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Pubblicato il 23 Marzo 2011
Ottorino Respighi nelle mani di Almerindo d'Amato
Una serata da sogno
Servizio di Sergio Stancanelli
VERONA - Accade a volte, raramente, che un incontro previsto a perdersi fra i tanti altri,
emerga invece illuminato dalla felicità di circostanze irrilevanti, le quali del tutto
imprevistamente si ergono a rendere gioiose quelle ore, memorabile la giornata, una di
quelle che contribuiscono a render bella la vita e ci suggeriscono di volgerci a
ringraziare commossi coloro che, con intenzione o senza, amandosi ci diedero la sola
cosa che conti, in questo universo di impenetrabili misteri: l’esistenza. A me è capitato,
qualche volta. Fu quando mi sorpresi a pensare “per avere avuto modo di ascoltare
questa musica, è valsa la pena vivere”. L’altra sera m’è occorso per avere avuto modo
di conoscere un uomo di quelli di cui, come si suol dire, s’è perso lo stampo. Non
enuncerò, in un elenco analitico, le sue qualità: dico solo che io capivo quel che diceva
e quello che voleva dire, lui capiva le parole mie e ciò che intendevo dire, se la sua voce tentava alcune note
- erano Chopin ma avrebbero indifferentemente potuto essere Moscheles - tutto intorno s’inteneriva del
linguaggio più suo: che già mi aveva dato, non più d’un paio d’ore prima, qualcosa di ciò che l’esistere offre
di più sublime a chi ha la ventura d’esser nato e d’avere avuto consenso a non cessar di vivere: la musica,
seconda solo a l’amore.
Almerindo d'Amato durante il concerto nel Teatro
Filarmonico
(foto Ennevi. Per gentile concessione di
Fondazione Arena di Verona)
Era stato il Concerto in La minore di
Ottorino Respighi, una cosa bellissima
- se pur con qualche ingenuità
d’arpeggi chiajkovskijani ripetuti e di
semplici trilli assai insistiti: ma
l’autore, nel 1902, aveva 23 anni (chi
scrive, a quell’età non si peritava della
banalità di dar l’avvio al canto del
soprano
in Toi
et
moi con un
gruppetto: e Laszló Spezzaferri lo tolse
al canto del solista nel suo Concerto
r o ma n t i c o per violoncello, scritto
nel1936 contando 24 anni, su rilievo
dello scrivente in recensione su
“L’arena” di Verona quando d’anni ne
contava quasi 70). Già che siamo a
parlar del discutibile, mi tolgo il
pensiero d’annotare qualche nota sbagliata (ma il maestro, quando fummo a cena, mi assicurò d’averne
errata anche qualcuna in più di quante io n’avessi notate). E al mio osservare e chiedermi se certi
rallentamenti, ch’io non avrei fatti, e certe esitazioni, ritenzioni, ritardi, fossero intenzionali nell’ambito
dell’interpretazione, o prudenziali per darsi tempo d’esser certo d’aver posizionato perfettamente le dita
sopra i tasti giusti prima di abbassarle a provocare il suono degli accordi, quando fu al pianista che lo chiesi,
ch’erano prudenziali mi rispose. Anche dettagli del genere rendono la mia serata eccezionale: non ho dubbî
che Michelangeli, Pollini, Canino avrebbero, certo dicendo la verità, di ciò non dùbito, risposto che erano
interpretativi.
Al Concerto in La il biografo Carlo Parmentola non accenna: né d’altronde ad alcun’altra pagina sinfonica
solistica, per pianoforte chessìa o per qualsivogli’altro strumento, fatta eccezione del Misolidio del quale per
altro si limita a menzionare il titolo, mentre l’autorevole Giulio Confalonieri, nei suoi due volumi di storia della
musica (1420 pagine), tutto ciò di cui c’informa sul compositore di Bologna è nome, cognome, anno in cui
nacque, anno della morte. Se, non sapendo, cerchi nell’ìndice alfabetico dei nomi dandoti per certo che
troverai qualche notizia, non trovi neanche il nome, perché il numero della pagina è sbagliato.
Sul piano auditivo, nessuno dei cataloghi di dischi a 78 giri, poi microsolco e infine compact di cui sono in
possesso dal 1948 in avanti, contempla il Concerto in La. L’unica registrazione che conosco - a parte un
nastro Rai che forse chissà se qualche programmista della Radio italiana un giorno si deciderà a mandare in
onda sul quinto canale della filodiffusione - è quella col pianista Konstantin Scherbakov e l’orchestra
sinfonica della Radio slovacca di Bratislava sotto la bacchetta di Howard Griffiths effettuata il 19 settembre
1994 nel salone dei concerti della Radio slovacca di Bratislava sotto la direzione tecnica di Hubert
Geschwandtner e pubblicata l’anno dopo dalla Naxos tedesca insieme con la Fantasia slava composta dal
Respighi un anno appresso (1903) e con la Toccata di venticinque anni dopo (1928) in un compact - con in
copertina una singolare veduta di Roma privilegiante rùderi e cùpole di chiese nel tramonto dovuta al pittore
Maxim Vorobiov, incognito al cronista - . Una considerazione singolare è che mentre nel compact la durata
del Concerto è 20’14” (escluse le due pause), la sua durata nell’esecuzione live è stata 26 minuti (sia pure
incluse le pause, limitate comunque a non molti secondi). Pur avendo predisposto per registrarlo, un
inconveniente tecnico me ne ha impedito: sicché occorrerebbe disporre della partitura per constatare se il
direttore britannico effettuò tagli (per ben 6 minuti, quasi 1/4 della musica prevista dall’autore) o se, ipotesi
che escluderei, l’interpretazione italiana sia stata d’un 25% più lenta.
Almerindo d’Amato - col quale ci siamo a lungo intrattenuti dopo la sua esibizione e poi a cena e dopo cena è pianista incognito al Dizionario dei musicisti Utet. Di lui ci dà notizie il programma di sala, informando che si
formò in Catania (lo scrivente vi si diplomò nel liceo classico “Cutelli” nel 1948) e poi in Napoli e a Roma, e
tacendo che nacque in Frosinone nel 1933. Ammogliato, ha due figli, fra i quali Antonia è flautista diplomata
col massimo dei voti, e Francesco a sua volta ha due bimbi presenti e attenti al concerto del nonno.
All’interpretazione già ho accennato. È una partitura difficile, e il pianista ha dovuto eseguirla in pubblico
dopo due ore appena di prove con l’orchestra - come ha ritenuto di fare noto a gli spettatori al termine
dell’esecuzione - perché, giunto in Verona con oltre ventiquattr’ore d’anticipo appunto per effettuare un
minimo di prove, non aveva trovato la disponibilità dell’orchestra per via pare d’indisposizione del direttore.
S’era tentato anche di indurlo a rinunciare a suonare, evidentemente nell’intento di sostituirlo con altri, ma
poi che una tale procedura inverosimile mi era già stata riferita da un precedente concertista, un violinista
che però s’era rifiutato di autorizzarmi a denunciare pubblicamente la cosa, ho raccolto un’intervista che il
maestro d’Amato mi ha rilasciato e che credo interesserà al Procuratore della Repubblica e farà parlare
della fondazione Arena di Verona dalle Alpi agli Appennini sino ai Peloritani e alle Madonie. E forse oltre.
Alieno dal darsi al facile successo con l’esibizionismo di velocità acrobatiche, il maestro è piuttosto attento a
ricreare la duttilità della musica di Ottorino Respighi che anche nei tempi e nei passaggi veloci, sempre
canta, come sempre dovrebbe cantare la musica, ridotta oggi ad escrementi sonori nel festival della
canzone italiana di Sanremo - dove nulla c’è né di musica né d’italiano - , ed anche a sperimentazioni
scostanti, come talora in Darmstadt. Fatti i dovuti distinguo e dato ogni apprezzamento all’espressionismo di
Verklärte Nacht e all’atonalità della Kammersymphony n.1 (conclusa da una triade perfetta in Mi
maggiore…), il cronista vuol ricordare che in un’intervista rilasciatagli nel 1948 nel palazzo Ducale in Genova
per il giornale “Gran turismo” di Sanremo, il pianista Luciano Sangiorgi ebbe a dichiarare che “… la musica
italiana è soprattutto canto”.
Accolta da un subisso di applausi interminabili, non senza a gran voce richieste di bis, Almerindo d’Amato ha
fatto dono agli spettatori che gremivano quasi al completo il teatro Filarmonico, del Notturno di Respighi.