40. Domenico Fiasella, detto il Sarzana (Sarzana, La Spezia, 1589 - Genova, 1669) Discesa dello Spirito Santo 1618 tecnica/materiali olio su tela scheda Angela Acordon dimensioni 321,5 × 222,5 cm restauro Carla Campomenosi Oberto, Margherita Levoni (Martino Oberto Studio di restauro opere d’arte dal 1950, Genova) iscrizioni in primo piano a destra, sul blocco squadrato: «DOMENICO FIASELLA SARZ. F. MDCXVIII» provenienza Sestri Levante (Genova), parrocchia di Santa Maria di Nazareth collocazione Sestri Levante (Genova), parrocchia di Santa Maria di Nazareth Nella ricca vicenda critica di un pittore molto studiato qual è Domenico Fiasella, le novità più importanti sembrano poter giungere soprattutto da scoperte documentarie o interventi di restauro. È questo il caso della splendida tela della chiesa di Santa Maria di Nazareth a Sestri Levante raffigurante la Discesa dello Spirito Santo, la cui datazione già all’interno del terzo decennio del XVII secolo (Donati 1974, pp. 95, 115; P. Donati, in Domenico Fiasella 1990 p. 20; P. Donati, in Domenico Fiasella 2008, p. 80) mi ha sempre lasciata alquanto dubbiosa. Troppo evidenti, e non ancora perfettamente fuse nel tipico linguaggio che sarà poi dell’artista, le diverse componenti culturali che affascinarono il giovane pittore sarzanese nel suo non breve soggiorno romano, fissato ormai da tutta la critica, alla luce del racconto di Raffaele Soprani (Soprani 1674, pp. 245-253) e dei documenti (Neri 1876, pp. 4-6; P. Donati, in Domenico Fiasella 1990, pp. 94-96, n. 5), fra i termini cronologici del 1607 e del marzo 1616: un vacillare di cui è spia soprattutto il san Pietro, che, pur esemplato sulla figura dello stesso Santo nella Trasfigurazione di Raffaello (Roma, Pinacoteca Vaticana), pare non poter prescindere dal luminismo del San Matteo del Caravaggio refusé per la cappella Contarelli in San Lui­gi dei Francesi a Roma (Cinotti, Dell’Acqua 1983, pp. 412-416, n. 4), poi acquistato dal marchese di origine genovese Vincenzo Giustiniani, principale committente di Fiasella in città e residente nel palazzo proprio di fronte alla chiesa della Nazione francese. La lezione bolognese, trasparente nell’eloquenza retorica di una gestualità d’impronta controriformata, quasi stride rispetto all’acutezza realistica del brano ritrattistico del sacerdote in primo piano, che lascia intendere come Fiasella possa aver guardato anche alla ricerca di Ottavio Leoni, uno specialista del settore così noto in quel tempo a Roma da non poter essere stato ignorato dal Sarzana, nonché agli esiti dei tanti ammiratori del Caravaggio che si contavano allora nella città papale, come Tanzio da Varallo o come alcuni pittori della nutrita colonia toscana affascinati a Roma dalle opere del Merisi. Un modo di comporre e di pensare lo spazio del quadro molto vicino a quello che informa la pala raffigurante San Lazzaro implora la Vergine per la città di Sarzana (Sarzana, San Lazzaro), commissionata a Fiasella il 4 marzo 1616 dai Protettori dell’Opera di Santa Maria per la chiesa del Lazzaretto, di cui avevano la cura, e che, secondo il documento d’archivio reperito da Achille Neri, l’artista avrebbe dovuto consegnare poco più di un mese dopo, il 20 di aprile (Neri 1876, pp. 4-6). Si è detto (P. Donati in Domenico Fiasella 1990, pp. 94-96, n. 5) che in quei mesi Fiasella dovesse essere presente a Sarzana, ma nulla nel documento lo lascia intendere. È semmai l’acquisto di «un’onza di oltra marino per l’Incona a s. Lazaro» destinato al manto della Vergine deliberato il 15 aprile dai Protettori di Santa Maria che, oltre a far slittare almeno di qualche mese la consegna della pala, fa pensare che l’artista potesse essere davvero nella cittadina ligure (Donati 2001, p. 19 e nota 19 a p. 25; Donati 2002, p. 171). Stringenti analogie legano i volti degli angeli e dei cherubini presenti, quasi assiepati, nelle visioni celesti della pala di Sestri Levante e di San Lazzaro: quei visi larghi e quasi schiacciati, dalle volumetrie poco definite e di un biancore da porcellana dipinta più che da epidermide di un viso infantile. Come nella Discesa dello Spirito Santo, anche nella pala sarzanese spicca il brano di crudo realismo della figura di san Lazzaro, collocato quasi nella stessa porzione di spazio del prete ritratto nella tela sestrese, che secondo la tradizione rappresenta Giovanni Battista Muzio, o Musso, il sacerdote che rinnovò l’edificio ecclesiastico e resse la parrocchia dal 1594 fino alla morte, avvenuta nel 1619 (Rossignotti 1952, p. 17). Fortemente affezionato alla sua chiesa, Musso dotò l’altare dello Spirito Santo, per il quale fu realizzata la tela di Fiasella, di un legato assai cospicuo se al tempo della visita apostolica di Niccolò Francesco Lomellini, nel 1723, pur risultando ormai l’altare con la direzione di Angela Acordon indagini Profilocolore s.r.l., Roma; Martino Oberto Studio di restauro opere d’arte dal 1950, Genova senza patroni e senza dotazioni, vi si potevano recitare una messa quotidiana e dodici messe annuali «come per obbligo di un beneficio semplice fondato l’anno 1619 dal detto Reverendo Musso» (L’antica Diocesi 2006, p. 40). In quest’ottica riveste particolare interesse il documento, segnalatomi da Michela Bolioli, conservato nell’Archivio Diocesano di Sarzana, dal quale emerge che il 7 agosto 1614 Giovanni Battista Musso, a seguito di un’istanza di cui non si precisa la data, ottenne dal vescovo Francesco Mottini la concessione di una cappella nella navata destra rispetto al coro della chiesa di Santa Maria di Nazareth «ad effectum in ea erigendi et decorandi [...] altare et ornandi» (Archivio Vescovile Brugnato, Filze Vescovi, filza I, doc. 115). Assieme alla notizia fornitaci nella sua visita pastorale del 1756 da monsignor Domenico Tatis (L’antica Diocesi 2006, p. 225), secondo cui l’altare dello Spirito Santo fu eretto da Giovan Battista Musso, il documento reperito rafforza la convinzione che il committente della Discesa dello Spirito Santo sia stato il prete sestrese e che proprio lui sia la figura ritratta in primo piano nella tela, la cui esecuzione andrebbe perciò anticipata al più tardi al 1619, anno della sua morte; datazione d’altra parte a mio vedere pienamente conforme con la sua collocazione stilistica nell’ambito del percorso giovanile del Sarzana. Un’ipo- Dopo il restauro Durante il restauro, particolare con il sacerdote Giovanni Battista Musso, stuccatura Domenico Fiasella, San Lazzaro implora la Vergine per la città di Sarzana, 1616, Sarzana (La Spezia), frazione di San Lazzaro, chiesa di San Lazzaro Durante il restauro, particolare con firma e data tesi, un tempo solo suggestiva, che oggi trova un’importante conferma avendo il restauro fatto riemergere, seppur poco leggibile a occhio nudo, la firma del pittore e la data di esecuzione del dipinto, collocate sul blocco squadrato in primo piano a destra: «DOMENICO FIASELLA SARZ. F. MDCXVIII». Si tratta di una notevole scoperta che porterà credo a qualche aggiustamento nella definizione della cronologia delle opere giovanili del Sarzana, in questa sede difficile da tentare se non offrendo alcuni spunti che richiedono una più lunga e imprescindibile meditazione. Se mi spingesse ancora lo spirito con cui da giovani ci si lascia trasportare dall’entusiasmo di un’idea, non esiterei ad assegnare a questo triennio (1616-1618) dell’attività di Fiasella, sull’orma di un’intuizione suggeritami da Massimo Bartoletti, la Madonna del Rosario con san Domenico, santa Caterina, san Pio V e san Giovanni d’Austria del Santuario di Nostra Signora degli Angeli di Arcola (La Spezia) (I beni culturali 1975, p. 21, tav. II), che una nota nel libro spese parrocchiale inchioda tuttavia al nome di un altrimenti sconosciuto pittore, Andrea Podenzana della Spezia e soprattutto alla data, apparentemente improbabile perché troppo tarda rispetto allo stile evidenziato nella tela (Donati 2002, p. 175), del 1688-1689 (Neri 2002, p. 45). C’è in quest’opera la stessa dicotomia fra realtà e retorica, fra bisogno espressivo e necessità di compostezza didascalica che caratterizza la pala di San Lazzaro e la Discesa dello Spirito Santo; ma mi colpisce soprattutto la forte affinità fra gli angioletti che popolano le apparizioni celesti delle tre opere, quei visi che ho definito un po’ larghi e schiacciati fin quasi alla deformazione e a un basso rilievo, e il fatto che alla tela si addica perfettamente l’acuta definizione con cui Piero Donati descrive, con grande capacità di sintesi, la pala della chiesa di San Lazzaro: «tutta intrisa di umori romani, questa tela attesta dell’adesione convinta del giovane maestro alla poetica del naturalismo temperato o, se vogliamo, del caravaggismo rivisitato» (Donati 2002, p. 171). Mi chiedo se Andrea Podenzana, nella citazione docu- Domenico Fiasella ?, Madonna del Rosario con san Domenico, santa Caterina, san Pio V e san Giovanni d’Austria, 1616-1618, Arcola (La Spezia), santuario di Nostra Signora degli Angeli Durante il restauro, pulitura Domenico Fiasella, Cena in casa del Fariseo,1616-1618, Genova, Museo di Palazzo Reale Durante il restauro, particolare, pulitura Prima del restauro mentaria definito pittore ma non espressamente indicato come autore dell’opera, non sia stato piuttosto in possesso di un dipinto realizzato da Fiasella, del quale potrebbe essere stato allievo, oppure colui che lo restaurò, fatto che spiegherebbe quelle pennellate a tratti più fluide e più morbide che la pala di Arcola rivela e che non si adeguano del tutto al linguaggio che caratterizza in questi anni lo stile fiasellesco. Un’ipotesi, quest’ultima, che chiarirebbe inoltre la veridicità di un documento difficile sia da contestare, sia da far quadrare con l’attardamento compositivo e stilistico dell’opera, che in ogni caso pare non poter prescindere dalle tele giovanili di Fiasella, come rivela in particolare il confronto fra il gruppo della Madonna con il Bambino nella pala di Arcola e in Prima del restauro, particolare con la figura di Dio Padre, riflettografia a infrarossi quella di San Lazzaro. Credo inoltre significativo che alla Madonna del Rosario sia stato accostato da Mary Newcome Schleier (Newcome Schleier 1995, p. 51, fig. 55a) un disegno, che la studiosa attribuisce a Fiasella, ma che ritiene di circa dieci anni successivo rispetto al dipinto, a suo dire ascrivibile agli anni Venti. Lascio questo spunto di riflessione a chi più di me si è occupato e si occuperà del Sarzana, auspicando che la tela del santuario di Nostra Signora degli Angeli possa essere presto sottoposta a un intervento di restauro, fondamentale dato il suo stato di conservazione e assai utile per individuarne forse l’autore. Per l’idea che sono riuscita a farmi di questi complicati anni dell’attività di Domenico Fiasella – credo non ancora ben chiariti soprattutto per il pur lodevole tentativo di dare immagine al suo lungo soggiorno romano (Papi 1992; Donati 1998; Gesino, Romanengo 2007; P. Donati, in Domenico Fiasella 2008, pp. 40-89; R. Contini in Domenico Fiasella 2008, pp. 13-39) – mi pare che il reperimento della data «1618» sulla tela di Sestri Levante consenta di fare alcune ipotesi. Intanto alcuni elementi stilistici e fisionomici la mostrano non così distante dalle notevoli tele raffiguranti la Resurrezione del figlio della vedova di Naim e la Guarigione del cieco nato (Saratosa, Ringling Museum) dipinte per Vincenzo Giustiniani e citate nell’inventario compilato dopo la sua morte (28 dicembre 1637), datato 9 febbraio 1638 (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, p. 54), ma soprattutto prossima, come già ben vide Gian Vittorio Castelnovi (Castelnovi 1971, p. 87), alla Cena in casa del Fariseo di Palazzo Reale a Genova (Leoncini 2008, p. 250, n. 96 con bibliografia precedente), opera che prende avvio da un piccolo quadro del Cigoli del 1596 (Roma, Galleria Doria Pamphili), poi ampiamente variato rispetto al ‘prototipo’. Si notino i tratti minuti dei visi con i nasi appuntiti che dalla Madonna della pala di Sestri Levante discendono fino a quelli delle figure femminili della Resurrezione del figlio della vedova di Naim, passando attraverso il giovane col berretto rosso sullo sfondo della Guarigione del cieco nato, giustamente secondo Piero Donati (in Domenico Fiasella 2008, p. 67) dipinta un poco dopo. E mi chiedo se fra i due Miracoli Giustiniani non debba collocarsi proprio la pala di San Lazzaro, nelle campiture e nelle scelte cromatiche vicinissima alla Resurrezione oggi a Saratosa, mentre nella Guarigione del cieco nato il fare di Fiasella sembra più ampio e maestoso e si approssima alla Cena in casa del Fariseo di Palazzo Reale a Genova. Si vedano in queste ultime opere le figure di Cristo, dal profilo ‘bolognese’ e i due uomini che si volgono a guardare il gesto di Maddalena, dipinti quasi con le stesse pennellate che definiscono rapide le due teste dietro al Cristo della Guarigione del cieco nato: una pasta pittorica presente anche nella Discesa dello Spirito Santo, dove la testa calva dell’apostolo in primo piano non può non richiamare quella, analogamente glabra, di uno dei convitati nella tela di Palazzo Reale. A Sestri come a Genova, inoltre, sono scomparsi i serici luminismi dei risvolti dei panni e la consistenza delle vesti si è fatta più pesante (dalla seta al fustagno), come nella Resurrezione a Saratosa. A Sestri e a Genova si respira un analogo clima di assembramento, non spiegabile solo col soggetto trattato: in entrambe le opere, tuttavia, gesti e figure costruiscono una composizione a chiasmo che calibra, controllandolo, il dinamismo emotivo suscitato dallo stupore negli astanti. Anche considerando il cattivo stato di conservazione delle tele eseguite su commissione di Valerio Massimi, cugino di Vincenzo Giustiniani, per la chiesa di Santa Maria Assunta a Roccasecca dei Volsci (Cappelletti 1998), mi pare strano che in poco più di un anno, dal novembre 1613, data del saldo dell’Annunciazione, lo stile di Fiasella possa essersi evoluto a tal punto da dipingere capolavori assoluti come i Miracoli di Cristo per Vincenzo Giustiniani, generalmente collocati entro il 1615 (P. Donati in Domenico Fiasella 1990, pp. 88-92, nn. 2-3), quando Fiasella è attestato a Roma col fratello nella parrocchia di San Lorenzo in Lucina (Longhi 1943, p. 31), o ancor prima (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, p. 61). Facendo per scelta riferimento solo a opere che ormai sembrano con- cordemente considerate del Sarzana, un probabile iter cronologico dell’attività di Fiasella dal 1613 potrebbe essere il seguente. Dopo le tele per Roccasecca dei Volsci, l’Assunzione della Vergine (pagamenti nel settembre 1613), che a seguito del restauro è oggi ritenuta una copia antica dall’originale (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, p. 61) e l’Annunciazione, per la quale Fiasella riceve un primo acconto il 24 novembre 1613, a un cospicuo lasso di tempo che non mi azzardo qui a tentare di riempire, potrebbero collocarsi, nell’ordine: la Fuga in Egitto (Greenville, Bob Jones University); la Resurrezione del figlio della vedova di Naim, eseguita almeno parzialmente nello stesso momento della pala di San Lazzaro, che nulla vieta di pensare possa essere stata dipinta a Roma dopo il marzo 1616; la Visitazione di Santa Maria Assunta di Sarzana, molto vicina, ma un po’ più matura, alla pala di San Lazzaro (P. Donati in Domenico Fiasella 1990, pp. 96-97, n. 6; Donati 2002, p. 172) e dove ancora permane l’interesse per gli effetti serici dei panneggi; la Guarigione del cieco nato, che a questo punto cadrebbe dopo il 1616 e costituirebbe un trait d’union con la Cena in casa del Fariseo di Palazzo Reale. Tale dipinto precede a mio vedere di poco la tela di Sestri Levante, che oggi sappiamo certamente terminata nel 1618 e che pertanto al momento può a ben ragione dirsi la prima opera di grande impegno compositivo e al tempo stesso di molte figure realizzata da Fiasella. A ridosso di queste opere e prima della Barca di san Pietro di Santa Maria Assunta a Sestri Ponente datata 1621, collocherei almeno gli inizi del ciclo di affreschi con le Storie di Ester di Palazzo Lomellini a Genova (P. Donati in Domenico Fiasella 2008, pp. 74-78 con bibliografia precedente), dove nel riquadro raffigurante Abramo che prega Dio per la salute del suo popolo, Franco Renzo Pesenti (Pesenti 1986, p. 233) ravvisava a ragione significative analogie con la pala di San Lazzaro del 1616. Lo stretto rapporto, anzi lo stesso ‘pun- Dopo il restauro, particolare con gli angeli to di stile’ fra il ciclo Lomellini e la Discesa dello Spirito Santo è stato suggerito anche da Piero Donati (in Domenico Fiasella 2008, p. 80), che tuttavia colloca l’opera a ridosso della Barca di san Pietro di Sestri Ponente datata 1621. Aggiungerei poi il Sant’Antonio abate contempla la morte di san Paolo eremita proveniente dalla chiesa genovese di San Sebastiano (Voltaggio, convento dei Cappuccini; Zanelli in La Pinacoteca 2001, p. 92, n. 25), già accostato a queste date da Piero Donati (Donati 1974, p. 92, n. 29) e molto vicino alla pala di Sestri Levante, e la bella ma un po’ guasta Elemosina di san Tommaso da Villanova dipinta per Sant’Agostino a Genova e oggi nella chiesa di Nostra Signora della Consolazione: un’opera ancora di forte sapore romano specie per quei brani di straordinario naturalismo rappresentati dal giovane mendico sulla sinistra e dalla donna col bambino intenta a contare le monete ricevute, quasi tolta da un quadro di Carlo Saraceni, ma che non stonerebbe fra i pellegrini astanti della Madonna di Loreto licenziata dal Caravaggio fra 1604 e 1605 per la chiesa di Sant’Agostino a Roma (Cinotti, Dell’Acqua 1983, pp. 524-525), forse non a caso vicina al palazzo del mecenate di Fiasella Vincenzo Giustiniani. Tale assetto cronologico, che presuppone un unico andamento stilistico nel percorso di Fiasella e non una doppia maniera corrispondente a due diversi registri espressivi, come ipotizzato da Castelnovi (Castelnovi 1971, p. 87; 1987, p. 75), segue l’indicazione tecnica data da Pesenti (Pesenti 1986, p. 234), che a una «consistenza stesa e lucida della pasta del colore, di sostanze dense e compatte», tipica delle opere finora menzionate, vede sempre più succedersi andamenti «liquidi e corsivi» e una «maggiore sensibilità per le trasparenze e le variegazioni quel momento l’artista, veloce nel procedere, ma spesso ritornante sui propri passi per costruire l’immagine, come evidenziato dai numerosi, anche importanti, pentimenti (cfr. anche Donati 1974, p. 20). Un modo di procedere che, oltre a denunciare la giovane età del pittore, mi fa pensare più all’approccio del Caravaggio che a quello dei Carracci; o meglio a quella fusione fra i due ‘stili’ che Vincenzo Giustiniani reputava il miglior modo di fare pittura: «cioè dipingere di maniera e con l’esempio davanti del naturale, che così dipinsero gli eccellenti pittori della prima classe [...] premendo nel buon disegno, e vero colorito, e con dare i lumi propri e veri» (in P. Donati, in Domenico Fiasella 1990, p. 18). Ringraziamenti: Paolo Arduino; Archivio diocesano e Biblioteca Niccolò V di Sarzana, Massimo Bartoletti, Raffaella Besta; Franco Boggero; Michela Bolioli; mons. Paolo Cabano; Roberto Caccamo; Mons. Angelo Carabelli; Gabriella Carrea; Francesca De Cupis; mons. Francesco Isetti; Elena Parenti; Maria Vittoria Petacco; mons. Alberto Tanasini; Gianluca Zanelli. Dopo il resaturo, particolare con gli apostoli del colore»; insomma: una «pittura più fratta» tipica dell’attività successiva di Fiasella, influenzata anche dalle opere genovesi di Orazio Gentileschi. Al di là della correttezza o meno della cronologia giovanile fiasellesca qui proposta, è evidente come questo restauro, oltre a far emergere un brano di altissima qualità pittorica, abbia consentito di sottolineare l’importanza della Discesa dello Spirito Santo della chiesa di Santa Maria di Nazareth di Sestri Levante nell’ambito del percorso del Sarzana. Già nel 1835 i Fabbricieri della parrocchia, ritenendo che fosse «l’u- nico quadro che si ritrova ad avere questa chiesa di considerazione» (Rossignotti 1952, p. 17), deliberarono tutte le spese necessarie per il suo primo restauro. Quello attuale, come ben emerge dalle relazioni tecniche delle restauratrici e dalla diagnostica [...], ha consentito anche di capire il modus operandi che aveva in Bibliografia Soprani 1674; Neri 1876; Rossignotti 1952, p. 17 e fig. 6; Castelnovi 1971, p.87; Donati 1974, pp. 95, 115, 132-133, fig. 28; Cinotti, Dell’Acqua 1983; Pesenti 1986, pp. 234-235, fig. 200; Castelnovi 1987, II, pp. 70, 73, 75, fig. 67; P. Donati in Domenico Fiasella 1990, p. 20; Papi 1992; Newcome Schleier 1995; Cappelletti 1998; Donati 1998, Donati 2001; Neri 2002; Donati 2002; L’antica Diocesi 2006; P. Donati in Domenico Fiasella 2008, pp. 72-73, fig. 37. Bibliografia di riferimento 1674 R. Soprani, Le vite de pittori scoltori, et architetti genovesi e de’ forastieri, che in Genova operarono con alcuni ritratti de gli stessi, Genova 1674. 1876 A. Neri, Un quadro affatto ignoto di Domenico Fiasella, Sarzana 1876. 1943 R. 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