il diritto come istituzione

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“IL DIRITTO COME ISTITUZIONE”
PROF.SSA FLORA DI DONATO
Università Telematica Pegaso
Il diritto come istituzione
Indice
1
UNA CONCEZIONE ALTERNATIVA DEL DIRITTO: PREMESSA --------------------------------------------- 3
2
LA CONCEZIONE ISTITUZIONALISTA DEL DIRITTO ---------------------------------------------------------- 5
3
L’ISTITUZIONALISMO DI HAURIOU ---------------------------------------------------------------------------------- 7
4
L’ISTITUZIONALISMO DI SANTI ROMANO ------------------------------------------------------------------------ 9
5
I LIMITI DELL’ISTITUZIONALISMO DI SANTI ROMANO ---------------------------------------------------- 12
6
L’EFFETTIVITÀ IN KELSEN E SANTI ROMANO ----------------------------------------------------------------- 14
7
CONCLUSIONI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1
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Una concezione alternativa del diritto:
premessa
Nella prima lezione, si è cercato di rispondere all’interrogativo principale di cui la filosofia
del diritto è tradizionalmente investita: “che cos’è il diritto?”
Abbiamo fatto riferimento, in primo luogo, ad una concezione “normativista”
dell’ordinamento, secondo cui il diritto è costituito da un “insieme” di regole giuridiche collegate
tra di loro che, attraverso la previsione di condotte illecite e la prescrizione di relative sanzioni,
regolano la vita sociale di un gruppo che risiede in un determinato territorio, in un dato momento
storico.
A partire dalla seconda lezione, abbiamo provato ad individuare i limiti della prospettiva
normativista, osservando che il diritto, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista della
legislazione sostanziale, non può essere considerato solo uno strumento di “controllo”, come
previsto dalla prospettiva “strutturale” di matrice kelseniana.
In una prospettiva premiale, il diritto è concepito piuttosto come uno strumento di “direzione
sociale”. Accanto all’esistenza di sanzioni negative, aventi come obiettivo il controllo sociale,
realizzabile con il ricorso all’uso della forza, sono state individuate sanzioni positive e leggi di
incentivazione, attraverso cui il legislatore, nello Stato sociale, non si limita più a svolgere una
funzione di controllo dei comportamenti quanto piuttosto di promozione, dando ad essi una
“direzione”.
La “rivisitazione critica” della concezione normativista rende possibile la realizzazione di un
passaggio da una concezione “strutturale” ad una concezione “struttural-funzionale” del diritto.
D’altra parte, sia la teoria normativista che la concezione “struttural-funzionale” si
interrogano sulle modalità di articolazione dei rapporti tra “diritto e società” rappresentati,
rispettivamente, in termini di “controllo” e di “direzione”.
Interessante è analizzare una terza prospettiva che si pone come “alternativa”, soprattutto
rispetto alla concezione normativista. Il riferimento è alla teoria cd. dell’istituzionalismo.
La domanda-chiave su cui può essere fondata la distinzione tra le teorie normativiste
(Kelsen) e le teorie istituzionaliste è la seguente:
“è il diritto che fonda l’organizzazione o è l’organizzazione che produce il diritto?”
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La risposta è variabile a seconda che si consideri l’una o l’altra prospettiva: secondo i fautori
delle teorie normativiste, l’ordinamento è il complesso delle leggi vigenti in un determinato spazio
territoriale (il riferimento è sia alle norme scritte, tipiche dei sistemi di civil law sia alle norme non
scritte, tipiche dei sistemi di common law). Si dice che il diritto precede l’organizzazione sociale.
Secondo i fautori delle teorie istituzionaliste vale il principio ubi societas ibi ius: laddove
c’è un’organizzazione sociale c’è diritto. Sono le prescrizioni normative che scaturiscono da una
determinata organizzazione sociale e non il contrario. L’altra formula latina è ex facto oritur ius: il
diritto ha origine dalla produzione di fatti normativi (ad es. l’instaurazione di un nuovo ordinamento
per effetto di una rivoluzione)1.
Volendo, in sintesi, usare una formulazione più prossima ai normativisti per descrivere i
rapporti tra diritto e società, potremmo dire che: una società ha un ordinamento. In un linguaggio
più prossimo agli istituzionalisti, potremmo invece dire che una società organizzata ha un
ordinamento.
1
Questo vale sia per i sistemi di common law (in cui l’organizzazione degli ordinamenti scaturisce da consuetudini) sia
per i sistemi di civil law. In generale, per entrambi i sistemi, vale il principio che l’interpretazione delle norme
giuridiche non può prescindere dal riferimento all’organizzazione sociale. Del resto, quando è entrata in vigore la
Costituzione Repubblicana nel 1948 l’assetto costituzionale si era già delineato a seguito della caduta del regime
fascista, la formazione dei partiti politici, la decisione di eleggere l’assemblea costituente nel 1948. È stato il
progressivo prodursi di un assetto costituzionale che ha portato alla Costituzione e non il contrario.
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2 La concezione istituzionalista del diritto
Il termine istituzionalismo rinvia ad una posizione teorica che considera il diritto non come
un insieme di norme ma come un’istituzione.
Il termine istituzione fu usato per la prima volta da Maurice Hauriou (1856-1929),
giuspubblicista francese, per indicare un corpo sociale che si forma attorno all’idea di un’opera da
realizzare, un potere organizzato e tutte le attività collettive necessarie alla realizzazione dell’opera
stessa. Nonostante l’aspirazione a dare un fondamento filosofico alla propria dottrina, Hauriou
resterà sul terreno della scienza giuridica e soprattutto del diritto pubblico senza mai approfondire
fino in fondo il concetto di istituzione.
Difatti, se Hauriou viene comunemente ritenuto il fondatore dell’istituzionalismo, il grande
rappresentante di questa teoria è invece identificato con Santi Romano che, diversamente dal primo,
elabora una concezione giuridica dell’istituzionalismo, di stampo non meramente sociologico.
Dopo Hauriou e Santi Romano, inoltre, altre dottrine sono state elaborate attorno al concetto
di “istituzione”.
Ricordiamo, tra le maggiori esperienze, quella di Gurvitch (1894-1965) e di Renard (18761943). Il primo delinea una dottrina fondata sul concetto di “fatto normativo”, dallo stesso inteso
nel senso di comunità che “in un solo e medesimo atto generano il diritto e fondano la loro esistenza
[su essa]” ovvero “creano il loro essere generando il diritto che serve loro da fondamento”2.
Di fatto Gurvitch è un sociologo e quindi, a giudizio di alcuni filosofi del diritto suoi
contemporanei, tra i quali lo stesso Guido Fassò, la sua impresa di fondare la sua filosofia
unicamente su un fatto inteso non sociologicamente, ossia come fenomeno sociale, ma
normativamente e formalmente, finisce per originare una dottrina “confusa ed eclettica”3.
Renard, invece, tenta di trasformare l’istituzione in una categoria filosofica, giungendo a
parlare di una “filosofia dell’istituzione”. In realtà, il suo tentativo sembra ridursi ad una
sovrapposizione della filosofia con una sociologia già compiuta ed indipendente4.
2
Gurvitch, G., L’idée du droit social, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 288.
Fasso, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 289.
4
Sul punto si veda ancora Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 289.
3
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Nonostante queste (dovute) distinzioni tra le diverse dottrine dell’istituzionalismo ed i suoi
diversi esponenti, si possono ravvisare alcuni tratti comuni che costituiscono le caratteristiche
principali di questa corrente teorica.
Gli istituzionalisti, in primo luogo, rifiutano una concezione che sia unicamente “strutturale”
e “formale” del diritto e incentrata esclusivamente sulla diade “illecito” / “sanzione”. Essi collegano
la genesi e la formazione del diritto a un momento anteriore alla sua formalizzazione, che ha a che
fare coi valori, le attività giuridiche, la rilevanza assunta dall’organizzazione giuridica all’interno
delle forze sociali.
Gli istituzionalisti rompono il nesso indissolubile tra Stato e diritto, tipico di un certo
positivismo giuridico, soprattutto di matrice statualista, valorizzando piuttosto fonti diverse di
produzione normativa come la consuetudine, gli usi, la prassi amministrativa e giudiziaria. Infine,
rivolgono l’attenzione più a quelle norme che Hart ha definito norme secondarie (che riguardano la
competenza, l’organizzazione e la procedura) che non alle norme primarie (che attribuiscono poteri,
diritti e doveri)5.
In generale, gli istituzionalisti mettono in rilievo il fatto che non vi può essere diritto al di
fuori di un’organizzazione. Fuori dall’organizzazione, lo stesso individuo non ha uno status
giuridico, non ha diritti o doveri. L’organizzazione produce le norme giuridiche e ciò che qualifica
le norme stesse è l'esistenza di una società organizzata, di una istituzione.
La giustificazione del diritto come istituzione non è di carattere normativo, cioè non risiede
nel comando, nell’illecito o nella sanzione, ma è di tipo materiale, cioè riferita a contesti storici,
culturali e, più in generale, alla pratica sociale.
Istituti quali il matrimonio o la separazione, prima ancora che essere creati dal diritto, sono
fenomeni sociali regolati da norme informali che danno vita a processi giuridici di
istituzionalizzazione e trasformazione di queste regole informali e consuetudinari in norme formali
che garantiscono certezza dei rapporti sociali.
Tuttavia, anche quando attraverso processi di istituzionalizzazione prendono vita norme
formali che regolarizzano i rapporti sociali, gli istituzionalisti sono dell’avviso che il diritto non
5
Si noti che, come già specificato nella prima lezione, le norme secondarie di Hart corrispondono alle norme primarie
di Kelsen, secondo un’inversione operata dal filosofo viennese. Per maggiori chiarimenti, si veda Viola, F., Zaccaria,
G., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 29.
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trovi una giustificazione in sé stesso, ovvero in queste nuove norme, ma nella società, con la quale
esso deve mantenere comunicazioni sempre aperte6.
3 L’istituzionalismo di Hauriou
Si è detto che il primo a parlare di “istituzionalismo” è stato il francese Maurice Hauriou.
Egli percepisce il diritto, lo Stato, le associazioni e i corpi politici come veri e propri “corpi
individuali” e non come un “insieme di regole”.
Hauriou definisce, in particolare, l’istituzione come “un’organizzazione sociale oggettiva
che ha realizzato in sé la situazione di diritto più alta, cioè che possiede contemporaneamente la
sovranità del potere, l’organizzazione costituzionale del potere con statuto e l’autonomia
giuridica”7.
Nell’istituzione, secondo Hauriou, si fondono fini sociali e fini individuali, sovranità e
libertà e, così presentandosi, essa è un ente sociale organizzato per la realizzazione di uno scopo
comune. Lo Stato e tutte le altre istituzioni creano anzi sono “diritto” per il fatto stresso della loro
esistenza8.
Il termine “istituzione”, infatti, come già specificato in precedenza, indica “un corpo sociale
[...] formato dall’idea di un’opera da realizzare, da un potere organizzato al fine di realizzarla, e da
tutte le attività collettive necessarie alla realizzazione dell’opera”9.
Hauriou preferisce dare basi sociologiche piuttosto che giuridiche alla sua istituzione e,
soltanto in un secondo momento, per contrastare la posizione sociologica secondo cui l’istituzione
sia un mero fenomeno sociale, privo di elementi giuridici, egli giunge a ritenere che le istituzioni
nascano da un atto di fondazione giuridica.
Sostanzialmente, egli ritiene che il diritto e lo Stato, come le altre associazioni, non siano
costituite unicamente da norme giuridiche, intese alla maniera kelseniana, ma sono istituzioni, ossia
corpi sociali che vivono e muoiono proprio come dei veri e propri corpi10.
6
Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 29.
Hauriou, M., Principes de droit public, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto III. Ottocento e Novecento, ed.
aggiornata a cura di C. Faralli, Laterza, Roma-Bari, 2001cit., p. 210.
8
Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 210.
9
Hauriou, M., La théorie de l’institution et de la fondation, in Barberis, M., Breve storia della filosofia del diritto, p.
107.
7
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In realtà, la dottrina istituzionale di Hauriou sorge come “dottrina sociale”, idonea a valutare
i fenomeni giuridici restando a metà strada fra sociologia e diritto.
Come infatti ha scritto Barberis, “la nozione di istituzione proviene manifestatamente dalla
sociologia ma Hauriou, come tutti gli istituzionalisti, si sforza di mostrare che l’istituzione è un
fenomeno giuridico, non meramente sociale. Così, contro i sociologi che facevano nascere il diritto
dal fatto, egli insiste – insieme con Gény e con lo stesso Kelsen – che il diritto può nascere solo dal
diritto, che le istituzioni nascono da un atto di fondazione giuridico”11.
La concezione di Hauriou, inoltre, come già detto, non riesce a svincolarsi dalle sue radici
pubblicistiche. Fassò è molto critico nel rilevare che anche quando Hauriou sostiene che
l’istituzione è un prius nei confronti del diritto, perché ciascuna istituzione crea il diritto, in quanto
lo incarna per il fatto stesso dalla sua esistenza in quanto tale, egli non “si cura neppure troppo di
approfondire il concetto di istituzione, che non è chiaro quali confini abbia: cioè da quando e fino a
quando un gruppo sociale costituisca un’istituzione e sia perciò centro di giuridicità”12.
10
Scrive in proposito Mauro Barberis che per Hauriou “il diritto e lo Stato […] sarebbero istituzioni nel senso che […]
si tratterebbe di corpi sociali che nascerebbero, vivrebbero e morirebbero proprio come corpi individuali”. Barberis, M.,
Breve storia della filosofia del diritto, cit., p. 107.
11
Ivi.
12
Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 210.
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4 L’istituzionalismo di Santi Romano
In Italia, il maggiore esponente della teoria istituzionalista, come già detto, è stato Santi
Romano.
Romano matura un approccio al diritto ponendosi esattamente da un punto di vista opposto a
quello di Kelsen. Laddove, infatti, quest’ultimo parte dalla norma e, soltanto in un secondo
momento, giunge all’ordinamento, Santi Romano parte dall’ordinamento e successivamente spiega
il diritto come norma.
In una delle migliori pagine tratte dall’Ordinamento giuridico si legge:
“l’ordine sociale che è posto dal diritto non è quello che è dato dalla esistenza, comunque
originata, di norme che disciplinino i rapporti sociali: esso non esclude tali norme, anzi se ne serve e
le comprende nella sua orbita, ma, nel medesimo tempo, le avanza e le supera. Il che vuol dire che il
diritto, prima di essere norma, prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti
sociali, è organizzazione, struttura, posizione della stessa società in cui si svolge e che esso
costituisce come unità, come ente per sé stante”13.
La norma non viene esclusa dalla teoria di Santi Romano ma viene inserita in un contesto
più ampio ed ineliminabile: quello della società.
Secondo Santi Romano, l’ordinamento giuridico non può essere raffigurato come un insieme
di norme: esso è la società stessa, intesa come unità concreta e distinta dalle sue componenti. Ubi
societas ibi jus. Perché vi sia una società è indispensabile una forma di organizzazione interna, un
ordinamento giuridico. L’organizzazione conferisce al gruppo sociale una struttura stabile e
permanente. Si tratta di un’organizzazione che può essere variamente ordinata e non è
necessariamente gerarchica come quella statale. Il diritto dunque non è una norma o procedura ma è
istituzione, un’entità sociale in cui le regole sono solo un aspetto della totalità organizzata14.
Vale inoltre la pena precisare che nella prospettiva di Romano l’istituzione non produce
diritto, come aveva affermato Hauriou, ma “è diritto”. “Istituzione” e “diritto” sono due momenti
della medesima realtà e si trovano tra loro in un rapporto d'interazione, costituiscono l’uno “il
corpo” e l'altro “l’anima” di un medesimo ente15.
13
Romano, S., L’ordinamento giuridico, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 286.
Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, cit., p. 29.
15
Romano, S., L’ordinamento giuridico, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 286.
14
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Sostenendo che il diritto è istituzione, Santi Romano fa rientrare il concetto di ordine sociale
nel concetto di ordinamento giuridico. Le stesse caratteristiche dell’istituzione vengono attribuite
all’ordinamento giuridico: esso non è la somma delle parti che lo compongono ma è un’unità a sé,
un’unità non artificiale ottenuta attraverso un processo di astrazione bensì concreta ed effettiva.
E dunque, ordinamento giuridico ed istituzione sono dotati dei caratteri di “unità” ed
“individualità”. Sia l’istituzione (morale o immorale, lecita o illecita) che l’ordinamento realizzano
un proprio ordine: il giurista deve limitarsi a constatare l’esistenza di ordinamenti giuridici e non
deve interessarsi di apprezzamenti etici sugli stessi.
Ciò che più colpisce della teoria romaniana – come l’autore stesso ribadisce più volte nei
suoi scritti – è questo tentativo di concretizzare l’essenza dell’istituzione nella funzione ordinante
del diritto.
Il concetto di diritto, infatti, “anzitutto deve ricondursi al concetto di società” e “deve, in
secondo luogo, contenere l’idea dell’ordine sociale”16. Il diritto non può scindersi dal fatto sociale e
dalla socialità in generale e questo legame viene espresso dall’istituzione che è il diritto stesso.
Santi Romano ricorre alla teoria dell’istituzione raffigurandola anche in termini di
“necessità” oltre che di istituzione intesa come “vita e vitalità”.
Teoria della “necessità” nel senso che il concetto di istituzione è necessario e sufficiente
“per rendere in termini esatti quello di diritto, perché cioè dà ad esso il significato di ordinamento
giuridico considerato complessivamente e unitariamente”17.
“Ogni ordinamento giuridico”, scrive il Romano, “è un’istituzione, e viceversa ogni
istituzione è un ordinamento giuridico: l’equazione fra i due concetti è necessaria ed assoluta”18.
Il riferimento alla necessità costituisce la base differenziale fra l’istituzionalismo romaniano
e la teoria dell’istituzione di Hauriou. Per Romano, il diritto non è un prodotto sociale perché è nella
“necessità” che esso trova il suo fondamento e nella necessità stessa sta il diritto.
Proprio dalla necessità, fonte prima del diritto, deriva l'affermazione secondo cui ogni corpo
sociale organizzato costituisce un ordinamento giuridico. Esistono tanti ordinamenti giuridici
quante sono le sfere autonome del diritto, questa autonomia scaturisce dal fatto che le istituzioni
sono considerate dal Romano non il prodotto del diritto ma esse stesse costituiscono diritto.
16
Ivi, p. 286.
Ivi.
18
Ivi.
17
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Le istituzioni derivano dalla necessità di organizzare un insieme di bisogni e di esigenze
sociali in maniera autonoma.
Analizzando più dettagliatamente le caratteristiche dell’istituzione romaniana notiamo,
inoltre, che essa è dotata di un’esistenza “concreta” e al tempo stesso “immateriale”. Si tratta di un
ente chiuso caratterizzato da una propria individualità che ne comporta anche l’autonomia (sia pur
relativa).
Potremmo pensare, a questo punto dell’analisi del pensiero romania, che il filosofo abbia
voluto escludere completamente dalla sua concezione il normativismo kelseniano, riducendo la sua
teoria al legame tra diritto e società, che è reso possibile proprio dall’istituzione, intesa come un
ordinamento giuridico, una sfera a sé, più o meno completa, di diritto.
Romano non rifiuta l’aspetto normativistico del diritto ma ritiene la concezione normativista
inadeguata e insufficiente tanto da dover essere integrata con altri elementi.
Nella concezione romaniana emerge, infatti, una nuova idea della norma, non più intesa
come semplice regola di condotta. Egli propone una classificazione delle norme che oltre a
prevedere regole di condotta, prevede leggi istitutive organizzative, il cui scopo fondamentale non è
quello di prescrivere regole di condotta ma di creare, modificare, sopprimere istituzioni.
Romano ritiene, infatti, riduttivo considerare il diritto come insieme di norme.
Il superamento della concezione del diritto come prodotto sociale richiama l’attenzione sulla
presenza del diritto nella coscienza sociale, dove esso già esiste prima ancora di essere dichiarato
dal legislatore. Il diritto, infatti, non viene creato dal legislatore, ma esiste già a livello sociale e le
norme costituiscono soltanto una forma convenzionale per esprimere la giuridicità sociale delle
coscienze19.
19
Si veda ancora Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit.
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5 I limiti dell’istituzionalismo di Santi Romano
È singolare notare che secondo Fassò, Santi Romano, al pari di Hauriou, non riesce a fornire
una definizione esauriente del concetto di istituzione.
Il giurista palermitano si limita a dire che un’istituzione è “ogni ente o corpo sociale” 20 ma
pone egli stesso dei limiti ritenendo che ci siano dei casi-limite di ente sociale, oltre ai quali non si
possa più parlare di istituzione. Un gruppo di persone che sono in coda ad uno sportello, ad
esempio, non può considerarsi un’istituzione. Né il fenomeno giuridico può essere ravvisato in ogni
stato della convivenza umana: un gruppo di persone che praticano un gioco non costituiscono
un’istituzione che equivale a fenomeno giuridico.
A giudizio di Fassò, Romano, oltre a stabilire che esistono dei casi-limite per definire se un
corpo sociale possa considerarsi o meno un’istituzione, avrebbe dovuto individuare anche un
criterio per determinare quale gruppo sociale ordinato possa dirsi istituzione e quale, invece,
costituisca un mero corpo organizzato. Romano, invece si limita a dire che l’istituzione deve essere
concreta, effettiva ed oggettiva nel mondo giuridico e, così facendo, finisce per incorrere in una
tautologia perché dichiara, in definitiva, che “ogni istituzione è giuridica quando è giuridica”21.
Questa sorta di circolo vizioso potrebbe essere superato solo riconoscendo che ogni aspetto
della vita sociale dell’uomo è “giuridico”, ovvero è diritto, è regolato dal diritto.
La conclusione di Fassò è che Romano da giurista è ben conscio delle conseguenze di
affermazioni di questo genere e probabilmente, dunque, non se la sente di accogliere questa
soluzione così estrema.
Altri filosofi accusarono poi Romano di non aver tenuto conto del soggetto nella produzione
del diritto e di averlo relegato a mero “aspetto oggettivo” del fenomeno giuridico.
A tutte queste critiche Romano reagisce con l’argomentazione che la sua teoria non è di
matrice filosofica e pertanto le osservazioni riguardanti il soggetto o il rapporto tra diritto e società,
percepito da un punto di vista filosofico, non possono riguardarlo.
20
21
Romano, S., L’ordinamento giuridico, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, cit., p. 186.
Ivi, p. 187.
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È tuttavia innegabile che la teoria romaniana riveli intrecci filosofici a quelli giuridici tant’è
che, in Italia, la sua teoria avrà l’effetto di rappresentare una spinta per i filosofi del diritto ad uscire
dal positivismo giuridico ottocentesco e a guardare oltre il formalismo kelseniano 22.
È indubbio che, sebbene Romano non abbia risposto alle critiche e agli interrogativi che la
sua teoria pone ha comunque offerto spunti di riflessione anche per la filosofia del diritto, per la
dogmatica giuridica e per la teoria del diritto; discipline tutte che, a quell’epoca, erano ancora
troppo legate al normativismo kelseniano.
22
Fasso, G., Storia della filosofia del diritto, cit.
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6 L’effettività in Kelsen e Santi Romano
Dal momento che manca, nella prospettiva romaniana, una specifica analisi del
comportamento dei consociati si tende a dire che la concezione istituzionalista del diritto, a
differenza di quella normativista, non prenda in considerazione la categoria dell’effettività.
In Santi Romano tende, infatti, a dominare un’idea di ordinamento pre-dato, di
un’organizzazione che dotata di una sua entità si imponga all’attenzione del giurista senza che
questi debba fare uno sforzo per comprenderla, interpretarla.
Santi Romano non spiega, dunque, il modo in cui il diritto indirizza il comportamento degli
uomini. Manca un’indagine sull’azione dei consociati ed il diritto è considerato un “dato”. Non si
capisce dunque come si svolga il rapporto tra diritto e consociati, come avvenga l’osservanza delle
norme da parte dei consociati.
Si assiste, difatti, ad uno spostamento di prospettiva dal “dover essere” tipico della
concezione kelseniana, dalla dimensione delle norme, efficaci in quanto obbedite dai consociati e
applicate dai giudici in caso di loro violazione, all’ “essere”. Si assiste ad uno spostamento di
prospettiva che intende il diritto come “puro dato”.
Allora, secondo Catania, l’effettività diversamente che in Kelsen non è intesa da Santi
Romano come “comportamento degli uomini conforme alle norme” né come abitudine
all’obbedienza, come la intende Austin. L’idea di effettività fa piuttosto riferimento all’essere,
all’organizzazione intesa come “struttura” già data che non richiama il comportamento dei
consociati23.
Naturalmente si obietta a Santi Romano che il problema dell’organizzazione implica il
problema del “chi organizzi”: come si fa, dunque, ad espellere dal fenomeno giuridico l’elemento
della “volontà” e di conseguenza l’elemento normativo e dell’obbedienza dei consociati?
Di qui la critica di autori come Catania, secondo cui la prospettiva di Santi Romano non è
idonea a cogliere la realtà in movimento, può servire soltanto per un’indagine storica24.
Un autore come Piovani fa notare, tuttavia, che in Romano anche se non si parla
espressamente di effettività non manca il concetto di effettività. Soltanto che non siamo in presenza
di un principio di diritto internazionale, come era stato per Kelsen, ma si ha a che fare con lo Stato,
23
24
Catania, A., Filosofia del diritto. Temi e problemi, Gentile, Salerno, 1999, p. 241.
Ivi, pp. 239-259.
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come ente esistente e vitale. È legittimo e effettivo lo Stato esistente e vitale. Esistenza e legittimità
sono una sola cosa.
Scrive Romano: “esistente e per conseguenza legittimo è solamente quell’ordinamento cui
non fa difetto non solo la vita attuale ma altresì la vitalità”25.
25
Ivi.
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7 Conclusioni
Giunti a conclusione di questa disamina sulla concezione istituzionalista del diritto e sui suoi
più autorevoli rappresentanti, proviamo ad immaginare come istituzionalisti e normativisti
potrebbero raffigurare un ordinamento di tipo costituzionale.
Se per i normativisti, l’ordinamento è un’organizzazione verticistica con a capo una norma
“fondamentale” (fonte di produzione di tutte le altre norme, compresa la Costituzione), per gli
istituzionalisti, la Costituzione può essere considerata come la decisione fondamentale con cui i
consociati e più specificamente il potere costituente determina, a partire da determinati valori e
interessi, la forma dell’unità politica dell’ordinamento. Sono i consociati cioè a decidere di dare
unità politica alla loro volontà di stare insieme.
La critica, dunque, mossa dagli istituzionalisti ai normativisti è che essi pongono a
fondamento del sistema una norma presupposta che oscilla tra fatto e diritto, la cui validità è
appunto “presupposta” dai consociati stessi ma non è il prodotto di un processo di giuridificazione
politico- normativo.
Tale validità potrebbe venir meno per effetto di una rivoluzione che potrebbe legittimare un
diverso ordinamento o per effetto di un procedimento di revisione costituzionale.
Ciò non significa che il normativismo abbia fallito come “istituzione”.
Il pregio di questa prospettiva teorica è da rinvenire nella capacità di cogliere, attraverso
l’aspetto sanzionatorio, il collegamento che s’instaura tra le regole giuridiche di un ordinamento.
Tuttavia, nonostante quest’intuizione, il normativismo non riesce ad intendere il sistema giuridico
come una struttura aperta e comunicante con la società e con i fenomeni sociali che esso regola.
Kelsen stesso aveva parlato di ordinamenti in termini di “sistema statico, per indicare che tutto il
contenuto normativo è già implicitamente dato nella regola fondamentale e che, quindi, non c’è
creatività nelle regole derivate”26.
Al normativismo sfugge completamente la circostanza che tra il diritto ed il suo oggetto,
ovvero i fenomeni sociali che esso regola vi debbano essere delle necessarie connessioni.
26
Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, cit., p. 27.
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Il diritto non può essere considerato come un sistema autopoietico, ovvero autoreferenziale e
capace di trovare giustificazioni in sé stesso, senza considerare le sue radici storiche, culturali e
sociali.
Il diritto come istituzione, nella prospettiva esaminate, mantiene invece proprio i legami con
le sue radici sociali. La giustificazione del diritto non è più di carattere normativo, cioè formale,
come per i normativisti, ma è riferita a contesti storici, etici e culturali della pratica sociale.
Ogni qual volta il diritto si allontana dalla sua dimensione ancestrale a causa del formalismo,
l’istituzionalismo assicura il recupero di questa dimensione:
“quando le regole giuridiche diventano sorde alle finalità concrete delle formazioni sociali,
allora il richiamo alla legalità non basta più e si ripresenta la necessità di far ricorso alla
giustificazione materiale delle norme giuridiche”27.
Riconosciuto l’indubbio merito dell’istituzionalismo di aver recuperato la natura storica,
culturale, etica e sociale del diritto, rivendicandone la sua socialità, in opposizione al formalismo
kelseniano che voleva un diritto cieco e autoreferenziale ossia completamente distaccato dalla realtà
sociale, non possiamo tuttavia concludere che l’istituzionalismo sia una teoria migliore del
normativismo.
Come abbiamo visto anche gli istituzionalisti, nel tentativo di spiegare l’intreccio tra
dimensioni normative e sociali, incorrono in circoli viziosi e in mere tautologie.
Lo stesso Hauriou, come sottolinea Barberis28, nell’affermare che il diritto nasce solo dal
diritto e le istituzioni solo da un atto di fondazione giuridico deve giungere all’impensabile ipotesi
che ogni fenomeno sociale sia giuridico.
Ed anche il Santi Romano, nel considerare come norme valide soltanto quelle di condotta,
che impongono obblighi e non anche le norme di competenza29 che conferiscono poteri, “non si
accorge che poteri, sanzioni e procedure sono anch’essi fenomeni normativi”30.
La conclusione è che riconosciuti i punti di forza dell’istituzionalismo, al pari del
normativismo, questa teoria va considerata con i suoi limiti che hanno a che fare soprattutto con
evidenti tautologie che finiscono per considerare come giuridici tutti i fenomeni sociali o, al
contrario, col negare la natura giuridica di alcuni fenomeni, quali poteri e sanzioni.
27
Ivi, p. 29.
Barberis, M., Breve storia della filosofia del diritto, cit., p. 107.
29
Si noti come, ancora una volta, ritorna la distinzione operata da Hart tra norme primarie e norme secondarie.
30
Barberis, M., Breve storia della filosofia del diritto, cit., p. 109.
28
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Bibliografia
 Barberis, M., Breve storia della filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna, 2004.
 Fassò, G., Storia della filosofia del diritto. III. Ottocento e Novecento, ed. aggiornata a cura
di C. Faralli, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 210.
 Gurvitch, G., L’idée du droit social, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, III.
Ottocento e Novecento, ed. aggiornata a cura di C. Faralli, Laterza, Roma-Bari, 2001.
 Hauriou, M., La théorie de l’institution et de la fondation, in Barberis, M., Breve storia della
filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna, 2004.
 Hauriou, M., Principes de droit public, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, III.
Ottocento e Novecento, ed. aggiornata a cura di C. Faralli, Laterza, Roma-Bari, 2001.
 Romano, S., L’ordinamento giuridico, in Fassò, G., Storia della filosofia del diritto, III.
Ottocento e Novecento, ed. aggiornata a cura di C. Faralli, Laterza, Roma-Bari, 2001.
 Viola, F., Zaccaria, G., Le ragioni del diritto, Il Mulino, Bologna, 2003.
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