Manuale di Sociologia A cura di Roberto Cipriani Maggioli Editore Organizzazione di Federico Butera 1. Premessa Si afferma che le scienze giuridiche siano le uniche scienze sociali esatte poiché le norme ‒ che sono un’invenzione sociale ed un artefatto sociale ‒ possono essere emanate, interpretate, cambiate e studiate a partire dall’atto positivo di un atto di volizione umana e prescindere dalla complessità dei fenomeni sociali che esse tendono a regolare. Le scienze dell’organizzazione studiano anch’esse un artefatto sociale ossia un sistema complesso di regolazione per “condurre elementi dispersi a unità e in vista di un fine”. Le scienze organizzative hanno avuto nel tempo un orientamento prevalentemente normativo e progettuale con una forte tensione a circoscrivere il proprio oggetto entro i confini che gli architetti, i progettisti, i gestori delle organizzazioni avevano fissato. Le scienze dell’organizzazione come vedremo includono un gran numero di discipline fra cui quelle più orientate a strutturare i sistemi di regolazione formali come diritto, economia, ingegneria, scienze dell’informazione (principalmente le Gesellschaften nei termini di Tönnies1), ma anche quelle orientate a comprendere e far evolvere i sistemi di regolazione sociali (le Gemeinschaften) come la sociologia, la psicologia, la medicina, la pedagogia, le scienze della comunicazione ed altro. Non sorprende quindi che il primo gruppo di discipline sia divenuto dominante rispetto alle seconde, relegate spesso a studiare “gli effetti sociali dell’organizzazione”. In realtà sono materia elettiva della sociologia, ed in particolare della sociologia dell’organizzazione, non solo studio, progettazione e gestione dell’ “artefatto sociale – organizzazione” visti con categorie diverse dalle altre discipline, ma anche i processi sociali dei sistemi formali e non formali della regolazione, il sistema degli interessi, di potere e di dominanza, che si attivano nelle organizzazioni, le relazioni fra organizzazioni, istituzioni e movimenti. Soprattutto oggetto primario della sociologia dell’organizzazione è l’indagine sulla natura ed i paradigmi dell’organizzazione e sulla condivisione e cambiamento dei sistemi di regolazione . In questo contributo si sostiene che la sociologia dell’organizzazione ha il compito non solo di studiare e comprendere le organizzazioni ma anche e soprattutto quella di contribuire a progettarle e cambiarle. 2. Che cosa è un’organizzazione Un’organizzazione è un’entità collettiva dotata di qualche formalizzazione costituita per raggiungere fini. Un’organizzazione si distingue per questo dalle istituzioni, dal mercato, dai gruppi primari, dai movimenti, dalle comunità, anche se in ogni organizzazione vi è una componente di ciascuna di esse ed anche se l’organizzazione vive in una continua interazione con esse. 1 TÖNNIES F., Gemeinschaft und Gesellschaft. Abhandlung des Communismus und des Socialismus als empirischer Culturformen, O. R. Reisland, Leipzig, 1887; 2a ed., Fues’s Verlag, Leipzig, 1912; 8a ed. ampl., Buske, Leipzig, 1935 (tr. it., Comunità e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1963). Per Gallino2, tre sono le accezioni attribuite al termine organizzazione: un soggetto, un’attività, una struttura. La nostra società è costituita da un gran numero di organizzazioni ossia da soggetti collettivi riconoscibili dotati di una personalità giuridica, economica e sociale: alcuni sono soggetti legalmente riconosciuti come imprese, amministrazioni pubbliche, scuole, associazioni, fondazioni, partiti. Altri sono soggetti legittimi, ma non legalmente costituiti come gruppi culturali, sportivi, religiosi, morali. Alcuni sono soggetti spesso ben organizzati e potenti ma illegali, come una cosca mafiosa. Vi è un gran numero di tipologie organizzative che distinguono le organizzazioni in base ai fini (come imprese private, enti pubblici, enti non profit); al settore (agricoltura, industria, servizi); all’area merceologica (ad esempio imprese metalmeccaniche, chimiche, elettroniche); alla dimensione (ad esempio imprese grandi, medie e piccole); all’estensione geografica (organizzazioni locali, organizzazioni multinazionali). Vi sono organizzazioni semplici (una bottega artigiana, un piccolo laboratorio, un negozio, una piccola impresa, ecc.); organizzazioni complesse (un esercito, una grande impresa, una grande burocrazia pubblica, ecc.); organizzazioni a rete (la lega Anseatica, un distretto industriale); sistemi (il sistema della ricerca scientifica, ecc.): piattaforme produttive ( la produzione informatica, il sistema moda). Il termine organizzazione fa anche riferimento all’attività organizzatrice, ossia come ordinare le attività nel tempo, nello spazio e nell’impiego delle risorse (Weick3). L’agire organizzativo riguarda la ricerca dei modi più adatti ‒ nei diversi contesti e nelle diverse circostanze ‒ per cooperare, condividere le conoscenze, coordinare, generare senso e comunità fra le persone (Butera4). L’attività organizzatrice è quindi un insieme di prassi per la regolazione dei comportamenti e delle azioni che può derivare da leggi, procedure, sistemi tecnologici, prescrizioni gerarchiche, ma in gran parte è il frutto delle conoscenze esperte e tacite, delle competenze, delle esperienze, delle memorie, delle intuizioni, delle pratiche individuali e di gruppo e soprattutto della coscienza del fine da raggiungere. L’organizzare tende a condurre un sistema da uno stato di relativo disordine ad uno di maggior ordine, ossia tende a comprendere, guidare, controllare una serie di eventi per conseguire un risultato o per evitare un danno. In questo senso, ordine ed organizzazione sembrano sinonimi. Il disordine però non è sempre un male: una crisi, una scoperta casuale, il rifiuto per ciò che è consolidato, la rottura di un paradigma, talvolta possono infatti portare a riorganizzare in modo migliore l’esistente o organizzare il futuro. Il passaggio da un modello di organizzazione ad uno diverso è spesso il risultato di un movimento come mostra Alberoni5 in questo volume. Abbiamo detto che organizzare è portare ad unità elementi dispersi in vista di fini. I sistemi di regolazione per ottenere ciò sono molteplici: a) sistemi di fini e prestazioni economici e sociali; b) aggregati di risorse utilizzate per raggiungere i risultati come risorse economiche, tecnologie, edifici e soprattutto persone; c) componenti di una configurazione organizzativa come processi, compiti, ruoli, struttura formale, sistema sociale, cultura, ecc. : l’insieme di essi costituisce la “struttura organizzativa” Tutte le organizzazioni hanno un modello o paradigma più o meno stabile dei componenti dell’organizzazione e delle relazioni tra le persone e le cose per conseguire uno scopo. Tale modello è dato dall’insieme di teorie, leggi e strumenti accettati universalmente (Kuhn6), è un’“unità stilistica”, una cultura, un’ideologia riconoscibile e riproducibile data dall’insieme dei fini, delle risorse e della configurazione organizzativa, che ‒ per la nascita, sopravvivenza e sviluppo ‒ devono essere internamente coerenti ed appropriate all’ambiente esterno. In particolare coerente ed appropriata deve essere la configurazione organizzativa ossia il modello delle relazioni normative, tecniche, procedurali, valoriali, comunicative stabilite intenzionalmente da/fra gli uomini per agire in modo adeguato a raggiungere i fini del soggetto organizzativo e dei suoi membri (Butera7). Molte sono le metafore che sono state usate per rappresentare i modelli organizzativi: l’organizzazione come macchina, l’organizzazione come organismo, l’organizzazione come sistema aperto e molte altre (Morgan8). 2 GALLINO L., Organizzazione, in GALLINO L., Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1978, pp. 488-493; GALLINO L., Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino, 1968. 3 WEICK K. E., The Social Psychology of Organizing, Newbery Award Records, New York, 1969 (tr. it., Organizzare, UTET, Torino, 1993). 4 BUTERA F., Il cambiamento organizzativo, Laterza, Roma-Bari, 2009. 5 ALBERONI F., Mutamento e movimenti , in questo volume. 6 KUHN T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969 (ed. or., The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago, 1962). 7 BUTERA F., L’orologio e l’organismo. Il cambiamento organizzativo nella grande impresa in Italia, FrancoAngeli, Milano, 1984. 8 MORGAN G., Images. Le metafore dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1994 (ed. or., Images of Organizations, Sage, London, 1997). Per ottenere coerenza e appropriatezza l’organizzazione si configura come un artefatto sociale, ossia una costruzione umana che viene ideata, progettata, realizzata, gestita, vissuta, modificata con una “personalità” diversa non solo fra tipi diversi di organizzazione, ma fra modelli o paradigmi di diversa concezione. Questo spiega perché l’organizzazione associata ad una catena di montaggio è diversa da quella associata alla gestione di un sincrotrone, perché i processi formalizzati di una burocrazia pubblica possono essere attivati da strutture organizzative molto formalizzate e condotti da persone con una preparazione e responsabilità professionale relativamente basse mentre i processi di ricerca o di creazione artistica richiedono organizzazioni creative e persone ad alta qualificazione professionale. Ma spiega anche che un reparto di produzione può essere organizzato secondo il paradigma tayloristico della catena di montaggio di Charlie Chaplin oppure secondo il paradigma socio-tecnico come le isole di produzione della Olivetti o della Ferrari. Non esiste una best way of organizing, come invece aveva sostenuto il fondatore della cosiddetta organizzazione scientifica del lavoro, Frederick W. Taylor9. 2.1 L’analisi e la progettazione di una singola unità organizzativa A che cosa guardare quando si osserva o si vuole cambiare una unità organizzativa, ossia una singola azienda o amministrazione, uno stabilimento, un negozio, un laboratorio, ecc.? Quali sono le dimensioni di ciò che nel linguaggio corrente si indica come “struttura organizzativa”. Occorre identificare i componenti dell’unità organizzativa visti in forte interazione reciproca ed in particolare i suoi obiettivi e prestazioni, le sue risorse finanziarie, tecnologiche e umane e la sua configurazione organizzativa: il tutto visto in relazione con il mondo esterno con cui il sistema entra in rapporto importando risorse ed esportando prodotti e servizi secondo una strategia (the internalized environment). La figura sintetizza questo modello. Figura 1 – I componenti di un sistema organizzativo AMBIENTE ESTERNO economico, istituzionale, sociale, fisico STRATEGIA OBIETTIVI/PRESTAZIONI • Economici • Tecnici • Sociali RISORSE CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA • Processi • Attività lavorative • Microstrutture e teams • Ruoli, occupazioni, professioni • Coordinamento e controllo, •Persone •Finanza •Tecnologie • ICT •Spazi • Materiali sistemi di direzione • Macrostrutture • Gestione delle persone • Sistemi di regolazione latenti 9 TAYLOR F. M., Principles of Scientific Management, Harper and Row, New York, 1911 8tr. it., L’organizzazione scientifica del lavoro, Comunità, Milano, 1952. L’ambiente esterno è dato dal contesto economico, istituzionale, fisico, sociale a cui l’organizzazione deve adattarsi o che l’organizzazione vuole modificare: il modo con cui chi dirige l’organizzazione vuole fare ciò si chiama strategia. La strategia definisce e cerca di realizzare obiettivi e prestazioni sia tecnici che economici e sociali, sempre contemporaneamente presenti in diverse proporzioni. Gli obiettivi tecnici hanno a che fare con l’appropriatezza e qualità degli outputs specifici di un’organizzazione: prodotti, servizi, informazione, immagine, ecc. Gli obiettivi economici riguardano i risultati economici dell’organizzazione (ricavi, costi, patrimonio, margini, valore, ecc.). Ogni organizzazione inoltre ha obiettivi/risultati sociali: l’impatto ambientale, gli effetti sulla comunità locale, la qualità della vita di lavoro, il valore sociale dei prodotti/servizi, l’integrità economica. Un buon equilibrio di questi diversi obiettivi consente di sviluppare organizzazioni integrali, ossia quelle che perseguono in modo integrato elevate performances economiche, tecniche e sociali che operano concretamente per proteggere e sviluppare l’integrità degli stakeholders e dell’ambiente fisico, economico e sociale (Butera10). Le risorse del sistema organizzativo sono quelle che costituiscono il patrimonio tangibile ed intangibile di un’organizzazione; le risorse finanziarie, le tecnologie, gli spazi e soprattutto le persone. La configurazione organizzativa è data in primo luogo dai processi, ossia dalla sequenza di eventi adeguatamente concepiti e concretamente realizzati che trasformano gli inputs in outputs attraverso l’impiego di lavoro e tecnologia: processi di produzione di merci e di servizi, di ricerca e sviluppo, di vendita, di amministrazione e così via. Per le persone, i processi o le loro porzioni diventano attività lavorative, che richiedono conoscenze e competenze, abilità sensorio-motorie, sudore, tempo e che vengono svolte il più delle volte con altri ed in rapporto con il sistema tecnologico (interfacce uomo-macchina). Mentre nel caso dell’artigiano l’attività è un flusso complesso e completo sotto il controllo umano, il paradigma e le metodologie di industrial engineering di Taylor11 avevano parcellizzato all’estremo il lavoro togliendone il controllo al lavoratore. Le microstrutture sono unità organizzative minuscole costituite da insiemi di attività, macchine e uomini che realizzano effettivamente i processi (progettare, produrre, vendere, distribuire): reparti, uffici, negozi, team, comunità professionali. Il lavoro si individualizza e diventa insieme sistema produttivo, istituzione sociale e possesso delle persone quando diventa ruolo o professione, che può essere rappresentato, remunerato, formato, sviluppato. Ruolo è ciò che ciascuno fa in vista di un risultato funzionale, nelle sue relazioni con gli altri, all’interno di un determinato contesto tecnico-organizzativo. Esso è costituito perciò non solo dalle attività, ma anche da qualche responsabilità sui risultati e dalle relazioni con il contesto organizzativo. Perché le organizzazioni funzionino è necessario che venga svolta un’attività di pianificazione e di sincronizzazione di attività che si svolgono in tempi diversi. I sistemi di direzione possono essere basati sui programmi, sulla gerarchia o sull’adattamento reciproco e, nelle organizzazioni moderne, sono sempre sostenuti da sistemi informativi. Le macrostrutture sono unità organizzative estese che fissano i confini delle risorse e dell’allocazione del potere e dell’autorità in un’organizzazione: esse si manifestano attraverso disposizioni organizzative, organigrammi, funzionigrammi ed in esse è visibile la gerarchia dell’organizzazione. La gestione delle persone è il carburante di ogni organizzazione: i diversi modelli di selezione, retribuzione, inquadramento, formazione, carriera, uscita, relazioni industriali caratterizzano i diversi tipi di organizzazione e ne assicurano il funzionamento. Infine una componente importantissima della configurazione organizzativa è costituita dai sistemi di regolazione o strutture latenti: culture organizzative (valori, artefatti, credenze), comunità di pratica e professionali, interazione fra organizzazione e sistema sociale esterno alle organizzazioni, sistemi di senso (sense making, Weick 12) ed altro. 10 BUTERA F., L’‘impresa integrale’: teoria e metodi, in Sviluppo e organizzazione, 235, 2009, pp. 18-39. TAYLOR F. M., op. cit. 12 WEICK K. E., op. cit. 11 2.2 La rete organizzativa Le unità organizzative operano in relazione, in rete con altre organizzazioni della stessa o di diversa natura. L’organizzazione a rete è un modello stabile di transazioni cooperative tra attori individuali o collettivi che costituisce un nuovo attore collettivo (Butera13). Le organizzazioni a rete dispongono di elementi costitutivi stabili e riconoscibili che consentono l’analisi e la progettazione/sviluppo: a) i processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali che attraversano imprese ed unità organizzative diverse; b) la valorizzazione lungo una doppia catena del valore: il valore economico ed il valore sociale e di visibilità; c) “nodi” capaci tendenzialmente di sopravvivere e prosperare autonomamente: “nodi produttivi” (imprese, unità organizzative, ruoli professionali) e “nodi istituzionali” (enti pubblici, comuni, scuole, gruppi sociali) che operano nella stessa “arena decisionale”; d) legami deboli e forti che connettono tali nodi (scambi economici, procedure, informazioni, comunicazioni, relazioni sociali, rapporti di potere, ecc.); e) strutture multiple che devono essere fra loro coerenti ed adatte alle strategie ed alle sfide (gerarchia, mercato, sistema informativo, sistema telematico, sistema di knowledge management, strutture sociali, strutture politiche, ecc.); f) proprietà operative peculiari: come i sistemi decisionali, le modalità di regolazione dei conflitti, ecc. Il più importante dei sistemi operativi è però il sistema di governo (governance system). 3. I modelli o paradigmi organizzativi Il principale contributo della sociologia dell’organizzazione è stato quello di analizzare e predire il cambiamento dei paradigmi dell’organizzazione classica. 14. Le nuove organizzazioni negli ultimi quaranta anni hanno cambiato il paradigma e le idee ereditate dalla burocrazia weberiana e dall’organizzazione scientifica del lavoro, che qui non descriviamo Esse erano basate su una divisione del lavoro spinta e sul coordinamento e controllo basato principalmente sulla gerarchia. In quelle organizzazioni prevalevano gli obiettivi tecnici ed economici mentre poca attenzione era destinata a quelli sociali. Grande attenzione veniva destinata alle risorse finanziarie, tecnologiche e logistiche mentre le persone venivano per lo più considerate parti di ricambio. La configurazione organizzativa era precisa e rigida: processi altamente prescritti, attività parcellizzate, coordinamento per programmi e gerarchia, microstrutture come partizioni delle macrostrutture a cui erano affidate le risorse ed il potere. La gestione delle persone si limitava alla retribuzione ed alle relazioni industriali. Le strutture di regolazione sociale latenti erano celate dietro il concetto squinternato dell’organizzazione informale (Gouldner15). Le moderne organizzazioni si sono in gran parte evolute verso nuovi modelli: da orologi ad organismi, da castelli a reti per adottare delle metafore (Butera16) sotto la spinta di globalizzazione dei mercati, delle conoscenze e talenti, della tecnologia, delle esigenze di qualità della vita di lavoro, ecc. La sociologia dell’organizzazione ha studiato e descritto queste evoluzioni contribuendo a comprenderne la portata e le implicazioni ed a favorirne l’applicazione e la diffusione. Alcune delle forme organizzative che hanno preannunciato un cambiamento di paradigma sono sinteticamente indicate di seguito. Si sono sviluppate ‒ in produzione e nei servizi ‒ unità di processo di concezione nuova chiamate process centred organizations ossia unità centrate sui processi come group technology, isole di produzione, CHIM (Computer Human Integrate Manufacturing Units), UTE (Unità Tecnologiche Elementari) e molte altre. Una grande varietà di gruppi di lavoro o teams costituisce ora la spina dorsale di organizzazioni di servizio (teams face-to-face e teams remoti, teams permanenti e teams ad hoc). Nell’industria e nei servizi, sempre più importanti sono diventate le strutture per il governo e l’innovazione dei processi: process owners, teams di progetto, teams per il miglioramento continuo, teams di qualità ed altri. Diversissime le forme e le applicazioni ai diversi contesti, ma con un carattere comune: il combinare contemporaneamente un sistema di produzione flessibile con piccole comunità di lavoro. 13 BUTERA F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1991. BUTERA F., I frantumi ricomposti. Ideologia e struttura nel declino del taylorismo in America, Marsilio, Padova, 1972. 15 GOULDNER A., Patterns of Industrial Bureaucracy, The Free Press, New York, 1954 (tr. it., Modelli di burocrazia industriale, Etas Kompass, Milano, 1970). 16 BUTERA F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1990. 14 Nella ricerca, nel lavoro artistico, nell’ingegneria, si sono diffuse task forces, excellence teams, che si costituiscono e si dissolvono in funzione dell’avanzamento del lavoro e del processo di creazione. Queste organizzazioni temporanee in realtà generano e gestiscono processi intermittenti di innovazione, miglioramento, soluzione di problemi, processi di cambiamento. Le organizzazioni ed i professionisti che operano in postazioni fra loro remote sono connesse via web e condividendo processi e culture, come quelle dei progettisti dispersi in varie parti del mondo nel travolgente fenomeno dell’open innovation ossia un processo di condivisione e cooperazione nell’innovazione tecnologica. Forme non-gerarchiche di strutture organizzative si sono diffuse ed hanno modificato la configurazione degli organigrammi e le modalità di esercizio della leadership e del coordinamento/controllo: organizzazioni snelle, organizzazioni piatte, organizzazioni con leaderships multiple, organizzazioni a matrice, sono termini che testimoniano una tendenza a semplificare e ridurre il carattere gerarchico e verticale delle burocrazie. Organizzazioni ad alta affidabilità sono essenziali nelle condizioni di alto rischio o forte imprevedibilità17 Sono aumentati i lavoratori qualificati, “lavoratori della conoscenza”, che rappresentando nei paesi avanzati fra il 40 e il 55% della popolazione lavorativa (Butera, Bagnara, Cesaria, Di Guardo18). Essi includono ovviamente gli scienziati, ma in proporzioni maggiori i managers, professionals, tecnici. Al di là dei nomi c’è un punto rilevante: molte di queste figure sono esse stesse piccole unità organizzative che godono gradi elevati di autonomia, costituendo forme organizzative non burocratiche di expert dependent organizations, come ospedali, università, giornali, ma anche reparti di Ricerca e Sviluppo delle aziende. La riconfigurazione delle relazioni fra le organizzazioni, le alleanze, lo sviluppo di relazioni collaborative con i fornitori, il ridisegno della logistica di produzione e della logistica distributiva e soprattutto le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno modificato i confini delle organizzazioni: esse conducono allo sviluppo od al potenziamento di “imprese rete” e di “reti di impresa”. Nell’ambito delle economie regionali, si è intensificata la formazione di reti d’impresa (distretti, filiere, costellazioni, clusters) quando imprese indipendenti producono sia prodotti simili sia parti dello stesso prodotto oppure quando operano nello stesso business e condividono risorse, “atmosfera industriale”, missioni di fondo. I loro meccanismi di regolazione sono basati su competizione e cooperazione. L’organizzazione a rete ( impresa rete e reti di imprese) costituisce sia una nuova forma di organizzazione (oltre l’organizzazione gerarchica) sia di società ( impresa e territori in rete) . In sintesi nuovi modelli o paradigmi organizzativi emergono e si affermano e molti altri emergeranno. 4. La sociologia dell’organizzazione I miei colleghi ed io che abbiamo coltivato la sociologia dell’organizzazione a livello internazionale ed in Italia nella ricerca, nella formazione, nella progettazione organizzativa, abbiamo affrontato questioni di identità e qualificazione della disciplina, che brevemente illustriamo di seguito. 1. Sull’identità. La teoria classica dell’organizzazione aveva avuto la pretesa di descrivere ed interpretare in modo universale i fenomeni in ogni tipo di concreta unità organizzativa e di generare leggi scientifiche e norme di azione per ogni tipo di organizzazione. La sociologia dell’organizzazione ha dato un contributo decisivo a mostrare che la teoria classica dell’organizzazione aveva un carattere normativo, proponeva solo uno dei possibili paradigmi per analizzare e progettare le organizzazioni e veniva in parte superata da nuovi paradigmi: dall’orologio all’organismo, dal castello alla rete (Butera19). La sociologia dell’organizzazione aveva svelato la profondità e la dinamica dei fenomeni sociali che fanno nascere, evolvere e morire le organizzazioni (Stinchcombe20) e aveva revocato ogni dubbio sulla possibilità che possano considerarsi fondate una teoria ed una metodologia unica (best way of organizing) per analizzare e progettare tipi di organizzazioni diverse ed in contesti diversi: scuole, aziende, ospedali, negozi, circhi equestri, produzioni cinematografiche, centri di ricerche, ecc. Pietre miliari di tale processo furono – tra gli altri ‒ la critica all’organizzazione informale e la scoperta della pluralità dei sistemi di regolazione all’interno 17 CATINO M., Da Chernobyl a Linate, Mondadori, Milano, 2006. BUTERA F., BAGNARA S., CESARIA R., DI GUARDO S., Knowledge Working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza, Mondadori Università, Milano, 2008. 19 BUTERA F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1991. 20 STINCHCOMBE A. L., Social Structure and Organizations, in MARCH J. G. (ed.), Handbook of Organizations, Rand McNally, Chicago, 1965. 18 della stessa organizzazione (Gouldner21), la teoria delle contingenze organizzative (Perrow22 , Lawrence e Lorsh23), lo studio dei rapporti fra organizzazione e tecnologia (Touraine24, Woodward25, Meissner26 insieme a Trist, Emery27 ed altri), l’approfondimento del rapporto fra istituzioni ed organizzazioni (Granovetter28, Powell e Di Maggio29), l’ecologia delle popolazioni organizzative (Aldrich30), lo svelamento del sense making (Weick31), la successione dei paradigmi e delle metafore ed altri importanti contributi. La sociologia dell’organizzazione nasce insieme con l’idea del ciclo di vita dell’organizzazione e con l’idea della reciproca interdipendenza fra organizzazione e società. Capire e progettare l’organizzazione come sistema in continua transazione con altri sistemi richiede di comprendere e regolare i rapporti fra le organizzazioni e le istituzioni, i movimenti sociali, i processi politici, i fenomeni culturali: sia quelli internalizzati nelle singole organizzazioni che quelli della società allargata. Dove finisce il confine della competenza della disciplina rispetto ad altre branche della sociologia e soprattutto ad altre discipline è un problema sempre aperto a cui non si può rispondere fissando steccati, ma asserendo che la sociologia dell’organizzazione è una scienza a base sociologica tendenzialmente multidisciplinare oppure che è una disciplina at the crossroad. La linea di pensiero di chi scrive è stata quella per cui la sociologia dell’organizzazione non ha solo la missione di capire e spiegare, ma anche quella di contribuire alla progettazione: progettare sistemi di regolazione; progettare strutture e funzionamenti di organizzazioni complesse; definire sistemi di ruoli. Per far ciò non può chiudersi nei confini delle scienze sociologiche, ma in molti casi deve mantenere anche rapporti di stretta collaborazione con altre discipline (economia, diritto, scienze politiche, tecnologia, psicologia ed altro) e con pratiche professionali ad esse connesse (ad esempio la legislazione, l’amministrazione pubblica, la progettazione tecnologica, la formazione degli adulti, la consulenza di direzione, ecc.). Da qui l’idea della ricerca-intervento sull’organizzazione (Kurt Lewin32, Emery e Trist33, Herbst34), da cui è nato in Inghilterra negli anni ’60 il Tavistock Institute ed in Italia nel 1974 l’Istituto IRSO (Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi) . 2. Rilevanza socio economica. La sociologia dell’organizzazione si occupa di problemi rilevanti. L’organizzazione non è un’isola di razionalità (sia pur limitata) nel disordine dei processi di movimenti sociali e nella complessità dei fenomeni economici. L’organizzazione non è il luogo protetto dove ci si limita a studi e progetti sulle scorte e giacenze di magazzino, sui cicli di lavoro, sui sistemi informativi, sui processi decisionali, sulla leadership, sulla motivazione, così via. Da decenni la sociologia dell’organizzazione al contrario studia come vengono internalizzati nell’organizzazione o esternalizzati dalla organizzazione i grandi fenomeni della società in generale e quella italiana in particolare. Lo illustriamo nel successivo paragrafo 5. 5. Alcuni fra i temi di sociologia dell’organizzazione 21 GOULDNER A. W., op. cit. PERROW C., Organizational Analysis: a Sociological View, Tavistock Publications, London, 1969. 23 LAWRENCE P. R., LORSCH J. W., Organization and Environment, Harvard University Press, Cambridge, 1967. 24 TOURAINE A., Critica della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993 (ed. or., Critique de la modernité, Fayard, Paris, 1992). 25 WOODWARD J., Organizzazione industriale. Teoria e pratica, Rosenberg & Sellier, Torino, 1975 (ed. or., Industrial Organization: Theory and Practice, Oxford University Press, Oxford, 1965). 26 MEISSNER M., Technology and the Worker. Technical Demands and Social Processes in Industry, Chandler Pub. Co., San Francisco (CA), 1969. 27 EMERY F., TRIST E., in TRIST E., MURRAY H., The Social Engagement of Social Science, vol. II, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1993. 28 GRANOVETTER M., Economic Action and Social Structure: the Problem of Embeddedness, in American Journal of Sociology, 91, 1985, pp. 481-510. 29 POWELL E., DI MAGGIO P., The New Institutionalism in Organizational Analysis, University of Chicago, Chicago, 1991. 30 ALDRICH H., Organizations and environments, Stanford University Press, Palo Alto (CA), 2008. 22 31 WEICK K. E., op. cit. LEWIN K., La teoria, la ricerca, l’intervento, a cura di COLUCCI P., il Mulino, Bologna, 2005 (ed. or., Field Theory in Social Science. Selected Theoretical Papers, Harper & Row, New York, 1951). 33 EMERY F., TRIST E., op. cit. 34 HERBST P., Sociotechnical System Design, Tavistock Publications, London, 1974. 32 Oltre la principale fra le funzioni della sociologia dell’organizzazione che abbiamo illustrato nel paragrafo 3 (la successione dei paradigmi organizzativi), toccheremo ora quattro tematiche su cui la sociologia dell’organizzazione internazionale ed italiana si è misurata, intervenendo su problematiche di acuta e concreta rilevanza sociale. Vi sono altri temi ma i limiti di questo contributo non consentono una rassegna esaustiva. 5.1. Tecnologia e organizzazione È questa una delle aree su cui è nata e si è sviluppata la sociologia dell’organizzazione. In essa si sono sviluppati due filoni: quello dell’analisi comparativa e quello della scuola socio-tecnica. Nel primo filone ‒ che include Touraine35, Burns e Stalker36, Woodward37, Perrow38, Pugh39 e la scuola di Aston, Blauner40, Meissner41, ecc. ‒ troviamo uno dei più impegnativi programmi di ricerca delle discipline sociologiche: quello teso in primo luogo ad identificare gli effetti del progresso tecnico sull’organizzazione produttiva e sociale e sul lavoro; in secondo luogo a definire se la tecnologia determini o no le strutture dell’organizzazione e del lavoro (il cosiddetto dibattito sul determinismo tecnologico). Ma in verità questo programma avvia un’insuperata analisi e definizione dei componenti del fenomeno organizzativo e del lavoro, per identificare infine le sfere di autonomia del sistema sociale rispetto al trionfante sviluppo tecnologico ed i “margini di manovra” della progettazione di sistemi tecnico-organizzativi. In tale filone di ricerca le aree disciplinari contigue alla sociologia dell’organizzazione sono state molte: l’analisi della tecnologia (Crossman42), l’economia (Galbraith43), le scienze manageriali (da Bright a Galbraith), l’informatica, le scienze politiche (Braverman44), la storia della tecnologia (Rosenberg45, Utterback46) ed ovviamente le discipline ingegneristiche. L’altro filone è quello socio-tecnico orientato ad analizzare gli effetti reciproci fra tecnologia ed organizzazione ed a progettarle congiuntamente: pensiamo ai contributi di Emery e Trist47, Davis48. Il determinismo tecnologico qui non è neanche assunto come ipotesi. Le metodologie sono qualitative. Vengono assunti ‒ sia pur senza integrarli ‒ tre paradigmi: quello sistemico, quello dei gruppi autonomi come sistemi autopoietici (che “contengono” l’attore o l’osservatore), e quello della ricerca intervento come metodo di partecipazione e di interazione scienza/azione, analisi/trasformazione. Sono labili i confini degli studi socio-tecnici con quelli dell’ergonomia, con gli studi di man/machine task allocation (Chapanis49), con gli studi man machine interfaces (Rasmussen50), con gli studi di intelligenza artificiale (Winograd51) nonché con le metodologie della progettazione (Davis) e con i movimenti di umanizzazione del lavoro e di quality of working life. In Italia vi è una tradizione robusta di studi sul rapporto fra tecnologia ed organizzazione inaugurata da Ferrarotti 52, Gallino53, da Bonazzi54, da Anfossi55 negli anni sessanta. Con vivaci polemiche e con una forte 35 TOURAINE A., op. cit. BURNST T., STALKER G. M., The Management of Innovation, Tavistock Publications, London, 1961 (tr. it., Direzione aziendale e innovazione, FrancoAngeli, Milano, 1974). 37 WOODWARD J., op. cit. 38 PERROW C., op. cit. 39 PUGH D. S., HICKSON D. J., HINING C. R., Organizational Structure in Its Context: the Aston Programme, Gower Press, London, 1976. 40 BLAUNER R., Alienazione e libertà: una ricerca sulle condizioni del lavoro operaio, FrancoAngeli, Milano, 1971, 1983 (ed. or., Alienation and Freedom, University of Chicago Press, Chicago, 1964). 41 MEISSNER M., op. cit. 42 CROSSMAN E. R., Taxonomy of Automation, OECD, Paris, 1966. 43 GALBRAITH J., Designing Organizations, Jossey-Bass Publishers, San Francisco (CA), 1995. 44 BRAVERMAN H., Lavoro e capitale monopolistico, Einaudi, Torino, 1978 (ed. or., Labor and Monopoly Capital, Monthly Review Press, New York, 1974). 45 ROSENBERS N., Perspective on Technology, Cambridge University Press, Cambridge, 1976 (tr. it., Le vie della tecnologia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1987). 46 UTTERBACK J., Mastering the Dynamics of Innovations, Harvard Business Review, Boston (Mass.), 1994. 47 EMERY F., TRIST E., op. cit. 48 DAVIS L. E., CHERNS A. B., The Quality of Working Life, The Free Press, New York, 1975. 49 CHAPANIS A., On the Allocation of Functions between Men and Machines, in SCHULTZ D. P. (ed.), Psychology and Industry, Macmillan, London, 1965, 1970, 1971. 50 RASMUSSEN J., Information Processing and Human-Machine Interaction, An Approach to Cognitive Engineering, North–Holland, New York, 1986. 51 WINOGRAD T., FLORES C. F., Understanding Computers and Cognition – a New Foundation for Design, Ablex Publishing Corporation, Norwood, 1986. 36 52 FERRAROTTI, F. MACCHINE E UOMO NELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE, ERI, TORINO, 1963 presenza nel dibattito politico-sociale sono stati attivi molti sociologi italiani negli anni ’80 e ’90 come De Masi56, Pichierri57, Butera58, Reyneri59, Cella60, La Rosa61, Lanzara62, Bianco, Luciano63, Negrelli 64 ecc. Questi sociologi si sono trovati a concordare, confondersi, dissentire fra loro e con ingegneri come De Maio65, Ciborra, con economisti come Antonelli, Frey, Dall’Aringa, con psicologi come Novara, Bagnara, con informatici come Degli Antoni, De Michelis66, ecc. I problemi che oggi sottendono a quest’area sono tuttavia gravi e drammatici. Quanto e quale lavoro vi sarà nella rivoluzione tecnologica in atto? È questa rivoluzione governabile e da chi? Come progettare nuovi ruoli sociali come quelli degli scienziati ricercatori progettisti ed in genere nuovi professionisti? Come ridisegnare il lavoro? 5.2. Organizzazioni “regionali” È il filone di studi sull’organizzazione economica e sociale di territori definiti (una città, un distretto, una regione, ecc.) che ‒ adoperando metodologie sia sincroniche che diacroniche ‒ hanno esplorato in primo luogo i processi di nascita e morte delle singole organizzazioni di un territorio. Tali studi hanno identificato profili e tendenze di strutture economico-sociali non visibili “ad occhio nudo” composte da pluralità di soggetti collettivi, economici ed istituzionali e di soggetti individuali che condividono lo stesso territorio geografico, le stesse risorse infrastrutturali, la stessa cultura, lo stesso sistema di relazioni politico-sociali. Questo filone ha avuto contributi importanti da Selznick67 di TVA and the grass roots, da Stinchcombe68, da Aiken e Hage69, da Aldrich. Esso è stato curato in Italia da autori che si sono interrogati su acute questioni in merito allo sviluppo ed al declino di intere aree del nostro paese: per citare solo alcuni nomi, che chiariscono forse meglio delle definizioni di che cosa stiamo parlando, pensiamo a Pizzorno70, Paci71, Bagnasco72, Pichierri73, Trigilia74, Perulli75. Il confine con il lavoro degli economisti (Fuà, Beccattini, Brusco76, Lorenzoni, Varaldo per citare solo qualche nome), degli antropologi e degli scienziati politici è stato spesso attraversato in molte direzioni. 5.3. Le reti organizzative Williamson77 innova la prospettiva di analisi delle strutture organizzative e del mercato riunificando teoria dell’impresa e teoria dell’organizzazione. Ouchi78 completa il suo modello aggiungendo alla gerarchia ed al 53 54 GALLINO, L. Progresso tecnologico e evoluzione organizzativa negli stabilimenti Olivetti, 1946-1959, Giuffrè Milano , 1960 BONAZZI G., Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano, 1995. ANFOSSI A. Prospettive sociologiche sull’organizzazione aziendale, Franco Angeli, Milano, 1988 56 DE MASI D. (con BONZANINI A.), Trattato di sociologia del lavoro e dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1984 57 PICHIERRI A., Introduzione alla sociologia dell’organizzazione, il Mulino, Bologna, 2005. 58 BUTERA F., Il castello e la rete: Impresa, Organizzazione e Professioni nell’Europa degli anni ’90, FrancoAngeli, Milano, 1991. 59 REYNERI E., Sociologia del mercato del lavoro, il Mulino, Bologna, 1996. 60 CELLA G., Trasformazioni sociali e nuove forme di regolazione. Lavoro, organizzazione, relazioni industriali e sviluppo, FrancoAngeli, Milano, 1986. 61 LA ROSA M., Sociologia del lavoro, Jaca Book, Milano, 1997. 62 LANZARA G. F., Capacità negativa: competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, il Mulino, Bologna, 1993. 63 LUCIANO A., Arti maggiori. Comunità professionali nel terziario avanzato, Nuova Italia Scientifica, Firenze, 1987. 64 NEGRELLI, S. La società dentro l’impresa, Franco Angeli Milano, 1991 65 DE MAIO A., BARTEZZAGHI E., BRIVIO O., ZANARINI G., Informatica e processi decisionali, FrancoAngeli, Milano, 1982. 66 DE MICHELIS G., A che gioco giochiamo? Linguaggio, organizzazione, informatica, Guerini e Associati, Milano, 1995. 67 SELZNICK P., Leadership in Administration: A Sociological Interpretation, Peterson Row, Evanston, 1957. 68 STINCHCOMBE A. L., op. cit.. 69 AIKEN M., HAGE I., Organizational Interdependence and Intra-organizational Structure, in American Sociological Review, 32, 1967, pp. 46-53. 70 PIZZORNO A., CROUCH C. (a cura di), Conflitti in Europa. Lotte di classe, sindacati e stato dopo il ’68, Etas Libri, Milano, 1977. 71 PACI M. Mercato del lavoro e classi sociali, Il Mulino, Bologna, 1972. 72 BAGNASCO A., Tre Italie, il Mulino, Bologna, 1977. 73 PICHIERRI A., Organizzazioni rete, reti di organizzazioni: dal caso anseatico alle organizzazioni contemporanee, in Studi Organizzativi, 3, 1999, pp. 19-41. 74 TRIGILIA C., Sviluppo senza autonomia, il Mulino, Bologna, 1992. 75 PERULLI P., Atlante metropolitano, il Mulino, Bologna, 1992. 76 BRUSCO S., Piccole imprese e distretti industriali, Rosenberg & Sellier, Torino, 1989. 77 WILLIAMSON O. E., Market and Hierarchies. Analysis and Antitrust Implications: A Study in the Economics of Internal Organization, Free Press, New York, 1975; WILLIAMSON O. E., The Economic Institutions of Capitalism, The Free Press, New York, 1986 (tr. it., Le istituzioni economiche del capitalismo, FrancoAngeli, Milano 1987). 55 mercato anche il “clan”. Mentre si sviluppano imprese reti, imprese no-manufacturing, “aziende cave”, “costellazioni di imprese”, “sistemi solari di imprese”, a livello internazionale si apre un violento scontro fra questa nuova prospettiva di organizational economics e sociologi come Perrow79 e Granovetter80. Ma un nuovo programma di ricerca è ormai iniziato con allo sfondo il radicale mutamento della struttura dell’impresa. Mentre storici come Chandler81 ed economisti come Piore e Sabel82 annunciano l’avvento dell’economy of scope (l’economia della flessibilità che succede all’economia di scala), Williamson83 sviluppa il suo programma di ricerca sui costi di transazione, Flores e Winograd84 rifondano i modelli per la comunicazione, Evan85, White86 ed altri mettono le basi per la network analysis, l’analisi interorganizzativa. I casi di Benetton, di Prato, delle costellazioni d’impresa, dell’economia sociale dell’Emilia-Romagna, dei nuovi parchi tecnologici, della coesistenza tra concentrazioni finanziarie e decentramento della produzione e del terziario, fanno del tema dell’“impresa rete” uno dei temi più controversi e dibattuti del passaggio ad una società neo-industriale o post-industriale (Workshop “L’impresa rete”, Istituto IRSO, 198887). Non vi è, inoltre, chi non veda chiaramente che tutto questo processo non può essere né spiegato né orientato senza l’impiego di categorie di sociologia dell’organizzazione: modelli organizzativi, culture organizzative, modelli e tipi di professioni, processi di presa della decisione e di gestione del potere entro ambiti territoriali, modelli di comunicazione, modelli di partecipazione/negoziazione/gioco/progettazione, sono categorie fondamentali per analizzare gli aspetti organizzativi del mercato e le nuove dimensioni transazionali dell’organizzazione. Infatti anche su questo tema la sociologia dell’organizzazione in Italia ha fornito contributi di rilievo: Bagnasco88, Paci89, Butera90, De Masi91, Perulli92, Pichierri93 per fare solo qualche nome di studiosi che si sono occupati delle trasformazioni del lavoro e dell’impresa rete e delle reti di impresa. I programmi di ricerca sono condotti con studiosi di altre discipline sugli stessi temi: Momigliano, Vaccà, Antonelli, Rullani, Dosi fra gli economisti; Rugiadini, Naccamulli fra gli studiosi di management; Dioguardi fra gli ingegneri. 5.4. Cultura ed organizzazione Lo studio dei valori, delle credenze, dei linguaggi, dei simboli, delle identità si è sviluppato nella sociologia dell’organizzazione lungo due filoni paralleli e spesso confluenti: le culture, come attributi e “proprietà operative delle organizzazioni” (Bales, Cyert e March94, Hofstede95, Bittner, ecc.); oppure la cultura come fattore “fondativo” o quanto meno connotativo delle organizzazioni, le culture non come qualcosa che le organizzazioni hanno ma come ciò che le organizzazioni sono (Parsons, Merton96, Gouldner, e recentemente 78 OUCHI W. G., Markets, Bureaucracies, and Clans, in Administrative Science Quarterly, 25, 1, 1980, pp. 129-141. PERROW C., op. cit. 80 GRANOVETTER M., op. cit. 81 CHANDLER A. D., Strategy and Structure, MIT Press, Cambridge, 1966 (tr. it., Strategia e Struttura, FrancoAngeli, Milano, 1976). 82 PIORE M. J., SABEL C. F., The Second Industrial Divide, Basic Books, New York, 1984 (tr. it., Le due vie allo sviluppo industriale, Isedi, Torino, 1987). 83 WILLIAMSON O. E., op. cit. 84 WINOGRAD T., FLORES C. F., op. cit. 85 EVAN W. M., The Organization-set: toward a Theory of Interorganizational Relations, in THOMPSON J. D. (ed.), Approaches to Organizational Design, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, 1966. 86 WHITE H. C., BOORMAN A., BREIGER R. L., Social Structure from Multiple Networks: Blockmodels of Roles and Positions, in American Journal of Sociology, 81, 1976, pp. 730-780. 87 BUTERA F., DIOGUARDI G., L’impresa Rete e le Reti di Imprese. La nascita di un nuovo paradigma organizzativo: una Storia e un futuro da innovare. Il workshop dell’Istituto IRSO a Camogli nel 1988, in Quaderni Fondazione Gianfranco Dioguardi, 2014. 88 BAGNASCO A., op. cit. 89 PACI M., op. cit. 90 BUTERA F., I frantumi ricomposti: struttura e ideologia nel declino nel taylorismo in America, Marsilio, Padova, 1972. 91 DE MASI D., (a cura di), L’emozione e la regola, Laterza, Roma-Bari, 1989. 92 PERULLI P., La città delle reti, Bollati Boringhieri, Torino, 2000 93 PICHIERRI A., op. cit. 94 CYERT R. M., MARCH J. C., Teoria del comportamento dell’impresa, FrancoAngeli, Milano, 1970 (ed. or., A Behavioral Theory of the Firm, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ, 1963). 95 HOFSTEDE G., Cultures and Organizations, McGraw–Hill, London, 1991. 96 MERTON R. K., Social Theory and Social Structure, Free Press, Glencoe (NY), 1949 (tr. it., Teoria e struttura sociale, I, II, III, il Mulino, Bologna, 1959, 1966, 1971). 79 Morgan97). È questa l’area in cui i confini della sociologia dell’organizzazione con le altre discipline sono inesistenti: con l’antropologia (Lvi-Strauss, Mauss, Turner, Geertz), con la linguistica (Barthes), con la cibernetica (Stafford Beer, Ashby), con la psicologia clinica (Goffman), con la psicologia sociale (Brown, Katz e Kahn, Shein), con gli storici (Sapelli), ecc. In Italia la sociologia dell’organizzazione e del lavoro ha offerto contributi di livello internazionale sui temi della cultura per esempio con le opere di Gallino98, Bonazzi 99 , Accornero 100, De Masi ed altri. Dopo la popolarizzazione della problematica ad opera di Gagliardi, è emerso un filone di studi sulle comunità di pratica e la “conoscenza situata”, di cui Gherardi101 è stata la principale rappresentante. I problemi che questa area tematica evoca sono assai rilevanti e discussi: la cultura d’impresa, la cultura del lavoro, il management delle “risorse simboliche”, l’ideologia organizzativa, ecc. 6. Tre compiti per la sociologia dell’organizzazione in Italia Alcune delle emergenze nazionali a metà del 2014 (crisi e fallimenti delle imprese, disoccupazione, competenze per cambiare lavoro, semplificazione e riduzione dei costi della burocrazia, corruzione, lentezza della giustizia, costi e qualità della sanità, degrado dei beni ambientali, mancata difesa e valorizzazione dei beni culturali, inadeguatezza delle scuole e delle università, difesa sociale, e molte altre) hanno la loro causa originaria nelle inadeguatezze delle organizzazioni che avrebbero la responsabilità di affrontare tali emergenze e nella loro scarsa capacità di cambiamento ed innovazione. In Italia parlare dell’organizzazione di singole imprese grandi, di sistemi territoriali di imprese, della scuola, della pubblica amministrazione, di criminalità vuol dire evocare grandi problemi della società: il problema Nord/Sud; la stratificazione; l’eguaglianza e la disoccupazione; la creazione e distinzione di attività economiche; la struttura istituzionale; il conflitto e la cooperazione; il potere; il mercato del lavoro; la criminalità organizzata. Questo delinea la missione delle scienze organizzative. Vi sono in particolare tre cruciali aree di studio e progettazione per la sociologia dell’organizzazione nell’Italia del 2014 e sono la riforma dell’impresa e della Pubblica Amministrazione e la riforma del lavoro. La prima parte dalla antica questione della responsabilità sociale dell’impresa: se le organizzazioni complesse che producono beni o servizi in un mondo globalizzato possono essere democratizzate, e rese efficienti, possono perseguire in modo equilibrato e sostenibile obiettivi economici e sociali, possono essere governate da poteri decentrati. Alternative di un’economia democratizzata sono state indicate dalla letteratura internazionale: reti basate su relazioni indipendenti di lungo termine tra imprese grandi e medie e fornitori costituiti da piccole e medie imprese (Perrow102, Butera103, Nohria e Eccles104, Castells, Di Maggio) totalmente o parzialmente indipendenti in un mutevole equilibrio di potere tra cooperazione e concorrenza nei processi di produzione e di conoscenza globale. Inoltre il motto “impresa con un’anima” è stato sostenuto da imprenditori illuminati come Adriano Olivetti e studiosi come J. K. Galbraith, Bartlett e Goshal, Amartya Sen ed in Italia Gianfranco Dioguardi105, Giulio Sapelli106. L’idea di impresa integrale è stata sviluppata da Butera107 (1999). La seconda è la riforma delle Pubbliche amministrazioni. Nell’attuale congiuntura economica in Italia vi sono alcune “missioni eroiche”, ossia impegni difficili che istituzioni e Pubbliche Amministrazioni devono affrontare. In primo luogo occorre liberare le pubbliche amministrazioni di elementi che risultano inadeguati, inappropriati, negativi: ossia lo “svuotare” l’amministrazione di zavorra ed incrostazioni, di ciò che è vecchio e non serve più ed eliminare norme, regolamenti, procedure, posizioni di lavoro inutili, processi ed aree di attività inefficienti. In secondo luogo occorre costruire elementi di vera novità nei servizi, nei 97 MORGAN F., Images of Organization, Sage Publications, Beverly Hills (CA), 1986 (tr. it., Le metafore dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1989). 98 GALLINO L., Personalità e industrializzazione, Loescher, Torino, 1968. 99 BONAZZI G., Colpa e potere: sull’uso politico del capro espiatorio, il Mulino, Bologna, 1983. 100 ACCORNERO A., Il lavoro come ideologia, il Mulino, Bologna, 1980. 101 GHERARDI S., Dalla comunità di pratica alle pratiche di comunità: breve storia di un concetto in viaggio, in Studi Organizzativi, 10, n°1, 2008 (pp 49-72) 102 PERROW C., op. cit. 103 BUTERA F., op. cit. 104 ECCLES R., NOHRIA N., Networks and Organizations, Harvard University Press, Cambridge, 1992. 105 DIOGUARDI G., L’impresa nella società del terzo millennio, Laterza, Roma-Bari, 1996. 106 SAPELLI G., Per una cultura dell'impresa. Strategia e sapere del management moderno, FrancoAngeli, Milano, 1989. 107 BUTERA F., La media impresa costruita per durare, FrancoAngeli, Milano, 1999. processi, nelle strutture, nell’organizzazione, nella gestione, nelle tecnologie. Infine occorre ricostruire o costruire legalità, trasparenza e nuove “identità delle amministrazioni”, potenziando le istituzioni, facendo emergere i propri valori positivi, aumentare il prestigio, sfatare la contrapposizione fra un privato efficiente ed un pubblico burocratico, inefficiente, pieno di fannulloni. La terza questione è la riforma del lavoro: è possibile reinventare il lavoro su larga scala, contro la disoccupazione e la polarizzazione del mercato del lavoro fatta di alcuni specialisti super-qualificati ben pagati e di una grande maggioranza di non qualificati e lavoratori precari? Sta emergendo e può essere diffuso un modello di lavoro, quello costituito dalle professioni dei servizi nelle organizzazioni (service professions) svolte all’interno di imprese grandi, medie e piccole; reti organizzative; organizzazioni non profit; studi professionali; pubbliche amministrazioni ed altre forme di lavoro organizzato (Butera108). Le professioni dei servizi nelle organizzazioni includono sia il lavoro della conoscenza in tutte le sue accezioni (il sapere perché, il sapere che cosa, il sapere come, il sapere per chi, il sapere usare le routines, il sapere usare le mani, ecc.) sia soprattutto il lavoro di relazione con il cliente esterno od interno. Lo sviluppo di queste professioni è oggi una delle principali armi contro la disoccupazione. Esse sono la componente chiave della crescita e competitività dei servizi: del terziario totale (ricerca, salute, scuola, telecomunicazioni, previdenza, banche ed assicurazioni, commercio, turismo e tutela dei beni culturali, ecc.) e del terziario per il sistema produttivo (le attività interne alle imprese industriali relative a ricerca e sviluppo ovvero R&S, pianificazione, organizzazione, vendite, management, assistenza alla clientela, ecc.), ossia la stragrande maggioranza degli occupati. Le “professioni dei servizi” raccolgono l’eredità e superano sia i caratteri di razionalità delle occupazioni industriali che hanno potenziato nel XX secolo la produttività del lavoro (aggiungendo oggi ad esse autonomia e responsabilità), sia il lavoro artigiano vecchio e nuovo che assicura qualità e bellezza (aggiungendo ad esso capacità di fornire servizi di alto valore insieme con tutta l’organizzazione), sia la formazione, giurisdizione e responsabilità delle libere professioni e delle professioni scientifiche (aggiungendo ad esse la cooperazione all’interno delle organizzazioni: ossia concepire e rafforzare un “futuro professionale”. Riforma dell’impresa e della Pubblica Amministrazione e riforma dei ruoli e delle professioni sono la sfida più importante di fronte ai sociologi italiani ed in particolare ai sociologi dell’organizzazione. Bibliografia BARTEZZAGHI E., L’organizzazione dell’impresa. Processi, progetti, conoscenza, persone, Etas, Milano, 2010. BONAZZI G., Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano, 1995. BUTERA F., I frantumi ricomposti. Ideologia e struttura nel declino del taylorismo in America. Marsilio, Padova, 1972 BUTERA F., Il castello e la rete, FrancoAngeli, Milano, 1991. BUTERA F., Il cambiamento organizzativo, Laterza, Roma-Bari, 2009. COSTA G., NACAMULLI R., Manuale di organizzazione aziendale, UTET, Torino, 1997. DAVIS L. E., CHERNS A. B., The Quality of Working Life, The Free Press, New York, 1975. DE MASI (con BONZANINI A.), Trattato di sociologia del lavoro e dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1984. DIOGUARDI G., L’impresa nella società del terzo millennio, Laterza, Roma-Bari, 1996. MARCH J. G. (ed.), Handbook of Organizations, Rand McNally, Chicago, 1965. GALBRAITH J., Designing Organizations, Jossey-Bass Publishers, San Francisco (CA), 2014. GALLINO L., Organizzazione, in GALLINO L., Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1978, pp. 488-493. MORGAN G., Images. Le metafore dell’organizzazione, FrancoAngeli, Milano, 1994 (ed. or., Images of Organizations, Sage, London, 1997). PERROW C., Organizational Analysis: a Sociological View, Tavistock Publications, London, 1969. PICHIERRI A., Introduzione alla sociologia dell’organizzazione, il Mulino, Bologna, 2005. SAPELLI G., Per una cultura dell’impresa. Strategia e sapere del management moderno, Franco Angeli, Milano, 1989. TAYLOR F. W., L’organizzazione scientifica del lavoro, Etas, Milano, 1967 (ed. or., Scientific management, Harper & Brothers, New York, 1911). TRIST E., MURRAY H., The Social Engagement of Social Science, vol. II, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1993. 108 BUTERA F., Service professions. Le professioni dei servizi nelle organizzazioni come fattore chiave per la competitività e contro la disoccupazione, in Studi Organizzativi, 2, 2013, pp. 91-136.