Scheda storico-artistica dal catalogo

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40.
Domenico Fiasella, detto il Sarzana
(Sarzana, La Spezia, 1589 - Genova, 1669)
Discesa dello Spirito Santo
1618
tecnica/materiali
olio su tela
scheda
Angela Acordon
dimensioni
321,5 × 222,5 cm
restauro
Carla Campomenosi Oberto,
Margherita Levoni (Martino Oberto
Studio di restauro opere d’arte
dal 1950, Genova)
iscrizioni
in primo piano a destra,
sul blocco squadrato: «DOMENICO
FIASELLA SARZ. F. MDCXVIII»
provenienza
Sestri Levante (Genova), parrocchia
di Santa Maria di Nazareth
collocazione
Sestri Levante (Genova), parrocchia
di Santa Maria di Nazareth
Nella ricca vicenda critica di un pittore molto studiato qual è Domenico Fiasella, le novità più importanti
sembrano poter giungere soprattutto da scoperte documentarie o
interventi di restauro.
È questo il caso della splendida tela
della chiesa di Santa Maria di Nazareth a Sestri Levante raffigurante
la Discesa dello Spirito Santo, la cui
datazione già all’interno del terzo
decennio del XVII secolo (Donati
1974, pp. 95, 115; P. Donati, in Domenico Fiasella 1990 p. 20; P. Donati, in Domenico Fiasella 2008, p.
80) mi ha sempre lasciata alquanto
dubbiosa. Troppo evidenti, e non
ancora perfettamente fuse nel tipico linguaggio che sarà poi dell’artista, le diverse componenti culturali
che affascinarono il giovane pittore
sarzanese nel suo non breve soggiorno romano, fissato ormai da tutta
la critica, alla luce del racconto di
Raffaele Soprani (Soprani 1674,
pp. 245-253) e dei documenti
(Neri 1876, pp. 4-6; P. Donati, in
Domenico Fiasella 1990, pp. 94-96,
n. 5), fra i termini cronologici del
1607 e del marzo 1616: un vacillare
di cui è spia soprattutto il san Pietro,
che, pur esemplato sulla figura dello
stesso Santo nella Trasfigurazione di
Raffaello (Roma, Pinacoteca Vaticana), pare non poter prescindere dal
luminismo del San Matteo del Caravaggio refusé per la cappella Contarelli in San Lui­gi dei Francesi a Roma (Cinotti, Dell’Acqua 1983,
pp. 412-416, n. 4), poi acquistato
dal marchese di origine genovese
Vincenzo Giustiniani, principale
committente di Fiasella in città e residente nel palazzo proprio di fronte
alla chiesa della Nazione francese.
La lezione bolognese, trasparente
nell’eloquenza retorica di una gestualità d’impronta controriformata, quasi stride rispetto all’acutezza
realistica del brano ritrattistico del
sacerdote in primo piano, che lascia
intendere come Fiasella possa aver
guardato anche alla ricerca di Ottavio Leoni, uno specialista del settore
così noto in quel tempo a Roma da
non poter essere stato ignorato dal
Sarzana, nonché agli esiti dei tanti
ammiratori del Caravaggio che si
contavano allora nella città papale,
come Tanzio da Varallo o come alcuni pittori della nutrita colonia toscana affascinati a Roma dalle opere
del Merisi.
Un modo di comporre e di pensare
lo spazio del quadro molto vicino a
quello che informa la pala raffigurante San Lazzaro implora la Vergine
per la città di Sarzana (Sarzana, San
Lazzaro), commissionata a Fiasella il
4 marzo 1616 dai Protettori dell’Opera di Santa Maria per la chiesa del
Lazzaretto, di cui avevano la cura, e
che, secondo il documento d’archivio reperito da Achille Neri, l’artista
avrebbe dovuto consegnare poco
più di un mese dopo, il 20 di aprile
(Neri 1876, pp. 4-6). Si è detto (P.
Donati in Domenico Fiasella 1990,
pp. 94-96, n. 5) che in quei mesi
Fiasella dovesse essere presente a
Sarzana, ma nulla nel documento
lo lascia intendere. È semmai l’acquisto di «un’onza di oltra marino
per l’Incona a s. Lazaro» destinato
al manto della Vergine deliberato il
15 aprile dai Protettori di Santa Maria che, oltre a far slittare almeno di
qualche mese la consegna della pala,
fa pensare che l’artista potesse essere
davvero nella cittadina ligure (Donati 2001, p. 19 e nota 19 a p. 25;
Donati 2002, p. 171).
Stringenti analogie legano i volti degli angeli e dei cherubini presenti,
quasi assiepati, nelle visioni celesti della pala di Sestri Levante e di
San Lazzaro: quei visi larghi e quasi
schiacciati, dalle volumetrie poco
definite e di un biancore da porcellana dipinta più che da epidermide
di un viso infantile. Come nella
Discesa dello Spirito Santo, anche
nella pala sarzanese spicca il brano
di crudo realismo della figura di san
Lazzaro, collocato quasi nella stessa
porzione di spazio del prete ritratto nella tela sestrese, che secondo
la tradizione rappresenta Giovanni
Battista Muzio, o Musso, il sacerdote che rinnovò l’edificio ecclesiastico
e resse la parrocchia dal 1594 fino
alla morte, avvenuta nel 1619 (Rossignotti 1952, p. 17). Fortemente
affezionato alla sua chiesa, Musso
dotò l’altare dello Spirito Santo, per
il quale fu realizzata la tela di Fiasella, di un legato assai cospicuo se
al tempo della visita apostolica di
Niccolò Francesco Lomellini, nel
1723, pur risultando ormai l’altare
con la direzione di Angela Acordon
indagini
Profilocolore s.r.l., Roma; Martino
Oberto Studio di restauro opere
d’arte dal 1950, Genova
senza patroni e senza dotazioni, vi si
potevano recitare una messa quotidiana e dodici messe annuali «come
per obbligo di un beneficio semplice fondato l’anno 1619 dal detto
Reverendo Musso» (L’antica Diocesi
2006, p. 40). In quest’ottica riveste
particolare interesse il documento,
segnalatomi da Michela Bolioli,
conservato nell’Archivio Diocesano
di Sarzana, dal quale emerge che il
7 agosto 1614 Giovanni Battista
Musso, a seguito di un’istanza di cui
non si precisa la data, ottenne dal
vescovo Francesco Mottini la concessione di una cappella nella navata
destra rispetto al coro della chiesa di
Santa Maria di Nazareth «ad effectum in ea erigendi et decorandi [...]
altare et ornandi» (Archivio Vescovile Brugnato, Filze Vescovi, filza I,
doc. 115).
Assieme alla notizia fornitaci nella sua visita pastorale del 1756 da
monsignor Domenico Tatis (L’antica Diocesi 2006, p. 225), secondo
cui l’altare dello Spirito Santo fu
eretto da Giovan Battista Musso, il
documento reperito rafforza la convinzione che il committente della
Discesa dello Spirito Santo sia stato il
prete sestrese e che proprio lui sia la
figura ritratta in primo piano nella
tela, la cui esecuzione andrebbe perciò anticipata al più tardi al 1619,
anno della sua morte; datazione
d’altra parte a mio vedere pienamente conforme con la sua collocazione stilistica nell’ambito del percorso giovanile del Sarzana. Un’ipo-
Dopo il restauro
Durante il restauro, particolare con il sacerdote Giovanni Battista Musso, stuccatura
Domenico Fiasella, San Lazzaro implora la Vergine per la città di Sarzana, 1616,
Sarzana (La Spezia), frazione di San Lazzaro, chiesa di San Lazzaro
Durante il restauro, particolare con firma e data
tesi, un tempo solo suggestiva, che
oggi trova un’importante conferma
avendo il restauro fatto riemergere,
seppur poco leggibile a occhio nudo, la firma del pittore e la data di
esecuzione del dipinto, collocate sul
blocco squadrato in primo piano a
destra: «DOMENICO FIASELLA
SARZ. F. MDCXVIII».
Si tratta di una notevole scoperta
che porterà credo a qualche aggiustamento nella definizione della
cronologia delle opere giovanili del
Sarzana, in questa sede difficile da
tentare se non offrendo alcuni spunti che richiedono una più lunga e
imprescindibile meditazione.
Se mi spingesse ancora lo spirito con
cui da giovani ci si lascia trasportare dall’entusiasmo di un’idea, non
esiterei ad assegnare a questo triennio (1616-1618) dell’attività di
Fiasella, sull’orma di un’intuizione
suggeritami da Massimo Bartoletti,
la Madonna del Rosario con san Domenico, santa Caterina, san Pio V e
san Giovanni d’Austria del Santuario di Nostra Signora degli Angeli di
Arcola (La Spezia) (I beni culturali
1975, p. 21, tav. II), che una nota
nel libro spese parrocchiale inchioda tuttavia al nome di un altrimenti
sconosciuto pittore, Andrea Podenzana della Spezia e soprattutto alla
data, apparentemente improbabile
perché troppo tarda rispetto allo
stile evidenziato nella tela (Donati 2002, p. 175), del 1688-1689
(Neri 2002, p. 45). C’è in quest’opera la stessa dicotomia fra realtà
e retorica, fra bisogno espressivo e
necessità di compostezza didascalica
che caratterizza la pala di San Lazzaro e la Discesa dello Spirito Santo;
ma mi colpisce soprattutto la forte
affinità fra gli angioletti che popolano le apparizioni celesti delle tre
opere, quei visi che ho definito un
po’ larghi e schiacciati fin quasi alla
deformazione e a un basso rilievo, e
il fatto che alla tela si addica perfettamente l’acuta definizione con cui
Piero Donati descrive, con grande
capacità di sintesi, la pala della chiesa di San Lazzaro: «tutta intrisa di
umori romani, questa tela attesta
dell’adesione convinta del giovane
maestro alla poetica del naturalismo temperato o, se vogliamo, del
caravaggismo rivisitato» (Donati
2002, p. 171). Mi chiedo se Andrea
Podenzana, nella citazione docu-
Domenico Fiasella ?, Madonna del Rosario con san Domenico, santa Caterina,
san Pio V e san Giovanni d’Austria, 1616-1618, Arcola (La Spezia), santuario di
Nostra Signora degli Angeli
Durante il restauro, pulitura
Domenico Fiasella, Cena in casa del Fariseo,1616-1618, Genova, Museo
di Palazzo Reale
Durante il restauro, particolare, pulitura
Prima del restauro
mentaria definito pittore ma non
espressamente indicato come autore dell’opera, non sia stato piuttosto
in possesso di un dipinto realizzato
da Fiasella, del quale potrebbe essere
stato allievo, oppure colui che lo restaurò, fatto che spiegherebbe quelle pennellate a tratti più fluide e più
morbide che la pala di Arcola rivela
e che non si adeguano del tutto al
linguaggio che caratterizza in questi
anni lo stile fiasellesco. Un’ipotesi,
quest’ultima, che chiarirebbe inoltre la veridicità di un documento
difficile sia da contestare, sia da far
quadrare con l’attardamento compositivo e stilistico dell’opera, che in
ogni caso pare non poter prescindere dalle tele giovanili di Fiasella, come rivela in particolare il confronto
fra il gruppo della Madonna con il
Bambino nella pala di Arcola e in
Prima del restauro, particolare con la figura di Dio Padre, riflettografia a infrarossi
quella di San Lazzaro. Credo inoltre
significativo che alla Madonna del
Rosario sia stato accostato da Mary Newcome Schleier (Newcome
Schleier 1995, p. 51, fig. 55a) un
disegno, che la studiosa attribuisce a
Fiasella, ma che ritiene di circa dieci
anni successivo rispetto al dipinto,
a suo dire ascrivibile agli anni Venti.
Lascio questo spunto di riflessione
a chi più di me si è occupato e si
occuperà del Sarzana, auspicando
che la tela del santuario di Nostra
Signora degli Angeli possa essere
presto sottoposta a un intervento di
restauro, fondamentale dato il suo
stato di conservazione e assai utile
per individuarne forse l’autore.
Per l’idea che sono riuscita a farmi
di questi complicati anni dell’attività di Domenico Fiasella – credo
non ancora ben chiariti soprattutto
per il pur lodevole tentativo di dare
immagine al suo lungo soggiorno
romano (Papi 1992; Donati 1998;
Gesino, Romanengo 2007; P.
Donati, in Domenico Fiasella 2008,
pp. 40-89; R. Contini in Domenico
Fiasella 2008, pp. 13-39) – mi pare
che il reperimento della data «1618»
sulla tela di Sestri Levante consenta
di fare alcune ipotesi.
Intanto alcuni elementi stilistici e
fisionomici la mostrano non così distante dalle notevoli tele raffiguranti
la Resurrezione del figlio della vedova
di Naim e la Guarigione del cieco nato (Saratosa, Ringling Museum) dipinte per Vincenzo Giustiniani e citate nell’inventario compilato dopo
la sua morte (28 dicembre 1637),
datato 9 febbraio 1638 (P. Donati in
Domenico Fiasella 2008, p. 54), ma
soprattutto prossima, come già ben
vide Gian Vittorio Castelnovi (Castelnovi 1971, p. 87), alla Cena
in casa del Fariseo di Palazzo Reale
a Genova (Leoncini 2008, p. 250,
n. 96 con bibliografia precedente),
opera che prende avvio da un piccolo quadro del Cigoli del 1596
(Roma, Galleria Doria Pamphili),
poi ampiamente variato rispetto al
‘prototipo’. Si notino i tratti minuti
dei visi con i nasi appuntiti che dalla
Madonna della pala di Sestri Levante discendono fino a quelli delle figure femminili della Resurrezione del
figlio della vedova di Naim, passando attraverso il giovane col berretto
rosso sullo sfondo della Guarigione
del cieco nato, giustamente secondo
Piero Donati (in Domenico Fiasella
2008, p. 67) dipinta un poco dopo.
E mi chiedo se fra i due Miracoli
Giustiniani non debba collocarsi
proprio la pala di San Lazzaro, nelle
campiture e nelle scelte cromatiche
vicinissima alla Resurrezione oggi a
Saratosa, mentre nella Guarigione
del cieco nato il fare di Fiasella sembra più ampio e maestoso e si approssima alla Cena in casa del Fariseo
di Palazzo Reale a Genova. Si vedano in queste ultime opere le figure
di Cristo, dal profilo ‘bolognese’ e
i due uomini che si volgono a guardare il gesto di Maddalena, dipinti
quasi con le stesse pennellate che definiscono rapide le due teste dietro
al Cristo della Guarigione del cieco
nato: una pasta pittorica presente anche nella Discesa dello Spirito
Santo, dove la testa calva dell’apostolo in primo piano non può non
richiamare quella, analogamente
glabra, di uno dei convitati nella
tela di Palazzo Reale. A Sestri come
a Genova, inoltre, sono scomparsi i
serici luminismi dei risvolti dei panni e la consistenza delle vesti si è fatta
più pesante (dalla seta al fustagno),
come nella Resurrezione a Saratosa.
A Sestri e a Genova si respira un analogo clima di assembramento, non
spiegabile solo col soggetto trattato:
in entrambe le opere, tuttavia, gesti
e figure costruiscono una composizione a chiasmo che calibra, controllandolo, il dinamismo emotivo
suscitato dallo stupore negli astanti.
Anche considerando il cattivo stato
di conservazione delle tele eseguite
su commissione di Valerio Massimi,
cugino di Vincenzo Giustiniani, per
la chiesa di Santa Maria Assunta a
Roccasecca dei Volsci (Cappelletti
1998), mi pare strano che in poco
più di un anno, dal novembre 1613,
data del saldo dell’Annunciazione, lo
stile di Fiasella possa essersi evoluto
a tal punto da dipingere capolavori
assoluti come i Miracoli di Cristo
per Vincenzo Giustiniani, generalmente collocati entro il 1615 (P.
Donati in Domenico Fiasella 1990,
pp. 88-92, nn. 2-3), quando Fiasella
è attestato a Roma col fratello nella
parrocchia di San Lorenzo in Lucina (Longhi 1943, p. 31), o ancor
prima (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, p. 61).
Facendo per scelta riferimento solo
a opere che ormai sembrano con-
cordemente considerate del Sarzana, un probabile iter cronologico
dell’attività di Fiasella dal 1613
potrebbe essere il seguente. Dopo le
tele per Roccasecca dei Volsci, l’Assunzione della Vergine (pagamenti
nel settembre 1613), che a seguito
del restauro è oggi ritenuta una copia antica dall’originale (P. Donati
in Domenico Fiasella 2008, p. 61)
e l’Annunciazione, per la quale Fiasella riceve un primo acconto il 24
novembre 1613, a un cospicuo lasso
di tempo che non mi azzardo qui a
tentare di riempire, potrebbero collocarsi, nell’ordine: la Fuga in Egitto
(Greenville, Bob Jones University);
la Resurrezione del figlio della vedova
di Naim, eseguita almeno parzialmente nello stesso momento della
pala di San Lazzaro, che nulla vieta
di pensare possa essere stata dipinta a Roma dopo il marzo 1616; la
Visitazione di Santa Maria Assunta
di Sarzana, molto vicina, ma un po’
più matura, alla pala di San Lazzaro (P. Donati in Domenico Fiasella
1990, pp. 96-97, n. 6; Donati
2002, p. 172) e dove ancora permane l’interesse per gli effetti serici
dei panneggi; la Guarigione del cieco
nato, che a questo punto cadrebbe
dopo il 1616 e costituirebbe un trait
d’union con la Cena in casa del Fariseo di Palazzo Reale. Tale dipinto
precede a mio vedere di poco la tela
di Sestri Levante, che oggi sappiamo certamente terminata nel 1618
e che pertanto al momento può a
ben ragione dirsi la prima opera
di grande impegno compositivo
e al tempo stesso di molte figure
realizzata da Fiasella. A ridosso di
queste opere e prima della Barca di
san Pietro di Santa Maria Assunta
a Sestri Ponente datata 1621, collocherei almeno gli inizi del ciclo
di affreschi con le Storie di Ester di
Palazzo Lomellini a Genova (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, pp.
74-78 con bibliografia precedente), dove nel riquadro raffigurante
Abramo che prega Dio per la salute
del suo popolo, Franco Renzo Pesenti (Pesenti 1986, p. 233) ravvisava
a ragione significative analogie con
la pala di San Lazzaro del 1616. Lo
stretto rapporto, anzi lo stesso ‘pun-
Dopo il restauro, particolare con gli angeli
to di stile’ fra il ciclo Lomellini e la
Discesa dello Spirito Santo è stato
suggerito anche da Piero Donati
(in Domenico Fiasella 2008, p. 80),
che tuttavia colloca l’opera a ridosso della Barca di san Pietro di Sestri
Ponente datata 1621. Aggiungerei
poi il Sant’Antonio abate contempla
la morte di san Paolo eremita proveniente dalla chiesa genovese di San
Sebastiano (Voltaggio, convento dei
Cappuccini; Zanelli in La Pinacoteca 2001, p. 92, n. 25), già accostato
a queste date da Piero Donati (Donati 1974, p. 92, n. 29) e molto
vicino alla pala di Sestri Levante, e
la bella ma un po’ guasta Elemosina
di san Tommaso da Villanova dipinta
per Sant’Agostino a Genova e oggi
nella chiesa di Nostra Signora della
Consolazione: un’opera ancora di
forte sapore romano specie per quei
brani di straordinario naturalismo
rappresentati dal giovane mendico
sulla sinistra e dalla donna col bambino intenta a contare le monete
ricevute, quasi tolta da un quadro
di Carlo Saraceni, ma che non stonerebbe fra i pellegrini astanti della
Madonna di Loreto licenziata dal
Caravaggio fra 1604 e 1605 per
la chiesa di Sant’Agostino a Roma
(Cinotti, Dell’Acqua 1983, pp.
524-525), forse non a caso vicina
al palazzo del mecenate di Fiasella
Vincenzo Giustiniani.
Tale assetto cronologico, che presuppone un unico andamento stilistico nel percorso di Fiasella e non
una doppia maniera corrispondente
a due diversi registri espressivi, come ipotizzato da Castelnovi (Castelnovi 1971, p. 87; 1987, p. 75),
segue l’indicazione tecnica data da
Pesenti (Pesenti 1986, p. 234),
che a una «consistenza stesa e lucida
della pasta del colore, di sostanze
dense e compatte», tipica delle opere finora menzionate, vede sempre
più succedersi andamenti «liquidi e
corsivi» e una «maggiore sensibilità
per le trasparenze e le variegazioni
quel momento l’artista, veloce nel
procedere, ma spesso ritornante sui
propri passi per costruire l’immagine, come evidenziato dai numerosi,
anche importanti, pentimenti (cfr.
anche Donati 1974, p. 20). Un
modo di procedere che, oltre a denunciare la giovane età del pittore,
mi fa pensare più all’approccio del
Caravaggio che a quello dei Carracci; o meglio a quella fusione fra i due
‘stili’ che Vincenzo Giustiniani reputava il miglior modo di fare pittura: «cioè dipingere di maniera e con
l’esempio davanti del naturale, che
così dipinsero gli eccellenti pittori
della prima classe [...] premendo
nel buon disegno, e vero colorito, e
con dare i lumi propri e veri» (in P.
Donati, in Domenico Fiasella 1990,
p. 18).
Ringraziamenti: Paolo Arduino; Archivio diocesano e Biblioteca Niccolò
V di Sarzana, Massimo Bartoletti,
Raffaella Besta; Franco Boggero;
Michela Bolioli; mons. Paolo Cabano; Roberto Caccamo; Mons. Angelo
Carabelli; Gabriella Carrea; Francesca De Cupis; mons. Francesco Isetti;
Elena Parenti; Maria Vittoria Petacco; mons. Alberto Tanasini; Gianluca
Zanelli.
Dopo il resaturo, particolare con gli apostoli
del colore»; insomma: una «pittura
più fratta» tipica dell’attività successiva di Fiasella, influenzata anche
dalle opere genovesi di Orazio Gentileschi.
Al di là della correttezza o meno
della cronologia giovanile fiasellesca qui proposta, è evidente come
questo restauro, oltre a far emergere
un brano di altissima qualità pittorica, abbia consentito di sottolineare l’importanza della Discesa dello
Spirito Santo della chiesa di Santa
Maria di Nazareth di Sestri Levante
nell’ambito del percorso del Sarzana. Già nel 1835 i Fabbricieri della
parrocchia, ritenendo che fosse «l’u-
nico quadro che si ritrova ad avere
questa chiesa di considerazione»
(Rossignotti 1952, p. 17), deliberarono tutte le spese necessarie per il
suo primo restauro. Quello attuale,
come ben emerge dalle relazioni tecniche delle restauratrici e dalla diagnostica [...], ha consentito anche di
capire il modus operandi che aveva in
Bibliografia
Soprani 1674; Neri 1876; Rossignotti 1952, p. 17 e fig. 6; Castelnovi 1971, p.87; Donati 1974, pp.
95, 115, 132-133, fig. 28; Cinotti,
Dell’Acqua 1983; Pesenti 1986, pp.
234-235, fig. 200; Castelnovi 1987,
II, pp. 70, 73, 75, fig. 67; P. Donati in
Domenico Fiasella 1990, p. 20; Papi
1992; Newcome Schleier 1995; Cappelletti 1998; Donati 1998, Donati
2001; Neri 2002; Donati 2002; L’antica Diocesi 2006; P. Donati in Domenico Fiasella 2008, pp. 72-73, fig. 37.
Bibliografia di riferimento
1674
R. Soprani, Le vite de pittori scoltori, et
architetti genovesi e de’ forastieri, che in
Genova operarono con alcuni ritratti de gli
stessi, Genova 1674.
1876
A. Neri, Un quadro affatto ignoto di Domenico Fiasella, Sarzana 1876.
1943
R. Longhi, Ultimi Studi su Caravaggio e
la sua cerchia, in «Proporzioni» I, 1943,
pp. 5-63.
1952
M. Rossignotti, Sestri Levante. Itinerario artistico, Milano 1952.
1971
G.V. Castelnovi, La pittura nella prima
metà del Seicento dall’Ansaldo a Orazio
De Ferrari, in La pittura a Genova e in
Liguria dal Seicento al primo Novecento,
Genova 1971, pp. 67-166.
La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1971.
1974
P. Donati, Domenico Fiasella ‘il Sarzana’, Genova 1974.
1975
I beni culturali della provincia della Spezia, Genova 1975.
1983
M. Cinotti, G.A. Dell’Acqua, Caravaggio, Bergamo 1983.
1986
F.R. Pesenti, La pittura a Genova e in
Liguria. Artisti del primo Seicento, Genova 1986.
1987
G.V. Castelnovi, La prima metà del
Seicento dall’Ansaldo a Orazio De Ferrari,
in La Pittura a Genova e in Liguria, II,
Genova 1987, pp. 59-150.
La Pittura a Genova e in Liguria, Genova
1987.
1990
Domenico Fiasella, catalogo della mostra
(Genova, 1990), a cura di P. Donati, Genova 1990.
1992
G. Papi, Tre dipinti della fase giovanile
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1992, pp. 199-208.
1995
M. Newcome Schleier, Drawings and
paintings by Domenico Fiasella, in «Paragone» 1-2, Firenze 1995, pp. 41-63.
1998
F. Cappelletti, Two Roman paintings
by Domenico Fiasella, in «Burlington
Magazine», CXL, 1138, gennaio 1998,
pp. 28-30.
P. Donati, Fiasella inedito, in «La Casana», XIL, 4, 1998, pp. 34-41.
2001
La Pinacoteca dei Cappuccini a Voltaggio,
a cura di F. Cervini, C. Spantigati, Alessandria 2001.
P. Donati, Vicende della croce di Sarzana
dal XVI al XVIII secolo: spostamenti, associazioni, parentele, in Pinxit Guglielmus.
Il restauro della croce di Sarzana, a cura
di M. Ciatti E C. Frosinini con la collaborazione di R. Bellucci, Firenze 2001,
pp. 17-26.
La Pinacoteca dei Cappuccini a Voltaggio,
a cura di F. Cervini e C. Spantigati, Alessandria 2001.
2002
P. Donati, Beni culturali in provincia della Spezia. Dal Medioevo a metà
dell’Ottocento, Sarzana 2002.
G. Neri, Arcola e il Santuario di Nostra
Signora degli Angeli. Vicende storiche. Memorie, Arcola 2002.
L’antica Diocesi di Brugnato nelle visite
pastorali dei vescovi Lomellini e Tatis, Sarzana 2006.
2007
A. Gesino, M. Romanengo, Excursus fra
luce e ombra dell’attività giovanile e prima
maturità di Domenico Fiasella, in «Studi di
Storia dell’Arte», 18, 2007, pp. 109-141.
2008
R. Contini, Nella Roma di Fiasella, in
Domenico Fiasella, catalogo della mostra
(Sarzana e La Spezia) a cura di P. Donati,
La Spezia 2008, pp. 13-39.
Domenico Fiasella, catalogo della mostra
(Sarzana e La Spezia, 2009), a cura di P.
Donati, La Spezia 2008.
P. Donati, Percorso del Sarzana, in Domenico Fiasella, catalogo della mostra
(Sarzana e La Spezia, 2009), a cura di P.
Donati La Spezia 2008, pp. 41-139.
L. Leoncini, Museo di Palazzo Reale a
Genova. I Dipinti del grande Appartamento Reale, Milano 2008.
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