel primo nucleo di partigiani erano:
Peppino Beldì, Franco Rossari, Albino Calletti, i fratelli Donato e
Pasquale Ferrari, Pippo Coppo, Bruno Rutto, Eraldo Cassis, Dario
Cola, Amleto Boldini, Adolfo e Nadio Coudera (padre e figlio),
Giovanni Beltrami, Gino e Carlo Manini, Remo e Bruno Pulido,
Libero Cavestri, Antonio e Mario Zanone, Travaini, Rosolino
Brignoli, Sereno Bono, Lazzaro Lunati, Carlo Marigliano, Natale
Bacchetta, Aldo Bordes, Marino Burba, Mario Ubertini, Mario
Albertini, Bortolo Consoli, Pierino Lauti, Cristina, Vigna, Ferraris,
Vallaccia, a cui si aggiunsero uomini come Enrico Massara, Cesare
Bettini, il tenente Fausto.
Il 20 settembre 1943, la formazione guidata da Beltrami lasciava
Cireggio per le baite sopra Quarna, dando inizio alla lotta partigiana.
Neppure un anno più tardi, dopo la battaglia di Megolo, il 14 febbraio
1944, Cireggio accoglieva addolorata la salma del suo “Capitano”,
insieme a quella di Antonio Di Dio, per la celebrazione dei funerali.
Cireggio
Da sinistra, in senso orario: il
“Capitano” con l’ultimogenito
Michele, con la moglie Giuliana,
con Luca e Giovanna
Filippo Maria Beltrami nacque a Cireggio di Omegna il 14 luglio 1908.
Dal 1932, dopo la laurea, lavorò in qualità di architetto a Milano come
lo zio Luca Beltrami, senatore del Regno, noto per il restauro del
Castello Sforzesco.
Nel 1936, dopo nemmeno tre mesi di fidanzamento, sposò Giuliana
Gadola (nata a Milano nel 1915), da cui ebbe tre figli: Luca, Giovanna
e Michele.
I coniugi Beltrami ebbero, nella Milano borghese degli anni Trenta, una
vita ricca di contatti culturali e con esponenti del vecchio mondo
politico prefascista.
Nel maggio 1943 l’architetto fu richiamato alle armi nel 27° Artiglieria
di Milano e si distinse nei soccorsi prestati alle popolazioni bombardate.
Dopo l’8 settembre 1943 iniziò la lotta partigiana. La sua fama crebbe
oltre i confini del Cusio, di lui parlarono i quotidiani dell’epoca mentre
le autorità fasciste posero sulla sua testa una taglia di 100.000 lire
dell’epoca.
Il suo mito e la sua tragica fine nella battaglia di Megolo furono lo
stimolo per la nascita e la crescita di nuove e formidabili formazioni
partigiane. A lui fu intitolata la Divisione Alpina d’assalto “F. M.
Beltrami” guidata da Bruno Rutto.
L'abitato di Quarna si compone di due frazioni:
Quarna di Sopra e Quarna di Sotto. Una strada
le unisce con Cireggio e Omegna, mentre una
mulattiera scende verso Nonio lungo la strada
che porta in Valsesia. Diversi sentieri
permettono le comunicazioni con le vallate
circostanti, come la Val Strona e la Valsesia.
Da sinistra:
Pippo Coppo
e Albino
Calletti
il “Capitano
Bruno”
Sopra: Franco Rossari
A sinistra: Bruno Rutto con
Giuliana Gadola a Milano
nei giorni della liberazione
Quarna
Per via della posizione dominante il lago d’Orta e a pochi chilometri da Omegna,
Quarna divenne la prima naturale base dal “Capitano” Filippo Maria Beltrami
e dai suoi uomini dopo l'8 settembre 1943. Da questa località provenivano
anche alcuni dei ragazzi che costituirono il primo nucleo della formazione
partigiana.
Sulle montagne circostanti diversi alpeggi permisero di alloggiare la formazione
durante l’autunno e l’inverno del 1943. Già il 20 settembre, l'alpe Frera
divenne la sede del primo nucleo agli ordini di Beltrami, il cosiddetto gruppo
"Quarna".
Durante la notte del 28 ottobre 1943, un plotone della milizia fascista di
Gravellona Toce sferrò un attacco alla postazione partigiana. L’azione
fascista fallì, ma da quella notte le due abitazioni, in cui erano alloggiati i
partigiani, furono piantonate da squadre del gruppo per il timore di nuovi
attacchi e soprattutto prese corpo l’idea di spostarsi in una zona più sicura.
Il mese di permanenza a Quarna fu utilizzato prevalentemente per organizzare il
gruppo e recuperare gli armamenti. Ormai forte di quarantacinque uomini, la
formazione si spostò dall'alpe Frera all'alpe Camasca, in una situazione
relativamente più sicura.
Il 18 dicembre, a Buccione, avvenne un incidente con la formazione dei fratelli
Antonio e Alfredo Di Dio, stanziata a Massiola: l’auto su cui viaggiava il
Capitano fu scambiata per tedesca e colpita; vennero feriti Beltrami con la
moglie e morì il partigiano Franco Rossari. Beltrami, accompagnato da
Giuliana, fu costretto a tornare a Quarna, ospite in un albergo, per quattro
giorni. Durante tale periodo ricevette la visita di diversi esponenti
dell’antifascismo e della Resistenza e anche di alcuni emissari del fascismo
novarese. All'epoca, infatti, era in atto uno scontro interno delle diverse
componenti fasciste della Repubblica sociale italiana e l'ala moderata
contattò il “Capitano" per discutere dell'eventualità di creare una zona
neutrale nel Cusio al fine di legittimare agli occhi della gente la neonata
Repubblica.
Per tutta risposta, nei giorni successivi, tra il 23 e il 25 dicembre 1943, fu creata la
“brigata patrioti Valstrona", costituita da due compagnie, la "Quarna" e la
"Massiola”. Nonostante l’incidente del Buccione, il gruppo di Beltrami si fuse
infatti con quello dei fratelli Antonio e Alfredo Di Dio, intensificando la lotta.
Il 14 aprile 1944, approfittando
dell’assenza della Divisione Alpina
d’assalto “F. M. Beltrami” , milizie
nazifasciste raggiunsero l’alpeggio
bruciando 32 tra case e baite.
Alpe Camasca: le baite sedi del Comando
di Beltrami
Insurrezione di Villadossola
L’8 novembre 1943, dopo alcune
scorribande nazifasciste dei presidi di
Domodossola e Antronapiana, i
gruppi operai e i patrioti insorsero
liberando il paese. Il giorno
successivo però la città subì un
pesante attacco nazifascista condotto
con artiglieria pesante, carri armati e
aviazione. Tra il 10 e l’11 novembre i
nazifascisti rioccuparono la zona ed
effettuarono rastrellamenti da
Domodossola a Pallanzeno
catturando ed uccidendo decine di
patrioti. Le uccisioni proseguirono
per tutto il mese di novembre. Altri
insorti furono deportati in Germania,
altri ancora fucilati al Poligono di
Tiro di Novara.
Camasca
Sopra Quarna, il gruppo di baite di Camasca divenne il centro operativo della
formazione partigiana, attiva nel Cusio tra l’ottobre e il dicembre 1943 sotto la
guida di Filippo Maria Beltrami.
Dalle baite di Camasca, il gruppo crebbe di numero e continuò a operare in zona: a
Pettenasco, a Gargallo, a Lagna, a San Maurizio d'Opaglio, a Cesara, a Pella e in
altre località del Cusio con azioni audaci volte al recupero di armi, viveri, vestiario.
L'11 novembre del 1943 una squadra al comando del tenente Bruno Rutto, attaccò il
presidio di Gravellona Toce, mentre circa sessanta uomini, al comando del
“Capitano” si spostavano verso Ornavasso in appoggio all'insurrezione di
Villadossola.
Nel frattempo tra le formazioni operanti nella zona Valsesia, Cusio, Ossola, Verbano si
strinsero accordi ed alleanze operative; così il 30 novembre 1943 il gruppo
“Quarna” guidato dal “Capitano” Beltrami, insieme con le formazioni della Valsesia
al comando di Eraldo Gastone “Ciro” e del commissario “Cino” Moscatelli, occupò
la città di Omegna, distruggendo la sede del locale fascio repubblicano. L'azione si
svolse tra la folla festante e praticamente senza necessità di scontro armato.
Soltanto nel pomeriggio, quando ormai le forze partigiane si erano già ritirate, la
milizia di Omegna rientrò in città sparando a casaccio ed uccidendo un bambino,
Luciano Masciadri. Il funerale del piccolo divenne occasione per rinsaldare il forte
legame tra la popolazione e "quelli della montagna". Il 3 dicembre più di cinquemila
persone (compresi i partigiani che girarono indisturbati) parteciparono alle esequie
mentre le truppe fasciste rimasero rintanate in caserma.
Per tutto il dicembre 1943 gli uomini di Beltrami, partendo dagli alpeggi di Camasca,
insidiarono il controllo del Cusio alle forze della Repubblica sociale italiana.
Il 23 dicembre 1943, il gruppo “Quarna” fu obbligato a trasferirsi dall'alpe Camasca a
Campello Monti, in Valle Strona, in seguito alla minaccia dei tedeschi di
bombardare per rappresaglia l’abitato di Quarna.
Strona
Con un decreto del 22 dicembre 1922 tutti i
Comuni della Valstrona (Fornero, Forno,
Germagno, Loreglia, Luzzogno, Massiola e
Sambughetto) furono soppressi e si costituì il
"Comune di Valstrona", con sede a Strona, così
chiamata dal nome del torrente che percorre la
valle. Nel 1929 fu aggregato anche Campello
Monti. Solo nel secondo dopoguerra, furono
ricostituiti tre Comuni autonomi: Germagno,
Loreglia con Chesio, e Massiola.
Il 22 dicembre 1943
l’intera formazione di
Beltrami si trasferì e
occupò la valle. Tra il 23 e
il 25 dicembre avvenne la
fusione delle due
formazioni nella "Brigata
Patrioti Valstrona",
costituita da due
compagnie, la "Quarna" e
la "Massiola". A causa
della costituzione di un
forte presidio germanico a
Omegna, la Brigata di
Beltrami fu costretta ad
abbandonare anche la
Valstrona alla fine di
gennaio 1944.
Forno
Il 9 maggio 1944 reparti della Legione
Tagliamento, guidate da spie locali, oltrepassando
la Bocchetta di Campello Monti, giunsero a Forno
catturando e uccidendo i patrioti feriti e il
personale medico presente nell’ospedale
garibaldino.
Antonio Di Dio
Sottotenente del 114°
Reggimento Fanteria
Palermo 17-03-1922
Megolo 13-02-1944
Medaglia d'Oro al V.M.
alla memoria
Chesio
A Chesio, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1944
una Compagnia della Tagliamento proveniente da
Omegna, guidata da una spia locale, catturò,
torturò e uccise sei partigiani della Divisione
Alpina d’assalto “F. M. Beltrami”.
In Valle Strona, a Massiola,
nacque la formazione dei fratelli
Di Dio. Dopo l’8 settembre
1943, Carletto Leonardi,
antifascista novarese, guidò
Alfredo e Antonio Di Dio da
Cavaglio d’Agogna verso la
Valstrona, fermandosi dapprima
ad Inuggio e successivamente a
Massiola. In quest’ultima
località i fratelli Di Dio
stabilirono la loro base d’azione,
da cui iniziarono ad operare
fondando il nucleo partigiano
denominato “Compagnia
Massiola”.
Alfredo Di Dio “Marco”
Sottotenente del 1°
Reggimento Carristi di
Vercelli
Palermo 4-07-1920 - Sasso di
Finero 12-10-1944
Medaglia d'Oro al Valor
Militare alla memoria
Dopo i tragici fatti di Megolo (13 febbraio 1944) in cui
morirono il "Capitano" Beltrami e undici suoi partigiani, la
Valstrona divenne la base della Divisione Alpina d’assalto
“Filippo Maria Beltrami”, fondata da Bruno Rutto e strutturata
su tre brigate: la “Quarna”, la “Omegna” e la “Megolo”. Ad
esse si aggiunsero in seguito la “Volante Dom” e una squadra di
rifornimenti. La formazione rimase sempre, per volere di Rutto,
apartitica e solo per breve tempo fu rappresentata nel CLN dal
partito socialista.
Durante l’esperienza della Repubblica partigiana dell'Ossola
(10 settembre – 19 ottobre 1944), gli uomini di Bruno Rutto,
scesi dalla Valstrona, tentarono in quei giorni di prendere anche
Gravellona Toce, senza però riuscirci. Alla caduta della
Repubblica partigiana la “Divisione Beltrami” riuscì a
conservare le sue forze tornando a stanziarsi sempre tra la
Valstrona, Quarna e Casale Corte Cerro.
Nell’aprile 1945 fu protagonista della liberazione di Omegna e
contribuì a liberare Milano.
Medaglia d’Argento alla Valstrona
Il Cusio, con la sua Valle Strona e il suo
capoluogo Omegna, è stato definito “culla
della Resistenza”. Nel 1995 la Valle è stata
insignita della Medaglia d’Argento al V.M.
dal Presidente della Repubblica, Oscar
Luigi Scalfaro. Il prezzo pagato per la
libertà è stato altissimo. Di seguito alcuni
degli eccidi nazifascisti compiuti nella
zona:
Forno 9-05-1944
Chesio 9-05-1944
Strona 27-06-1944
Sambughetto 3-08-1944
Alpe Grandi 6-08-1944
Omegna 26-11-1944
Cesara 25-02-1945
Otra di Forno 25-03-1945
S. Anna di Omegna 6-04-1945
Alpe Cardello 12-04-1945
9 caduti
6 caduti
6 caduti
1 caduto
6 caduti
3 caduti
4 caduti
2 caduti
1 caduto
3 caduti
Alberto Li Gobbi, il
“Capitano
Mascherato”
Bologna 10-06-1914
Medaglia d'oro al
V.M.
Tre Croci al Merito
di Guerra
Legione al Merito
USA.
Campello
Monti
Una strada da Omegna conduceva fino a Campello (1323 metri s.l.m..), salendo per una ventina di
chilometri lungo la Valstrona. Una mulattiera, passando per la bocchetta di Rimella, collegava
Campello con la Valsesia. Una posizione così strategica fu la scelta più logica per il “Capitano” Filippo
Maria Beltrami, dopo che era stato costretto ad abbandonare con i suoi uomini gli alpeggi sopra
Quarna, tra il 22 e il 23 dicembre 1943, dietro la pressione delle puntate nazifasciste. Una valle stretta,
con un’unica strada d’accesso, facilmente controllabile, sembrava il luogo migliore per costituire la
nuova base per la formazione partigiana.
Il "Capitano" Beltrami pose quindi il comando della “Brigata Patrioti Valstrona” a Campello Monti
dove, il 3 gennaio 1944, salirono i componenti del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale per
stabilire nuovi rapporti di collaborazione.
Nella località di Forno fu posto un distaccamento agli ordini di Bruno Rutto. A Chesio e Strona, a
controllare l’unica strada d’accesso, furono posizionate vedette armate e collegate col comando tramite
staffette. Il capitano Alberto Li Gobbi mise a punto un piano di difesa che prevedeva il posizionamento
di mine presso i ponti che conducevano a Fornero.
Da queste postazioni nell’alta valle la formazione continuò ad agire nella zone del Cusio ed oltre; tra il
16 ed il 18 gennaio un centinaio di uomini guidati dal “Capitano Mascherato” (Alberto Li Gobbi)
vennero inviati in Valsesia in aiuto alla formazione di "Cino" Moscatelli.
La Valstrona, che sembrava inattaccabile, risultava però inadatta ad ospitare il crescente numero di
giovani che andavano unendosi alla formazione: quasi 300 nel gennaio 1944. Così fu abbandonata dopo
il primo assalto delle truppe tedesche proprio alla fine del mese. Il trasferimento risultò, in pieno
inverno un’operazione complessa e difficile, che in parte disgregò la formazione.
Già il 22 gennaio il tenente Cesare Bettini, accampato coi suoi uomini sopra Campello Monti, ricevette
l’ordine di dirigersi verso la Valle del Toce insieme ad alcuni ex-prigionieri inglesi e a una famiglia
ebrea. La zona di Campello Monti era infatti divenuta nel frattempo luogo di rifugio non solo di
renitenti e aspiranti partigiani, ma di persone in pericolo.
Sotto la pressione delle truppe nazifasciste, meglio armate ed equipaggiate, le formazioni partigiane di
guardia all’ingresso della valle dovettero abbandonate le postazioni, senza riuscire a far brillare alcuna
mina. Tra il 28 ed il 30 gennaio ’44, tutti i gruppi della “Brigata Patrioti Valstrona” agli ordini di
Beltrami lasciarono così la Valstrona per dirigersi verso Pieve Vergonte e l’Ossola.
Megolo
Nel piccolo cimitero di Megolo sono sepolti
Gaspare Pajetta e lo studente Aldo Carletti, che
con lui, da Torino, s’era arruolato nella Brigata
Patrioti Valstrona e gli era morto al fianco,
quella mattina, poco dopo le otto. Qui hanno
voluto essere interrati anche i genitori di
Gaspare Pajetta e anche il fratello più grande,
Giancarlo, noto esponente politico nell’Italia del
dopoguerra.
Filastrocca scritta dal “Capitano”
Filippo Maria Beltrami a Megolo
Non tutti gli uomini dei circa trecento che costituivano la formazione partigiana “brigata patrioti Valstrona” al comando del
“Capitano” Filippo Maria Beltrami, giunsero a Megolo, frazione di Pieve Vergonte alla fine del gennaio 1944.
La traversata invernale verso la valle del Toce, seguita all’abbandono della Valstrona e di Campello Monti sotto la pressione degli
attacchi nazifascisti, fu molto faticosa: una sessantina di uomini non resse e depose le armi; un gruppo sbagliò sentiero; alcuni
abbandonarono la formazione durante il tragitto. A Megolo, col “Capitano”, giunse soltanto una cinquantina di uomini.
Il Capitano aveva stabilito il punto d’incontro all’Osteria del Ramo della famiglia Giavina, che fu oltremodo ospitale e generosa.
Nelle due settimane in cui si fermò a Megolo, Beltrami attese i diversi gruppi per ricostituire la formazione, allontanandosi soltanto
per effettuare alcune puntate e un attacco alla caserma di Vogogna.
Il 13 febbraio a Megolo ci fu lo scontro decisivo contro le truppe nazifasciste. Quella battaglia segnò l’apice e contemporaneamente
la fine della “Brigata Patrioti Valstrona”.
Caddero combattendo Antibo Carlo, Beltrami Filippo Maria, Bressani Bassano Giovanni, Carletti Aldo, Citterio Giovanni, Clavena
Angelo, Creola Bartolomeo, Di Dio Antonio, Gorla Emilio, Marino Paolo, Pajetta Gaspare e Toninelli Elio.
Cortavolo
Il “Capitano” Filippo Maria
Beltrami, il “Signore dei
Ribelli”
Erano le 6.30 del 13 febbraio 1944. Alcuni reparti di SS tedesche (una forza
di 250 uomini ben armati), appoggiati da una compagnia della Guardia
Nazionale Repubblicana e coperti dalla fitta nebbia delle prime ore del
mattino, dopo aver nascosto gli automezzi in un avvallamento a qualche
centinaio di metri da Megolo, invasero la piccola frazione del comune di
Pieve Vergonte.
Alle 10, dai Presidi dell’Ossola, giunsero rinforzi alle truppe della Guardia
Nazionale Repubblicana e delle SS.
Dopo quattro ore di combattimento accanito, terminate ormai le munizioni,
senza la guida del loro "Capitano", i partigiani superstiti furono costretti a
ripiegare e disperdersi fra le rocce e nella boscaglia, cercando poi di
raggiungere gli altri distaccamenti. Alcuni di loro giunsero fino a Rimella in
Valsesia.
Schizzo della battaglia opera di Gino Vermicelli
«La mattina del 13 febbraio mi svegliai verso le sei. Fino a quell'ora tutto appariva tranquillo. Verso le sette un partigiano andò a lavarsi alla cascata, che si trova più indietro e più in alto
e da dove si vede bene il paese. Tornò subito ansimante, stravolto, gridando: “ Ci sono i tedeschi, ci sono i tedeschi, stanno bruciando il paese!».
L'allarme fu dato immediatamente, e in pochi minuti la formazione fu sul piede di guerra; Il cap. Beltrami cominciava a dare disposizioni per la battaglia.
La mitragliatrice pesante fu piazzata in centro, in una postazione da dove poteva molto bene battere la valle, la stradetta e il paese. Un plotone di una quindicina di uomini fu mandato
sul lato sinistro, un altro sul lato destro, e il resto sparpagliato in modo da poter battere i vari sentieri. La battaglia era incominciata, e, credo, ognuno dei superstiti può raccontarne
solamente la parte che ha vissuto. Io ricordo che mi trovavo vicino al comando in attesa di ordini quando giunse un ragazzo con un fucile mitragliatore Breda, e si lamentava di non avere
potuto rintracciare il suo porta-munizioni.
Partii dunque con lui, con la cassetta dei caricatori in spalla. La postazione abituale di quell'arma era ad una ventina di metri sotto le baite, in un piccolo ripiano protetto da alcuni
macigni. Sparammo subito alcune raffiche, alle quali il nemico rispose con un violento fuoco di mitraglia, e subito dopo con un tiro. abbastanza preciso di cannoncino e di mortaio.
Nel frattempo i tedeschi e i fascisti avevano iniziato la scalata. Da dove ero, vedevo i tedeschi che sostenevano l'attacco al centro del nostro schieramento. Erano dislocati a pochi metri
l'uno dall'altro e si nascondevano accuratamente dal nostro tiro, uscendo dai loro ripari solo per fare qualche balzo rapido in avanti e poi nascondersi nuovamente. Sotto, mitragliatrici,
mitragliere, cannoncini e mortai sostenevano l'attacco con un fuoco d'inferno, diretto soprattutto contro le nostre postazioni di armi automatiche.
Vidi morire anche il capitano Beltrami.
Sparammo così, con molte difficoltà, alcuni caricatori. Mi ricordo nettamente come un camion preso di mira da noi, crivellato di colpi, abbia continuato, sbandando un poco, la sua
strada per rifugiarsi dietro ad una casa, nel paese. Ad un certo punto, come succede sovente e con il mitragliatore breda, l'arma s'inceppò. La situazione era preoccupante. Eravamo lì,
ventre a terra, mentre a pochi centimetri da noi fischiavano le pallottole, e la via della ritirata era sicuramente battuta dal fuoco nemico. Tentammo comunque di ricongiungerci con
gli altri, e in quell'occasione imparai a strisciare col naso a terra. In alcuni minuti arrivai in un pianoro più vasto, dove vi erano alcuni castani ed alcuni grossi macigni. Lì vi erano Beltrami,
Redi, Antonio Di Dio e Pajetta. A mia volta 'mi piazzai dietro un grosso castano, alla sinistra degli altri, un metro più in alto forse. Dopo pochi minuti sentiamo la voce del mio
mitragliere che ancora prima di spuntar fuori, ci chiama. Era lui infatti, che con maggiori difficoltà di me, avendo seguito un altro itinerario, era giunto in salvo. Ma aveva dovuto
abbandonare l'arma; e il Capitano lo rinviò a prenderla. Dopo qualche secondo, in mezzo alle raffiche continue, udimmo un lamento, così morì, per primo, il mitragliere che avevo
conosciuto forse un'ora prima.
Sulla nostra destra si era appostato Gianni, il nostro compagno studente. Me ne accorsi quando mi sentii chiamare per nome e lanciare alcuni frizzi.
Ma poco dopo anche da quella parte venne un lamento: « Ai! Aiii! » « Ritirati, Ritirati! » grida il capitano. Sentiamo come muoversi e poi « Haan Haaan! » Ed è finita. Anche Gianni è
morto…»
La Lotta – Anno 5
11 febbraio 1953
Vermicelli Gino