Anno VI
Numero 54
giugno 2009
ARIA DI FESTIVAL
L’età si specchia nel fango, se è terra quello che
cerca, accende i fuochi se non ha parole per spiegare la rabbia, sceglie il silenzio se è la pace quello che cerca.
E a lei le canzoni si accompagnano, seguono le
generazioni, le stagioni di una vita, quelle di un
pianeta. Sentire il tempo, tradurlo è quello che
da sempre fa la musica. Ci sono tanti modi per
leggere la musica. Alcuni inforcano occhiali e la
pesano per qualità e spessore, altri la incasellano nelle date, altri nei generi.
C’è poi chi vede nella musica una risposta alle
domande che la gente fa, alle emozioni che la
gente sente.
Così il volume diventa un misuratore di collera,
la velocità un indicatore della frenesia, il rumore
la reazione alla mancanza di armonia nelle nostre vite. È su questa strada che i festival diventano rappresentazione dei nostri cambiamenti,
del nostro modo di stare insieme. Sono questi
enormi esperimenti di socialità che esprimono
quello che massa, o nicchia che sia, sono e vogliono.
Senza azzardare inutili sofismi i festival musicali e non, hanno un’importanza che travalica di
gran lunga la loro funzione spettacolare. E per
questo ancora una volta inauguriamo l’estate
con un numero dedicato alla lunga stagione di
appuntamenti che ci aspetta, in Puglia, in Italia
e in Europa. Come ogni anno ve ne abbiamo segnalati alcuni tra i più significativi e come ogni
volta abbiamo provato a ragionare sul fenomeno
dei grandi raduni estivi. Lo abbiamo fatto approfittando del quarantesimo compleanno di Woodstock, attraverso le parole del direttore artistico
del Primavera Sound Festival, ma anche con le
parole di chi nel ‘75 al parco Lambro c’era.
Il festival non è solo musica ma anche letteratura e teatro. Sfogliando le nostre pagine troverete
un’utile guida agli appuntamenti più interessanti dello Stivale.
Il cinema va un po’ in ferie e si affida alle arene che in tutta Italia abbattono i muri delle sale
e fanno vedere il cielo alle “stelle” del grande
schermo.
Ancora, come sempre, interviste ai protagonisti
dei festival di questa estate (Peter Bjorn and
John e Scott Matthews), a uno degli scrittori
simbolo del giallo in Italia (Loriano Machiavelli)
e a colui che ha coniato il termine Mostro di Firenze (Mario Spezi).
Infine la nostra sezione dedicata al teatro con i
report dal Maggio all’infanzia e K-now e i nostri
consigli per trascorrere le notti di questa nuova
e, speriamo per voi, lunga estate di vacanza.
Buona lettura.
Osvaldo Piliego
Editoriale 3
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Anno 6 Numero 54
giugno 2009
Iscritto al registro della
stampa del tribunale di Lecce
il 15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
C. Michele Pierri, Cesare
Liaci, Antonietta Rosato, Dario
Goffredo
Hanno collaborato a questo
numero: Dino Amenduni,
Ennio Ciotta, Marco Chiffi,
Vittorio Amodio, Tobia
D’Onofrio, Alfonso Fanizza,
Rino De Cesare, Camillo
Fasulo, Stefania Ricchiuto,
Giorgia Salicandro, Giusi
Ricciato, Francesco Spadafora,
Francesca Maruccia, Luisa
Ruggio, Francesco Farina,
Gennaro Azzolini, Elisabetta
Lapadula
In copertina: Flaming Lips
Ringraziamo Manifatture
Knos, Cooperativa Paz
di Lecce e le redazioni di
Blackmailmag.com, Radio
Popolare Salento di Taranto
e Lecce, Controradio di Bari,
Mondoradio di Tricase (Le),
Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
quiSalento, Lecceprima,
Salento WebTv, Musicaround.
net.
aria di festival
C’era una volta Woodstock 6
Un’estate di festival 12
Locomotive Conversation 18
Progetto grafico
erik chilly
Impaginazione
dario
Stampa
Poligrafica Rosato - Lecce
Chiuso in redazione il giorno
dello scrutinio elettorale dopo
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musica
Scott Mathews 22
Silvia’s magic hands 25
Recensioni 28
Libri
Loriano Macchiavelli 42
Mario Spezi 44
Recensioni 47
Cinema Teatro Arte
K-Now 52
Maggio all’infanzia 54
Recensioni 57
Eventi
Calendario 59
sommario 5
C’ERA UNA VOLTA
WOODSTOCK
Uno dei più grandi misteri di Woodstock riguarda la nascita, durante i giorni del festival,
di una bambina. Ci sono prove e testimonianze
attendibili sul fatto che una donna abbia effettivamente partorito presso il Motel “El Monaco”
ma nessuno è riuscito mai ad identificare madre
e/o figlia. Nemmeno un’inchiesta del magazine
LIFE nel 1989 portò risultati. Secondo alcuni la
bambina ha un nome: Isabella Jo. Ma secondo la
maggior parte dei curiosi l’identità della “bambina di Woodstock” è ancora avvolta nel mistero.
La bambina quindi oggi avrebbe 40 anni, una
donna adulta. Magari ha dei figli, magari ha la
passione della musica, magari c’era anche lei nel
‘94 in occasione dei 25 anni del festival. Una vita
intera di una persona segnata dal più grande
evento musicale della storia. Certo quei giorni
di agosto del 1969 ne hanno cambiate parecchie
di vite. Woodstock ha segnato un’epoca, una generazione. Nel 1969 oltre al festival ci trovi lo
spirito hippie, Los Angeles, le droghe e i viaggi.
E la musica. Nelle foto e nei video dell’epoca si
vedono uomini e donne di ogni età ondeggiare
leggeri accompagnati da una musica in testa o
suonata da qualcuno su un palco. Leggerezza la
parola d’ordine. I viaggi con gli acidi erano lenti e surreali, quasi come navigare con una barchetta nell’oceano e farsi cullare dal mare. Così
la musica durante il festival (e in generale in
quegli anni di psichedelia) era melodica, lenta,
invadente come un vento estatico. Doveva diven6
ARIA DI FESTIVAL
tare la colonna sonora, il tappetone, dei viaggi
del pubblico. Non era, come qualcuno è portato
a credere, un festival dove la gente si drogava
e i musicisti suonavano senza alcun rapporto. Il rapporto c’era e da quel palco arrivava la
quintessenza del suonare per qualcuno, per un
pubblico. I musicisti vestiti da Caronte capelloni accompagnavano i danteschi hippie nella loro
traversata di un fiume in acido. Dell’edizione del
’69 rimarrà tutto, dalla chitarra di Jimi Hendrix,
agli appelli di pace, alla straordinaria affluenza.
Con gli anni però qualcosa cambia. I capelli si
accorciano e compaiono le t-shirt e nascono altri
generi musicali. Tutto si evolve. Nel 1994 Woodstock festeggia i 25 anni. Un appuntamento
particolare perché solitamente il festival viene
organizzato con una cadenza decennale, ma i 25
anni sono i 25 anni. L’headliner è Peter Gabriel
ma la performance che rimarrà di più di questa
edizione del festival sarà quella dei Green Day.
Odiati dai fondamentalisti del punk, amati dai
ragazzotti che iniziavano ad accrescere la popolarità di Mtv. Durante un acquazzone che allaga
il luogo del concerto, mentre i Green Day erano
sul palco, si scatena una vera e propria “guerra
di fango” tra il pubblico e la band (tant’è che questa edizione verrà ricordata come “Mudstock”).
Oltre a qualche esibizione di artisti che c’erano
anche nel ’69 (Santana quanto Crosby, Stills &
Nash), molte sono le band che solo negli ultimi
anni hanno raggiunto il successo. Metallica, Ae-
rosmith, Nine Inch Nails (nella foto). Senza dimenticare l’esplosione del grunge di quegli anni
con Kurt Cobain che solo qualche mese prima
decide di suicidarsi. Insomma, cambia la musica
perché cambia la gente. Iniziano ad essere tutti
un po’ incazzati e gli amplificatori diventano più
potenti. Compare qualche sponsor. La generazione del Flower Power diventa la generazione
X, senza identità e senza valori. Passano cinque
anni. Nel 1999 il festival riprende la sua cadenza decennale. Per la prima volta viene trasmesso
in pay-per-view da Mtv che intanto è diventato
un colosso mondiale. Decine di telecamere e microfoni e cavi avvolgono il palco. Il tutto verrà
anche registrato per essere pubblicato in Dvd.
Cinquecento agenti della polizia di New York
sono schierati per ogni evenienza. Dal palco agli
stand delle bibite è tutta un’esplosione di sponsor e marche e marchette. Chi non si è portato
da casa qualcosa da mangiare può pagare anche
12 dollari per un pezzo di pizza. Il business ha
intaccato il festival. Tra i nomi degli artisti figurano Limp Bizkit, Rage Against The Machine,
The Offspring, Megadeth. I ritmi si fanno più
veloci, i volumi sempre più alti. Durante l’esibizione dei Red Hot Chili Peppers del pezzo Under
the Bridge, vengono alzate al cielo centinaia di
candele che erano state distribuite dal gruppo
Pax, un’associazione indipendente che promuoveva la pace. Ma qualcosa va storto. La folla
inizia a bruciare le candele e poi ad appiccare
dei piccoli incendi. In pochi minuti è il caos. Per
alimentare il fuoco viene distrutto e incendiato
qualunque oggetto a portata di mano, dalle bottigliette vuote di plastica ai pannelli dei cartelloni
pubblicitari. Una torretta audio al centro della
folla prende fuoco. La polizia forma dei cordoni
per fermare le violenze e il saccheggio. Anthony
Kiedis dei RHCP raccontò che tutto quel delirio
visto dal palco ricordava una scena di Apocalypse
Now. Woodstock non è solo un festival musicale. La sua storia quarantennale ne fa uno specchio della società proprio perché ha dei margini
di confronto tra le varie edizioni che solo pochi
eventi hanno. Questo festival che evoca capelloni strafatti e psichedelia ha camminato su tutti
i generi musicali raccogliendo i migliori artisti
in circolazione come nessuno mai si è sognato di
fare; ha fatto incontrare persone, suoni ed esperienze cambiando la vita di molti (anche della
leggendaria bambina); ha visto la pace e ha visto
la guerra, la degenerazione di una società stressata e senza piacere; ha incontrato il music business e ha capito che era più forte dei suoi valori;
ha lottato, denunciato e protestato; ha avuto una
voce: la voce di una bambina, di una donna, di
un popolo intero che non s’è mai fermato solo alla
musica ma ha cercato ovunque l’aggregazione, il
sentirsi gruppo, magari sotto ad un palco.
Marco ‘Marvin’ Chiffi
ARIA DI FESTIVAL 7
PRIMAVERA SOUND
Il Primavera Sound Festival, nato nel 2001 a
Barcellona come festival di musica elettronica,
è diventato nel corso degli anni uno dei più
importanti festival in Europa di musica indie e
di avanguardia.
Il festival deve il suo nome al periodo in cui cade,
la (fine della) primavera e la sua filosofia è quella
di coniugare le nuove tendenze della musica
indie e d’avanguardia con i grandi classici che
hanno ancora tanto da dire. Per questo sul
palco si alternano nomi storici e nuove stelle
del firmamento rock mondiale. Quest’anno si
sono esibiti nomi come Neil Young, My Bloody
Valentine, Sonic Youth, Aphex Twin, Bloc Party,
Yo La Tengo, Spiritualized, Michael Nyman,
Phoenix, Shellac, The Horrors, Alela Diane, Bat
For Lashes, Zu, Crystal Antlers, Tim Burgess
(The Charlatans). Insomma decisamente un
ottimo modo per iniziare la stagione dei festival
europei.
Abbiamo intervistato per i lettori di Coolclub.it il
direttore artistico del festival.
Spesso i nomi storici dell’indie si alternano
negli anni come headliners di festival come
il PS (penso a band come Sonic Youth, Dinosaur Jr, Blonde Redhead, Spiritualized,
etc...) rimanendo ospiti praticamente fissi.
Cosa attira maggiormente il vostro pubblico, gli headliner o la varietà dei gruppi
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ARIA DI FESTIVAL
indie minori? E poi, manca un ricambio di
nuovi grandi classici dell’indie rock? Le
nuove band hanno più difficoltà a mantenere il loro successo rispetto a quelle del
passato?
Quello che attrae maggiormente il nostro pubblico regolare, la gente che si presenta puntualmente ogni anno, è di certo la grande varietà di
band nuove o di culto, ma ovviamente necessitiamo di qualche big band in modo da attrarre
un pubblico più ampio e generico. Il problema
è che ora le band più popolari nell’ambito indie
non raggiungono mai quello stesso livello di popolarità che era possibile invece per le band degli
anni ’80 e ’90, perché l’industria discografica e i
metodi con cui la gente compra e ascolta la musica sono molto cambiati da allora.
Il vostro festival si occupa principalmente
di musica di bianchi per un pubblico bianco. Tuttavia sembra ci sia un tentativo di
aprirsi a espressioni musicali nere, sopratutto hip hop (penso a Dizzie Rascal, Public
Enemy, De la Soul): è dovuto a un tentativo
di ricongiungere generi e culture diverse?
Per la verità noi non distinguiamo la musica o il
pubblico per bianco o nero. Noi semplicemente
selezioniamo la musica che ci piace per il festival, e poiché noi tutti siamo cresciuti ascoltando
la musica dei gruppi degli anni ’80 e ’90, la line-
up del festival è appunto il riflesso di questo. Noi
tutti d’altra parte ascoltavamo anche l’hip-hop e
abbiamo gestito un club nel quale abbiamo ospitato grandi dj di Detroit. Inoltre ci sono sempre
stati artisti neri al festival. Il motivo per cui non
ce ne sono mai molti è invece la difficoltà con
cui si riescono a fissare i concerti hip-hop. Non
so perché ma ci è capitato di doverli cancellare
spesso. Poi c’è il fatto che i loro cachet sono molto
alti, almeno quelli dei più noti.
Credo che la condizione di base affinché festival come il PS possano nascere e crescere sia un favorevole clima di cooperazione
e di unione di intenti tra gli addetti del settore. Qual è il vostro rapporto con gli altri
festival, etichette, artisti e promoter della
città e della Spagna? C’è un clima di dura
concorrenza o di collaborazione?
Abbiamo in effetti un’ottima relazione con gli
artisti e le etichette indipendenti di tutto il paese, ma, come potrai capire, non tanto con gli
altri festival, perché la competizione è sempre
molto forte. Comunque noi collaboriamo con
molti piccoli festival con i quali ci sentiamo più
vicini, come il Faaday o il Tanned Tin, perché
scelgono più o meno lo stesso genere di artisti
che apprezziamo. Inoltre collaboriamo anche con
festival stranieri, come All Tomorrow’s Parties
and Pitchfork.
molti musicisti indie-rock italiani. Qual è
la situazione in Spagna, e in particolare a
Barcellona?
Beh, credo che stia accadendo lo stesso in Spagna e in molti altri paesi. Dal mio punto di vista
non c’è problema se c’è gente che si avvicina alla
musica attraverso la moda o band modaiole. Si
tratta per lo più di gente giovane, che così inizia
ad ascoltare la musica e poi con il tempo si rende conto che c’è un’altra musica, più ricercata, o
d’avanguardia. Quindi ogni modo che permetta
di avvicinarsi alla musica indipendente mi va
più che bene.
L’aver individuato uno stile di moda proprio dell’indie ha favorito questo allargamento di target? C’è il pericolo che i festival indie si trasformino in un manifestazioni turistico-commerciali (come mi sembra
stia succedendo al Fib di Benicassim)?
Ogni grande movimento musicale ha coinvolto in
qualche modo la moda, non vedo in ciò nulla di
male, ma nel nostro caso non penso che questo ci
si ritorcerà contro divorandoci. Il nostro è per lo
più un festival molto specializzato, e non credo
che nessuno interessato solo all’aspetto modaiolo
sia disposto a pagare un biglietto per un festival
senza conoscere nessuna delle band ospitate.
Ciò che distingue, a mio parere, il pubblico indie da quello di massa è una maggiore
curiosità culturale. Avete mai pensato di
integrare alla parte musicale altri settori
artistici durante il festival?
Abbiamo fatto cose del genere in passato (esposizione d’arte, proiezioni, ecc…), e anche quest’anno proietteremo alcuni film, ma preferiamo concentrarci più sulla parte musicale del festival, e
poiché ci sono così tanti concerti e ore di musica,
non c’è modo per la gente di frequentare anche
altri eventi.
Credi che ormai anche la musica indie sia
stata fagocitata, almeno come concetto e
come estetica, dal mercato di massa?
Forse a tutti noi che lavoriamo nell’ambito musicale o che siamo dei consumatori massicci di
musica può sembrare che a poco a poco tutto stia
diventando più commerciale, ma io non credo
che le cose stiano realmente così. Siamo ancora
ben lontani da questo, il pubblico di massa non
sa niente della musica che ci piace. Forse la distanza è minore negli USA ma in Europa c’è ancora una spaccatura netta tra l’indipendente e il
mainstream.
In Italia, oggi più che in passato, il pubblico indie si sta fratturando in una fazione di
giovani (diciamo fino a 30 anni) che stanno
subendo maggiormente il fascino dell’indie
così come è interpretato e venduto oggi, ossia più legato al mondo della moda e dello
spettacolo che a quello della cultura (come
in Inghilterra insomma) e in una fazione
di “vecchi” (over 30) che intendono ancora l’indie come musica pop ma ricercata,
nuova, alternativa, nel senso di autonoma,
realmente indipendente. Lo stesso vale per
In definitiva: quanto credi sia ancora indipendente il mondo della musica indipendente?
Vedi, io penso che in realtà noi stiamo ritornando a quello che “indie” significava alla fine degli
anni ‘80. Le grandi compagnie oggi sono in crisi
e non hanno alcun interesse nelle piccole band.
Anche le grandi etichette indie sono nei guai,
così tutto sta tornando alle piccole etichette e al
DIY. Penso che oggi siamo ben più indipendenti
che non dieci anni fa.
Gennaro Azzolini
ARIA DI FESTIVAL 9
PETER BJORN
AND JOHN
La strana coppia
Vengono dalla Svezia, saranno ospiti in molti dei
festival europei in giro per l’Europa. Sono amici
da quando sono ragazzi, uniti dalla passione per
l’indie e non si prendono mai troppo sul serio.
Tra modernità e amore per il bel pop di un tempo
la loro musica è un mix di tante cose, il risultato?
Canzoni bellissime.
Il vostro pop elettro-acustico ha finalmente trovato il successo mondiale con Young
Folks. In realtà avete inciso cinque album e
suonate insieme da dieci anni. Come è cambiata la vostra vita dopo il singolo che vi ha
resi famosi?
Siamo in grado di produrre musica a tempo
pieno, ormai, e questo non ha generato solo un
grande cambiamento, ma anche una sensazione
di libertà e una fonte di ispirazione che ti spinge
a comporre musica continuamente.
Per quanto le vostre melodie abbiano il
sapore degli anni 60, It Don’t Move Me
tradisce chiaramente il vostro amore per
i suoni anni ‘80. Ad esempio Young Marble Giants e Talk Talk sembrano grosse
influenze, e il pezzo Just The Past fa molto Depeche Mode.
È vero che in tutti i nostri dischi le melodie si
assomigliano e hanno probabilmente un sapore anni ‘60, ma abbiamo sempre cercato di ristrutturare le ambientazioni dei pezzi, evitando
di ripetere il modo in cui li arrangiamo e produciamo. E certamente su Living Thing abbiamo
ripreso diverse delle sonorità che ascoltavamo
alla radio a metà anni ‘80, da ragazzini; la pro10 ARIA DI FESTIVAL
duzione smaltata con tanto riverbero e i sintetizzatori. Provammo a suonare It Don’t Move Me
quando uscì Writer’s Block, ma all’epoca sembrava un vecchio pezzo dei Kinks. Stavolta abbiamo
ascoltato Master and Servants dei Depeche ed è
nato il nuovo arrangiamento. Altre cose di quel
periodo che abbiamo ascoltato molto sono Ultravox, A-Ha, OMD, Fleetwood Mac, Prince e assolutamente i Young Marble Giants, che hanno
influenzato enormemente Blue-Period Picasso.
Il primo e l’ultimo brano sono avventure
nel minimalismo pop che caratterizza molte delle vostre canzoni. Un’altra è Stay This
Way, quant’è malinconica! “Non voglio tornare indietro, non voglio andare avanti…
Non voglio diventare vecchio, non voglio
restare giovane”. Potremmo pensare a Bacharach o piuttosto ad Elvis Costello, un altro “fantasma” che, a mio avviso, si muove
nell’ombra delle vostre canzoni.
Sì, su quest’album abbiamo deliberatamente lavorato con il minimalismo. Stay This Way credo
sia il mio pezzo preferito. Secondo me possiede
qualità uniche a livello emotivo, è delicata, fragile. È quasi una ballata soul di tipo classico con
schiocco di dita e controcanti. Anche Miracles e
Four Tops, che personalmente adoro. Ma amo
anche Bacharach quindi ci sta benissimo anche
lui; il suo cantautorato è impeccabile! I primi due
album che abbiamo inciso erano maggiormente in
chiave power-pop, potremmo dire ispirati/quasi
rubati da Elvis Costello&The Attractions, ma direi che questa ispirazione è molto meno evidente
negli ultimi tre dischi.
Il pezzo Living Thing è la vostra personale
miscela di musica afro e cantato pop. Non
mi sorprende che Kanye West si sia innamorato di voi fino a portarvi con lui sul
palco. Nothing To Worry About, infatti, è un
numero pop che mescola cori da giardino
d’infanzia con il tuo cantato, reminiscente
di John Lennon… direi che è geniale! Inoltre avete collaborato con l’artista hip-hop
canadese Drake. Quanto influisce la black
music sul modo in cui scrivete le canzoni?
Amiamo ogni tipo di black music; negli ultimi
cinque anni mi sono nutrito di vecchia musica
oscura africana e brasiliana. Adoro anche funk,
soul, reggae. John ama l’hip-hop. Tutto questo
ha influito sul modo in cui arrangiamo i pezzi,
sulle ritmiche e i beats. I gruppi bianchi di musica pop hanno sempre rubato grandi idee nere:
basta ascoltare i Beatles o i Clash. Quindi è bello
che Drake o West abbiano rubato qualcosa a noi.
“Sono un Picasso del periodo blu, inchiodato su un muro…” parlaci di questa gemma che parte a cappella per poi diventare
un tossico crescendo pop… ho notato una
certa ironia in alcune delle vostre canzoni.
Quali temi esplorate più frequentemente e
cosa si cela dietro l’ironia?
Picasso è un testo molto diverso dagli altri, ecco
perché ne sono orgoglioso. Per la prima volta sono
riuscito a creare una vera e propria storia/favola.
La maggior parte dei pezzi si rifanno ad esperienze ed emozioni personali, ma questo è pura
fantasia. Ovviamente l’ho scritta dopo aver visitato il museo a Barcellona, ed essermi accorto che
questo quadro era un po’ fuori contesto rispetto ai
primi lavori e agli ultimi più famosi. E ovviamente c’è un legame tra il blu monocromatico del quadro, la sensazione triste (in inglese blue significa
triste, malinconico, n.d.r) che evoca e il sentimento triste e solitario della canzone. Musicalmente
parlando è una ballata rock’n’roll anni ‘50 che abbiamo modellato sui Young Marble Giants e sul
Prince del primo periodo, per quanto riguarda il
suono funk del basso. Onestamente non credo ci
sia molta ironia nei nostri testi, più che altro giochi di parole e metafore, certamente, ma senza
troppa ironia. Ci rifletterò su…
4 Out Of 5 presenta un crooning denso (come se
fosse Smog infettato da Tricky) su uno spacesound à la TV on the Radio. Gli arrangiamenti
sembrano molto più a fuoco su quest’ultimo album. Dicci perché il disco precedente, Seaside
Rock, è stato strumentale (e che album strumentale!), nonostante voi scriviate canzoni pop.
Avremmo sempre voluto incidere un album
strumentale. Dopo il tour di Writer’s Block ci
è sembrato il momento migliore per fermarci e
tornare in studio con un progetto leggermente
diverso; divertirci con riffs e melodie sperimentando in modi diversi. Credo che Living Thing
sarebbe stato un album molto diverso, se prima
non avessimo inciso Seaside Rock. È stato importante sorprendere noi stessi ed i fans. Volevamo che suonasse un po’ come una sghemba
orchestra scolastica, e intendevamo omaggiare i
nostri villaggi natali nel nord della Svezia. Sono
particolarmente soddisfatto del risultato e credo
che quando sarò vecchio, forse diventerà il mio
album preferito! È vero che su Living Thing abbiamo curato maggiormente gli arrangiamenti;
avevamo il tempo ed i soldi per poter differenziare ogni pezzo, curandone i minimi dettagli.
A parte le influenze del passato, quali sono
i vostri artisti preferiti sull’attuale scena
musicale?
Oggi ascolto per lo più vecchie canzoni stridule,
gospel e blues; ma mi piacciono artisti svedesi
come Existens minimum, Anna Järvinen, El Perro Del Mar e Frida Hyvönen. Mi piacciono molto
gli ultimi album di Papercuts e Vetiver e quello
dell’anno scorso di David Byrne e Brian Eno. Anche roba come M. Ward e Animal Collective.
Negli scorsi numeri abbiamo intervistato
Billie the Vision and The Dancers e recensito l’ultimo dei Wildbirds and Peacedrums.
Gli Shout Out Louds sono un’altra band
svedese e il bassista ha curato l’animazione
del video di Young Folks. La Svezia produce una marea di ottime bands. Puoi descrivere la scena musicale nel vostro paese?
Al momento la scena è particolarmente creativa.
Penso che quando alcuni gruppi hanno successo,
ispirano altri a darsi da fare. Ma gli svedesi sono
sempre stati interessati alla musica pop e veloci
ad assimilare nuove sonorità. La scena è molto
diversificata ed eclettica. È incredibile per un
paese così piccolo; credo che sia il terzo per produzione ed esportazione di pop in lingua inglese,
dopo USA e Gran Bretagna. E l’intera nazione
è meno popolata di New York City! È curioso il
fatto che la maggior parte degli artisti più popolari in Svezia vengano ignorati nel resto del
mondo, mentre i più gettonati all’estero restano
sconosciuti in Svezia.
Tobia D’Onofrio
ARIA DI FESTIVAL 11
UN’ESTATE DI
FESTIVAL
Rock, punk, jazz, metal, folk, reggae, taranta
IN EUROPA
Mando Diao (nella foto), Flaming Lips, Yeah
Yeah Yeahs.
www.openairsg.ch
ISLE OF WIGHT FESTIVAL
Newport - Inghilterra
dal 12 al 14 giugno
Un nome che evoca leggende dei grandi festival
rock. E infatti in una sola serata sarà possibile
assistere ai concerti di Neil Young, Pixies, Simple Minds, The Charlatans.
http://www.isleofwightfestival.com/
ROCK WERCHTER
Werchter - Belgio
dal 2 al 5 luglio
GLASTONBURY FESTIVAL
Shepton Mallet - Inghilterra
dal 24 al 28 giugno
Oltre 700 esibizioni e sei palchi principali coinvolti nel più grande festival-raduno all’aperto
del mondo. Quest’anno tra gli ospiti ci saranno:
Neil Young, Blur, Bruce Springsteen, Franz Ferdinand.
http://www.glastonburyfestivals.co.uk/
OPEN AIR
San Gallo - Svizzera
dal 26 al 28 giugno
33 edizioni, circa 100.000 spettatori e oltre 40
artisti. Questi i numeri dell’Open Air Festival di
San Gallo, in Svizzera. Tra gli ospiti del 2009
Nine Inch Nails, Nick Cave & The Bad Seeds,
12 ARIA DI FESTIVAL
Iniziato come un piccolo festival jazz nel 1975
conta oggi oltre 60 artisti sul palco tra cui Prodigy, Oasis, Placebo, Coldplay (nella foto), Kings
of Leon, Nick Cave and the Bad Seeds, Franz
Ferdinand, Limp Bizkit, Mogwai, Yeah Yeah Yeahs, Regina Spektor, Metallica, Nine Inch Nails,
Mars Volta, Flaming Lips, Röyksopp.
Rockwerchter.be
ROSKILDE FESTIVAL
Roskilde - Danimarca
dal 2 al 5 luglio
Il più grande festival musicale e culturale del
Nord Europa, che esiste dal 1971. Ogni anno i
proventi del festival vengono donati in beneficenza per scopi umanitari e culturali.
La line up del 2009 comprende alcuni dei migliori nomi della scena internazionale. Tra gli altri:
Nick Cave & The Bad Seeds, Coldplay, Nine
Inch Nails, Oasis, Röyksopp, Yeah Yeah Yeahs.
www.roskilde-festival.dk
HULTSFRED FESTIVAL
Hultsfred - Svezia
dal 8 al 11 luglio
Oltre vent’anni per il più grande festival svedese. Quest’anno tra gli ospiti ci saranno The
Killers, Kings Of Leon, Franz Ferdinand, The
Gossip, Peter Bjorn And John (nella foto).
Rockparty.se
T IN THE PARK
Balado Airfield - Scozia
Dal 10 luglio al 12 luglio 2009-05-13
Dal 2004 una cittadina scozzese diventa il teatro
dove si svolge uno dei festival europei di maggior
successo. Tra gli ospiti previsti quest’anno Kings
of Leon, The killers, Snow Patrol, Blur, Nine
Inch Nails, The Mars Volta.
FESTIVAL INTERNACIONAL
Benicàssim - Spagna
dal 16 al 19 luglio
Il Festival ha nella sua programmazione più di
100 concerti, oltre ad una serie di attività che includono cinema, moda, arte contemporanea, teatro, danza e corsi estivi. Tra i big di quest’anno:
Kings Of Leon, Franz Ferdinand, Paul Weller,
Oasis, Psychedelic Furs.
Fiberfib.com
PALEO FESTIVAL
Nyon, Svizzera
dal 21 al 26 luglio
Trent’anni fa il pubblico del Paleo festival ammontava a 1800 presenze, lo scorso anno ne sono
stati contate 230.000. Placebo, Kaiser Chiefs,
Gossip, The Prodigy, Franz Ferdinand, Moby,
Snow Patrol alcuni degli ospiti del 2009.
Paleo.ch
SZIGET FESTIVAL
Budapest - Ungheria
dal 11 al 17 agosto
Il Sziget Festival è un evento unico nel suo genere, multimediale, aperto ad ogni espressione
artistica e musicale, ed è il più grande festival
d’Europa, tra i primi tre raduni al mondo. Line
up ‘09: Prodigy, Placebo, Fatboy Slim, Calexico.
C’è un sito in italiano, Szigetfestival.it
PUKKELPOP
Hasselt-Kiewit - Belgio
dal 20 al 22 agosto
È uno dei più grandi festival belgi con circa
150.000 presenze nel 2008. Il festival ospita più
di 200 concerti. Tra gli ospiti di quest’anno Arctic Monkeys, Faith No More, Kraftwerk.
Pukkelpop.be
ROCK EN SEINE
Parigi - Francia
dal 28 al 30 agosto
Oasis, Bloc Party, The Offspring, The Horrors,
The Prodigy la line up per questo bel festival alle
porte di Parigi.
Rockenseine.com
READING FESTIVAL
Reading, Regno Unito
dal 28 al 30 agosto
Un festival che non ha bisogno di presentazioni. Collegato al festival di Leeds che ha lo stesso
programma a giorni alterni. Gli headliner del
2009: Kings Of Leon, Arctic Monkeys e Radiohead.
www.readingfestival.com
ELECTRIC PICNIC
Stradbally - Irlanda
dal 4 al 6 settembre
Un festival definito dal Billboard un esempio
da manuale. Tra gli ospiti del 2009 basta citare
Michael Nyman Orchestra, Bat For Lashes (nella foto), Zero 7, Orbital e il leggendario Brian
Wilson dei Beach Boys per avere un’idea della
qualità proposta.
Electricpicnic.ie
WEEKEND DANCE
Barcellona & Madrid, Spagna
dal 11 al 12 settembre
Un weekend all’insegna della dance nelle due
principali città della Spagna con nomi del calibro di Fatboy Slim e Groove Armada.
Weekendance.es
ARIA DI FESTIVAL 13
IN ITALIA
FERRARA SOTTO LE STELLE
Ferrara
sino a luglio
Ancora in fase di definizione il programma del
festival che anima il centro storico di una delle
più belle città d’Italia. Previsti per ora i concerti di Amadou & Mariam, Editors, Paolo Conte,
Bloc Party, White Lies, Tv on the Radio, Animal
Collective (nella foto), Scott Matthews.
www.ferrarasottolestelle.it
ROCK IN IDRO
dal 13 al 14 giugno
Milano
Terza edizione del Festival “Rock In Idro” che
si terrà a Milano, un momento di incontro tra il
14 ARIA DI FESTIVAL
pubblico e la musica rock nella più ampia accezione del termine e nei suoi più vari e differenti
aspetti. Tra gli ospiti Babyshambles, Social Distortion, Gogol Bordello, Faith No More, Limp
Bizkit, Pogues.
Rockinidro.com
GODS OF METAL
dal 27 al 28 giugno
Monza
Dodicesima edizione per uno degli appuntamenti di maggior interesse per il popolo del metallo di tutta Europa. Gli headliner di quest’anno
saranno Motley Crue, Heaven & Hell, Dream
Theater, Slipknot e Blind Guardian. Insomma,
ci sarà da divertirsi.
http://www.godsofmetal.it/
SHERWOOD FESTIVAL
dal 19 giugno al 18 luglio
Padova
Il festival indipendente organizzato ogni anno
da Radio Sherwood vedrà esibirsi sul palco allestito nel parcheggio dello stadio di Padova per
l’unica data italiana The Prodigy. Altri ospiti
previsti: Tonino Carotone, Alborosie, Meganoidi,
Luci della Centrale Elettrica, Marta sui Tubi,
Afterhours, Negrita e Bandabardò.
www.sherwood.it
FESTIVAL DI VILLA ARCONATI
Milano
dal 21 giugno al 23 luglio
Il borgo di Bollate e il suo castello ospitano
un festival di grande qualità. Tra gli artisti di
quest’anno: Vincent Gallo, Ludovico Einaudi,
Cocorosie (nella foto in alto pagina accanto), Calexico, Piers Faccini, Regina Spektor, Gonzales.
www.insiemegroane.it/festivalarconati
TRAFFIC FESTIVAL
dal 9 al 11 luglio
Torino
Quest’anno, nel cast del festival gratuito del capoluogo piemontese ci saranno Nick Cave & The
Bad Seeds, Primal Scream e Underwold.
http://www.trafficfestival.com
ROTOTOM SUNSPLASH
Osoppo (Udine)
dal 1 al 11 luglio
Il più grande raduno reggae d’Europa che dal
1994 richiama migliaia di giovani da ogni parte
del mondo. Tra i numerosi ospiti di quest’anno
ricordiamo SKA-P, Skatalites, Alborosie, Linton
Kwesi Johnson, Sud Sound System, Ali Campbell (UB40), Michael Franti, Beenie Man, Buju
Banton, Capleton, Anthony B.
www.rototomsunsplash.com
UMBRIA JAZZ
dal 10 al 19 luglio
Perugia
italiani, Enrico Rava, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto, più la curiosa “intrusione”
di Gino Paoli.
http://www.umbriajazz.com
ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL
dal 16 al 19 luglio
Livorno
Il mitico festival toscano cala gli assi e presenta
i primi nomi del cartellone: sul Main Stage dello
Stadio Armando Picchi di Livorno suoneranno,
tra gli altri, il pop-trio inglese Placebo, i leggendari ed algidi Kraftwerk, il demiurgo dell’elettronica Aphex Twin e gli Ska-P.
www.italiawave.it
PLAY AREZZO ART FESTIVAL
dal 20 al 26 luglio 2009
Arezzo
Il viaggio sarà il tema conduttore degli spettacoli del Play Art Festival 2009: musica, teatro,
letteratura, cinema, danza e multimedialità. Per
quanto riguarda la parte musicale gli ospiti saranno: Patti Smith (nella foto), Paolo Benvegnù,
Marta sui Tubi, Tracy Chapman, Vinicio Capossela, Meganoidi e Negrita.
www.playarezzo.it
PARKLIFE FESTIVAL
dal 21 al 22 luglio
Milano
Un nuovo appuntamento per la prossima estate.
La prima edizione del Parklife Festival sembra
interessante. Due giorni di musica al Circolo Magnolia di Milano. Tra i nomi confermati per ora,
citiamo The Horrors, Piano Magic, Rolo Tomassi.
http://www.parklifefestival.it/
Giunto alla trentasettesima edizione Umbria
Jazz conferma la sua vocazione a proporre musica di qualità superando le soglie del genere:
Paolo Conte, Burt Bacharach, Cecil Taylor, Simply Red, BB King e Solomon Burke (nella foto).
Incontro Italia-Stati Uniti con l’inedito duo di
pianoforte Chick Corea - Stefano Bollani. Tra gli
I-DAY MILANO URBAN FESTIVAL
il 30 agosto
Milano
I-Day Milano Urban Festival sulla scia delle
otto edizioni bolognesi dello storico Independent
Days, si trasferisce nel capoluogo Lombardo e
presenta una line up che vede headliner gli Oasis e poi The Kooks ed i Kasabian.
myspace.com/independentdaysfestival
ARIA DI FESTIVAL 15
IN PUGLIA
AMERICA & FOLK FESTIVAL
Erchie
fino al 5 settembre
(nella foto), Gabriele Lavia in una speciale versione del Macbeth, un omaggio a Chet Baker con
Fabrizio Bosso e Filippo Timi, un omaggio a De
Andrè con il pianista Danilo Rea, e poi ancora
Stefano Bollani e Nitin Sawhney.
GIOVINAZZO ROCK FESTIVAL
Giovinazzo
dal 25 al 27 luglio
Il Giovinazzo Rock Festival nasce alla fine degli anni ’90 e si svolge nell’ultimo fine settimana di luglio all’interno dell’Area Mercatale di
Giovinazzo. Le ultime edizioni hanno ospitato
band come Tre Allegri Ragazzi Morti, Après La
Classe, 24 Grana, Giardini di Mirò, Bugo, Giorgio Canali & Rossofuoco, Amari e molti altri, a
rappresentare tutte le diverse sfaccettature del
movimento rock indipendente italiano.
Prende il via America & Folk Festival, una manifestazione unica nel suo genere che nasce dalla
passione e dall’amore per la musica in una zona
della Puglia ad altissima concentrazione rock
and roll. Protagonista della rassegna è il folk e
tutte le sue derivazioni: il blues, il rock, il bluegrass, il country. La matrice è quella americana,
patria indiscussa del genere che ha contaminato
e conquistato il mondo. Tra gli ospiti il country
singer californiano Jonny Kaplan, gli italiani
Her Pillow, gli americani Tishamingo, una leggenda del country americano come Commander
Cody, uno degli artisti americani più quotati del
momento: Andy J. Forest (nella foto), da New Orleans il progetto Washboard Chaz Blues Trio e
gli italiani W.i.n.d.
LOCUS FESTIVAL
Locorotondo
dal 18 luglio al 13 agosto
Il Locus Festival si rinnova come un rito e alla
sua quinta edizione ospita ed evoca i grandi miti
della musica contemporanea come David Byrne
16 ARIA DI FESTIVAL
STREAMFEST
Galatina
dal 1 al 12 agosto
Dopo il successo dello scorso anno torna il festival di musica elettronica che ha portato nel
Salento nomi come Ellen Alien e A Guy Called
Gerald. Per ora non sono state ancora sciolte le
riserve sull’edizione del 2009 che si preannuncia
comunque ricca di sorprese e proposte interessanti.
SALENTO SUMMER FESTIVAL
Parco Gondar - Gallipoli
15 agosto
Il 15 Agosto torna il Salento Summer Festival,
uno degli appuntamenti più longevi dell’estate salentina. Organizzato da Alta Fedeltà Produzioni,
il Festival giunge alla sua nona edizione e si sposta al Parco Gondar di Gallipoli con una serata
al ritmo ragga alla continua ricerca di suggestive
location sparse nel territorio salentino da far conocere al pubblico accanto ai maggiori interpeti
del reggae. Per il 2009 si attendono, come sempre,
altri protagonisti del reggae internazionale.
GUSTO DOPA AL SOLE
Masseria Torcito - Cannole
dal 12 al 15 agosto
La decima edizione del festival si svolgerà dal
12 al 15 agosto 2009, ancora una volta fra le
solide mura a secco della Masseria Torcito. Per
festeggiare l’importante traguardo numero 10,
saranno invitati molti fra gli artisti che hanno
caratterizzato la storia del festival.
CUBE FESTIVAL
Gallipoli
13 e 14 agosto
Gli artisti scelti per questa edizione del festival
estivo dedicato alla grande musica rock rappresentano un’ottima commistione fra energia rock,
capacità cantautoriale ed elettronica da club.
Tra gli ospiti i Marlene Kuntz, i Motel Connection, gli Afterhours e Morgan (nella foto) oltre ai
dj set di Boosta, di Play Paul, personaggio di
culto della Daft Punk crew e della mitica Skin.
LOCOMOTIVE JAZZ FESTIVAL
Sogliano Cavour
dal 3 al 6 settembre
Torna a Sogliano Cavour il Locomotive Jazz Festival, la manifestazione con la direzione artisti-
ca di Raffaele Casarano che quest’anno ha stretto un accordo con alcuni jazz-festival di Francia,
Inghilterra e Danimarca, allo scopo di promuovere e favorire lo scambio e la circuitazione dei
musicisti e della musica jazz in Europa. Un
cartellone ricco di appuntamenti, live, incontri,
performance e installazioni per la IV edizione
del festival dal titolo I Colori di Orfeo, mito greco
le cui suggestioni e simbologie hanno ispirato il
programma di quest’anno.
LA NOTTE DELLA TARANTA
Salento
fino al 29 agosto
Il festival di musica popolare più famoso d’Italia
dove la tradizione della pizzica viene rivisitata
e contaminata ripropone la consolidata formula
dei concerti di preparazione al concertone finale
dove l’Orchestra della Notte della Taranta si esibirà sotto la magistrale guida del maestro concertatore Mauro Pagani (nella foto), per la terza
volta consecutiva a Melpignano. Ogni anno più
di centomila persone accorrono da tutta Italia
per assistere al più grande raduno pugliese.
ARIA DI FESTIVAL 17
LOCOMOTIVE
CONVERSATION
Sogliano Cavour, un bordo
di mondo antico dove vibra qualcosa di nuovo
La scena è all’incirca questa: centro storico di
una città del sud, notte fonda, i musicisti sono
fuori da un locale a prendere una boccata d’aria
dopo una jam, sciami di sconosciuti entrano ed
escono dal torpore delle luci basse per chiedere
da bere, da questa umanità si stacca una tipa
e senza passare dalle presentazioni comincia a
18 ARIA DI FESTIVAL
giocare ai quattro cantoni coi musicisti, lì per
lì, si tratta di guadagnare un posto nel cerchio
umano partendo dall’isolamento del centro, di
tanto in tanto i passanti attraversano le linee
invisibili del gioco, i musicisti e la tipa ridono
correndo sotto una pioggia sottile, non si conoscono, proprio come i bambini quando si mettono
a giocare spontaneamente in un cortile.
La scena non è stata inventata apposta per un
racconto, quei musicisti me lo possono confermare, conosco i loro nomi perché la tipa ero io.
Sullo sfondo, musica. Musica e scrittura. Come
stormi migratori che in un certo parallelo si incrociano e si combinano formando disegni. Puoi
trovare una forma a quei disegni anche a occhio
nudo, se ti riesce. E’ come andare a orecchio. E
quello che ti viene da pensare è che sarebbe bello
sapere da che parte arriverà il suono che cambierà tutto in un mondo elementare, al capolinea
d’Italia, in mezzo ai due mari. Quando quel suono arriva, dal sax di un ragazzo che si curva leggermente col suo strumento come per mandare
più lontano possibile ciò che va soffiando lì dentro, sai che stai ascoltando qualcosa che prima
non c’era, è entrata in quell’ottone e ne è uscita
in forma di musica: sgranata, luminosa, oscura.
Ti viene da pensare: non dev’essere facile fare
bene qualcosa che nessuno ha mai fatto prima.
Musicisti in gamba ce ne sono, certo. Ma quelli
capaci di inventare luoghi che prima non c’erano,
quelli sono pochi. Non solo luoghi sonori, al di
sopra della letteralità della vita, ma proprio contenitori fisici, idee che si fanno evento. Un’idea di
spettacolo, per esempio, che somiglia a un treno,
lungo un binario impossibile dove si incrociano
storie, destini, geografie, partiture, profili di passeggeri, intuizioni. Quella non è una locomotiva
qualunque, la guida il sassofonista salentino
Raffaele Casarano e viaggia sul serio, con una
tempistica che toglie il fiato rivelando un talento multiforme, rarissimo: far viaggiare in quel
modo un treno che non esiste.
Lui non se lo ricorda nemmeno com’è che gli è
venuta su l’idea del Locomotive Jazz Festival, un
grappolo di eventi - non solo musicali - dinanzi al
quale da quattro anni il pubblico rimane giustamente stregato, a Sogliano Cavour, un bordo di
mondo antico dove vibra qualcosa di nuovo.
Se incroci lo sguardo di Raffaele Casarano non
vedi solo il jazz, vedi tantissime strade che si
incrociano in uno stile diverso e suonano come
un qualcosa che staresti ad ascoltare per ore.
Attorno a lui, direttore artistico del festival che
quest’anno ha stretto un accordo con alcuni jazz
festival di Francia, Inghilterra e Danimarca e
che prevede di ospitare ad agosto Soweto Kinch,
uno dei sassofonisti più geniali della scena musicale contemporanea - succedono cose strabilianti. Ne dico una: “From station to station”. Cos’è?
È il progetto musicale itinerante di Paolo Fresu,
che il 4 agosto attraverserà le stazioni ferroviarie della linea Sud-Est della Provincia di Lecce
facendo incontrare la Banda Musicale di Cesare
Dell’Anna con la Banda Musicale di Berchidda.
Fresu e Casarano. Così un ragazzo che da poco
ha compiuto ventotto anni dimostra che certi
percorsi per metà sono suono e per metà racconto. Ha appena firmato il suo contratto con la Universal per “Replay” il disco che segue a “Legend”,
l’esordio con Dodicilune. Nel frattempo comincia
il countdown per lo start di lunedì 3 agosto quando il Locomotive Jazz Festival 2009, quest’anno
dedicato a “I colori di Orfeo” l’archetipo del cantore semidivino, comincerà il suo viaggio nelle
meraviglie firmate Coung Vu (con Mirko Signorile Sinerjazz Trio per la sezione di incontri tra
jazz salentino e internazionale), Paolo Fresu
Devil 4tet, Luca Aquino, Dario Muci & Mays,
Cesko, Salvatore Russo Gipsy Trio & Orchestra
Jazz Conservatorio “Tito Schipa”, Francesco Negro trio e Achille Succi, Locomotive Percussion
Orchestra (diretta da Giovanni Imparato per la
direzione artistica di Alessandro Monteduro) e
Daniel Romeo Band, Zina e ancora e ancora.
È incredibile la lista dei nomi che si aggiungono
al carnet dell’anno scorso quando il Locomotive
Jazz Festival ha mescolato i musicisti salentini
a personaggi del calibro di Sheila Jordan, Franco Califano, Maria Pia De Vito, Attilio Zanchi e
tanti altri. “Binario X” era il titolo dell’edizione
2008, quello del 2007 era “Voyage”. Già nel 2006,
Paolo Fresu adottò il festival e lo tenne sotto la
sua ala, quest’anno il padrino non si risparmierà, generosa la sua presenza in cartellone, è previsto anche il saluto al sole, in musica, nello stile
Locomotive, all’alba con “Devil Acustico”. Così
sono quattro anni che da Sogliano Cavour passa
tutto un mondo di sonorità da raccontarsi, Raffaele Casarano (in collaborazione con Musicaltra)
è riuscito a fare in modo che quella musica non
esistesse solo nelle orecchie di alcuni ai quali per
spiegarsela basta scambiarsi un’occhiata, come
fanno i musicisti quando suonano. Quello sguardo si è allargato, dentro ci passa il montato di
molti momenti, come un panorama che muta di
là dal finestrino di un treno. Non è una minuzia,
il senso è tutto lì e spalanca le note di chi sa come
fare a trafficare con l’anima. Non a caso, Orfeo.
Poi il resto è jazz e non si può scrivere, bisogna
sentirlo, è una cosa che va. Senza parole. Senza passare dalle presentazioni. A orecchio. Dove
la musica arriva in un istante mentre la vita ci
gira intorno. 3, 4, 5 e 6 agosto, Sogliano Cavour.
Locomotive Jazz Festival. La quarta edizione,
l’aspetti e sorridi. Pazzesco come guida il treno
quel ragazzo.
Luisa Ruggio
ARIA DI FESTIVAL 19
GEOGRAFIA
BREVE
DEI TEATRI
A MISURA D’ESTATE
Tante le geografie italiche pregne di teatro, in
quest’estate 2009. Inutile affermare che riportare con completezza assoluta il calendario dei
tanti festival è missione più che improbabile e
appunto per questo si opta per una scelta salvifica: rammentare che Volterra, Sant’Arcangelo e i
“soliti noti” scoppiano di salute estrosa e animeranno i mesi afosi con i loro programmi densi,
mentre a queste righe affidiamo il compitino di
segnalare delle realtà altrettanto notevoli ma
un po’ più al margine, senza pretesa di restituire
questa zona del teatro differente in modo esaustivo. Diamo inizio al nostro girovagare limitato
dalla provincia di Rieti, precisamente da Fara
Sabina, villaggio medioevale a 60 km da Roma
dove il Teatro Potlach organizza la quarta
edizione del Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali “Tra Oriente
e Occidente”. Dal 7 al 19 giugno, grazie alla
collaborazione intensissima con l’International
School of Theatre Anthropology, la manifestazione sarà un susseguirsi di laboratori considerevoli, in equilibrio stabile tra i due mondi richiamati nel titolo, e dedicati alle pratiche della
ricerca teatrale meno convenzionale e più poetica. Tra questi, spiccano “Il teatro in forma di libro” con Eugenio Barba e Julia Varley, “Il lavoro
del clown” con l’artista Hernán Gené, “Il canto,
la danza e la narrazione nella tradizione indiana” con Parvathy Baul. Ogni giorno, dalle 17 in
poi, dimostrazioni di lavoro, incontri con attori
e registi, proiezioni video (info dettagliate su
www.potlach.org). Filo conduttore degli eventi,
uno sguardo più che sensibile ai terreni dell’antropologia culturale e delle tradizioni popolari.
20 ARIA DI FESTIVAL
Dal 10 al 14 giugno, a Fossano, in territorio piemontese, si ripeterà per la terza volta consecutiva Mirabilia - Festival di Teatro Urbano
(www.fossanomirabilia.com), che ogni anno si
conferma una dimensione di esplorazione pura
per l’applicazione informatica alle arti di strada,
quali il nuovo circo e la danza contemporanea.
Due anteprime assolute: lo spettacolo tecnologico di arte numerica a cura delle compagnie Divine Quincaillerie e Tout Azimuth, e quello più
prettamente circense dei francesi Cie Bibendum
Tremens. Due punte, queste, di un programma
variegatissimo, pensato dall’organizzazione con
un’attenzione alla rappresentazione in chiave
ironica del disagio e dell’alienazione. Dal 14 al
24 giugno Padova ospiterà la quinta edizione
di Teatri delle Mura-Cosmologie Teatrali
(www.teatridellemura.it), rassegna fittissima
dedicata a Galileo Galilei e Jerzi Grotowski, e
ispirata in ogni sua tessera dal senso della ricerca teatrale, dalle sue infinite inquietudini, e
dall’urgenza di afferrarne le nuove mappature.
Il programma è un mosaico complesso, composto
da nomi che non necessitano di alcuna presentazione come Yoshi Oida, che curerà un laboratorio su “movimento e voce nella cultura giapponese” e presenterà la nuova versione di Interrogations, suo storico spettacolo. Tra gli altri
talenti e maestri, da ricordare Eugenio Barba,
Massimiliano Civica, Enrico Frattaroli, Denis
Fasolo. Extra teatrale, ma con qualche affinità,
la manifestazione Comete che animerà la cittadina bizzarra di Pergine, in Valsugana, dal 14
al 18 luglio. Per quell’occasione, saranno aperti
i padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico e sarà
consentita una libera entrata nella follia,
con l’obiettivo di costruire insieme, curatori
e visitatori, uno spazio creativo cosciente del
fatto che “pazzia e passione hanno lo stesso
etimo”. Presenza preziosa dell’edizione 2009,
il maestro di spiritualità concreta Alejandro
Jodorowski, che inaugurerà gli eventi con
una conferenza-spettacolo dal titolo Il rospo
e la lucciola, per poi animare, nei giorni successivi, uno stage intensivo di psicomagia dedicato all’incantesimo possibile, a quel gesto
magico che con l’aiuto del miele e della cenere
può sollevare l’anima da qualunque pesantezza accumulata. Dal 15 al 19 luglio a Certaldo,
in Toscana, si terrà Mercantia, un festival
internazionale segnato, anno per anno, da
una distanza netta da tutto ciò che è moda,
stereotipo, consuetudine del fare spettacolo.
La 22° edizione, intitolata “Una Nuova Era”,
orienta la rotta verso un’altra dimensione di
sperimentazione, data dal Quarto Teatro, che
“è sbrizzicante, ammaccoloso, impertinente,
non sopporta la noia del pubblico, la pomposità di un certo teatro e quelli che hanno la
puzza”, e che è l’unica risorsa resistente in un
campo minato da superficialità ricorrenti. Il
programma è un labirinto complicatissimo di
respiri ed energie, consultabile sul sito www.
mercantiacertaldo.it. Ad agosto compirà dieci anni Ogliastra Teatro, organizzato dal
Cada Die di Cagliari (www.cadadieteatro.
it). Il programma dettagliato di performance
ed eventi aperti al pubblico è ancora in via
di definizione, ma sono confermati tre laboratori per chi voglia sperimentare la propria
possibilità scenica con Giuliana Musso, Alessandro Berti, Renato Sarti, che dedicheranno
i propri workshop rispettivamente alla narrazione teatrale, alla parola naturale, alla parola dalla storia al teatro. A settembre, infine,
si spera nel ritorno del Bella Ciao - Il Balsamo della Memoria diretto da Ascanio Celestini, festival di teatro popolare inscenato
tra mille difficoltà nelle borgate romane, e sostenuto da finanziamenti esigui, zoppicanti, a
dir poco striminziti, che quest’anno potrebbero essere addirittura assenti, condannando a
morte certa un contenitore narrativo davvero
audace, mattoide, e soprattutto reale. Non resta che confidare in un aggiornamento positivo, tenendo d’occhio il sito www.bella-ciao.it e
augurando una rinnovata, sorprendente edizione che ci racconti da dove veniamo, dove
siamo e soprattutto dove stiamo andando.
Stefania Ricchiuto
I LUOGHI
ESTIVI DEL LIBRO
Sarà l’aria di mare, sarà che è meglio stare sotto
l’ombrellone piuttosto che seduti in una piazza,
saranno mille altri i motivi, e saranno certamente tutti validi, ma bisogna dire che se l’estate
offre tantissime rassegne e ruduni musicali e teatrali, latita invece sui palchi estivi il libro. Sembra infatti che la stagione migliore per ascoltare
e conoscere i nostri idoli della carta sia piuttosto
settembre-ottobre. Si sa, i libri temono il sole e
la sabbia e l’acqua di mare. Comunque qualche
eccezione non manca e proviamo a segnalarla di
seguito. Intanto, qui da noi in Puglia è da non
perdere il Il Libro Possibile festival che si terrà
a Polignano a Mare dall’8 all’11 luglio. Quattro
giorni dedicati alla lettura e conditi da tanta
danza e musica che lo scorso anno ha visto la
partecipazione di nomi del calibro di Bjorn Larsson, Paolo Giordano, Pierigiorgio Odifreddi, Curzio Maltese e Vincino. A Roma, invece, prosegue
fino a fine giugno il ricchissimo programma del
Festival Internazionale di Letterature, dedicato
quest’anno al quarantennale dell’allunaggio. Tra
gli ospiti previsti nelle serate ancora da svolgere
John Grisham, Antonio Munoz Molina, Ermanno Cavazzoni, Bjorn Larsson, Vinicio Capossela,
Margaret Mazzantini, Mario Tozzi, Edoardo Albinati. Per chi invece si trova in Irlanda nella
settimana dal 10 al 16 giugno assolutamente da
non perdere il Bloomsday, ossia i festeggiamenti
in memoria di James Joyce. Per una settimana
le strade di Dublino si animeranno con letture e
spettacoli e grandi bevute in pellegrinaggio nei
luoghi descritti da Joyce nel suo Ulisse. Per gli
amanti del giallo, l’edizione 2009 di GialloLuna
NeroNotte, rassegna che si tiene ogni anno in
autunno in provincia di Ravenna, si “allargherà” anche all’estate con l’omaggio a Edgar Allan
Poe e 200 anni dalla nascita e George Simenon,
a vent’anni dalla scomparsa.
Dicevamo che settembre è il periodo migliore per
i festival lettari: uno su tutti il Festivaletteratura di Mantova che si terrà dal 9 al 13 settembre.
E poi l’interessante Women’s fiction festival di
Matera, dal 24 al 27 settembre. Chiudiamo con
due festival non proprio letterari, ma comunque
molto interessanti: il festival della Filosofia di
Modena, che quest’anno ha come parola chiave
“comunità” e che si svolgerà dal 18 al 20 settembre e il festival della mente di Sarzana, in
Toscana, il primo festival europeo dedicato alla
creatività che si svolgerà dal 4 al 6 settembre.
21
MUSICA
SCOTT MATTHEW
Angelica diavoleria
Un songwriter come non se ne ascoltavano da
tempo: lirico, poetico romantico. Australiano trapiantato in America ha da poco pubblicato There
Is An Ocean That Divides..., un distillato di classe e intimismo sinfonico. Per chi vuole vederlo
dal vivo sarà a Ferrara sotto le stelle il 17 Luglio.
Il tuo primo album si intitolava semplicemente Scott Matthew, mentre questo secondo lavoro ha un titolo difficile da pronunciare, perchè lunghissimo (There is an ocean that divides and with my longing i can
22 MUSICA
charge it with a voltage thats so violent to
cross it could mean death!)… C’è dell’ironia
dietro questa scelta?
No, vuole essere una scelta poetica, letterale e
simbolica. Di solito non c’è ironia nel mio lavoro.
È facile riassumere il titolo in There is an ocean that divides. Così risulta un po’ più semplice
parlarne.
Hai partecipato a diverse colonne sonore di
anime giapponesi, come la serie tv di Ghost
in the Shell e il film di Cowboy Beebop, due
fantastici lavori dell’autrice di culto Yoko
Kanno. Come ti sei trovato coinvolto in
questo campo?
Mi hanno inserito in un’audizione per Yoko,
quando è venuta a New York in cerca di nuovi
cantanti. Non voleva che io facessi l’audizione,
ma per fortuna una volta ascoltata la mia voce
ha cambiato idea e ha scritto alcune canzoni da
farmi interpretare. A luglio andrò in Giappone
per partecipare a una retrospettiva sulla sua
carriera. Il concerto si terrà a Tokyo.
Hai anche collaborato con John Cameron
Mitchell nel film Short Bus, componendo
la colonna sonora e interpretando un personaggio. Il film è stato molto discusso al
Festival di Cannes del 2006. Un’altra avventura fantastica…
“Avventura” è dire poco. Partecipare alla pellicola è stato un tale onore. È stato un evento catalizzatore che ha portato molte altre esperienze
positive nella mia vita. Sarò per sempre riconoscente nei confronti di John per avermi offerto
l’opportunità di prender parte alla sua visione.
Non sono potuto andare a Cannes perché avevo degli impegni a New York, ma ho visto delle
immagini di repertorio in cui John piangeva di
fronte a una standing ovation. Mi sentivo parte
di quella situazione, perché ho pianto anch’io.
Suonavi musica più pesante insieme al
musicista di Morrissey Spencer Corbin,
nella band Elva Snow, puoi raccontarci di
quell’esperienza?
È stato magnifico, eravamo giovani e alla ricerca
di noi stessi. Non è la musica che scrivo adesso, ma ha comunque un posticino nel mio cuore. Spencer è ancora un mio caro amico e adesso
cura gli arrangiamenti di archi e fiati.
Il lento valzer Community è uno dei pezzi
più tranquilli con arrangiamenti più classici e complessi, ma anche i brani più solari presentano un umore un po’ tragico, melodrammatico (come Thistle, ad esempio,
che è un pezzo à la Belle and Sebastian).
Forse è per questo che i critici hanno imbastito paragoni con Anthony Hegarty e
Jeff Buckley, piuttosto che con Devendra
Banhart (con quest’ultimo, credo, le similitudini sono soltanto di tipo “fisico”; infatti sembrate due hippies usciti dagli anni
‘70). A dire il vero, quando ho ascoltato il
secondo brano, For Dick, ho pensato che
il tuo modo di usare la voce ricordi il tea-
trale cantautorato di David Bowie. Che ne
pensi?
Vengo paragonato ad altri artisti in continuazione. I media e il pubblico hanno bisogno di questo.
Devi essere definito da un genere musicale, altrimenti diranno che sei influenzato o che rubi
da altri artisti. Per me è sempre un onore, anche se non sono d’accordo. Tutti gli artisti che
hai menzionato hanno un grande talento, quindi
se la gente vuole accostarci in una stessa frase,
ben venga.
C’è un demone nella canzone In the End,
ma anche un diavolo in Ornament: la musica sacra potrebbe essere un’altra presenza
determinante all’interno delle tue canzoni,
come possiamo constatare, ad esempio, nei
cori gospel di German (“Make it beautiful
now, make it beautiful…”). Quali sono gli
artisti che ti hanno influenzato maggiormente e quali segui con maggior attenzione, parlando della scena attuale?
Non vengo particolarmente influenzato da altri
artisti, piuttosto dalla mia vita, dalle mie esperienze. Al momento ascolto Joan as Police Woman, Andrew Bird, Beach house e Bach.
In un’altra intervista hai dichiarato che New
York non ti ha influenzato (musicalmente
parlando), nonostante ti sia trasferito lì da
dieci anni ormai. Cosa intendevi dire?
Volevo dire che le influenze che mi portano a
scrivere sono di tipo personale e non ambientale.
Il mio pezzo preferito è Dog. Cosa puoi raccontarci di questa canzone?
Si è trattato di un esperimento con un pattern
di accordi continuo, che si ripete e si stratifica
pian piano generando luce e ombra. Poi ho voluto
che la mia amica Holly Miranda mi aiutasse con
la sua miracolosa voce. È stata anche la prima
canzone in cui ho usato il mandolino. Spero che
l’esperimento sia riuscito.
Il tuo concerto milanese del 4 maggio ha
registrato il tutto esaurito! Sembra che gli
italiani si siano già innamorati di te! Hai
avuto tempo per visitare l’Italia e ti è piaciuto suonare in questo paese?
Adoro venire in Italia. Sfortunatamente non ho
avuto modo di visitare il paese. A questo proposito, viaggiare in tour non è il massimo… Comunque ho conosciuto bella gente e spero di ritornare
quanto prima. Sicuramente saremo qui a luglio
per una data al Festival di Ferrara.
Tobia D’Onofrio
MUSICA 23
24
SILVIA’S MAGIC HANDS
Lo spirito delle canzoni
Un po’ italiani, un po’ inglesi, i Silvia’s magic
hands hanno un suono ruvido e ammaliante allo
stesso tempo. Abbiamo intervistato .
Siete figli di un festival, almeno in un certo
senso (penso a Italia Wave) vi ha un po’
messo sulla strada giusta, cosa eravate
prima e cosa siete adesso? Che rapporto
avete con i festival in generale?
Prima di Italia Wave i Silvia’s Magic Hands non
esistevano neanche. Avevamo un paio di brani,
delle idee ma ancora dovevamo capire cosa
serviva e come. Sicuramente la finale del 2008 ci
aiutò ad essere un pò più esposti agli occhi della
gente, a convincerci sulla direzione da seguire
e sul fatto che il prodotto ci piaceva e piaceva.
Con i festival, in generale, abbiamo dei buoni
rapporti. Sono stati per noi una vetrina ed in
alcuni casi promotori di altri eventi, quindi non
avrebbe senso parlarne male.
Come convivete con questa doppia anima,
metà inglese, metà italiana?
Non ci siamo mai posti il problema, è sempre
accaduto tutto in maniera così naturale che non
c’è stato spazio per nessuna domanda o incontro
a tavolino. La mia parte italiana, poi, l’avverto
poco. Conosco le mie radici ma lo sguardo è
altrove.
Ci parli del vostro incontro?
James e io abbiamo lavorato qualche mese per
la stessa ditta. Abitava dietro casa mia quindi
viaggiavamo insieme. Un giorno gli ho proposto
del materiale a cui volevo desse uno sguardo.
Lui ha fatto altrettanto. Gianluca (il batterista),
invece, era un mio vecchio amico con cui avevo
già condiviso altri progetti: chiamarlo per Italia
Wave fu un bisogno. Ora è tutto diverso. È parte
integrante di questa formazione.
C’è, nel vostro sound, qualcosa che ha
radici lontane, non solo geograficamente,
ma anche una tendenza a creare atmosfere
musicali che hanno un sapore a cavallo tra
i ‘60 e i ‘70… cosa ne pensi?
Per me il nostro disco pullula di tante cose
mischiate: in alcuni casi bene, in altri magari ci
sarebbe voluta più esperienza e coscienza di dove
si andava. Non riesco a coglierne solo un lato.
Ci può essere qualche elemento preponderante
rispetto ad altri ma ci sono tante altre cose nel
nostro modo di suonare e di metterci in gioco che
seppur lontane e ben mascherate, sono per noi
naturali.
Avete un concetto “artigianale” della
musica, parlo del suono un po’ low-fi, ma
allo stesso tempo una scrittura ricercata,
un accostamento che rende il disco
“vicino”… è un effetto voluto?
Personalmente amo il low-fi. Detto questo,
il disco è stato registrato in fretta con pochi
mezzi e senza aver finito di lavorare sugli
arrangiamenti. Direi quindi che l’effetto ottenuto
da una parte mi soddisfa, dall’altra un po’
meno. Riascoltandolo (ingrossato da Zavalloni)
suonava bene ma abbiamo cercato, nei limiti del
possibile, di renderlo un po’ più caldo. Ci piaceva
evidenziare le dinamiche che lo compongono.
Ci racconti un po’ il disco?
Il disco è stato un abbozzo di ciò che stavamo
diventando. Si compone di 10 tracce dove si
sentono (forse in alcuni casi anche un pò troppo!)
tutte le nostre influenze: i vinili, il giallo, la
malinconia, il folk, il Mississipi, il vecchio blues,
mozziconi di cicche e polvere. L’intenzione
buskers a volte si nasconde per lasciare spazio
all’elettronica, ai megafoni ed ai loop. Un disco
semplice ma non nell’intenzione e nella ricerca.
Antonietta Rosato
MUSICA 25
26
THE GOD
MACHINE
Approfittiamo dell’imminente uscita del nuovo
album dei Sophia per raccontare la triste saga di
una delle band più influenti degli anni ‘90.
Nel 1991 il rock ha conosciuto una rinascita. È
stato l’anno dell’esplosione grunge, del neonato
brit-pop, del rock sonico di Achtung Baby; l’anno degli Slint di Spiderland, dei Kyuss (ancora non si parlava di post-rock e di stoner) e del
cross-over di RATM, Biohazard, Neurosis (sul
versante hardcore), Sepultura e in seguito Tool
e Korn (sul versante metal), che ha traghettato
la musica pesante verso nuovi lidi. In uno scenario così variegato, si è mosso un misconosciuto
gruppo seminale, forse l’unico ad aver toccato in
egual misura un po’ tutte le tendenze su citate. Si
tratta dei God Machine, una perla nera ignorata
o sottostimata dai più. Robin Proper-Sheppard
è il frontman della band che si muove da San
Diego nelle case occupate europee, facendo base
a Londra. L’innocente esplorazione del mondo e
la densa ispirazione confluiscono nel crogiolo di
un’avventura esistenziale totalizzante. Si apre
il capitolo God Machine e il singolo apripista
Home li presenta al mondo: un coro religioso,
campionamento di Le Mystère Des Voix Bulgares
(utilizzato anche dai Neurosis lo stesso anno),
incensa l’aria di fragranze medievali; un pesante riff stoner apre le danze ipnotiche su rintocchi di batteria iper riverberati. Muri di chitarre
noise ed effetti futuristici, completano il sound,
un’architettura imponente e severa che tocca desolazione gotica e post-punk, deserti psichedelici
post-grunge, ipnosi Zeppeliniane, un folk epico
e visionario, come anche certo post-rock a venire. I testi sono di un ardente romanticismo che
rimanda agli anti-eroi inglesi come Lord Byron.
Il monumentale e apocalittico Scenes From The
Secon Storey porta con sè il seme che di lì a poco
fiorirà in bands come Tool, Korn o Deftones, anticipando una ricetta musicale destinata a un
successo planetario. Sheppard storpia gli accenti
creando effetti di voce ammalianti, ripete intere frasi in estatici loop-mantra. Ascoltiamo del
cross-over suonato con pulsioni romantiche, cavalcate lisergiche che si mischiano agli anni ‘80
di Ian Curtis e dei Talk Talk più rarefatti, strazianti dark-punk à la Cure, sobri campionamenti, ritmiche pneumatiche e marziali, devastanti
muri di chitarre sature e sinfoniche come nei
futuri Mogway. Dopo una manciata di singoli
e concerti insieme a Nick Cave, Living Colour e
Cop Shot Cop, il gruppo inizia le registrazioni del
secondo album a Praga. “Un’Ultima Risata In
Un Luogo Di Morte” vedrà il fulminante decesso
del bassista prima ancora di essere pubblicato. È
un poema capolavoro più che un concept-album.
Le pulsioni affogate nel contrasto presenzaassenza, come fantasmi profetizzano i dolorosi
eventi a venire. Quest’opera desolata e meravigliosa arrotonda gli spigoli della precedente
e sguinzaglia il più intimo cantautorato. Molti
pezzi sono suites alla ricerca della catarsi. Vortici di chitarre ronzanti, mulinelli noise, ritmiche
solenni, sinfonismo neoclassico, sfoghi rabbiosi,
melodie alienanti e addirittura il minimalismo
di Albini. La scaletta è massacrante e perfetta, le
liriche di un’intensità disarmante. Il gusto classico è manovrato da una sensibilità cinematica e
futurista assolutamente contemporanea. Nel ‘95
Robin fonda l’etichetta Flower Shop Recordings
e più in là il nuovo gruppo dei Sophia, malinconica espressione del vuoto esistenziale generato
dalla saga God Machine. Ciliegina sulla torta di
questa storia, i due album capolavoro sono ormai perle introvabili, visto che la Universal non
intende ristamparli. Come unica consolazione
resta l’ascolto dei Sophia, una carezza per le
orecchie in cui impeto e acidità vengono messi
da parte, per liberare un intimismo radicato in
L. Cohen e N. Young, alla ricerca della melodia
perfetta. I fan potranno godere dei concerti dal
vivo, sperando in qualche preziosa cover che
renda omaggio ad una delle esperienze musicali
più importanti dei ‘90, consegnata tra le glaciali
braccia del più profondo oblio.
Tobia D’Onofrio
MUSICA 27
CRYPTACIZE
Mythomania
Asthmatic Kitty
IL CANE
Metodo di danza
La tempesta
LUCA AQUINO
Lunaria
Universal
L’angelica voce di Nedelle Torrisi raggiunge vette superbe
assieme all’ex Deerhoof Chris
Cohen. Melodie folk-pop e instabili arrangiamenti ibridi, in
un giocattoloso eclettismo stilistico dalle numerose suggestioni. Aperture psichedeliche
e cambi cinematici con un cantato che ricalca il folk inglese e
le atmosfere dream-pop. Apre
le danze un’incalzante base di
tango/cabaret che sembra cantata da una versione femminile
di David Byrne. Poi un dilatato
crooning maschile ci conduce
su un leggero tappeto ritmico
in controtempo, mentre Blue
Tears immagina Belle And
Sebastian schizzati da troppa
anfetamina. La title-track con
cantilena anni ‘60 sfodera un
dialogo di spigolose chitarre
elettriche. In modo simile The
Cage mescola cantato Sixties,
nevrosi garage-beat e rumorismo. One Block… parte in punta di piedi su ritmica sincopata
funkeggiante ed esplode in uno
sfogo post-rock a bassa fedeltà.
Galvanize è una funerea escursione prog e I’ll Take… sembra
Julee Cruise domata da un Badalamenti un po’ più obliquo.
Il brano conclusivo racchiude
il lotto in un cerchio, grazie a
una base musicale tagliuzzata,
circolare e galoppante, come
un’esecuzione dei Talking Heads sotto pesanti sedativi.
Tobia D’Onofrio
In principio erano gli Ulan
Bator, Jitterbugs, Here e molte altre band con i quali per
anni ha dato sfoggio della sua
abilità dietro i piatti di una
batteria, poi è stato il turno di
Dejligt bizzarro progetto a due
con Enrico Molteni dei Tre Allegri ragazzi Morti, ora è la volta de Il Cane, debutto solista
dell’estroso Matteo Dainese.
Interamente cantato nella lingua madre, rilevante novità
rispetto al passato, Metodo di
danza è la sintesi finale di un
mix sonoro ottenuto miscelando elettronica a tinte acustiche
con atteggiamento tipicamente
pop.
Coadiuvato dalla presenza di
illustri ospiti come Enrico Molteni, Ruggero Catania degli
Africa Unite o Enrico Librio
deli Amari, Dainese estrapola
dal suo “cilindro” quattordici
brani elegantemente interpretati, sintomo di un percorso
intrapreso che inizia a dare i
suoi frutti.
Giocando quasi interamente
sul binomio voce-chitarra contornato da delicati beat elettronici, Metodo di danza è un
disco di pregevole fattura, dove
Il Cane propone brani che si
evidenziano per sfrontatezza,
melanconia e spensieratezza
musicale e per una testualità
semplice ma mai banale.
Alfonso Fanizza
Quindici tracce. E tutte perfette. Nel secondo disco di Luca
Aquino, uno che sa esattamente cosa fare quando prende la
sua tromba. Dev’essere stupendo saper dominare quel suono,
in quel modo. La levigatura di
Lunaria (Universal) è nel senso d’insonnia a metà tra gioia
creativa e spleen che aleggia
nell’album, una gemmazione
continua di atmosfere tra stupori musicali, lucidità contemporanea, febbrile curiosità che
deborda di molto i confini del
jazz. Il trombettista sannita
porta in pista la consistenza
di un cuore che ha anche arterie elettroniche e molti fantasmi di qualità, struggente e
in modo imprevedibile la sua
polaroid di De André (Amore
che vieni, amore che vai), così
come l’omaggio a Mina (Mi sei
scoppiato dentro il cuore) e poi
c’é Miles Davis, la simultaneità
di orizzonti diversi, in musica.
Colpisce la misura singolare
di Aquino, un’immancabile appuntamento con gli umori dei
suoi mondi per chi già era stato
conquistato da Sopra le nuvole. Una presa diretta di sensazioni e cose, persone, luoghi
e notti passate attraverso la
sensibilità di uno sguardo che
si fa suono d’autore. Il valore
di Lunaria è lì, sin dal primo
ascolto. Si passa da Jumpering a Nadir, lo sposo e la fata
28 MUSICA
Malika fin dentro a La volata,
A piccoli passi, Delirio berkiddese, All blues. Un continuo
slittamento tra sogno e realtà,
dissolvenza e zoom, tutto attraverso la lente rivelatrice di
un musicista capace di creare
un’algebra emotiva in continua
espansione. Le collaborazioni
sono di livello, Maria Pia De
Vito presta il suo margine di
meraviglia lasciando la voce in
No Surprises e No Casualties,
imperdibile Nuvola grigia con
Roy Hargrove, un piacere da
funzione repeat. In Overlook
la voce della giovanissima salentina Carla Casarano. Un
disco assoluto, mescola potere
visionario e verità, offrendo a
chi ascolta tutto il piacere dello
stile libero nella sola struttura
possibile, frammentaria e stregata, obliqua. Lunaria diventa
a tratti la strana sintonia tra
turbamento e ironia disperata.
Per un musicista che non soffia
via risposte ma piuttosto apparizioni, segnali, come pagine di
un diario di artista e di uomo la
cui poetica ha radici nel quotidiano, nella notte, nel viaggio.
Luisa Ruggio
HELL
Teufelswerk
International DJ Gigolo
Questa “Opera del Diavolo”
(traduzione del titolo) è un doppio album diviso tra Giorno e
Notte. Il quarantasettenne DJ
e produttore Hell sforna un la-
BEN HARPER & RELENTLESS 7
White Lies For Dark Times
Virgin
White Lies For Dark Times è la nuova ipnotica ed emozionante
creatura di Mr. Harper che, messi in soffitta - pare definitivamente - gli Innocent Criminals con i quali aveva inciso la maggior parte dei lavori precedenti, abbraccia i Relentless7 un combo formato
da tre texani di Austin trapiantati a Los Angeles: il chitarrista
Jason Mozersky, il bassista Jesse Ingalls ed il batterista Jordan
Richardson.
Nel 2005, alla proposta di Ben a Mozersky di collaborare alla registrazione di Both Sides Of The Gun, il chitarrista si presentò con
la coppia Ingalls/Richardson, allora componenti della indie-rock
band losangelina Oliver Future. Quelle sessions non solo partorirono la canzone Serve Your Soul ma gettarono il seme da cui
sarebbero nati i Relentless7.
Sebbene non manchino alcune splendide ballate acustiche, il disco
è fondamentalmente un cocktail a base di rock senza tempo shakerato con una overdose di moderno e ruggente southern blues. Il
risultato finale, a dir poco esplosivo, è un sound in cui le chitarre
ultradistorte sono un vero e proprio lanciafiamme.
Rino De Cesare
voro coinvolgente, nonostante
qualche lungaggine che gioca
a scapito dell’incisività. L’incipit vede Brian Ferry alla voce,
mentre P. Diddy accompagna
l’oscura terza traccia. Disaster
parte da un groviglio electro
e sprofonda in un minaccioso groove. Poi l’acid-techno di
Hellracer, con un’irresistibile
apertura nel finale, e infine
Wonderland composta da un
gioco di incastri kraftwerkiani. Ancora musica cosmika nel
secondo cd, pacata e sognante
prima, incalzante e mistica
dopo, a tratteggiare cieli col-
mi di costellazioni al silicio. Il
brano ibrido con chitarre e voce
femminile saluta il krautrock,
e ruba le tastiere agli Air. Uno
slide-bass morbidissimo, un
intermezzo di pianoforte, languide movenze orchestrali alla
C’era Una Volta in America,
per chiudere con l’inesorabile
danza technoide, che sfuma in
una cover degli Hawkwind. Dj
Hell ha ancora parecchio da
dire e noi saremo ben felici di
ascoltarlo.
Tobia D’Onofrio
MUSICA 29
NIOBE
Blackbird’s Echo
Tom Lab
La chanteuse di Colonia ci accompagna a nuoto nel suo oceano postmoderno, con uno spirito
accostabile a Larkin Grimm e
all’avant-pop contemporaneo.
Dopo una partenza classicheggiante attorno al falò, segue un
valzer minimale e obliquo, come
lo suonerebbe Carla Bruni dopo
una sbornia di tequila. Si avvertono i primi rumori e la recitazione si fa solenne. Niobe dialoga col maestro David Grubbs in
un pezzo à la Laurie Anderson
(Time Is Kindling). Psichedelia,
avanguardia, musica rituale,
le coordinate cambiano da un
brano all’altro. I vocalizzi soul
di Cadillac Night ricoprono
pulsioni elettro-acustiche tra
fusion e dubstep. Fischi e cinguettii di uccelli ci riportano ai
musical del dopoguerra (Lovely
Day). Fever vorrebbe salutare
Peggy Lee, ma incontra l’oasi di
Sade. Gnomes And Pixies è una
meditazione raga-folk, mentre
la squillante My Conversion
sembra un duello tra Edie Brickell e Bjork vestite anni ‘50.
L’impennata finale di Blue Wolf
sfodera un drone d’organo minaccioso, feedback, sintetizzatori e un’arpa celestiale su cui
cresce la recitazione di Niobe,
strattonata da campionamenti
ed effetti di ogni sorta, capace
di ipnotizzarci come solo i più
grandi riescono a fare.
Tobia D’Onofrio
30 MUSICA
A TESTA BASSA
s/t
Autoproduzione
Sono mesi che ascolto questo
disco in auto. La sua presenza
regna incontrastata nella mia
autoradio sin dal giorno in cui
la mia donna me lo ha regalato. Proprio non ce la faccio, ogni
tanto provo a cambiare, ma
poi ad un certo punto è lui che
cerca me... Parliamo dell’ultimo disco degli A Testa Bassa,
formazione storica dell’hardcore italiano, proveniente dalla
ridente Mola di Bari. Un disco
fortemente voluto, a distanza di
ben 8 anni dall’uscita del loro
primo 7”. Hardcore umano, sincero e diretto, che non può lasciare indifferente chi lo ascolta. Di sicuro siamo al cospetto
di uno dei più bei dischi hardcore italiani degli ultimi anni.
Si tratta di una produzione che
coinvolge buona parte delle realtà indipendenti do it yourself
italiane (come nella migliore
tradizione). Il disco suona benissimo: la nuova tendenza
delle autoproduzioni è proprio
quella di realizzare delle ottime registrazioni, al contrario
di ciò che avveniva in passato,
che riescano a rendere al meglio e valorizzare il lavoro delle
band. Sembrano quasi i Negazione con chitarre più dure ed
arrangiamenti più taglienti.
Il punk e l’HC sono uno stato
mentale, un’attitudine “propositiva”, non una moda da
esibire. Il punk e l’HC non sono
una gara tra vuoti ragazzini a
chi ha più toppe o borchie sul
giubbotto o a chi puzza di più...
Amare il punk e l’HC significa supportarli concretamente
producendo dischi, andando ai
concerti autogestiti pagando le
sottoscrizioni, comprando i dischi D.I.Y. Per il resto “vorrei
raccontarvi, ma non ci riesco,
se sapessi cosa dire sarebbe già
qualcosa che conosco di me”.
Ennio Ciotta
HERMAS ZOPOULA
Espoir
Asthmatic Kitty
Dimenticatevi le produzioni
galattiche, le grandi orchestrazioni… rispolverate piuttosto
un’aria casalinga e giocosa del
fare musica. È con gioia che
fa rima la musica di Hermas
Zopoula, con il sole, l’Africa
che dialoga con il Mali, con la
musica esotica e creola di Capoverde, e con la Francia presente nel Burkina Faso fino
agli ottanta. Sono queste le coordinate geografiche di questo
giovane artista che si muove
tra pop, calypso, pattern tipicamente occidentali che sporcano
un po’ la bellezza della voce e
delle melodie pur mantenendo
sempre il ritmo sostenuto e sincopato. Si lascia invece amare
di più il secondo dei dischi che
compongono questo esordio
in cui la musica si spoglia per
affidarsi solo alla voce e alla
chitarra. Un disco che porta
lontano. Un’evasione.
Osvaldo Piliego
IAMX
Kingdom of welcome addiction
61 seconds records
Ricordate gli Sneaker Pimps?
Band electropop/triphop in
auge nella metà dei novanta?
Questo è il progetto di Chris
Corner tra i fondatori della
band e voce della stessa per un
periodo. Iamx ha in sé l’estetica
anni 80 dei Depeche Mode, le
incursioni industriali dei Nin,
alcune androginie barocche e
un certo alone new wave.
Un progetto che ha assunto le
caratteristiche di un cabaret
a tratti gotico. Questo emerge
nelle storie che Chris racconta,
estremamente personali, piene
di esperienze che scavano negli
abissi, ma anche nell’immagine
che ruota intorno al progetto. E
in scena c’è lui, la sua vita, ma
anche la sua ricerca continua
di un suono che non abbandona mai la melodia pur precipitando verso atmosfere cupe e
scenari dark.
Osvaldo Piliego
BOO BOO VIBRATION
Scimmie metropolitane
Sana records
Nascono a Bologna, ma all’anagrafe sono quasi tutti salentini. I Boo Boo Vibration sono
stati capaci di riassumere in
un unico progetto l’esperienza
di gruppi come Africa Unite e
Reggae National Tickets, senza
dimenticare i cari compatrioti
Sud Sound System e le mitiche
posse targate numero 99. Un
album maturo nei messaggi e
nella musica. Per l’occasione
la band si avvale di importanti collaborazioni (alla batteria
e ai fiati ci sono gli Aretuska,
collaborano con il rapper svedese Promoe e producono il
disco con Alessandro Scala).
Ed è proprio nella varietà delle
influenze e delle collaborazioni che la musica dei Boo Boo
Vibration trova la linfa. In
particolare sono le voci, la loro
diversità e allo stesso tempo
complementarietà a rendere il
progetto coinvolgente a 360°.
Inglese, italiano, salentino: ce
n’è per tutti i gusti. Dal roots
alla dance hall i Boo Boo sono
sintonizzati con il presente e legati alle origini. L’estate è loro.
Osvaldo Piliego
PATRICK WOLF
The Bachelor
Battle One
Che Patrick Wolf fosse un po’ alieno erano in molti a pensarlo già
dall’uscita dei primi lavori del musicista londinese, gli esoterici
Lycanthropy e Wind in the Wires. La leggenda era del resto alimentata da alcuni dettagli biografici da enfant prodige che narrano di strabilianti registrazioni dell’undicenne Patrick con la voce
accompagnata da un violino e da organi che lui stesso suonava
con disinvoltura.
Oggi, e son passati poco più di quindici anni, l’Alieno ha trovato
definitivamente il modo di comunicare con un mercato discografico che per lo più ama spiazzare con proposte incatalogabili: come
accade col nuovissimo The Bachelor, erede del fortunato The Magic Position che aveva segnato la svolta pop (elegantemente pop)
di Wolf.
The Bachelor vira, naturalmente, verso nuove sonorità che già
stanno affannando gl’instancabili accertatori di generi musicali:
è indie, vabbè, ma è rock, è pop, è folk?
Nel frattempo, il cd suona in testa tra suggestive orchestrazioni,
ballate irlandesi e trovate electro-punk. Anticipato, questo è certo,
da una copertina destinata a confermare la provenienza extraterrestre del suo autore, che ha mutuato l’immaginario glam degli
anni Settanta per restituirci – almeno nell’immagine – il mito androgino di un Bowie del terzo millennio.
Al fascino provocatorio di The Bachelor contribuiscono il video
sado-maso del singolo Vulture nonché alcune impensabili collaborazioni, come quella di Alec Empire dei berlinesi Atari Teenage
Riot per Battle o della sublime Tilda Swinton che presta la sua
voce in apertura dei brani Theseus e Thickets.
Il risultato è, ancora una volta, sorprendente. Soprattutto per
chi pensa che la musica indipendente contemporanea sia a secco
d’idee e non sia in grado di rigenerarsi azzardando nuovi orizzonti. Patrick Wolf ci prova e ci riesce, con una promessa: completare
il percorso già avviato in The Bachelor con The Conqueror, seconda parte del progetto la cui uscita è annunciata per l’autunno di
quest’anno.
Francesco Farina
31
32
EELS
Hombre lobo
Vagrant
SOPHIA
There Are No Goodbyes
City Slang
Torna il signor E nella sua ennesima reincarnazione, nel suo
essere sempre uguale ma allo
stesso tempo cangiante. Dopo
aver cantato della sua famiglia
ormai scomparsa in un disco
intriso di riappacificazione, di
comprensione, di vita e morte
e di sogni che non si realizzano, in questo nuovo Hombre
Lobo (Uomo Lupo) si concentra
su se stesso. Un disco sulla licantropia intesa come capacità
di essere cangiante, ma anche
sull’essere soli. Musicalmente
il disco si basa su una dicotomia uomo/animale. L’uomo è
nelle ballate pregne di spleen,
quelle in cui la voce sempre più
fumosa di Mark Oliver Everett
sembra cantare su musiche da
carillon che contrastano nel loro
essere cristalline. E poi l’animale, quel blues marcio e saturo
che omaggia le grida Iggy i riff
degli Stones l’incalzare rauco di
Waits. Su tutto spicca quell’attitudine innata a sfornare marchingegni indie pop pressoché
perfetti. Ben trovato!
Osvaldo Piliego
Devastato dall’esperienza God Machine, Robin Proper-Sheppard
forma i Sophia per dare sfogo al suo inguaribile intimismo. Meglio
dell’esordio del 96, il secondo album The Infinite Circle è l’istantanea del nuovo percorso e getta le basi di un malinconico cantautorato che si muove tra melodie killer, affilati controcanti, incursioni
power-pop, confessioni acustiche e una River Song degna dell’ultimo God Machine. Nei due capitoli successivi, il passaggio alla City
Slang aggiunge varietà agli arrangiamenti e qualche strizzatina
d’occhio ad MTV. Dopo la pubblicazione del favoloso cofanetto Collections One, l’ultima fatica parte con l’omonima cavalcata radiofonica e fa il bis con A Last Dance. Poi il tiro si abbassa su tonalità
acustiche più minimali, e con immenso piacere ci si lascia carezzare dal clarinetto di Leaving, o si ascolta il classico Sheppard che ripete una frase infinite volte, per tutta la durata del pezzo (Signs).
La ballata Obvious procede a passo sostenuto, ma nel complesso si
torna all’omogeneità degli esordi, trascurando la varietà stilistica
dell’ultima produzione e concentrandosi sulla scrittura di canzoni
dense e struggenti. Robin è un faro ancora acceso che illumina il
panorama rock contemporaneo.
Tobia D’Onofrio
JOE BARBIERI
Maison maraviha
Microcosmo
Entrare nel sangue, nel-l’anima, segreta aspirazione, quotidiano anelito, crocevia dei moti
più intimi che trovano pace e
nuove articolazioni, fra pentagramma ed esistenze. Joe bar-
bieri, con Maison Maravilha
riporta in superficie i magmi
della passione sopita dai giorni, quell’epifania spesso evocata ma quasi mai colta e vissuta.
Intrecci d’esperienza musicale
e lessico affabulante, mai lezioso o decontestualizzato. Maison
Maravilha è un gioco fiabesco,
sinuoso e sontuoso, con vezzi
e delicatezze echeggianti agli
anni d’oro dei crooner, dai qua-
li Barbieri trae linfa e spinta.
Complici del calibro di Omara
Portuondo e Vladimir Koqaci
(con il suo violoncello intrigante) rendono ancor più spiazzante l’ascolto e il ‘respiro’, finendo
per marcare consapevolmente
un solco importante nell’alveo
del Cantauorato più nobile di
terra nostra.
Francesco Spadafora
MUSICA 33
34
AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub
Jack Penate – Tonight’s today
Se esistesse una giustizia in questa Terra,
avremmo qui la canzone dell’estate, pronta
per l’uso. Ritmi tropicali non provenienti
dai tropici, ritornello
assassino, la possibilità di darsi un tono parlando di quel giovane
cantante, “quello mezzo inglese e mezzo spagnolo”. E non è detto che il colpaccio, a Penate, non
riesca con questa deliziosa “Tonight’s today”. Ma
in verità nessuno ci crede, anche perché la perfida Albione, per ora ha snobbato questo brano che
invece si fa ascoltare spesso e volentieri in Italia.
Paolo Nutini – Candy
L’anagrafe dice Paolo Giovanni Nutini,
e qualcuno potrebbe
pensare che stiamo
parlando del miglior
artista italiano mancato. Certo, nulla impedisce alla Atlantic
di spacciarlo per “la
nuova rivelazione italiana”, così come in un imbarazzante spot radio
per Gabriella Cilmi, calabrese di Melbourne. Nel
caso di questo songwriter dalla voce roca e dal
fascino appena post-puberale, l’origine è toscana. Ma finisce qua. Scozzese, come i Travis, band
che per certi versi lo ricorda. Fran Healy, frontman dei Travis, disse una volta: “non ho mai
capito perché siamo diventati famosi: in Scozia
suonano tutti così”. Una citazione buona per
Nutini il quale, proprio come i Travis, funziona
tantissimo.
The Gossip – Heavy cross
Beth Ditto ha dovuto aspettare un po’ troppo per
finire sulle radio commerciali italiane. E ci va
con un pezzo che non ha poi così tante differenze
con il passato, con quella Standing in the way of
control che fece impazzire e fa ancora impazzire
molti. Magie del mercato che nessuno coglie, ma
che ci rendono comunque felici di poter parlare
di una band filosoficamente indie che è lì a giocarsela con Lady Gaga ed altre amenità. Anche
se è legittimo chiedersi: “ma quante Lady Gaga
entrano in una Beth Ditto?” E non è solo una
questione di stazza. Poco importa, i The Gossip
sono arrivati. Era ora.
Eminem – We made you
Prima di lui, in troppi avevano seguito la
stessa trafila. Troppi
“al lupo, al lupo” da
parte di rapper annoiati di cantare, annoiati dalla scena, più
interessati a produrre
che ad esibirsi, e poi
puntualmente ritornati in scena con album a svariati zeri, sostenuti
da un’attesa spasmodica e non sempre da grande
ispirazione. In questo caso però il rapper bianco
stava per mollare sul serio e non per farsi coccolare. Poteva non tornare più. La dipendenza da
un cocktail di droga, farmaci e sonniferi lo aveva
portato a quattro anni di black-out. Ora il ritorno, nel suo stile, forse meno ironico e più noir. We
made you corona un album decisamente positivo.
Eminem si ama o si odia, ma tutti dovrebbero
ringraziare la buonasorte che ce lo ha riportato
sul palco tutto intero.
Beastie Boys – B boys in the cut
Ironia della sorte, sono
proprio questi i giorni
in cui inizia a girare
il nuovo singolo dei
Beastie Boys, nell’album del trentennale,
Hot Sauce Committee.
L’altra formazione bianca stimata da tutti
nel mondo del rap e
dell’hip hop torna alle liriche dopo The Mix up
(2007), un album strumentale che lasciò di stucco fan e addetti ai lavori (un album rap senza testi è difficile da comprendere). Il quartetto ebreo
di New York non fa un grosso passo in avanti dal
punto di vista dell’originalità, ma l’attesa per il
nuovo album è tale e tanta che c’è da sperare nel
ritorno alle scene di una pietra miliare, soprattutto dal punto di vista culturale, della musica
contemporanea.
Dino Amenduni
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DAMMI UNA SPINTA
Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse...
Deadmau5 – I remember (Caspa remix)
Joel Zimmerman, nato
dalle parti delle Cascate del Niagara, sta rapidamente mettendosi
in mostra all’interno
del panorama della
club culture grazie ad
alcuni azzeccati remix.
In questo caso è il suo
brano, I remember, un
piccolo bignami per amanti della dance ibizenca
della metà degli anni ’90, a metà tra gli Chicane
e i primi Faithless, ad essere remixato con estrema abilità e con una chiave di lettura abbastanza ardita da Caspa, che con Rusko forma una
delle coppie più interessanti della scena musicale britannica. A loro il merito di aver trasformato
qualsiasi cosa secondo il loro credo, il dubstep.
Un genere oramai non più di (assoluta) nicchia.
Un po’ come la dance ibizenca anni ’90, che in
pochi (me compreso) rimpiangono.
La Roux – Bulletproof
Qui siamo davanti a un
fenomeno. Già citato
in precedenza (oramai
appuntamento fisso di
queste rubriche), il duo
composto da una straordinaria Elly Jackson
e da Ben Langmaid,
perennemente dietro
le quinte, riesce a non
sbagliarne una. Merito di un gusto un po’ particolare per la citazione anni ’80, farcita di punk
non tanto nei suoni quanto nella sfrontatezza
della cantante che riesce a farsi voler bene pur
essendo sempre al limite dell’urlo e della stonatura. E quando un gruppo ti prende così bene in
giro, con melodie di sicuro impatto, non puoi non
lasciar perdere la purezza dei suoni e farti prendere in giro con il sorriso.
Florence and the Machine – Rabbit heart
Come sopra: fenomeni. La Roux è già un’icona
in divenire, Florence Welch e il suo quartetto
aspettano pazienti l’uscita del loro primo album,
Lungs, previsto per luglio, sfornando singoli di
altissima qualità. Difficile trovare una categoria
in cui inserire questa band dal nome bizzarro.
Piuttosto appare utile sottolineare la perfetta
quadratura del cerchio tra la voce molto poco
pulita ma molto efficace della cantante e l’orchestrazione meravigliosa tessuta attorno a lei.
Da vedere dal vivo, per sciogliere le ben poche
riserve possibili che tanta bellezza in studio può
ragionevolmente generare.
Phoenix – Lizstomania
Prendi un titolo strano per il tuo quinto
album, Wolfgang Amadeus Phoenix; scatena
la curiosità tra i tuoi
fan (che è? Megalomania? Musica classica? Creatività a tutti
i costi?), poi decidi di
chiamare Lizstomania
il primo singolo estratto da Wolfgang, in onore
alle spropositate reazioni, soprattutto femminili,
che seguivano le performance al piano di Franz
Lizst. E continui a non capire se ti stanno prendendo per il culo, o cosa. A quel punto decidi di
smetterla con la dietrologia ed iniziare ad ascoltare e trovi lì i soliti Phoenix. Pop puro, à la Belle and Sebastian più che alla Britney per questo
gruppo francese che sette anni dopo If i ever feel
better e dopo essere un po’ spariti dalle scene,
stanno tornando alla grande. Così alla grande
che i Phoenix sono il gruppo più “bloggato”, in
barba a chi ha ispirato album e singolo, non proprio star del web 2.0: Mozart e Lizst.
Friendly Fires – In the hospital
Questo brano è il degno “last but not least”
di queste due rubriche.
Un po’ di dance misto
a shoegazing; chitarre
distorte e percussioni,
pop e rock, psichedelia
e facile ascolto. Tutto questo in un brano
solo. I Friendly Fires,
del tutto sconosciuti nel nostro paese, vantano
citazioni in videogiochi (Gran Turismo 5, se mai
uscirà) e in serie tv (Gossip Girl), sono in corsa
per premi dance ed indie, sono arrivati anche
primi in Inghilterra. Il dono della sintesi, a volte,
si nasconde nei posti più impensabili.
Dino Amenduni
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SALTO NELL’INDIE
BLACK NUTRIA
Non si finisce mai di scoprire nuove etichette ed
è sempre buon segno. C’è tanta voglia di fare e
fare ascoltare musica. Questo mese è il turno di
Black Nutria. Orientamento indie/rock, tre anni
di vita, un gran catalogo.
Come ci si sente ad avere in catalogo uno dei
gruppi indie più caldi del momento (Polar
for the masses)?
Polar For The Masses è stata proprio la prima
band entrata a far parte del nostro roster. Per
questo motivo siamo molto contenti; ogni tappa
raggiunta dal gruppo non fa che riempirci di soddisfazione e, perché no, di emozione. Già dal primo album Let me be here (2007) è emerso uno stile
personale, difficilmente paragonabile in toto ad
altri “grandi” della musica, e soprattutto la capacità di creare delle melodie che ti si stampano in
testa sin dai primi ascolti. Tutto ciò si riconferma
e si amplifica col nuovo album Blended, uscito a
fine marzo 2009, che sta avendo ottimi riscontri,
sia da parte del pubblico che della stampa specializzata. Crediamo davvero molto nel progetto di
questi tre ragazzi, siamo consapevoli dei traguardi raggiunti ma anche del loro valore; noi faremo
in modo che trovino il giusto spazio nel panorama
musicale italiano, e non solo.
Ogni etichetta indipendente ha alle spalle
storie strane e belle, ci racconti la vostra?
La cosa più bella è senz’altro legata alla forte passione per la musica del “fondatore” della label, Simone Pasqualin; la cosa buffa che in origine l’etichetta era ubicata nel salotto di casa sua! Come
dire che quando c’è la passione, la mancanza di
mezzi non conta. Poi il progetto si è evoluto, e in
poco più di due anni abbiamo ottenuto davvero
buoni risultati, nonostante la “crisi conclamata”
del mercato discografico.
Il vostro catalogo ha una buona distribuzione
e siete molto presenti in rete, quanto è importante per realtà come la vostra essere visibili?
Sì, noi ci appoggiamo ad uno dei maggiori distributori italiani, Audioglobe, che ci dà ottimi visibilità e supporto. La presenza in rete poi è fondamentale, visto che oggi il web la fa da padrone;
d’altro canto le piccole realtà come la nostra molto
spesso non trovano “accoglienza” da parte dei media tradizionali, quindi ci giochiamo bene le carte
che abbiamo a disposizione! Voglio sottolineare
come diventi preziosa, per noi della Black Nutria,
la collaborazione con tutte le webzine ed i portali
specializzati: ne approfitto per ringraziare tutti! Il
“polso” del nostro lavoro ce l’abbiamo nel momento in cui le band e gli artisti ci scrivono che vorrebbero tanto essere dei nostri, ci arriva sempre più
materiale, e nel “molto” è sempre più difficoltoso
scegliere.
Per i gruppi rock, l’importante è suonare, i
concerti sono i pochi luoghi dove ancora si
vendono i dischi, come vi muovete in questo
senso e cosa ne pensi più in generale?
La dimensione live è quella più bella, più vera,
per tutti gli artisti, qualsiasi sia il genere musicale trattato, ed è naturale che i concerti coincidano con le “vendite”. Sin dagli esordi della label
abbiamo realizzato che sarebbe stato impossibile
“sopravvivere” con la sola vendita dei dischi, perciò ci muoviamo a 360°.
Quali sono i progetti in cantiere?
Il progetto imminente è la nuova uscita discografica dell’album Three rooms, some songs, the
show… and a suitcase full of bones dei The Forty
Moostachy, prevista per il 19 giugno prossimo.
Già pianificata per il 28 agosto 2009 l’uscita
dell’album d’esordio Offshore dei danesi The Foreign Resort, già presenti nel mercato danese,
statunitense e tedesco.
Cercheremo anche di esportare la nostra musica
oltre confine, magari trovando dei booking esteri
con cui collaborare.
Antonietta Rosato
MUSICA 39
ON
THE
ROCK
Dischi da ascoltare tutto d’un fiato
Questo numero, come sempre prima dell’estate,
è dedicato ai festival. Impresa titanica quella di
fornirvi l’agenda e i cartelloni di questa stagione
targata 2009. Io non sono mai stato un grande
frequentatore di concerti all’aperto, tranne per
alcune delle prime edizioni di Arezzo Wave (per
via della mia inclusione nella giuria nazionale…), ho sempre preferito quelli al chiuso, in piccoli teatri. Ma c’è stata una stagione durante la
quale posso dire: io c’ero. Era l’estate del 1975, ed
era l’estate dei miei 18 anni… da qualche anno
nella splendida Umbria si davano appuntamento
gli appassionati (da tutta Europa) per assistere
(gratuitamente) ad ore ed ore di live di grandissimo livello. Dopo quella del 1976 la manifestazione si fermò per non essere mai più quello che era
stata. Ma torniamo a quel fine luglio del 1975,
si partiva da Perugia e sul palco si alternarono
la Count Basie Orchestra, Billy Harper Sextet
e Charles Mingus Quintet. Mingus aveva da
poco pubblicato i due album, Changes One and
Two, che lentamente lo stavano riportando sulla
breccia dopo la crisi che la morte di Eric Dolphy
aveva causato alla sua carriera. Il giorno dopo ci
si spostava con “canadese” a seguito da Perugia
a Villalago di Piediluco e lì sul palco Elvin Jones
Quintet, Giorgio Gaslini... Di quest’ultimo provate a cercare gli album pubblicati in quei giorni: Concerto della Resistenza/Università Statale
- quartetto (reg. dal vivo, 1974), Canti di popolo
in jazz (Pdu - 1975) in duo con Bruno Tommaso
e Concerto della Libertà - Universo Donna (Pdu)
in Quartetto. Verso mezzogiorno del giorno dopo
tutti di nuovo in marcia verso Città della Pieve
(PG) ad aspettare le note di Chet Baker (tromba) con Kenny Drew (Pianoforte), Larry Ridler
(basso) e David Lee (batteria). E poi il 29 luglio a
Città di Castello (PG) tra gli altri Archie Shepp
40 MUSICA
Quintet mentre la serata successiva a Gubbio il
30 Mario Schiano Group e McCoy Tuner Quintet per ritornare il giorno dopo a Perugia e finire
l’1 agosto a Orvieto. Ma il 1975 fu anche l’anno
della quinta edizione della “Festa del Proletariato Giovanile” a Parco Lambro a Milano. Dal 29
maggio al 2 Giugno: lo slogan era: “facciamo che
il tempo libero diventi tempo liberato”. Corrado
Levi ricorda: “Ricordo la festa, la musica, i balli,
i corpi nudi, le simpatie, il nostro banchetto di
libri, l’evento di alcuni gruppi di maschi impossibili che sono venuti a rovesciarlo, ed allora Mario Mieli fece un memorabile e perfetto comizio
come lui sapeva fare, con entusiasmo, precisione
e invenzione linguistica, comizio di cui ricordo la
frase: “Ora sappiamo che oltre ad andare a battere dobbiamo combattere”. Per cinque giorni il
Parco Lambro fu invaso da decine di migliaia di
giovani giunti fin dal giorno prima, il festival non
era gratuito vi si poteva accedere con una tessera personale, valida per i cinque giorni, dal costo
assai limitato (500 lire). Fu un enorme incubatore di dibattito politico, del resto gli organizzatori
(Re Nudo, con la partecipazione di Lotta Continua, Partito Radicale, Avanguardia Operaia,
Federazione Giovanile Socialista, Rosso, e con
l’adesione di un’infinità di gruppi di controcultura) non consideravano la musica solo fine a se
stessa ma strumento, come altri, di socializzazione. L’impatto è straordinario, stand di tutti i tipi
sino alla “bioenergetica”, la roulotte-segreteria,
che funziona anche da stazione radio interna, e
poi per raggiungere il grande parco su un lato,
gli stand alimentari e poi quelli politici e i banchetti che vendono libri e dischi. La musica: Gli
Arti & Mestieri, che l’anno precedente s’erano
imposti come la rivelazione della Festa, propongono il repertorio del primo LP e pezzi inediti, gli
Area, con brani da Crac! e dai dischi precedenti
(Arbeit Macht Frei, Cometa rossa); gli Stormy
Six iniziano presentando Pontelandolfo dall’album L’unità e poi propongono, praticamente
per intero, il nuovo LP Un biglietto dei tram. Il
giorno dopo Claudio Rocchi, De Gregori che presenta Alice, il brillante set di Eugenio Finardi
con brani tratti da Non gettate alcun oggetto dai
finestrini. Sabato pomeriggio è la volta Eduardo
Bennato, Ivan Cattaneo e Franco Battiato, domenica Tony Verde, Jane Sorrenti, Donatello e
Agorà. Mentre per la giornata conclusiva grandi
emozioni con il Canzoniere del Lazio cui succedono Toni Esposito e quindi Napoli Centrale. Che
ne dite? Majid Valcarenghi che di «Re Nudo» fu
l’instancabile direttore (e lo è tuttora, da quando
ha riaperto nel 1997) spiega: «Siamo stati degli
outsider, rispetto al potere costituito e rispetto
anche alla forte ideologizzazione del movimento.
Loro parlavano delle 8 ore, quelle del lavoro, noi
contemplavamo le 16, ci preoccupavamo del tempo libero, dell`emarginazione che non era solo
nelle fabbriche (c’erano i carcerati e i matti) e
delle idee che venivano da fuori, le Pantere Nere
americane o i Provos olandesi».
La festa del “proletariato Giovanile” tornerà al
Lambro l’anno successivo per l’ultima volta; così
scriverà Marisa Rusconi - in Introduzione al Libro fotografico La festa del Parco Lambro.
... “Oggi sappiamo che Parco Lambro non fu,
o non soltanto, l’“apocalisse del pop”, come i
più fantasiosi la definirono, o l’“apoteosi della
provocazione”. E, contrariamente a quanto affermarono alla fine dei quattro giorni gli stessi
organizzatori, stanchi, incazzati, confusi, non fu
neppure l’ultima festa del movimento. Piuttosto,
proprio lì, dallo sfacelo del mito di un certo modo
di stare insieme - pace, amore e misticismo collettivo, musica come droga e droga come musica
ecc. - nacque la necessità di trovare altre strade,
altri modi. E vennero, infatti, altre feste. Alcune
quasi clandestine per pochi iniziati come quella
di Guello (giugno ‘77); altre di grande massa,
come quella di Bologna (settembre ‘77), che certo
qualche militante ortodosso, anche se della sinistra “nuova”, considererà eresia chiamarla festa,
ma che è stata, invece, senza alcun dubbio, una
delle più grandi sagre del movimento. Un festival senza orchestre e divi pop-rock, senza danze
collettive e girotondi di corpi nudi sotto la pioggia, ma con lunghi e anche gioiosi cortei, canti e
slogan. E, soprattutto con un’intera città per palcoscenico, anziché un recinto grande molti chilometri ma pur sempre ghetto dell’emarginazione e
dell’autoemarginazione, un parco spelacchiato, e
ricoperto di rifiuti, ai margini della metropoli”.
E poi a settembre ci fu Licola (NA). Sotto la polvere l’erba.
Giovedì 18 settembre ore 10: sulla spiaggia-pineta di Licola (Napoli) “Mille pini” incomincia la
prima festa pop organizzata dal movimento degli
studenti. La apre Janis Joplin, trasmessa a tutto
volume dalla radio del campo, con le note struggenti di Mercedes Benz (...) Venerdì ore 21-22:
suona il Canzoniere del Lazio ed in trentamila
si scatenano in una sfrenata tarantella, agitando lunghe canne raccolte lì vicino, verso il cielo
bianco di polvere. Il pubblico di Licola non accetta il ruolo passivo dello spettatore: la musica viene usata per ballare, per stare insieme, per fumare, per fare l’amore, per suonare, per cantare. La
musica non è un oggetto di consumo (...) Contrappunti ai fatti: dateci pane, ma dateci anche rose.
(Giaime Pintor) Licola non è stata una festa senza contenuti, né soltanto un’esplosione di gioia e
di voglia di divertirsi. Ma non è stata nemmeno
la noiosa sommatoria di comizietti e dibattiti, di
parole d’ordine e slogan. E nemmeno un ferreo
e militaresco contarsi delle forze rivoluzionarie,
una semplice constatazione della forza del movimento degli studenti (...) Una festa perfettamente
riuscita? No di certo. Le disfunzioni, non solo organizzative, ma politiche, sono state molte, anche se non tali da pregiudicare la festa (...) Non
s’è tenuto conto che chiamare musicisti a casaccio, senza un discorso chiaro, avrebbe provocato
qualche incidente. Non s’è tenuto conto che non
è più possibile fare una festa realmente liberata
con musicisti pieni di sé e della loro arte, convinti
che il loro discorso debba prevaricare i bisogni
del pubblico, le sue richieste, la sua voglia di partecipazione: un Canzoniere del Lazio con atteggiamenti divistici, un Sorrenti provocatorio dove
non era affatto il caso di esserlo, un Venditti che
all’ultimo minuto avverte che sceglie una manifestazione radicale sul 20 settembre, sono gente che
con queste feste, a meno di una autocritica seria,
non ha molto a che fare... (Muzak, 1975)
Come avrete capito questa volta i dischi ve li dovete cercare da soli tra le righe di queste pagine,
ma vi assicuro che il loro ascolto anche a distanza di 30 e più anni vi aiuterà ad immergervi nella storia e per della musica non mi sembra poco.
Vittorio Amodio
MUSICA 41
LIBRI
LORIANO
MACCHIAVELLI
Uno dei più prolifici e apprezzati giallisti italiani racconta
ai lettori di Coolclub.it il ritorno del suo personaggio più amato:
Sarti Antonio, sergente
Nato a Vergato (Bologna) nel 1934, Loriano Macchiavelli è uno degli scrittori di genere poliziesco
più conosciuti e letti in Italia.
Da un suo romanzo (Passato, presente e chissà)
è stato tratto lo sceneggiato televisivo per Rai
Due Sarti Antonio brigadiere (regia di Pino Passalacqua) in quattro puntate e andato in onda
nell’aprile del 1978. Nel 1988 Rai Due ha prodotto una serie di 13 telefilm, tratta da suoi romanzi
e racconti, (regia di Maurizio Rotundi, protagonista Gianni Cavina) i cui esterni sono stati girati interamente a Bologna e dintorni. La serie
ha per titolo L’ispettore Sarti - un poliziotto, una
42 LIBRI
città ed è andata in onda su Rai Due a partire dal
12 febbraio 1991 e replicata nel 1993.
Numerosi suoi romanzi sono stati tradotti
all’estero: Francia, Germania, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone, Romania. Ha pubblicato e pubblica con i maggiori
editori italiani: Garzanti, Rizzoli, Mondadori,
Einaudi, Rusconi, Cappelli. Ha collaborato e colabora con numerosi quotidiani e periodici.
Assieme a Marcello Fois e Carlo Lucarelli ha
fondato il «Gruppo 13» e con Renzo Cremante ha
fondato e dirige la rivista «Delitti di Carta» che
si occupa esclusivamente di poliziesco italiano.
Di pochi giorni fa l’uscita in libreria dell’ultimo
romanzo della serie di Sarti Antonio, Delitti di
gente qualunque, che sancisce, a cinque anni di
distanza il ritorno di Sarti Antonio, sergente.
Partiamo dal ritorno di Sarti Antonio.
Come lo ha trovato in salute?
Mi pare fossero cinque anni che non incontravo
Sarti Antonio, sergente. L’ho ritrovato mentre,
da clandestino e accompagnato da una guida eccezionale (una giovane che continuo a ringraziare), visitavo la Rocchetta Mattei in quel di Riola
di Vergato. Da clandestino perché la Rocchetta
era in uno stato miserando. Fortunatamente (o
sfortunatamente) la stanno restaurando.
Alla Rocchetta ero entrato più volte da ragazzo. Nei suoi meandri giocavo a guardie e ladri
e temo di essere stato sempre il ladro: quando
si dice il destino. All’incrocio di due corridoi mi
sono fermato, mi sono guardato attorno e ho pensato: “Ecco un posto dove Sarti Antonio, sergente, si troverebbe bene. Perché non portarcelo?”
L’ho fatto e mi sono trovato (ritrovato) bene con
lui, forse un po’ più affaticato del solito, ma sempre con una grande umanità. Almeno spero.
L’ambientazione del nuovo romanzo è decisamente diversa da quelle cui lei ci aveva
abituati. È dovuta al cambiamento di Sarti
o di Bologna?
Bologna. Non la riconosco più, non è più la mia
città. Meglio o peggio, non tocca a me stabilirlo:
lo farà chi ci abita. Io mi sono ritirato in montagna. Forse un giorno, se troverò il movente
giusto, proverò a tornare, assieme a SA, a ripercorrere i vicoli del centro storico. O i suoi sotterranei. Chissà.
Mi fa piacere sentirlo dire. A volte mi capita di
rivedere uno dei tanti film andati in onda (li
stanno ritrasmettendo da varie parti) e scopro
cos’è che faceva la differenza fra le storie di Sarti
Antonio e le altre. Le storie di Sarti Antonio, sergente, alla fine lasciavano (e lasciano) l’amaro in
bocca. Le altre finivano con il sorriso. Cosa c’è da
sorridere anche se hai scoperto il responsabile di
un qualunque delitto? C’è la consapevolezza che
le cose non finiranno qui. Che non finiranno mai
fino a quando la società che il delitto lo produce,
non cambierà obiettivo.
Allora, perché sorridere?
Ma forse sbaglio io: compito delle storie (televisive o letterarie) non dovrebbe essere far vedere
com’è il mondo, ma come potrebbe essere se…
Un po’ di gioia in un mondo che la gioia se l’è
dimenticata.
Ma poi mi viene il dubbio: e se si sognasse solo,
cosa sarebbe della realtà. Insomma, le cose sono
complicate.
Non so se l’offerta televisiva sia migliorata o no.
So che adesso, grazie a nuovi e giovani autori
italiani, possiamo vedere anche frammenti del
nostro mondo, del mondo nel quale viviamo noi.
Non soltanto come sono gli Usa o la Germania.
E per quanto riguarda le “letterature poliziesche” come trova il panorama italiano?
Crede che tra le nuove leve ci sia qualcuno
in grado di raggiungere gli ottimi livelli a
cui lei, Camilleri e altri hanno abituato il
pubblico italiano?
Ho sempre sostenuto, anche in tempi andati,
quando il noir italiano non era nelle litanie dei
santi, che per la rinascita del romanzo di genere italiano, servivano tre elementi. Uno di questi era l’apporto dei giovani. Oggi c’è e auguro
ai giovani di continuare a portare idee nuove. E
entusiasmo.
E come è cambiata, secondo lei, Bologna
negli ultimi trent’anni?
Come sono cambiate tutte le città del mondo.
Sono andate avanti. Il problema è che le città,
andando avanti, si sono lasciate dietro gli abitanti. Anche questa può essere una mia sensazione. E anche qui la risposta tocca ad altri.
Come si è avvicinato al mondo del giallo?
Nel modo classico: leggendo romanzi. Leggendo
si impara ad amare la lettura. E anche a scrivere.
Lei è stato un pioniere in Italia per quanto
riguarda le serie televisive di genere, e c’è
da dire senz’altro che la serie di Sarti Antonio, andata in onda la prima volta più di
vent’anni fa, resta ancora una pietra miliare. Che cosa è successo da allora in Italia?
Secondo lei è migliorata l’offerta televisiva
per quanto riguarda il giallo o il noir? Le è
capitato di vedere qualcosa di interessante
ultimamente?
Per finire, ci consiglia due libri da non perdere assolutamente?
Facciamo un romanzo tout-court e un romanzo di
genere. Per il primo, Don Chisciotte, il romanzo
dei romanzi, e per il genere, suggerisco un romanzo qualsiasi di Chandler.
Per quest’ultimo suggerimento, avrei voluto segnalare un mio romanzo, ma mi sembrava vergognoso.
Dario Goffredo
LIBRI 43
MARIO SPEZI
Dal mostro di Firenze al suo ultimo romanzo,
dal giornalismo d’inchiesta all’incontro con Tom Cruise
Mario Spezi ha una di quelle storie che da sole
sarebbero un ottimo soggetto per un romanzo o
per un film, tant’è vero che nientemeno che Tom
Cruise si è interessato alla vicenda che l’ha visto
coinvolto nelle indagini sul “Mostro di Firenze”.
Mario è il giornalista che ha coniato l’espressione di cui sopra e probabilmente è il più grande
esperto in Italia sui delitti del mostro. Con l’americano Douglas Preston ha scritto un libro, Dolci
colline di sangue, oggi introvabile in Italia e del
quale appunto Tom Cruise ha opzionato i diritti
per la realizzazione di un film. Proprio a causa
delle sue personali indagini sui delitti del mostro
di Firenze, Mario Spezi ha attirato l’attenzione
di un procuratore di Perugia che l’ha accusato
di depistaggio e complicità in omicidio fino ad
arrivare alla pesantissima accusa di essere lui
stesso il mandante degli omicidi. Per queste accuse il giornalista della Nazione ha anche visto
per qualche giorno il “sole a scacchi”.
Di questi giorni l’uscita in libreria di un nuovo
44 LIBRI
romanzo di Mario Spezi, un giallo, naturalmente, che vede la nascita di un personaggio che
non potrà che stare simpatico agli amanti del
poliziotto cafone e maleducato ma tanto bravo.
Il libro, Un’indagine estrema per il Commissario
Lupo Belacqua, non mancherà di sorprendere e
affascinare gli appassionati del genere. Abbiamo
scambiato due parole con Mario Spezi che ha accettato ben volentieri di rispondere alle nostre
domande.
Da dove nasce l’idea di un poliziotto così
fuori dagli schemi come Lupo Belacqua
che, nonostante la sua “cafonaggine” e la
sua ostinata maleducazione, riesce piuttosto simpatico?
Credo che si sia formato più che dentro la mia
testa, proprio nella mia pancia dando voce, certo
abbastanza sgangherata, a tutti quelli che non
ci vogliono stare in questa melassa politico-cultural- velinista, in cui si vuol mettere una lapide
a ricordo di Pinelli in questura, i repubblichini
sono uguali ai partigiani, per la fanciulla tutta
curve un futuro in un calendario o in Parlamento
è uguale, quelli di sinistra sono sempre i buoni,
Veltroni compra l’ appartamento a Manhatthan
alla sua bambina con i diritti d’autore americani
del suo romanzo (pubblicato in America da Rizzoli Usa, ossia dallo stesso editore italiano...),
Calderoli è un ministro davvero, ecc, ecc.
Lupo Belacqua mi ricorda per certi versi il
buon vecchio Ciccio Ingravallo di gaddiana memoria. È un’impressione sbagliata la
mia?
Se la sua impressione è giusta, la ringrazio.
Oltre al protagonista, nel suo romanzo ci
sono moltissimi comprimari piuttosto interessanti. Ce n’è qualcuno che lei ha amato
o odiato particolarmente?
Mi è molto simpatica l’anziana contessa Selvaggia, nobile un po’ decaduta ma con un suo autentico modo di vedere le cose e le persone, nonché
inesauribile miniera di gossip. Non sopporto
l’onorevole e la sua ganza consigliera regionale
che sfruttano il lavoro di quei due ragazzi.
Ultimamente si sta assottigliando sempre
di più la linea di confine tra romanzo giallo
e inchiesta giornalistica per quanto riguarda la documentazione, la ricerca e l’uso delle fonti, l’aderenza ai fatti. È così anche per
lei, o il giornalista Spezi e lo scrittore Spezi
non amano farsi vedere in compagnia?
No, frequento spesso il giornalista Spezi e mi sta
anche simpatico. Anzi, non riesco a separarmene. In fondo, L’ indagine estrema del commissario Belacqua, a parte il plot giallo, contiene tutte
cose vere... E in Dolci colline di sangue, che è
scritto come un romanzo, è vero anche il plot.
A quali maestri si ispira principalmente?
Il mio irraggiungibile punto di riferimento resta
il Truman Capote di A sangue freddo. Poi, subito dopo, viene quel “cafone” esagerato di James
Ellroy.
Quando l’ estate scorsa su Time lessi un parallelo tra il nostro (mio e di Douglas Preston) The
Monster of Florence e, appunto, In cold blood,
credetti di svenire.
Lei ha vissuto una vicenda che si avvicina
molto a un legal drama alla Grisham e che
ha interessato addirittura uno come Tom
Cruise. Ce ne vuole parlare brevemente?
Il problema è il “brevemente”. Ci provo. Io, per
il mio mestiere di cronista giudiziario de La Nazione, ho seguito i delitti del Mostro dal 1981
e, addirittura, coniai il nome “Mostro di Firenze”. Divenni, per i colleghi, scherzosamente il
“mostrologo”, perché sostenni l’innocenza delle
prime tre persone arrestate e di volta in volta
“liberate” da un nuovo delitto del maniaco. Così
come sono sempre stato e sono convinto dell’innocenza di Pacciani e dei compagni di merende.
Nel novembre 2004, un pm di Perugia, Giuliano
Mignini, lo stesso che accusa Amanda Knox e
Raffaele Sollecito, convinto che un medico perugino annegato nel Trasimeno nel 1985, fu ucciso
perchè membro della setta satanica composta di
Vip fiorentini (nobili, magistrati, carabinieri, poliziotti...) che stava per tradire, fece perquisire la
mia casa perché, a suo singolare modo di vedere,
“tentavo di depistare con articoli e trasmissioni
televisive” (sic!). Poi, si convinse addirittura che
io sono il vero Mostro, che fui io a ordinare l’ omicidio di Perugia, “visti i crescenti sospetti su di
me”, e questo era (per lui ancora è) il vero motivo
del mio tentativo di depistare scrivendo articoli
che riportano alla vecchia pista sarda. E così un
bel giorno dell’aprile 2006 fui arrestato, condotto
a Perugia, rinchiuso in galera e per cinque giorni
non potei vedere nessuno, avvocati inclusi. Dopo
23 giorni fui scarcerato dal Tribunale del riesame, che giudicò il mio arresto, oltre che destituito di ogni fondamento, “illegale”. Il mio punto di
vista è che io e Preston abbiamo rotto parecchio
le scatole, facendo vedere che la storia dell’indagine sul Mostro è stata in realtà una storia di
acquisizione e gestione di potere.
Ho parlato con Tom Cruise che mi ha detto: non
mi interessa fare un film sui delitti di un serial
killer, ma raccontare la storia di due amici giornalisti-scrittori, che, non convinti della giustizia
di un’indagine, si mettono a loro volta a ricostruirla e come ha reagito il potere: uno lo ha rispedito in America; l’ altro l’ha schiaffato in galera.
Da lettore, che cosa cerca in un giallo?
I personaggi (veri o verosimili) che abitano nel
male.
Per concludere, dove sta andando secondo
lei, la letteratura di genere in Italia?
Sta uscendo dal genere, finalmente. Almeno, è
quello che spero.
Dario Goffredo
LIBRI 45
MARCO ROVELLI
Con il nome di mio figlio – dialoghi con
Haidi Giuliani
Transeuropa Edizioni
C’è una Genova
che non deve essere messa da parte,
nonostante il tempo sia bravo a relegare ciò che conta
nei cantucci della Storia, ed è la
Genova del luglio
2001. Quella, per
intenderci, della
“costante violazione delle libertà fondamentali”,
quella in cui lo “stato di eccezione” mortificò i più
elementari diritti, quella in cui il senso umano
della democrazia conobbe la sua mattanza più
sottile. Anche in quel teatro aguzzino, come in
qualunque terreno horror-politico, le vicende
collettive si incrociarono con quelle singolari, e
per qualcuno in maniera più carnefice: per Haidi Gaggio in Giuliani, per esempio, accadde in
modo straziante. Da madre di ragazzo vivente,
si ritrovò il 20 luglio di quell’anno madre di figlio
assassinato, quindi in una condizione di maternità innaturale, illogica, per l’appunto inconcepibile per chiunque abbia messo al mondo una creatura. “Dopo, sono stata scaraventata in un’altra
vita. E allora è stato un andare brancolando, anche un po’ spintonata di qua e di là dagli eventi. È stato un andare, inizialmente, in cerca di
Carlo. In cerca del perché e del come e del chi l’ha
ucciso”. Inizialmente. Dopo, le tappe stordite di
questo girovagare si sono intersecate - attraverso un impegno politico piuttosto criticato, accusato di eccessivo personalismo - con i tanti altri
Carlo Giuliani d’Italia, con le storie sottaciute e
non esplose, in cui la nostra democrazia smarrisce tutta la sua dignità. Ora, questo percorso
estenuante è raccolto nel libro-intervista a cura
di Marco Rovelli, da cui fuoriesce soprattutto
un ritratto di madre molto poco affine alla tradizione del Bel Paese: in Italia, infatti, la mamma addolorata “concessa” è soprattutto quella
che sparge lacrime a profusione, possibilmente
in un angolo a misura di salotto televisivo, ad
anestetizzare l’indignazione. Haidi, di contro, è
una donna che ha scelto gli altri modi del dolore, quelli che si alimentano di sentimento della
testimonianza, e che si nutrono di ricerca della
verità. A distanza debita, dunque, dalle derive
dell’accettazione degli eventi, e da facili elemosine consolatorie capaci solo di obliare memoria.
Stefania Ricchiuto
DEMETRIO PAOLIN
Il mio nome è legione
Transeuropa Edizioni
Opera
soteriologica, questa prima di
Demetrio
Paolin,
battuta in ogni riga
da una ricerca certosina eppure furibonda: quella della
comprensione, il più
possibile affilata, del
meccanismo
della
salvezza quotidiana.
Il protagonista è un
Demetrio trentenne
analizzato in terza
persona, che girovaga per una geografia complessa, composta da scene attraversate dalle
rimembranze più intime come dalle memorie
più sociali. Aldo Moro, Renato Curcio, Vittorio
Alfieri, Cesare Pavese, sono alcune delle figure
appartenenti alla collettività e qui percorse da
suggestioni privatissime, che si possono riassumere tutte in una trinità stravagante eppure
sacra, realizzata da un padre morto, un fratello
affetto da una disfunzione sessuale, una donna
contorta. Tempo e spazio, in questo testo, sono
dimensioni tortuose, volutamente arzigogolate,
mai dalla successione logica, e proprio grazie a
questa cavillosità, labirintica e saltellante, procedono a favore della linearità di un’indagine,
diretta a Dio, all’Uomo, al Senso - non Senso
della loro comunione. Il rapporto tra salvatore e salvato è mediato dall’esistenza del male,
che è un elemento necessario del divenire, e
in quanto tale causa, effetto ma soprattutto
collante del rapporto creatore/creatura. Paolin
narra in terza persona e inscena proprio l’identità coesistente di chi crea ed è insieme creato,
perché solo osservare e praticare questa sinergia consente di cercare la misura delle cose, e
di orientarsi verso la razionalità delle nostre
scelte. L’atto della liberazione è soprattutto
una liberazione in atto, personale come diffusa,
e passa per quel laboratorio di umanità che è
dato dall’incontro tra la coscienza individuale e
il piano della massa, tra la percezione del singolo e la elaborazione della folla. Il mio nome è
Legione perché siamo in molti. Salvati, dannati,
si vedrà. Si vedrà dall’albero e dai frutti colti, e
dalla raccolta più o meno consapevole che sarà
stata.
Stefania Ricchiuto
LIBRI 47
48
WALTER MOSLEY
Little Scarlet
Einaudi
È l’agosto del 1965 e Watts
è un quartiere sotto assedio.
La guardia nazionale pattuglia le strade ridotte ad un
cumulo di macerie e carcasse
fumanti, gli sciacalli scavano
fra le rovine alla ricerca di
merce da ricettare, mentre
i negozianti rimettono insieme i resti delle loro attività.
Nel freddo letto del Miller
Neurological
Sanatorium
giace il corpo senza vita di Nola Payne, Little
Scarlet, la trentaquattresima vittima della rivolta. Il principale indiziato è un uomo bianco visto
in compagnia della ragazza poco prima del decesso, e poi scomparso nel nulla. Sulle sue tracce Ezekiel Rawlins, l’unico in grado di aggirarsi
nel quartiere senza destare troppi sospetti, che
se confermati, rischierebbero di scatenare una
nuova ondata di violenza. L’odore acre del fumo
e il battito incessante della rivolta accompagnano il nono capitolo della saga su Easy Rawlins.
Nato dalla penna dello scrittore afroamericano
Walter Mosley, questo personaggio è un veterano della seconda guerra mondiale, un amorevole
padre di famiglia ed un rispettato membro della
comunità nera. Proprio l’amore per la sua gente
lo spinge a collaborare con il dipartimento di polizia, nonostante i suoi dissapori con le autorità
bianche. Mosley attraverso il suo protagonista
ricostruisce la rabbia e la frustrazione degli afroamericani, ghettizzati e soffocati dall’asfissiante
repressione delle istituzioni bianche. “Questo è
un posto difficile. Ci sono uomini e donne che lavorano, tutti chiusi nello stesso recinto, e si fanno
il sangue amaro per quello che vedono e non potranno avere […] Ogni bambino cresce con l’idea
che solo i bianchi possano fabbricare cose, governare paesi e avere una storia. Vengono tutti dal
Sud, ed hanno conosciuto un razzismo talmente
brutale che non sanno cosa significhi camminare a testa alta. Si innervosiscono quando passa
un’auto della polizia. Si infuriano quando i loro
figli vengono portati via in manette. Quasi ogni
uomo e donna prova quella rabbia, ma non può
sfogarla. Questa rivolta, finalmente, lo ha detto
forte e chiaro”. Easy Rawlins è un incrocio fra
Marlowe e Spade: affascinante, risoluto e ruvido,
eppure la sua connotazione razziale lo differenzia dai suoi predecessori del filone hard boiled.
Sensibile alle ingiustizie sociali e alla difficile
condizione dei neri nell’America di fine anni ses-
santa, il detective Rawlins rappresenta un ponte
fra la letteratura mainstream ed il romanzo di
denuncia sociale. Einaudi porta per la prima volta sul mercato italiano Walter Mosley, che annovera fra i suoi estimatori l’ex presidente Clinton
e colleghi del calibro di George Pelecanos, e che
con questo romanzo, rimanda inevitabilmente il
lettore ai cambiamenti politici avvenuti quarantatre anni dopo la rivolta di Watts.
Roberto Conturso
ASCANIO CELESTINI
Lotta di classe
Einaudi
L’attenzione di Ascanio Celestini alle narrazioni con tema
il lavoro è nota: da Fabbrica,
racconto teatrale in forma di
lettera sul luogo operaio per
eccellenza, a Parole Sante,
documentario sull’isolamento collettivo e invisibile nei
call-center, è stato un susseguirsi di ascolto costante
ai processi disumanizzanti
della produttività. Ora, a
tutto questo si aggiunge un
romanzo, che pervade ogni riga dell’affabulazione
tipica di un teatrante-scrittore che confida sempre nell’atto pubblico (politico) della sua passione.
Quattro storie distinte eppure intersecate, che si
consumano in un condominio al margine, hanno
per protagonisti Marinella, Salvatore, Nicola, Patrizia: nomi collettivi di mille e più vite improvvisate, che allenano ogni giorno una resistenza affannata contro la deriva del precariato, riuscendo
solo ad ingarbugliarsi irreversibilmente all’interno di un meccanismo infido e fagocitante. Il precariato, infatti, occupa il tempo, in ogni frammento,
e non ne affranca nemmeno il più infinitesimale
ritaglio. Per prendere coscienza di una condizione
insostenibile, invece, si ha necessità di uno spazio
di rielaborazione ampio, in cui esercitare l’autoosservazione e maturare consapevolezza di quel
che si è, e di quel che si sta divenendo. Con Lotta
di classe, Celestini ci restituisce ancora una volta
il sentimento della “quotidiana popolarità”, invitandoci, tra le scene del suo intreccio, a riflettere
sulla percezione della precarietà e sulla possibilità di smettere di farne parte per tornare ad essere
“umani”. Il cambiamento, però, passa sempre attraverso un conflitto, e negli ultimi tempi questo
sta divenendo pretesto di un dissenso sempre più
“interno”, che disperso nella frammentazione non
può muovere ribellione verso l’unico nemico reale.
Stefania Ricchiuto
LIBRI 49
GARGOYLE
EDITORE
Le paure ancestrali dell’uomo sono materie talmente sottili da richiedere un’attenzione analitica. In Italia, prima del 2005 venivano curate,
con risultati discutibili, dall’editoria più “generalista”, ma da quattro anni l’horror e il dark
fantasy possono rintracciare anche nel Bel Paese una realtà totalmente dedita alla dimensione dell’incubo. Ne abbiamo parlato con l’editore
Paolo De Crescenzo e la responsabile dell’ufficio
stampa Costanza Ciminelli.
“Rubate” il nome alla figura mostruosa di
pietra che si sporge dalle sommità delle
cattedrali gotiche, pronta ad animarsi in
caso di aggressione. Denominarvi ispirandovi ad un simbolo di “custodia” è stata
una scelta ben precisa?
L’immagine del gargoyle ci è sembrato simboleggiasse efficacemente il tipo di scelta editoriale che
anima la nostra avventura letteraria. Sinceramente non pensavamo di svolgere alcun ruolo di
“custodia”, ma considerando alcune recenti tendenze dell’horror letterario e cinematografico…
Con la vostra comparsa, avete garantito
al pubblico italiano la possibilità di conoscere autori stranoti all’estero, ma qui sconosciuti. Il vostro è stato un forte atto di
opposizione contro un mercato fortemente
50 LIBRI
monopolizzato, abitato fino ad allora quasi esclusivamente da nomi come Stephen
King e Anne Rice…
La nostra attività è nata come una sfida: sapevamo che le possibilità di affermare quello che è il
“parente più povero” tra i generi erano minime,
anche sulla scorta delle esperienze negative vissute dai pochi coraggiosi che ci avevano preceduti. Abbiamo cercato di sottolineare tale provocazione puntando sulla qualità, sia dei contenuti
che della veste editoriale. Da un lato, quindi,
volumi rilegati, carta bianca della migliore tipologia, cura redazionale; dall’altro, ricerca di
quello che ci sembrava al momento il meglio del
panorama horror internazionale, a prescindere
dalla notorietà dei nomi. Devo dire che i risultati
sono stati superiori alle aspettative: spesso si fa
torto al pubblico, continuando a propinargli solo
i “soliti noti” e ritenendo che non sia in grado di
apprezzare scelte più “particolari”.
Avete incominciato pubblicando due scrittori americani, la Yarbro e Nassise, e sembrava fosse vostra intenzione dedicarvi
esclusivamente alle traduzioni di produzioni estere. Perché questa barriera iniziale rispetto alle narrazioni italiane?
In realtà non abbiamo mai affermato che intendevamo porre barriere. Abbiamo sempre detto
che l’unico parametro di scelta era di tipo meritocratico. Siamo stati, quindi, ben lieti di avere
l’opportunità di dimostrare che non esistevano,
e non esistono, preclusioni di sorta: se un testo
ci piace, lo pubblichiamo, indipendentemente dal
fatto che sia americano, francese o turco…
Poniamo un attimo l’attenzione sull’“estro
gotico nostrano”: nel vostro catalogo è
comparso il nome di Gianfranco Manfredi...
Manfredi era ed è tuttora quello che riteniamo
il migliore tra gli autori italiani che si sono cimentati in modo continuativo con l’horror. Prendemmo contatto con lui via e-mail chiedendogli
di poter ripubblicare il suo Magia Rossa: da lì
sono nati un’amicizia e un sodalizio professionale che ci auguriamo siano destinati a durare.
Gianfranco negli ultimi anni si era dedicato al
fumetto, ottenendo grandi soddisfazioni e notorietà internazionale, ma forse sacrificando un
po’ la vena autoriale che ha fortemente radicata
dentro di sé: conversando, è tornata a scattare la
scintilla che era sopita, lo stimolo ad approcciare
nuovamente una dimensione narrativa di grande respiro. Lui dice di non essersi mai trovato
così bene come con Gargoyle, e noi vorremmo
tanti Gianfranco Manfredi...
Ora una domanda sul senso della narrativa
horror, che è animata da figure archetipiche ricorrenti: fantasmi, vampiri, demoni.
Indagare certi ruoli surreali può aiutare
a smascherare gli “effettivi costruttori di
paura” della nostra società?
È confermato che l’horror esercita una funzione esorcizzante rispetto alle paure e agli incubi
della quotidianità, tant’è vero che conosce regolarmente periodi di massima frequentazione
quando le situazioni di crisi si fanno più intense
e diffuse. In questo senso, esercita sicuramente
un ruolo “sociale”. Stabilire se possa servire a
smascherare i “veri mostri” è problematico: per
ogni opera narrativa esistono vari piani di lettura e ciascuno è libero di trovarvi all’interno i
significati di cui è alla ricerca.
Peraltro, molti intellettuali, soprattutto
statunitensi, riconoscono al genere horror
una funzione di resistenza culturale nei
confronti di due massimi poteri: la religione e la scienza…
Gli Stati Uniti sono un paese animato da una
concezione morale e religiosa molto sui generis,
pronta a rispondere a stimoli anche francamente
improbabili... pensiamo alle chiese più o meno
esotiche, ai predicatori televisivi e da tendone,
alle varie sette. Gli scrittori americani, pertanto,
hanno buon gioco nell’affondare il bisturi in tali
fenomeni. Molto più difficile è conseguire qualche risultato in una realtà come quella italiana,
dove la religione è stata sempre vissuta come
una faccenda estremamente seria, condizionando scelte artistiche e vita culturale, e rendendo
difficoltoso l’affermarsi di un genere che la Chiesa cattolica ha sempre pesantemente avversato.
La scienza costituisce un discorso a sé: se in passato ha costituito terreno d’esercizio per alcuni
scrittori horror, la fantascienza e il sempre più
rapido progresso tecnologico hanno sostanzialmente svuotato di contenuti il sottogenere specifico, che resiste soprattutto in zone franche quali
le graphic novels e i giochi di ruolo.
Opererete un salto anche nella saggistica?
Gargoyle ha già operato un’incursione nella saggistica, pubblicando The Dark Screen. Il mito di
Dracula sul grande e piccolo schermo di PezziniTintori, in assoluto la prima guida che cerca di
sistematizzare la sterminata filmografia relativa
al mito di Dracula, dagli inizi del ‘900 a oggi. Il
volume si distanzia da qualsiasi impostazione
manualistica, procedendo per percorsi tematici. Ne emerge uno studio che va oltre i confini
dell’iconografia, in cui critica cinematografica,
politico-sociale, di costume, psicanalitica, antropologica, si armonizzano in una prospettiva
di approccio del tutto inedita. Contiamo di proseguire nell’analisi di altri archetipi dell’horror,
e proprio in questa direzione va l’imminente
riedizione di Io credo nei vampiri di Emilio de’
Rossignoli, una chicca introvabile da decenni.
Pubblicato per la prima volta nel 1961 e ormai
assorto al rango di cult, costituisce un’opera fondamentale per la comprensione del revenant,
che spiega gli aspetti strutturali e le principali
chiavi interpretative del mito di vampiro, senza
dimenticare una salutare dose d’ironia.
Terminiamo con un invito alla lettura…
È appena uscito La maledizione degli Usher di
McCammon. Concepito come proseguimento de
Il crollo di casa Usher, tra i racconti più celebri
di Poe, il romanzo costruisce un avvincente intrigo su una potente dinastia di armatori statunitensi, che svela a poco a poco una densa e suggestiva trama di segreti, ossessioni, omicidi, fughe
e tentativi di rivolta. Ruolo di primo piano nella
storia assume la maestosa tenuta degli Usher,
un sinistro labirinto dove, da tempo, nessuno osa
avventurarsi…
Stefania Ricchiuto
LIBRI 51
CINEMA TEATRO ARTE
K-NOW
Cinque giorni per consacrare il teatro
Guidati dalla voce squillante di Simone Franco
al megafono, un omone barbuto vestito di nero e
con tantodi occhiali da sole, che invitava il pubblico a ricordare (Ricordati di ricordare, testo di
Valentina Diana) abbiamo attraversato un luogo, ricco a suo modo di esperienze e storie personali come l’oratorio della chiesa dei Salesiani
52 cinema teatro arte
di Lecce, e attraversandolo l’abbiamo modificato,
perché quelle stanze, quegli spazi sono diventati
ora un ospizio per anziani del futuro, ora un’aula
di tribunale, ora la sala prove di un teatro, ora
un campo di calcio, ora il camerino di un grande
teatro di posa, ora si sono fatti spazio etereo dove
corpi e voci hanno modellato e disegnato ogget-
ti creativi non identificati (per parafrasare Wu
Ming) come la splendida Lea Barletti che danzava (fluttuava?) sul tetto della chiesa a più di dieci
metri di altezza.
Il risultato di questo K-Now 2009 - Showcase del
teatro pugliese, è andato probabilmente oltre le
aspettative degli stessi organizzatori. Appena
cinque giorni per allestire più di una decina di
spettacoli, coordinare una trentina di persone
tra attori, registi, drammaturghi e tecnici, disegnare un percorso e una scaletta che non hanno
mostrato (se non quelle inevitabili) sbavature. E
alla fine la forza delle idee e del progetto di Werner Waas e Induma Teatro hanno decisamente
prevalso sulla scarsità di tempo e mezzi, dimostrando come in teatro non servano grandi scenografie per creare una magia che difficilmente
si staccherà dalla pelle di chi vi ha assistito,
come nella bellissima performance di Cecilia
Maffei e Fabio Tinella sul testo di Vittoria Bagnasco Gli illuminati.
La particolarità di questa seconda edizione di
K-Now era che i partecipanti hanno interagito
con i testi vincitori della prima fase del Premio
di drammaturgia “Il centro del discorso” e altri
testi selezionati che, se pur non vincitori, sono
stati ritenuti comunque interessanti dalla Giuria. Ne è venuto fuori un dialogo intenso e ricco
di spunti e proposte, tra attori, registi e drammaturghi che non ha mancato mai di divertire,
emozionare e a volte commuovere o scuotere il
pubblico, come Vito Greco che interpretava Gli
illuminati in fondo a un labirintico scantinato
buio. E poi la lettura scenica de La facciata, testo di Francesca Sangalli, letto da Lea Barletti,
Michele Bee, Andrea Buttazzo, Cecilia Maffei,
Giuseppe Semeraro, Werner Waas, con gli effetti
sonori di tobia Lamare, una divertente dimostrazione del lavoro di una compagnia teatrale alle
prese con un testo.
Citiamo ancora Lemmings, testo di Lisa Nur
Sultan, con Roberto Corradino, Antonella Iallorenzi, Valentino Ligorio, Roberta Mele, Francesca Sangalli ed Erik Sogno, dissacrante e cinico
scambio di battute sulla vita e sul teatro, esilarante e spietato numero di avanspettacolo pulp.
La nota stonata di questo K-Now, che si è svolto
dall’1 al 5 giugno, è stata la mancata partecipazione delle altre realtà teatrali salentine. Colpevoli assenze tra gli spettatori degli organizzatori
e degli animatori della scena teatrale cittadina
“ufficiale”, a dimostrare che “sinergia”, “rete”,
“collaborazione” sono ancora parole usate, troppo spesso, a casaccio e prive di reale significato.
Ognuno resta chiuso a coltivare il proprio orticello, senza badare alle piantagioni che crescono a
due passi dal suo podere.
Quello che ci auguriamo noi è che K-Now, così
come il Centro del discorso, siano dei vivaidove
cresceranno le proposte del teatro di domani. E
non solo salentino.
Dario Goffredo
cinema teatro arte 53
MAGGIO
ALL’INFANZIA
Si è conclusa la storica manifestazione
dedicata al teatro ragazzi
Il Maggio all’Infanzia, storico festival diretto dal
Teatro Kismet OperA, quest’anno è migrato a
Bari. Dopo la lunga esperienza a Gioia del Colle, location storica che ha ospitato tutte le sue
edizioni precedenti, il festival è approdato nel
capoluogo pugliese, con delle appendici in contemporanea a Ruvo di Puglia, Foggia e Barletta.
Proposto dalla Fondazione Città Bambino e fortemente sostenuto dall’ Assessorato alle Culture
del Comune di Bari, il Maggio all’Infanzia, con il
contributo anche di Provincia di Bari e Regione
Puglia, continua a essere allo stesso tempo vetrina del teatro ragazzi italiano, rivolta agli operatori di teatro, e grande festa dedicata ai bambini
e alle famiglie.
Il festival si è svolto dal 21 al 25 maggio in due
luoghi differenti, all’aperto e al chiuso: piazza
Diaz sul lungomare, per una partecipazione più
allargata e totalmente gratuita, e il Teatro Kismet OperA, con spettacoli per cui si era previsto un biglietto simbolico di due euro, “per motivi
organizzativi e per educare i bambini al teatro”
– come afferma Cecilia Cangelli, responsabile
artistica del festival. Il festival è stato inaugurato nel pomeriggio di giovedì 21 maggio con una
festa in piazza Diaz, sul lungomare della città. Il
Mokica-bar bimbo mobile, sperimentato con successo anche nel corso delle precedenti edizioni,
ha aperto le danze, attraendo sotto il suo grande
gazebo una folla di bambini schiamazzanti, an54 cinema teatro arte
siosi di improvvisarsi pasticceri e pizzaioli, con
tanto di grembiuli e strumenti da cucina.
Alle 18, per più di un’ora, l’immancabile Battaglia dei cuscini, a cura della Compagnia Il Melarancio, ha creato un’atmosfera scatenata e divertente: centinaia di cuscini sono stati lanciati
dall’alto, creando una suggestiva pioggia colorata. I bambini si sono lanciati in pista dando vita
a una morbida battaglia, che ha finito inevitabilmente col coinvolgere anche genitori e curiosi. Oltre che col rallentare il traffico della strada adiacente alla piazza. Il gioco più antico del
mondo non smette di entusiasmare, far sfogare e
divertire tutti. A chiudere il programma di piazza Diaz per il giorno di inaugurazione, Gianni
Risola, con il suo direttore di circo senza circo,
Otto Panzer: “Mi raccomando, bambini, non il
contrario, PanzerOtto: non è bello”. Ha chiuso
la serata Il circo poetico, di Girovago e Rondella,
uno spettacolo originale, parodia del circo, con
animali di gommapiuma e marionette di cartapesta. Il giorno successivo, venerdì 22, il Maggio
all’Infanzia ha cominciato con una “Camminata”, a cura del collettivo di artisti Osservatorio
Stalker, che, partendo da piazza Diaz è giunta
alla spiaggia di Pane e Pomodoro, tracciando con
corde e palette i confini della città dei desideri e
“ricostruendo con la sabbia i luoghi che abitiamo,
che ci piacciono o ci fanno paura”. Sabato 23 ci
si è spostati al Teatro Kismet, dove, tra gli altri,
il CREST di Taranto ha presentato in anteprima
nazionale la sua ultima produzione Hansel e Gretel, regia di Michelangelo Campanale.
Il programma è stato inoltre arricchito da un
nuovo spazio, la Sala Prove dell’Istituto Penale
per i Minorenni “N. Fornelli”, che ha ospitato la
compagnia foggiana Burambò con una versione
grottesca e originale della tragedia greca Alcesti.
Nel corso della stessa giornata sono stati previsti
altri eventi contemporanei in piazza Diaz: ancora il Mokica bar bimbo mobile e La battaglia dei
cuscini e in serata lo spettacolo Kali Yuga di Libera Scena ensemble.
Domenica 24 la fanfara itinerante della scuola
secondaria di I° grado “Manzoni – Lucarelli” è
partita da piazza Ferrarese per arrivare alla
base, ancora piazza Diaz. Dove sono stati replicati per la quarta volta, ma accolti ugualmente
con un entusiasmo straordinario, il Mokica e La
battaglia dei cuscini. La penultima serata si è
conclusa con lo spettacolo Luna sulla luna della
compagnia abruzzese Il draghetto, scelta come
segnale di sostegno alla cultura prodotta dalle
popolazioni colpite dal terremoto.
Contemporaneamente, sul palco del Kismet è
andato in scena L’elefante smemorato e la papera ficcanaso di Burambò, seguito alle 11,15
da Viaggio al centro della terra del Cerchio di
Gesso di Foggia, con la regia di Simona Gonella.
Nel pomeriggio ancora spettacoli: Monica Mattioli con Come sorelle, uno spettacolo che parla
dell’olocausto attraverso gli occhi dei bambini di
allora, ma anche attraverso lo sguardo dei bambini di oggi; seguito da Tib Teatro con Il volo di
Icaro e dalla Compagnia Mosika, con il suo delicato spettacolo Un paese di stelle e sorrisi, vincitore del Premio Scenario Infanzia 2008, in cui al
centro della storia ci sono una madre africana,
costretta a lasciare il proprio paese e sua figlia.
Ultimo spettacolo, Due, dei giovani baresi di
Fibre Parallele, spettacolo consigliato a un pubblico over 16: scelta discutibile per un “festival
bambino”.
Lunedì 25 il festival si è chiuso in mattinata con
due spettacoli: Il gatto e gli stivali, diretto da
Lucia Zotti, in scena al Kismet, e Inboccallupo
di Paolo Comentale, proposto invece alla Casa di
Pulcinella.
Quest’anno il festival si è arricchito, tra venerdì
22 e sabato 23, di una programmazione contemporanea a Foggia, Ruvo di Puglia e Barletta.
Elisabetta Lapadula
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NICO CIRASOLA
Focaccia blues
Da un lato un’America con i suoi grattacieli di cartone,
dall’altro una Puglia
gialla, giallissima quasi bruciata - e azzurra, grano e erba,
e cielo che sembra
quello di un affresco
sacro o dell’acquerello
improvvisato
di un bambino. La
corvette di Manuel
(Luca Cirasola), che
incombe nel Paese e
la gente si ferma a toccarla quasi non avesse
mai visto un’automobile, e l’ape di Dante (Dante Marmone), fruttivendolo innamorato degli
odori della terra. In Focaccia Blues di Nico
Cirasola si scontrano due mondi e due tempi,
quello velocissimo di chi deve fare tutto di corsa
e anche per mangiare non può sprecare più di
mezz’ora, e quello lento, immobile, di un paese
dove ci sono ancora i calzolai e si aspetta per
far lievitare la pasta di una focaccia o per seccare i pomodori al sole. Pellicola a metà strada fra commedia e documentario, che vede gli
abitanti di Altamura diventare attori improvvisati e raccontare di fronte alle telecamere dopo un’immancabile presentazione personale
con nome, cognome e data di nascita scanditi a
chiare lettere - la piccola e vera epopea di una
locale focacceria che sconfisse la concorrenza
del McDonald’s. Non manca un tocco di romanticismo con la delicata storia d’amore tra Dante e la sculettante Rosa (Tiziana Schiavarelli),
riconquistata grazie al cibo, gustoso, genuino,
sensuale. Una nuvola di magia terrena, tutta
concreta, avvolge questa terra orgogliosa di non
essere moderna e nemmeno un po’ alla moda, e
il fruttivendolo Dante, armato di un libro sulla
medicina dei semplici e di erbe capaci di curare
tutti i mali, diventa quasi un guaritore d’altri
tempi. Il totem del McDonald’s, anacronistico invasore straniero, è costretto a deporre le
armi, seppur qualche suo nostalgico sopravvive: i vecchi che ci andavano per godersi l’aria
condizionata, la famiglia che portava i bambini
a passare un compleanno diverso, o i giovani
che l’avevano scelto come luogo di ritrovo. Sì, il
McDonald’s qualcosa di buono ce l’aveva, ma di
certo non era il cibo.
Francesca Maruccia
MARCO BELLOCCHIO
Vincere
È l’inizio del secolo, anno
1917.
Il giovane socialista rivoluzionario Benito Mussolini incontra casualmente
una donna: bella, coraggiosa e passionale tanto
quanto lui.
Il suo nome è Ida Dalser.
Ida lo seguirà nel suo percorso, lo appoggerà e lo sosterrà come donna, l’amerà e lo rispetterà come
amante, l’ascolterà e lo consiglierà come amica
vendendo tutti i suoi beni per fondare il “Popolo
d’Italia”.
Da quest’amore all’apparenza senza uguali seguirà un matrimonio che si completerà con la
nascita di Benito Albino Mussolini, erede riconosciuto dallo stesso padre.
Ma il Duce è irrefrenabile. L’ascesa al potere di
lui coincide con la discesa nel limbo per lei, infatti senza alcun motivo apparente, decide di escludere dalla propria esistenza sia Ida che il bambino trainando le loro vite in un disegno fatale già
pianificato: manicomio, celle, buio ed oblio.
Se nel cast leggi nomi come Timi e la Mezzogiorno guardare il film già ti stuzzica, se in più a
miscelare la luce ci pensa Daniele Ciprì il gioco
è fatto ma se vogliamo la ciliegina sulla torta
basta sapere che il regista è Marco Bellocchio,
allora lì si va a colpo sicuro.
Il film si apre con una storia d’amore passionale,
forte, invidiabile.
Te lo fa “pesare” subito quell’amore e tu ne percepisci il carico, la forza, rendendoti conto come
molte volte l’amore di uno basta a tutti e due.
E poi c’è lui che è la causa, il carnefice di
quest’“amore folle”: Benito Mussolini.
Le mani cinte alla vita, il petto in fuori, il mento
alto, gli occhi sicuri, una mimica conosciuta ma
non facile e rese molto bene da Timi.
Bellocchio mescola immagini di repertorio, scritte futuriste e film d’epoca alla fiction con una
naturalezza tale che l’immedesimazione non ha
bruschi scatti, anzi alcuni passi come il Monello di Chaplin visto da una madre che non vede
il figlio da tre anni rendono il tutto ancora più
toccante.
Vincere insomma non è mai stato così bello, anche se a Cannes non la pensano così.
Giusi Ricciato
cinema teatro arte 57
58
EVENTI
SABATO 13
The Morlocks all’Arci di Novoli (Le)
L’ultimo appuntamento di Keep Cool, la rassegna organizzata da CoolClub che questa’anno è
giunta alla sua quinta edizione si preannuncia
infuocato. Sul palco infatti saliranno i Morlocks
del leggendario Leighton Koizumi, mito vivente
del garage punk, carismatico ed indimenticabile
cantante e front-man nippo-americano di Gravedigger V e Morlocks, misteriosamente scomparso
agli inizi degli anni novanta e tornato clamorosamente sulle scene in questo primo scorcio
del nuovo millennio per riprendersi lo scettro di
miglior “Garage-Punk singer” del pianeta terra.
Antonio Castrignanò a Calimera (Le)
La passione delle Troiane nell’area archeologica
Santi Stefani di Vaste (Le)
Una stanza. Un morto. La presenza di alcune
donne in lacrime ne sanciscono il ricordo; la
memoria di una mancanza riecheggia nei loro
lamenti, e solo in essi ha ragione d’esistere. La
presenza del coro alimenta la possibilità di ricreare atmosfere sonore e rimandi a luoghi vicini e
lontani dove confluiscono sentimenti, voci, parole che si manifestano insieme alle azioni e alle
immagini. Le musiche eseguite dal vivo e composte dagli stessi interpreti, assumono un ruolo di
primo piano sulla scena al pari dei testi e delle
azioni. Così musicisti, cantanti e attori divengono protagonisti di una rappresentazione che si
pone tra il teatro e la musica, tra il concerto e lo
spettacolo. Ed è straordinariamente inevitabile,
alla fine, ritrovarsi ad un ritorno, all’essenza:
l’umano dolore di una madre e l’innocenza sacrificata del figlio amato, una tragedia. Lo spettacolo intende coniugare le Troiane di Euripide
con il tema della Passione di Cristo, scegliendo
di dialogare con la tradizione grika del Salento.
“Passiuna tu Christu” è un canto dell’area grika
salentina. L’idea nasce dalla volontà di accostare il lamento delle donne di Troia, alle moroloja,
ovvero i pianti che un tempo le donne facevano
a pagamento per un morto del quale appena a
ERCHIE CITY ROCKERS
Erchie, un piccolo paese della provincia di Brindisi, si afferma ancora una volta come la patria
del Rock in Puglia. Un cartellone prestigioso che
vedrà l’esibizione di artisti internazionali.
Aprirà la stagione il 6 Giugno Alli Matonni, Jonny Kaplan & Lazy Stars, artista californiano che
suona un rock intriso di Ry Cooder e Rolling Stones. Sempre l’Associazione Acme il 27 Giugno
ospiterà nel Festival America & Folk i romani
Her Pillow, ottima band che fonde musica irlandese all’energia del punk; l’8 luglio da Athens
(la città dei R.E.M.) sbarcano per la prima volta
in Italia i Tishamingo. Il 17 Luglio, sempre Alli
Matonni, suonerà la leggenda del country rock
Commander Cody, artista poliedrico che da 40
anni porta in giro la sua arte fatta di spirito psichedelico e suoni rock’n’roll. L’1 Agosto ci sarà la
4° edizione del rock’n’roll party. Quest’anno tra
gli ospiti - Fabulous Daddy (rock’n’roll da Senigallia), Rekkiabilly (rockabilli rock’n’roll da bari)
e Roxi Rose (burlesque show da Ascoli Piceno), Il
festival si terrà nello spazio antistante il Campo
Sportivo, immerso in una scenografia preparata
ad hoc. Il 3 agosto ci spostiamo di 2 Km, presso
la Masseria Stasi tra Erchie e Torre S.Susanna.
Torna la terza edizione del Pagliarotto Festival,
organizzato da Giancarlo Pagliara e l’Associazione Petra. Andy J Forest sarà l’ospite quest’anno
della 5° festa della birra. Organizzata dall’Ass.
Acme, Alli Matonni. Armonicista virtuoso, cantante e chitarrista, Andy J. Forest è quello che
si definisce un artista poliedrico, che non solo
nella musica esprime il suo talento multiforme,
ma anche nella pittura e nella scrittura. Martedì
18 agosto l’American & Folk Festival presenterà
l’artista di New Orleans Washboard Chaz. Vera
star di New Orleans, artista simbolo della città.
Con il progetto Washboard Chaz Blues Trio il suo
genio musicale, espresso nelle varie forme dell’intero patrimonio musicale americano, si esprime
in un country blues acustico, innovativo e moderno, contaminato dalle sue origini newyorkesi e
dal jazz della città adottiva. Il Festival si concluderà il 5 Settembre con il concerto degli W.I.N.D.,
la reincarnazione delle storiche bands dei fine
anni Sessanta, quando la magica formula del trio
evocava ipnotiche atmosfere blues nelle quali la
creatività della band si esprimeva nelle grandi
jam strumentali. Un mix di rock, psichedelia ed
improvvisazione, accenti “jazzy” tipici dei power
trio di un tempo, un sound dai sapori “vintage”.
Per concludere questo cartellone musicale non
poteva mancare Sanscemo festival, giunto all’edizione N°12 e si terrà il 31 Ottobre. Sono aperte
le iscrizione a tutti coloro che hanno il fegato di
salire su quel Palco.
Giuseppe Scarciglia
59
volte conoscevano il nome.
Sud Sound System al Parco Gondar di Gallipoli
(Le)
MERCOLEDÌ 17
Artur Blues Band alla Suite 77di Maglie (Le)
Attiva dall’ormai lontano 1996, la formazione
oggi vede Matteo Resta (basso) e Francesco Pellizzari (batteria) avvicendarsi alla chitarra e alla
voce di Arturo Sanzò.
Considerando le sperimentazioni dei grandi del
passato e le singole esperienze personali, la band
crea il denominatore comune di una scelta stilistica originale, pur mantenendosi fedele ai rigorosi canoni del vintage. Il risultato è un cocktail
di Blues, Funky e Rock’n’Roll. Le licenze “bluesistiche” rendono i testi allegri e ironici.
VENERDÌ 19
Dynamic Jazz Trio al Kalì di Melpignano (Le)
Venerdì 19 giugno sarà possibile ascoltare le
note jazz del Dynamic Jazz Trio che si esibirà
con un repertorio che varia dai grandi classici
del jazz americano come Summertime e The girl
from Ipanema ai classici del pop come Killing me
softly e e a pezzi intramontabili della tradizione
italiana come Amarsi un po’ di Lucio Battisti.
Il tutto interpretato dalla voce raffinata della
cantante accompagnata da musicisti di grande
esperienza.
Tobia Lamare dj-set al Relitto di Otranto (Le)
SABATO 20
La Notte Rosa a Otranto (Le)
Un viaggio poetico, coreutico e musicale attraverso le suadenti suggestioni del Tamburo che è
dualismo dialettico, dimensione complementare
di caos e ordine. Tamburo “madre” dei diversi
popoli del mondo, tamburo anima della nostra
tradizione musicale, tamburo evocativo della
notte dei tempi e della creazione, tamburo che
riconduce all’universo armonico e al “noi”.
DA MARTEDÌ 23 A MARTEDÌ 30
Filmare la musica e il territorio a Sternatia (Le)
Parte il primo dei sette workshop del progetto
“La Taranta nella Rete” con il quale La Notte
della Taranta entra a far parte della Rete dei Festival italiani aperti ai giovani.
Il seminario, a cura di Paolo Pisanelli, con il
coordinamento di Big Sur e Cinema del Reale,
mira ad approfondire poetiche e pratiche dell’attività di filmaker in percorsi di sguardo e di
ascolto sul territorio. Tutte le info su workshop,
incontri ed eventi su www.latarantanellarete.
wordpress.com
MARTEDÌ 23
Wine Sound System al Soul Food di Torre
dell’Orso (Le)
Una serata tra buon vino e buoni ascolti, un
percorso eno-musicale sul lungomare di una
delle più belle spiagge del Salento in compagnia
del “gastrofilosofo” Don Pasta
MERCOLEDÌ 24
Eneri alla Suite 77 di Maglie(Le)
Prende il via la seconda edizione della Notte
Rosa di Otranto, un lungo appuntamento dedicato all’arte al femminile tra musica, letteratura, teatro, arti visive e sociale per un cartellone
ricco di incontri che si svolgeranno, dal tramonto all’alba, in cinque aree nel cuore di Otranto.
Ospite d’eccezione Alessandra Amoroso, vincitrice dell’ultima edizione della trasmissione “Amici”. Ingresso libero. Info 0832.303707.
DOMENICA 21
Tamburo Tao all’Archivio di Stato di Brindisi
Cantautrice/pianista/chitarrista, Eneri propone un repertorio originale fatto di canzoni in
italiano, inglese e francese dove la ricercatezza
dei suoni ma allo stesso tempo la semplicità delle composizioni creano un’atmosfera elegante e
piacevole.
Zina al Palazzo dei celestini a Lecce
GIOVEDÌ 25
Tobia Lamare + Creme al Soul Food di Torre
dell’Orso (Le)
VENERDÌ 26
60 EVENTI
Vuaolè Vocal Quartet al Kalì di Melpignano (Le)
Quartetto vocale composto da Irene Scardia, Carolina Bubbico, Antonella Mucelli, Grazia Sibilla
caratterizzato da una notevole vivacità ritmica
e da una assoluta originalità melodica. Le voci
propongono brani inediti e arrangiamenti originali di noti brani che spaziano nella musica
world, jazz e sperimentale. Gli arrangiamenti
sono a cura di Irene Scardia e Carolina Bubbico
per i testi di Annamaria Amabile e Massimiliano
Manieri.
E-missioni zero a Castrignano del Capo (Le)
DA SABATO 27 A LUNEDÌ 29
Jazz in Veglie al Convento dei Francescani a Veglie (Le)
SABATO 27
Her Pillow a Li Matonni di Erchie (Br)
Secondo appuntamento con America Folk Festival, la rassegna di musica blues, rock, bluegrass
e country. Her Pillow è un progetto musicale che
unisce due stili ben diversi per cultura e per caratteristiche. Da una parte le ballate e le canzoni popolari di Irlanda con le progressioni e le
sonorità tipiche della musica celtica, dall’altra
l’impatto violento, anche se a tratti intimista,
del rock degli anni ‘80 (Pogues, Tom waits, The
Clash). Tutti i concerti del festival si svolgono
presso la località Li Matonni in via Stazione. Ingresso 10 euro.
Premio Apollonio al Rettorato dell’Università del
Salento a Lecce
Il Sabatone al Buenaventura, litoranea San Cataldo - San Foca (Le)
Torna anche quest’anno la festa più calda
dell’estate, primo appuntamento con l’imperdibile Sabatone di Tobia Lamare. Un viaggio attraverso il Funky, la disco music e il sound degli
anni ‘70, le atmosfere del mitico studio 54, Bee
Gees, Cool and the Gang, Chic e poi il Rock e il
LA TARANTA NELLA RETE
punk, la loro energia e la loro carica trascinante.
Ingresso gratuito.
GIOVEDÌ 2 LUGLIO
Tobia e Creme al Molly Malone di Lecce.
VENERDÌ 3 LUGLIO
Nicola Piovani a Palazzo dei Celestini a Lecce
SABATO 4 LUGLIO
Notte bianca a Lecce
DOMENICA 5 LUGLIO
Voice of Jah al Buenaventura, litoranea San Cataldo - San Foca (Le)
Un appuntamento in riva al mare dedicato al
reggae. Nel Salento approderanno infatti le voci
emergenti del panorama reggae italiano per una
gara canora in riva al mare. Ospite della serata
il cantante raggamuffin tarantino Fido Guido.
Giudici della competizione due dei rappresentanti del reggae salentino: Treble e Gopher, i
vincitori si aggiudicheranno un’esibizione a fianco di Treble in uno dei festival di musica reggae
salentini. Ingresso gratuito.
MERCOLEDÌ 8 LUGLIO
Tishamingo a Erchie (Br)
Nuovo appuntamento per America Folk Festival
con il concerto dei Tishamingo. Questo collaudato quartetto ha un sound rock-blues roccioso e di-
Una mappa sonora territoriale, un concorso per band musicali, borse di studio, workshop e incontri d’autore, per un’iniziativa di respiro nazionale che parte dal Salento.
La Taranta nella Rete è un progetto culturale organizzato dal Comune di Melpignano (Le) in
collaborazione con Istituto Diego Carpitella, nell’ambito del programma Rete dei Festival aperti
ai giovani, promosso dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e sostenuto dal Ministro
della Gioventù, Giorgia Meloni. Le attività sono rivolte a laureandi, dottorandi, musicisti e studiosi con documentato curriculum. Sono inoltre previste, tramite bando pubblico, alcune borse
di studio (sotto forma di vitto e alloggio) per garantire ai giovani non residenti nel Salento la
partecipazione ai workshop e agli incontri.
Al progetto la Taranta nelle Rete sono associati anche i concorsi per la pubblicazione di tesi di
laurea sul tarantismo e l’assegnazione di borse di studio dedicate ai giovani non residenti in Salento che vogliano partecipare ai seminari. Le info relative a workshop, incontri e i bandi su www.
latarantanellarete.wordpress.com
retto, con echi e atmosfere country. La voce soul
e profonda e il sound delle due chitarre rimandano ai fasti di Allman Brothers e Lynyrd Skynyrd.
La rivista italiana “Il Buscadero” li ha definiti
“la band sudista più interessante del momento”.
SABATO 11 LUGLIO
Notte bianca a Melpignano (Le)
MARTEDÌ 14 LUGLIO
Franco Battiato al Parco Gondar di Gallipoli (Le)
Il maestro Battiato torna ad incantare il Salento
con il concerto del tour “Summer live ‘09”. Un tributo ai grandi autori. Con lui Manlio Sgalambro,
Carlo Guaitoli al pianoforte, Angelo Privitera alle
tastiere, Davide Ferrario alla chitarra e il Nuovo
Quartetto Italiano al violino, Demetrio Comuzzi
alla viola, Luca Simoncini al violoncello. Biglietti
a partire da 33 euro, disponibili sul circuito bookingshow.com. Info 0832.332624/327.0481762.
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(Sinatra Hole), Brindisi (Libreria Camera a
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