università e territorio Il mare all’università Ricerche ai confini tra terre e acque Italo Di Geronimo C atania sorge ai piedi dell’Etna, in riva al mare Ionio; i suoi abitanti hanno una lunga tradizione di frequentazione balneare della spiaggia di sabbia della Plaja o degli scogli lavici di Ognina e Acitrezza, un amore quasi secolare mai interrotto. Il mercato ittico, la pescheria, ricchissima di pesci, molluschi, crostacei, brulicante di avventori, rappresenta una delle maggiori attrattive turistiche della città, noto in tutta Italia. Ma ciò è sufficiente per fare di Catania una città di mare, ed ancora questo legame ludico, salutare e gastronomico discende da una cultura del mare con radici culturali e sociali più profonde? Pur facendo parte della Magna Grecia, ove la cultura del mare aveva un’importanza strategica sia per i rapporti commerciali con la madrepatria sia per le esigenze militari, Catania non ha avuto lungo la sua storia millenaria una tradizione e una cultura marinara, sia per l’esiguità del suo approdo, il porto di Ognina (Longhena) oggi strozzato dalle colate laviche dell’Etna, sia per trovarsi in mezzo a due grandi poli marittimi, quello di Messina e quello di Augusta-Siracusa, ma soprattutto perché i suoi abitanti erano essenzialmente dediti alle coltivazioni del ricco entroterra agricolo e ai rapporti commerciali. Questo ha fatto sì che il rapporto della città col mare fosse superficiale e, forse, anche diffidente, avallato da amministratori grandi proprietari terrieri. Le vicende storiche della Sicilia, isola al centro del Mediterraneo, ne hanno fatto una terra di conquista e di sfruttamento agricolo e strategico piuttosto che un centro irradiante cultura marinara. Tale situazione è persistita quasi sino ai nostri giorni. Una prova abbastanza indicativa di tale stato di fatto è rappresentata dalla storia lunga e stentata del porto di Catania, la cui costruzione e ampliamento sono durati quasi due se- 20 coli a cominciare dal 1783, senza mai avere una vera importanza commerciale, neanche durante il periodo coloniale, quando era stato tentato un rilancio per la sua posizione strategica dopo la guerra di Libia del 1911. Ancora oggi si parla di rilanciare l’attività marittima con l’interporto: il futuro ci dirà se i tempi sono veramente cambiati. Ma a fronte di questa cronica disattenzione, o peggio assenza pubblica di interessi marittimi, va sottolineato il risveglio, dapprima lento nell’800 e poi sempre più consistente nel ’900, di interessi scientifici, supportati in maniera quasi esclusiva da ricercatori dell’Accademia Gioenia e dell’università di Catania. I primi lavori si inseriscono nel periodo aureo degli studi naturalistici catanesi promossi ed eseguiti dai soci dell’Accademia Gioenia (1824). Gli studi pionieristici del mare catanese furono affrontati da Carlo Gemmellaro con alcune memorie, soprattutto con il Saggio di storia fisica di Catania (1848) e con due note del 1839 (Cenno geologico nel terreno della Piana di Catania) e del 1844 (Sulla stabilità dei cassoni del molo di Catania), quest’ultimo considerato come «il magistrale primo studio sistematico scientifico sul regime delle spiagge del Mediterraneo». Nello stesso periodo si occupò di fauna marina catanese e siciliana il professore di zoologia Andrea Aradas, fondatore della scuola universitaria catanese di zoologia, con numerosissime memorie tra cui il Catalogo ragionato delle conchiglie viventi e fossili della Sicilia (1839-1843), scritto assieme al benedettino Giacomo Maggiore e poi completato con l’abate Emiliano Guttadauro, ed infine con una memoria di oceanografia fisica delle acque del golfo di Catania (1883). Di fauna marina si occuparono ancora Salvatore Biondi Giunti, morto prematuramente nel 1864; il università e territorio chimico Carmelo Maravigna tra il 1834 e il 1853; Alessandro Rizza che descrisse nuovi crostacei marini (1839), mentre l’ingegnere Carmelo Sciuto Patti si occupò del porto di Catania (1861) e della temperatura delle acque marine (1866). Alla fine dell’800 opera a Catania il prof. Battista Grassi, non solo scopritore della malaria, ma anche, assieme al suo collaboratore Salvatore Calandruccio (1891-94), del mistero della generazione delle anguille, scoperta che gli fruttò il premio Darwin della Royal Society di Londra. Nella prima metà del ‘900 si distinguono il prof. Achille Russo con una serie lunghissima di lavori dal 1913 al 1947 sia di biologia marina, applicata che di ittiologia, tra cui ben sei Studi sulla pesca nel golfo di Catania (1926-1930); il fisico Filippo Eredia (18771948) che si occupò tra l’altro di meteorologia marittima e che fu direttore dell’Ufficio Presagi del ministero dell’aeronautica, precursore dell’attuale ufficio meteorologico. Dalla metà degli anni ’20 sino al 1965 furono attivi a Catania il prof. Luigi Patanè con numerosi lavori sulla biologia di diversi organismi marini, principalmente molluschi e crostacei, e che ottenne la prima cattedra di Biologia marina in Italia. E poi l’ing. Agostino D’Arrigo, personaggio di levatura internazionale che si occupò di moto ondoso, di regime dei litorali e di opere marittime in Italia, in Francia e in Africa. Il biologo Vito Tenerelli pubblicò dal 1954 al 1974 una serie di lavori di biologia e sistematica sui crostacei marini (cirripedi) e sui policheti. Nell’ultimo trentennio si è avuta una notevole ripresa degli interessi di ricerca collegati al mare che pongono l’ateneo catanese in una posizione di primo piano in Italia. Tale ripresa è soprattutto determinata dalla maggiore consapevolezza sociale della conservazione e protezione della natura, e l’università risponde con programmi sul mare di ampio respiro che coinvolgono un elevato numero di ricercatori principalmente della facoltà di Scienze. L’interesse per le ricerche in mare è stato riconosciuto e potenziato con numerose campagne oceanografiche sulle coste siciliane e dell’Italia meridionale e con la raccolta di una notevole massa di dati e di campioni studiati da geologi, botanici, zoologi, biologi. È sorto, anche, un Istituto di Oceanologia e Paleoecologia, attivo dal 1990 al 2000, e poi confluito nel Dipartimento di Scienze geologiche. Di questo ultimo periodo occorre ricordare la scuola di algologia marina catanese, tra le più prestigiose in Italia, le ricerche sull’inquinamento marino e di idraulica marittima ed una pregevole monografia di G. Sciuto, La pesca siciliana. Strutture organizzative e problemi mediterranei (1989). Nel 1984-85 l’università ha partecipato alla Indagine oceanografica e correntometrica nelle acque costiere della Sicilia svolta per conto dell’assessorato territorio e ambiente della regione siciliana, occupandosi di alghe, benthos e sedimenti e realizzando la pri- Da Ernesto Haeckel, Storia della Creazione naturale, 1892 ma carta bionomica e sedimentologica della piattaforma continentale siciliana alla scala 1:50.000, sino alla profondità di 50 metri. Nel campo degli studi della protezione ed evoluzione delle coste altra significativa realizzazione è la compilazione di numerose carte di gran parte della Sicilia a scala 1:100.000 dell’Atlante delle spiagge italiane (dinamismo-tendenza evolutiva-opere umane) nell’ambito del progetto finalizzato “Conservazione del suolo”. L’università di Catania è tra i soci fondatori dell’EULA nel 1988 (Centro interuniversitario per la cooperazione scientifica Europa-America Latina) e del CoNISMa (Consorzio nazionale interuniversitario scienze del mare) nel 1994. Con l’EULA i ricercatori catanesi hanno contribuito alla realizzazione di un grandioso progetto di gestione ambientale a Concepcion (Cile), diretto dal prof. Francesco Faranda, occupandosi sia di geologia e sedimentologia marina che di benthos animale e vegetale; partecipando a due campagne oceanografiche nello stretto di Magellano, e realizzando un piano di fattibilità per un progetto di gestione ambientale in Venezuela, nell’ambito della cooperazione allo sviluppo del ministero degli esteri. Col CoNISMa l’università di Catania ha partecipato, principalmente con i botanici, a progetti sul mare Adriatico; oggi, invece, è iniziato un interessante progetto sui 21 università e territorio banchi di corallo profondo (700-12000 metri) nel mare Ionio cui partecipano paleontologi esperti in benthos batiale (molluschi, briozoi, policheti serpuloidei, e ostracodi) ed ecologia marina. Nel 1989-90 e anni successivi, diversi ricercatori catanesi hanno fatto parte del progetto Antartide, studiando popolamenti algali e animali di Terra Nova Bay; con l’ausilio delle attrezzature scientifiche più avanzate tra cui il ROV “Pluto”, un piccolo sommergibile filoguidato, corredato di sonda multiparametrica e videocamera, capace di arrivare a oltre 400 metri di profondità. Infine, il sottoscritto ha coordinato le ricerche per il piano di fattibilità delle aree marine protette “Isole Pelagie” e “Isole Eolie”, avvalendosi della collaborazione di ricercatori delle tre università siciliane. Tale intensa attività scientifica da parte dell’università ha avuto anche notevoli risvolti nel trasferimento delle conoscenze, principalmente nella didattica con l’istituzione di curricula specializzati nell’ambito del corso di laurea in Scienze naturali e Scienze biologiche e con la istituzione di un nuovo corso di laurea in Oceanologia e tutela dell’ambiente marino, non ancora attivato. A conclusione di questa rassegna, certamente lunga ma non esaustiva, delle ricerche catanesi sul mare c’è da chiedersi se e in quale misura l’allargamento degli studi e delle conoscenze acquisite abbia o possa influire sulla cultura marina della città. La risposta non è semplice e si basa essenzialmente su speranze per il futuro. Il mare tra libertà e dominio Ida Nicotra L affermazione della c.d. “libertà dei mari” è una ’ conquista relativamente recente; infatti, fino agli inizi del XVII secolo il mare era sottoposto al dominio degli stati. Porzioni ristrette di mare e talvolta, anche zone assai vaste (si pensi alle pretese vantate da Spagna e Portogallo sugli interi oceani Atlantico, Pacifico ed Indiano), erano assoggettate al controllo di ordinamenti giuridici statali. Nel corso del XVIII secolo è cominciata a farsi strada l’idea che gli spazi marini non potevano essere considerati alla stregua del territorio nazionale e pur tuttavia il regime di libertà non si è mai tradotto nella completa sottrazione di un determinato ambito dal potere del Paese confinante. Così le città di Venezia e Genova esercitavano gli interessi di difesa sottoponendo le navi di nazionalità straniera ad ispezioni, mentre la Danimarca e l’Inghilterra si preoccupavano esclusivamente di organizzare l’attività di pesca, esercitata in prossimità delle coste. Sicché, l’interesse al dominio era legato non tanto a ragioni territorialistiche quanto, piuttosto, ad un criterio “funzionale” ed andava esplicato allo scopo di perseguire una particolare esigenza (pesca, repressione del contrabbando, attività commerciale, strategie militari). Oggi, comunque, la libertà dei mari è sancita nel diritto internazionale comune o consuetudinario ed ammette soltanto limitate eccezioni, quali il riconoscimento delle prerogative spettanti agli stati nelle acque adiacenti alle proprie coste. In modo specifico, la convenzione di Ginevra si pone, odiernamente, come il documento normativo più importante che disciplina tale settore. Viene innanzitutto sancito un egual diritto di tutti gli stati di trarre dagli spazi marini i benefici che essi possono offrire: dalla navigazione alla pesca, allo sfruttamento di tutte le risorse marine. Ovviamente, anche in questa evenienza vale il limite tipico di ogni 22 regime di libertà, rinvenibile nel divieto reciproco di impedire ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri paesi: non sarebbe consentito, vale a dire, un accaparramento di tutte le risorse disponibili da parte di un unico stato, né un diritto esclusivo di occupazione del suolo. In buona sostanza, il principio che emerge è il seguente: l’utilizzazione del fondo marino, al di fuori delle zone soggette alla giurisdizione nazionale, deve avvenire a vantaggio dell’intera umanità ed anche delle future generazioni. Ne deriva l’illeceità del comportamento degli stati che impediscano o precludano l’altrui navigazione, pretendendo di chiudere al traffico tratti di mare per porre in essere, ad esempio, esperimenti nucleari. Sebbene la convenzione sembri garantire a tutte le nazioni il diritto di fare uso delle risorse marine, anche a quelle sfornite di litorale, d’altra parte non si prevede alcuna norma che imponga agli stati rivieraschi la possibilità di accesso al mare. Nei periodi più recenti la questione centrale, con riferimento all’ambiente marino, è stata la disciplina dei fenomeni di inquinamento e delle rispettive norme di salvaguardia che hanno trovato collocazione sia nel diritto interno che in quello internazionale. Tra i provvedimenti dello stato italiano va ricordato quello recante disposizioni per la difesa del mare del 1982, con cui si introduce l’obbligo della sottoposizione alla valutazione di impatto ambientale di ogni opera che interessa l’ambiente marino, nell’intento di promuovere «una politica intesa alla protezione dell’ambiente marino e alla prevenzione di danni alle risorse del mare». Un ruolo fondamentale per le funzioni in materia di ambiente marino è svolto dal ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, in attesa che entri a “pieno regime” l’attività della costituenda direzione per la difesa del mare, che opererà all’interno del dipartimento per le risorse idriche.