Il matrimonio come bene interpersonale Al di là dell`utile e del

Il matrimonio come bene interpersonale
Al di là dell'utile e del piacevole
Aristide Fumagalli
Professore di Teologia morale nel Seminario Arcivescovile di Milano
La storia recente del matrimonio appare caratterizzata da una svolta descrivibile quale passaggio dal
matrimonio come «bene utile» per la società, alla convivenza come «bene piacevole» per l'individuo.
L'ambivalenza di questa trasformazione rilancia la sfida circa il matrimonio come «bene interpersonale»1.
1. Il matrimonio utile
Sino all'avvento dell'epoca moderna, il matrimonio è stato concepito in termini di «bene utile». Secondo la
definizione classica, utile è quel bene che serve come mezzo per raggiungere un fine. Nella sua storia
plurimillenaria il matrimonio è stato il mezzo utile finalizzato dalla società alla «trasmissione, di generazione
in generazione, di un patrimonio biologico, materiale e simbolico»2.
L'utilità del matrimonio pre-moderno può essere valutata considerando, nella vita della società, la triplice
posta in gioco della politica, dell'economia e della cultura.
Sotto il profilo politico, il matrimonio consentiva di trasformare i potenziali nemici in alleati. Secondo gli
studi di antropologia culturale3, le donne fungevano da oggetto di scambio per stabilire legami sociali, così
come la moneta permetteva di stringere rapporti economici. Il principio di esogamia, in base al quale si
deve scegliere una donna al di fuori del proprio clan, è un principio di riconoscimento dell'uguaglianza degli
altri clan, con i quali è dunque possibile stringere un'alleanza. Già sotto questo profilo si può notare lo
scarso se non nullo rilievo della qualità della relazione amorosa rispetto all'istituzione del matrimonio.
Sotto il profilo economico, il matrimonio costituiva la comunità di lavoro necessaria per la sopravvivenza
dei singoli. Prima dell'epoca industriale, le precarie condizioni di vita (di cui indice emblematico erano l'alta
mortalità infantile e la brevità della vita) finalizzavano il matrimonio e la famiglia all'obiettivo primario della
sussistenza. Le relazioni coniugali e familiari erano pertanto stabilite e strutturate in funzione dell'attività
agricola o artigiana. L'uomo era, simultaneamente, il capofamiglia e il datore di lavoro, cosicché la famiglia
risultava di tipo patriarcale e gerarchico. La funzione economica di cui era investito il matrimonio ne
privilegiava l'aspetto generativo, al quale era subordinata la relazione affettiva. La donna valeva in quanto
genitrice, i figli in quanto forza lavoro.
Sotto il profilo culturale, il matrimonio rappresentava la forma mediante la quale gli individui venivano
ascritti alla società di appartenenza. L'uomo e la donna assumevano rilievo sociale con il matrimonio. Più
esattamente, poiché il matrimonio era finalizzato alla procreazione, l'uomo e la donna risultavano integrati
e affermati sul piano sociale non in quanto solo sposati, ma anche in quanto avevano figli. Non essere
sposati e non avere figli era, massimamente per una donna, una «disgrazia». L'indiscusso primato della
funzione generativa faceva sì che, anche a livello della cultura sociale, l'amore tendesse a essere
considerato un ingrediente solo accidentale del matrimonio.
L'utilità sociale dell'istituzione del matrimonio è prevalsa sulla qualità amorosa della relazione coniugale e
familiare sin verso la fine del secolo XIX. Con l'avvento del XX secolo, specialmente degli anni Sessanta del
medesimo, il matrimonio perde progressivamente la tradizionale funzione di «bene sociale» e assume
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sempre più la connotazione di «benessere individuale». Il dovere sociale è soppiantato dal piacere
personale; dal matrimonio per utilità si passa al matrimonio per diletto.
2. Dal matrimonio utile alla convivenza piacevole
La trasformazione del matrimonio utile alla società alla convivenza piacevole per l'individuo è stata indotta
dai profondi mutamenti che hanno caratterizzato la storia recente dell'Occidente. In particolare, va
segnalato il progresso scientifico, che in epoca moderna (secc. XVIII e XIX) ha prodotto la cosiddetta
«rivoluzione industriale» seguita poi, in epoca contemporanea, a partire dalla seconda metà del XX secolo,
dalla cosiddetta «rivoluzione tecnologica». Effetto rilevante di questa duplice rivoluzione è la divisione del
mondo della famiglia dal mondo del lavoro, sino allora coincidenti. La famiglia cessa di essere la «casa
totale», il cui perimetro si sovrappone a quello della società, e da quest'ultima si apparta, cedendo al
contempo la funzione sociale che prima svolgeva.
La trasformazione del matrimonio e della famiglia può essere meglio indicata con riferimento ai mutati
profili politico, economico e culturale.
Sotto il profilo politico, matrimonio e famiglia perdono la funzione di integrazione sociale. La convivenza
sociale non è più regolata mediante accordi tra famiglie e gruppi, rispetto ai quali l'individuo risulta
subordinato, ma si struttura sulla base di un contratto tra singoli individui sancito da una legge costitutiva,
la Carta costituzionale. Nella regolazione dei rapporti sociali, le consuetudini matrimoniali cedono il posto
alle regole dello Stato democratico. Il matrimonio, non più gravato dell'ipoteca sociale, diviene una scelta
individuale: da istituzione pubblica si trasforma in vicenda privata.
Sotto il profilo economico, con l'avvento dell'industrializzazione e dei processi a essa connessi, in primis
l'urbanizzazione, la famiglia perde la funzione di comunità di lavoro. Lo sviluppo economico trascina le
società occidentali fuori dall'economia di sopravvivenza, giungendo, dopo la metà del XX secolo, a garantire
diffuse condizioni di benessere. Il proletariato operaio, che nel processo di industrializzazione risultava
subalterno alla classe borghese, acquisisce (anche con le lotte sindacali e la politica statale) un salario
stabile. La rivoluzione tecnologica, trasformando il lavoro in attività sempre meno muscolare e sempre più
mentale, causa il progressivo imborghesimento della classe operaia. Non più tassello decisivo del quadro
economico, il matrimonio viene contestato dalla cosiddetta «rivoluzione sessuale» come una sovrastruttura
dell'economia borghese: l'amore «libero» viene contrapposto alla «schiavitù» del matrimonio.
Sotto il profilo culturale, il matrimonio cessa di essere l'unica forma di accreditamento personale dell'uomo
e della donna. In particolare, la rivoluzione democratica, garantendo (almeno in linea di principio) la parità
di diritti tra uomo e donna, e la rivoluzione economica, promovendo l'indipendenza lavorativa della donna,
consentono al mondo femminile di emanciparsi dalla subordinazione a quello maschile. L'«identità di
genere» (gender) viene notevolmente ridefinita4. Da un codice simbolico «gerarchico-duale», con il
maschile in posizione di dominio, la differenza di genere passa a un codice «ugualitario-simmetrico», in cui
viene riconosciuta l'autonomia di ciascuno dei due generi5. La realizzazione personale ora passa
primariamente attraverso la realizzazione individuale. Lo stesso legame matrimoniale, qualora venga
istituito, risulta funzionale alla realizzazione dei single.
3. La convivenza piacevole
L'avvento della modernità, con i suoi processi rivoluzionari a livello politico (rivoluzione francese),
economico (rivoluzione industriale) e culturale (rivoluzione sessuale), ha spostato il baricentro della vita
sociale dalla famiglia all'individuo. Già presente come gene caratterizzante il DNA dell'uomo moderno,
l'individualismo è progressivamente divenuto uno dei tratti più evidenti del suo discendente
postmoderno6. Il programma individuale di vita, tradizionalmente ispirato al «principio di conformità»:
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«più mi conformo ai modelli del passato, migliori saranno le chance di farmi valere in seno alla società»,
viene riformulato secondo il «principio di novità»: «più innovo, più avrò l'opportunità di "sfondare" e
distinguermi in seno alla società»7.
Il passaggio dal familismo premoderno all'individualismo moderno comporta, come già è stato anticipato,
una profonda trasformazione del matrimonio, il quale, da rigida istituzione sociale, tende a sciogliersi in
«relazione pura», la quale «si mantiene stabile fin tanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti
benefici come per giustificarne la continuità»8, cosicché «può essere troncata, più o meno a proprio
piacimento e in qualsiasi momento, da ciascuno dei due partner»9. La relazione amorosa, prima congelata
nell'istituto del matrimonio, va sciogliendosi in «amore liquido»10. Per tal motivo, anziché di «legami» o di
«rapporti», sarebbe forse preferibile parlare di «connessioni» amorose. La metafora della rete informatica
indica una mentalità che ritiene possibile entrare e uscire, con pari facilità, nelle vicende amorose: «in una
rete, connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari
rilevanza»11.
La sempre maggior flessibilità dello «stare insieme» trova emblematico riscontro nel cosiddetto fenomeno
della «pluralizzazione delle famiglie, ossia l'affermarsi, anche in Italia, di una pluralità di forme di vita
sociale alle quali viene attribuita o che rivendicano per sé, la qualifica di "famiglia"»12. Tale pluralizzazione,
in linea con la temperie culturale postmoderna, «rende contingente ogni aspetto della famiglia e dichiara
che essa non può essere regolata altro che dagli stessi individui in relazione [...]; la pluralità diventa
sinonimo di dis-orientamento e dis-gregazione, ovvero pluralizzazione come in-differenziazione delle forme
familiari»13.
Le indagini socio-demografiche ricavano le seguenti linee di tendenza: «le famiglie estese si riducono a
favore di quelle nucleari, perché le singole famiglie nucleari tendono a slegarsi da vincoli troppo stretti e da
reti troppo dense; le famiglie nucleari si frammentano in relazioni più ridotte (genitore solo, coppie senza
figli, single); parallelamente, il modello culturale della "grande famiglia" cede il passo a modelli riferiti a
relazioni più ristrette; la famiglia si spezza in sotto-sistemi che chiedono una loro legittimazione culturale
per sé (la convivenza di prova, la madre sola per scelta, il padre separato che vive da single)»14.
Il matrimonio e la famiglia, concetti contestati nella loro univocità, appaiono sempre più incerti non solo
nella forma, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la loro stabilità. La ricerca sociologica interpreta il
dato statistico parlando di «instabilità coniugale»15. Benché in forma assai meno diffusa che nel resto di
Europa e pur con notevoli differenze tra Nord e Sud, tale fenomeno risulta evidente anche in Italia (cfr
riquadro alla pagina seguente).
La variabile più significativa della trasformazione in corso non è però l'instabilità o dissolubilità di fatto dei
matrimoni, esistita anche in passato16, quanto la dissolubilità rivendicata come diritto. La diffusa
introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha sancito una «cultura del divorzio»17 che, nelle nuove
generazioni, si manifesta come «una forte resistenza a instaurare relazioni stabili, sancite o meno dal
vincolo matrimoniale»18.
4. Odierna ambivalenza della relazione amorosa
Un intempestivo giudizio, che assuma come criterio la stabilità istituzionale del matrimonio di un tempo,
vedrebbe nella fragilità odierna solo ombre. Un giudizio, invece, più ponderato, che consideri soprattutto la
qualità della relazione interpersonale, dovrebbe ammettere che la pari dignità dei membri della famiglia
appare meglio salvaguardata oggi che in passato. La famiglia del passato assomigliava a una monarchia quando non a una dittatura - dell'uomo rispetto alla donna e del padre rispetto ai figli. In tale clima, la
stabilità era spesso assicurata al prezzo dell'asimmetria delle relazioni. Oggi nella famiglia vige un regime
democratico, tale per cui se è vero che la relazione è assai più travagliata, è altrettanto vero che lo è perché
la relazione tra i coniugi è maggiormente simmetrica. Secondo una tesi recentemente avanzata, il processo
di democratizzazione delle società occidentali sarebbe ormai filtrato nella vita amorosa, producendo una
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democratizzazione dell'intimità coniugale e familiare19. Tale processo potrebbe anche essere
un'importante chance per una migliore qualità delle relazioni di famiglia. La democrazia, infatti, rimanda ad
alcune caratteristiche tipiche della buona relazione: «(1) innanzitutto e soprattutto all'uguaglianza: in
democrazia o in una buona relazione personale, si presume l'altro uguale a noi; l'uguaglianza all'altro è un
criterio di una buona relazione; (2) all'autonomia: le persone non stanno in relazioni compulsive, fusionali
nello spazio pubblico o privato, ma in relazioni che rispettano gli spazi personali; (3) al rispetto: vengono
rispettati, nelle due sfere, i bisogni e gli interessi dei partner; (4) alla comunicazione, alla discussione e al
dibattito e, nello spazio privato, all'autosvelamento che permette di aprirsi all'altro e vivere pienamente la
sua intimità; (5) e soprattutto all'interdetto della violenza, fisica ma anche psichica»20.
La fragilità odierna non è peraltro esente da effetti inquietanti sul tessuto sociale21. Il primo e più evidente
effetto è la fragilità del legame coniugale, la quale si riversa inevitabilmente sul legame genitoriale,
mettendo in questione la figura e il ruolo dei genitori, in specie del padre, che nella stragrande maggioranza
dei casi, in seguito alla separazione e al divorzio, vive solo saltuariamente con i figli.
Il posto accordato ai figli, oggi apparentemente centrale, in realtà non sembra esserlo per alcune decisioni
essenziali nella vita di coppia, quali la generazione e l'educazione. La generazione è avvertita diffusamente
nella direzione del beneficio acquisito dalla coppia, più che nella direzione della vita donata al figlio. Non
sembrano esenti da questa logica fenomeni, pur complessi nelle loro motivazioni, quali la diminuzione delle
nascite e il ricorso alla fecondazione artificiale.
Anche a riguardo dell'educazione, se da un lato deve registrarsi un'ansiosa preoccupazione per il figlio,
dall'altro il tempo a disposizione per la formazione dei figli è quanto mai ridotto. La scarsa presenza dei
genitori nell'educazione dei figli comporta un difetto di trasmissione dei valori a livello sociale.
All'incremento dei beni materiali resi disponibili per i figli, sembra corrispondere un decremento dei beni
morali e spirituali loro offerti.
«Dopo aver per lungo tempo ironizzato sulle inquietudini dei "bambini del divorzio", coloro che fanno
opinione cominciano a prendere sul serio alcuni dati demografici. Si è notato che negli anni 1980 in Francia,
il 50% dei tossicomani apparteneva a famiglie divise, che l'80% degli adolescenti ospedalizzati in reparto
psichiatrico e il 70% dei giovani in centro di rieducazione sono stati privati della presenza paterna»22. Altri
dati rivelano che «un bambino cresciuto da una madre sola ha sei volte di più il rischio di crescere in grande
povertà, due volte in più di abbandonare la scuola, quattro volte in più il rischio di tentare il suicidio»23.
Il vuoto educativo lasciato dai genitori viene frequentemente riempito dai messaggi potentemente rivolti al
pubblico dai mass media, sempre più incisivi sulle nuove generazioni. Da questo punto di vista la famiglia
viene invasa da valori di riferimento e modelli di comportamento che spesso le sono estranei. Nel tentativo
di fronteggiare l'indebita invasione del pubblico, la famiglia tende talvolta a chiudersi a riccio nel privato.
5. Il matrimonio come bene interpersonale
In base alla sintetica ricostruzione proposta, il pendolo della concezione matrimoniale ha oscillato
dall'utilità socio-istituzionale al benessere individuale. A entrambe le concezioni va riconosciuto il pregio di
evidenziare un aspetto irrinunciabile di ogni relazione amorosa: alla concezione tradizionale di ricordare
l'importanza per la società di poter contare su matrimoni sicuri e stabili; alla concezione (post)moderna di
richiamare il rispetto dovuto a ogni singolo membro della relazione familiare24. Entrambe le concezioni,
però, privilegiando l'una la società e l'altra l'individuo, decentrano l'attenzione dal bene della relazione
interpersonale. Subordinata all'istituzione sociale o agli interessi dell'individuo, la relazione matrimoniale
scivola allora, o in legame formale, che l'individuo (più spesso la donna) deve comunque rispettare a prezzo
del soffocamento, o in vincolo arbitrario, da cui l'individuo può sempre distogliersi a danno degli altri: il
bene interpersonale, invece che essere protagonista, ricopre solo una funzione gregaria.
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L'alternativa al matrimonio solo utile per la società o solo benefico per l'individuo potrebbe essere cercata
nella sua eliminazione. Non manca, infatti, chi, registrando la crescente instabilità dei legami e il diffondersi
di nuovi comportamenti amorosi, sostiene che il matrimonio e la famiglia siano ormai reperti fossili di una
inarrestabile evoluzione in corso25. I fautori della «fine del matrimonio», come del resto anche i paladini
del «matrimonio di un tempo», cadono però nell'errore di dimenticare che la storia del matrimonio e della
famiglia non è l'evolversi di un inesorabile destino futuro e nemmeno il cristallizzarsi di un immutabile
modello passato, ma dipende essenzialmente dalla scelta libera di uomini e donne che, pur dentro una rete
di condizioni e condizionamenti, vivono nel presente26. Vale a questo riguardo l'osservazione di Bauman
davanti allo scenario odierno dell'«amore liquido»: «La nostra consolazione, tuttavia (la sola consolazione
possibile, ma anche [...] l'unica di cui il genere umano ha bisogno quando precipita in tempi bui), è il fatto
che "la storia esiste ancora e la si può ancora fare"»27. Quale matrimonio e famiglia ci saranno in futuro e,
ancora più radicalmente, se ci saranno ancora il matrimonio e la famiglia sono domande che riguardano la
responsabilità personale e collettiva. Esse andrebbero meglio formulate chiedendosi: «quale famiglia noi
vogliamo per domani, per l'inizio del XXI secolo?»28.
Piuttosto che mirare alla disinvolta eliminazione della famiglia fondata sul matrimonio in nome del
benessere individuale o perseguire la sua ostinata protezione per sola utilità sociale, il matrimonio
dovrebbe essere concepito come «bene interpersonale»29. La concezione del matrimonio come bene
interpersonale ha assunto nell'insegnamento della Chiesa cattolica il meritato rilievo a partire dal Concilio
Vaticano II, che lo definisce in termini di «intima comunità di vita e d'amore coniugale». Tale intimità
amorosa, radice e linfa vitale della comunione familiare, consiste nella «mutua donazione di due persone»,
un uomo e una donna. Ciò che la stabilisce, infatti - il «patto coniugale» o «irrevocabile consenso
personale» -, è l'«atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono»30. Il reciproco
donarsi dei coniugi, in virtù del loro coinvolgimento totale, sino all'intimità sessuale, costituisce quel
«complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità/maternità, filiazione, fraternità -» per le quali la
famiglia diviene una «comunione di persone»31. Il tenore della comunione familiare dipende dalla qualità
del dono personale di ciascuno dei coniugi.
A tale riguardo, la fede cristiana insegna che la mutua donazione dell'uomo e della donna, alla quale già li
dispone la natura umana sessualmente differenziata, viene assunta, sostenuta e perfezionata dallo Spirito
santo che, effuso nel sacramento del matrimonio, «dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di
amarsi, come Cristo ci ha amati»32. Il dono dello Spirito santo, inabitando la relazione amorosa dell'uomo e
della donna, li attira entro la relazione del Padre e del Figlio. Mediante il dono dello Spirito, l'agape divina
penetra allora nella vicenda dell'eros umano, suscitando il medesimo dinamismo amoroso di cui vive la
Trinità, ovvero il dono (ekstasis), l'accoglienza (kenosis) e la comunione (synthesis)33: lo Spirito plasma la
relazione coniugale suscitando il dono dell'io, l'accoglienza del tu e la comunione del noi34.
La concezione del matrimonio in quanto bene interpersonale riposa su una concezione della relazione
amorosa come mutuo dono di sé all'altro/a, e di entrambi ai figli. In quanto tale essa si distingue sia dalla
concezione del matrimonio utile alla società sia dalla convivenza piacevole per l'individuo. Il bene derivante
dal reciproco dono interpersonale, infatti, né si pone al di là dell'unione dei coniugi, nell'utile sociale, né si
colloca al di qua della loro unione, nel benessere individuale. Il bene interpersonale, pur non coincidendo
con l'utilità sociale e il benessere individuale, nondimeno non è contro di essi. La mutua donazione dei
coniugi, infatti, generando ed educando i figli, costituisce la condizione di possibilità per la vita della
società. La medesima mutua donazione, inoltre, non priva nessuno dei coniugi del benessere, ma offre a
entrambi l'appagamento prodotto dalla presenza e dall'attività dell'altro/a. La concezione del matrimonio
come bene interpersonale, riconoscendo all'uomo e alla donna l'identità di «persone», cioè di esseri
destinati al reciproco dono di sé, prende le distanze da due inadeguate concezioni dell'essere umano
dominanti la cultura contemporanea: la concezione individualista, per la quale l'essere umano è un
«granello di sabbia» slegato dagli altri, e la concezione collettivista, per la quale, invece, l'essere umano è
una semplice «molecola» del più grande organismo della società35.
Ciascuno dei due coniugi, concepito come persona, non è semplicemente un essere-con-l'altro/a, nel senso
per cui con l'altro/a convive, ma è un essere-per-l'altro/a, nel duplice senso per cui vive grazie al dono di sé
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da parte dell'altro/a, a cui, a sua volta, si dona. Concepire il matrimonio come bene interpersonale è allora
riconoscere come buona l'alleanza coniugale, sia per l'uomo e per la donna che la vivono, sia per i figli in
essa generati. Più analiticamente, significa ritenere che «è bene per l'uomo riconoscere la sua donna e per
la donna riconoscere il suo uomo; che è bene per i genitori riconoscere i loro figli e per i figli riconoscere i
loro genitori»36.
6. La sfida presente
La bontà del matrimonio in quanto «istituzione che articola l'alleanza tra i sessi e la successione delle
generazioni» è d'altra parte proprio ciò che oggi viene contestato dalla cultura diffusa, la quale è «una
cultura della dissociazione, molto più che una cultura del legame»37. La cultura della dissociazione
s'incunea nel doppio legame costitutivo della famiglia, mirando a sciogliere il legame tra i due generi
(maschile e femminile) e le due generazioni (genitori e figli).
La dissociazione del matrimonio in quanto «legame tra due legami»38 avviene, per esempio, nelle
cosiddette «unioni di fatto», in cui il (possibile) legame genitoriale nasce in assenza di un legame coniugale;
nel divorzio, in cui il legame coniugale e quello genitoriale seguono percorsi diversi; nelle situazioni
monogenitoriali, da taluni subite ma da altri scelte.
La cultura della dissociazione non riguarda solo l'intreccio tra il legame coniugale e quello genitoriale, ma si
insinua all'interno di ciascuno dei due legami. La cultura omosessuale, infatti, rivendica il diritto di
dissociare il legame tra il genere maschile e femminile, equiparando il legame omosessuale a quello
matrimoniale. Il ricorso alla fecondazione artificiale di tipo eterologo, invece, scioglie l'univocità del legame
genitoriale: il tecnicamente possibile, non di rado legalmente ammesso, dissocia la genitorialità genetica,
gestativa, simbolica e affettiva39: un bambino potrebbe essere concepito in provetta mediante i gameti di
una donna, trasferito nell'utero di una seconda, cresciuto da una terza; così pure, potrebbe essere
concepito da un uomo, ricevere il riconoscimento legale da un secondo, essere allevato da un terzo.
A fronte della dissociazione, non solo vissuta (non è mai mancata nella storia del matrimonio) ma anche
rivendicata come un diritto (questo è l'aspetto inedito), la sfida che oggi si prospetta affinché il matrimonio
appaia quale bene interpersonale è di «articolare insieme coniugalità e genitorialità», dove «"articolare"
significa: pensarle e tenerle insieme»40. Dopo il matrimonio utile, funzionale all'istituzione sociale, in tempi
di convivenza piacevole, finalizzata al benessere individuale, si può immaginare il matrimonio come bene
interpersonale? Si può, cioè, proporre credibilmente la relazione stabile tra due generi e due generazioni
come buona, e questo sia per gli individui che la vivono sia per la società in cui la vivono?
La sfida presente circa il matrimonio e la famiglia consiste nel riordinare la gerarchia dei valori matrimoniali,
assegnando il primato alla relazione interpersonale piuttosto che alla società di appartenenza o ai singoli
individui. Tale primato non misconosce la valenza sociale della famiglia fondata sul matrimonio e nemmeno
rinnega il rispetto delle esigenze individuali, ma stabilisce un ordine tra i valori in gioco.
Per mostrare credibilmente la bontà della famiglia fondata sul matrimonio sarà certo essenziale la
testimonianza personale e familiare di coloro che la vivono: è a questo livello che la testimonianza
specificamente cristiana assume notevole importanza41. La credibile bontà della famiglia fondata sul
matrimonio necessita, d'altra parte, di condizioni minimali affinché possa essere riconosciuta e apprezzata,
condizioni che valicano la sola responsabilità personale e familiare e interessano l'ambito socioistituzionale. La condizione minimale sembra essere il rispetto della sua originalità rispetto ad altre forme di
relazione amorosa, in cui il doppio legame tra i due generi e le due generazioni risulta compromesso o,
addirittura, assente. L'effettivo riconoscimento della famiglia fondata sul matrimonio in quanto bene
interpersonale esclude pertanto «l'indifferenza per la differenza» con altre forme di relazione amorosa e
richiede, invece, la sua salvaguardia e promozione.
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La differenza dell'identità personale, e in modo del tutto speciale dell'identità sessuale, origina infatti
relazioni tra loro differenti, come si evince in modo emblematico confrontando, dal punto di vita della
fertilità, una relazione tra persone eterosessuali con una relazione tra persone omosessuali,
strutturalmente sterile42. L'opzione a favore della «non indifferenza per la differenza», nei confronti
dell'identità sessuale delle persone e delle relazioni interpersonali che ne scaturiscono, si prospetta come il
criterio antropologico ed etico che giustifica ed esige il diverso riconoscimento giuridico della famiglia
fondata sul matrimonio rispetto ad altre forme di convivenza amorosa, e soprattutto la loro non
equiparazione. Tale criterio è certo ancora generale e quindi insufficiente per la puntuale determinazione
legislativa. Ciò che comunque appare immotivato è il travisarlo sino a ritenere che la non equiparazione di
altri modelli di coppia al matrimonio sia un'ingiusta discriminazione.
NOTE
1 Per tracciare la vicenda recente del matrimonio traiamo spunto dalla tripartizione classica del bene che
distingueva il bonum in utile, delectabile e honestum, a seconda, rispettivamente, che fosse funzionale ad
altro (come il mezzo in relazione al fine), soddisfacesse un bisogno o avesse valore intrinseco.
2 EID G., «Visages et paysages: Du mariage, du couple et de la famille», in INTAMS Review, 1 (2004) 19.
3 Cfr LÉVI-STRAUSS C., Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano 2003 (ed. or. 1967).
4 Per gender s'intende la dimensione socio-culturale della sessualità, distinguibile rispetto alla dimensione
biologica della medesima, che la lingua inglese indica con il termine sex. Circa il problema oggi
particolarmente discusso della relazione tra sex e gender, cfr CAHILL S. L., Sesso, genere e etica cristiana,
Queriniana, Brescia 2003 (ed. or. 1996).
5 Al di là delle apparenze, potrebbero però continuare a sussistere vecchi ruoli, che si ripercuotono
negativamente sulla stabilità della relazione matrimoniale. Cfr HACKSTAFF K. B., «How Gender Informs
Marital Fragility», in INTAMS Review, 1 (2004) 33-47.
6 Insieme alla «frammentarietà» e al «relativismo», l'«individualismo» è una delle tre caratteristiche della
postmodernità particolarmente incidenti sull'etica coniugale. Cfr BOTERO GIRALDO S., L'etica della coppia
nella postmodernità, Logos, Roma 2003, 35-54.
7 Cfr EID G., «Visages et paysages», cit., 23.
8 GIDDENS A., La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, il
Mulino, Bologna 1995, 68.
9 GIDDENS A., La trasformazione dell'intimità, citato in BAUMAN Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei
legami affettivi, Laterza, Bari - Roma 2004, 124.
10 Cfr BAUMAN Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, cit.
11 Ivi, XI.
12 DONATI P., «La famiglia italiana si "pluralizza": realtà, significati, criteri di distinzione», in ID. (ed.),
Settimo Rapporto CISF sulla Famiglia in Italia. Identità e varietà dell'essere famiglia: il fenomeno della
«pluralizzazione», San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 15.
13 DONATI P., «Famiglia e pluralizzazione degli stili di vita: distinguere tra relazioni familiari e altre
relazioni primarie», in ID. (ed.), Settimo Rapporto CISF sulla Famiglia in Italia, cit., 73.
14 Ivi, 80. Per «famiglia estesa» o «grande famiglia» si intende la coabitazione di più nuclei familiari sotto
lo stesso tetto.
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15 Cfr ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, L'instabilità coniugale in Italia: evoluzione e aspetti culturali.
Anni 1980-99, ISTAT, Roma 2001.
16 Cfr CAMPANINI G., «L'approccio giovanile al matrimonio. L'indissolubilità fra passato e futuro», in
Famiglia Oggi, 6-7 (1997) 57.
17 Cfr WHITEHEAD B. D., The Divorce Culture, Alfred A. Knopf, New York 1997.
18 BUZZI C. - CAVALLI A. - DE LILLO A. (edd.), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla
condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2002, 225.
19 L'autore di riferimento è GIDDENS A., La trasformazione dell'intimità, cit.
20 EID G., «Visages et paysages», cit., 29.
21 Cfr LACROIX X., «Quelle famille pour demain?», in ID., L'avenir, c'est l'autre. Dix conférences sur
l'amour et la famille, Cerf, Paris 2000, 17-38.
22 LACROIX X., «Conjugalité et parentalité: Un lien entre deux liens», in INTAMS Review, 1 (2005) 20.
23 LACROIX X., «Quelle famille pour demain?», cit., 29.
24 Cfr D'AGOSTINO F., «La famiglia, base della società», in PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA,
Famiglia e questioni etiche, EDB, Bologna 2004, 307-313.
25 Cfr PASINI W., I nuovi comportamenti amorosi. Coppia e trasgressione, Mondadori, Milano 2002.
26 Cfr FUMAGALLI A., «Le sfide della famiglia. Trasformazioni e condizione della famiglia
contemporanea», in La Rivista del Clero Italiano, 9 (2002) 580-599.
27 BAUMAN Z., Amore liquido, cit., 206 s.
28 LACROIX X., «Quelle famille pour demain?», cit., 37.
29 Intendiamo il concetto di «bene interpersonale» quale declinazione in riferimento al matrimonio e alla
famiglia del più tradizionale concetto di «bene comune», il quale, secondo la dottrina sociale della Chiesa,
«non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di
tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile
raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro» (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E
DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
2004, n. 164).
30 CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, n. 48.
31 GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n. 15.
32 Ivi, n. 13. L'ampia presentazione del significato antropologico e teologico della sessualità da parte del
medesimo pontefice è raccolta in GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano,
Città Nuova - Libreria Editrice Vaticana, Roma 19923.
33 Cfr ROCCHETTA C., Il sacramento della coppia, EDB, Bologna 1996, 162.
34 La categoria di dono riferita alla relazione amorosa è strettamente intrecciata con quella di persona e
di amore: «Il dono è la persona che ama. Il dono è l'amore personale»; «la persona è l'amore che si dona.
La persona è un dono amante»; «l'amore è la persona che si dona. L'amore è un dono personale»
(MATTHEEUWS A., «Tonalités nouvelles dans la théologie du sacrement de mariage? [II]», in INTAMS
Review, 2 [2004] 193 s.).
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35 «La persona non può mai essere pensata unicamente come assoluta individualità, edificata da se
stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Né può
essere pensata come pura cellula di un organismo disposto a riconoscerle, tutt'al più, un ruolo funzionale
all'interno di un sistema» (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, cit., n. 125).
36 D'AGOSTINO F., «La famiglia, base della società», cit., 309. I due legami, peraltro, non sono l'uno
all'altro esteriori, ma intimamente intrecciati. La generazione di un figlio, infatti, non è un oggetto prodotto
dalla coppia, ma il terzo in cui si realizza insuperabilmente l'«essere una sola carne», intensamente
desiderato nel momento dell'unione sessuale dei due. Su questo tema cfr ANGELINI G., Il figlio. Una
benedizione, un compito, Vita e Pensiero, Milano 1991.
37 LACROIX X., «Conjugalité et parentalité: Un lien entre deux liens», cit., 18.
38 Ivi, 25.
39 Cfr LACROIX X., Passeurs de vie. Essai sur la paternité, Bayard, Paris 2004, cap. I.
40 LACROIX X., «Quelle famille pour demain?», cit., 19.
41 Cfr PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, «Famiglia, matrimonio e "unioni di fatto"», 26 luglio
2000, nn. 40-41, in Enchiridion Vaticanum, vol. 19, EDB, Bologna 2004, 643-645.
42 Più ampiamente sulla questione cfr LACROIX X., La confusion des genres: Réponses à certaines
demandes homosexuelles sur le mariage et l'adoption, Bayard - Centurion, Paris 2005.
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