Le querce mi hanno insegnato come resistere nelle stagioni dure Giovanni Frangi, La regle du jeu Corriere della Sera, 1 maggio 2016 di ENZO BIANCHI “Se hai in mano una pianta e ti viene detto: Ecco il Messia!, prima termina di piantare l'albero e poi va ad accogliere il Messia! “Forse Jean Giono conosceva questo detto della tradizione ebraica quando scriveva lo stupendo racconto sull'uomo che piantava alberi, costellando il terreno di segni di vita, là dove la morte sembrava destinata ad avere l'ultima parola. E forse, era la stessa sensazione che avevamo noi bambini quando alla “festa degli alberi”, poco dopo l'inizio dell'anno scolastico, ci veniva affidato un alberello da piantare e poi accudire .... Raccolti in un bosco o in splendida solitudine, allineati in filari o disseminati sulle colline, gli alberi si offrono come compagni nella nostra vita: sta a noi frequentarli, imparare ad ascoltare il loro profumo e le loro voci, guardarli a lungo, ciascuno nella sua unicità e tutti insieme nel loro intreccio di fronde. Sta a noi abbracciarli per salire sui rami quando siamo giovani, imparando a osservare la realtà da un'altra prospettiva, oppure appoggiarvisi da anziani per dire loro che -meritano affetto e che noi glielo diamo. Quante amicizie nate attorno agli alberi, con le prime scappatelle da ragazzini per rubare la frutta o le uova dai nidi, quante fantasticherie d'amore alla loro ombra. discreta e complice ... Amo-gli alberi - quelli che conducono vita solitaria come quelli che vivono in solidarietà nel bosco perché li sento come fedeli compagni della mia vita: da loro ho imparato a perseverare, a “stare lì”, a resistere nelle stagioni dure; a piegarmi sotto pesi che a volte sembrano volermi schiacciare. Dagli alberi ho imparato a perdere tante cose, come loro perdono le foglie e si denudano e sto ancora imparando ad accettare l'autunno e l'inverno quando sembrerà che tutto sia finito. Il mormorio del vento tra le fronde come un canto che mi fa entrare in risonanza con l'armonia delle leggi universali, mi fa percepire l'esistenza di voci senza parole: sarà stato questo il fruscio di un silenzio sottile nel quale il Signore-si manifestò al profeta Elia (Primo Libro dei Re, 19,12). Davanti al mio eremo c'è una presenza rassicurante, un riferimento saldo che esiste al di fuori di me e anche senza di me: un'enorme quercia di più di duecentocinquant'anni domina maestosa una ripa di fronte a una verde radura. Dal mio tavolo posso sempre vederla e a volte le parlo, anzi le rispondo perché le domande è lei a farle. Mi è divenuta così familiare che a volte vado a trovarla, mi metto alla sua ombra, guardo i suoi rami, osservo gli scoiattoli che vi si rincorrono ... Poi, prima di rientrare al mio eremo, la abbraccio senza poter congiungere le mani attorno a quel tronco cosí grande: l'abbraccio come si abbraccia una persona amata, quando stringendola al petto gli si dice una sola parola: “Grazie!”. Pubblicato su: Corriere della Sera Monastero di Bose - Pagina 1 di 1