SuperNovae
Mensile di aggiornamento astronomico di Skylive
MARTE DI BIANCIARDI
Tracce
organiche
su
Marte già nelle analisi
delle Viking!
SKYLIVE TELESCOPI REMOTI
Skylive Telescopi Remoti è un servizio,
promosso e portato avanti da appassionati
di astronomia, che mette a disposizione
degli utenti la possibilità di conoscere
l'astronomia e di viverla in prima persona
sotto il cielo.
Chiunque, registrandosi, potrà osservare
tutto quanto il cielo sarà in grado di
offrire. Gli utenti sostenitori del progetto
potranno anche comandare direttamente i
telescopi tramite PC o SmartPhone, e
scattare bellissime astrofotografie, come
la magnifica Nebulosa Aquila, nella
costellazione del Serpente, immortalata in
alto proprio tramite i nostri telescopi.
La scoperta è dovuta al lavoro
portato avanti congiuntamente
dall’Università di Siena e della
California del Sud e il primo nome
dello studio è il nostro Giorgio
Bianciardi.
1 - IL CIRCUITO DI TELESCOPI REMOTI
La missione storica di Skylive Telescopi
Remoti è offrire il cielo a tutti, consentirne
l'osservazione attraverso una rete
internazionale di telescopi gestibili da
remoto, dislocati sul territorio italiano. Di
prossima installazione ci sono altri due
telescopi italiani, dei quali uno solare a
completare l'offerta sensazionale e la
varietà degli oggetti da osservare,
aggiungendo il Sole.
Durante il mese di aprile 2012 gli
organi di diffusione scientifica
hanno divulgato una notizia
riguardante la scoperta, già nei
campioni risalenti agli anni
Settanta ai tempi delle Viking, di
tracce organiche su Marte.
2 - LA DIVULGAZIONE ASTRONOMICA
Skylive promuove anche la conoscenza
scientifica prima di tutto attraverso le
pagine del proprio portale, aggiornate
quotidianamente con le ultime notizie in
campo astronomico prese dai principali
organi di divulgazione come NASA, ESA,
ESO, ASI, e poi attraverso gli Speciali,
Con grande orgoglio, Skylive
Telescopi Remoti si complimenta
con Giorgio per il risultato
ottenuto.
Skylive Telescopi Remoti
SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
serate pubbliche gestite anche con la
collaborazione dell'Unione Astrofili
Italiani (U.A.I.).
Nel corso degli anni sono stati portati
avanti cicli di serate sempre più
numerosi, fino ad abbracciare un
palinsesto che va dalla spiegazione
delle nozioni di base dell'astronomia
fino all'osservazione del cielo del
periodo,
costellazione
per
costellazione. Ogni serata pubblica è
del tutto gratuita e aperti a tutti gli
iscritti (sostenitori e non). Ciascuna
serata è inoltre arricchita da video e
materiale
scaricabile
sempre
gratuitamente.
Skylive Telescopi Remoti pensa anche
ai più piccoli, con la divisione
123Stella! dedicata
proprio
ai
bambini, ma anche a chi non si è mai
avvicinato all'astronomia ed ha voglia
di imparare in maniera indolore.
Skylive Telescopi Remoti mette a
disposizione
gratuitamente
il
programma SkylivePRO per pilotare i
telescopi remoti, chattare con gli altri
utenti ed assistere alle dirette degli
Speciali. SkylivePRO è
il
client
Windows sviluppato da Skylive stesso.
Per gli utenti che usano altri sistemi
operativi è invece disponibile il
nostro Client Web.
SUPERNOVAE
Mensile di aggiornamento astronomico
di
Skylive Telescopi Remoti
Presidente IVAN BELLIA
Vicepresidente LUCA SCARPAROLO
Telescopi Remoti
&
Astronomia
A cura di STEFANO CAPRETTI
Grafica DANY GOZZI
Contatti: [email protected]
Sito web: http://www.skylive.it
Facebook:
https://www.facebook.com/skylive.telescopiskwall
SKYLIVE e 123Stella: Astronomia per grandi e per piccoli
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
Sommario
SuperNovae ............................................................................................................................................. 1
TRACCE DI VITA SU MARTE ................................................................................................................. 4
RICONNESSIONI MAGNETICHE SU VENERE ...................................................................................... 4
SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE .................................................................................................................................................................... 4
LE AURORE DI URANO......................................................................................................................... 6
IL BIZZARRO ANELLO F ......................................................................................................................... 6
NUOVE IPOTESI SUGLI IMPATTI TERRESTRI .......................................................................................... 7
MARTE DI FUOCO ................................................................................................................................ 7
VESTA SPOGLIATO DA DAWN ........................................................................................................... 8
LA VERA STORIA DI PHOEBE ............................................................................................................... 9
BASTANO LE STELLE? ......................................................................................................................... 10
SUPERNOVAE DALLA VIA LATTEA ....................................................................................................................................................................... 10
PIANETI IN ADOZIONE ....................................................................................................................... 11
NOVE PIANETI PER UNA STELLA? ..................................................................................................... 11
SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI ....................................................................................................................................................................... 11
ALTRE DIETE PER I BUCHI NERI........................................................................................................... 13
SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO ........................................................................................................................................................................... 13
L’ESA CON GLI OCCHI SU CENTAURUS A ...................................................................................... 14
UNA RR LYRAE FALSA ........................................................................................................................ 14
GALASSIE HII E COSTANTE DI HUBBLE .............................................................................................. 15
ANCORA SUL DISCO DI FOMALHAUT ............................................................................................. 16
FOMALHAUT RISERVA DI COMETE? ................................................................................................ 16
TEMPESTE DI SABBIA STELLARE .......................................................................................................... 18
NANE BIANCHE VICINE E ANTICHISSIME ......................................................................................... 19
BULGE E PSEUDOBULGE .................................................................................................................... 20
UN BULLET CLUSTER MOLTO ANTICO .............................................................................................. 20
ULTIMI BAGLIORI DI UNA STELLA ...................................................................................................... 21
FALSE MAGRE TRA LE GALASSIE ...................................................................................................... 21
UN AMMASSO GLOBULARE TREMENDAMENTE PICCOLO ........................................................... 22
Gli appuntamenti Skylive di Maggio ............................................................................................................................................................... 23
Universe Gallery................................................................................................................................................................................................. 24
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
SUPERNOVAE DAL SISTEMA SOLARE
RICONNESSIONI MAGNETICHE SU
VENERE
Non la vediamo, ma è un preziosissimo ‘ombrello', che ci
protegge dagli effetti più pericolosi delle particelle
energetiche che arrivano dal sole o da qualunque altra
sorgente nella nostra galassia o addirittura oltre. È la nostra
magnetosfera, sostenuta dal campo magnetico intrinseco di
cui è dotata la Terra
.
Oltre a questa importante funzione, la magnetosfera gioca
un ruolo determinante nel regalarci le spettacolari aurore
polari che sono prodotte da fenomeni di riconnessione
magnetica dovuti all'interazione del campo magnetico
interplanetario con quello terrestre. Ci sono però pianeti
nel sistema solare, tra questi Venere, che non possiedono
un loro campo magnetico e quindi devono ‘accontentarsi'
di possedere una magnetosfera indotta.
A generarla è l'urto con gli strati più esterni della sua
atmosfera del vento solare e dei campi magnetici da esso
trasportati, che vengono quindi deviati, seppure in maniera
meno efficiente. E se visto che non c'è campo magnetico
intrinseco, su Venere non dovrebbero verificarsi nemmeno
fenomeni di riconnessione magnetica. Almeno questo era
ciò che pensavano gli scienziati.
Ora però a far ricredere gli astrofisici arrivano i
sorprendenti risultati pubblicati online sul sito della rivista
Science, ottenuti grazie alle misure raccolte dalla sonda
Venus Express dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA).
Rianalizzando i dati del magnetometro e del sensore di
plasma registrati nel maggio del 2006, poche settimane
dopo l'immissione nell'orbita venusiana del veicolo
spaziale, il team di ricercatori guidato da Tielong Zhang,
della University of Science and Technology di Hefei, in Cina,
hanno individuato un evento di riconnessione magnetica
avvenuto a circa 10.000 km dalla superficie del pianeta.
“Grazie ai dati del magnetometro (MAG) e del sensore di
plasma (ASPERA) a bordo di Venus Express, è stato per la
prima volta possibile stabilire che le similitudini tra pianeti
con campo magnetico e quelli senza come Venere e Marte
vanno ben al di là di quanto supposto” commenta
Alessandro Mura, ricercatore dell'INAF-IAPS di Roma e Co
Investigator di ASPERA. “Sorprendentemente, non solo
questi ultimi posseggono una magnetosfera indotta (e sono
quindi parzialmente schermati dal mezzo interplanetario),
ma mostrano anche quei fenomeni di parziale
riconnessione che, sulla Terra, permettono il temporaneo
legame tra campo magnetico interplanetario e planetario e
il conseguente travaso di energia e materia. Le misure di
MAG e ASPERA hanno individuato degli indubitabili segnali
della riconnessione anche su Venere che, data l'assenza di
un campo magnetico intrinseco, è stata finora considerata
immune da tali meccanismi di scambio. Questa misura
getta nuove e interessanti luci sugli studi di perdita di
massa atmosferica per corpi come Venere e Marte”.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
TRACCE DI VITA SU MARTE
Tracce di vita su Marte: nuove conferme dell'impronta rilevata negli anni '70 dalle sonde Viking arrivano da nuove analisi
in collaborazione con matematici italiani. E' quanto emerge da un nuovo studio sui campioni di terreno marziano che
riapre la polemica sull'attendibilità di quelle misurazioni.
Il nuovo studio, pubblicato sull'International Journal of Aeronautical and Space Sciences, è stato realizzato dall'università di
Siena in collaborazione con la statunitense Keck School of Medicine della University of Southern California (Usc), e con
Gilbert V. Levin, Principal Investigator dell'esperimento LR avvenuto su Marte.
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
''Tutto fa pensare che nei campioni marziani analizzati ci
fossero tracce biologiche'', ha spiegato il coordinatore dello
studio, Giorgio Bianciardi, esperto di sistemi dinamici
caotici applicati alla biologia e docente di Astrobiologia
all'Università di Siena. Alle missioni Viking è legata una
lunga polemica sulla vita su Marte. Tutto è cominciato
quando a bordo dei due rover delle Viking sono stati
eseguiti quattro esperimenti pensati per identificare
presenza di attività biologica. Tre dei quattro esperimenti
hanno dato esito negativo, ma i dati del quarto, chiamato
Labeled Release (Lr), erano a favore dell'esistenza di forme
di vita su Marte: una contraddizione che spinse a
considerare erroneo quest'ultimo e ad abbandonare la
realizzazione di nuovi esperimenti.
''La recente dimostrazione che gli altri esperimenti fossero
in realtà troppo poco sensibili ha riaperto la questione'', ha
spiegato Bianciardi. Molti ritengono che i dati
dell'esperimento Lr siano stati falsati dalla presenza del
terreno di particolari elementi che avrebbero 'simulato' i
dati chimici attesi in presenza di forme di vita. Dopo aver
lavorato duramente per il recupero dei dati ormai
'antiquati' e semi-abbandonati, il nuovo studio ha invece
''analizzato le variazioni di temperatura misurate all'epoca
sui campioni'', ha proseguito Bianciardi.
''Confrontando matematicamente le oscillazione caotiche
del terreno marziano con quello terrestre, sia popolato da
forme di vita che sterilizzato, possiamo concludere che ci
fossero attività biologiche''. I controversi risultati degli
esperimenti effettuati dalle Viking hanno portato ad
abbandonare ulteriori di nuove ricerche per identificare
tracce di vita sul pianeta rosso. Ora il nuovo studio, a cui ha
collaborato anche Levin, il responsabile scientifico negli
anni '70 alla Nasa per gli esperimenti biologici marziani e del contestato Lr, apre nuovamente il dibattito. I ricercatori
hanno identificando modelli matematici caotici che hanno permesso di studiare la variazione del rilascio dell'anidride
carbonica una volta che al suolo marziano è stata aggiunta una pappa nutritiva. I risultati sono apparsi del tutto coerenti
con i corrispettivi campioni 'viventi' terrestri ed i ricercatori hanno concluso che ''la sonda Viking identificò effettivamente
tracce di vita su Marte''.
A mettere la parola fine, in verso o nell'altro, alla lunga ricerca della vita su Marte saranno probabilmente la prossime
missioni in programma per Marte: con la sonda Curiosity (arrivo programmato il 5 agosto), che però non possiede a bordo
strumenti specifici per ricercare tracce di vita, e in particolare ExoMars, una missione ideata dall'Agenzia Spaziale Europea
(Esa), attrezzato per la ricerca di forme di vita e in grado di esplorare il sottosuolo marziano
Fonte: ANSA - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
LE AURORE DI URANO
Viste per la prima volta dalla Terra le spettacolari aurore
polari di Urano. Il fenomeno generato dall'interazione del
vento solare con il campo magnetico del pianeta e del tutto
simile a quello osservabile ai poli terrestri, è stato ripreso
dal telescopio spaziale Hubble e permette di ottenere
preziose indicazioni sulla struttura interna del lontano
pianeta.
Le immagini analizzate da un gruppo internazionale di
ricercatori guidato dall'Osservatorio di Parigi e pubblicate
sulla rivista della American Geophysical Union, hanno
permesso di identificare due enormi tempeste magnetiche,
grandi quanto la Terra, che hanno provocato aurore sul lato
di Urano esposto al Sole. In precedenza erano già stati
osservati segnali di aurore nell'atmosfera di Urano quando
nel 1986 la sonda Voyager 2 passò nei pressi del terzo più
grande pianeta del Sistema solare, ''ma mai prima d'ora
avevamo potuto osservare con un telescopio queste
emissioni di luce'', ha spiegato Laurent Lamy, uno dei
responsabili della ricerca. A differenza delle aurore sulla
Terra, che possono comparire nel cielo per molte ore, le
aurore rilevate su Urano sembrerebbero durare soltanto un
paio di minuti. Si tratta di informazioni preziosissime che
possono aiutare a comprendere meglio la magnetosfera e
più in generale le dinamiche interne di questo lontano e
poco conosciuto gigante gassoso.
Fonte: Ansa - Link alla notizia
IL BIZZARRO ANELLO F
Se anche nel vuoto potessimo udirne il suono,
probabilmente lo sentiremmo tintinnare. Il gioiello in
questione l'anello F, uno degli anelli più esterni di Saturno,
circa 881mila km di diametro. Ad agitarlo e a perturbarne
l'altrimenti impeccabile circonferenza, introducendovi
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sbuffi luminosi a forma d'uncino battezzati dagli astronomi
mini-jets, il bombardamento occasionale da parte piccoli
oggetti (grosso modo 800 metri di diametro) che vagano
lentamente, a circa due metri al secondo, nei dintorni
dell'anello, andando talvolta a urtarne il bordo esterno.
In seguito a queste collisioni, le particelle di ghiaccio che
formano l'anello vengono trascinate via, lasciando una scia
tra i 40 ed i 180 chilometri di lunghezza. Spulciando fra
circa 20.000 delle immagini riprese dalla sonda in sette
anni di navigazione, gli scienziati hanno riscontrato circa
500 esempi di questo fenomeno.
«Credo che l'anello F sia il più bizzaro fra gli anelli di
saturno, e i recenti risultati di Cassini mostrano come sia
anche più dinamico di quanto non pensassimo», dice Carl
Murray, della Queen Mary University di Londra, membro
del team di Cassini che si occupa dell'imaging. «Una
scoperta che ci porta a paragonare la regione l'anello F a
una sorta di zoo brulicante d'oggetti. Oggetti con le
dimensioni più varie, dal mezzo miglio a lune di centinaia di
km di diametro come Prometeo, in grado di dare vita a uno
spettacolo straordinario».
Gli astronomi già sapevano che la presenza di oggetti
relativamente grandi può dare origine, nell'anello F, a
canali, increspature e “palle di neve”, o blocchi di materiale
ghiacciato. Ciò che non riuscivano a spiegarsi è che fine
facessero, queste palle di neve, una volta create. A volte
vengono disintegrati dalle collisioni o dalla forza di marea
mentre orbitano intorno a Saturno. Ma ora si è scoperto
che alcuni fra quelli più piccoli possono sopravvivere, e
continuare a urtare l'anello F per conto loro.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
NUOVE IPOTESI SUGLI IMPATTI
TERRESTRI
La Terra e la Luna unite dagli impatti degli asteroidi.
Secondo un nuovo studio che apparirà su Nature il
prossimo 3 maggio la Terra, nell'era Archeana, un periodo
della prima fase di formazione del nostro mondo compreso
tra i 3,8 e i 2,5 miliardi di anni fa, sarebbe stata oggetto di
impatti di asteroidi delle stesse dimensioni che hanno
provocato l'estinzione dei dinosauri, circa dieci chilometri
di diametro, con una frequenza molto maggiore a quanto si
pensasse finora. Impatti che per dimensioni rivaleggiano
con quelli che hanno prodotto i più grandi crateri sulla
Luna, secondo quanto riporta un articolo pubblicato oggi
on line sullla rivista Nature.
Secondo William Bottke CLOE Principal Investigator e SwRI
Researcher Dr “il letto della Terra parla di un intenso
tardivo bombardamento del pianeta ma fino ad oggi la sua
origine è stata un mistero”.
Per fare un confronto, l'impatto di Chicxulub, che si ritiene
abbia prodotto l'estinzione dei dinosauri 65 milioni anni fa,
era l'unico scontro conosciuto nel corso dell'ultimo mezzo
miliardo di anni che ha prodotto uno strato di sferule
spesso tanto quello trovato nel periodo Archeano. Ma “i
letti del periodo Archeano contengono abbastanza
materiale extraterrestre per escludere fonti alternative per
le sferule, come i vulcani”, dice Bruce Simonson, un
geologo dell'Oberlin College and Conservatory, che ha
studiato per decenni questi strati antichi.
La tempistica di questi grandi eventi appare curiosa perché
si verificano molto tempo dopo la presunta fine del tardo
bombardamento della Luna (Late Heavy Bombardment o
LHB). Questo periodo si è verificato circa 4 miliardi di anni
fa e ha prodotto i più grandi crateri lunari.
E infatti è questo il secondo elemento di novità nello
studio. Se da una parte il numero di impatti appare assai
superiore all'ipotizzato dall'altra sembrano avvenuti in un
tempo successivo a quello che ha caratterizzato la Luna.
Una contraddizione importante se si considera che, ai fini
del loro studio, i crateri lunari non sono altrettanto
“deperibili” nel tempo come quelli terrestri che risentono
del movimento delle zolle, piuttosto che dell'azione
dell'erosione del tempo. Utilizzando il modello di
simulazione di Nizza, il migliore modello disponibile per il
periodo del LHB, sviluppato in Francia, i ricercatori hanno
aggiunto delle possibili variabili che sembrano giustificare
tale tempistica.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
Le impronte digitali di queste esplosioni gigantesche sono
sottili strati di roccia sulla Terra, dal millimetro al
centimetro di spessore, contenenti i detriti derivanti
dall'impatto, come sferule o tracce di roccia fusa, ricaduta
dai getti di lava prodotta dal mega impatto.
Questo bombardamento di asteroidi, una settantina delle
dimensioni dette dinosauro-killer, sembra sia da attribuirsi
ad un'estesa porzione di una cintura interna di asteroidi
che ora è quasi del tutto inesistente a causa del processo di
migrazione dei pianeti giganti nelle loro attuali orbite.
Il team che ha condotto questo studio comprende membri
e associati del soci della NASA Lunar Science Institute
Center of Origine Lunar and Evolution (CLOE), con sede al
Southwest Research Institute (SwRI) di Boulder, in
Colorado.
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
MARTE DI FUOCO
La superficie di Marte forgiata dal fuoco. Lo sostengono
sull'ultimo numero di Science due ricercatori dell'Università
dell'Arizona, Andrew Ryan e Philip Christensen.
Analizzando, nel corso di una ricerca sulle possibili
interazioni tra la lava e l'acqua alle pendici del vulcano
Elysium, le immagini raccolte dal Mars Reconnaissance
Orbiter della NASA, hanno concluso che il pattern
ricorrente – dalla caratteristica forma a di guscio di lumaca
– presente sul terreno delle due regioni note come
Athabasca Valles e Cerberus Palus non può che essere il
frutto di attività vulcanica, e in particolare dal flusso della
lava.
Le immagini che hanno reso possibile la scoperta sono un
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
centinaio di foto ad alta risoluzione, riprese dallo
strumento HiRISE a bordo della sonda NASA in orbita
attorno al pianeta rosso, dalle quali emerge un Marte
inedito.
«L'Athabasca Valles ha una storia molto interessante. Una
sera, dopo aver esaminato le immagini per la centesima
volta», racconta Ryana, «ho notato strane conformazioni a
spirale in una foto scattata sul confine meridionale di
Cerberus Palus. Per un attimo ho anche pensato di
scartarlo, quel frame, essendo troppo distante dalla zona
che stavo studiando. Per accorgersi delle spire occorre
zoomare l'immagine ad alta risoluzione, solo così diventano
visibili».
È da una decina di anni che gli astronomi discutono su due
tesi contrastanti: la superficie di quella particolare regione
di Marte è stata forgiata dalla lava incandescente dei
vulcani o dal ghiaccio? A quanto pare, a farla da padrona è
stata la lava. Andrew Ryan e Philip Christensen, analizzando
le immagini, hanno individuato 269 grandi spirali – larghe
dai 5 ai 30 metri – la cui genesi non può in alcun modo
essere spiegata da processi collegati al passaggio del
ghiaccio. Al contrario, somigliano a quelle che si formano,
qui sulla Terra, sulla superficie delle colate di lava dei
vulcani hawaiani.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
VESTA SPOGLIATO DA DAWN
Continuano ad arrivare a pieno ritmo le immagini e i dati
sull'asteroide Vesta, raccolti dagli strumenti a bordo della
sonda Dawn della NASA, in orbita da alcuni mesi attorno al
corpo celeste. Gli ultimi risultati scientifici ottenuti dalla
missione, appena presentati al meeting della European
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Geosciences Union in corso a Vienna, ci mostrano un
mondo inaspettatamente variegato dal punto di vista
geologico e con una densità sorprendentemente elevata
nelle regioni attorno al suo polo sud.
“Dopo più di nove mesi in orbita attorno a Vesta, gli
strumenti di Dawn ci hanno permesso di togliere via via i
veli di mistero che avvolgevano questo asteroide gigante,
da quando l'uomo lo ha scorto per la prima volta come un
semplice punto luminoso nel cielo notturno”, dice Carol
Raymond, deputy principal investigator di Dawn presso il
Jet Propulsion Laboratory della NASA. “Stiamo per svelare i
segreti dell'asteroide gigante”.
La fotocamera a immagini e lo spettrometro italiano VIR
(Visual and InfraRed Spectrometer) a bordo di Dawn hanno
passato al setaccio la superficie dell'asteroide, in
particolare la regione equatoriale denominata Vibidia e i
crateri e gli altopiani in prossimità del suo polo sud. E
proprio le immagini prese durante le orbite ad alta quota di
Dawn (680 chilometri al di sopra della superficie) rivelano
chiazze di materiale originariamente fuso in seguito agli
impatti di detriti spaziali sulla crosta di Vesta. Queste rocce
sono composte da diverse concentrazioni di pirosseni,
minerali ricchi di ferro e magnesio, che sono piuttosto
comuni anche nelle rocce ignee terrestri.
“Dawn ci permette di studiare in grande dettaglio la varietà
di miscele di rocce che compongono la superficie di Vesta”,
sottolinea Harald Hiesinger, ricercatore dell'Università di
Münster, in Germania che collabora all'analisi delle riprese
ottenute dalla fotocamera di Dawn. “Le immagini
suggeriscono una straordinaria varietà di processi che
costellano la superficie di Vesta”.
Altrettanto importanti sono state le osservazioni della zona
del polo sud di Vesta e in particolare del cratere Tarpeia
ottenute dallo spettrometro VIR durante una serie di
sorvoli a bassa quota, appena 210 chilometri dalla
superficie. La conformazione dei ripidi pendii di questo
cratere ha esposto vari strati della crosta di Vesta, che
appaiono ben delineati e permettono agli scienziati di
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
ricostruire la storia geologica del corpo celeste. Gli strati
più vicini alla superficie portano ancora le tracce di
contaminazione dei meteoriti che in passato hanno colpito
l'asteroide, mentre quelli più profondi e meno ricchi di
pirosseni conservano le caratteristiche della crosta
primordiale che avvolgeva Vesta.
“Questi risultati che arrivano da Dawn ci suggeriscono che
la ‘pelle' di Vesta è continuamente soggetta a una sorta di
lifting”, commenta Maria Cristina De Sanctis, dell'INAF-IAPS
di Roma, team leader dello spettrometro VIR. “In regioni
come il cratere Tarpea possiamo vedere le zone
relativamente giovani della superficie, esposte da
movimenti di massa e frane.”
E sempre grazie alle misure dello spettrometro VIR è stato
possibile ottenere le più accurate mappe di temperatura
superficiale di un asteroide, registrando nella regione di
Tarpeia valori massimi che raggiungono i -23 gradi Celsius
nelle aree illuminate e possono scendere al di sotto dei
100° C in quelle in ombra con sbalzi repentini, vista
l'assenza di atmosfera.
Ma non è tutto. L'ultimo ‘colpo' messo a segno finora dalla
missione Dawn è stato quello di rilevare un'anomalia nel
campo gravitazionale di Vesta in prossimità del polo sud
dell'asteroide, nella zona del bacino denominato
Rheasilvia. Secondo gli scienziati, questa caratteristica può
essere dovuta a un impatto di un meteorite che ha
letteralmente spazzato via lo strato superficiale di
materiale più leggero della crosta dell'asteroide,
esponendo gli strati più interni e densi di Vesta.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
LA VERA STORIA DI PHOEBE
PASADENA, Calif. -- Phoebe, satellite di Saturno, è più
simile ad un pianeta di quanto non sia stato ritenuto finora.
I dati collezionati da Cassini a partire dal 2004 mostrano
una chimica, una geofisica ed una geologia tipica di un
planetesimo, un resto della formazione planetaria.
Contrariamente a corpi primitivi come le comete, Phoebe
mostra di essersi condensato molto rapidamente.
Rappresenta uno dei mattoni dai quali sono nati i pianeti e
fornisce molte chiavi per le condizioni esistenti prima della
nascita di pianeti e lune.
Le immagini di Cassini mostrano che Phoebe ha avuto
origine nella lontana Fascia di Kuiper, la regione dei più
antichi corpi ghiacciati e rocciosi posta oltre l'orbita di
Nettuno. I dati mostrano che Phoebe era sferico e caldo
durante le sue prime fasi storiche, con una densa
concentrazione rocciosa nel suo centro. La sua densità
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
media è circa la stessa di Plutone, altro oggetto della Fascia
di Kuiper. Phoebe è stato probabilmente catturato dalla
gravità di Saturno quando è venuto a trovarsi troppo vicino
al pianeta.
Saturno è circondato da una nube di lune irregolari che
orbitano il pianeta seguendo diverse inclinazioni rispetto al
piano equatoriale del pianeta. Phoebe è la più grande di
queste lune e differisce per un moto retrogrado rispetto
alle altre. Le lune più grandi di Saturno sembrano essere
formate dal gas e dalla polvere in orbita nel piano
equatoriale del pianeta ed attualmente orbitano intorno a
Saturno in perfetto equilibrio con lo stesso piano.
Le analisi portano quindi ad ipotizzare che Phoebe si sia
formato entro i primi 3 milioni di anni dalla nascita del
sistema solare, circa 4,5 miliardi di anni fa. La luna
potrebbe essere stata inizialmente porosa, ma è collassata
e riscaldata molto preso sviluppando una densità del 40%
maggiore rispetto alle altre lune di Saturno.
A lungo si è ritenuto che oggetti delle dimensioni di Phoebe
nascano con una forma a patata e che la mantengano per
tutta la vita ma se un corpo di questa forma si è sviluppato
abbastanza presto nella storia del sistema solare, allora è
possibile che abbia posseduto materiale radioattivo in
grado di produrre calore su breve scala e quindi un
cambiamento di forma dell'intera luna.
I modelli indicano che Phoebe deve essere nato con una
forma abbastanza sferica, per arrivare alla forma attuale a
causa di impatti successivi. Probabilmente è stato un corpo
caldo per decine di milioni di anni prima di congelarsi nella
attuale forma, il che spiegherebbe anche le firme di
materiale ricco di acqua sulla superficie della luna.
Il nuovo studio avvalora anche l'idea per la quale qualche
centinaia di milioni di anni dopo il raffreddamento di
Phoebe, la luna sia scivolata verso la parte più interna del
sistema solare, resistendo alla turbolenza grazie alla
dimensione notevole.
Fonte: NASA JPL - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
SUPERNOVAE DALLA VIA LATTEA
BASTANO LE STELLE?
Lo studio finora più accurato del moto delle stelle nella
Via Lattea non ha trovato alcuna evidenza di materia
oscura in un ampio volume intorno al Sole. Secondo le
teorie più accettate, le vicinanze del Sole dovrebbero
essere piene di materia oscura, una misteriosa sostanza
invisibile che può essere rivelata solo indirettamente
attraverso l'attrazione gravitazionale che esercita. Ma un
nuova ricerca da parte di un'equipe di astronomi in Cile
ha scoperto che queste teorie semplicemente non sono
in accordo con le osservazioni. Questo potrebbe
significare che i tentativi di osservare direttamente le
particelle di materia oscura sulla Terra sarebbero
probabilmente di scarso successo.
Un'equipe di astronomi, utilizzando il telescopio da 2,2
metri dell'MPG/ESO all'Osservatorio di La Silla dell'ESO,
insieme ad altri telescopi, ha studiato il moto di più di
400 stelle fino a circa 13000 anni luce dal Sole. Da questi
nuovi dati è stata poi calcolata la massa della materia
nelle vicinanza del Sole, in un volume quattro volte più
grande di quanto mai considerato prima.
"La quantità di massa che deriviamo si accorda bene con
quello che vediamo - stelle, polvere e gas - nella regione
intorno al Sole", dice il capo dell'equipe Christian Moni
Bidin (Departamento de Astronomía, Universidad de
Concepción, Cile). "Ma questo non lascia spazio per
l'altro materiale - la materia oscura - che ci
aspettavamo. I nostri calcoli mostrano che avrebbe
dovuto apparire in modo molto chiaro nelle nostre
misure. Ma non c'era proprio!". La materia oscura è una
sostanza misteriosa che non si vede, ma si mostra solo a
causa della sua attrazione gravitazionale nei confronti
della materia che la circonda. Questo ingrediente extra
nel cosmo era stato originariamente proposto per
spiegare perchè le parti esterne delle galassie, compresa
la Via Lattea, ruotano così velocemente, ma la materia
oscura ora è un componente essenziale delle teorie di
formazione ed evoluzione delle galassie.
Oggi è comunemente accettato che questa componente
oscura costituisca circa l'80% della massa dell'Universo,
nonostante abbia resistito a tutti i tentativi di chiarirne
la natura, che rimane appunto oscura. Tutti i tentativi di
rivelare la materia oscura nei laboratori terrestri hanno
finora fallito. Misurando accuratamente il moto di molte
stelle, in particolare quelle lontane dal piano della Via
Lattea, l'equipe ha potuto procedere a ritroso per
calcolare quanta materia sia presente. I moti sono il
risultato dell'attrazione gravitazionale reciproca di tutta
la materia, che sia materia "normale", come le stelle, o
materia oscura. Gli attuali modelli astronomici che
spiegano come le galassie si formano e come ruotano
indicano che la Via Lattea è circondata da un alone di
materia oscura. Essi non sono in grado di prevedere con
esattezza la forma dell'alone, ma predicono l'esistenza di
una quantità significativa di materia oscura nella regione attorno al Sole. Invece, solo una forma molto improbabile
per l'alone di materia oscura -- per esempio molto allungata -- può spiegare la mancanza di materia oscura scoperta
in questo nuovo studio. I nuovi risultati significano anche che i tentantivi di rivelare la materia oscura sulla Terra,
cercando di osservare le rare interazioni tra le particelle di materia oscura e quelle di materia "normale", sono
probabilmente di scarso successo. "Nonostante i nuovi risultati, la Via Lattea di sicuro ruota molto più velocemente
di quanto la materia visibile possa spiegare da sola. Così, se la materia oscura non è presente dove ce l'aspettavamo,
si deve trovare una nuova soluzione per il problema della massa mancante. I nostri risultati sono in contraddizione
con i modelli correntemente accettati. Il mistero della materia oscura è appena divenuto ancora più misterioso.
Future indagini, come la survey prevista dalla missione Gaia dell'ESA, saranno fondamentali per superare questo
ostacolo.", conclude Christian Moni Bidin.
Fonte: ESO - Link alla notizia
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
SUPERNOVAE SUGLI ESOPIANETI
NOVE PIANETI PER UNA STELLA?
PIANETI IN ADOZIONE
HD 10180 è una stella simile al Sole per massa,
temperatura, brillantezza ed anche abbondanze. E
potrebbe avere anche nove pianeti!
Potrebbe essere stato il triste destino di molti, anzi
moltissimi pianeti nella nostra galassia. Formatisi dal
disco di gas e polveri attorno alla loro stella madre e poi
da esse allontanate per effetti di interazioni
gravitazionali con altri corpi celesti. Ma anche in queste
storie può esserci anche un lieto fine.
In un nuovo studio che verrà pubblicato su Astronomy
and Astrophysics, gli astronomi hanno rianalizzato i dati
della stella presi da HARPS, che l'ha osservata per anni
da una distanza di 130 anni luce. Le osservazioni
mostrano abbassamenti periodici di luce ad indicare la
presenza di pianeti in transito. Sei segnali sono stati
registrati in modo molto chiaro: sei pianeti, cinque dei
quali hanno masse tra 12 e 25 masse terrestri (simili a
Nettuno) mentre il sesto è 65 volte il nostro pianeta. I
periodi orbitali vanno da 5 a 2000 anni. Un settimo
pianeta è possibile ma è in fase di accertamento.
Le nuove analisi ripercorrono i vecchi dati in molti modi
e con altri metodi statistici e sembrano confermare
anche la presenza del settimo pianeta. Non solo:
sembrano essere presenti due ulteriori pianeti, che
porterebbero il conto a nove! Le masse di questi tre
pianeti sarebbero di 1.3, 1.9 e 5.1 masse terrestri, con
orbite di 1.2, 10 e 68 giorni rispettivamente. I primi due
sono simili alla Terra in quanto a massa ma per vicinanza
sarebbero cucinati dalla loro stella, a distanze di soli 3
milioni di chilometri e di circa 14 milioni di chilometri,
quindi molto più vicini di Mercurio rispetto al nostro
sole. I dati non si fermano qui: non tutte le orbite sono
stabili. Se due pianeti occupano alcune orbite possono
influenzarsi a vicenda e cambiare gli equilibri del sistema
generale. Invece questo sistema sembra anche stabile.
Fonte: Astrobio - Link alla notizia
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
Alcuni di questi pianeti “orfani” alla fine trovano una
nuova casa, catturati da un'altra stella trovata sul loro
cammino. A ricostruire questo scenario di scambi
planetari tra differenti sistemi stellari sono stati Perets
Hagai dell' Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics
e Thijs Kouwenhoven dell'Università di Pechino in un
lavoro che verrà pubblicato nel prossimo numero della
rivista The Astrophysical Journal.
Gli scienziati hanno simulalto al calcolatore il
comportamnento di ammassi stellari di recente
formazione in cui siano presenti pianeti non legati
gravitazionalmente ad alcuna stella. Seguendo i loro
movimenti nel corso del tempo, hanno riscontrato che
se il numero dei pianeti ‘orfani' è lo stsso delle stelle,
allora possono esserci fino a sei stelle ogni cento che
riescono a catturare un pianeta nel loro sistema.
Questa scoperta potrebbe spiegare l'esistenza di alcuni
pianeti che si trovano ad orbitare attorno al loro sole a
distanze sorprendentemente elevate o che addirittura
formano un sistema “doppio” con un altro pianeta.
Gli astronomi non hanno ancora scoperto in modo certo
casi di pianeti vaganti catturati dalle stelle. La migliore
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
prova che abbiamo finora di questo fenomeno ci arriva
dai telecopi dell'Esa o in Cile,che nel 2006 hanno
scoperto la presenza di due pianeti della massa di 7
volte e 14 volte quella di Giove che orbitano uno
attorno all'altro senza avere una stella ospite. “Questo
è quanto di meglio oggi conosciamo dalle osservazioni.
Per avere informazioni più convincenti dovremo avere
delle statistiche più affidabili utilizzando i dati raccolti
su una grande quantità di sistemi planetari”
commenta Perets.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
SUPERNOVAE DALL’UNIVERSO
ALTRE DIETE PER I BUCHI NERI
Nella buona e nella cattiva sorte: vale anche per le
stelle? Prendiamo i sistemi binari. Finché tutto fila liscio,
resistono alla grande, anche miliardi di anni. Ma appena
le cose si mettono male, pure le coppie celesti sembrano
mostrare segni di cedimento. E per cattiva sorte, nel loro
caso, s'intende un incontro che più fatale non si
potrebbe: quello con un buco nero. Secondo un articolo
in uscita su Astrophysical Journal Letters, sarebbero
infatti proprio le stelle doppie, i sistemi binari, la preda
d'elezione dei mostri cosmici. I quali, però, si
limiterebbero a nutrirsi d'un solo membro della coppia,
lasciando fuggire la compagna – magari con qualche
pianeta al seguito – a milioni di chilometri all'ora.
Stando al primo autore dello studio, l'astrofisico Ben
Bromley della University of Utah, e ai suoi colleghi dello
Smithsonian Astrophysical Observatory, questa ipotesi
sarebbe in grado di spiegare la velocità con la quale i
buchi neri supermassicci – come quello al centro della
nostra galassia – mettono su peso. Ma come? Non si era
appena congetturato, come riportato anche da Media
INAF, che il piatto forte delle abbuffate fossero i dischi di
gas? Dischi che, se presenti in coppie disallineate,
giustificherebbero anche la rapidità di crescita dei buchi
neri? «Può essere, ma sono poi così comuni, questi
dischi disallineati», si chiede scettico Bromley, «da
risultare significativi per spiegare la crescita dei buchi
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
neri? Che il gas contribuisca alla crescita dei buchi neri
va bene, ma come ciò avvenga ancora non si sa». E
perché l'ipotesi del pasto a base di mezzi sistemi binari
dovrebbe essere più convincente? «Perché il gas, come
mostrano le osservazioni di altre galassie, a volte c'è e a
volte no», dice Bromley, «mentre di stelle ce ne sono
sempre».
D'accordo, mettiamo che sia così. Ma perché coppie,
allora, e non semplici stelle solitarie? Anche su questo
punto Bromley sembra avere idee piuttosto chiare:
«Centrare un buco nero con una stella singola è
un'impresa: molto più facile riuscirci con un sistema
binario. È un po' come la differenza fra una fionda, che
lancia una sola pietra, e le bolas, che hanno due o più
palle legate fra loro: con queste ultime, centrare un
bersaglio è assai più semplice». E una volta entrata nel
campo gravitazionale del buco nero, di solito la coppia
scoppia: mentre una delle due stelle viene catturata e
risucchiata, l'altra, venendo improvvisamente meno il
legame con la compagna, viene letteralmente fiondata
via, diventando quella che gli astrofisici chiamano una
stella iperveloce.
Questo meccanismo sarebbe dunque in grado di render
conto della velocità di crescita dei buchi neri
supermassicci? Stando a Bromley e colleghi, parrebbe
proprio di sì. E questo anche rimanendo prudenti,
ovvero assumendo che solo il 10% delle stelle faccia
parte di sistemi binari, quando invece le osservazioni
indicano che a condurre una vita di coppia siano almeno
la metà del totale. Il modello, scrivono gli autori dello
studio, predice in modo accurato sia il numero di stelle
iperveloci (una ogni 1000-100.000 anni) che vengono
osservate allontanarsi dalla Via Lattea, sia quello degli
ammassi stellari che vengono visti dirigersi verso il buco
nero supermassiccio ospitato al suo centro. Facendo un
po' di conti, significa che il buco nero al cuore della Via
Lattea, nell'arco degli ultimi 10 miliardi di anni, al ritmo
d'un mezzo sistema binario al millennio si sarebbe
potuto mangiare l'equivalente di 10 milioni di masse
solari: un banchetto ricco a sufficienza, dunque, per
giustificare il suo peso attuale, che si aggira attorno ai 4
milioni di masse solari.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
L’ESA CON GLI OCCHI SU CENTAURUS A
Due osservatori dell'ESA hanno combinato le proprie forze per creare una immagine a multifrequenza degli eventi
violenti che accadono nella galassia gigante Centaurus A. Le nuove osservazioni dimostrano che tutto potrebbe
essere nato da una collisione di due galassie più antiche.
Centaurus A è la più vicina galassia ellittica gigante, posta a 12 milioni di anni luce dalla Terra e famosa per contenere
un buco nero massivo che comporta intensa radiazione nello spettro delle onde radio.
Mentre precedenti immagini nel visibile avevano mostrato una struttura interna molto complessa in Centaurus A, la
combinazione dei due osservatori rivela strutture atipiche in grandissimo dettaglio. La galassia fu osservata
inizialmente da Sir John Herschel nel 1847 durante una survey del cielo australe. Oggi, dopo 160 anni, l'osservatorio
Herschel ha giocato un ruolo importante nello scoprire alcuni segreti: le immagini mostrano che la gigante cicatrice
nera formata dalla polvere oscura che attraversa il
centro di Centaurus A tende a sparire. Il disco appiattito
interno dovrebbe derivare da collisioni con galassie
ellittiche in epoche passate.
I dati di Herschel scoprono le prove di una intensa
formazione stellare verso il centro della galassia,
laddove due getti vengono emanati dal cuore galattico
(uno di loro lungo 15.000 anni luce).
XMM Newton, sempre dell'ESA, ha registrato bagliori ad
alta energia da uno dei due getti, esteso per più di
12.000 anni luce dal centro galattico stesso. I dati non si
limitano a mostrare come questi getti interagiscano con
il mezzo interstellare, ma anche il nucleo attivo della
galassia ed il suo ampio alone.
I getti sono la prova del buco nero supermassivo, con
massa di 10 milioni di masse solari, al centro della
galassia. Questa collaborazione ha fornito una nuova
prospettiva di un oggetto particolare come Centaurus A,
con un buco nero, nascita stellare e collisioni galattiche
passate.
Fonte: ESA - Link alla notizia
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
UNA RR LYRAE FALSA
Se ci fosse un premio Oscar per l'astrofisica, sicuramente
lei meriterebbe quello per la migliore interpretazione
come attrice protagonista. La stella RRLYR-02792 infatti,
sin dalla sua scoperta ha letteralmente ingannato i
ricercatori, interpretando la parte di un tipo di astro le
cui proprietà sono completamente differenti. La
luminosità della stella infatti aumenta e diminuisce con
regolarità, proprio come fanno quelle che appartengono
alla classe delle RR Lyrae, ma la sua massa e la sua età
sono nettamente diverse da quelle delle stelle variabili
‘originali'. A scoprire che RRLYR-02792 sta sostenendo
un ruolo che non dovrebbe spettarle è stato un team
internazionale di ricercatori, a cui hanno partecipato due
astronomi italiani e dell'INAF.
L'inatteso risultato parte dalla scoperta realizzata un
paio d'anni fa dall'esperimento OGLE (Optical
Gravitational Lensing Experiment) che RRLYR-02792
orbita attorno ad un'altra stella e il piano delle loro
orbite si trova esattamente disposto lungo la nostra
linea di vista. Una favorevolissima configurazione che
genera delle eclissi periodiche. A questo punto entrano
in gioco le misurazioni super accurate condotte dal
team, che hanno registrato le piccolissime variazioni di
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
luminosità del sistema e il periodo di rivoluzione di
RRLYR-02792 attorno alla sua compagna, sfruttando il
telescopio Magellan Clay presso l'osservatorio Las
Campanas e il Very Large Telescope dell'ESO in Cile. Da
questi dati i ricercatori sono riusciti a misurare con
grande precisione la massa di questo oggetto celeste,
finora ritenuta in tutto e per tutto una tipica RR Lyrae.
Con grande sorpresa degli scienziati, i risultati, che
vengono pubblicati in un articolo nell'ultimo numero
della rivista Nature, indicano però che RRLYR-02792 è di
appena 0.26 masse solari, cioè è 2-3 volte meno
massiccia delle comuni RR Lyrae, che si attestano tra le
0.6 e le 0.8 masse solari.
Una variazione significativa che porta un certo
sconquasso in un settore della ricerca astrofisica che
finora ha sfruttato e sfrutta le proprietà delle stelle
variabili di tipo RR Lyrae, quelle vere. Esse sono infatti
ottimi traccianti delle popolazioni stellari antiche con età
di circa 10 miliardi di anni, sono relativamente brillanti e
la loro luminosità, legata alle regolari espansioni e
contrazioni della loro struttura, varia con periodi che
vanno da poche ore a poco meno di un giorno. Le RR
Lyrae sono anche delle ottime ‘candele campione' che ci
consentono di poter determinare con grande accuratezza
le distanze cosmiche nell'Universo locale.
“Per dare una spiegazione all'inattesa proprietà della
massa di RRLYR-02792 abbiamo effettuato un confronto
molto dettagliato tra le predizioni teoriche fornite dai
modelli evolutivi e pulsazionali con le osservazioni da noi
compiute” dice Giuseppe Bono, dell'Università di Roma
“Tor Vergata” e associato INAF che insieme al suo collega
Pier Giorgio Prada Moroni, dell'Università di Pisa e
anch'egli associato INAF, ha partecipato allo studio. “Da
questa analisi emerge che la stella variabile da noi
analizzata presenta una struttura fisica e una storia
evolutiva significativamente diversa da quelle delle
comuni RR Lyrae. L'aspetto interessante, quasi al limite
del bizzarro, della nuova RR Lyrae è che le sue proprietà
pulsazionali (periodo, forma ed ampiezza delle curve di
luce e di velocità radiale) sono del tutto simili a quelle
delle RR Lyrae canoniche, ma ha un'età intermedia pari a
circa cinque miliardi di anni”. Praticamente la metà di
quella delle vere RR Lyrae.
Ma come è possibile allora che questa stella, anche se
poco massiccia, possa simulare così bene il
comportamento di astri di taglia ben maggiore? “La similRR Lyrae che abbiamo studiato è ciò che resta di una
stella molto più grande, che inizialmente doveva essere
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
di circa 1.4 masse solari, a cui la compagna del sistema
binario ha strappato così tanta materia da impedirle di
avere una normale storia evolutiva” spiega Bono.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
GALASSIE HII E COSTANTE DI HUBBLE
Nel 1929 l'astronomo Edwin Hubble scoprì l'espansione
dell'universo, almeno in via approssimativa, scoprendo
la relazione tra la distanza delle galassie (d) e la velocità
alla quale si allontanano da noi (v). Scrisse così la Legge
di Hubble per la quale v = H0d, dove H0 è definita
costante di Hubble. Questa costante non è stata ancora
stabilita con precisione visto che misurare le distanze è
veramente molto complicato. Per la velocità abbiamo il
redshift, ma per le distanze c'è una vera e propria sfida.
Per le stelle vicine utilizziamo la parallasse, mentre per
allontanarci diamo credito alle candele standard: oggetti
dei quali è nota la luminosità intrinseca e che servono da
riferimento una volta stabilita la luminosità apparente.
Anche le supernovae di tipo Ia sono considerate candele
standard e la possibilità di essere trovate a distanze
molto ampie ha fornito una stima della costante di
Hubble pari a 73,8 km/s/Mpc, con errore di 2,4.
Un nuovo metodo tira in ballo le regioni HII ed è un
metodo innovativo che può offrire una stima del tutto
indipendente da altri metodi. Le regioni HII sono grandi
nebulose di gas ionizzato nelle quali avviene la
formazione stellare. Le galassie HII sono galassie nel cui
spettro dominano le regioni HII.
Gli autori hanno scoperto che operando misurazioni di
regioni HII extragalattiche, in galassie delle quali è nota
la distanza, esiste una forte correlazione tra la larghezza
delle righe H-beta dominanti nello spettro e la
luminosità di queste righe. Esaminando la correlazione
hanno ottenuto un modo per misurare la luminosità
intrinseca totale data la larghezza delle righe spettrali.
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
Hanno adattato la formula ad un grande campione di
galassie HII più distanti, fino a redshift 0,16 fino a
calcolare con il nuovo metodo la distanza di questi
oggetti. Il nuovo metodo fornisce un set di distanze che
può essere combinato con le misurazioni della velocità
per misurare la costante di Hubble, ottenendo un valore
di 73,9 con errore sistematico di 2,9: un valore molto
simile a quello delle supernovae ottenuto con un metodo
completamente differente!
Fonte: Astrobites - Link alla notizia
FOMALHAUT RISERVA DI COMETE?
Herschel, dell'ESA, ha studiato la cintura di polvere
intorno alla stella Fomalhaut scoprendo che nasce
probabilmente dalla collisione quotidiana di migliaia di
comete.
Fomalhaut è una stella giovane, solo poche centinaia di
milioni di anni, e due volte più massiva del Sole. La cintura
fu scoperta negli anni Ottanta dal satellite IRAS, ma le
nuove immagini di Herschel sono molto più dettagliate
nel lontano infrarosso ed hanno consentito di trovare
temperature comprese tra -230 e -170°C. Dal momento
che Fomalhaut non si trova al centro perfetto della
cintura, la zona più vicina nella parte meridionale è più
calda e brillante della sua dirimpettaia.
Forma e asimmetria potrebbero essere dovute alla
gravitò di un possibile pianeta in orbita intorno alla stella,
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
peraltro già osservato nelle immagini di Hubble. I dati
di Herschel mostrano che la polvere ha proprietà
termiche di piccole particelle solide, con dimensioni di
pochi milionesimi di metro di diametro il che porta ad
un problema, visto che Hubble ha indicato grani dieci
volte più grandi.
Le osservazioni collezionate sembrano dare ragione a
Hubble ma questo va in contrasto proprio con le
temperatura misurate da Herschel nell'infrarosso. Per
risolvere la faccenda si è ipotizzato che questi grani
siano simili a quelli rilasciati dalle comete del nostro
sistema solare.
Questo sembra risolvere la faccenda ma porta ad un
altro problema: la radiazione brillante di Fomalhaut
dovrebbe spingere questi grani lontano in maniera
molto rapida, e invece restano ancora nella cintura. Per
spiegare questo problema si è ipotizzato allora che in
realtà nella fascia siano presenti comete più grandi in
continuo scontro, il che genera le parti più piccole
osservate. Il tasso di collisione dovrebbe essere
impressionante: ogni giorno l'equivalente di due
comete del diametro di 10 km dovrebbero collidere,
oppure 2000 comete da un chilometro ciascuna.
Fonte: ESA - Link alla notizia
ANCORA SUL DISCO DI FOMALHAUT
Un nuovo osservatorio ancora in fase di costruzione ha
permesso agli astronomi di compiere un progresso
importante nell'interpretazione di un sistema
planetario vicino e ha fornito indizi preziosi su come
questi sistemi si formino ed evolvano. Alcuni astronomi
hanno scoperto, utilizzando ALMA, l'Atacama Large
Millimeter/submillimeter Array, che i pianeti in orbita
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
intorno alla stella Fomalhaut devono essere molto più piccoli di quanto si pensasse inizialmente. Questo è il primo
risultato scientifico di ALMA, che viene pubblicato nel primo periodo di osservazioni aperte agli astronomi di tutto il
mondo. La scoperta è stata resa possibile dalle immagini eccezionalmente nitide ottenute con ALMA di un disco o
anello di polvere in orbita intorno a Fomalhaut, che si trova a circa 25 anni luce dalla Terra, e aiuta a risolvere una
controversia sorta tra i primi osservatori di questo sistema. Le immagini di ALMA mostrano che sia il bordo interno
che quello esterno di questo sottile disco di polvere sono netti, ben delineati. Questo fatto, insieme con simulazioni
al computer, ha portato gli scienziati a concludere che le particelle di polvere nel disco vi sono trattenute dall'effetto
gravitazionale di due pianeti - uno più vicino del disco e l'altro più lontano, rispetto alla stella.
I loro calcoli mostrano anche la probabile dimensione dei pianeti - più grandi di Marte ma non più grandi di qualche
volta le dimensioni della Terra. Queste dimensioni sono molto più piccole di quelle che gli astronomi avevano finora
ipotizzato. Nel 2008, un'immagine del telescopio spaziale HST (Hubble Space Telescope) della NASA/ESA aveva
mostrato il pianeta interno, che allora si pensava fosse più grande di Saturno, il secondo pianeta del sistema solare
per dimensione. Osservazioni successive con telescopi infrarossi però non erano state in grado di rivelare di nuovo il
pianeta. Questa osservazione mancata ha portato alcuni astronomi a dubitare dell'esistenza del pianeta
nell'immagine di HST. Inoltre, l'immagine in luce visibile rivelava grani di polvere molto piccoli, che vengono spinti
verso l'esterno dalla radiazione della stella, rendendo così più imprecisa la struttura del disco di polvere. Le
osservazioni di ALMA, a lunghezze d'onda maggiori di quelle della luce visibile, tracciano grani di polvere di
dimensioni maggiori -- circa un millimetro di diametro -- che non vengono spostati dalla radiazione della stella. Essi
mostrano chiaramente i bordi netti del disco e la struttura ad anello, segnalando l'effetto gravitazionale dei due
pianeti.
"Combinando le osservazioni di ALMA dell'anello con modelli numerici possiamo porre limiti molto stretti alla massa
e all'orbita di un qualsiasi pianeta nelle vicinanze dell'anello", ha detto Aaron Boley (Sagan Fellow presso la
University of Florida, USA), a capo della ricerca. "Le masse di questi pianeti devono essere piccole: in caso contrario i
pianeti distruggerebbero l'anello", ha aggiunto, affermando anche che le piccole dimensioni dei pianeti spiegano
perchè le precedenti osservazioni infrarosse non erano state in grado di individuarli.
La ricerca effettuata con ALMA mostra che l'anello è largo circa 16 volte la distanza tra Terra e Sole ed è spesso un
settimo della sua larghezza. "L'anello è ancora più sottile e stretto di quanto si pensasse prima", ha detto Matthew
Paybe, anch'egli della University of Florida. L'anello dista dalla stella circa 140 volte la distanza Terra-Sole. Nel nostro
sistema solare, Plutone è circa 40 volte più distante dal Sole della Terra. "A causa delle piccole dimensioni dei pianeti
vicino a questo anello e della loro grande distanza dalla stella madre, sono tra i pianeti più freddi mai trovati in orbita
intorno ad una stella normale", ha aggiunto Aaron Boley. Gli astronomi hanno osservato il sistema di Fomalhaut nel
settembre e nell'ottobre 2011, quando solo un quarto delle 66 antenne di ALMA erano in funzione. Quando la
costruzione della schiera di antenne sarà completata, l'anno prossimo, l'intero sistema sarà molto più potente.
Anche in questa fase "Early Science", comunque, ALMA è stato in grado di individuare la struttura rivelatrice che
aveva eluso in precedenza gli osservatori nella banda millimetrica. "ALMA è ancora in costruzione ma è già il
telescopio più potente nel suo genere. È solo l'inizio di una nuova era nello studio della formazione di dischi e pianeti
intorno ad altre stelle", conclude l'astronomo dell'ESO e membro dell'equipe Bill Dent (ALMA, Cile).
ALMA, l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, una struttura osservativa astronomica internazionale, è
costruita in partnership tra Europa, Nord America e Asia Orientale in cooperazione con la Repubblica del Cile. ALMA
riceve fondi in Europa dall'ESO (European Southern Observatory), in Nord America dall'NSF (U.S. National Science
Foundation) in cooperazione con il NRC (National Research Council of Canada) e con il NSC (National Science Council
of Taiwan) e in Asia Orientale dal NINS (National Institutes of Natural Sciences) del GIappone in cooperazione con
l'Academia Sinica (AS) a Taiwan. La costruzione e la gestione di ALMA sono condotte dall'ESO per conto dell'Europa,
dall'NRAO (National Radio Astronomy Observatory, gestito da AUI, Associated Universities, Inc.) per conto del Nord
America e dal NAOJ (National Astronomical Observatory of Japan) per conto dell'Asia Orientale. Il JAO (Joint ALMA
Observatory) garantisce una guida e gestione unica alla costruzione, alla verifica e alla gestione di ALMA.
Fonte: ESO - Link alla notizia
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
TEMPESTE DI SABBIA STELLARE
Se pensate che le più violente tempeste di polvere siano quelle che spazzano i deserti sulla Terra o le desolate lande
Marziane, forse non conoscete i potentissimi venti che vengono emessi dalle stelle giganti rosse, astri simili al nostro
sole che però si trovano alla fine del loro ciclo evolutivo. Questi fenomenali flussi di gas e grani di polveri sono ben
100 milioni di volte più intensi del vento solare e nell'arco di 10.000 anni sono in grado di strappare via dalla stella
fino a metà della sua massa.
Anche se ormai conosciamo piuttosto bene le caratteristiche di questi super venti stellari, i processi che spingono
queste enormi masse di materia lontano dalla stella sono stati oggetto di acceso dibattito tra gli astrofisici di tutto il
mondo. Finora lo scenario più plausibile era quello in cui a sostenere i super venti stellari fossero i grani di polveri –
principalmente silicati – formatisi nelle atmosfere delle stelle e accelerati dalla intensa radiazione luminosa emessa
dalle stesse stelle.
Queste ipotesi, pur ragionevoli, sono state però messe seriamente in discussione dai modelli teorici elaborati al
calcolatore. Le simulazioni dell'evoluzione delle stelle giganti rosse indicano infatti che le temperature raggiunte dalle
particelle di polveri sono talmente alte da vaporizzarle ancor prima di essere spinte verso lo spazio.
Dunque il meccanismo di accelerazione dei venti stellari tramite particelle di polveri va definitivamente
abbandonato? No, anzi può funzionare benissimo secondo Barnaby Norris, ricercatore dell'Università di Sydney in
Australia. Norris, insieme a un gruppo di colleghi, ha infatti condotto uno studio sugli inviluppi esterni di alcune stelle
giganti rosse sfruttando il Very Large Telescope dell'ESO. Grazie a misure di polarizzazione della luce gli scienziati
sono riusciti a identificare i fotoni deviati dalle particelle di polveri attorno alle stelle e ricavarne le loro dimensioni,
mentre con la tecnica interferometrica sono riusciti a ottenere immagini ad alta risoluzione che sono state in grado di
mappare la distribuzione di questo materiale nelle vicinanze delle stelle.
Dallo studio, pubblicato nell'ultimo numero della rivista Nature, emerge che i grani di silicati presenti nell'inviluppo
stellare sono molto più grandi di quanto si pensasse, arrivando a sfiorare il micrometro, ossia un millesimo di
millimetro. All'apparenza può sembrare un'inezia – sono più o meno le stesse dimensioni delle particelle della
polvere che si annida nelle nostre case – ma è invece un'enormità tra gli ingredienti che compongono i venti stellari.
E proprio nelle dimensioni maxi di questi grani si troverebbe soluzione all'enigma dei super venti stellari. Particelle di
Rivista mensile di aggiornamento astronomico
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SUPERNOVAE – n° 3 – Maggio 2012
questa mole si comporterebbero infatti come specchi,
riflettendo la radiazione luminosa della stella piuttosto
che assorbirla. I grani così non si surriscaldano, non
vengono distrutti e possono quindi essere accelerati
dalla luce fino a velocità anche di 10 chilometri al
secondo, ovvero 36.000 chilometri orari, la stessa
andatura di un razzo spaziale.
“ Per la prima volta cominciamo a capire come
funzionano i super venti stellari e come le stelle
(compreso il Sole, seppure in un futuro assai remoto)
terminano il loro ciclo vitale” commenta Albert Zijlstra,
del Jodrel Bank Observatory, che ha partecipato allo
studio. “I grani di polvere e sabbia che compongono
questi venti sopravvivono alla stella e vanno a formare
quelle nubi di materia da cui si produrranno nuove
stelle. Abbiamo fatto un grande passo avanti per
comprendere questo ciclo di vita e morte”.
stanno raffreddando da miliardi di anni”.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
NANE BIANCHE VICINE E
ANTICHISSIME
Chi l'ha detto che per trovare i corpi celesti più antichi
bisogna necessariamente spingerci a osservare i remoti
confini dell'universo? A volte anche cercare con
attenzione nel nostro vicinato cosmico può dare i suoi
frutti. Proprio come hanno fatto alcuni astronomi guidati
da Mukremin Kilic, dell'Università dell'Oklahoma che
sono riusciti a scovare due nane bianche antichissime,
formatesi quando l'universo aveva poco più di un
decimo dell'età attuale e che si trovano a circa cento
anni luce da noi. Gli esemplari più vicini alla Terra ad
oggi conosciuti delle prime stelle che si sono accese
dopo il Big Bang.
Analizzando i dati del satellite Spitzer della NASA, i
ricercatori sono riusciti a ricavare le temperature
superficiali di WD 0346+246 e J1102 – queste le sigle dei
due oggetti celesti – che sono comprese tra 3700 e 3800
kelvin. E proprio grazie a queste informazioni gli
scienziati sono riusciti a risalire all'età dei due corpi
celesti, che si attesterebbe tra gli undici e i dodici
miliardi di anni. “Una nana bianca può essere pensata
come una stufa bollente: una volta che la stufa è stata
spenta, si raffredda lentamente col passare del tempo –
spiega Kilic. Misurando quanto è calata la temperatura
della stella, possiamo dire da quanto tempo si è spenta.
Entrambi gli oggetti celesti che abbiamo identificato si
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Ma oltre a scoprire la veneranda età di questi oggetti
celesti, i ricercatori sono riusciti a determinare anche la
loro distanza, che si attesta intorno a 100 anni luce. Un
risultato frutto di una lunga serie di osservazioni con il
telescopio da 2.4 metri dell'MDM Observatory in Arizona
che ha registrato nel corso di tre anni i loro spostamenti
rispetto alle altre stelle sulla volta celeste. “La maggior
parte delle stelle sono perfettamente immobili nel cielo,
ma in particolare J1102 si muove rispetto a noi alla
velocità di un milione di chilometri l'ora ed è distante
poco più di cento anni luce dalla Terra” dice John
Thorstensen del Dartmouth College, coautore del lavoro
che verrà pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the
Royal Astronomical Society. “Siamo riusciti a ottenere
questo risultato misurando il piccolo scostamento nella
sua traiettoria causato dal moto della Terra,
paragonabile alla dimensione apparente di una
monetina osservata alla distanza di oltre 100
chilometri”.
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
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UN BULLET CLUSTER MOLTO ANTICO
L'ammasso galattico di recente scoperta chiamato DLSCL
J0916.2+2951 è molto simile al famoso Bullet Cluster, il
primo sistema nel quale è stata osservata la separazione
tra materia barionica e materia oscura, ma presenta
alcune differenze importanti. Il nuovo sistema è stato
battezzato proprio Musket Ball Cluster dovutamente al
fatto che risulta più antico e lento.
Trovare un altro sistema più evoluto del Bullet fornisce
agli scienziati la possibilità di osservare una fase
successiva dell'evoluzione degli ammassi, gli oggetti più
grandi legati gravitazionalmente. I dati di Chandra, di HST
e del Keck hanno fornito immagini a diverse lunghezze
d'onda del nuovo ammasso, riuscendo a separare
chiaramente le galassie dalla materia oscura.
Il gas caldo osservato da Chandra è colorato di rosso
mentre le galassie ottenute nell'ottico da Hubble
appaiono bianche e gialle. La posizione della gran parte
della materia dell'ammasso, dominato dalla materia
oscura, è in blu. Quando rosso e blu si sovrappongono,
ne risulta un colore porpora. La distribuzione della
materia è determinata tramite i dati di Subaru, Hublle e
Mayall, in grado di rilevare gli effetti di lente
gravitazionale che distorcono la luce quando grandi
masse si interpongono tra gli oggetti distanti e noi
osservatori.
Il sistema è osservato ad una età di circa 700 milioni di
anni dopo la collisione. Tenendo conto dell'incertezza di
questa stima, la fusione che ha dato vita a questo
ammasso è due volte più antica di quelle finora osservate
in altri sistemi e la velocità dei due ammassi in collisione
è più lenta rispetto agli altri campioni.
L'ambiente degli ammassi galattici, compresi gli effetti
derivanti da collisioni, gioca un ruolo importantissimo
nell'evoluzione dei membri galattici ma non è ancora
chiaro il modo in cui la fusione innesca la formazione
stellare, oppure se la sopprime del tutto oppure non ha
addirittura effetto. La nuova scoperta può aiutare molto
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in questa diatriba.
L'ammasso si trova a 5,2 miliardi di anni luce.
Fonte: Chandra Harvard - Link alla notizia
BULGE E PSEUDOBULGE
Anche se deforme, si tratta di una galassia a spirale
posta nella costellazione dell'Idra maschio. Immortalata
da Hubble durante una survey, NGC 4980 mostra uno
pseudobulge, una concentrazione di stelle il cui moto a
spirale si estende fino al nucleo.
Contrariamente ai classici bulge, nei quali le stelle
orbitano intorno al nucleo in ogni direzione, uno
pseudobulge è formato da stelle che seguono il moto a
spirale dei bracci galattici fino al centro e presenta
tipicamente stelle che hanno la stessa età della maggior
parte delle stelle galattiche.
I classici bulge invece contengono stelle più antiche di
quelle riscontrabili nel disco, il che ha portato gli
astrofisici a credere che galassie con un bulge classico
siano andate incontro a una o più collisioni con altre
galassie durante la loro evoluzione.
Si ritiene che la nostra Via Lattea abbia uno
pseudobulge, mentre altre spirali non presentano
affatto un bulge.
L'immagine è una composizione di dati presi nel visibile
e nell'infrarosso da Hubble. La galassia è posta a circa 80
milioni di anni luce dalla Terra.
Fonte: Universe Today - Link alla notizia
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FALSE MAGRE TRA LE GALASSIE
Mai fidarsi delle apparenze, nemmeno per le galassie. Se
a osservarne il girovita, che nel loro caso sarebbe poi la
luminosità, parevano leggere come non mai, il verdetto
della bilancia non ha lasciato scampo. Per le più vecchie,
addirittura, la lancetta è schizzata fino a indicare fino tre
volte il peso loro attribuito in precedenza. E la ciccia,
seppur abilmente nascosta, è venuta a galla: sotto forma
di oggetti poco o per nulla luminosi (come piccole stelle,
pianeti, buchi neri), magari nascosti dietro l'alone di
materia oscura che le avvolge. Quando si dice che il nero
sfila…
A svelare impietosamente l'inganno, un team
internazionale guidato da un astrofisico italiano – si è
laureato e dottorato a Padova – che lavora al
Dipartimento di fisica della Oxford University, Michele
Cappellari. Gli scienziati del team hanno applicato i loro
modelli dinamici a un tipo di dati particolari, detti di
integral-field spectroscopy: in pratica, si tratta delle
mappe bidimensionali dei moti delle stelle presenti in un
campione di 260 galassie (quelle della survey Atlas3D, di
cui abbiamo già parlato anche qui su Media INAF).
Riuscendo così a ricalcolare, per ognuna di esse, la initial
mass function, ovvero la distribuzione relativa iniziale fra
stelle di grande e piccola massa. E scoprendo che non era
quella attesa, almeno non per tutte le galassie del
campione, in particolare per quelle più vecchie.
«Quasi tutto quello che sappiamo delle galassie deriva
dall'osservazione della luce emessa dalle loro stelle»,
spiega Cappellari a Media INAF, «ma questa luminosità
non è che la punta dell'iceberg. In realtà, quello che
davvero vorremmo riuscire a misurare è la loro massa,
che è poi ciò che tutti i modelli prevedono. Ciò che
l'applicazione del nostro metodo ci ha permesso di
trovare è che il fattore di conversione adottato per
convertire la luminosità delle galassie che osserviamo
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nella massa stellare che tutti i modelli calcolano non è, in
realtà, un fattore universale, come si è pensato per
decenni: può variare fino a un fattore tre. Nel senso che
le galassie meno massicce e più giovani hanno il fattore
che si è usato fino a oggi, mentre quelle più massicce,
che sono anche generalmente più vecchie, hanno un
fattore che è il triplo di quello adottato finora».
Mica un errore da poco: rimanendo nella metafora,
significa che abbiamo a lungo scambiato giunoniche
veterane del cosmo da un quintale e mezzo per silfidi da
cinquanta chili. Un abbaglio, quello svelato ora sulle
pagine di Nature, che comporterà parecchi
aggiustamenti. «È ancora presto», mette in guardia
Cappellari, «per immaginare le implicazioni dirette della
nostra scoperta sui modelli. Ma conoscere la massa delle
galassie è cruciale per studiare la formazione delle
galassie stesse. Solo che fino a oggi, quando andavamo a
misurarla per galassie a diverse distanze, dunque a
diverse epoche, usavamo un fattore di conversione
“universale” che universale non è. Ora, avendo scoperto
che le galassie di massa maggiore sono in realtà anche
fino a tre volte più massicce di quanto ritenessimo, si
pone un problema: se già i modelli attuali faticavano a
spiegare la formazione di galassie di grande massa in
epoche precoci, ora dovranno riuscire a giustificare la
presenza di galassie ancora più massicce quando l'età
dell'Universo era appena un quarto di quella attuale».
Fonte: MEDIA INAF - Link alla notizia
ULTIMI BAGLIORI DI UNA STELLA
PASADENA, Calif. - Immagini da WISE (Wide-field Infrared
Survey Explorer) rivelano una stella anziana nelle ultime
fasi vitali, mentre sta sparando via nel cosmo i suoi ultimi
polverosi strati. La scoperta offre una rara occasione per
verificare il processo con il quale le stelle come il Sole
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offrano all'universo i semi per la nascita di altre stelle,
pianeti e vita.
La stella, battezzata WISE J180956.27-330500.2, è stata
scoperta durante una survey del 2012, la più dettagliata
mai effettuata nell'infrarosso e si è messa in evidenza
proprio per la brillantezza in questa lunghezza d'onda.
Rispetto alle immagini di venti anni prima, la stella è
risultata più brillante di cento volte.
I risultati indicano che la stella è esplosa recentemente
con una grande quantità di polvere fresca, equivalente
per massa alla massa del nostro pianeta. La stella sta
riscaldando la polvere e questo crea il bagliore nella luce
infrarossa.
Questa esplosione di polveri probabilmente si verifica
una sola volta ogni 10 mila anni nella vita di stelle antichi
e dura poche centinaia di anni, in pratica un battito di
ciglia cosmologico. La stella si trova nella fase di gigante
rossa. Il nostro Sole lo diventerà tra circa 5 miliardi di
anni. QUando una stella inizia ad essere a corto di
carburante, si raffredda e si espande in modo che gli
strati più esterni si raffreddino liberando particelle di
polvere. Si tratta di uno dei principali metodi di riciclo
della polvere nell'unvierso insieme all'esplosione di
supernovae. Proprio queste polveri vanno a comporre
anche il 50% del corpo umano.
Finora lo studio era diretto sulla stella nota come
Oggetto di Sakurai, anch'essa in fin di vita ma in uno
stadio molto più avanzato rispetto all'ultima stella
scoperta da WISE:
L'incremento di luminosità infrarossa dovrebbe risalire al
1983.
Fonte: NASA JPL - Link alla notizia
UN AMMASSO GLOBULARE
TREMENDAMENTE PICCOLO
che brillano molto di più di tutte le stelle dell'ammasso
messe insieme.
I dati del Keck sono fondamentali sia per la conferma
spettrografica dell'ammasso sia per stabilire se la
galassia nana e Munoz 1 si stiano muovendo insieme.
Ogni galassia possiede il proprio sciame di ammassi
globulari, quindi si è inizialmente pensato che Munoz 1
fosse satellite della galassia nana dell'Orsa Minore, ma i
dati delle velocità relative hanno negato questa
possibilità. Il fatto che i due oggetti siano vicini è quindi
solo una coincidenza e l'analisi dei dati dell'ammasso
indicano una distanza di circa 100 mila anni luce davanti
alla galassia.
Ma perchè è così povero di stelle? Uno scenario
possibile vede la perdita progressiva di stelle, ma è
anche possibile che queste siano state strappate da un
passaggio radente con la Via Lattea, anche se la
direzione dell'ammasso stesso ancora non è ben nota e
quindi si tratta solo di una ipotesi.
Fonte: Keck Observatory - Link alla notizia
Kamuela, HI – Un team di astronomi di America, Canada
e Cile ha scovato un ammasso di stelle debolissimo
orbitante la Via Lattea, formato da circa 120 stelle di tipo
solare. Il piccolo ammasso, chiamato Munoz 1, è stato
scoperto vicino una galassia nana durante una survey di
satelliti e confermato tramite il Keck II.
Si tratta del globulare più debole mai scoperto finora,
scoperto da Ricardo Munoz dell'Università del Cile
mentre stava lavorando su una galassia nana dell'Orsa
Minore. L'ammasso contiene soltanto circa 500 stelle, il
che è veramente sorprendente. Esistono stelle singole
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Gli appuntamenti Skylive di Maggio
VENERDI 4 Maggio 2012 ore 21:30 – UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI a cura di Giorgio Bianciardi: CHIOMA DI
BERENICE
GIOVEDI 10 Maggio 2012 ore 21:15 – CORSO DI ASTRONOMIA DI BASE (5° serata) a cura di Stefano Capretti: IL
MODELLO COSMOLOGICO STANDARD
GIOVEDI 24 Maggio 2012 ore 21:15 – RASSEGNA STAMPA E CIELO DEL MESE a cura di Stefano Capretti: CIELO DI
GIUGNO
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Universe Gallery
F IGURA 1: M70 RIPRESO DAL TELESCOPIO SPAZIALE HUBBLE
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FIGURA 2: U NA AURORA AUSTRALE RIPRESA DALLA ISS
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FIGURA 3: 30 DORADUS IMMORTALATO DA HUBBLE ST PER IL VENTIDUESIMO COMPLEANNO DEL TELESCOPIO
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FIGURA 4: I MMAGINE ESO DELL' AMMASSO STELLARE NGC 6604
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