Manuali
Didattica e Ricerca
Roberta Cella, Raffaele Donnarumma,
Alessandro Grilli, Florida Nicolai, Alessandro Russo
LIMINA
Lingua italiana minima d’accesso
alla facoltà di Lingue e Letterature straniere
Nuova edizione
Pisa University Press
LIMINA : lingua italiana minima d’accesso alla Facoltà di lingue e letterature straniere /
Roberta Cella, Raffaele Donnarumma, Alessandro Grilli, Florida Nicolai, Alessandro Russo. –
Nuova edizione. - Pisa : Pisa university press, c2012
(Didattica e ricerca. Manuali)
450 (21.)
1. Lingua italiana I. Cella, Roberta II. Donnarumma, Raffaele III. Grilli, Alessandro IV.
Nicolai, Florida V. Russo, Alessandro
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In copertina
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Indice
Premessa
R. Cella, R. Donnarumma, A. Grilli, F. Nicolai, A. Russo
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Capitolo 1
GRAMMATICA E LESSICO: ALCUNI ELEMENTI DI BASE
1. Grammatica e lessico
2. Fasi e strati della lingua
3. Le regole grammaticali
4. Norma ed errore, uso e variante
7
11
12
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Capitolo 2
I SEGNI E I SUONI
1. I suoni e la grafia dell’italiano
2. L’interpunzione
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Capitolo 3
LE PAROLE NELLA FRASE E NEL DISCORSO
1. Catene di suoni, catene di parole
2. I legami tra le parole
3. Quando il legame non è unico
4. Come l’intonazione (ri)costruisce i legami
5. Spostare le parole nella frase
6. Una scelta di problemi sintattici
37
40
43
49
53
59
Capitolo 4
IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE
1. Le competenze lessicali
2. La formazione delle parole
3. Il significato delle parole
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100
113
Capitolo 5
LA COMPRENSIONE DEI TESTI
1. La scrittura argomentativa
2. La scrittura narrativa
3. La scrittura poetica
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133
144
Glossario
159
Soluzione degli esercizi
167
PREMESSA
R. Cella, R. Donnarumma, A. Grilli, F. Nicolai, A. Russo
La prova valutativa per l’accesso ai corsi di laurea triennale prosegue il percorso
di apprendimento non conclusosi con la scuola secondaria, e insieme fa da soglia
d’ingresso alla formazione universitaria. Il test d’accesso è perciò, per lo studente,
un momento di autovalutazione. Per questa ragione, anziché un manuale tradizionale, magari ridotto, proponiamo un eserciziario ragionato in grado di offrire stimoli di riflessione che troveranno sistematizzazione nel seguito degli studi, secondo il principio della gradualità dell’insegnamento. Gli esercizi sono concepiti per
facilitare il processo di scoperta grammaticale – e quindi di osservazione, confronto, categorizzazione, classificazione – e non per verificare una conoscenza inerte o
passiva. Nei prossimi anni il progetto qui avviato dovrà proseguire coinvolgendo in
modo organico le scuole di secondo grado, in uno scambio e in una collaborazione
continui con l’università, allo scopo di evitare che un’inadeguata conoscenza linguistica e metalinguistica costituisca un handicap sociale e un ostacolo alla piena
fruizione del sapere.
LÌMINA (cioè lingua italiana minima d’accesso, ma anche ‘soglie’ in latino)
vuole anzitutto rendere consapevole lo studente degli aspetti fondamentali della
grammatica, intesa come insieme dei meccanismi che presiedono al funzionamento
della lingua. Con grammatica non intendiamo quindi la serie di norme e divieti che
la scuola dovrebbe avere già trasmesso: intendiamo, invece, l’insieme delle regole
della lingua che il parlante applica inconsciamente ma che richiedono un alto grado
di astrazione per essere formulate in modo esplicito e la cui scoperta si compie in
un processo graduale e continuo di riflessione sul linguaggio. Un esempio: nel parlato informale, anche le persone più colte dicono con disinvoltura a me mi piace
oppure ho visto i tuoi amici e gli ho detto, anche se la norma censura le due espressioni come errori e, di conseguenza, i medesimi parlanti non le metterebbero per
iscritto. Nessun parlante italiano, invece, direbbe mai voglio di sapere la verità oppure voglio sapere il verità, dato che voglio di e il verità non sono previsti come
possibilità combinatorie della lingua italiana, in nessuna varietà o registro. Ebbene,
il nostro eserciziario vuole rendere consapevoli della differenza tra i due casi, cioè
tra infrazione della norma codificata (che vige nello scritto e nel parlato formale) e
agrammaticalità, ovvero infrazione delle regole implicite della lingua.
LÌMINA mira a stimolare la riflessione metalinguistica: lo studente è invitato a
controllare le proprie competenze linguistiche implicite e a passare, da un atteggiamento passivo nei confronti della lingua, a un atteggiamento consapevole. Condurre
questa riflessione sulla lingua madre è un punto di partenza imprescindibile per lo
studio delle lingue straniere: a partire dalla consapevolezza del proprio sistema linguistico si acquisisce la sensibilità necessaria a distinguere tra forma e funzione che
si potrà poi applicare allo studio di lingue anche molto lontane. Ciò è tanto più im-
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
portante perché, data l’età degli studenti, l’insegnamento universitario deve affidarsi
anche a processi espliciti e a un’attitudine al confronto che permetta di individuare
divergenze e concordanze tra le lingue. Un primo passo è capire che ogni fenomeno,
per quanto piccolo, può stimolare l’osservazione, la formulazione di ipotesi e la
comparazione all’interno di una lingua e tra lingue differenti.
Anziché puntare sull’esaustività che si richiede a un manuale universitario tradizionale, abbiamo scelto perciò, tra i molti possibili, solo i nuclei tematici e concettuali più utili, a nostro avviso, per innescare riflessioni sui processi grammaticali. Ci siamo soffermati sulla grammaticalità della lingua, sulla forma dei costituenti
e sul loro sistema di rapporti nella frase (cap. 1); sui suoni dell’italiano e sul loro
rapporto con la scrittura (cap. 2); sui rapporti tra le parole nella frase e nel discorso
(cap. 3); sul lessico e sulle relazioni di significato (cap. 4); sulla comprensione del
testo argomentativo, narrativo e poetico (cap. 5). Per ogni tema affrontato ci siamo
limitati ad alcuni concetti basilari, analizzando i problemi nuovi alla luce delle conoscenze generalmente apprese nella scuola. Sarà compito dei corsi universitari affrontare e chiarire aspetti specifici e fondamenti teorici, così come problematizzare
nozioni e far apprendere la terminologia tecnica. In un eserciziario che prepari al
test valutativo d’accesso è inevitabile semplificare e rinunciare a un lessico e a
concetti che gli studenti in uscita dalla scuola superiore non sono tenuti a conoscere. Abbiamo così preferito tralasciare questioni anche rilevanti, evitando tuttavia di
banalizzare, nascondere o sminuire lo spessore e la complessità degli argomenti
proposti alla riflessione.
Gli autori hanno contribuito collettivamente al volume, concependolo nel corso
di varie occasioni di confronto, mettendone progressivamente a fuoco le finalità e
discutendone i modi e ogni singola parte. Il cap. 1 è stato scritto da Alessandro
Russo, il cap. 2 da Roberta Cella, il cap. 3 da Florida Nicolai, il cap. 4 da Alessandro Grilli, il cap. 5 da Raffaele Donnarumma. Nella seconda edizione (2010) abbiamo corretto i refusi e riscritto o integrato alcuni luoghi, anche alla luce delle osservazioni dei colleghi Anna Belgrado e Fabrizio Wolkenstein Braccini, che ringraziamo.
Simboli impiegati e convenzioni adottate: gli elementi della grafia (singole lettere, digrammi e trigrammi) sono posti tra parentesi uncinate (< >); i significati delle parole o delle frasi sono tra apici semplici (‘ ’); le virgolette doppie (“ ”) si usano
in genere per attenuare il significato di una parola o per indicarne l’uso in
un’accezione particolare, ma sono anche impiegate per delimitare le frasi oggetto
di analisi (le parole o le frasi citate come oggetto di analisi sono altrimenti in corsivo); il grassetto dà rilievo ad alcune parole-chiave; un asterisco (*) premesso a singole parole o frasi significa che quelle parole o frasi sono agrammaticali; il simbolo
§ indica il paragrafo (es.: cap. 3 § 2).
Capitolo 1
GRAMMATICA E LESSICO:
ALCUNI ELEMENTI DI BASE
1. GRAMMATICA E LESSICO
Di cosa è fatta una lingua? Un primo elemento puoi ricavarlo dal confronto tra
le seguenti parole:
roba
bora
orba
Si tratta di tre parole italiane diverse tra loro per significato, ma che hanno almeno
un aspetto in comune: risultano composte dagli stessi suoni (che qui rappresentiamo usando i segni dell’alfabeto tra virgolette doppie) che sono però combinati diversamente: “a”, “b”, “o”, “r”. Se allarghiamo la nostra indagine ad altre parole,
scopriamo che la lingua italiana nel suo complesso è costituita da un numero di
suoni, variamente combinati tra loro, superiore a quelli rappresentati in modo approssimativo dalle 21 lettere del nostro alfabeto, ma comunque circoscritto se si
considerano solo i suoni linguisticamente significativi (indicati con il termine di
fonemi). Possiamo dunque trarre una prima conclusione: la lingua italiana, come
ogni altra lingua, è composta da un sistema di suoni.
Gli altri elementi costitutivi di una lingua si possono ricavare dal confronto tra
le seguenti tre frasi italiane:
1) Ha perso la copertina del libro
2) Hanno perso le copertine dei libri
3) Dei libri hanno perso le copertine
Noterai innanzitutto che tutte le parole della frase 2 si ripresentano nella frase 3 in
forma eguale (in ordine alfabetico: copertine, dei, hanno perso, le, libri), mentre
nella frase 1 compaiono in forma variata (copertina / copertine; del / dei; ha perso / hanno perso; la / le; libro / libri). A che cosa sono dovuti questi cambiamenti
di forma? Con terminologia sommaria si potrebbe dire che la forma copertina serve
a indicare una singola copertina, mentre copertine indica un numero di copertine
superiore a uno; con linguaggio tecnico, possiamo dire che tutti i cambiamenti di
forma riscontrabili tra, da una parte, la frase 1 e, dall’altra, le frasi 2 e 3, servono a
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
esprimere la categoria grammaticale del numero (sempre al singolare nella frase 1,
sempre al plurale nelle frasi 2 e 3).
Avrai notato tuttavia che, per quanto di forma eguale, le parole delle frasi 2 e 3
sono, almeno in parte, in diverso rapporto tra loro: usando anche qui una terminologia non specialistica, possiamo limitarci a dire in via provvisoria che dei libri è in
rapporto con le copertine nella frase 2, ma non nella frase 3, e che hanno perduto è
in rapporto con dei libri nella frase 3, ma non nella frase 2; immutato invece resta
in entrambe le frasi il rapporto tra le copertine e hanno perduto. In altre parole dei
libri nella frase 2 è complemento di specificazione di le copertine, mentre nella frase 3 è soggetto (partitivo) del predicato (verbale) hanno perduto (il cui soggetto
nella frase 2 è invece sottinteso); in entrambe le frasi, infine, le copertine è complemento oggetto di hanno perduto.
Se ora torniamo a confrontare le frasi 1 e 2, notiamo che in esse le parole - pur
essendo, come si è detto, di forma diversa - sono in eguale rapporto tra loro: in entrambe abbiamo infatti un soggetto sottinteso e un predicato (ha perduto / hanno
perduto) seguito da un complemento oggetto (la copertina / le copertine), il quale è
a sua volta determinato da un complemento di specificazione (del libro / dei libri).
Se si considera esclusivamente il rapporto tra le parole che le compongono, si può
dire che le frasi 1 e 2 sono assolutamente eguali. E non è certo difficile formulare
numerose altre frasi italiane del tutto identiche dal punto di vista dei rapporti tra le
parole che le costituiscono (ho trovato la chiave della macchina; abbiamo visitato i
monumenti di Roma, ecc.).
Anche qui sarà opportuno osservare quanto abbiamo già detto a proposito dei
suoni: le frasi che abbiamo analizzato esemplificano solo in minima parte la varietà
di forme e di rapporti che le parole italiane possono assumere all’interno del discorso: per limitarci solo a qualche esempio, il cambiamento di forma può esprimere anche la categoria grammaticale del genere (maestro / maestra), del tempo (amavo / amo / amerò), del modo (amo / amerei), ecc.; il cambiamento di rapporto
può, ad esempio, distinguere la funzione attributiva dell’aggettivo (un’auto veloce
è posteggiata in garage) da quella predicativa (un’auto esce veloce dal garage),
oppure l’uso transitivo di un verbo (il piromane brucia la casa) da quello intransitivo (la casa del piromane brucia), ecc.
Quanto detto fin qui, tuttavia, ci permette di affermare che la lingua è composta,
oltre che da un sistema di suoni, anche da un sistema di forme e da un sistema di
rapporti.
Il sistema dei suoni, in relazione sia alla pronuncia sia alla grafia, è oggetto di
studio della fonetica (vedi il cap. 2).
Il sistema delle forme delle parole considerate all’interno della frase è oggetto di
studio della morfologia (in àmbito scolastico indicata con il termine di “analisi
grammaticale”). Il cambiamento di forma delle parole ha il nome di flessione; la
flessione degli elementi nominali (sostantivi, aggettivi, pronomi) può essere chiamata anche declinazione, e la flessione del verbo anche coniugazione.
Il sistema dei rapporti tra parole all’interno della frase, e il loro associarsi in
gruppi sempre più complessi come la proposizione e il periodo (insieme di due o
Grammatica e lessico: alcuni elementi di base
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più proposizioni in relazione tra loro), è oggetto della sintassi (in àmbito scolastico
chiamata “analisi logica” e “analisi del periodo”; sull’argomento vedi il cap. 3).
Analisi morfologica e analisi sintattica sono spesso interdipendenti. Considera ad
esempio una parola come sale: dal punto di vista esclusivamente morfologico essa
potrebbe essere considerata: 1) sostantivo singolare maschile (il sale), 2) sostantivo
plurale femminile (le sale) e 3) terza persona singolare del presente indicativo attivo
del verbo salire (egli sale). Una scelta tra queste possibilità può avvenire solo grazie
all’analisi sintattica, e dunque solo quando sale entra in rapporto con altre parole
all’interno di una frase (il sale del mare, le sale del palazzo, la temperatura sale).
L’esempio di sale si potrebbe facilmente moltiplicare (cfr. amo, parto, porta, porto,
legge, ecc.): queste ambiguità morfologiche (riscontrabili in tutte le lingue) sfuggono spesso ai parlanti, che di volta in volta selezionano istintivamente l’esatta interpretazione di una parola morfologicamente ambigua.
L’analisi del contesto può svolgere una funzione chiarificatrice non solo, come si è
visto, per l’analisi morfologica, ma anche per l’analisi sintattica: vedi l’esempio di
una vecchia legge la regola discusso nel capitolo 3.
Fonetica, morfologia e sintassi costituiscono la grammatica di una lingua, cui
si affianca il lessico, ossia l’insieme dei vocaboli di una lingua considerati indipendentemente dalle loro variazioni fonetiche e morfologiche e dalle loro funzioni sintattiche.
Dal punto di vista di un’analisi esclusivamente lessicale, dunque, rappresentano
sempre la stessa parola, ad esempio, le varianti (fonetiche) pretensioso / pretenzioso,
obiettivo / obbiettivo e le varianti (morfologiche) amo / amerò / amai / ameresti, ecc.
Prova ora a rispondere alle domande:
Data la pseudofrase “Molti ligai sono stati detorcati”, possiamo dire che:
a alla pseudofrase manca il verbo
b la pseudofrase è grammaticalmente corretta
c la pseudofrase è grammaticalmente scorretta
d alla pesudofrase manca il soggetto
Questo esempio mostra chiaramente come il lessico sia separabile dalla grammatica di una lingua: la pseudofrase dell’esercizio proposto, infatti, pur utilizzando alcune parole che non rientrano nel lessico della lingua italiana (ligai, detorcati), ne
rispetta pienamente i sistemi fonetico, morfologico e sintattico): la risposta esatta è
dunque la b.
Dalla pseudofrase “I martotti sono stati fostriti” capisco che:
a alla pseudofrase manca il soggetto
b il soggetto della pseudofrase è plurale
c l’azione della frase è al presente
d il verbo è in forma attiva
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
Si tratta di una questione analoga alla precedente: solo, osserva che il pieno rispetto
della grammatica italiana permette persino, pur in presenza di un lessico in parte
inesistente (martotti, fostriti), di analizzare questa pseudofrase in tutti i suoi aspetti
morfologici e sintattici: sono stati (che in italiano caratterizza il tempo passato
prossimo passivo dei verbi: cfr. sono stati amati) permette di escludere che l’azione
della frase sia al presente e che il verbo sia in forma attiva (ricorda che tempo e
forma sono categorie morfologiche): sono da escludere quindi le risposte c e d).
Considera inoltre che martotti:
1) termina con una –i (che caratterizza il plurale dei sostantivi italiani, per lo più
di genere maschile, che al singolare escono in –o: cfr. ad es. libro / libri);
2) è determinato dall’articolo i, usato in italiano in connessione a sostantivi maschili plurali;
3) è in posizione iniziale di frase immediatamente prima di un’espressione (sono stati fostriti) che, come abbiamo visto, a causa della presenza di sono stati si lascia riconoscere come voce verbale con funzione di predicato.
Osserva infine che tra il predicato (lessicalmente inesistente) sono stati fostriti
(anch’esso terminante in –i e quindi riconoscibile come possibile forma maschile
plurale) sembra sussistere quella concordanza in genere e numero richiesta in italiano per mettere in rapporto il predicato al suo soggetto.
La combinazione di questi dati ti permetterà di capire che i martotti è soggetto
(categoria sintattica) al plurale (categoria morfologica): la risposta esatta è dunque
la b.
Esercizi
1. Data la pseudofrase “Molti ligai sono stati detorcato”, possiamo dire che:
a alla pseudofrase manca il verbo
b la pseudofrase è grammaticalmente corretta
c la pseudofrase è grammaticalmente scorretta
d alla pseudofrase manca il soggetto
2. Data la pseudofrase “I marpiotti acrivosi sono stati ammartolati”, possiamo
dire che:
a il soggetto è di genere grammaticale femminile
b è sicuro che la pseudofrase non contenga alcun aggettivo
c il verbo è in forma attiva
d il verbo è in forma passiva
3. Data la pseudofrase “Le girfandole afflicavano il rimolo”, possiamo dire che:
a il soggetto è di genere grammaticale maschile
b la pseudofrase contiene sicuramente un aggettivo
c il verbo è coniugato in forma attiva
d il complemento oggetto è di genere grammaticale femminile
Grammatica e lessico: alcuni elementi di base
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4. Data la pseudofrase “Lo carpiotto postricava trano nel callupo”, possiamo dire che:
a il verbo è coniugato in forma passiva
b l’avverbio è preposto al verbo
c c’è un errore grammaticale
d il complemento oggetto è di genere grammaticale femminile
2. FASI E STRATI DELLA LINGUA
Lessico e grammatica di una lingua possono cambiare nel corso del tempo.
Nell’italiano di oggi, ad esempio, non si usa più l’avverbio poscia ‘dopo, in seguito’, attestato in testi letterari del passato (cfr. Dante, Paradiso VI 1: «Poscia che
Costantin l’aquila volse»); la variante fonetica brieve (cfr. G. Boccaccio, Decameron II 10, 19: «Messere, voi siate il ben venuto, e rispondendo in brieve, vi dico così») è stata soppiantata da breve; la forma originaria in –a della prima persona singolare dell’imperfetto indicativo attivo (ad es. io amava [dal latino amabam]: cfr.
F. Petrarca, Canzoniere, XI 5: «Mentr’io portava i be’ pensier’ celati») è stata sostituita dalla forma in –o (io amavo); l’uso transitivo di abdicare (es. abdicò i suoi
poteri), ancora raccomandato nelle grammatiche normative di pochi anni fa, ha
ormai definitivamente lasciato il posto all’uso intransitivo (es. abdicò ai suoi poteri), riconosciuto come l’uso normale nei dizionari più recenti, i quali classificano
invece l’uso transitivo come antiquato.
Dal punto di vista della sua evoluzione nel tempo, dunque, anche nell’italiano,
come in ogni lingua, è possibile individuare il susseguirsi di varie fasi (ad es.
l’italiano delle origini, l’italiano del Trecento, l’italiano del Settecento, l’italiano
contemporaneo, ecc.).
All’interno di ogni singola fase nella storia di una lingua si possono inoltre individuare diversi strati: per esempio, l’italiano parlato – ovviamente non compiutamente documentabile per le fasi storiche precedenti all’invenzione delle registrazioni audio –, o scritto, o tecnico, o burocratico-amministrativo, o gergale, o delle
persone incolte, ecc. Tali strati si distinguono anch’essi, come ciascuna fase, per
alcuni aspetti del lessico e della grammatica. Nell’italiano contemporaneo, ad esempio, usiamo spesso ’sto, ’sta, ’sti e ’ste in una conversazione informale, ma nella lingua scritta usiamo sempre questo, questa, questi e queste, a meno che non vogliamo riprodurre appunto le caratteristiche della lingua parlata; esclusivo della
lingua della conversazione informale, ed evitato nella lingua scritta, è l’uso di c’ho,
c’hai, ecc.; è molto probabile, inoltre, che di fronte alla parola scritta rià (usata nel
titolo di un prestigioso quotidiano), un qualsiasi lettore italiano stenti a riconoscere
immediatamente una parola assai usata nella lingua parlata (la terza persona singolare del presente indicativo del verbo riavere).
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
3. LE REGOLE GRAMMATICALI
Nel corso dei tuoi studi scolastici hai già incontrato delle regole grammaticali,
che ti sono state insegnate come se preesistessero alla lingua e alle quali il parlante
non dovesse far altro che adeguarsi. In realtà, ogni parlante applica spontaneamente
tali regole di funzionamento, anche senza sapere né dar loro un nome né trovar loro
una ragione. Per esempio, ogni parlante italiano sa che si dice mi piace andare al
mare e non *mi piace di andare al mare o *mi piace che andare al mare (sa ciòè
riconoscere l’agrammaticalità, sulla quale vedi il cap. 3, § 1.1), anche se spesso,
richiesto di dirne il perché, non sa formulare una regola esplicita.
Ma come si arriva a formulare esplicitamente le regole grammaticali che operano nella lingua? Si tratta di un processo in genere molto complesso ma che, almeno
nelle sue linee essenziali, possiamo provare a ripercorrere assieme qui prendendo le
mosse da due semplici frasi:
1) ieri la prova è andata abbastanza bene
2) ieri le prove sono andate abbastanza bene
Prova innanzitutto a osservare e a confrontare queste frasi dal punto di vista morfologico (cioè analizzando la forma delle parole che le compongono): noterai che
in esse alcune parole si ripresentano in forma variata (la / le, prova / prove, è andata / sono andate), mentre altre restano immutate (ieri, abbastanza, bene). Possiamo
a questo punto stabilire una prima, generalissima norma grammaticale: nella lingua
italiana ci sono parole variabili e parole invariabili (che è invalso l’uso di designare
rispettivamente con le espressioni “parti variabili” e “parti invariabili” del discorso).
Proviamo ad approfondire ulteriormente la nostra analisi morfologica e cerchiamo di descrivere quali siano i mutamenti subiti dalle parti variabili. Se prendiamo in considerazione la variazione del sostantivo femminile prova / prove, possiamo constatare che:
1) la variazione riguarda solo la parte finale della parola (indicata dai grammatici
con il termine di desinenza o terminazione e costituita in questo caso dalla lettera –
a), mentre nessun mutamento avviene nella parte precedente (chiamata tema);
2) la vocale –a del singolare si muta in –e al plurale.
Se allarghiamo la nostra analisi al resto della lingua italiana, scopriamo che numerosissimi altri sostantivi sono soggetti a questa identica variazione: nuvola / nuvole, strada / strade, pianta / piante, ecc. Possiamo quindi arrivare alla seguente
conclusione:
in italiano i sostantivi femminili che al singolare terminano con la vocale –a
formano il plurale cambiando la desinenza in –e.
Abbiamo così ottenuto un’altra regola grammaticale, grazie alla quale riusciamo
a dar conto, in modo molto economico, di una vasta categoria di fatti linguistici
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Grammatica e lessico: alcuni elementi di base
(cioè, in questo caso, come mutano al plurale tutti i sostantivi femminili che al singolare escono in –a).
Prova ora ad applicare lo stesso procedimento di osservazione e confronto ad
alcune parole della lingua Kanuri (parlata in Nigeria), di cui si fornisce tra apici la
traduzione in italiano:
karite ‘eccellente’
kura ‘grande’
gana ‘piccolo’
dibi ‘cattivo’
nəmkarite ‘eccellenza’
nəmkura ‘grandezza’
nəmgana ‘piccolezza’
nəmdibi ‘cattiveria’
Se la parola kanuri che significa ‘lunghezza’ è nəmkurugu, possiamo dire che
‘lungo’ si dice:
a kura
b nəmkuru
c kurugu
d namkura
Se osservi e confronti i dati che ti sono forniti, puoi ricavare una norma grammaticale: nella lingua Kanuri i sostantivi astratti (elencati nella colonna di destra) si
formano aggiungendo il prefisso nəm all’aggettivo corrispondente. Questa osservazione ti permetterà di stabilire che la risposta esatta al quesito proposto è la c.
Prova ora a considerare le seguenti forme verbali del Tagalog (lingua delle Filippine), di cui si fornisce tra apici la traduzione italiana:
basa ‘leggere’
tawag ‘chiamare’
sulat ‘scrivere’
bumasa ‘leggi!’
tumawag ‘chiama!’
sumulat ‘scrivi!’
babasa ‘leggerà’
tatawag ‘chiamerà’
susulat ‘scriverà’
Se ‘venire qui’ si dice lapit, quale potrebbe essere la forma Tagalog per ‘vieni
qui!’?
a lalapit
b lumapit
c lamapit
d lumupit
Anche qui l’osservazione e il confronto dei dati forniti ti permetterà di stabilire la
seguente norma grammaticale: nella lingua Tagalog l’imperativo (esemplificato
dalle forme elencate nella colonna di centro) si forma tramite l’infisso um inserito
dopo la consonante iniziale del verbo all’infinito (le forme riportate nella colonna
di sinistra), e quindi dall’infinito lapit otterrò l’imperativo lumapit (risposta b).
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
Le regole grammaticali non sono solo il frutto dell’analisi da parte del grammatico professionista: in realtà, qualsiasi parlante, in forma più o meno cosciente e in
modo più o meno preciso, coglie i meccanismi che regolano il funzionamento della
propria lingua. Prova infatti a riflettere sul fatto che il bambino che sta acquisendo
la lingua italiana talora dice parole del tipo *aprito per aperto, *corruto per corso.
Perché?
a le ha sentite dire per gioco dagli adulti
b già conosce le regole per la formazione del participio italiano e le generalizza,
applicandole anche quando non dovrebbe
c gli piace stupire gli adulti con parole strane
d sono parole del dialetto locale
La risposta esatta è la b: il bambino infatti ha in questo caso osservato che in genere a parole come, ad esempio, finire, bollire, capire ecc. (cioè, direbbe il grammatico, all’infinito presente dei verbi della terza coniugazione) corrispondono le parole
(i participi passati) finito, bollito, capito ecc., e che a credere, cadere, sbattere ecc.
corrispondono creduto, caduto, sbattuto ecc. Il bambino ha quindi dedotto la regola
grammaticale che –ire cambia in –ito (e quindi da aprire ricava *aprito) e che –ere
cambia in –uto (e quindi da correre ricava *corruto).
Nel suo ragionamento il bambino ha seguito il principio dell’analogia proporzionale, schematizzabile come:
servire : servito = aprire : x
Il comportamento analogico non è solo del bambino, ma è una delle manifestazioni, sicuramente la più nota, della “pressione” che il parlante fa sulla propria lingua. È, infatti, un processo che, sebbene sporadico, spiega diversi mutamenti che
avvengono nella storia di una lingua, e fa sì che forme irregolari o asimmetriche si
conformino ad un modello regolare o simmetrico. Ad esempio, alla base del passaggio dal latino esse all’italiano essere vi è un processo di analogia di tipo proporzionale: poiché in italiano gli infiniti presenti dei verbi terminano in –re (amare,
leggere, venire), questa desinenza è aggiunta anche all’infinito latino esse; ed è sulla base di un procedimento analogico che, nella lingua parlata italiana, il plurale di
euro (inteso come nome della valuta) viene talora reso con euri (anche se alcuni
grammatici sostengono che, in quanto forma abbreviata di euromoneta, euro dovrebbe comportarsi come auto, forma abbreviata di automobile, ed essere quindi
invariabile al plurale).
4. NORMA ED ERRORE, USO E VARIANTE
1) Per aprire bisogna premere il pulzante in alto a destra
2) Venghi pure avanti!
3) Se verrebbe a trovarmi, l’inviterei a cena
Grammatica e lessico: alcuni elementi di base
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Anche chi abbia una conoscenza non professionale della lingua italiana sarà in
grado di riconoscere che le 3 frasi ora citate sono sbagliate e di osservare che «non
si scrive pulzante, ma pulsante», che «non si dice venghi ma venga» e infine che
«non si dice se verrebbe a trovarmi, ma se venisse a trovarmi». Il grammatico potrà poi precisare che nella frase 1 vi è un errore di tipo fonetico; che nella frase 2
vi è un errore morfologico (perché la terza persona singolare del congiuntivo presente di venire è venga) e che nella frase 3 vi è un errore sintattico (perché in italiano la prima frase del periodo ipotetico richiede l’uso o del modo indicativo o,
come in questo caso, del modo congiuntivo, ma mai del modo condizionale). I tre
errori sono tali non perché nessun parlante italiano li dica (e infatti tutte e tre le frasi si possono ascoltare, pronunciate da parlanti non istruiti o in discorsi molto informali e poco “sorvegliati”): sono errori solo perché esiste una norma, cioè un insieme di regole codificate e trasmesse (dalla scuola, per esempio) e riconosciute
valide dalla comunità dei parlanti istruiti, che li censura. Altra cosa è invece
l’agrammaticalità (vedi cap. 3, § 1.1), cioè l’impossibilità stessa che una forma linguistica esista per un parlante (sarebbero ad esempio agrammaticali *Per aprire
bisogna che premendo il pulzante in alto a destra, *Pure venghi tra avanti!, Se
verrebbe che me trovare, l’inviterei a cena).
Ora si vedano:
4) Il gelato, quanto mi piace!
A me, mi piace di più la granita
5) Il caffè, lo paghi tu?
No, scusa, non c’ho soldi
6) alle ragazze, non gli ho detto niente
Se, forse, solo un parlante poco istruito potrà mai pronunciare le frasi 1, 2 e 3, al
contrario anche un parlante istruito, e pienamente consapevole della norma, potrà
in qualche circostanza pronunciare le frasi 4, 5 e 6, ciascuna delle quali contiene un
elemento che la scuola ci ha insegnato essere un errore (a me mi, averci, gli riferito
ad un plurale e per di più femminile). Certo il parlante istruito non le scriverà, ma
parlando con gli amici o i familiari, in situazioni non formali (nelle quali cioè non
occorre attenersi ad un codice comportamentale per dare la migliore immagine di
sé) e in un discorso spontaneo (cioè senza stare troppo a pensarci su e a controllare
le proprie parole) anche una persona coltissima potrebbe pronunciarle. In un’altra
situazione, con estranei, in situazioni formali e in un contesto sorvegliato, quello
stesso parlante colto potrebbe dire o scrivere:
7) Io preferisco la granita
8) Sono desolato, ma non ho denaro con me
9) A loro (= alle ragazze) non ho detto niente
Non ho detto loro (= alle ragazze) niente
Le frasi 4, 5 e 6 riflettono l’uso quotidiano che un parlante non incolto fa della
lingua, anche se infrangono la norma; le frasi 7, 8 e 9 sono invece perfettamente
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Cella-Donnarumma-Grilli-Nicolai-Russo
rispettose della norma: la differenza tra il primo e il secondo gruppo sta nelle diverse circostanze (più informali le prime, più formali le seconde) in cui si pronunciano. Di fatto, la norma si applica – anche piuttosto rigidamente – solo ad alcuni
àmbiti d’uso della lingua (lo scritto e il parlato formale), ma non a tutti indistintamente. Contesti diversi danno luogo a varietà diverse di lingua: al mutare delle
condizioni la stessa cosa si dice in un altro modo (si vedano le differenze lessicali e
morfosintattiche tra le frasi 4 e 7, 5 e 8, 6 e 9).
La lingua che parliamo è il nostro modo di presentarci agli altri, è cioè il primo
modo di essere animali sociali: se presentarsi ad una festa di matrimonio con i
jeans sdruciti e le ciabatte infradito o, al contrario, indossare l’abito da sera per andare a fare la spesa sotto casa non sembra opportuno a nessuno di noi, allo stesso
modo parlare in modo inappropriato rispetto al contesto, agli interlocutori, a ciò
che si sta dicendo infrange le regole non scritte, ma molto radicate nella cultura,
che presiedono ai rapporti interpersonali.
Naturalmente, se per non commettere errori basta conoscere la norma (facilmente reperibile in ogni buona grammatica scolastica), per scegliere la varietà adatta ad ogni diverso contesto occorrono una sensibilità, una cultura e una consapevolezza linguistica maggiori, frutto di apprendimento. Per questa ragione forse non
risulteranno immediatamente evidenti le improprietà presenti in queste frasi:
10) Siamo lieti di riceverLa, Santo Padre, in questo consesso che ha già ospitato
il Suo venerato predecessore e che attende da Lei, come potrà immaginare, parole di conforto dinnanzi a questioni tanto rognose
Qui non troviamo alcun errore di tipo grammaticale, ma abbiamo un’improprietà
nel lessico. Data l’occasione del discorso, il tono è particolarmente formale, come
dimostra l’uso di una sintassi elaborata, di perifrasi sostenute (il suo venerato predecessore), di un lessico elevato (lieti al posto del più semplice “felici”, consesso
anziché “assemblea”, dinnanzi per “davanti”). L’aggettivo finale, rognose, suona
allora come una stecca: si tratta infatti di un termine comune nell’italiano colloquiale e che qui risulta del tutto inadatta, anche perché richiama in metafora una
malattia tutt’altro che nobile come la rogna.
La casistica dell’improprietà lessicale è molto varia: la più banale, al limite
dell’errore, è costituita dallo scambio tra due parole molto simili nella fonetica ma
di significato assai diverso (perseguitare anziché perseguire un obiettivo; sbrigliare anziché sbrogliare una matassa, ecc.), o dall’uso di parole inesistenti (es.
*aumentazione per aumento, *costringizione per costrizione, ecc.). La forma più
insidiosa di inadeguatezza lessicale – e la più diffusa tra gli studenti universitari – è
invece l’uso di una parola tipicamente colloquiale all’interno di un àmbito di discorso formale, come già abbiamo visto nell’es. 10 e come vediamo ora:
11) Salve prof, mi chiamo Mario Rossi. A causa di problemi insorti relativamente all’orario quest’anno non ho potuto seguire il suo corso; volevo sapere se
potevo dare l’esame da non frequentante nella prossima sezione d’appello. In attesa di una sua risposta le porgo distinti saluti