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Nella casa
Inviato da Domenico Astuti
martedì 23 aprile 2013
Titolo: Nella casa
Titolo originale: Dans la maison
Francia: 2012. Regia di: François Ozon Genere: Thriller Durata: 105'
Interpreti: Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott-Thomas, Emmanuelle Seigner, Denis Menochet, Bastien
Ughetto, Jean-François Balmer, Yolande Moreau, Catherine Davenier
Sito web ufficiale:
Sito web italiano: www.mymovies.it/nellacasa
Nelle sale dal: 18/04/2013
Voto: 6
Trailer
Recensione di: Domenico Astuti
L'aggettivo ideale: Piacevole
Nella casa su Facebook
Ozon è un ancor giovane regista francese che nell’arco di poco più di dieci
anni ha realizzato ben 14 film. Storie completamente diverse le une dalle
altre, di impostazione prevalentemente borghese e intellettuale. Il primo film
“ La famiglia è simpatica “ con toni grotteschi e surreali, racconta il declino
morale di una famiglia di periferia.
L’anno dopo gira “ Amanti criminali “,
con toni gotici riprende la fiaba di Hansel e Gretel, in cui due adolescenti di
nome Alice e Luc decidono di uccidere un loro compagno di scuola e inserendo
una variante morbosa e voyeuristica. Tra gli altri gira successivamente le
commedie noir “ 8 donne e un mistero “ e “ Swimming pool “.
Nel frattempo
realizza un trittico più uniforme ma ancor meno omogeneo detto, la trilogia del
lutto: “ Sotto la sabbia “, “ Il tempo che resta “ e nel 2009 “ Ricky – una
storia d’amore e di libertà “ in cui ad un bambino crescono le ali di un
angelo.
Regista dagli interessi molteplici e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo
sia nelle storie che nel timbro stilistico, passa da commedie noir a film ‘
gotici ‘ ispirati da Rimbaud, al teatro di Fassbinder fino a quest’ultimo film
tratto da una piece teatrale del drammaturgo spagnolo Juan Mayorga “ Il ragazzo
dell’ultimo banco “ in cui il regista francese ha razionalizzato il magma di
dialoghi e pensieri che si scambiano i due protagonisti.
Eppure, ancora una
volta, pur con le migliori intenzioni non riesce a raggiungere gli obiettivi
prefissati, che sono alti, altissimi, e quindi difficilmente raggiungibili per
un regista colto, bravo, ma non all’altezza di certa cifra stilistica. Forse
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gli manca una scrittura sufficientemente solida, forse l’assenza di regole lo
fanno a volte deragliare, forse per il cinema che vuole rappresentare –
anarchico e insofferente delle convenzioni – avrebbe bisogno di liberarsi dalla
sua cultura borghese e dai troppi debiti narrativi che lo rendono meno
originale di quanto voglia rappresentare.
Debiti narrativi che sono troppi in questo film e quindi lo spingono in troppe
direzioni, pur realizzando un buon film da cineclub. Debiti facili da
riconoscere, riferimenti a temi e suggestioni di altri maestri come Chabrol e
Rohmer, ma anche a Bunuel e Haneke; senza tuttavia mostrare l’ironia o la
fredda profondità di un bisturi o la critica alla famiglia borghese che hanno
reso quei registi dei maestri.
Ma la scena finale è un omaggio a Hitchcock,
le intromissioni del professore protagonista nella vita degli altri sono di
Woody Allen e c’è anche qualcosa di Zavattini e forse nella penultima scena il
Cèline del “ Viaggio al termine della notte “, insomma messa così sembra un
film senza personalità e invece si può dire che è un film godibile ma che non
colpisce il segno se non in parte, una specie di puzzle che vuole raccontare la
genesi della creazione narrativa, la confusione tra verità e fantasia, la
variazione sul tema dell'apparenze e della realtà, la descrizione di di un
interno di famiglia, il rapporto di un adulto e un ragazzo ( l’uno senza un
figlio, l’altro senza una famiglia ) entrambi soli e disamorati che cercano
attraverso la fantasia e la scrittura un mondo che non gli appartiene, la
differenza tra curiosità e voyerismo, la compensazione tra sogno e realtà e si
potrebbe aggiungere altro ancora.
Da segnalare un cast ottimo su cui primeggia come al solito il grande attore
francese Fabrice Lucchini ( “ Le donne del sesto piano “, “ Parigi “, “
Confidenze troppo intime “ ), ma è anche molto brava l’algida Kristin ScottThomas, la dolente Emmanuelle Seigner e il giovane Ernst Umhauer, alla sua
quarta prova di interprete.
Nella provincia francese vive una coppia di cinquantenni borghesi, lui Germain
( Fabrice Luchini ) è un professore di letteratura al liceo Flaubert, scrittore
fallito e innamorato della grande letteratura; lei è Jeanne ( Kristin Scott
Thomas ), una gallerista d’arte moderna che rischia di chiudere l’atelier e
trovarsi a spasso: due isole nela corrente, privi di reale sentimenti. Inizia
un nuovo anno scolastico, tra studenti indolenti, privi di fantasia che
scrivono nei temi: Sabato sono andato al centro commerciale, domenica ho
mangiato la pizza; ma c’è uno studente che incuriosisce dapprima e interessa
dopo un po’ il nostro professore: i suoi elaborati sono pieni di buona
scrittura e di narrativa intrigante; racconta con abilità l'amicizia che
istaura con Rapha ( Bastien Ughetto ), un compagno di classe, non perché lo
trovi interessante, ma perché ha scoperto che ha una famiglia borghese,
apparentemente " perfetta ", famiglia che invece il ragazzo non ha. I temi
sono settimanali e quello che intriga Germain e anche Jeanne, coinvolta dal
marito, è il finale di ogni tema: ' continua '.
Affascinato dalla scrittura e dallo spirito di osservazione dello studente,
Germain lo stimola a continuare a scrivere, mentre il sedicenne Claude si
insinua abilmente in seno alla famiglia del compagno, e diventa quasi di
famiglia nella bella villetta. I piani su cui si svolge la narrazione
diventano quasi subito tre: il rapporto tra professore e allievo in classe e
nei colloqui in cui il professore spiega le tecniche narrative, i trucchi per
ottenere una trama avvincente; Claude nella casa degli Artole mentre sfrutta
l'amicizia con Rapha per osservare la madre e il padre ( Denis Ménochet ),
guardare nei cassetti e frugare nell’intimità della famiglia; e quello privato
di Germain e sua moglie, in cui commentano gli elaborati di Claude e così
conosciamo alcuni momenti della loro vita privata. E sono due realtà borghesi
asfittiche, sofferenti e prive di comprensione reale ( ma Chabrol avrebbe avuto
maggior cattiveria, Haneke ne avrebbe fatto un’autopsia e Hitchcock creato una
suspense maggiore ).
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Settimanalmente Claude consegna a Germain le puntate della sua cronaca
voyeuristica in cui descrive dettagli anche morbosi, come l’odore della madre
del suo amico, della infelicità della donna e dell’attrazione che lui prova per
lei infilandosi nella camera da letto quando non c’è oppure guardarla mentre fa
l’amore con il marito ( e qui sentiamo la mancanza del tocco alla Bunuel ), e
del bacio che riesce a dare alla donna, vorace e fantasioso, della presunta
omosessualità dell’amico, ed emergono anche i problemi lavorativi del padre di
Rapha ( Denis Ménochet ) e le imprevedibili svolte del plot.
Ci si avvia al
finale non prevedibile ma con la consapevolezza che lo scrivere e la fantasia
possono essere pericolosi sia emotivamente che esistenzialmente, ma anche
liberatori. E qui, nel finale, oltre a Cèline ci sembra intravvedere la
poetica di Zavattini che diceva: basta pedinare la realtà per trovare storie
affascinanti.
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