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scheda tecnica
durata:
104 MINUTI
nazionalità:
ITALIA
anno:
2008
regia:
FRANCESCA ARCHIBUGI
soggetto:
UMBERTO CONTARELLO AUTORE DELL’OMONIMO ROMANZO
EDITO DA FELTRINELLI, FRANCESCA ARCHIBUGI, GUIDO
IUCULANO
sceneggiatura:
FRANCESCA ARCHIBUGI
fotografia:
FABIO ZAMARION
montaggio:
PATRIZIO MARONE
scenografia:
ALESSANDRO VANNUCCI
costumi:
ALESSANDRO LAI
musiche:
BATTISTA LENA
produzione:
RICCARDO TOZZI, GIOVANNI STABILINI, MARCO CHIMENZ PER
CATTLEYA
interpreti: KIM ROSSI STUART (ANGELO), ANTONIO ALBANESE (ALBERTO), MICAELA
RAMAZZOTTI
(LOREDANA),
(ROSSANA),
FRANCESCA
INAUDI
(CARLA),
CHIARA
NOSCHESE
PAOLO VILLAGGIO (RENATO), ANDREA CALLIGARI (AIRTON), NELSI
XHEMALAJ (PERLA).
la parola ai protagonisti
QUESTIONE DI CUORE – NOTE DI REGIA
"…via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una
granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta,
perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma." Adesso lì, nella stradetta di Accattone, c’è
odore di kebab e di cocktails alla vodka e mirtillo, alternative signore sbiciclettano fra i cingalesi e i
carrozzieri, tutti molto up to date, e arcaici.
Intorno, il Mandrione di Giulietta, il Quadraro vecchio de Il ferroviere, la borgata Gordiani dove
hanno sparato dal camion ad Anna Magnani, Torpignattara dove ciondolavano i fratelli Citti. Una
Roma mai più vista al cinema, com’è diventata.
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Come siamo diventati?
Desideravo fare un film sull’Italia, anche se in modo sghembo, attraverso l’incontro fra due
personaggi che fossero portatori di mondi inconciliabili, se non alla fine del mondo. E quando
muore qualcuno, finisce sempre un mondo, anche se è piccolo non è mai insignificante. Significa
tantissimo soprattutto per i parenti, e i narratori.
Per questo ho detto a Umberto Contarello: scrivo da sola, devo essere libera di fare dal tuo bel
romanzo il mio brutto film. E così mi sono immersa in questa trama ricevuta in regalo, da Umberto
che l’ha ideata e Riccardo Tozzi, il produttore, che me l’ha comprata. Sembra retorico, ma è vero:
ogni film si ricomincia daccapo. Ti sembra che nessuna esperienza ti possa aiutare: sei di nuovo
impaurito come all’opera prima.
Di questo film mi è stato subito chiaro che poneva il suo peso sulle spalle degli attori.
Gli attori sono importanti per tutti i registi, ma per chi fa cinema di personaggi, sono il cardine del
proprio lavoro. Sono esseri che ti tengono in pugno e nemmeno lo sanno, che devi far sentire
completamente liberi nella ferrea gabbia drammaturgica che gli hai costruito, e che anzi siano illusi
di spiccare voli nel cielo di cartone che gli hai disegnato. Ho avuto in regalo anche degli attori
eccezionali: ognuno mi ha fatto dono di sé, in modo commovente e profondo. Considero il mio
lavoro molto artigianale, sono noiosa, pignola: scrivo con il martello e la pialla, costruisco scalette,
forgio dialoghi, poi scelgo ottiche, stendo binari, attacco in movimento, salto con la sbianca in
stampa, al mix alzo i passi e abbasso il vento mille volte, cambiando via via collaboratori, tutti
importantissimi, che diventano i miei migliori amici.
Siamo aggrappati per anni al collo di una storia, con i denti affondati in ogni particolare minuscolo,
che come i frammenti di un mosaico andrà a comporre la nettezza o la imprecisione del disegno.
Un disegno che alla fine però deve essersi disegnato da sé, senza la mano di nessuno, se non
quella dei personaggi stessi che vivono la loro vita, caricandosi martello, scalette, ottiche e salto
sbianca sulle spalle.
Zavattini diceva: tanto l’artistico viene da sé, è l’utile che bisogna volere.
Francesca Archibugi
ALBERTO - ANTONIO ALBANESE
Come descriveresti il tuo personaggio?
Alberto è uno sceneggiatore, un uomo che ha sempre vissuto alla giornata, senza un amore fisso,
tentando di fuggire da convivenze e routine. Per la prima volta, dopo aver condotto una vita
disordinata, vive un dolore fisico e con esso una nuova consapevolezza. Quello che mi ha colpito
del mio personaggio e di conseguenza anche della storia, è proprio questo rapporto di amicizia
che si instaura tra due culture completamente diverse, almeno in apparenza. Una storia d’amicizia
che si appoggia su un dolore che condividono, quello dell’infarto. Alberto è un personaggio
interessante, perché racconta un po’ il nostro tempo. Per me è stato complesso e arricchente
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adottare una gestualità e un’interpretazione basate su elementi quasi misteriosi, come il dolore e
l’affetto per Angelo (Kim Rossi Stuart) e la sua famiglia.
Com’è stato lavorare con Francesca Archibugi?
L’interesse nei confronti di questo progetto è nato anche dal desiderio di lavorare con una regista
donna che si è poi rivelata molto più forte e tenace di tutti i registi uomini con cui ho lavorato.
Francesca è molto innamorata della storia, molto appassionata – caratteristica che tutti i registi
devono avere e hanno - ma ha una forza particolare. Come dico io, non molla mai un crostino, è
sempre sul pezzo. E, nello stesso tempo, dà anche ampia libertà agli attori nella ricerca di un loro
approccio con i dialoghi, pur mantenendo il canovaccio molto rigido.
Come definiresti il film?
Ogni buona commedia si trascina dietro un dramma o un dolore; é un genere che per sua natura
riesce a focalizzare le situazioni drammatiche. Le parti più drammatiche che ho interpretato le ho
individuate soprattutto nelle commedie. Se per commedia intendiamo una certa libertà di
raccontare il nostro tempo e, quindi, i vizi e i paradossi della nostra società, possiamo chiamarla
una commedia tendenzialmente drammatica, trattata con verità e buon senso. All’interno ci deve
essere la vita ed è la vita che è una commedia, comunque e sempre.
Qual è stata la scena più interessante?
Forse la scena della scrittura, quando il bambino s’incuriosisce di questo lavoro giocoso e
misterioso. Alberto sta scoprendo quelli che sono i fondamentali dell’esistenza, come la semplicità,
e lo fa cercando di trasmettere simpatia, di affascinare i bimbi e di conseguenza anche la donna.
La scoperta delle cose vitali gli darà forza, voglia di ritrovare quella pace che aveva dimenticato.
Tra i due personaggi, poi, c’è un gioco spesso infantile, una gioia pura che si può associare al
periodo dell’adolescenza. Nella storia tutto ciò serviva a contrapporre i personaggi e creare i due
estremi. Da un parte Alberto, affetto da bulimia sessuale, e dall’altra Angelo, innamorato e
tranquillo che fa capire all’amico la condivisione dei sentimenti.
Com’è stato il rapporto con gli altri personaggi del film?
La caposala (Chiara Noschese) è al centro della storia. È una donna che sente e vive
quotidianamente il dolore. Per Alberto e Angelo lei rappresenta la prima e unica persona che
collega il dolore alla realtà, l’unica a cui chiedere appoggio o consolazione. Nei confronti di
Rossana (Micaela Ramazzotti), invece, Alberto ha uno sguardo quasi biblico; in lei vede una
mamma, la femminilità, una donna che lotta per cercare di capire e sostenere il suo uomo. In
Rossana vede la possibilità di convivere con una donna.
Cosa ti è piaciuto di più del film e della tua interpretazione?
L’aspetto più interessante del film è il percorso emotivo che i due personaggi affrontano dopo
l’incontro con il dolore. Per interpretare al meglio il mio ruolo mi sono documentato sull’infarto, sulle
sue cause, sulla gestualità e tutta la sofferenza che ne consegue. E, soprattutto, sulla continua
paura che l’infarto provoca e che io trovo straziante. Nel mio personaggio, poi, avviene un cambio,
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un’apertura, nonostante il dolore e la paura rimangano. È stato molto interessante per me
mantenere giorno dopo giorno, scena dopo scena, piacevole o faticosa che fosse, questo strato di
dolore permanente. Si racconta una verità e, come tale, va rispettata.
ANGELO – KIM ROSSI STUART
Come descriveresti il film?
Due uomini hanno un infarto nella stessa nottata, s’incontrano nella corsia d’ospedale e diventano
grandi amici. Questo, secondo me, è il cuore del film. Si è sempre sentito dire che un film, se ha
una buona storia, lo si deve poter raccontare in tre parole. Ecco, direi che queste sono le parole.
Poi ci sono altri archi narrativi molto importanti, come quello di mia moglie, interpretata da Micaela
Ramazzotti, però il cuore del film è questa amicizia piena di vitalità.
Perché hai scelto di fare questo film?
Io sono stato affascinato, più di tutto, dall’aspetto leggero del film, dalla commedia. Ho cercato di
spingerla fino al limite massimo, là dove era possibile, anche se credo che nel cinema di
Francesca Archibugi ci sia sempre un tappeto sotterraneo malinconico. Un altro aspetto
fondamentale che mi ha portato a desiderare di fare questo film, è la costruzione quasi teatrale dei
dialoghi, soprattutto nella prima metà, quando sono in ospedale. Mi interessava molto la
costruzione del personaggio nelle minime sfumature, in uno sguardo, in un’alzata di sopracciglio,
in una sfumatura linguistica. Il tutto in relazione a un altro personaggio, una pièce a due, per certi
aspetti: Alberto, nella sua nevrosi e nel suo essere intellettuale, è più complicato, Angelo è più o
meno quello che si vede.
Come descriveresti il tuo personaggio?
Angelo è un carrozziere con famiglia al seguito, una persona semplice, elementare. Un misto tra
Brando e Sordi. Io mi sono comunque focalizzato maggiormente sul suo presente, sulla sua natura
fanciullesca che riaffiora, sul suo nucleo familiare stabile e ricco. Angelo e Rossana sono la
classica coppia di fidanzati che si sono incontrati da ragazzi e non si sono più lasciati, senza grossi
tentennamenti o dubbi.
Anche questo è uno degli aspetti molto semplici, viscerali e basilari del personaggio, di sicuro in
contrapposizione alla vita sregolata di Alberto.
Com’è stato girare al Pigneto?
La mia prima casa in affitto era proprio al Pigneto, quindi è un quartiere che conosco bene, anche
se recentemente ha subito forti cambiamenti. È diventato più di tendenza negli ultimi anni, un po’
alla moda, però possiede ancora degli aspetti viscerali fortissimi. Sono tutti ambienti che danno
molto alla storia e ai suoi protagonisti.
Cosa vorresti che arrivasse del film a uno spettatore?
Non credo che si faccia un film cercando di indurre lo spettatore ad una riflessione particolare. Mi
sembra restrittivo. Ambisco alla semplicità. Se arriva il concetto, l’emozione base del film, penso di
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essere arrivato in fondo a quella che è per me l’essenza del film.
ROSSANA – MICAELA RAMAZZOTTI
Come descriveresti il tuo personaggio?
I personaggi sono come i viaggi, come le tele di un pittore, non si possono raccontare o spiegare.
La cosa magica del cinema è che riesce a raccontarteli fin dal primo momento. C’è stato un lavoro
psicologico molto approfondito dietro Rossana: lei è una tosta, una madre piena di coraggio. Puoi
avvertirlo già dalla voce, una di quelle voci belle, fiere, romane de ‘na volta, mentre la mia, a cose
normali, è fanciullesca e sottile. L’interpretazione di un attore va di pari passo con la propria vita
personale e le proprie esperienze. Con questo personaggio io ho recuperato la me stessa più vera
e ho sviluppato senz’altro un grande senso materno.
Come si rapporta Rossana con gli altri personaggi del film?
Con Kim, che interpreta mio marito, mi sono trovata benissimo. Adoro la complicità di questa
coppia, il coraggio di aver formato una famiglia molto presto, nonostante fossero due giovani
ragazzi belli, popolari e autentici. Hanno un rapporto di grande affetto, fatto anche di liti e di
sguardi, un rapporto che trascende il vincolo del matrimonio e li rende un’unica cosa. È un amore
primordiale il loro, uno di quegli amori che tutte noi donne abbiamo sognato da bambine. Con
Alberto, interpretato da Antonio Albanese, invece, ho un rapporto strano. Lui e Rossana
rappresentano due mondi completamente diversi, anche dal punto di vista del linguaggio. Rossana
è stata definita un “Furbi”, una donna intelligente, perspicace e intuitiva. All’inizio a lei Alberto non
piace affatto, poi piano piano lo lascia entrare nella loro vita sollevando la curiosità dei vicini che si
chiedono perché quella persona così diversa si sia insinuata nella loro famiglia. Con i bambini
sono una madre severa. Perla sta entrando nella fase dell’adolescenza e con lei i rapporti sono
tesi, mentre con Airton, il piccolo di casa, c’è maggiore serenità.
Cosa ti ha spinto a fare questo film?
Dopo il primo incontro con Francesca Archibugi sono rimasta confusa ed emozionata dalla storia
per ben due giorni, perché, pur essendo commovente e autentica, mantiene una certa leggerezza
nei dialoghi
e nelle battute. Francesca poi è stata bravissima nel dare ad ogni scena una struttura ed
un’evoluzione emotiva differenti. Gli interpreti devono evolversi continuamente e compiere un
faticoso lavoro interiore. Rossana è un po’ come Madre Natura con la sua pancia che cresce;
intorno a lei gira tutto, uomini, idee, emozioni. E mi piaceva l’idea di rappresentare questo costante
mutamento, questo fluttuare tra numerosi stati d’animo.
Com’è stato lavorare con Francesca Archibugi?
Francesca, oltre ad essere molto colta e intelligente, è una donna estremamente sensibile. Con lei
ho fatto tre giorni di provini. È stata durissimo, ma innegabilmente istruttivo. Francesca cerca
l’attore, lo prepara, vuole tirare fuori la sua spontaneità. Sul set, poi, ha la capacità di imporsi con
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dolcezza, con le parole, e di tenere tutto sotto controllo. Di lei mi piace soprattutto questo.
CARLA – FRANCESCA INAUDI
Come descriveresti il tuo personaggio?
Una donna forte, innamorata senza compromessi e sincera. Sincera anche nel momento in cui
sceglie, per amore, di lasciare andare Alberto per la sua strada. E' dotata di un enorme rispetto per
le persone, anche se a volte non le condivide o non si sente loro vicina.
Come è stato lavorare con Francesca Archibugi?
Era la seconda volta che avevo la possibilità di lavorare con una regista donna, dopo Cristina
Comencini, e devo dire che è bello. Ci sono una delicatezza e una forza particolari che animano il
lavoro quando guida una donna. Una prospettiva diversa. E' sicuramente riduttivo ovviamente
pensarla solo in questo senso. Francesca è una regista attenta e di polso, che ti guida nel suo
mondo con grande decisione e chiarezza. E' pazzesca a lavorare con i bambini, ma questo lo
sanno tutti... e poi io avevo un piccolo "conto in sospeso" con lei…Essendo io di Siena, il mio
primissimo provino, quando ancora neanche pensavo che avrei fatto questo mestiere, è stato per
le comparse di "Con gli occhi chiusi"...non mi prese...
Come definiresti il film?
E come lo definirei... la domanda da un milione di dollari! è un film che pesa 21 grammi! il peso
dell'anima dicono...in questo senso questo è un film leggero...parla con l'anima e con la sua
leggerezza dell'anima e della vita.
Quale è stata la scena più interessante?
La scena in cui il mio personaggio recita in teatro... è stato buffo per me, nata con il teatro fingere
di esserci all'interno di un film... non mi era mai capitato... breve ma intenso.
Com’è stato il rapporto con gli altri personaggi?
Lavorare con Antonio è stato un grande piacere, era bello il contrasto tra il nostro affetto reale e il
modo terribile in cui il suo personaggio doveva trattarmi in scena...Ho rimpianto un pochino di non
aver potuto condividere più spesso il set con gli altri miei colleghi.
Cosa ti è piaciuto di più del film e della tua interpretazione?
Il film mi è piaciuto moltissimo. Punto. Non credo che si debba aggiungere altro, parla benissimo
da sé.
Recensioni
Pietro Ferraro (www.ilcinemaniaco.com)
Alberto (Antonio Albanese) è un single che vuol fare il partner ideale e non ci riesce, egocentrico,
esuberante, fa una vita sregolata, Alberto fa lo sceneggiatore, e un bel giorno il suo cuore lo
tradisce e si ritrova ricoverato d’urgenza in una sala di rianimazione insieme ad altri pazienti che
poco tollerano i suoi eccessi, tranne Angelo (Kim Rossi Stuart), lui sembra apprezzare le piccole
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follie dell’uomo, i due legano, tanto, forse più di quello che immaginano e una volta fuori la loro
amicizia diventa così solida che un pò li spaventa. Angelo è l’antitesi di Alberto, vita regolare, un
buon lavoro che gli permette di mantenere la sua bella famiglia, Angelo fa il carrozziere di
macchine d’epoca, Rossana (Micaela Ramazzotti) sua moglie è una donna verace e alquanto
atteraente, è incinta, questo è il terzo figlio per Angelo, gli altri due sono Airton un ragazzino un pò
impaurito che si affaccia la mondo con curiosità e stupore e l’altra è Perla, Perla è una…una tipica
adolescente. Alberto si ritrova catapultato nel mondo di Angelo e se all’inizio si trova un pò
spaesato e non riesce a sincronizzarsi con i tempi della famigliola, man mano entra nell’ottica e
capisce perchè il suo amico ami cosi profondamente quel modo di vivere. Angelo ha però un
segreto che si porta dentro da quando ha lasciato l’ospedale, sente che la sua vita lo sta
abbandonando, la sua salute peggiora di giorno in giorno ed un solo pensiero l’assilla, dare una
sicurezza che non sia solo economica alla sua famiglia, così pensa che il suo amico, si proprio
quello che conosce da così poco, che sembra uscito dalla canzone di Cocciante Per un amico in
più, possa occuparsi della sua famiglia quando lui non ci sarà più…
Francesca Archibugi è una fine narratrice, vede il mondo con gli occhi dei bambini e con l’anima
degli adulti, commuove e coinvolge, sfrutta al meglio due talenti così diversi e al contempo così
affini come Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, che recitano veramente con l’anima, mai una
sbavatura, mai sopra le righe anche quando la scena glielo avrevbbe permesso, duettano
veramente con il cuore ed il talento. E’ bello vedere un cinema così intenso e partecipato fatto di
idee e di passione, questo piccolo racconto di vita nasconde tante verità e qualche bugia, di quelle
che ogni tanto ci raccontiamo per non soffrire troppo, che altro dire, film così fanno solo bene al
cinema italiano e al cinema in generale, dategli una possibilità perchè la merita.
Paolo Mereghetti (Corriere Della Sera)
L’intellettuale e l’artigiano, amici di corsia: la Archibugi fa centro con due tipi italiani Si può ancora
fare oggi una commedia «all’italiana»? O meglio: che senso ha, in questi anni sfilacciati e porta- aportisti (dove anche le cose serie si riducono a teatrino masocone di retorica e vanità), che senso
ha raccontare una storia con le unghiate e le furbizie della commedia alla Age e Scarpelli? O alla
Scola e Maccari? Francesca Archibugi, che di Scarpelli è un’allieva orgogliosa, ci riprova dopo
qualche regia non molto indovinata, recuperando una scrittura forse meno ambiziosa ma più oliata,
dove lo scontro di caratteri prende il posto di quello generazionale e l’incontro interclassista con
l’altro diventa momento di conoscenza e di esperienza. Della commedia (e della scuola)
«all’italiana », però, è rimasto molto poco, se non il punto di vista romanocentrico con annesse
inflessioni dialettali. Ma forse sarebbe solo illusione aspettarsi la rinascita di un genere che agli
anni Sessanta e Settanta era irrinunciabilmente legato. Meglio dimenticare Risi e Monicelli e
recuperare la lezione di un Comencini più umanista e «antropologo». Da lì e dal romanzo quasi
omonimo di Umberto Contarello (nel libro, pubblicato da Feltrinelli, c’è un articolo in più: Una
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questione di cuore) parte l’Archibugi per raccontare l’incontro tra due tipi opposti, accomunati da
un infarto e da una degenza comune in ospedale. Alberto (Antonio Albanese) è uno sceneggiatore
farfallone e inaffidabile, che convive con un’attrice (Francesca Inaudi) senza sapere bene il perché
e che sembra sfruttare la sua cultura e le sue intuizioni più per far colpo sulle donne che per
onorare gli impegni di lavoro. Angelo (Kim Rossi Stuart) è un carrozziere di borgata, che ha
chiamato la primogenita Perla e il figlio Airton (in onore di Senna), che è in attesa di un terzo figlio
dalla moglie Rossana (Micaela Ramazzotti) e che dal proprio lavoro sa trarre molte soddisfazioni,
compresi quei compensi in nero che gli hanno permesso di costruirsi una più che solida sicurezza
economica. Il borghese e l’artigiano, uno che gioca con le parole e un altro che non riesce a
evitare di esprimersi in dialetto, l’uomo di mondo (che in ospedale riceve la visita degli artisti per
cui ha lavorato: Luchetti, Virzì, Sorrentino, Verdone — che regala due minuti indimenticabili — la
Sandrelli) e il borgataro: la differenza di caratteri non potrebbe essere più evidente e il film corre
lungo i binari di questo incontro/ scontro, mescolando un po’ di sociologia spicciola (Angelo abita al
Pigneto, il quartiere popolare dove Pasolini ambientò Accattone; Alberto non può fare a meno dello
psicoanalista, una simpatico cameo del critico Adriano Aprà) e molto, molto mestiere. Che non è
certo una critica, ma piuttosto la constatazione di una professionalità sempre più rara oggi in Italia.
La Archibugi dimostra in questo film di saper usare al meglio tutti gli strumenti di cui può disporre
un regista. Come la sceneggiatura (firmata in prima persona) che sa evitare le tante trappole che
un tema così poteva disseminare, a cominciare dal facile pietismo che può innescare la malattia. E
come la scelta dei due protagonisti, che ti saresti aspettato di vedere in ruoli opposti e che invece
in questo modo sanno rendere — per bravura e sfumature di interpretazione ma anche per merito
della
direzione
registica
—
sempre
interessanti
personaggi
che
potevano
essere
stereotipati. Perché il colto e raffinato intellettuale che scopre i valori dell’amicizia e della
solidarietà e l’ex proletario che rivela sensibilità e impensate generosità, ribaltando il quadro
umano d’inizio film, non sono certo una trovata originalissima. Ma nel film dell’Archibugi funzionano
e da spettatore ti ritrovi a seguire l’evoluzione dei due amici di corsia per scoprire come andrà a
finire. Certo, il personaggio di Alberto è più interessante perché più complesso (e sicuramente più
vicino alla regista) e a lui sono affidate le scene più indovinate, come i battibecchi con l’infermiera
dal volto triste (Chiara Noschese) o la lezione di sceneggiatura al piccolo Airton (Andrea Calligari).
Senza contare che Albanese ha una carica di simpatia capace di vivificare anche i personaggi più
antipatici. Ma anche Kim Rossi Stuart, il cui personaggio ha un’evoluzione psicologica (e medica)
più scontata, riesce a evitare pietismi o lacrimucce ricattatorie. Per non parlate delle due donne, la
Ramazzotti e la Inaudi, convincenti in due ruoli non certo facili. Resterebbe da rispondere alla
domanda iniziale (magari modificata così: che tipo di commedia si può fare oggi in Italia senza
scadere nella farsa o nella fiction televisiva) e poi chiedersi perché la realtà, la realtà vera di questi
anni, più brutti che sporchi e cattivi, finisca per apparire irrimediabilmente edulcorata o troppo
distante dalle nostre commedie, anche da quelle ben fatte e piacevoli come Questione di cuore.
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Ma sono domande troppo complesse e forse troppo difficile per tutti, registi e critici compresi...
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
Una bellissima storia di amicizia maschile e bravissimi attori stanno al centro di Questione di
cuore, diretto da Francesca Archibugi, tratto dal romanzo di Umberto Contarello (Feltrinelli). Due
uomini giovani si conoscono per caso nel reparto rianimazione dell’ospedale romano in cui sono
tutti e due ricoverati per aver subìto un infarto. Non si somigliano, hanno nulla in comune. Kim
Rossi Stuart è uno degli infiniti italiani senza più identità sociale: ex sottoproletario, ex carrozziere
di ex borgata divenuto piccolo imprenditore d’un quartiere alla moda. Quel che non ha perduto è
l’identità umana: un uomo bello, calmo, innamorato della moglie, buon padre di due figli, generoso,
scherzoso. L’altro, Antonio Albanese, è uno sceneggiatore solitario, temperamentale, rumoroso,
freddo sentimentalmente. Diventano amici senza ragione, al modo degli adolescenti: complicità,
risate, divertimento, confidenza. Dimessi dall’ospedale, hanno convalescenze opposte: Albanese,
di nuovo solido e resistente, ha recuperato quasi completamente la forza del cuore; Kim Rossi
Stuart ha recuperato quasi nulla, poco a poco si fa sempre più fragile, grigio in faccia e sfinito,
muore ogni giorno un poco. Questo gli suggerisce un progetto che coinvolge l’amico, nel futuro in
cui lui non ci sarà più. La bravura degli attori, specialmente di Kim Rossi Stuart, è grande; la
drammaticità della vicenda pure, e anche la presenza di Micaela Ramazzotti nella parte della
moglie di Kim è essenziale per espressività e femminilità profonde. La finezza dell’attrice nel
vedere spegnersi il marito e fingere di nulla è simile alla eloquenza di Rossi Stuart con le sue
gambe deboli, il colorito terreo, i piccoli gesti affaticati, i sorrisi forzati della paura. Albanese,
bravissimo sempre, sembra una molla caricata di vitalità: chiede e chiede al nuovo amico divenuto
ormai indispensabile, vuole lavorare con lui e sperimentare i vantaggi della fatica fisica, si mescola
alla famiglia di lui, pare un cinghiale che frughi alla ricerca di nutrimento. Bisogna essere davvero
bravi per ottenere qualcosa di simile, e lo è Francesca Archibugi, da sempre architetto dei
sentimenti, investigatrice delicata e forte del cuore della gente, eccellente direttrice d’attori e
analista d’Italia.
Maurizio Porro (ViviMilano)
Due vite che si intrecciano per caso, due volti che non si conoscono ma non possono più fare a
meno di guardarsi. Due storie che in virtù del destino adattato al grande schermo diventano quasi
una sola. Il nuovo film della regista romana Francesca Archibugi «Questione di cuore», (…) gioca
con finezza sulla partitura dei sentimenti e della solidarietà umana. «Questione di cuore», tratto dal
libro omonimo di Umberto Contarello (Feltrinelli), raggiunge gradi di maturità espressiva e di
originalità narrativa notevoli, quasi in bilico tra un tragico scherzo del destino e una bella storia
d'amicizia. Nel cuore del film, tanto per restare intorno al nucleo titolo, c'è una strana ma
indovinatissima coppia di attori, formata da Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, ricoverati lo
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stesso giorno in ospedale per attacco cardiaco. Albanese è uno sceneggiatore in crisi con il suo
lavoro e con la compagna attrice, ma ha tanti amici famosi che vanno a trovarlo in ospedale (e
forse questo era evitabile visto che non ha nessuna rilevanza per la narrazione); Kim è invece un
marito con due figli e uno in arrivo, carrozziere specializzato in auto d'epoca e conti in nero,
sensibile a quest'uomo così nuovo e diverso che gli ha fatto compagnia nel letto accanto
condividendo la suspense dettata dalla malattia. È quasi un processo di osmosi quello per cui i
due uomini diventano in fretta curiosi ciascuno dell'altro proprio perché così lontani tra di loro. Pur
non rinunciando a un certo didascalismo moralista, la brava regista delle storie intricate di rimorsi e
rancori di famiglia fin dai tempi di «Mignon è partita», dispone il gioco di dama in modo inconsueto
e trova fascinazione anche nei silenzi, nelle pause, negli sguardi di due attori che si dimostrano
straordinari, quasi telepatici nelle rispettive interpretazioni. Se fosse una pièce di teatro potrebbero
alternarsi nel gioco delle parti. È molto sottile e non banale la «rete di protezione» psicologica che
la Archibugi ha approntato per i suoi due non eroi, che perdono ogni luogo comune proprio nello
sguardo opposto dell'altro. Ed è molto bella l'idea che Albanese, scrittore di cinema, insegni al
ragazzino, figlio dell'amico, a intuire quello che la realtà spesso a prima vista nasconde: la facoltà
rabdomantica del poeta artista che, se vogliamo fare un salto all’indietro con la memoria del teatro,
arriva al mago Cotrone dei «Giganti della montagna» di Pirandello. E il bello è che il teenager di
oggi capta immediatamente il gioco segreto e ci si diverte, osservando il resto del mondo con occhi
diversi. Oltre all’impagabile coppia protagonista, anche i ragazzi, come sempre con la Archibugi,
danno il loro massimo senza essere mai prodigi o molesti, così come si fa notare in modo positivo
(e non solo per il fisico) la figlia d’arte Micaela Ramazzotti.
Cristina Piccino (Il Manifesto)
Non è una storia d'amore, anche se l'amore c'entra. Le «questioni di cuore» a cui si riferisce il titolo
di questo nuovo film della regista romana sono gli sbalzi capricciosi e imprevisti dei cuori impazziti
di due tipi che si risvegliano intubati nel letto del pronto soccorso. Infarto. Uno (Albanese) è
sceneggiatore di successo, l'altro (Rossi Stuart) fa il meccanico, anzi il restauratore di auto vintage
o d'epoca che dir si voglia - il film si basa sul romanzo autobiografico di Umberto Contarello,Una
questione di cuore, sceneggiatore tra gli altri di Amelio e Salvatores che però qui non partecipa
alla scrittura della stessa Archibugi). I due si piacciono subito - «Come sei bello» esclama stupito
Albanese quando l'infermiera toglie il paravento di separazione. Chiacchierano, si raccontano
l'infanzia, uno a nord, l'altro nelle periferie romane, il matrimonio, la solitudine, le vite distanti
insomma che in altre circostanze non si sarebbero, probabilmente, intrecciate mai.
Lo
sceneggiatore, che si chiama Alberto, è nevrotico, con tanti amici famosi - Verdone, Sandrelli,
Virzì, tutti nel ruolo di loro stessi - mentre il ragazzo «romanaccio» Kim, sullo schermo Angelo, ha i
figli, la maggiore adolescente rabbiosa e spaventata, il piccolo che non vorrebbe lasciarlo mai
sfidando i divieti ospedalieri, e la moglie di nuovo incinta, vistosa (Micaela Ramazzotti) e diretta,
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che lo ama con passione viscerale - «E che non ci scopo con mia moglie, che ci starei a fare
sennò?» dice (più o meno) Angelo nelle confidenze tra maschi a Alberto. Che invece trattiene
tutto, con la sua ragazza (Francesca Inaudi), molto più giovane e aspirante attrice, non ci fa sesso.
Anzi non ci fa nulla, la tratta malissimo (come fa a stare con me? si chiede) e tormentato va dallo
psicanalista (icona geniale di Adriano Aprà, il critico italiano più nouvelle vague). Alberto riversa
tutto nelle sue fantasie, l'occhio allenato a guardare la vita altrui tenendosi fuori. E quando la
paranoia del «coccolone» diventa troppo forte lascia lavoro, ragazza, appartamento e si rifugia da
Angelo che invece sta male davvero ma non lo dice a nessuno. Scoprendo lì un mondo diverso,
popolare, «vero»: il Pigneto, storico quartiere romano, e fa sorridere visto che oggi è il nuovo
quartiere di tendenza della capitale, col bar Necci di Pasolini - uno dei luoghi del film - che era un
ristorante molto ricercato, a cui hanno dato fuoco qualche settimana fa... Francesca Archibugi dice
che con Questioni di cuore voleva fare un film sull'Italia anche se in modo sghembo, lavorando
cioè su questo incontro altrimenti impossibile tra mondi umani. E per farlo usa il cinema, o meglio
le sue memorie: ci sono i luoghi della Roma pasoliniana, la Torpignattara dei fratelli Citti, la borgata
Gordiani dove Anna Magnani correva dietro il camion cadendo a terra, uccisa dai fascisti in Roma
città aperta. Una geografia oggi radicalmente mutata tra studenti, migranti, senegalesi o cingalesi,
e loft e gallerie di tendenza - ma nei suoi primi film Matteo garrone aveva rifondato l'immaginario
delle periferie romane con poetica lucidità. La cosa più divertente del film, non so se voluta, è la
messinscena del cinema italiano. Che forse è spesso così mediocre per l'incapacità di uscire dai
propri riferimenti, di guardarsi intorno, di inventare nuovi orizzonti. Assurdo no che uno
sceneggiatore «colto» si stupisca di fronte a un ragazzo africano immigrato che parla francese come se fossero tutti analfabeti (la scena è davvero infelice). O che scopra all'improvviso il
razzismo ... L'impressione però è che anche Archibugi ci rimane un po' chiusa nel mondo che
vorrebbe spalancare proprio come il suo sceneggiatore. Ogni dettaglio è scritto fino a diventare
ovvio. Non ci sono sorprese in questo incontro impossibile - ma un certo pudore tra uomini nel dirsi
sentimenti e paure è raccontato bene. Tutto è come deve essere, come è già: personaggi, battute,
situazioni, ... Anche l'idea di un cinema «popolare» che commuove e parla a tutti: senza spigoli o
almeno quel po' di ironia indispensabile.
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