La Tutela della salute e l`Organizzazione sanitaria in provincia di

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La Tutela della salute
e l’Organizzazione sanitaria
in provincia di Pavia
Capitolo 1
Le regole generali dell’assistenza sanitaria in Italia
La Costituzione italiana tutela la salute di tutti gli individui; l’art. 32, infatti, così stabilisce: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti…”.
La tutela della salute dei singoli e della comunità è stata affidata dal 1978 al Servizio
Sanitario Nazionale (SSN); in seguito, è stata affidata alle singole Regioni come
Sistema Sanitario Regionale (SSR). Il SSR funziona attraverso le Aziende Sanitarie Locali (ASL), che controllano e pagano i servizi sanitari erogati ai cittadini e alla
comunità, garantendo che tutte le persone possano godere di Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA), cioè, di tutte le prestazioni sanitarie che sono di provata efficacia
e per cui vi è un rapporto costi-benefici vantaggioso. Le prestazioni sanitarie non
sono svolte direttamente dalle ASL ma, da ospedali e ambulatori pubblici e privati,
che vengono pagati dalle ASL per le prestazioni che offrono alla popolazione.
Tutti i cittadini sono iscritti al SSR. Alcune persone, anche se non sono cittadini
italiani, possono essere iscritti al SSR, purché lavorino e risiedano regolarmente in
Italia.
L’iscrizione al SSR è documentata dalla Tessera Sanitaria (TS), chiamata in Lombardia anche Carta Regionale dei Servizi (CRS), che attesta il diritto della persona
ad ottenere i servizi sanitari. Le ASL hanno uffici distribuiti nei principali centri del
territorio, presso i quali è possibile richiedere la Tessera Sanitaria. La TS è una scheda in plastica con incorporato un microchip, che contiene tutti i dati identificativi
della persona, incluso il codice fiscale (Fig. 1).
L’iscrizione al SSR dà diritto a scegliere un Medico di Medicina Generale (MMG)
cui rivolgersi gratuitamente per le cure generali e che, inoltre, può prescrivere visite,
esami e farmaci quando necessario. Normalmente il MMG viene scelto dal cittadino in base alla vicinanza dello studio medico alla propria abitazione ma, la scelta
è libera, specialmente nelle città dove vi sono molti MMG, che sono convenzionati
con il SSR e tra i quali è possibile sceglierne uno di propria fiducia. Per i bambini vi
è un’organizzazione simile attraverso i Pediatri di Libera Scelta (PLS), che svolgono
un ruolo analogo a quello del MMG per la cura dei bambini.
La scelta del MMG e del PLS viene fatta negli uffici dell’ASL e può essere scelto
solo un medico. Se per lavoro o per altri motivi si deve abitare a lungo (mesi o anni)
in un luogo lontano dal comune di residenza, ci si può rivolgere alla ASL locale per
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avere un MMG nei pressi del proprio nuovo domicilio, rinunciando, allo stesso tempo, al MMG del luogo di residenza. Quando si torna a vivere nella sede di residenza
è sufficiente andare all’ASL e modificare nuovamente la scelta del MMG. I MMG
per legge possono assistere al massimo 1.500 adulti (individui con un’età dai 13
anni in su) per cui, se hanno già raggiunto questo numero massimo, non è possibile
chiedere di essere assistiti da loro (per lo meno fino a che non si libererà un posto).
Il MMG prescrive esami (per esempio, esami del sangue, radiografie, gastroscopie,
ecc.), visite specialistiche (ad esempio, visite cardiologiche) utilizzando una speciale Ricetta Regionale (detta anche “impegnativa”), che è stampata in colore rosso
(Fig. 2).
Oltre al MMG anche i medici degli ospedali pubblici possono prescrivere esami o
farmaci con il Ricettario Regionale in modo che il paziente non debba tornare dal
proprio medico (MMG) per farseli prescrivere, velocizzando, così, la diagnosi e la
cura.
Quando un esame diagnostico è prescritto sul Ricettario Regionale, il paziente può
prenotarlo presso qualunque ospedale pubblico o anche negli ospedali e ambulatori privati convenzionati con il SSR (la maggior parte degli ospedali privati sono
convenzionati con il SSR). Per alcuni tipi di esami (per esempio, le analisi del sangue ma, talora, anche alcuni esami semplici come la radiografia del torace) non è
necessaria la prenotazione e basta presentarsi con la ricetta del medico negli orari
previsti; nella maggior parte dei casi, però, è necessaria una prenotazione. I tempi di
attesa delle prenotazioni sono sottoposti a regole da parte del SSR, che stabilisce
dei tempi massimi per ogni prestazione.
Quando un farmaco è prescritto sul Ricettario Regionale, può essere ritirato presso
tutte le farmacie consegnando la ricetta stessa al farmacista.
L’erogazione di tutti gli esami e di tutti i farmaci è sottoposta al pagamento di una
quota di partecipazione alla spesa, detta ticket. Il ticket in Lombardia è di 2 euro
per ogni confezione di farmaci, mentre, per gli esami specialistici è costituito da una
quota variabile che è, in generale, inferiore al costo della prestazione ma, che, in alcuni casi, può essere anche elevata (in Lombardia fino a un massimo di 66,15 euro).
Particolari condizioni personali (esempio: invalidità, disoccupazione) o particolari
malattie (esempio: ipertensione, diabete) possono dare diritto all’esenzione dal ticket in determinati casi. Per avere l’esenzione dal pagamento del ticket ci si deve
rivolgere all’ASL, che rilascia un tesserino o un certificato di esenzione.
Alcuni tipi di esenzioni, come quelle per la disoccupazione e/o per il basso reddito,
possono essere estese a tutto il nucleo familiare (figli, coniuge o partner convivente,
altri familiari a carico) se il guadagno della famiglia è basso (esempio: esenzioni E02,
E12, E13). Tali esenzioni possono essere ottenute anche consegnando agli uffici
dell’ASL una semplice autocertificazione.
Altri tipi di esenzioni, come quelle per invalidità (esempio: invalidità civile IC13,
IC14, IC21 e altri codici differenti secondo il grado di invalidità) o per alcune malattie (esempio: esenzioni 013 per diabete mellito, 031 per ipertensione arteriosa e
molte altre secondo un lungo elenco di malattie croniche), sono ottenute dopo visite
o certificazioni mediche specifiche.
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Il fatto di essere iscritti al Sistema Sanitario di una Regione non impedisce di farsi
assistere anche in altre Regioni italiane con la stessa Tessera Sanitaria.
L’assistenza sanitaria europea
I Sistemi Sanitari degli Stati dell’Unione Europea sono parzialmente integrati per
permettere la libera mobilità per turismo e per lavoro dei cittadini europei, superando i vecchi modelli E110, E111, E119, E128, che erano utilizzati da camionisti,
turisti, persone in cerca di lavoro e studenti fino al 2004. Infatti, oggi, chi ha una
Tessera Sanitaria ha diritto ad avere anche una Tessera Europea di Assicurazione
Malattia (TEAM), che gli permette di ricevere cure in tutti i 27 paesi della UE oltre
che in Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda.
In Lombardia la TEAM è incorporata nella Tessera Sanitaria, essendo stampata sul
retro della stessa (Fig. 3).
Esibendo la TEAM e un documento d’identità valido, si ha diritto a ottenere non
solo le cure urgenti ma, anche tutte quelle medicalmente necessarie, sia presso gli
studi medici che le strutture pubbliche o private convenzionate dello Stato in cui
ci si trova, a parità di condizioni con i cittadini di quello Stato: ad esempio, se vi è
una qualche forma di compartecipazione alla spesa (equivalenti del ticket) questa
va pagata. In alcuni Stati (esempio: Francia, Svizzera) in cui l’assistenza sanitaria
è indiretta, è necessario pagare le prestazioni e poi, successivamente, chiederne il
rimborso all’ASL al ritorno in Patria (in quei paesi, infatti, i cittadini prima pagano e,
poi, vengono rimborsati).
La TEAM non può essere utilizzata per ottenere all’estero cure di alta specializzazione per le quali è necessaria la preventiva autorizzazione da parte della propria
ASL. Sono invece garantite tutte le cure inerenti la gravidanza e le malattie croniche.
I cittadini italiani possono quindi usare la TEAM per le proprie cure all’estero, così
come gli stranieri europei possono usare la TEAM per le loro cure in Italia.
Un cittadino europeo può ottenere le cure in Italia con la TEAM, richiedendo la
stessa Ricetta Regionale utilizzata per i pazienti in possesso di Tessera Sanitaria.
Il medico deve, però, compilare anche il retro della ricetta, riportandovi i dati della
Tessera TEAM, mentre sul fronte della ricetta deve apporre la sigla UE nello spazio
indicato: “tipo di ricetta”.
La TEAM non ha però sostituito tutti i formulari comunitari, che riguardano la salute.
Esistono ancora diversi formulari europei, che coprono le cure di familiari residenti all’estero (E109/S1 o SED S072), le cure programmate all’estero (E112/S2 o
SED S010), i titolari di pensione o rendita residenti all’estero (E121/S1 o SED S072).
In generale, con tali formulari viene rilasciata una Tessera Sanitaria particolare, che
non è unita ad una tessera TEAM.
La TEAM non potrebbe essere utilizzata per soggiorni all’estero superiori ai
tre mesi: in questo caso la permanenza in Italia del cittadino comunitario dovrebbe
essere legata a motivi di lavoro o altri motivi, che conferiscono il diritto all’iscrizione
obbligatoria al SSR. Il cittadino comunitario, infatti, è iscritto gratuitamente al SSR
se è:
1)lavoratore autonomo o dipendente in Italia (e ciò vale, pure, per un suo familiare
anche non comunitario);
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2)familiare a carico di cittadino italiano (coniuge, figli, familiari conviventi);
3)disoccupato (ritenuto tale dopo aver lavorato almeno per oltre un anno) e/o iscritto alle liste di mobilità;
4)iscritto a corsi di formazione professionale;
5)in cessazione temporanea dal lavoro per malattia o infortunio;
6)genitore proveniente dall’UE, di minore italiano;
7)minore affidato a istituti o famiglie;
8)detenuto;
9)vittima della tratta o di riduzione in schiavitù.
In altri casi il cittadino comunitario può iscriversi volontariamente al SSN se
dispone di risorse sufficienti per sé e per i propri familiari: per esempio, se iscritto a
corsi di studi o di formazione. In alternativa, questi cittadini possono sottoscrivere
una assicurazione privata, che copra tutti i rischi.
In mancanza delle condizioni suddette e in mancanza di TEAM, i cittadini comunitari sono tenuti a pagare per intero tutte le prestazioni sanitarie, che vengono
loro erogate. Tuttavia, chi non ha la TEAM né le condizioni sopra elencate e non è
in grado di pagare può autodichiarare la propria condizione di indigenza all’ASL e
ricevere, così, le cure urgenti ed essenziali. In alcune Regioni ciò avviene tramite il
rilascio di un tesserino (detto codice ENI, Europeo Non Iscritto) e, in Lombardia, attraverso il codice CSCS (Comunitario Senza Copertura Sanitaria). Va precisato
che la normativa in Lombardia non è ancora bene definita su questo argomento,
motivo per cui l’erogazione delle prestazioni può essere difficoltosa. Di fatto, però,
il codice CSCS permette alle strutture sanitarie di richiedere il rimborso delle prestazioni sanitarie.
Le prestazioni in regime CSCS (o ENI), in analogia a quanto previsto per gli stranieri
extracomunitari con codice STP (vedi oltre), possono essere erogate per:
• tutela della gravidanza e della maternità;
• tutela della salute del minore;
• vaccinazioni;
• interventi di profilassi internazionale;
• profilassi diagnosi e cura delle malattie infettive;
• cura, prevenzione e riabilitazione da tossicodipendenza;
• cure urgenti o comunque essenziali ancorchè continuative.
Le prestazioni erogate in regime CSCS sono soggette a pagamento del ticket (a
parità di condizioni con i cittadini italiani).
I diritti degli immigrati extracomunitari riguardo alla
salute
Il Testo Unico delle leggi sull’immigrazione, ovvero il Decreto Legislativo n. 286
del 25 luglio 1998, ha dato forza di legge al diritto alla salute dell’individuo sancito
dalla Costituzione, estendendolo a tutti gli immigrati, anche se irregolarmente soggiornanti sul territorio, stabilendo come tale diritto dovesse essere garantito e chi
avrebbe pagato per le prestazioni sanitarie necessarie.
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Queste regole non sono mai state modificate in modo sostanziale dalla legislazione
successiva, se non per precisarne meglio i termini di attuazione, accogliendo direttive della Unione Europea (UE) e di altri enti.
a) Iscrizione obbligatoria al SSR
I cittadini di Stati non appartenenti all’UE (cosiddetti extracomunitari) hanno diritto
all’iscrizione al Servizio Sanitario Regionale (SSR) se in possesso di un regolare
permesso di soggiorno per:
• lavoro (autonomo o subordinato), anche stagionale;
• asilo politico/umanitario;
• richiesta di asilo;
• attesa di occupazione;
• motivi di giustizia.
Anche chi è in attesa del primo rilascio di uno dei permessi di soggiorno suddetti
ha diritto all’iscrizione al SSR. La durata dell’iscrizione al SSR è fino alla scadenza
del permesso di soggiorno ma, coloro che sono in attesa di rinnovo mantengono il
diritto all’iscrizione al SSR.
Hanno diritto all’iscrizione obbligatoria al SSR anche i possessori di una Carta di
Soggiorno (o di un permesso CE di “soggiornante di lungo periodo”) e coloro che
sono in attesa di regolarizzazione, dopo aver fatto una pratica di emersione dal
lavoro nero. Hanno diritto all’iscrizione al SSR anche tutti i minori, pure se non in
possesso di permesso di soggiorno, e i familiari non comunitari di un cittadino comunitario iscritto al SSR.
Anche gli studenti-lavoratori devono essere iscritti al SSR.
In tutti i casi sopradescritti è necessario rivolgersi agli uffici dell’Azienda Sanitaria
Locale (ASL) per ottenere gratuitamente la Tessera Sanitaria, che comprova l’iscrizione al SSR.
Gli uffici dell’ASL di Pavia sono distribuiti nei maggiori centri abitati: le sedi e gli orari
di apertura sono consultabili sul sito: www.asl.pavia.it.
L’iscrizione al SSR dura fino alla scadenza del permesso di soggiorno.
b) Iscrizione volontaria al SSR
È possibile iscriversi al SSR volontariamente, pagando una quota annuale, per coloro che sono:
• soggiornanti per motivi di studio;
• collocati alla pari;
• personale religioso;
• familiari ultrasessantacinquenni con ingresso in Italia per ricongiungimento familiare dopo il 5 novembre 2008;
• titolari di permesso di soggiorno per residenza elettiva (coloro che hanno una
pensione di anzianità o di vecchiaia maturata in Italia o pensione da superstite o
che dimostrano di avere altre fonti di reddito sufficienti).
Tale iscrizione viene effettuata previo pagamento all’ASL di un importo variabile,
dipendente dal numero di familiari a carico e dal reddito. Per gli studenti senza familiari a carico il pagamento annuale è di 149,77 euro; per coloro che sono collocati
alla pari è di 219,49 euro; per tutte le altre categorie il contributo è almeno di 387,34
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euro ma, può essere superiore in base al reddito.
L’iscrizione volontaria al SSR fa riferimento all’anno solare (cioè, termina al 31 dicembre di ogni anno) a prescindere dalla data di scadenza del permesso di soggiorno e dalla data di pagamento del contributo.
c) Ingresso per cure mediche
Lo straniero extracomunitario, che voglia effettuare cure in Italia, può richiedere un
visto per cure mediche presentando, alla competente rappresentanza diplomatica,
una domanda corredata dalla seguente documentazione:
• dichiarazione della struttura sanitaria prescelta, che indichi il tipo di cura, la data
e la durata presumibile della stessa e il costo complessivo presumibile della cura;
• attestazione del preventivo versamento alla struttura sanitaria prescelta di una
cauzione, pari al 30% del costo complessivo della cura;
• documentazione comprovante la disponibilità di risorse economiche sufficienti
per il soggiorno dell’assistito e dell’eventuale accompagnatore (spesso viene fatto tramite una fideiussione bancaria);
• certificazione sanitaria della patologia in atto (tradotta in italiano se effettuata
all’estero).
Ai pazienti e loro accompagnatori con visto per cure mediche è rilasciato un permesso di soggiorno per cure mediche. Le cure erogate a pazienti entrati in Italia
con visto per cure mediche sono a loro totale carico. È vietata l’iscrizione al SSR o
l’emissione di codice STP (vedi oltre).
d) Non iscrivibili al SSR
Agli stranieri non appartenenti all’UE e regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale per periodi inferiori ai tre mesi (visto per turismo, affari, visita), non tenuti
all’iscrizione obbligatoria al SSR, vengono garantite le prestazioni sanitarie urgenti
e di elezione ma, dietro pagamento delle tariffe determinate dai SSR. Il pagamento
delle prestazioni in elezione viene richiesto in anticipo, mentre, per le prestazioni
urgenti, viene richiesto al momento delle dimissioni del paziente. Nel caso in cui il
paziente non paghi delle cure urgenti, l’ospedale può richiedere al Ministero dell’Interno, tramite le Prefetture, il rimborso delle prestazioni rimaste insolute.
Non possono essere iscritti al SSR i pazienti in possesso di un visto in corso di validità per cure mediche o per turismo o per affari o per visita a familiari.
e) Codice STP
Lo straniero extracomunitario non in regola con le norme per il soggiorno e che ha
bisogno di cure, se non è in grado di pagare, ha diritto ad essere curato attraverso
il rilascio del codice STP (Straniero Temporaneamente Presente).
Questo codice (un tesserino o un foglio di carta) può essere rilasciato dalle ASL e
dagli ospedali per identificare l’assistito ai fini della prescrizione e rendicontazione
delle cure.
Di solito il codice STP viene rilasciato al primo accesso in ospedale per le cure. Vale
6 mesi ed è utilizzabile su tutto il territorio nazionale; dopo i 6 mesi, se sono ancora
necessarie delle cure, può essere rinnovato. Per ottenerlo, lo straniero (o il genitore
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in caso di minori) deve firmare una dichiarazione d’indigenza, cioè, un documento
in cui attesta di non essere in grado di pagare l’intero importo delle cure. In questo
modo è possibile, per lo straniero, ottenere le cure a parità di condizioni con il cittadino italiano. Questa parità di condizioni comporta che vi sia l’obbligo del pagamento del ticket in alcuni casi ma, comporta anche il diritto a esenzioni dal ticket
per età, per patologie croniche, per maternità e per le urgenze.
Per avere il codice STP non è indispensabile avere un documento d’identità ma, può
essere sufficiente fornire le proprie generalità all’ufficio dell’ospedale o dell’ASL, che
lo rilascia. Certamente, la disponibilità di un documento diminuisce la possibilità di
errori nella scrittura dei dati anagrafici, riducendo possibili complicazioni burocratiche successive (ad esempio, basti pensare alla recente sanatoria, che richiedeva
la dimostrazione della presenza in Italia antecedentemente ad una certa data: errori
di trascrizione dei dati anagrafici sui documenti sanitari possono invalidare la loro
efficacia nel documentare la presenza). I dati forniti all’ospedale per l’emissione del
codice STP sono riservati e non sono mai comunicati all’Autorità di Polizia, salvo nei
casi di richiesta scritta da parte dell’Autorità Giudiziaria. In particolare, un articolo
di legge (art. 43 comma 5 del D.L. 286/1998) prevede che “l’accesso alle strutture
sanitarie da parte dello straniero, non in regola con le norme del soggiorno, non
deve comportare alcun tipo di segnalazione alle Autorità di Pubblica Sicurezza”. In
questo modo uno straniero non deve mai temere di rivolgersi ad un ospedale per
qualsiasi cura, preso dalla paura che la condizione di irregolarità del soggiorno sia
portata alla conoscenza dell’Autorità di Pubblica Sicurezza.
Le cure garantite ai pazienti con codice STP sono:
• tutela della gravidanza e della maternità;
• tutela della salute del minore;
• vaccinazioni;
• interventi di profilassi internazionale;
• profilassi diagnosi e cura delle malattie infettive;
• cura, prevenzione e riabilitazione da tossicodipendenza;
• cure urgenti o comunque essenziali ancorchè continuative.
Per cure urgenti si intendono quelle che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona. Per cure essenziali si intendono
quelle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, per patologie non pericolose nell’immediato ma, che nel tempo potrebbero portare a maggior danno per la
salute o rischi per la vita come complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti.
La rete di aiuto per la salute degli immigrati a Pavia
A Pavia l’assistenza sanitaria agli immigrati senza permesso di soggiorno, o, comunque, senza copertura sanitaria istituzionale, è garantita da numerosi ospedali
e strutture sanitarie, che possono offrire loro i servizi. Spesso, però, è difficile per
l’immigrato orientarsi e riuscire ad ottenere rapidamente le cure.
Le sedi principali ove l’immigrato può rivolgersi, site in Pavia e provincia, sono:
1)L’Ambulatorio Caritas in Via Alboino 17 - Pavia
2)L’Ambulatorio Stranieri della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Pavia
3)L’Ambulatorio Caritas in Via Cagnoni 3 - Voghera.
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L’Ambulatorio Caritas a Pavia è aperto tutti i martedì e i giovedì dalle ore 18,30 alle
ore 20,30. Vi si può accedere senza prenotazione. L’Ambulatorio è dotato di una
piccola farmacia per poter fornire alcuni farmaci, gratuitamente, ai pazienti che ne
hanno bisogno. Quando il medico dell’Ambulatorio Caritas ritiene che siano necessari ulteriori accertamenti, può prenotare direttamente una visita presso l’Ambulatorio Stranieri del Policlinico.
L’Ambulatorio Stranieri del Policlinico San Matteo di Pavia è aperto tutti i mercoledì
dalle ore 16 alle ore 19 e riceve per appuntamento. Si deve prenotare di persona al
CUP (Centro Unico di Prenotazione), situato in Piazzale Golgi 3 di fronte al Policlinico, o telefonando allo 0382/503879.
Presso l’Ambulatorio Stranieri viene assegnato il codice STP e vengono compilate
le ricette regionali per gli accertamenti e le terapie necessarie.
L’Ambulatorio Caritas a Voghera (PV) è aperto alle persone, che non hanno assistenza sanitaria, tutti i giovedì dalle ore 15 alle ore 18 con accesso diretto, senza
bisogno di prenotazione.
Fig. 1 - Esempio di Tessera Sanitaria
(Lombardia).
Fig. 2 - La Ricetta Regionale (fronte).
Fig. 3 - La Tessera Europea di Assicurazione Malattia (TEAM).
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Capitolo 2
Mangiare sano
per mantenersi in salute
Sapersi alimentare in modo corretto significa introdurre tutto ciò, di cui il nostro
organismo ha bisogno, nelle quantità adeguate. Errori nella qualità e/o quantità
dell’apporto dei nutrienti possono portare a conseguenze patologiche anche gravi.
Per questo motivo un’alimentazione sana aiuta a raggiungere e mantenere un buono stato di salute.
Spesso, trasferendosi a vivere dal proprio paese ad un altro, ci si trova a dover
affrontare problematiche che possono far correre il rischio di andar incontro ad
un’alimentazione sbilanciata, ripetitiva e poco soddisfacente per le seguenti cause:
cultura e qualità del cibo molto diverse dalle proprie, ridotta disponibilità economica, impossibilità a scegliere ciò che si mangia.
In questi casi può risultare più facile incorrere nel consumo di bevande e cibi ricchi
di zuccheri, dolcificanti e grassi, preparati industrialmente, il cui vantaggio è rappresentato unicamente dai prezzi bassi ed alla portata di tutti. Questi cibi sono spesso
internazionali, conosciuti e gustosi ma, molto calorici e possono portare facilmente
a condizioni di sovrappeso ed obesità. Allo stesso tempo sono poveri di alcuni
nutrienti fondamentali (vitamine, minerali, aminoacidi) e possono causare malattie
(patologie carenziali).
Sovrappeso e Obesità
Sono condizioni che vengono definite come un eccesso di peso rispetto all’altezza,
che in numeri vengono tradotte tramite l’Indice di Massa Corporea (IMC = peso in
Kg / altezza espressa in m e elevata al quadrato). È questo un indicatore, che dimostra come al di fuori della condizione di “normopeso” la durata della vita si riduca.
IMC kg/m²
Obesità
≥30
Sovrappeso
25-29,9
Normopeso
18,5-24,9
Sottopeso
<18,5
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Certamente prima di arrivare ad una conseguenza estrema come la morte, il nostro organismo dà origine a delle manifestazioni che “complicano” il sovrappeso
o l’obesità: se queste complicanze vengono trattate in tempo possono essere reversibili, ovvero, scomparire completamente ma, se non si interviene e lo stato di
sovrappeso ed obesità viene mantenuto nel tempo, le complicanze permangono
e possono esse stesse scatenarne ulteriori con danni a carico di diversi organi del
nostro corpo.
Principali complicanze
1) CUORE E CERVELLO. Se aumenta il grasso corporeo, facilmente aumentano i
grassi circolanti nel sangue, ovvero i trigliceridi e il colesterolo cosiddetto “cattivo”
(LDL), mentre si riduce quello “buono” (HDL). La conseguenza è un aumento del
rischio di sviluppare placche, che rendono difficoltoso il passaggio del sangue nelle
arterie (Fig. 1) e che possono dare origine ad ischemie, ovvero mancanza di sangue,
a carico di diversi organi (infarto cardiaco, ictus cerebrale, ecc.).
Inoltre, l’aumento della pressione arteriosa (ipertensione) può portare ad un affaticamento del cuore che non riesce più a pompare il sangue in maniera adeguata con
un progressivo peggioramento dei sintomi: prima, si fa fatica a salire le scale, poi,
ci si sente affaticati anche a camminare, a fare i lavori domestici; indi, manca il fiato
anche a riposo, le gambe si gonfiano, ecc.
2) DIABETE. La maggior parte degli zuccheri che introduciamo viene assorbita
dall’intestino ed entra nel sangue come glucosio. Questo stimola la secrezione
dell’insulina, una sostanza (ormone) prodotta dal pancreas, che permette di mantenere la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) entro certi valori non
dannosi. Nel caso di sovrappeso ed obesità protratti nel tempo può arrivare un
momento in cui l’insulina non funziona più in modo corretto o smette di essere
prodotta. La glicemia diventa troppo alta e si manifesta il diabete. Per controllarlo
bisogna somministrare l’insulina con delle iniezioni.
Se il diabete non viene ben controllato può indurre danni ai reni, alla retina dell’occhio, al sistema cardiocircolatorio, al sistema nervoso e ad altri apparati, causando
insufficienza renale, cecità, ulcere degli arti, che si infettano e rendono necessaria
l’amputazione delle dita dei piedi o del piede intero.
3) FEGATO. Se vengono introdotti troppi grassi con l’alimentazione, questi possono andare a localizzarsi all’interno delle cellule del fegato, dando luogo ad una
condizione di “fegato grasso” definita steatosi epatica (Fig. 2). La steatosi, se non è
corretta subito con una modifica dell’alimentazione, può portare alla cirrosi epatica,
malattia in cui si verifica una sostituzione di tessuto normale del fegato da parte di
tessuto fibroso con conseguente perdita della normale funzionalità epatica.
4) RESPIRO. L’obesità associata all’accumulo di grasso addominale ed intorno al
collo rende difficile il lavoro ai polmoni e ai muscoli, che permettono la respirazione;
la gabbia toracica fa fatica ad espandersi e non entra abbastanza ossigeno. Soprattutto durante la notte è possibile che si vada incontro a russamento o addirittura
a momenti di assenza di respiro (sindrome delle apnee ostruttive del sonno), che
causano dei risvegli improvvisi e impediscono di riposare in maniera adeguata.
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Le conseguenze sono stanchezza mattutina, sonnolenza, irritabilità, difficoltà a prestare attenzione e colpi di sonno veri e propri, molto rischiosi soprattutto per chi
deve guidare.
5) ARTICOLAZIONI. L’eccessivo carico, che le articolazioni sono costrette a sopportare, può comportare dolori, soprattutto a carico delle ginocchia, che a lungo
andare diventano cronici. Nei casi più gravi può dare luogo a deformità delle ginocchia, dell’anca o del piede con difficoltà a camminare (Fig. 3).
Come intervenire e come prevenire sovrappeso e obesità
La prima cosa da fare è ridurre il peso corporeo, evitando restrizioni dietetiche drastiche ma, cercando, invece, di acquisire uno stile di vita sano e corretto.
In Italia un Gruppo di esperti, costituito presso l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli
Alimenti e la Nutrizione (INRAN), ha elaborato le Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana, estensibili a chiunque voglia mantenersi in uno stato di benessere.
I punti fondamentali sono:
- controllare il peso in modo da essere consapevoli di suoi eventuali incrementi e
prendere, così, opportuni provvedimenti;
- mantenersi sempre attivi, cercando di camminare, prendere le scale al posto
dell’ascensore, spostarsi in bicicletta;
- consumare più cereali, legumi, ortaggi e frutta;
- ridurre la quantità di grassi introdotti, assumendo olio d’oliva, di noci o di mandorle
al posto di burro, strutto, margarina e olio di semi;
- ridurre al minimo il consumo di dolci, bevande zuccherate, caramelle e non aggiungere zucchero a tè e caffè;
- bere ogni giorno almeno 1,5-2 litri di acqua;
- ridurre il consumo di sale, utilizzando eventualmente più spezie per insaporire i
cibi;
- eliminare o ridurre il consumo di bevande alcoliche ad un massimo di un bicchiere
ai pasti, tenendo ben presente il rispetto delle tradizioni sociali e religiose;
- variare il più possibile la scelta dei cibi, evitando di consumare pasti sempre uguali
e ripetitivi.
In linea generale, bisognerebbe consumare 4-5 pasti al giorno, 3 principali (colazione, pranzo e cena) e 2 spuntini (metà mattina e metà pomeriggio).
A pranzo e a cena dovrebbero essere presenti una fonte di carboidrati (riso, pasta,
patate, cereali, pane), una di proteine (legumi, pesce, formaggio, uova, carne) ed
una di verdura, condite con olio extravergine d’oliva.
È importante ridurre il consumo di carni grasse e insaccati, mangiando, invece, più
pesce e legumi, alternandoli con formaggi magri, uova e carni bianche e magre.
Come spuntini sarebbe meglio preferire frutta, yogurt, crackers o fette biscottate.
Un aiuto può essere dato dalla nuova Piramide Alimentare Mediterranea (Fig. 4).
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Malnutrizione vitaminica
A seguito di un’alimentazione sbilanciata, insufficiente o ripetitiva possono verificarsi vere e proprie patologie, indipendentemente dal grado di IMC. Anche in soggetti
normopeso, infatti, possono insorgere patologie carenziali, in particolare deficit di
vitamine, sostanze fondamentali per la costruzione ed il funzionamento corretto
delle cellule del nostro corpo.
Vitamina C (acido ascorbico). Quando non vengono introdotte quantità adeguate di
questa vitamina e le riserve si esauriscono, può presentarsi una malattia conosciuta
col nome di Scorbuto. La principale conseguenza è la debolezza dei vasi sanguigni,
che si può manifestare con sanguinamenti cutanei (petecchie, ecchimosi), difficile
guarigione delle ferite, emorragie gengivali e caduta dei denti.
Dove trovare la vitamina C: nelle verdure come cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, nei peperoni rossi e gialli, negli agrumi e nel kiwi.
Vitamina B3 (niacina). Definita anche PP dall’inglese Pellagra Preventing, in quanto
una sua carenza si manifesta con una malattia nota come Pellagra. La carenza di
vitamina B3 può portare all’insorgenza di diversi disturbi tra cui stanchezza fisica,
perdita di appetito, dolori addominali, vomito, dermatite, diarrea, demenza e, nei
casi non trattati, morte.
La sua carenza può essere determinata da assunzione cronica di alcolici in quantità
elevate.
Dove trovare la vitamina B3: in carne, pesce, cereali, latticini, frutta secca a guscio,
legumi.
Vitamina D e Calcio. La D è una vitamina molto importante, che in gran parte è
prodotta nella pelle esposta al sole e in parte è introdotta con gli alimenti. Il nostro
corpo la utilizza soprattutto per controllare l’assorbimento di Calcio, un minerale
che troviamo principalmente nelle ossa ma, che è presente anche nel sangue in
quantità stabile. Se la quantità del sangue è bassa, per compensarla viene liberato
calcio dalle ossa e, a lungo andare, nell’adulto si può manifestare l’osteoporosi, patologia in cui l’osso perde calcio, si indebolisce sempre più e può schiacciarsi (per
esempio, a livello della colonna vertebrale) o fratturarsi facilmente (Fig. 5).
Se, invece, i valori vitamina D e/o Calcio sono bassi durante la crescita, i bambini
vanno incontro a Rachitismo, malattia in cui lo scheletro risulta deformato perchè
non può accrescersi normalmente.
Dove trovare la vitamina D: a differenza delle altre vitamine, è importante non solo
l’alimentazione ma, anche l’esposizione al sole soprattutto nei mesi invernali. I cibi
a maggior contenuto sono i pesci grassi, quali aringa, tonno, salmone e gli alimenti
con aggiunta di vitamina D.
Dove trovare il calcio: in latte, yogurt e formaggi, spezie, soja e derivati, verdure a
foglia verde come rucola, radicchio verde e cicoria, mandorle, acqua ricca di calcio. Per mantere il calcio nell’osso ed avere ossa forti è importante praticare attività
fisica costante, per esempio, camminando adeguatamente ogni giorno.
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Alcol e carenze vitaminiche
L’assunzione di alcolici (vino, birra, superalcolici) può portare a condizioni di sovrappeso ed obesità perchè l’alcol viene in buona parte depositato come tessuto
adiposo. Allo stesso tempo, quando l’assunzione di eccessive quantità di alcol
è cronica, vengono alterate le capacità d’assorbimento e di metabolizzazione
dell’organismo che, assieme ai possibili episodi di diarrea e vomito ed alla mancanza di appetito, possono facilmente indurre a stati di malnutrizione anche gravi.
Tra le sostanze introdotte con la dieta, le vitamine sembrano essere maggiormente
influenzate da questa condizione. Oltre alla già citata vitamina PP, le carenze più
frequenti riguardano le vitamine seguenti:
Vitamina B1 (tiamina). Una sua eventuale carenza può portare ad una malattia nota
come BeriBeri, che si manifesta con difetti a carico del cuore, che ha difficoltà a
pompare il sangue (scompenso cardiaco), e a carico del sistema nervoso, sia periferico (nervi) con dolori agli arti, sensibilità alterata, formicolii, riduzione dei riflessi,
sia del sistema nervoso centrale (cervello).
Dove trovare la vitamina B1: in cereali, specialmente quelli integrali, legumi, lievito
di birra, carne, fegato.
Vitamina B2 (riboflavina). Una sua carenza può condurre a sviluppo di lesioni e
infiammazioni della cute e della bocca (lingua rossa, stomatite); in alcuni casi provoca anche anemia e turbe della personalità.
Dove trovare la vitamina B2: latte e derivati, cereali, legumi, uova, carne magra.
Vitamina B12 (cobalamina). Il danno cronico allo stomaco dovuto all’alcol può
portare ad una carenza di vitamina B12, che non dipende da ciò che si mangia.
Il risultato è l’insorgenza di anemia perniciosa. Possono, così, comparire pallore,
stanchezza e affaticamento cronici, infiammazione della lingua con difficoltà a percepire i gusti, mal di testa e, nei casi più gravi, alterazioni della percezione sensitiva
(parestesie), quali formicolii, fastidio alle gambe, ridotta sensibilità al dolore.
Dove trovare la vitamina B12: è presente in tutti gli alimenti di origine animale come
carne, latte e derivati, uova.
Vitamina B9 (acido folico). Una carenza nell’adulto causa anemia con sintomi simili
a quelli da carenza di B12. Se il deficit di vitamina interessa donne in gravidanza, si
possono verificare danni nello sviluppo del bambino, che possono portare a gravi
patologie e malformazioni fino alla morte del feto. Pertanto in gravidanza è consigliabile far maggior attenzione all’introduzione di questa vitamina.
Dove trovare la vitamina B9: verdure a foglia verde scuro, spinaci, carciofi, broccoli, legumi e cereali, fegato, arance.
13
Fig. 1 - Deposito di grasso (placca) nell’arteria,
che ostruisce il vaso.
Fig. 2 - Fegato sano (1) e fegato grasso o con
steatosi (2) per accumulo di grassi (trigliceridi).
Fig. 3 - Ginocchio normale (1) e deformato, varo (2) o valgo (3).
14
Fig. 4
Piramide Alimentare Mediterranea.
1. Pasti principali (1-2 porzioni frutta; ≥ 2
porzioni verdura; 1-2 porzioni pane, pasta, riso
e altri cereali);
2. Consumo giornaliero (1-2 porzioni frutta a
guscio, semi, olive; 2-4 porzioni erbe o spezie
per ridurre il sale aggiunto; 2-3 porzioni latte e
derivati; 3-4 porzioni olio di oliva);
3. Consumo settimanale (≤ 2 porzioni dolci;
≤ 2 porzioni carne; ≤ 1 porzione insaccati;
1-2 porzioni pollame; ≥ 2 porzioni pesce o
crostacei; 2-4 porzioni uova; ≥ 2 porzioni
legumi).
N.B. Mantenere porzioni moderate; bere vino
con moderazione nel rispetto delle tradizioni
sociali e religiose; bere acqua.
15
Fig. 5 - Osteoporosi nell’anziano con incurvamento vertebrale.
Osso normale (1) e con perdita di calcio (2).
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Igiene e cura
dei denti
Capitolo 3
La salute della bocca
La nostra bocca (cavo orale) è un sito anatomico riccamente abitato da microrganismi, che insieme formano un complesso e delicato “ecosistema” in continua evoluzione. Tra questi, alcuni microrganismi sono indispensabili per la nostra salute, altri,
invece, possono diventare dannosi se non contrastati efficacemente. È importante
imparare a rispettare e proteggere questo complesso equilibrio, mettendo quotidianamente in pratica alcune regole di igiene orale, così da prevenire ogni rischio e
combattere i problemi al loro insorgere.
Il cavo orale rappresenta il primo tratto del tubo digerente: ci permette di introdurre
nell’organismo tutte le sostanze nutritive e l’aria indispensabili per sopravvivere.
È costituito principalmente dai denti, dalle guance, dalle labbra e dalla mucosa
orale, cioè, dal rivestimento che protegge la struttura interna della bocca, e dalla
lingua. Queste strutture, agendo in sinergia, svolgono funzioni di notevole importanza come la masticazione e la triturazione del cibo, la deglutizione, la fonazione e,
non ultima, la definizione dell’estetica facciale.
I denti
Ogni dente (Fig. 1) è costituito dalla corona e dalla radice: la corona è la parte visibile del dente; la radice è la porzione sommersa del dente, contenuta in una cavità
ossea, che prende il nome di alveolo o osso alveolare.
Il dente è formato da due tessuti duri (smalto e dentina) e da un tessuto molle (polpa). Lo smalto è lo strato più esterno del dente. È un rivestimento molto duro, che
ricopre la corona, conferendole notevole resistenza poiché è costituito da cristalli di
un composto ricco di calcio, detto idrossiapatite. Protegge la dentina sottostante.
La dentina è la struttura principale del dente. Circonda la polpa dentaria ed è rivestita dallo smalto nella corona e dal cemento nella radice. È più elastica ma, meno
dura e, quindi, meno resistente ai traumi rispetto allo smalto. La polpa dentaria è
la porzione più interna del dente, ricca di terminazioni nervose e vasi sanguigni, ed
è responsabile della sensibilità dolorosa. Il dolore compare quando il dente è sottoposto a stimoli termici (caldo e freddo) o a traumi della masticazione, soprattutto se
una parte del dente è stata distrutta dalla carie.
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Il parodonto rappresenta il sostegno del dente e comprende l’osso alveolare, che
accoglie e áncora saldamente la radice del dente alla gengiva attraverso il legamento parodontale. La gengiva è la parte di mucosa orale, che riveste l’osso alveolare e parte del dente.
Il bambino possiede i denti decidui, i cosiddetti “denti da latte”, che in totale sono n.
20. Il primo dente erompe all’età di circa 6 mesi mentre l’ultimo fa la sua comparsa
a circa 2 anni e mezzo. I denti decidui vengono progressivamente sostituti dai denti
permanenti. Nell’adulto, quando sono presenti anche i terzi molari (o “denti del
giudizio”), i denti definitivi sono n. 32: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari. Il
primo dente definitivo ad erompere è il primo molare all’età di circa 6 anni (Fig. 2).
La placca batterica
La placca batterica è un ammasso di microrganismi dannosi immersi in una sostanza organica, prodotta da loro stessi. La placca non viene rimossa dall’azione
detergente naturale della saliva, della lingua, dei movimenti di labbra e delle guance
ma, è asportabile con lo spazzolino da denti. È in grado di riformarsi entro poche
ore, anche senza assunzione di cibo, per opera dei microrganismi normalmente
presenti nella bocca e dei residui alimentari, specialmente zuccheri, che si depositano nelle zone difficilmente raggiungibili dallo spazzolino. Se la placca non viene
rimossa per diversi giorni, solidifica e diventa tartaro, deposito calcificato che può
essere eliminato solo dal dentista.
È possibile contrastare la placca e prevenire la carie con una corretta e costante igiene orale!
L’accumulo di placca provoca come principali conseguenze:
1.alitosi, che si manifesta con l’emissione di odore sgradevole attraverso gli atti
respiratori o la fonazione;
2.la carie dentale;
3.la malattia parodontale.
La carie dentale
La carie è un processo patologico distruttivo, che colpisce i tessuti duri del dente
(smalto e dentina), caratterizzato dalla demineralizzazione degli stessi da parte di
alcune sostanze acide, prodotte da batteri presenti nella placca, e dalla formazione
di cavità sulla superficie del dente. Se non compaiono dolore e fenomeni di ipersensibilità al freddo, a volte ci si accorge della carie troppo tardi, cioè quando il dente si
rompe oppure insorge un ascesso dentario. L’ascesso dentario si sviluppa quando i
batteri, penetrando a partire dalla lesione cariosa, riescono a raggiungere la polpa e
ne provocano la distruzione fino a dare origine ad una raccolta di pus con gonfiore,
arrossamento e dolore della gengiva (Fig. 3).
I fattori che favoriscono lo sviluppo della carie sono:
• alimentazione ricca di zuccheri (attenzione a cibi viscosi come marmellata, miele,
caramelle, cioccolato);
• scarsa igiene orale, ovvero, uso non frequente o non corretto dello spazzolino;
• alcune condizioni ormonali, come la gravidanza.
18
La malattia parodontale
La malattia parodontale è una patologia cronica caratterizzata da infiammazione
gengivale, formazione di spazi tra osso e gengiva (tasche parodontali), mobilità dentaria e riassorbimento dell’osso alveolare con la perdita, negli stadi più avanzati,
dei denti stessi. Questo processo patologico si manifesta con sanguinamento e
gonfiore (edema) gengivale. Può insorgere in età giovanile ma, più comunemente,
dopo i 35-40 anni (Fig. 4, 5).
I fattori che favoriscono la malattia parodontale sono:
• l’accumulo di placca, specialmente a livello sottogengivale;
• fattori ereditari;
• fattori comportamentali (fumo);
• alcune condizioni come la gravidanza e lo stress (che indebolisce le difese immunitarie).
Precise regole di prevenzione
- Seguire un’alimentazione bilanciata, ricca di frutta e verdura per introdurre vitamine e sali minerali;
- evitare gli spuntini ricchi di zucchero e le bevande zuccherate; meglio spuntini
nutrienti e acqua;
- lavare i denti dopo aver mangiato o bevuto qualcosa di dolce;
- evitare di masticare cibi particolarmente duri come pop-corn, nocciole, ghiaccio;
-effettuare visite di controllo dallo specialista almeno una volta all’anno o se si
hanno dei sintomi.
Lo spazzolino da denti
Lo spazzolino è sicuramente lo strumento-base dell’igiene orale.
Lo spazzolamento dei denti con tecnica corretta previene l’insorgenza della carie e
di malattia parodontale e, di conseguenza, la perdita dei denti. Un’eccessiva pressione durante lo spazzolamento può causare abrasione dello smalto e retrazione
gengivale. La retrazione o recessione gengivale provoca ipersensibilità dentale per
una maggiore esposizione delle fibre nervose all’ambiente orale.
Alcuni consigli:
1.spazzolare i denti dopo ogni pasto per un tempo di almeno 2-3 minuti;
2.usare uno spazzolino dalla testina medio-piccola in modo da arrivare in tutte le
zone della bocca; è preferibile che sia provvisto di setole artificiali di durezza
media;
3.sostituire lo spazzolino almeno ogni 3 mesi;
4.spazzolare accuratamente tutti i denti sia quelli anteriori sia quelli posteriori.
Tecnica di spazzolamento
Con la bocca semiaperta applicare le setole dello spazzolino tra dente e gengiva
con un’angolazione di 45° rispetto all’asse maggiore dei denti.
19
Con un movimento semirotatorio fare scorrere la testina dello spazzolino “dal rosa
verso il bianco”, cioè dalla gengiva verso la sommità del dente.
Ad esempio: per pulire l’arcata dentale superiore effettuare un movimento dall’alto
verso il basso; così le setole riescono ad inserirsi negli spazi tra un dente e l’altro
trascinando con sé i residui di cibo.
Per i denti posteriori: bisogna eseguire l’operazione sopracitata sia sulla superficie
vestibolare dei denti (che guarda verso le guance), sia su quella linguale (che guarda
verso la cavità della bocca); inoltre, bisogna inserire orizzontalmente lo spazzolino
in bocca e spazzolare le superfici masticanti dal dietro verso la parte anteriore della
bocca (Fig. 6, 7).
Perché è così importante la cura dei denti?
• Per l’apparato digerente: la masticazione del cibo prepara l’assorbimento degli
alimenti nello stomaco e nell’intestino.
• Per il cuore e il sistema circolatorio, i reni e le articolazioni: alcuni microrganismi localizzati in forma silente (cioè, senza dare segno di sé) in un dente cariato possono diffondersi, utilizzando come via di trasporto il circolo sanguigno, e
raggiungere il cuore (valvole cardiache) o i reni o le articolazioni e danneggiarli in
modo grave.
• Per il rischio di cancro orale: se in bocca ristagnano sostanze cancerogene (derivanti ad esempio dal fumo) o se vi sono superfici dentarie e di protesi taglienti,
che causano microtraumi alla mucosa orale, possono insorgere, in associazione
ad abitudini alimentari a rischio (assunzione di cibi eccessivamente caldi o consumo di alcol), lesioni biancastre (leucoplachie), che devono essere fatte vedere
il più presto possibile ad un medico. Esse, infatti, possono diventare cancro. Il
cancro orale è debilitante e ha spesso un esito infausto con un tasso di mortalità
del 40%.
Fig. 1
Struttura del dente (1. corona; 2. radice;
3. gengiva; 4.colletto; 5. smalto; 6. dentina;
7. osso alveolare; 8.vasi sanguigni e nervi;
9. apice; 10. polpa; 11. legamento
parodontale; 12. cemento).
20
Fig. 2
Denti permanenti (1. palato duro; 2. pavimento
della bocca. Emiarcata dentaria superiore:
3-4. incisivi; 5. canino; 6-7. premolari; 8-9-10.
molari. Emiarcata dentaria inferiore: 11-1213. molari; 14-15. premolari; 16. canino; 17-18.
incisivi).
Fig. 3
Evoluzione della lesione cariosa fino alla formazione di un ascesso.
Fig. 4
Gengiva sana (1) e gengiva
malata (2).
21
Fig. 5
Parodonto sano (1) e parodonto malato (2)
con perdita di supporto del dente (3), che
vacilla e può cadere.
Fig. 7
Spazzolamento delle superfici
masticanti dei denti (dall’indietro
verso l’avanti della bocca).
22
Fig. 6
Spazzolamento delle superfici vestibolari
dei denti (1. denti superiori: dall’alto verso
il basso; 2. denti inferiori: dal basso verso
l’alto).
Capitolo 4
Alcol, tabacco e altre droghe.
Conoscere i rischi
per decidere i comportamenti
Le basi biologiche della gratificazione: gli effetti piacevoli
dell’assunzione dell’alcol e delle altre droghe
La sensazione di piacere e gratificazione è normalmente prodotta da cibo, rapporti
sessuali, attività fisica, ascolto di musica, ammirazione della natura e dell’arte attraverso la stimolazione di alcune aree del sistema nervoso ma, può anche essere
conseguenza dell’assunzione di sostanze, legali o illegali, che agiscono sulla mente
(psicoattive), stimolando le stesse aree. Poiché si tende a ricercare nuovamente la
sensazione di piacere, è probabile che queste sostanze vengano assunte in maniera ripetuta e provochino, quindi, dipendenza, nonostante i danni di cui sono responsabili a breve e a lungo termine.
Oltre alle sostanze di abuso che costituiscono un sostituto ingannevole del piacere naturale, anche il gioco d’azzardo espone fortemente al rischio di dipendenza:
giocare con lo scopo di ottenere denaro (gratta e vinci, slot machine, ecc.) attiva le
stesse aree del cervello.
Sia la storia personale dell’individuo che le pressioni culturali e sociali possono
favorire in modo più o meno decisivo l’avvio e il mantenimento di comportamenti
di uso, abuso, dipendenza. Infatti, non tutte le persone che entrano in contatto con
le droghe continuano ad usarle: è più facile che diventi dipendente chi sta vivendo
momenti difficili o eventi tragici della propria vita o semplicemente è in preda ad una
noia cronica e profonda.
Anche l’ambiente e la cultura in cui siamo immersi hanno una forte influenza sul
comportamento di uso o di non uso di sostanze; perciò, ogni comportamento del
singolo ha anche una valenza sociale, in senso positivo o negativo.
Che cosa definisce “droga” una sostanza psicoattiva
Oltre alla caratteristica di produrre un piacere e/o alleviare un disagio, una sostanza
psicoattiva, per essere definita come droga, deve essere in grado di produrre nel
consumatore, in tempi più o meno lunghi, fenomeni di tolleranza, dipendenza psichica, dipendenza fisica e sindrome di astinenza.
Tolleranza: necessità di assumere quantità sempre maggiori per raggiungere l’effetto desiderato.
23
Dipendenza psichica: desiderio di utilizzare di nuovo la sostanza perchè si ha un
ricordo positivo dell’esperienza e il desiderio di ripeterla.
Dipendenza fisica: necessità di assumere la sostanza per evitare la comparsa di
una serie di sintomi. Infatti, quando l’assunzione della sostanza viene meno improvvisamente per qualsiasi motivo, si determina nel sistema nervoso uno squilibrio,
che provoca sindrome d’astinenza.
Sindrome d’astinenza: manifestazioni fisiche e psichiche, da banali a molto gravi,
che possono differire in base alla sostanza d’abuso. Per le seguenti sostanze si può
registrare:
-alcol, eroina, benzodiazepine: tremori, ansia, irritabilità, insonnia, nausea e vomito; nei casi gravi, crisi epilettiche, stati confusionali con deliri e allucinazioni,
febbre con rischio di morte per alcol e benzodiazepine;
- cannabinoidi: ansia, irritabilità, insonnia;
- cocaina, anfetamine: debolezza, stanchezza e forte depressione del tono dell’umore con rischio di suicidio.
Principali sostanze d’abuso
Bevande alcoliche
Sono tutte le bevande che contengono alcol, cioè una sostanza liquida e incolore, che si forma per fermentazione di alcuni zuccheri o per distillazione del mosto
fermentato. Le bevande contengono alcol in diversa concentrazione: birra, vino,
amari, liquori (in ordine crescente).
Effetti psichici immediatamente ricercati:
•a basse dosi nella maggior parte delle persone l’assunzione di bevande alcoliche
procura una sensazione di allegria, accompagnata dalla diminuzione del controllo
su se stessi;
•a dosi più elevate compare sonnolenza e diminuiscono tensione nervosa e ansia.
N.B. L’assunzione di bevande alcoliche è correlata in modo molto significativo al
subire atti di violenza fisica o sessuale perché, sotto l’effetto dell’alcol, vengono
meno inizialmente la capacità di valutazione del rischio e, poi, la capacità di difesa
o di fuga.
SAI QUANTO BEVI?
Ecco alcune informazioni.
Il modo più semplice per calcolare l’introduzione di alcol è contare il numero di bicchieri di alcolici, che giornalmente o abitualmente si bevono (Fig. 1).
BIRRA
330 ml
VINO 125 ml
APERITIVO
80 ml
SUPERALCOLICO 40 ml
24
4 gradi =12 g di alcol
12 gradi =12 g di alcol
18 gradi =12 g di alcol
36 gradi =12 g di alcol
Per il Ministero della Salute (2005) le quantità a “basso rischio”, che non vuol, comunque, dire che siano “consigliate” o “ritenute sicure”, non devono superare:
20 - 40 g per gli uomini (circa 2 bicchieri di vino al giorno)
10 - 20 g per le donne (circa 1 bicchiere di vino al giorno).
Il limite di ALCOLEMIA (concentrazione di alcol nel sangue, misurabile, per esempio, nell’aria espirata tramite etilometro) consentito dalla legge in Italia per la guida
di autoveicoli è 0,5 g/l, quantità che corrisponde a :
• circa 2 bicchieri da 125 ml di vino per gli uomini
• circa 1 bicchiere da 125 ml di vino per le donne
considerando un soggetto del peso di 70 kg.
Superato questo limite, con l’aumentare dell’alcolemia si manifestano sintomi tra
cui: incoordinazione motoria, parola impacciata, andatura instabile, confusione
mentale, allucinazioni.
Alle dosi più elevate (con alcolemia tra i 4 e i 5 gr/l) si può arrivare al coma e alla
morte.
Luoghi comuni errati:
• L’alcol aiuta la digestione. NON È VERO! L’alcol rallenta la digestione e determina
un alterato svuotamento dello stomaco.
• Il vino fa buon sangue. NON È VERO! Il consumo di alcol può essere responsabile
di varie forme di anemia e di un aumento dei grassi nel sangue.
• Le bevande alcoliche sono dissetanti. NON È VERO! Le bevande alcoliche disidratano. L’alcol fa urinare di più, si perde acqua aumentando la sensazione di sete
e causando anche cefalea.
• L’alcol dà calore. NON È VERO! In realtà produce soltanto una momentanea e
ingannevole sensazione di calore in superficie che, in breve tempo, è seguita da
raffreddamento del corpo così che, se fa freddo e si è in un ambiente non riscaldato o all’aperto, aumenta il rischio di assideramento.
Non devono mai bere alcol:
• Bambini e adolescenti: il loro organismo non è ancora in grado di metabolizzarlo.
• Donne in gravidanza e allattamento: assumere alcol in gravidanza espone a un
rischio molto alto di danni al feto, come ritardo mentale lieve (sindrome alcolica
fetale).
• Persone dipendenti dall’alcol o con problemi correlati all’alcol: qualsiasi assunzione riattiva acutamente il desiderio della sostanza esponendo al rischio di ricadute.
• Chi guida e chi deve effettuare prestazioni che richiedono attenzione e perfetta
efficienza.
• Chi assume farmaci, specialmente psicofarmaci: la loro azione può essere accentuata o ridotta oppure si possono registrare gravi effetti tossici.
I danni fisici e psichici conseguenti all’abuso di alcol sono molteplici:
• danni al feto: sindrome alcolica fetale;
• malattie dell’apparato digerente: gastriti, pancreatiti, epatiti acute, fegato grasso
(steatosi), cirrosi epatica, tumori al cavo orale, stomaco, intestino;
• apparato cardiocircolatorio: ipertensione arteriosa;
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• apparato respiratorio: frequenti infezioni, tumori;
• apparato endocrino: diabete, impotenza sessuale, assenza di orgasmo;
• disturbi del sistema nervoso centrale (cervello): disturbi della memoria, demenza;
• disturbi del sistema nervoso periferico (nervi): crampi, dolori e diminuzione di forza agli arti inferiori (polineurite);
• disturbi psicologici: alterazioni dell’umore (depressione, tentativi di suicidio), ansia e attacchi di panico, deliri di gelosia e di persecuzione con allucinazioni uditive
e visive.
I problemi familiari e sociali spesso conseguenti all’abuso di alcol sono:
• sofferenza dei figli;
• chiusura in se stessi, irritabilità, violenza;
• separazione dei nuclei familiari;
• violenze sui minori;
• problemi di lavoro, assenteismo;
• debiti, povertà, perdita dell’alloggio;
• costi per invalidità;
• incidenti domestici, sul lavoro e stradali.
Il fumo di tabacco
È l’insieme di sostanze tossiche (ad esempio: catrame, ecc.) prodotte dalla combustione del tabacco, la cui componente principale è la nicotina, che produce effetti
stimolanti. Si trova in tabacco, sigarette, sigari.
Il fumo di tabacco facilita la concentrazione, tranquillizza o eccita secondo le circostanze e i bisogni. Nell’uso comune non produce quadri di intossicazione acuta ma,
i danni a carico della salute emergono a distanza di tempo ed in forme cronicizzate.
Per questo motivo si tende a sospenderne l’uso solo quando si sono già manifestati
danni gravi.
Principali danni del tabacco:
• malattie respiratorie: bronchite cronica, enfisema polmonare e danni che possono
portare alla necessità di utilizzare ossigeno-terapia;
• malattie cardiovascolari: ipertensione arteriosa, infarto, ictus cerebrale (emorragia
o trombosi nel cervello);
• tumori di polmone, bocca, esofago, vescica.
Perché smettere di fumare?
Ogni giorno muoiono 250 persone per patologie correlate al tabacco, cioè 90.000
all’anno su un totale di 550.000 decessi.
Il tabacco in Italia uccide più della droga, dell’alcool e degli incidenti stradali messi
insieme.
Quando si smette di fumare, i benefici si manifestano in breve tempo:
• dopo 1 anno il rischio di malattie cardiache si dimezza;
• dopo 5 anni si dimezza anche il rischio di ictus e di tumori;
• dopo 15 anni il rischio di malattie cardiache e di morte equivale a quello dei non
fumatori.
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Smettendo di fumare si ottengono anche benefici psicologici: aumenta l’autostima, il rispetto di sé e l’orgoglio; ci si sente più apprezzati dalla famiglia, si è contenti
di aver fatto qualcosa di positivo per se stessi. Inoltre, migliora l’aspetto fisico e
questo facilita i rapporti sociali.
Cannabinoidi
Sono un gruppo di derivati dalla pianta della canapa indiana, che hanno in comune
un unico principio attivo, chiamato THC (tetraidrocannabinolo) e presente in diverse
concentrazioni.
Si trovano nella marijuana, che si presenta in foglie secche (“erba”) o come materiale scuro, compatto, aromatico (hashish o “fumo”).
Normalmente, vengono fumati insieme al tabacco. L’effetto si ha in 15 minuti circa e
la durata è di qualche ora. Le manifestazioni conseguenti all’uso possono essere
fisiche e psichiche e molto diverse:
• effetti fisici: aumenta l’appetito, si arrossano gli occhi, aumenta la frequenza cardiaca (tachicardia), si produce un blando effetto antinausea e antidolorifico;
• effetti psichici: possono essere rilassanti o euforizzanti; nell’immediato aumenta il
tempo di reazione agli stimoli; diminuisce l’attenzione, la concentrazione, la memoria; possono insorgere attacchi di panico o episodi di psicosi acuta.
A lungo termine compaiono apatia, grave diminuzione dello slancio vitale e della
capacità di fare e portare a termine i progetti (sindrome amotivazionale).
Eroina
È un derivato dell’oppio, estratto dai semi di un tipo particolare di papavero.
Si trova solo nel mercato illegale; può essere fumata, sniffata o iniettata in vena.
Gli effetti ricercati, che si manifestano a breve termine, sono rappresentati dall’eliminazione del dolore fisico e mentale e da una intensa sensazione di piacere ma,
si possono avere anche effetti avversi psichici tra cui grave sedazione e rischio di
coma o morte in caso di overdose.
A lungo termine si manifestano diminuzione dell’appetito, del desiderio sessuale e
grave apatia.
La dipendenza fisica e psichica insorge molto precocemente (in due settimane); l’interesse della persona è completamente rivolto alla necessità di ripetere l’esperienza
di assunzione con conseguente impoverimento delle relazioni e degli interessi.
Cocaina
È una sostanza che si estrae dalle foglie di coca.
Si trova solo nel mercato illegale; si presenta come polvere, che può essere sniffata,
fumata o iniettata.
Gli effetti ricercati, che si manifestano a breve termine, sono rappresentati da eccitazione, sensazione di grande energia fisica e psichica, instancabilità e diminuzione
della fame. Gli effetti avversi psichici sono prevalentemente rappresentati da ansia,
irritabilità, idee di persecuzione, allucinazioni uditive e visive, aggressività e violenza, sbalzi del tono dell’umore con perdita dell’autocontrollo.
Gli effetti avversi fisici sono, invece, caratterizzati da aumento della pressione arte27
riosa, crisi convulsive, disturbi del ritmo cardiaco, infarto, ictus cerebrale.
Circa la metà delle persone, che usano cocaina, usano anche alcol.
Nei consumatori di alcol e cocaina si forma, per azione del fegato, una sostanza
che prende il nome di cocaetilene: è una sostanza fortemente tossica, che aumenta
la durata degli effetti dell’assunzione di cocaina e i danni conseguenti.
Il gioco d’azzardo non è un gioco
Il gioco d’azzardo patologico è un disturbo del comportamento molto simile alla
tossicodipendenza tanto da rientrare nell’area delle cosiddette “dipendenze senza sostanze”.
Il giocatore, infatti, rischia una crescente dipendenza nei confronti del gioco d’azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo passato a giocare, la somma di denaro spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita.
Cosa fare se un problema con sostanze d’abuso o con il
gioco d’azzardo c’è già?
L’unica risposta efficace è smettere!
È importante chiedere aiuto immediatamente al medico di fiducia oppure fare riferimento ai servizi specializzati di libero accesso.
Servizi specialistici - Dipartimento Dipendenze ASL PAVIA (SERD):
Ambulatorio a Pavia: Piazzale Golgi 3/B - tel. 0382/432349
Ambulatorio a Vigevano: Via Trieste 23 - tel. 0381/333890
Ambulatorio a Voghera: Via Carlo Emanuele - tel. 0383/695090
Associazioni di auto - mutuo aiuto
ACAT Pavia (Associazione dei Club Alcologici Territoriali) - tel. 3273824958
Alcolisti Anonimi Pavia - Riunioni: martedì ore 21, sabato ore 15 in Corso Cairoli 2
Fig. 1 - Alcol e sicurezza.
1. lattina di birra da 330 ml (= 12 g di alcol)
2. bicchiere di vino da 125 ml (= 12 g di alcol)
3. bicchiere di aperitivo da 80 ml (= 12 g di alcol)
4. bicchiere di cocktail alcolico da 40 ml (= 12 g di alcol)
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Capitolo 5
La tubercolosi
La tubercolosi è una malattia infettiva molto diffusa nel mondo e, se curata bene,
guarisce.
Un terzo della popolazione mondiale entra in contatto con il batterio della tubercolosi. Nel 2011 circa 9 milioni di persone si sono ammalate di tubercolosi e di queste
circa 1,4 milioni sono morte.
La tubercolosi associata all’infezione da HIV (o AIDS) può portare facilmente a morte il paziente se non è curata.
Il Mycobacterium tuberculosis o bacillo di Koch è il batterio responsabile dell’infezione tubercolare latente e della tubercolosi attiva (Fig. 1). È un germe a crescita
lenta e necessita di condizioni particolari per svilupparsi e moltiplicarsi.
Esistono altri tipi di micobatteri (M. bovis, M. africanum, M. microti, M. caprae,
M. pinnipedii, M. canetti e M. mungi), che insieme a quello tubercolare formano il
“complesso tubercolare”.
Una volta penetrato nell’organismo, il germe nel 90% dei casi può rimanere “dormiente” (non attivo), causando l’infezione tubercolare latente (LTBI). Se invece le
difese del corpo del paziente non sono efficaci, il batterio può replicarsi e provocare
la malattia tubercolare (TBC).
Come si trasmette?
Il micobatterio tubercolare viene trasmesso da una persona ammalata di tubercolosi polmonare o laringea a un soggetto sano solo tramite la via respiratoria (Fig. 2).
Tossendo, parlando, cantando la persona ammalata di tubercolosi polmonare
emette delle minuscole goccioline (goccioline di Flügge) con diametro di 1-5 micron, contenenti i bacilli tubercolari, che possono essere respirati da chi si trova
nell’ambiente circostante.
Le goccioline rimangono nell’aria per diverse ore a seconda di come è aerato e
illuminato l’ambiente infettato.
La trasmissione del bacillo non è facilissima. Occorrono, infatti, delle condizioni
particolari per aumentare il rischio di contagio:
• il malato ha una TBC polmonare in atto e la carica (numero) dei batteri nello sputo
è elevata;
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• il malato non sta assumendo alcuna terapia medica per la TBC;
• il soggetto sano, che viene a contatto con il malato, si trova in una condizione di
debolezza del proprio sistema di difesa immunitario. Tale evenienza è frequente
nei bambini, negli anziani e in persone già affette da altre malattie;
• l’ambiente dove soggiornano i pazienti è poco spazioso, poco illuminato e il ricambio d’aria scarso o assente;
• le esposizioni (contatti con un malato) sono ravvicinate, frequenti e di lunga durata.
Se le goccioline riescono a penetrare nelle vie respiratorie del nuovo ospite e a
raggiungere i polmoni, i micobatteri vengono nella maggior parte dei casi distrutti
o resi innocui. Una piccola parte di questi, però, può sopravvivere, moltiplicarsi
e diffondersi nel corpo tramite la via ematica o linfatica. Ci sono degli organi più
predisposti all’infezione, quali i linfonodi, la parte alta dei polmoni (apici), i reni, il
cervello e l’osso.
Quando il micobatterio raggiunge un organo, stimola la risposta del sistema immunitario. Se le cellule di difesa (macrofagi) riescono a tenere sotto controllo i batteri
vivi, si parla di infezione tubercolare latente (90% dei casi).
Se il sistema immunitario non riesce a controllare l’infezione e i batteri proliferano
velocemente, si va incontro alla tubercolosi (10% dei casi).
N.B. Il micobatterio tubercolare non si trasmette tramite la saliva. Quindi, oggetti
come forchette, bicchieri o piatti, usati dai pazienti affetti da TBC, non veicolano
l’infezione. Anche gli indumenti non sono causa di contagio. Ricambi frequenti di
aria e una buona illuminazione riducono la vitalità del batterio e le possibilità di
contagio.
Infezione tubercolare latente
Il soggetto con infezione tubercolare latente ha respirato i bacilli di Koch, che sono
entrati nel proprio corpo tramite la via respiratoria. Questi bacilli non sono attivi e
non si moltiplicano perchè il sistema immunitario ne impedisce la crescita e la diffusione.
In caso di infezione tubercolare latente un individuo non presenta alcun sintomo e
non è malato; non può trasmettere la TBC ad altri.
Come fare la diagnosi?
Circa 8 settimane dopo il contagio si può accertare se è avvenuta l’infezione con
i bacilli tubercolari, eseguendo dei test specifici (test tubercolinico o di Mantoux;
Quantiferon test).
Il test tubercolinico è un test cutaneo, che viene eseguito sull’avambraccio. Se
dopo 48-72 ore si riscontra un indurimento della pelle nel punto di inoculazione,
significa che il soggetto è stato infettato dal bacillo di Koch (Fig. 3, 4).
Il Quantiferon test è un esame più specifico, che si esegue con un prelievo di sangue in strutture specializzate.
Una persona con un’infezione tubercolare latente presenta un test di Mantoux e un
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Quantiferon test positivi, mentre la radiografia del torace non rivela lesioni polmonari. Il paziente non lamenta nessun sintomo.
Quale terapia fare?
Le persone con infezione tubercolare latente possono eseguire un trattamento preventivo piuttosto lungo con farmaci particolari, che uccidono i batteri inattivi e prevengono lo sviluppo della tubercolosi. Possono essere trattati tutti i pazienti con
meno di 35 anni; i pazienti con condizioni cliniche particolari (affetti da HIV o diabete
mellito; sottoposti a terapie cortisoniche o immunosoppressive); tutti coloro che
hanno avuto contatti recenti con pazienti affetti da tubercolosi.
Malattia tubercolare
Si parla di malattia tubercolare quando i batteri entrati nella via respiratoria sono
attivi e si moltiplicano all’interno del corpo, causando danni agli organi e sintomi.
Le condizioni, che portano a una riduzione delle difese del corpo e a una attivazione
e proliferazione dei batteri, sono :
• episodi di forte stress fisico o psichico (carenza di sonno, scarsa alimentazione,
stanchezza fisica, ansia/depressione o stress post migratorio, condizioni igieniche/sanitarie scadenti);
• malattie infettive (AIDS) o croniche (diabete mellito; reflusso gastrico; insufficienza
renale);
• terapie con farmaci, che riducono l’attività del sistema immunitario (esempio: cortisone, immunosoppressori).
La tubercolosi può colpire il polmone e le pleure (membrane che rivestono il polmone), ma, può anche diffondersi ad altri organi.
a) Nell’80% dei casi il paziente presenta la forma polmonare (sono colpiti i polmoni)
e lamenta i seguenti sintomi:
- tosse secca o con muco;
- catarro con o senza striature di sangue;
- perdita di peso;
- inappetenza;
- stanchezza fisica importante;
- febbricola;
- sudorazione notturna;
- dolori al torace.
La diagnosi della tubercolosi polmonare viene posta con:
- l’isolamento dei bacilli di Koch nell’espettorato del paziente;
- la radiografia del torace;
- la positività del test di Mantoux e del test Quantiferon (che, in alcuni casi di
infezione TBC, potrebbero, comunque, risultare “falsamente negativi”).
b)Le forme extrapolmonari sono circa il 20%. Possono interessare il laringe, i linfonodi, lo scheletro, il cuore, le meningi, i reni e i surreni, l’intestino, l’apparato
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genitourinario, l’occhio e la cute. Le localizzazioni più frequenti sono a carico
della colonna vertebrale (“morbo di Pott”) e delle piccole e grandi articolazioni,
dei linfonodi (“scrofola”) e dei reni.
La diagnosi è più difficile e bisogna avvalersi di metodologie radiologiche sofisticate (TAC o RMN) e di biopsie dei tessuti per isolare il batterio tubercolare.
Terapia della TBC
Obiettivo della terapia è la distruzione dei bacilli tubercolari. Il paziente deve assumere una grande quantità di farmaci specifici per la tubercolosi e il trattamento dura
da 6 a 12 mesi poiché i farmaci agiscono molto lentamente sui batteri.
È molto importante che il paziente assuma regolarmente la terapia quotidiana con
un dosaggio corretto e per un periodo adeguatamente lungo.
Se il paziente sospende prima la terapia o non segue esattamente la prescrizione
medica, la TBC non guarisce e dopo poco tempo dalla sospensione della cura si
può registrarne la recidiva. È questa un’evenienza molto pericolosa per il paziente e
ripropone il rischio di contagio per le persone che lo frequentano. Le recidive di TBC
possono diventare resistenti ai farmaci. La cura diventa più lunga, la guarigione è
più difficile e il paziente può morire.
Come si previene il contagio?
Tutte le persone ammalate di tubercolosi polmonare e che sono contagiose devono:
- assumere correttamente tutti i giorni la terapia prescritta dal medico;
- evitare di frequentare ambienti affollati e poco aerati fino a quando non sono più
contagiose;
- mettere sempre il fazzoletto davanti alla bocca quando tossiscono o parlano;
- usare la mascherina chirurgica sui mezzi pubblici;
- aerare e illuminare gli ambienti in cui soggiornano;
- evitare di condividere con altri la stanza durante la notte;
- evitare di avere contatti con bambini, anziani e persone immunodepresse.
Tutte le persone che vengono a contatto con un paziente affetto da tubercolosi
infettiva devono:
• rivolgersi all’ASL di competenza;
• eseguire il test di Mantoux e tutti gli altri esami necessari;
• assumere la terapia preventiva per la TBC se risultano positivi per l’infezione tubercolare latente;
• rivolgersi al proprio medico ed eseguire la radiografia del torace e il test di Mantoux se presentano sintomi sospetti per TBC.
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Fig. 1 - Micobatterio tubercolare visto al
microscopio elettronico.
Fig. 2 - Trasmissione del micobatterio
tubercolare da un paziente ammalato di TBC
ad un soggetto sano tramite l’aria espirata. I
puntini rossi rappresentano le goccioline di
Flügge, contenenti il micobatterio, che entrano
nel polmone e raggiungono le vie aeree più
profonde, chiamate “alveoli”.
Fig. 3 - Esecuzione del test di Mantoux
sull’avambraccio sinistro.
Fig. 4 - Lettura corretta del test di Mantoux. Deve
essere misurato solo l’indurimento cutaneo.
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Capitolo 6
Infezione da HIV
e AIDS
La sindrome da immunodeficienza acquisita (SIDA) o acquired immune deficiency syndrome (AIDS) è una malattia del sistema immunitario umano causata
dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV o human immune deficiency virus)
(Fig. 1). Essa rappresenta un importante problema sanitario in molte parti del mondo (in particolare: Europa, America, Africa centrale e occidentale).
Una persona, dopo essere entrata in contatto con l’HIV, può diventare sieropositiva, cominciando, cioè, a produrre anticorpi diretti specificamente contro il virus e
rilevabili nel sangue con un semplice prelievo ematico venoso (test HIV). La sieropositività persiste per tutta la vita. Essa sta a significare che l’infezione è in atto ed
è possibile trasmettere il virus ad altre persone.
Il tempo che intercorre tra il momento del contagio e la positività al test HIV è detto
periodo finestra e dura da poche settimane a 3 mesi. Durante questo periodo la persona risulta ancora negativa al test HIV ma, è già in grado di trasmettere l'infezione.
Il virus HIV ha un’azione lenta e progressiva. Una volta entrato nel circolo sanguigno
dell’ospite infettato, il virus ricerca alcune particolari cellule in cui può riprodursi
(linfociti). I linfociti hanno un ruolo cruciale nell’organizzare le difese del sistema
immunitario dell’organismo. Replicandosi, il virus li uccide, determinando la caduta
delle difese immunitarie dell’individuo (immunodeficienza).
Come si trasmette l’infezione da HIV
Esistono tre diverse modalità di trasmissione dell’HIV: per via ematica, per via
sessuale e per via materno-fetale (durante la gravidanza).
A) Via ematica
La trasmissione per via ematica avviene con:
•stretto e diretto contatto tra ferite aperte e sanguinanti di soggetti sani e soggetti
sieropositivi (N.B. La cute integra è una barriera efficace al virus mentre le congiuntive degli occhi sono permeabili al virus, anche se indenni);
•scambio di aghi e siringhe con un soggetto sieropositivo (esempio: tossicodipendente da eroina). N.B. Questa modalità di trasmissione è comune anche ad altri
virus, quali quelli responsabili dell’epatite B e C;
•accidentali casi di ferimento con oggetti taglienti (rasoi, forbicine, aghi da tatuaggio, ecc.) sporchi di sangue infetto;
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•trasfusioni di sangue infetto;
•trapianti di organi di donatori infetti.
B) Via sessuale
I rapporti sessuali (sia di tipo eterosessuale che omosessuale) con persone sieropositive e non protetti dal preservativo sono la causa più frequente di trasmissione
dell’infezione da HIV. Questa avviene attraverso il contatto tra liquidi biologici infetti
(secrezioni vaginali, liquido pre-eiaculatorio, sperma, sangue) e le mucose genitali,
anali od orali, anche se integre.
Le lavande vaginali, dopo un rapporto sessuale, non eliminano la possibilità di contagio. Il coito interrotto così come l’uso della pillola anticoncezionale, del diaframma
e della spirale non proteggono dall’HIV.
Una donna sieropositiva è più contagiosa in presenza di sangue mestruale, infezioni
o infiammazioni vaginali.
I rapporti anali rappresentano un maggior rischio di contagio per la maggiore facilità
con cui creano lesioni della mucosa anale attraverso microtraumi e per la natura
della mucosa rettale, strutturalmente meno idonea a contrastare la diffusione del
virus.
N.B. Anche l’assunzione di droghe (cocaina, ecstasy, cannabis, hashish, marijuana)
o di bevande alcoliche è pericolosa in quanto riduce il livello di attenzione, espone
maggiormente a comportamenti a rischio (esempio: rapporti sessuali non protetti) e
riduce le resistenze immunitarie dell’organismo.
C) Via materno-fetale
La trasmissione del virus da madre sieropositiva a figlio può avvenire mediante
contagio sanguigno durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. In assenza di
trattamento medico di una gravida sieropositiva, il tasso di trasmissione tra madre
e figlio è del 25%.
Per stabilire se è avvenuto il contagio il bambino deve essere sottoposto a controlli
in strutture specializzate.
La metà dei bambini nati con l’infezione da HIV muoiono prima dei due anni di età
se non ricevono un trattamento medico idoneo.
Come NON si trasmette l’infezione da HIV
Il virus HIV non si trasmette attraverso:
• strette di mano, abbracci;
• baci, saliva, morsi, graffi, tosse, lacrime, sudore, muco, urina e feci (N.B. È sempre consigliabile evitare la condivisione di strumenti di igiene personale, tipo rasoio, forbicine, spazzolino da denti);
• bicchieri, posate, piatti, sanitari, vestiti, asciugamani e lenzuola;
• punture di insetti (zanzare).
Il virus HIV non si trasmette frequentando:
• palestre, piscine, docce, saune e gabinetti;
• scuole, asili e luoghi di lavoro;
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• ristoranti, bar, cinema e locali pubblici;
• mezzi di trasporto.
Come si previene l’infezione da HIV
La prevenzione è la chiave per ridurre o, addirittura, annullare il rischio delle infezioni da HIV e dell’AIDS. Anche un’efficace educazione sessuale scolastica può
diminuire i comportamenti ad alto rischio.
Pertanto, è consigliabile:
• evitare l’uso in comune di siringhe, aghi o altro materiale per l’iniezione di droghe;
• non scambiarsi strumenti taglienti per l’igiene personale (rasoi, forbicine, ecc.);
• non sottoporsi ad agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing se i materiali
(aghi, ecc.) utilizzati non sono monouso o non sono stati sterilizzati;
• se infetti, astenersi responsabilmente dai rapporti sessuali o utilizzare sempre il
preservativo (Fig. 2);
• astenersi da rapporti sessuali a “rischio” (cioè, con partner occasionali o infettati da virus HIV) o utilizzare sempre il preservativo (N.B. Anche un solo rapporto
sessuale non protetto potrebbe essere causa di contagio);
• dopo comportamenti a rischio o dopo una violenza sessuale da parte di un sieropositivo, è possibile eseguire entro 48-72 ore una profilassi post esposizione
con specifici farmaci antivirali;
• eseguire terapia con farmaci antivirali ad una donna sieropositiva durante la gravidanza e dopo il parto, evitando l’allattamento al seno del neonato (è, così, possibile prevenire la trasmissione del virus dalla madre al figlio nel 92-99% dei casi);
• per la sicurezza del neonato, tutte le coppie che intendono avere un bambino
dovrebbero valutare l’opportunità di sottoporsi preventivamente al test per l’HIV.
Come si manifestano l’infezione da HIV e la malattia (AIDS)
Subito dopo il contagio il quadro clinico è poco specifico ed è facilmente confondibile con una sindrome influenzale. Si registrano febbre protratta, comparsa di
macchie cutanee, linfonodi ingrossati. Indi, tutto scompare e subentra una fase di
latenza durante la quale è possibile vivere per anni senza alcun sintomo.
La malattia (AIDS) diventa clinicamente evidente con la comparsa di sintomi e di
gravi infezioni che, in condizioni normali, compaiono raramente (infezioni opportunistiche).
I sintomi sono rappresentati da perdita di peso e peggioramento delle condizioni
generali di salute con febbre, sudorazione notturna, ingrossamento dei linfonodi,
diarrea cronica, tremore e debolezza (Fig. 3). Le infezioni opportunistiche sono
provocate da agenti patogeni (protozoi, batteri, virus, funghi), che normalmente non
infettano le persone sane.
Possono comparire anche tumori rari, quali il sarcoma di Kaposi (Fig. 4).
Se si crede di aver avuto un comportamento a rischio, se si è una donna gravida, se si hanno dei dubbi bisogna rivolgersi al Medico!
Verrà eseguito il test HIV per verificare un’eventuale sieropositività.
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La legge italiana (n. 135 del 5 giugno 1990) garantisce che il test sia effettuato con il
consenso della persona interessata. Il test non è obbligatorio ma, se si sono avuti
comportamenti a rischio, è opportuno effettuarlo.
Per eseguire il test nella maggior parte dei servizi sanitari non serve ricetta medica,
è gratuito e anonimo. La legge prevede che il risultato del test venga comunicato
esclusivamente alla persona che lo ha effettuato. Le persone straniere, anche se
prive del permesso di soggiorno, possono effettuare il test alle stesse condizioni del
cittadino italiano.
Come si cura l’infezione da HIV
Non esiste un vaccino contro l’HIV.
Dopo un intervallo di tempo, che può variare da pochi anni a più di un decennio dal
contagio, in assenza di specifiche terapie mediche l’infezione da HIV evolve inesorabilmente verso uno stato di malattia (AIDS). Dopo la diagnosi di AIDS, senza
cure mediche specifiche si registra una sopravvivenza variabile da 6 a 19 mesi con
una mortalità del 100%.
L’attuale terapia standard, detta HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy), si
basa su più farmaci antivirali, che permettono di ridurre la quantità dei virus presenti
e migliorare le difese immunitarie dell’organismo.
Le armi terapeutiche a disposizione non consentono la completa guarigione
dall’infezione. Permettono, tuttavia, di rallentarla e di tenerla sotto controllo con una
buona qualità di vita ed una lunga sopravvivenza.
L’ingiustificata interruzione del trattamento provoca il ritorno della malattia, che diventa spesso resistente ad ulteriori cicli di terapia.
Conoscere il più presto possibile la propria condizione di sieropositività permette di adottare le precauzione idonee per non infettare altri e di iniziare, se
necessaria, la specifica terapia medica, che oggi consente ottime possibilità
di sopravvivenza.
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Fig. 1 - Virus dell’HIV (ricostruzione
tridimensionale).
Fig. 2 - Condom o preservativo.
Fig. 3 - Principali sintomi dell’AIDS.
1. cefalea, encefalite, meningite
2. mal di gola
3. bocca (infiammazione, micosi da Candida)
4. ingrandimento dei linfonodi
5. infiammazione dell’esofago
6. macchie cutanee arrossate
7. dolori muscolari
8. ingrandimento del fegato e della milza
9. nausea, vomito
Fig. 4 - Sarcoma di Kaposi a localizzazione
cutanea.
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Capitolo 7
Malattie a trasmissione
sessuale
Le malattie a trasmissione sessuale (MTS) sono causate da diversi microrganismi
(batteri, virus, protozoi, parassiti o funghi), che si trasmettono da una persona ad
un’altra attraverso rapporti sessuali a “rischio”, cioè, senza far uso del preservativo
fin dall’inizio del rapporto con partner sconosciuti e occasionali.
Sono a rischio:
• tutti i tipi di rapporto sessuale (orale, vaginale, anale) sia con omo che con eterosessuali già infetti;
• lo scambio di oggetti contaminati ad uso sessuale;
• il contatto dei genitali con lesioni infette cutanee o mucose;
• lo scambio di biancheria intima e di salviette contaminate.
N.B. La persona infettante potrebbe anche non sapere di essere malata.
Le MTS più conosciute sono la sifilide, la gonorrea, l’herpes genitale, l’AIDS (Cap.
6), le epatiti virali B e C (Cap. 8), le infezioni da papillomavirus (HPV), da clamidia, da
trichomonas, da funghi e da pidocchi.
La frequenza delle MST nel mondo (in particolare Africa, Est Europa, Asia centrale,
Stati Uniti) è in continuo aumento a causa della maggiore mobilità delle persone e
della aumentata tendenza ad avere rapporti sessuali con più partner.
Le lesioni e le infiammazioni genitali causate dalle diverse MTS aumentano molto il
rischio di trasmissione dell’AIDS.
L’infezione sessuale contratta da una donna in gravidanza può avere conseguenze
molto negative per il feto fino alla sua morte in utero.
Il controllo delle MTS è una delle priorità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La strategia adottata si basa soprattutto sulla prevenzione attuata attraverso l’informazione e l’educazione a comportamenti sessuali responsabili (educazione
all’affettività sessuale; attenzione alle pratiche sessuali con partner occasionali; uso
di preservativi).
L’informazione e l’educazione si devono, però, accompagnare anche a misure di
identificazione sia delle persone infette, spesso asintomatiche, sia dei loro partner
sessuali. A tal fine è molto utile lo screening nelle donne in gravidanza.
Un’altra utile misura preventiva è la vaccinazione delle persone a rischio quando
esista un vaccino efficace (come, ad esempio, per l’epatite B e l’infezione da papillomavirus.)
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MALATTIE CAUSATE DA BATTERI
Sifilide
La sifilide (o “lue”) è causata da un batterio, il Treponema pallidum, presente in tutte
le secrezioni corporali delle persone infette e nelle lesioni cutanee, genitali e mucose (mucosa anche della bocca).
Dopo la guarigione rimangono nel sangue per molti anni degli anticorpi specifici
(cicatrice sierologica). Essi segnalano la precedente infezione ma, non impediscono
che si possa nuovamente contrarre la malattia.
Nella donna gravida il batterio infetta il feto, causandone la morte in utero o la nascita con sifilide congenita.
Come si manifesta?
La sifilide è una malattia che si sviluppa in diversi stadi (o fasi).
Nella fase primaria (da 2 a 8 settimane dopo il contagio) compare un nodulo indolore in corrispondenza del punto in cui il batterio è penetrato (bocca, lingua, labbra,
faringe, scroto, glande, asta del pene, vagina, regione attorno all’ano).
In seguito, il nodulo si trasforma in un’ulcera, sifiloma, non dolente (Fig. 1). Il sifiloma
può apparire anche sulle mani o in altre parti del corpo. Possono ingrossarsi anche
i linfonodi vicini al sifiloma (Fig. 2).
Nella fase secondaria (da 3 a 12 settimane dalla comparsa del sifiloma) compaiono:
• macchie disseminate sulla pelle del corpo, che possono coinvolgere anche mani
e piedi (rash cutaneo) (Fig. 3);
• linfonodi ingrossati in varie sedi;
• caduta di capelli e unghie;
• chiazze circolari con un contorno rosso a livello di bocca, palato, faringe, laringe,
glande, pene, vulva, canale anale e retto;
• febbricola di tipo influenzale;
• danni a cuore e cervello.
Nella fase terziaria (da 3 a 10 anni dalla fase secondaria) si instaurano danni irreversibili al cervello e a molti organi interni.
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico. Esistono specifici esami di laboratorio (microscopici, sierologici) per diagnosticare la sifilide in qualsiasi sua fase.
Se si risulta positivi alla sifilide, bisogna avvisare tutte le persone con cui si sono
avuti rapporti sessuali negli ultimi 6 mesi perché si facciano controllare.
La sifilide viene curata con antibiotici e, se la terapia viene effettuata correttamente,
guarisce completamente. Non curata, la sifilide entra nella fase terziaria, provocando gravi danni al sistema nervoso (gomme luetiche) con perdita della capacità
di controllare i movimenti muscolari, paralisi, confusione mentale, demenza, cecità.
Vengono danneggiati anche il cuore, le grosse arterie (aorta), il fegato, le ossa e le
articolazioni. Infine, sopraggiunge la morte.
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Gonorrea
La gonorrea (o “blenorragia”), detta anche volgarmente “scolo”, è una malattia altamente contagiosa e tra le più diffuse al mondo. È causata da un batterio, il gonococco o Neisseria gonorrhoeae, che si trova preferibilmente sulle mucose genitali,
nel faringe e nell’ano delle persone infette.
Come si trasmette?
È possibile le trasmissione dai genitali ad altre parti del corpo (N.B. Mani contaminate possono contagiare l’occhio).
L’infezione può essere trasmessa dalla madre gravida agli occhi del neonato durante il parto.
Come si manifesta?
Nell’uomo, dopo 2-14 giorni dal contagio, compaiono prurito, bruciore a urinare e
arrossamento del meato urinario (uretrite) unitamente a perdite dal pene di colore
biancastro (perdite sierose) o giallo-verdastro (perdite purulente) (Fig. 4).
Nella donna, dopo 7-21 giorni dal contagio, compaiono bruciore a urinare e perdite
vaginali anomale. Il rapporto sessuale diventa doloroso e può comparire anche dolore al basso ventre (malattia infiammatoria della pelvi).
Dopo rapporti anali o orali possono comparire dolore anale con perdite di materiale
purulento e sangue oppure mal di gola e febbricola (faringite gonococcica).
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico. Per la diagnosi della malattia sono disponibili specifici esami di laboratorio (colturali e microscopici) del materiale raccolto con un tampone
dall’uretra o dalla vagina. Se si risulta positivi alla gonorrea, bisogna avvisare tutte
le persone con cui si sono avuti rapporti sessuali nell’ultimo mese perché si facciano controllare.
La terapia è eseguita con antibiotici e consente una completa guarigione. Se l’infezione non viene curata, il batterio può diffondersi a tutto il corpo compromettendo articolazioni (artrite), cuore, pelle, occhi (congiuntivite), testicoli (epididimite),
prostata e vescica. Può causare anche infertilità o sterilità, soprattutto nella donna.
Appendice
Altre malattie a trasmissione sessuale, caratterizzate da uretrite (bruciore sulla punta e lungo il pene
accompagnato da perdite liquide) e vaginite (irritazione vaginale, dolori al basso ventre e perdite liquide),
sono le infezioni da clamidia e da trichomonas. Spesso i loro sintomi non sono evidenti e possono essere
confusi con altri disturbi. Se non curate, queste malattie causano nella donna dolorose infiammazioni
pelviche con danni permanenti fino all’infertilità.
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MALATTIE CAUSATE DA VIRUS
Herpes genitale
È una malattia molto diffusa causata da un virus, l’Herpes virus (HSV-2), simile a
quello che provoca le classiche “vescicole” sulle labbra.
Il virus viene eliminato dalle lesioni vescicolari, che si formano sulla pelle e sulle
mucose (orale, vaginale, anale). Tali lesioni sono molto infettive. Una volta infettato
l’organismo, il virus vi rimane per tutta la vita. Non è possibile liberarsene ed esso
tende a recidivare periodicamente, soprattutto in seguito a svariati stress (febbre,
altre infezioni, traumi, eccessiva esposizione a luce solare o a lampade abbronzanti).
Durante la gravidanza il virus può essere trasmesso dalla madre al bambino durante il parto.
Come si manifesta?
Generalmente la prima infezione inizia 4-7 giorni dopo il contagio con prurito intenso e sensazione di bruciore sulla mucosa o sulla cute dei genitali dove, poi,
compaiono grappoli di vescicole piene di liquido chiaro (Fig. 5). Rapidamente le vescicole si rompono, originando piccole ulcere dolorose. Queste in circa dieci giorni
si trasformano in croste, che scompaiono dopo pochi giorni. A tali sintomi possono
accompagnarsi febbre, mal di testa, dolori articolari e difficoltà ad urinare. I successivi episodi infettivi sono di solito più blandi, ma, altrettanto fastidiosi.
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico. Di norma la diagnosi si basa sull’osservazione delle lesioni.
È possibile confermarla con un prelievo di sangue (ricerca di anticorpi specifici antiHSV).
Attualmente non esiste una cura definitiva per il virus dell’herpes. Si possono solamente effettuare terapie con farmaci antivirali volte ad alleviare i sintomi e ad abbreviare i tempi di guarigione delle lesioni. Possono essere necessari anche farmaci
antidolorifici.
Condilomi acuminati
I condilomi acuminati, detti anche verruche genitali o “creste di gallo” per il loro
aspetto di escrescenze carnose dentellate, sono causati da un virus, il Papillomavirus umano (HPV). Questo virus è molto diffuso nella popolazione sessualmente
attiva e colpisce in ugual misura uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali.
Le lesioni possono comparire sugli organi genitali (pene, testicoli, vagina, uretra,
collo dell’utero) e sull’ano. Esse presentano dimensioni e numero variabili.
Ceppi particolari di HPV (tipo 16 e tipo 18) sono ritenuti responsabili dello sviluppo
di tumori del collo dell’utero, dell’ano, della vulva, della vagina e del pene.
Oggi è disponibile un vaccino contro l’HPV per prevenire il cancro del collo dell’utero. Le ragazze italiane e straniere residenti in Pavia e provincia sono vaccinate
gratuitamente presso le ASL quando raggiungono il 12° anno di età. Il vaccino è
sicuro e ben tollerato. Le ragazze, che hanno superato i 12 anni di età e che non
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sono state vaccinate, vengono indirizzate alle strutture ospedaliere per le opportune
valutazioni del caso. È prevista una compartecipazione alle spese sanitarie.
N.B. La vaccinazione affianca, ma, non sostituisce lo screening periodico contro
il cancro del collo dell’utero (PAP test), raccomandato una volta all’anno alle donne
di età compresa tra i 25 e i 64 anni.
Come si manifestano?
Compaiono escrescenze (“creste di gallo”) più o meno voluminose sui genitali o in
zona anale (Fig. 6). Queste formazioni possono essere totalmente asintomatiche
oppure fastidiose (prurito) e dolorose. A volte possono rompersi e sanguinare. Con
il tempo crescono, dando origine a lesioni con forma di “cavolfiore”, che diventano
un ostacolo per il rapporto sessuale.
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico per la diagnosi.
La terapia varia a seconda delle dimensioni delle lesioni e della loro sede di impianto. Le lesioni possono essere asportate con varie tecniche chirurgiche o trattate con
farmaci, conseguendo la guarigione.
Le donne dovranno fare anche controlli ginecologici periodici dell’utero.
MALATTIE CAUSATE DA PARASSITI
Pediculosi del pube
La pediculosi del pube è una infestazione causata da un parassita molto comune e
diffuso, simile ai pidocchi della testa, lo Phthyrius o pediculus pubis (detto volgarmente “piattola”), che si annida fra i peli del pube e dell’ano (regione ano-genitale)
(Fig. 7).
Come si trasmette?
La malattia si trasmette principalmente tramite il contatto delle zone intime durante
il rapporto sessuale. Il contagio, comunque, può avvenire anche attraverso il contatto con lenzuola, asciugamani o abiti usati da una persona infestata dai parassiti.
Come si previene?
Contrariamente a quanto si possa immaginare, i parassiti non saltano da una persona all’altra. Per infestarsi è necessario il contatto fisico. Pertanto, la prevenzione
si fonda su di una estrema cautela nei rapporti intimi e nei contatti personali con
persone sconosciute.
Come si manifesta?
Il sintomo caratteristico è il prurito intenso nella regione ano-genitale, che può presentare anche lesioni da grattamento (croste e sovrainfezioni cutanee da stafilococco o streptococco). Tra i peli del pube e nella biancheria intima possono comparire
anche piccolissimi residui scuri, simili a sabbia, costituiti dalle feci dei parassiti.
45
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico, che farà la diagnosi tramite attenta osservazione con una
lente di ingrandimento delle zone della regione ano-genitale ricoperte da peli.
Per eliminare i parassiti e le loro uova, attaccate alla base dei peli, occorrono specifiche lozioni o schiume da applicarsi più volte a distanza di tempo. Inoltre, è prudente radere completamente la zona infestata. Così, si consegue una completa
guarigione.
Le lenzuola e la biancheria devono essere disinfestate lavandole con acqua bollente.
Tutti gli eventuali partner con i quali si sono avuti rapporti nel mese precedente
devono essere avvisati perché si facciano controllare.
MALATTIE CAUSATE DA FUNGHI
Candidosi
La candidosi (o “moniliasi”) è una malattia molto diffusa, causata da un fungo, la
Candida albicans. Può manifestarsi sulla pelle o sulle mucose di cavità orale (mughetto), faringe, esofago, intestino, vescica urinaria e genitali (vagina, pene).
Il fungo è spesso presente in piccola quantità nella vagina senza provocare danni.
Conseguentemente a uso di antibiotici, stress, gravidanza, diabete mellito o infezione da HIV può moltiplicarsi eccessivamente, causando un’infezione della vagina
(vaginite).
Come si manifesta?
I sintomi sono l’arrossamento ed il prurito alla vulva ed alla vagina, il bruciore alla
minzione ed il dolore durante i rapporti sessuali.
La secrezione vaginale è tipicamente bianca (leucorrea) con odore sgradevole.
Spesso assume l’aspetto di placche simili al mughetto o di fiocchi simili a latte cagliato, che aderiscono alla mucosa vaginale (Fig. 8).
Non è raro il contagio del maschio durante rapporti sessuali con partner infetto.
In tal caso compare prurito o bruciore sulla testa del pene (glande e prepuzio) con
chiazze rossastre circondate da un orletto biancastro.
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico, che farà la diagnosi tramite esame colturale (tampone) e
microscopico del materiale prelevato dalle parti infette.
La cura è attuata con farmaci antimicotici e consente di conseguire la completa
guarigione. Spesso è necessario sottoporre entrambi i partner a terapia.
IN CONCLUSIONE
Se si hanno rapporti sessuali occasionali e frequenti (sia protetti con preservativo che non protetti) con più persone è prudente eseguire periodicamente
controlli medici.
Chi contrae una malattia a trasmissione sessuale (MTS) ha maggiori probabi46
lità di infettarsi anche con il virus HIV (che provoca l’AIDS).
Una MTS può essere trasmessa dalla madre gravida al figlio.
Una MTS può compromettere la capacità di avere figli.
Una MTS non è mai un problema individuale, ma, di coppia. Deve essere sempre esaminato ed eventualmente curato anche il partner.
Quando si è contratta una MTS bisogna astenersi dai rapporti sessuali fino al
conseguimento della guarigione.
Una volta guariti da una MTS non si diventa immuni da successive infezioni.
Fig. 1 - Ulcera sifilitica.
Fig. 3 - Sifilide secondaria con lesioni cutanee
diffuse.
Fig. 2 - Infiammazione (linfoadenite) dei linfonodi
inguinali (1).
Fig. 4 - Gonorrea con fuoriuscita di pus dal
meato uretrale. In cartouche sono rappresentati
gonococchi presenti nel pus.
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Fig. 5 - Herpes genitale con “vescicole”.
Fig. 6 - Condilomi acuminati (“creste di gallo”).
Fig. 7 - Pediculosi del pube. Si notano i parassiti
(Phthyrius o pediculus pubis), che si annidano fra i
peli del pube.
Fig. 8 - Vaginite da Candida albicans (1. collo
dell’utero, 2. vagina)
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Capitolo 8
Epatiti virali
L’epatite virale è un’infiammazione del fegato causata da virus. Ad oggi i principali
virus dell’epatite conosciuti sono: virus epatite A (HAV), virus epatite B (HBV), virus
epatite C (HCV). Ad essi si aggiungono i virus dell’epatite D (o delta) e dell’epatite E.
Nel 5%-10% dei casi la causa delle epatiti resta sconosciuta.
Il fegato (Fig. 1) è un organo vitale per il metabolismo di diverse sostanze nutritive,
filtra il sangue e aiuta a combattere altre infezioni. Quando il fegato è infiammato o
danneggiato, tutte le sue funzioni vengono meno. Anche l’abuso di alcol e l’uso di
farmaci e di sostanze tossiche possono causare un’epatite.
Epatite virale A
È una malattia infettiva causata dal virus HAV (Fig. 2). È presente in tutto il mondo,
specialmente dove le condizioni igienico-ambientali sono scadenti.
Come si trasmette?
Il virus viene eliminato con le feci e la malattia si trasmette con l’ingestione di acqua ed alimenti crudi o poco cotti e con l’utilizzo di oggetti contaminati dalle feci di
soggetti malati (via oro-fecale). Per tale motivo l’epatite A è diffusa in zone in cui si
consumano molluschi (ostriche, vongole o cozze), raccolti in acque contaminate,
e in quei paesi in cui l’igiene è scarsa. La contaminazione del cibo può avvenire
in qualunque momento: coltura, raccolta, preparazione del cibo e dopo la cottura.
L’epatite A può essere trasmessa dalle persone infette o dal personale assistenziale
che, dopo esser venuti a contatto con le feci contenenti il virus, toccano il cibo o
vari oggetti di uso domestico senza provvedere ad un’accurata igiene delle mani.
Con le trasfusioni solitamente il virus non è trasmesso.
Tutti possono contrarre l’infezione, ma, a maggior rischio sono: coloro che vivono
o lavorano a stretto contatto con persone infette; chi viaggia o vive in paesi in cui il
virus è più diffuso; chi ha rapporti sessuali con persone infette; i tossicodipendenti.
Contatti occasionali non sono da considerarsi eventi a rischio di contagio. Se la
malattia interessa un bambino o un neonato, tutti coloro che hanno giocato con lui
o sono venuti in contatto con i suoi pannolini potrebbero averla contratta.
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Come si evita?
Il modo più sicuro per prevenire la malattia è la vaccinazione anti-epatite A, che
rende immuni per circa 20 anni sia i bambini che gli adulti.
La vaccinazione va somministrata ad una donna in gravidanza solo se è strettamente necessaria e si raccomanda cautela nelle donne che allattano.
La vaccinazione è particolarmente indicata per:
• coloro che, per motivi di lavoro o turismo, fanno viaggi internazionali;
• i bambini;
• il personale sanitario;
• il personale addetto alla manipolazione degli alimenti;
• il personale addetto alle acque di fognatura ed operatori ecologici;
• i soggetti che abusano di droghe iniettabili;
• i soggetti con numerosi partner sessuali.
L’infezione virale A può essere prevenuta adottando corretti comportamenti igienico-alimentari validi anche per prevenire altre malattie a trasmissione oro-fecale
(esempio: salmonellosi). Quindi, è consigliabile:
- non consumare frutti di mare crudi;
- lavare accuratamente le verdure prima di consumarle;
- lavare e sbucciare la frutta;
- conservare in frigorifero i cibi cotti se non vengono consumati subito;
- non bere acqua di pozzo (N.B. L’HAV può essere ucciso mediante clorazione
dell’acqua o bollitura della stessa per 10 minuti);
- curare scrupolosamente l’igiene personale, specie delle mani;
- rispettare scrupolosamente le norme igieniche nella manipolazione di cibi e bevande;
- proteggere gli alimenti dagli insetti.
Come si manifesta?
L’epatite A può rimanere asintomatica oppure, dopo un periodo di incubazione di
circa 15-60 giorni dal contagio, può manifestarsi con i seguenti sintomi: inappetenza e nausea; malessere generale; febbre; vomito e diarrea; dolore addominale.
Dopo qualche giorno può comparire un colorito giallo (ittero) della pelle e della parte
bianca degli occhi (sclere); le urine assumono una tonalità scura.
Il decorso della malattia è, generalmente, benigno e dura dalle 2 alle 10 settimane.
Dopo di che, si guarisce senza conseguenze (il tasso di mortalità per l’epatite A è
inferiore allo 0,5%. Può aumentare in soggetti anziani o debilitati). Dopo la guarigione si ha un’immunità permanente dal virus HAV.
Nel sangue rimane la presenza di anticorpi anti-virus dell’epatite A (anti-HAV), che
testimoniano l’avvenuta infezione e forniscono un’immunità permanente.
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite A (tramite la presenza di anticorpi anti-HAV) e per valutare la funzionalità del fegato.
Nelle donne in gravidanza l’epatite A ha solitamente un andamento benigno e non
comporta rischi per il feto.
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La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HAV è molto frequente. In tale caso,
dopo gli opportuni controlli è possibile somministrare a scopo preventivo il vaccino
e le immunoglobuline specifiche (anticorpi) per l’HAV. Queste ultime danno un’immunizzazione immediata contro il virus, che dura, però, solo 3-6 mesi.
Epatite virale B
È una malattia infettiva causata dal virus HBV (Fig. 3). Il virus è presente in tutto il
mondo ma, è più diffuso nelle fasce di popolazione a basso livello socio-economico
dell’Africa e dell’Asia. Circa un quarto della popolazione mondiale, più di 2 miliardi
di persone, è stato contagiato dal virus dell’epatite B ed esistono attualmente circa
350 milioni di portatori cronici del virus.
Come si trasmette?
La malattia si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici infetti, quali sangue
e suoi derivati, saliva, muco nasale, bile.
La trasmissione può avvenire anche durante la gravidanza da madre infetta al feto.
Nel I e II trimestre di gravidanza il rischio è basso; nel III trimestre è alto. Nel momento del parto e del post parto il rischio è molto alto. Il virus, se è presente in gran
quantità, può essere trasmesso al neonato pure attraverso il latte materno.
L’epatite B è 50-100 volte più infettiva dell’HIV tramite la via sessuale e il virus viene
trasmesso con il liquido seminale (sperma) o vaginale.
Poiché l’HBV resiste in ambienti esterni fino a 7 giorni, il contagio è possibile anche
mediante il semplice contatto con oggetti contaminati.
A maggior rischio sono: coloro che hanno rapporti sessuali con partner infetti o con
più partner; i tossicodipendenti; gli operatori sanitari; i bambini nati da madri infette;
coloro che vivono insieme a persone infette o coloro che hanno ricevuto molte trasfusioni (politrasfusi) o utilizzano emoderivati.
Si stima che il 2% dei soggetti sia infettato anche dal virus HIV (coinfezione) e
questo comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento del fegato.
Inoltre, un terzo dei pazienti può presentare coinfezione con virus Delta e/o con
virus HCV.
Come si previene?
La malattia può essere prevenuta con la vaccinazione antiepatite B, che conferisce
un’immunità per circa 8 anni. Un richiamo vaccinale prolunga l’immunità per altri 8
anni. Il vaccino antiepatite B è somministrato per via intramuscolare.
In Lombardia la vaccinazione è raccomandata e gratuita nel 3°, 5° e 11° mese di
vita. È compresa nel cosiddetto vaccino esavalente (anti-poliomielite; anti-difterite;
anti-tetano; anti-epatite B; anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae).
Ai nati da madri infette (HBsAg+) viene subito praticata la vaccinazione contemporaneamente alla somministrazione di immunoglobuline specifiche (anticorpi).
51
La vaccinazione è, pure, offerta gratuitamente a italiani e stranieri fino al compimento dei 18 anni di età. Dopo tale età, è disponibile gratuitamente per le seguenti
categorie di persone:
- conviventi e persone a contatto con soggetti HBsAg+;
- pazienti politrasfusi emofilici ed emodializzati (insufficienti renali cronici);
- soggetti affetti da epatopatia cronica;
- vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti;
- soggetti affetti da lesioni croniche della pelle delle mani (eczema, psoriasi);
- detenuti negli istituti di prevenzione e pena;
- soggetti con comportamenti sessuali a rischio (tossicodipendenti; persone dedite
alla prostituzione);
- ospiti di strutture comunitarie per malattie mentali;
- donatori di sangue e midollo;
- candidati a trapianto d’organo.
Esistono persone che, pur avendo effettuato una regolare vaccinazione, non producono anticorpi sufficienti a proteggerli da un’eventuale infezione. Restano, pertanto,
a rischio e devono attenersi alle precauzioni comportamentali sopra elencate.
Il contagio può, comunque, essere prevenuto, adottando comportamenti corretti,
quali:
- trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HBV);
- segnalare la propria condizione di portatore di epatite B (HBsAg+) in occasione
di cure mediche o dentistiche in modo da consentire l’attuazione di opportune
misure di prevenzione (guanti) e sterilizzazione;
- evitare rapporti sessuali a “rischio” (cioè con partner occasionali o affetti da epatite) o usare il preservativo;
- evitare lo scambio di siringhe usate;
- evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi,
taglia unghie, siringhe riutilizzabili;
- in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche
dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso;
- rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici
infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti.
Come si manifesta?
Quando una persona è colpita dal virus, può sviluppare un’infezione “acuta”, che
può essere asintomatica, cioè con un decorso breve e con pochi sintomi, oppure
richiedere il ricovero in ospedale. La forma acuta si sviluppa dopo un periodo di
incubazione di 60-180 giorni dall’infezione ed è presente nel sangue l’antigene Australia (HBsAg), che è una componente della particella virale.
I sintomi e segni nella fase acuta sono: inappetenza; malessere generale, febbre;
nausea e vomito; dolori addominali; comparsa di ittero cutaneo (30-50% negli adulti
e 10% nei bambini) con colorito giallo anche delle sclere (parte bianca dell’occhio);
urine scure.
Nella maggior parte dei casi la malattia guarisce, essendo il tasso di mortalità pari
a circa l’1%. Nel sangue rimane la presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite B
52
(anti-HBV), che testimoniano la pregressa infezione.
Nel 5-10% dei pazienti infettati la malattia tende a cronicizzarsi sotto forma di epatite cronica persistente (benigna) oppure attiva (aggressiva). In tale caso il virus B è
presente nel sangue.
In questa fase della malattia la maggior parte dei pazienti è asintomatica e non sa di
poter essere ancora contagiosa. Altri possono lamentare ittero, malessere generale,
ingrandimento della milza (splenomegalia) e peggioramento della funzionalità epatica. Nel 20% dei casi l’epatite cronica può evolvere in cirrosi epatica (con deperimento e perdita di peso, macchie scure sulla pelle, arrossamento del palmo delle
mani e dei piedi, edemi alle gambe, ascite, ittero) (Fig. 4, 5) o causare l’insorgenza
di un tumore maligno del fegato (epatocarcinoma).
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite B (tramite la presenza di anticorpi anti-HBV) e per valutare la funzionalità del fegato.
La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a
rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HBV è molto frequente. È, così,
possibile una profilassi con immunoglobuline specifiche (anticorpi) abbinate a vaccino anti-HBV. La profilassi deve essere eseguita entro 48 ore dal presunto contagio.
Epatite virale C
È una malattia infettiva causata dal virus HCV, che è diffuso in tutto il mondo e può
colpire ogni fascia di età (Fig. 6). L’incidenza dell’epatite C è particolarmente alta in
alcuni stati dell’Africa e dell’Asia. Si stima che complessivamente i malati di epatite
C siano circa 130-170 milioni. Questa forma di epatite è quella che, oggi, viene più
facilmente riconosciuta nei soggetti politrasfusi e in coloro che, in passato, si sono
sottoposti a interventi chirurgici o a trattamenti odontoiatrici, quando ancora non
era stato identificato il virus HCV e non erano, quindi, disponibili efficaci mezzi di
prevenzione dal contagio.
Quando una persona si è infettata e sviluppa un’infezione acuta, può essere asintomatica o avere una sintomatologia simil-influenzale o richiedere addirittura un’ospedalizzazione per la gravità delle sue condizioni generali.
Come si trasmette?
Si contrae la malattia venendo a contatto con il sangue di un paziente infettato dal
virus C.
Circostanze che possono agevolare il contagio sono:
- rapporti sessuali non protetti da preservativo qualora sui genitali ci siano lesioni
sanguinanti (N.B. sperma e liquido vaginale non contengono l’HCV);
- incidente durante l’assistenza sanitaria a malati di epatite C: puntura con ago o
ferita con strumento tagliente sporchi di sangue infetto (N.B. Il rischio è maggiore
53
se la puntura o la ferita sono profonde. Il virus non passa attraverso la pelle integra);
- utilizzo di aghi o siringhe e di oggetti taglienti come lamette e forbicine, sporche
di sangue infetto;
- trasfusioni o trapianti d’organo.
La causa del contagio resta, comunque, sconosciuta in circa il 43% dei casi.
Durante la gravidanza, il rischio che la madre infetta trasmetta la malattia al feto
è molto basso (inferiore al 5%). Al contrario, la trasmissione della malattia può avvenire al momento del parto soprattutto se il virus è presente in grande quantità. Il
virus non è presente nel latte materno. Quindi, l’allattamento non è a rischio a meno
che sui capezzoli della madre non ci siano piccole lesioni (ragadi), che sanguinino.
Oggi a maggior rischio sono i tossicodipendenti.
Fino al 1992 anche i politrasfusi e gli emodializzati hanno fatto parte delle categorie
più a rischio a causa delle frequenti trasfusioni di sangue e/o di emoderivati (plasma, albumina, ecc.). A partire dal 1992 negli Stati Uniti sono iniziati precisi e severi
controlli. Di conseguenza, questo rischio oggi si è quasi azzerato, solo nei paesi
ad alto tenore di vita, grazie ai rigorosi controlli anti-infettivi imposti dalla legge sui
donatori di sangue e sugli emoderivati.
Si stima che l’epatite C coinfetti i pazienti portatori di HIV nel 30% circa dei casi.
Se si tratta di tossicodipendenti, la percentuale dei coinfetti arriva al 70%. La coinfezione HCV/HIV comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento
del fegato.
Come si previene?
Purtroppo, non esiste ancora un vaccino per prevenite l’infezione. L’epatite C può
essere prevenuta solo adottando comportamenti corretti quali:
- trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HCV);
- astenersi da rapporti sessuali a “rischio” (come per l’epatite B) o usare il preservativo;
- evitare lo scambio di siringhe usate;
- evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi,
taglia unghie, siringhe in vetro riutilizzabili;
- in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche
dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso;
- rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici
infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti.
Come si manifesta?
Dopo un periodo di incubazione, che va dalle 2 settimane ai 6 mesi, l’epatite C si manifesta con una sintomatologia più sfumata e subdola di quella dell’epatite B. Essa
può essere rappresentata da: affaticamento; perdita di appetito; nausea; vomito;
cefalea; febbre; dolori addominali; ittero. Un decorso fulminante e fatale si osserva
assai raramente (0,1% dei casi). Spesso la malattia può cronicizzarsi (circa l’80-85%
degli individui infetti diventa portatore cronico del virus) ed evolvere nel 20-30% dei
casi verso gravi quadri clinici di malfunzionamento epatico (cirrosi epatica), favo54
rendo l’insorgenza di un tumore maligno nel fegato (epatocarcinoma).
L’alcol deve essere assolutamente eliminato nei soggetti portatori di virus C in
quanto è in grado di aumentare la replicazione del virus.
A volte capita che, facendo delle analisi del sangue per controllo, un soggetto scopra di essere positivo per gli anticorpi anti-HCV ma, non ricordi di aver mai avuto
l’epatite virale C. Ciò è possibile perché l’epatite virale C, frequentemente, può decorrere senza sintomi (circa 2/3 dei casi).
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite C (tramite la presenza di anticorpi anti-HCV) e per valutare la funzionalità del fegato.
La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol. Sono disponibili anche terapie
specifiche antivirali (interferone) di esclusiva competenza specialistica.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a
rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HCV è molto frequente.
Fig. 2 - Virus HAV (immagine al microscopio
elettronico).
Fig. 1 - Apparato digerente umano
(1. fegato; 2. cistifellea; 3. pancreas;
4. stomaco; 5. duodeno; 6. milza; 7.
intestino tenue; 8. intestino crasso o
colon; 9. retto).
Fig. 3 - Virus HBV (immagine al microscopio
elettronico).
55
Fig. 4 - Fegato sano (1) e affetto da cirrosi (2).
Fig. 5 - Cirrosi epatica con ascite (accumulo
di acqua nella cavità addominale).
Fig. 6 - Virus HCV (immagine al
microscopio elettronico).
56
Capitolo 9
Parassitosi cutanee
Numerosi parassiti possono provocare malattie contagiose della pelle. Le più comuni sono la scabbia e la pediculosi.
Scabbia
La scabbia è una malattia contagiosa causata da un parassita della pelle, il Sarcoptes scabiei, un acaro invisibile a occhio nudo (Fig. 1). Le femmine scavano “cunicoli”
sotto lo strato superficiale della cute umana (epidermide) e vi depongono le uova.
Queste si schiudono dopo 3-4 giorni, dando origine a larve, che scavano ulteriori
cunicoli ove raggiungono lo stato adulto. Normalmente è possibile rinvenire da 10 a
15 cunicoli in un individuo malato.
Attualmente è segnalato un importante aumento dei casi di scabbia, attribuibile
verosimilmente allo sviluppo dei collegamenti internazionali.
Come si trasmette?
La scabbia si trasmette tramite contatti prolungati con una persona infestata o
con lenzuola e indumenti contaminati. A “rischio” sono anche i viaggi all’estero ed i
rapporti sessuali occasionali con persone sconosciute.
Come si previene?
Evitando il contatto anche intimo con una persona affetta da scabbia e con la
sua biancheria personale, le sue lenzuola, le sue federe e gli asciugamani, che
dovranno essere lavati con acqua boillente. Quando si tratta di effetti personali, che
non possono essere lavati ad alte temperature (coperte, capi in lana, ecc.), questi
devono essere chiusi per almeno 48 ore in un sacco impermeabile di nylon e, poi,
esposti all’aria: l’acaro della scabbia non può sopravvivere a lungo lontano dalla
pelle umana. Divani e cuscini possono essere lavati a vapore e, poi, avvolti in sacchi
impermeabili per alcuni giorni.
Come si manifesta?
Dopo 2-6 settimane dal contagio si manifesta il sintomo più tipico: un prurito intenso, specialmente notturno. Sulla cute compaiono lesioni di vario tipo: piccole
chiazze rosse in rilievo (papule), vescicole, lesioni lineari sottili e lunghe fino a 5 o 10
mm, arrossate e rilevate, corrispondenti ai cunicoli scavati dall’acaro. Le zone più
57
frequentemente colpite sono le mani e i piedi (regioni palmo-plantari, spazi interdigitali), i polsi, i gomiti, le ascelle, le regioni al di sotto delle mammelle, l’addome (zona
periombelicale), i genitali maschili e i glutei (Fig. 2).
Il fastidio è tanto insopportabile che il paziente, grattandosi eccessivamente, finisce
per ferirsi la pelle con comparsa di croste (lesioni da grattamento), che possono
ulteriormente essere infettate da altri batteri (stafilococco o streptococco) (Fig. 3).
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico che, per una conferma della diagnosi, potrà inviare il paziente
al Servizio di prevenzione delle malattie infettive dell’ASL di Pavia.
La diagnosi viene fatta ispezionando con una lente di ingrandimento la cute alla ricerca dei “cunicoli” epidermici e individuando il parassita al microscopio dopo aver
prelevato un campione di lesione cutanea.
L’infestazione è debellata con apposite sostanze chimiche antiparassitarie, che
vanno applicate alla sera su tutto il corpo (eccetto il volto, il cuoio capelluto e gli organi genitali) e rimosse alla mattina con una doccia. Il procedimento va ripetuto per
più sere di seguito (almeno 3). Durante il trattamento è molto importante cambiare
e sterilizzare gli indumenti e le lenzuola come già esposto a proposito della prevenzione. (N.B. Il prurito può persistere anche diverse settimane dopo la guarigione).
Pediculosi
La pediculosi è una malattia contagiosa della pelle e degli annessi cutanei (capelli,
peli, ciglia), causata da svariati tipi di parassiti del corpo umano (pidocchi), che si
nutrono di sangue. Il pidocchio appoggia sulla pelle dell’ospite la bocca ogni 4-6
ore per nutrirsi. Da essa fuoriesce una struttura tubulare, che penetra attraverso il
cuoio capelluto o la pelle e secerne una sostanza anticoagulante e vasodilatatrice,
che facilita la suzione del sangue. Lontano dall’ospite, il pidocchio muore in 1-2
giorni.
Si distinguono tre tipi di pidocchi: Pediculus humanus capitis, che vive esclusivamente tra i capelli (pediculosi del capo); Pediculus humanus corporis, che infesta il corpo e gli indumenti (pediculosi del corpo); Phthyrius pubis, detto volgarmente “piattola”, che si localizza solitamente nel pube e nella regione ano-genitale
(pediculosi del pube) (Cap. 7). Può essere rinvenuto eccezionalmente anche su
sopracciglia, ciglia e peli delle ascelle.
Il Pediculus humanus corporis è, pure, un importante trasmettitore di altri microbi,
che possono causare gravi malattie infettive (tifo esantematico, ecc.).
Come si trasmette?
Qualsiasi infestazione da pidocchi si diffonde con facilità quando si verificano condizioni di promiscuità o di scarsa igiene della persona e degli indumenti.
Pediculosi del capo: il contagio avviene sia per contatto diretto (toccandosi i capelli) che indiretto (scambiandosi pettini, cappelli, sciarpe, cuscini). Il parassita si
localizza principalmente nel cuoio capelluto a livello della nuca e dietro le orecchie
(Fig. 4). In alcuni casi può colpire anche le ciglia, le sopracciglia e la barba. Il pidocchio adulto è visibile ad occhio nudo ed è di colore grigio (Fig. 5). La femmina
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depone centinaia di uova a forma di goccia (lendini), che sono strettamente adese
ai capelli (Fig. 6). In 7-10 giorni dalle uova nascono i giovani parassiti (ninfe), che
maturano in una settimana e cominciano a deporre uova.
Pediculosi del corpo: è tipica delle persone, che curano poco la propria igiene personale. I pidocchi si annidano negli indumenti (con particolare riguardo a cuciture,
pieghe, toppe e tasche).
Come si previene?
La prevenzione della pediculosi e delle sue recidive viene fatta insegnando a bambini e adulti le corrette pratiche igieniche e suggerendo di evitare la condivisione
di pettini, spazzole, cappelli, sciarpe e indumenti.
Negli adulti un comportamento sessuale responsabile riduce il rischio di acquisizione delle “piattole” o Phthyrius pubis (Cap. 7).
Come si manifesta?
Pediculosi del capo: il sintomo caratteristico è il prurito, provocato dalle sostanze
anticoagulanti presenti nella saliva del pidocchio per facilitargli la suzione del sangue.
Il prurito si accompagna spesso a lesioni da grattamento. Un prurito intenso agli occhi
deve fare sospettare una diffusione della parassitosi dal cuoio capelluto alle sopracciglia (Pediculus humanus capitis) o dal pube alle ciglia (Phthyrius pubis) (Fig. 7).
Pediculosi del corpo: il prurito è un sintomo costante. A livello delle spalle, dell’addome e dei glutei si rilevano piccole lesioni puntiformi di colore rosso (punture),
associate a lesioni da grattamento e a pomfi orticarioidi.
Che cosa fare?
Rivolgersi al medico, che farà la diagnosi ispezionando le lesioni e ricercando i
pidocchi, le loro uova e feci.
In caso di pediculosi del capo i parassiti e le uova possono essere rimossi meccanicamente dai capelli con un pettine e dalle ciglia e sopracciglia con delle pinzette.
È prudente associare una terapia con shampoo a base di varie sostanze chimiche
(naturali o sintetiche), la cui efficacia può essere limitata dalla sempre più crescente
resistenza dei pidocchi, indotta dall’abuso di antiparassitari. Tale trattamento deve
essere assolutamente ripetuto dopo 1 settimana dalla sua prima esecuzione. Talora, è necessario radere completamente capelli, sopracciglia, barba e peli.
Per la pediculosi del corpo possono bastare un’accurata igiene personale (doccia,
bagno) e il cambio di indumenti.
I mezzi di contagio (pettini, cappelli, indumenti intimi, lenzuola, vestiti, ecc.) vanno
sterilizzati con la bollitura oppure con il lavaggio a secco o la stiratura a vapore. La
disinfestazione deve riguardare anche materassi, cuscini e coperte.
Tutte le persone entrate in contatto con un soggetto infestato devono essere
controllate a scopo preventivo ed, eventualmente, sottoposte a cure.
MICOSI CUTANEE
Le micosi cutanee sono infezioni causate da organismi di dimensioni microscopiche, che si trasmettono con grande facilità: i funghi o “miceti”.
Le infezioni da funghi possono colpire tutti senza distinzione di sesso ed età. La loro
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crescita è favorita dalle caratteristiche fisiche (temperatura, umidità) e chimiche (pH)
della pelle umana e dell’ambiente. Di fatti, il sudore, macerando la pelle, provoca
un aumento del suo pH (normalmente acido), che favorisce l’impianto e la crescita
dei miceti. Anche il caldo e l’umidità di palestre e piscine rendono gli spogliatoi e le
docce luoghi ideali per la sopravvivenza e la proliferazione dei miceti.
Soltanto alcuni miceti causano sempre una malattia e sono detti patogeni. Altri
miceti (detti opportunisti) per causare una malattia devono poter approfittare di una
caduta delle difese immunitarie, di turbe del metabolismo (diabete mellito) o degli
effetti dannosi di alcuni farmaci (antibiotici, cortisone, ecc.). Anche l’ipersudorazione, il mancato rispetto di semplici norme igieniche in luoghi molto frequentati
(esempio: girare a piedi scalzi in camere d’albergo, negli spogliatoi delle palestre
o nelle piscine), l’utilizzo di indumenti sintetici o di calzature poco traspiranti sono
fattori predisponenti.
Le micosi più frequenti sono la tinea (o tigna), la candidosi e la pityriasis versicolor.
Tinea (o Tigna)
La tinea può localizzarsi al cuoio capelluto (tinea capitis), alla cute corporea (tinea
corporis), alla regione inguinale (tinea cruris o epidermofizia inguinale) e al piede (tinea pedis). I funghi patogeni in questione sono dei dermatofiti, che appartengono
prevalentemente al genere Trichophyton e Epidermophyton.
Come si trasmette?
La tinea capitis è trasmessa da un “portatore asintomatico” umano (soggetto infettante, che non lamenta sintomi) mentre la tinea corporis proviene soprattutto dal
contagio con animali domestici di piccola taglia (gatti, conigli, cani). La tinea cruris
è trasmessa generalmente attraverso lo scambio di capi di abbigliamento e oggetti
di toeletta o, più raramente, attraverso il contatto sessuale. La tinea pedis si contrae frequentando a piedi scalzi camere d’albergo, palestre, piscine, impianti sportivi e impianti igienici collettivi; indossando indumenti e calzature, che non lasciano
traspirare la pelle; praticando una scarsa igiene personale. Risultano particolarmente esposti coloro che sul lavoro, per ragioni di sicurezza, indossano scarpe robuste
con suole di gomma (ad esempio: agricoltori, muratori, ecc.).
Come si manifesta?
Gli aspetti clinici della malattia dipendono dalla specie fungina implicata.
Nella tinea capitis compaiono sul cuoio capelluto una o più chiazze grigiastre o
arrossate, arrotondate e pruriginose, contenenti capelli fragili, che si spezzano. Le
chiazze vanno incontro a desquamazione. o si coprono di pustole, che si rompono
lasciando fuoriuscire pus giallastro. Le lesioni tendono verso la guarigione, lasciando in caso di tigna suppurativa una cicatrice, che non è più ricoperta da capelli
(alopecia).
Nella tinea corporis compaiono lesioni cutanee con l’aspetto di macchie arrossate
e pruriginose, che si ingrandiscono assumendo aspetti a “coccarda”.
Nella tinea cruris sono interessate, spesso bilateralmente, la superficie interna della coscia, la regione inguinale, il perineo, le pieghe glutee e la regione perianale.
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Compaiono chiazze rotonde e arrossate, che tendono a desquamarsi. Ingrandendosi, assumono anch’esse un aspetto a “coccarda” (Fig. 8). Sono spesso presenti
prurito e dolore per il sopraggiungere di altre infezioni batteriche causate dal grattamento (sovrainfezioni).
Nella tinea pedis, nota anche come “piede di atleta”, compaiono di solito a carico
di un solo piede macerazioni cutanee interdigitali con piccole ferite lineari. In altri
casi sono presenti vescicole e bolle, contenenti liquido sieroso o pus, che possono
causare arrossamenti, gonfiori o erosioni cutanee. In altri casi, ancora, è presente
un diffuso ispessimento della pelle con desquamazione a tipo forfora. Alle lesioni cutanee si accompagnano prurito e dolore. Le macerazioni cutanee interdigitali
sono caratterizzate da un odore nauseabondo, derivante dalla decomposizione delle cellule della pelle, dei funghi e del sudore. Nelle forme più gravi possono essere
presenti anche la candida e altre sovrainfezioni batteriche.
Come si previene un’infezione da dermatofiti?
Innanzitutto non si deve dimenticare che il contagio può avvenire attraverso il contatto con l’uomo, con gli animali (soprattutto domestici) o con il suolo.
Negli ambienti molto frequentati dal pubblico non bisogna mai camminare scalzi.
Bisogna, pure, evitare fattori favorenti, quali indumenti attillati o sintetici, calzature
poco traspiranti, gli ambienti caldo-umidi, l’obesità e la scarsa igiene personale.
I pazienti con infezioni da funghi (micotiche) non devono condividere con altri tovaglioli, salviette, pettini, limette o forbicine per unghie.
Per evitare una reinfezione, occorre disinfettare accuratamente tutti gli oggetti utilizzati da una persona infetta mediante ebollizione, lavatura a secco, disinfettanti e
prodotti antimicotici.
Che cosa fare in presenza di un’infezione da dermatofiti?
L’infezione non deve essere sottovalutata. Bisogna rivolgersi al medico per una
diagnosi tempestiva, attuata con esame microscopico, colturale o istologico. Potrà,
così, essere instaurato un corretto trattamento con farmaci antimicotici applicati localmente o assunti per bocca. Per evitare ricadute, la cura deve essere continuata
per alcune settimane anche dopo che tutti i segni della malattia sono scomparsi.
Candidosi
La candidosi (o “moniliasi”) è una malattia molto diffusa, causata da un lievito, la
Candida albicans. Può manifestarsi sulla pelle o sulle mucose di cavità orale (“mughetto”) (Fig. 9), faringe, esofago, intestino, vescica urinaria e genitali (vagina, pene)
(Cap. 7).
Come si trasmette?
La Candida albicans fa parte della normale microflora cutanea e diviene causa di
malattia solo quando si rompe l’equilibrio tra l’aggressività del fungo e i meccanismi di difesa dell’organismo. Di fatti, conseguentemente a terapia antibiotica,
stress, gravidanza, obesità, diabete mellito o infezione da HIV il fungo può moltiplicarsi eccessivamente, causando un’infezione.
Il contagio può avvenire anche tramite contatto diretto con persone infette o indumenti contaminati.
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Come si previene?
Per prevenire la candidosi è importante lavarsi bene le mani dopo aver toccato
persone od oggetti infetti.
La cute va tenuta ben pulita ed asciutta con cambi frequenti di eventuali pannolini o
pannoloni. Va evitato l’uso di indumenti irritanti, quali pannolini o pannoloni con
mutandine di plastica maceranti.
Gli indumenti infetti devono essere lavati con acqua bollente.
È prudente indossare ciabatte, frequentando piscine o docce pubbliche.
Come si manifesta?
La Candida colpisce le aree danneggiate dall’umidità come le pieghe cutanee
(ascellari, inguinali e sottomammarie), l’ombelico, il solco intergluteo, la regione perianale, gli spazi interdigitali delle mani e dei piedi (Fig.10, 11). Ivi la pelle rimane
spesso umida per il sudore e non è esposta all’azione disinfettante della luce solare.
L’infezione si manifesta con placche arrossate, macerate, essudanti, che presentano margini demarcati da un caratteristico orletto biancastro e forme e dimensioni
molto variabili. Le zone colpite sono circondate da piccole lesioni vescico-pustolose. La pelle, poi, comincia a desquamarsi in piccoli lembi. È generalmente presente
prurito di variabile intensità, che si associa a dolore quando a causa dell’infezione
si formano ragadi (piccole ferite lineari della pelle). Nelle forme molto macerate si
sviluppano fenomeni fermentativi, responsabili di un caratteristico odore fetido.
Nei soggetti che tengono spesso le mani in acqua o indossano scarpe poco
traspiranti possono essere colpite anche le unghie delle mani e dei piedi con fenomeni cutanei di arrossamento, gonfiore, dolore e produzione di pus. Indi, l’unghia
si scolla e cade.
Pityriasis versicolor
È una delle micosi più diffuse soprattutto nei paesi con climi tropicali. Colpisce abitualmente giovani adulti di ambo i sessi ed in buona salute con predilezione per la
fascia di età fra i 20 e i 25 anni.
Responsabile di questa micosi è un altro lievito, la “Malassezia furfur”, che vive
normalmente sulla pelle (saprofita), prediligendo le zone ove è maggiore la densità
di ghiandole sebacee. Fattori predisponenti o favorenti sembrano essere il clima
caldo umido, una predisposizione genetica e razziale, l’ipersecrezione sebacea della pelle (pelle grassa), le malattie dell’apparato endocrino, i fattori iatrogeni (trattamento con cortisone, immunosoppressori, farmaci contraccettivi orali).
Come si trasmette?
La Pityriasis versicolor è pochissimo contagiosa. Richiede per il suo sviluppo
qualche condizione speciale (facile sudorazione, scarsa igiene personale, ecc.).
Come si previene?
La prevenzione della Pityriasis versicolor prevede un’accurata igiene personale
negli individui con pelle molto grassa oppure con malattie endocrine e sottoposti a
particolari terapie.
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Come si manifesta?
Sedi di predilezione sono la parte superiore del tronco, il collo e gli arti superiori.
Nella forma clinica classica si osservano chiazze rotondeggianti di diametro variabile, che si desquamano finemente. Le lesioni presentano una varietà di colori
(caffelatte, giallo-bruno, rosa, non pigmentato) e possono nel tempo estendersi e
confluire conferendo alla pelle il tipico aspetto a “carta geografica” (Fig. 12). In
genere, è assente qualsiasi sintomatologia; alcuni pazienti, affetti da forme molto
estese, possono lamentare prurito.
Che cosa fare in presenza di un’infezione da lieviti?
Per debellare una Candidosi o una Pityriasis versicolor è necessario rivolgersi al
medico, che farà la diagnosi tramite esame colturale (tampone) e microscopico del
materiale prelevato dalle parti infette.
La cura è attuata con farmaci antimicotici, applicati localmente o assunti per bocca.
A guarigione avvenuta, le recidive sono frequenti e nella pityriasis versicolor le
chiazze acromiche (non pigmentate) possono persistere per lungo tempo.
Fig. 2 - Scabbia.
Localizzazioni cutanee più
frequenti.
Fig. 1 - Acaro della
scabbia (Sarcoptes
scabiei).
Fig. 3 - Scabbia. Lesioni cutanee da grattamento.
Fig. 4 - Pediculosi del cuoio capelluto. Si notano i
parassiti tra i capelli.
Fig. 5 - Pidocchio o pediculus humanus capitis.
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Fig. 6 - Uovo di pidocchio a forma di goccia
(lendine), che è strettamente adeso a un capello.
Fig. 7 - Pediculosi delle ciglia (cortesia Prof. C.
Balacco Gabrieli).
Fig. 8 - Tinea cruris a livello della superficie
interna della coscia.
Fig. 9 - Candidosi della lingua (glossite).
Fig. 11 - Candidosi del piede nel solco
interdigitale.
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Fig. 10 - Candidosi delle pieghe cutanee
sottomammarie.
Fig. 12 - Pityriasis versicolor del dorso.
Capitolo 10
Infortuni sul lavoro
e malattie professionali
DATORE DI LAVORO E LAVORATORE
Il datore di lavoro, che è il dirigente al quale spettano i poteri di gestione ed è dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa, ha l’obbligo di assicurare i suoi lavoratori contro gli infortuni e le malattie professionali presso l’INAIL (Istituto Nazionale
Assicurazione Infortuni sul Lavoro).
Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie per garantire al lavoratore la sicurezza sul lavoro; deve fornire al lavoratore tutti i mezzi di protezione e di
prevenzione dai rischi professionali (Tav. 1).
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (Codice Civile,
art. 2087 - “Tutela delle condizioni di lavoro”).
“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchiature o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio,
la pena è della reclusione da tre a dieci anni” (Codice Penale, art. 437 - “Rimozione
od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”).
“Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all'estinzione di un incendio, o al salvataggio o al
soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un
anno o con la multa...” (Codice Penale, art. 451 - “Omissione colposa di cautele o
difese contro disastri o infortuni sul lavoro”).
Dispositivo di Protezione Individuale (DPI): qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore per proteggerlo contro i rischi suscettibili di
minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro.
Diritti di ciascun lavoratore sono la sicurezza sul lavoro e la sua propria salute.
Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella
delle altre persone presenti sul posto di lavoro.
Il lavoratore deve adottare tutte le precauzioni atte a prevenire gli infortuni e le
malattie professionali e deve usare, ove previsti, tutti i dispositivi di protezione e di
sicurezza forniti dal datore di lavoro (es. guanti, occhiali, maschere, caschi, elmetti,
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scarpe, tute, giubbotti, cuffie antirumore, ecc.).
La prevenzione è definita come il complesso delle disposizioni o misure adottate o
previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.
INFORTUNIO SUL LAVORO
Evento che produce un danno al lavoratore e che avviene per causa violenta (azione
intensa e concentrata nel tempo) in occasione di lavoro.
Dall’infortunio può derivare o la morte o un’inabilità al lavoro, assoluta o parziale,
permanente o temporanea.
Le cause che possono generare un infortunio sono ad esempio: disattenzione, fretta, imprudenza, mancato rispetto delle norme di sicurezza, mancato uso dei mezzi
di protezione, rimozione dei ripari alle macchine, insufficiente addestramento, difetti
delle attrezzature, ecc.
Altri fattori di rischio possono essere legati all’organizzazione del lavoro, ad esempio:
• ambienti di lavoro carenti dal punto di vista igienico o sovraffollati;
• ritmi di lavoro elevati e mansioni ripetitive;
• scarsa manutenzione degli impianti.
Gli infortuni possono essere generati da un’azione traumatica, da un’ustione, da
una scarica elettrica, da un’asfissia meccanica, da un colpo di calore, da un colpo
di sole, ecc. cause da forze fisiche esterne (cadute, contusioni, ferite, scoppi, urti,
carichi sospesi, ecc.), da sostanze chimiche (sostanze tossiche, acidi, vernici, ecc.),
da energia elettrica (folgorazioni, ustioni, ecc.).
Il lavoratore deve comunicare subito al suo diretto superiore l’infortunio sul lavoro,
anche se consente la continuazione dell’attività lavorativa, affinché possano essere
prestate le cure di pronto soccorso ed effettuate le denunce di legge.
MALATTIA PROFESSIONALE
Malattia che deriva da una esposizione prolungata agli effetti nocivi del lavoro, presenti nell’attività stessa e/o nell’ambiente di lavoro.
La causa può essere rappresentata dall’ambiente in cui si svolge il lavoro, dagli
strumenti e dai mezzi che vi si impiegano, dalle modalità della lavorazione, dalla
posizione corporea che assume chi lavora, dalle sostanze che si producono e si
manipolano.
Sono agenti di malattia professionale i tossici, le inalazioni di polveri, le radiazioni,
le vibrazioni, i rumori, ecc.
La malattia professionale si distingue in maniera netta dall’infortunio che, pur essendo analogamente connesso ad una occasione di lavoro, è definito come un
evento che si verifica per causa violenta ed esterna (ossia da un fattore, che opera
dall’esterno con azione intensa e concentrata nel tempo, rapida).
Gli agenti responsabili delle malattie professionali sono tantissimi e, spesso, i lavoratori sono esposti alla loro azione senza conoscere i rischi a cui vanno incontro.
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Gli effetti dannosi possono manifestarsi dopo decenni.
Le sostanze chimiche, il cui impiego è sempre più diffuso sia nell’industria che in
campo agricolo, sono fonte di danno per la salute dei lavoratori.
La legge italiana riconosce un elenco di malattie di origine sicuramente professionale (malattie professionali tabellate); l’elenco è disponibile sul sito internet INAIL
all’indirizzo: http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_
pageLabel=PAGE_MEDICINA&nextPage=MEDICINA/Tabelle_malattie_professionali/info1177812736.jsp.
Possono, poi, essere riconosciute altre patologie, non tabellate, per le quali è obbligo del lavoratore dimostrare l’origine professionale, vale a dire la correlazione tra
malattia e attività lavorativa.
Qualora il lavoratore avverta disturbi correlabili al suo lavoro, alle sostanze nocive
adoperate o presenti nell’ambiente di lavoro, deve avvertire subito il suo superiore
perché informi la direzione per i provvedimenti del caso.
A ogni lavoratore devono essere garantite: adeguata formazione, informazione,
misure preventive e protettive affinché il livello di esposizione a sostanze nocive sia
ridotto al più basso valore tecnicamente possibile (Tav. 2).
Tra le malattie professionali ricordiamo:
• malattie da agenti chimici (esempio: intossicazioni da piombo, benzene, cromo);
• malattie da agenti fisici (esempio: rumore, vibrazioni);
• malattie da agenti biologici (infezioni croniche);
• malattie dell’apparato respiratorio (esempio: silicosi, asbestosi);
• malattie della pelle (dermatiti da contatto);
• malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee (le più diffuse, dovute a sovraccarico biomeccanico e all’esposizione a vibrazioni);
• tumori professionali.
Le più frequenti malattie professionali sono:
Asbestosi. Malattia polmonare cronica, causata dall’inalazione di polvere di
amianto. L’inalazione prolungata genera una fibrosi polmonare e la presenza negli
alveoli polmonari, nei bronchioli e nel tessuto interstiziale di corpuscoli dell’asbesto
(= amianto). I sintomi principali sono tracheite, bronchite, enfisema polmonare e,
quindi, difficoltà respiratoria. Caratteristico il quadro polmonare radiografico.
L’amianto ha azione cancerogena per cui ci può essere la comparsa di carcinoma
del polmone e delle sierose (pleurica, peritoneale, pericardica): il cosiddetto mesotelioma.
I lavoratori a maggior rischio erano quelli addetti all’estrazione delle diverse varietà
di asbesto dalle relative cave, gli addetti alla produzione ed impiego di cementoamianto, alla produzione di manufatti con asbesto, ecc.
Ora che l’estrazione, la lavorazione ed il commercio dell’amianto sono proibiti per
legge, la pericolosità è dovuta essenzialmente alla presenza di quella sterminata
serie di prodotti ancora in circolazione, che lo contengono in quantità variabile e che
lentamente vengono smaltiti in aree appositamente predisposte.
Sono, pertanto, a rischio di esposizione ad amianto tutti i lavoratori che si occupano della manipolazione, rimozione, trasporto di amianto.
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Silicosi. Malattia polmonare causata dall’inalazione cronica e dalla penetrazione
nei polmoni di polveri di silice o biossido di silicio (SiO2). Questa sostanza è presente ovunque in quanto costituisce la maggior parte della crosta terrestre e può,
quindi, essere sollevata nell’aria da ogni attività di scavo nel terreno o di frantumazione di materiale pietroso, movimentazione di terre, ghiaie o sabbie. Le particelle
più fini, del diametro di 2-3 mm, possono giungere sin nelle parti più periferiche del
polmone e danneggiarle. Tali particelle sono presenti, in concentrazione più o meno
elevata, in tutte le industrie minerarie e di scavo e anche in molte altre lavorazioni.
La silicosi è diffusa praticamente in tutto il mondo anche se, oggi, la sua incidenza
è diminuita grazie al miglioramento delle condizioni di lavoro.
Le lavorazioni, che espongono al rischio di contrarre la silicosi, sono numerose: lo
scavo di rocce in gallerie, miniere, cave; la lavorazione di rocce silicee e quarzifere,
di graniti, di gres, di ceramiche, di porcellane, di minerali refrattari; i procedimenti di
levigatura e di smerigliatura, la preparazione delle materie prime del vetro. Nell’industria metallurgica possono essere colpiti dalla silicosi i lavoratori degli altiforni in
seguito all’inalazione di fumi, e, nelle fonderie e smalterie, quelli addetti alle operazioni di molatura, sbavatura e sabbiatura.
Il processo morboso è molto lento e porta, nell’arco di diversi anni, a danni al polmone (fibrosi, noduli, enfisema, placche pleuriche) e, nei casi più gravi, anche al
cuore (ipertensione polmonare). I primi sintomi della malattia si manifestano, in genere, dopo molti anni (anche 10-15) di esposizione alle polveri e sono caratterizzati
da tosse, dispnea da sforzo, bronchiti ricorrenti; indi, possono comparire complicanze quali enfisema polmonare, tubercolosi polmonare, insufficienza cardiaca.
Ipoacusia e sordità da rumore. Diminuzione più o meno grave della capacità
uditiva. Malattia professionale frequente. La normativa individua 80-85dB (decibel)
come soglia limite per garantire l’incolumità dell’udito. Per valori superiori a 85dB
vige l’obbligo di usare i DPI (dispositivi di protezione individuale).
Malattie muscolo-scheletriche. Disfunzioni che vanno a colpire ossa, articolazioni, muscoli, tendini, legamenti, nervi, vasi sanguigni. Le malattie muscoloscheletriche sono causate dalla ripetizione di movimenti, che esercitano una forza
esterna tale da comportare l’adattamento del corpo all’errata postura. Sono colpiti, soprattutto, arto superiore, collo, colonna vertebrale (in particolare, nel tratto
lombo-sacrale).
Dermatiti da contatto, eczemi. Reazioni infiammatorie della pelle in seguito a
esposizione o contatto con sostanze chimiche, fisiche, microbiche o parassitarie.
Si manifestano come irritazione della pelle. Negli ultimi anni sono diminuite le dermatiti da contatto al lattice (guanti), che colpivano un gran numero di lavoratori, e
sono state adottate misure preventive, utilizzando altri tipi di materiali per lavoratori
allergici (esempio: guanti senza lattice, ovvero, latex free).
Tumori professionali. Tumori nella cui genesi ha agito come causa o concausa
l’attività lavorativa con esposizione ad agenti cancerogeni. Tumori, quindi, la cui
eziologia sta nel tipo di lavoro fatto.
L’identificazione di attività lavorative, che possono determinare un aumento di in68
sorgenza di tumori professionali, si basa su studi epidemiologici. La diagnosi dei
tumori professionali è, per altro, difficile per diversi motivi:
1) il lungo periodo di latenza tra esposizione e insorgenza della patologia (di solito
20-30 anni), che rende difficile, quindi, risalire alle condizioni di lavoro e alle sostanze con cui il lavoratore è venuto a contatto durante la vita lavorativa;
2) la quasi impossibilità di identificare tutte le sostanze con cui il lavoratore è venuto
a contatto e di definire l’intensità dell’esposizione ad esse;
3) le scarse conoscenze sulle esposizioni multiple e sulle interferenze fra le diverse
sostanze e sulle interazioni fra esposizioni professionali, abitudini di vita e suscettibilità individuale.
I principali responsabili di tumori della cute sono gli idrocarburi policiclici aromatici,
contenuti nel catrame e nella pece (asfaltatori, addetti alla produzione di pece e
catrame), l’arsenico utilizzato come antiparassitario (viticoltori) e i raggi ultravioletti
delle radiazioni solari (marinai, agricoltori).
Le vie urinarie, ed in particolar modo la vescica, rappresentano la sede d’elezione
per l’insorgenza di tumori causati da sostanze cancerogene (esempio: amine aromatiche), i cui metaboliti vengono escreti attraverso l’apparato urinario.
Tra le amine aromatiche, molecole costituite da uno o più anelli benzenici cui sono
legati uno o più gruppi amminici, quelle con maggior potere cancerogeno risultano
la 2-naftilamina, la benzidina e il 4-aminodifenile (coloranti, gomma).
L’apparato respiratorio e, in particolare, i polmoni rappresentano il bersaglio più
frequente dei tumori di origine professionale; infatti, sono numerose le attività che
espongono i lavoratori a cancerogeni respiratori.
Inoltre, attività lavorative faticose
determinano un aumento della ventilazione polmonare con conseguente maggior
inalazione di sostanze cancerogene (esempio: cromo esavalente negli addetti alla
produzione di cromati e alla cromatura, industria galvanica; arsenico negli addetti
alla produzione e all’utilizzo di insetticidi arsenicali; nichel negli addetti alla fusione
del metallo, soprattutto con tecnologie obsolete; idrocarburi aromatici policiclici o
IPA negli addetti alla produzione di alluminio, nei lavoratori delle cokerie - impianti
per la raffinazione del petrolio e del litantrace, che, solitamente, fan parte di un
impianto siderurgico - e negli asfaltatori; radon e suoi prodotti di decadimento in
minatori, con effetto sinergico col fumo di sigaretta).
Vari studi epidemiologici, inoltre, hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di
tumori polmonari negli addetti alla fusione del ferro e dell’acciaio e nei verniciatori
senza che siano state esattamente identificate le sostanze responsabili.
Tumori delle cavità nasali e paranasali sono tipicamente determinati dall’esposizione a composti del cromo esavalente (produzione di cromati) e a polveri di legno
duro (falegnami); grazie al miglioramento delle condizioni di lavoro appare, invece,
ridotto il rischio negli addetti alla produzione di scarpe e negli addetti alla lavorazione del nichel.
INAIL
È l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.
È un Ente pubblico non economico, italiano, istituito nel 1898 con lo scopo di tu69
telare dal punto di vista assicurativo le vittime degli infortuni sul lavoro. Dal 1965
l’Istituto assicura anche le malattie professionali
L’assicurazione all’INAIL è obbligatoria: se ricorrono le condizioni di legge, i datori
di lavoro debbono versare annualmente un premio assicurativo.
Con il versamento del premio assicurativo l’INAIL si assume l’onere economico derivante dagli infortuni sul lavoro e dalle malattie professionali, che possono colpire i
lavoratori, sia per quanto riguarda l’inabilità temporanea assoluta (cioè, il periodo di
astensione dal lavoro) sia per l’eventuale invalidità permanente residuata.
Anche se il datore di lavoro, che è tenuto per legge, non procede al versamento dei
premi di assicurazione, il dipendente ha accesso alla tutela (principio della automaticità delle prestazioni).
Le prestazioni erogate dall’INAIL
1. Prestazioni economiche
1.Indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, che viene corrisposta
dal quarto giorno successivo alla data dell’infortunio fino alla guarigione. L’inabilità
temporanea assoluta non consente al lavoratore di riprendere, neanche in minima
parte, il suo lavoro;
2.indennizzo per lesione dell’integrità psicofisica o danno biologico, corrisposto per eventi a decorrere dal 25 luglio 2000. Per postumi compresi tra il 6% e il
15%, è previsto l’indennizzo in capitale. Dal 16% in poi, viene erogato un indennizzo in rendita;
3.integrazione della rendita diretta, dovuta per il periodo nel quale il lavoratore si
sottopone a cure utili per il recupero della capacità lavorativa;
4.rendita di passaggio per silicosi e asbestosi, calcolata secondo le Tabelle allegate al Testo Unico 1124/65 per inabilità non superiore all’80% e corrisposta per
un anno al lavoratore, che abbandoni la lavorazione nociva; calcolata secondo le
Tabelle allegate al D. Lgs. 38/2000 per le malattie denunciate a decorrere dal 1°
gennaio 2007 e con menomazioni dell’integrità psicofisica non superiori al 60%;
5.rendita ai superstiti di lavoratori deceduti a causa di infortunio o malattia professionale, se in possesso dei requisiti di legge;
6.prestazione una tantum ai superstiti di lavoratori deceduti a causa di infortunio
mortale, verificatosi a decorrere dal 1° gennaio 2007, se in possesso dei medesimi
requisiti previsti per la rendita ai superstiti;
7.assegno funerario;
8.assegno per assistenza personale continuativa, corrisposto per inabilità permanente assoluta del 100% e, per gli eventi a decorrere dal 1° gennaio 2007, per le
menomazioni elencate in apposite Tabelle;
9.speciale assegno continuativo mensile, erogato ai superstiti di lavoratori titolari di rendita, deceduti per cause non dipendenti da infortunio o malattia professionale, se in possesso degli specifici requisiti previsti.
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2. Prestazioni sanitarie
I lavoratori infortunati hanno diritto a ricevere cure mediche e chirurgiche, erogate
a carico del Servizio Sanitario Nazionale, compresi gli accertamenti clinici, ai fini
della guarigione e del massimo recupero della capacità lavorativa. Tali cure sono
esentate dal pagamento del ticket (esenzione L04).
Sono di esclusiva competenza dell’INAIL gli accertamenti, le certificazioni e ogni
altro aspetto medico-legale.
In regime di convenzione con le Regioni, l’INAIL fornisce a proprio carico presso le
Sedi territoriali il servizio di “prime cure” ambulatoriali, incluse le cure riabilitative,
fino a guarigione del lavoratore; fornisce, inoltre:
• le protesi e gli ausíli;
• le cure idrofangotermali e i soggiorni climatici.
3. Prestazioni integrative
Le prestazioni integrative, dette anche assistenziali, comprendono:
• assegno di incollocabilità, erogato per impossibilità di collocazione in qualsiasi
settore lavorativo;
• erogazione integrativa di fine anno, dovuta ai grandi invalidi con inabilità compresa tra l’80% e il 100% e, per gli eventi a decorrere dal 1° gennaio 2007, con
grado di menomazione dell’integrità psicofisica compreso tra il 60% e il 100%;
• brevetto e distintivo d’onore, di natura onorifica ed economica, fornito per una
sola volta ai Grandi Invalidi o Mutilati del Lavoro.
Tavola 1. I cartelli segnaletici di sicurezza
Cartelli di divieto: forma rotonda, simbolo nero su fondo bianco, bordo e
banda rossa
Divieto di accesso alle
persone non autorizzate
Vietato fumare
Vietato ai carrelli di
movimentazione
Divieto di spegnere con
acqua
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Cartelli antincendio: forma quadrata o rettangolare, simbolo bianco su fondo rosso
Estintore
Lancia antincendio
Direzione da seguire
Direzione da seguire
Cartelli di avvertimento: forma triangolare, simbolo nero su fondo giallo,
bordo nero
Carichi sospesi
Carrelli di
movimentazione
Tensione elettrica
pericolosa
Pericolo di inciampo
Cartelli di obbligo: forma rotonda, simbolo bianco su fondo azzurro
Protezione obbligatoria
degli occhi
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Guanti di protezione
obbligatoria
Calzature di sicurezza
obbligatoria
Casco di protezione
obbligatorio
Cartelli di sicurezza: forma quadrata o rettangolare, simbolo bianco su fondo verde
Percorso/uscita di
emergenza
Direzione da seguire
Pronto Soccorso
Lavaggio degli occhi
Tavola 2. L’etichettatura delle sostanze pericolose
Tutte le sostanze pericolose devono avere una etichettatura, che riporti:
• denominazione;
• dati del responsabile della immissione in commercio;
• simboli e indicazioni di pericolo (in nero su fondo arancione); sotto il simbolo una sigla che identifica
il rischio.
Principali simboli e sigle di rischio riportati sulle etichette
Molto tossico
Corrosivo
Irritante
Nocivo
Infiammabile
Estremamente
infiammabile
Esplosivo
Pericoloso per l’ambiente
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