l`interpretazione dello scavato: edilizia e

L’INTERPRETAZIONE DELLO SCAVATO:
EDILIZIA E ARTICOLAZIONE
FUNZIONALE DELLA VILLA
1 L’EDIFICIO ROMANO DI ISERA:
UNA VILLA PERFECTA?
Barbara Maurina
La villa romana di Isera è l’unico edificio del
suo genere messo in luce sino a ora nella valle
dell’Adige in provincia di Trento. Il sito occupa
un terrazzo collinare posto alla quota di 236238 m s.l.m. sul versante occidentale del fiume
Adige, un’area che si ritiene rientrasse in età
romana nel territorio del municipium di Verona1. Del fabbricato, che, orientato secondo i punti
cardinali, in origine doveva presentare una planimetria assai estesa e articolata, è stato possibile indagare soltanto una piccola porzione della superficie di circa 330 metri quadrati, attraverso interventi di scavo condotti a partire dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso fino ad
anni recenti. Una prima indagine archeologica,
promossa e finanziata dal Museo civico di Rovereto in collaborazione con il Centro studi lagarini, fu intrapresa nel 1973 su iniziativa di
Adriano Rigotti; le ricerche proseguirono quindi
nel 1975, 1979, 1986, 1987 e 1988. Dopo una
pausa di alcuni anni, gli scavi ripresero nel 1992
grazie alla sinergia venutasi nel frattempo a creare fra l’istituzione museale roveretana e l’Università degli Studi di Trento. Le indagini si protrassero fino al 1996 con campagne di scavo
annuali, coordinate da Mariette de Vos2. Nel
2003-2004, infine, su richiesta della Soprinten-
1
2
3
denza per i Beni Archeologici della Provincia
Autonoma di Trento e in collaborazione con il
Comune di Isera, la Sezione Archeologica del
Museo civico di Rovereto ha sovrinteso alla realizzazione di alcuni sondaggi nell’area del piazzale della scuola elementare, tesi a verificare la
presenza di strutture antiche in un’area interessata da due distinti progetti: quello del futuro
Antiquarium, destinato a tutelare e valorizzare
gli antichi resti della villa3, e quello relativo alla
nuova mensa dell’edificio scolastico.
L’area un tempo occupata dall’edificio romano,
nel corso dei secoli e soprattutto nella prima
metà del ’900 è stata interessata da un’intensa
attività edilizia, che ha determinato la demolizione e l’asporto quasi totale dell’antica costruzione. Le ricerche svoltesi fra gli anni ’70 e gli
anni ’90 del secolo scorso, in effetti, come accennato, hanno interessato una porzione assai
limitata del complesso insediativo di età romana, corrispondente ad alcuni dei locali seminterrati ricavati nel basamento artificiale originariamente presente lungo il lato orientale della
villa (basis villae). Questa parte del fabbricato,
che fino alla fine della seconda guerra mondiale
sembra si conservasse per un’altezza considerevole nel sottosuolo di un’area non edificata
V. supra, p. 25.
Relazioni preliminari di scavo in Rigotti 1975c, 1979; de Vos et al. 1992; de Vos 1994, 1995, 1996. Una breve
sintesi è anche in De Franceschini 1998, pp. 198-200.
Ciurletti et al. 2005.
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perché adibita a orto della canonica, andò purtroppo soggetta a una vasta opera di demolizione alla fine degli anni ’40 del ’900. Nella fase
della ricostruzione postbellica, infatti, le opere
di sbancamento attuate per la costruzione di una
scuola dell’infanzia, portarono alla scoperta e
nello stesso tempo alla distruzione di buona
parte del contesto archeologico: in più punti i
depositi e le strutture furono asportati e i muri
restanti vennero rasati a un’altezza variabile dai
50 agli 80 cm circa. L’articolazione e lo sviluppo dei muri messi in luce nel cortile meridionale dell’asilo (“Area Sud” degli scavi) indicano
che il corpo architettonico corrispondente alla
basis villae doveva proseguire verso meridione,
ed è effettivamente verosimile che consistenti
strutture si conservino ancora, inglobate nel terrapieno su cui sorgono l’attuale chiesa parrocchiale di San Vincenzo, edificata nella seconda
metà del XVII secolo4 e l’attigua chiesetta barocca di Santa Barbara. Questo sembra indicare
tra l’altro la documentazione fotografica eseguita
da un funzionario dell’Ufficio Beni Archeologici
della Provincia Autonoma di Trento durante i lavori di rifacimento del muro di contenimento
del terrapieno nel 1985, la quale mostra, come
si è già avuto modo di spiegare5, alcune strutture murarie relative a un edificio a due piani
che, almeno in parte, potrebbero essere attribuibili al complesso di età romana.
Se dunque gli interventi edilizi susseguitisi fra
il basso medioevo e l’età moderna hanno in parte
risparmiato i resti archeologici pertinenti alla
basis villae, essi hanno invece determinato la
quasi totale scomparsa del corpo principale del
fabbricato romano. Questo doveva occupare con
tutta verosimiglianza una terrazza superiore e il
suo lato est insisteva probabilmente almeno in
parte sul basamento artificiale in muratura. Fino
pochi anni fa si riteneva che lo sbancamento
dell’area e i lavori condotti fra il 1901 ed il 1904
per la realizzazione della scuola elementare nel
piazzale situato a occidente della basis villae
avessero determinato il completo asporto di
4
5
eventuali resti archeologici pertinenti all’antico
edificio presenti in quest’area. Tuttavia, fra l’inverno del 2003 e la primavera-estate del 2004,
alcuni sondaggi di verifica realizzati su iniziativa del Comune di Isera in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici nell’area
settentrionale del terrazzamento della scuola elementare, hanno dimostrato che, contrariamente
a quanto si era fino ad allora ritenuto, al di sotto
di un potente interro che in alcuni punti supera
i 2 metri di spessore, si conservano ancora i
resti, sia pure assai compromessi e molto ridotti in altezza, attribuibili senza dubbio all’ala
nord della villa romana. Le indagini hanno permesso in primo luogo (sondaggio A) di rinvenire alcuni lacerti murari e pavimentali pertinenti a due ambienti rettangolari contigui (A 22
e A 23), allungati in senso nord-sud e affacciati
a settentrione sulla valle dell’Adige. Questa disposizione dei locali ha suggerito la possibilità
di uno sviluppo modulare dei vani sul lato nordest del complesso, secondo un sistema paratattico analogo a quello presente nella basis villae orientale (v. infra, fig. 3). Il lato orientale
dell’ambiente est, evidentemente asportato a seguito dei lavori di terrazzamento moderni, doveva verosimilmente coincidere con il muro di
fondo occidentale della basis villae, il quale funge anche da muro di terrazzamento; esso contiene infatti un terrapieno costituito da terreno
sostanzialmente vergine, situato alle spalle dell’area termale. Il piano di calpestio dell’A 22, e
verosimilmente anche quello dell’A 23, era posizionato ad una quota di circa 2 m superiore
rispetto all’unico pavimento originale che dell’area balneare si conservi con certezza, quello
pertinente alla latrina (A 16): un dislivello che
appare coerente con l’ipotesi di un’articolazione a terrazzi della villa. Mentre il lato breve di
questi ambienti misura all’incirca 3,5 m, non
ne conosciamo con precisione la lunghezza, dal
momento che per motivi di sicurezza non è risultato possibile estendere lo scavo fino all’attuale muro di terrazzamento settentrionale del
Rigotti 1969b, p. 160.
V. supra, p. 49. Si veda inoltre a tale proposito Maurina 2005b, pp. 20-21.
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piazzale, in corrispondenza del quale si suppone dovesse svilupparsi anche il muro perimetrale nord del fabbricato antico; tuttavia non dovremmo allontanarci di molto dal vero ipotizzando una misura di 7,5 m, che corrisponde
grossomodo alla lunghezza delle stanze dislocate a pettine nella basis villae, ovverosia lungo
il lato est dell’edificio.
Cronologia dell’insediamento
Il rinvenimento, nel corso dello scavo, dei resti
dei rivestimenti parietali e pavimentali della parte
residenziale dell’edificio antico6, ha fornito elementi particolarmente significativi in relazione
alla datazione assoluta delle fasi costruttive della
villa di Isera. In particolare, l’analisi del repertorio decorativo degli affreschi murali, condotta
sulla base di precisi confronti con complessi
pittorici di età romana datati, ha permesso di
riconoscere tratti stilistici e accostamenti cromatici caratteristici del cosiddetto “III stile”, la
cui cronologia si colloca fra il 20 a.C. e il 45
d.C. Nonostante la presenza di alcuni elementi
riconducibili ai momenti iniziali di questo stile,
a livello generale il linguaggio formale adottato
a Isera sembra presentare gli stilemi tipici della
sua fase di pieno sviluppo, suggerendo una possibile collocazione dell’apparato pittorico della
villa di Isera nella tarda età augustea. A questo
periodo si possono ricondurre anche alcuni frammenti di pavimento tessellato rinvenuti nell’Area
Sud dello scavo, che trovano confronto tra l’altro in un pavimento musivo appartenente alla
fase augustea della villa romana di Via Antiche
Mura a Sirmione. Si tratta di un semplice mosaico a fondo bianco incorniciato da una fascia
nera, recante da 120 a 140 tessere circa ogni
decimetro quadrato. Un modulo, questo, attestato in ambito italico durante la primissima età
imperiale. Una datazione un po’ più recente sembra invece potersi proporre per i frammenti di
mosaico con motivo a treccia rinvenuti nel XIX
secolo in un punto imprecisato dell’orto della
canonica di Isera. Il motivo della treccia a due
6
7
capi bianca su fondo nero marginata da due fasce bianche è diffuso nelle incorniciature dei
mosaici a partire dal II fino al IV stile, ovverosia
all’incirca dal secondo quarto del I secolo a.C.
fino all’ultimo quarto del I secolo d.C., ma la
dimensione delle tessere, maggiore che negli
esemplari precedenti, induce a propendere per
una collocazione cronologica nell’ambito del I
secolo avanzato. Poiché non è noto l’esatto punto
di rinvenimento dei pezzi, non è possibile mettere in relazione questi reperti con una parte specifica della struttura messa in luce, anche se
alcuni indizi inducono a pensare all’angolo nordest, dove avevano sede gli ambienti termali della
villa. Ciò si accorderebbe bene con i risultati
dell’analisi delle strutture murarie della basis
villae, che ha rivelato l’esistenza di due fasi edilizie distinte, ma con tutta probabilità molto ravvicinate fra loro dal punto di vista cronologico7:
nell’A 9, infatti, è stato individuato un muro rasato e coperto da un rivestimento pavimentale
di lastre litiche associato a uno strato di riporto,
che può rappresentare l’esito di un semplice
“ripensamento” in corso d’opera oppure un vero
proprio intervento di risistemazione complessiva della parte più settentrionale del fabbricato.
Questa evidenza archeologica, insieme alla constatazione di un rifacimento del piano pavimentale nell’attiguo A 14, ha indotto a distinguere
la parte più settentrionale della basis villae dalla porzione centromeridionale del fabbricato
messo in luce e ad attribuirne l’allestimento a
una fase distinta (fase II), probabilmente di poco
successiva rispetto a quella originaria (fase I) e
comunque collocabile, sulla base dello studio
dei reperti mobili, entro la prima metà del I secolo d.C.
La cronologia della vita dell’insediamento ci è
fornita dall’esame dei materiali rinvenuti negli
strati di distruzione e abbandono dell’edificio.
In particolare, i manufatti messi in luce nei depositi carboniosi presenti sui pavimenti della
basis villae, i quali nella maggior parte dei casi
dovevano essere in uso nel momento in cui si
V. supra, pp. 261-311.
V. supra, p. 80.
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propagò l’incendio che causò la distruzione della
struttura, hanno spesso offerto interessanti informazioni sull’ultima fase di vita della villa.
Particolarmente significativi ai fini della datazione si sono rivelati, come di norma, i reperti
ceramici8: fra questi, segnaliamo in particolare
i frammenti di terra sigillata relativi alle forme
Conspectus 3.1.2 (US 119), databile fra la prima metà del I secolo d.C. e l’età adrianea, e
Conspectus 20.1.1 (US 425), che cronologicamente si colloca fra l’età augustea e l’inizio dell’età claudia, alla coppa Sarius-Mazzeo 13B (US
425), databile fra il 25 a.C. e il II secolo d.C., i
pezzi di contenitori a pareti sottili tipo Angera 2
(US 308), prodotti fra il 30 e il 70 d.C. e Schindler Kaudelka 40 (US 254), diffusi fra il 25 a.C. e
il 10 d.C., e infine le lucerne tipo Bailey A III e B
(USS 308, 318), collocabili nel primo caso fra
l’età tardoaugustea e quella tiberiana, nel secondo caso fra l’epoca tiberiana e quella traianea. Le datazioni fornite da questi reperti, se da
un lato in alcuni casi confermano la presenza di
elementi residuali di età augustea, da mettere
probabilmente in relazione con la prima fase
insediativa della villa, dall’altra suggeriscono che
l’incendio che determinò l’abbandono dell’edificio dovette verificarsi non prima della tarda età
tiberiana (terminus post quem: 30 d.C. circa)
e, assai verosimilmente, entro l’età adrianea.
Grossomodo nel medesimo orizzonte cronologico indicato dai manufatti precedenti si colloca anche la maggior parte dei reperti datanti di
carattere residuale rinvenuti negli strati successivi all’abbandono dell’edificio romano e relativi alle fasi di frequentazione e d’uso a cui l’area
della villa andò soggetta in epoca postantica. In
particolare, la ceramica fine, i vetri e i materiali
anforacei si collocano prevalentemente tra la fine
I secolo a.C. e la prima metà II secolo d.C. Anche i reperti metallici, soprattutto quelli di bronzo, quando databili, si collocano prevalentemente nell’ambito del I secolo d.C. Questi dati, uniti alle informazioni ricavabili dalle medie pon-
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10
derate relative alla ceramica fine datante rinvenuta nei contesti antichi, che indicano una netta
concentrazione di materiali databili intorno alla
metà del I secolo d.C., suggeriscono di collocare la distruzione e l’abbandono della villa in
un’epoca non di molto posteriore, con buona
verosimiglianza all’incirca fra il 60 e l’80 d.C.9.
I depositi archeologici scavati all’interno dei locali della villa, con gli spessi strati carboniosi e
le cospicue tracce di combustione sui muri e
sugli intonaci parietali, testimoniano, come si è
già avuto modo di spiegare, la distruzione dell’edificio a opera di un violento incendio. Sulle
cause di tale calamità, in assenza di dati certi,
risulta molto difficile avanzare ipotesi; naturalmente potrebbe essersi trattato di un evento
casuale, tuttavia il rinvenimento, negli strati di
distruzione della villa, di armi normalmente in
dotazione all’esercito, che evidentemente furono abbandonate sul posto allo scoppiare dell’incendio, inducono per forza di cose a non
escludere uno scenario bellico. Considerata la
fase cronologica in cui deve collocarsi l’evento
distruttivo, si potrebbe forse pensare a qualche
episodio connesso alla guerra civile che nel 69
d.C. vide opporsi, proprio in Cisalpina e in particolare nel territorio di Verona, gli eserciti di
Otone, Vitellio e Vespasiano10. Oltre questa prudente ipotesi, tuttavia, considerata la labile evidenza in nostro possesso, non è possibile andare.
Dopo l’abbandono, almeno relativamente alla
parte scavata, non sembra che le strutture della
villa siano mai state sottoposte a un’opera di
ristrutturazione, ma paiono piuttosto recare le
tracce di una sistematica spoliazione di rivestimenti e arredi, verosimilmente iniziata già in
epoca antica. Di una frequentazione dell’area
posteriormente alla distruzione rimangono solo
labili tracce, fatto da imputare forse all’attività
edilizia più recente svoltasi nel sito, che insieme a buona parte delle strutture antiche, ha irrimediabilmente spazzato via anche eventuali
V. supra, in particolare pp. 186-189.
V. supra, p. 186.
Le vicende storiche, narrate da Tacito nelle Historiae, sono descritte e commentate da Capozza 1987, pp. 41-44;
per l’ipotesi di ripercussioni in Vallagarina, v. Rigotti 2007, pp. 41-42.
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depositi stratigrafici relativi alle fasi successive
alla prima età imperiale romana. Di una eventuale frequentazione del sito fra il IV e il VII secolo d.C. rimane infatti testimonianza solo in
alcuni sporadici frammenti di tipo residuale riconducibili a contenitori in ceramica invetriata
e in terra sigillata di imitazione, ad anfore egeoorientali (tipo LRA 3 e LRA 4) e, forse, anche
negli scarsi cocci riferibili a contenitori da trasporto africani. Alla lacunosità dei dati in nostro
possesso va dunque forse attribuita l’impressione di episodicità suscitata dall’occupazione
(di una parte?) dell’edificio durante il periodo
tardoantico-altomedievale, epoca a cui si può
far risalire la realizzazione di una tomba a inumazione fra le rovine messe in luce nell’area
meridionale dello scavo11. Più tardi, forse in
epoca bassomedievale, gli elementi lapidei pertinenti agli alzati furono riutilizzati per la costruzione, a secco, di un modesto edificio seminterrato a un solo vano, di cui è rimasta traccia
proprio perché realizzato al di sotto del livello di
calpestio dell’epoca, totalmente scomparso12.
Allo stato delle ricerche mancano dunque informazioni relative ai secoli intercorsi fra l’età tardoantica/altomedievale e il tardo medioevo. Per
quest’epoca alla mancanza di dati propriamente archeologici sopperisce almeno in parte la
documentazione archivistica. Quest’ultima ha
permesso di individuare il probabile indizio di
un fenomeno di continuità insediativa sul sito
nella sovrapposizione della chiesa parrocchiale
alle strutture dell’edificio romano. Come si ricava infatti da un atto di investitura e infeudazione del luogo datato al 1263, nel sito si innalzava una “turris Sancti Vincentii”, torre che gli
storici locali vorrebbero identificare con l’attuale campanile13, intorno alla quale sarebbe stata
11
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18
costruita più tardi la chiesa di San Vincenzo14. Il
caso di Isera potrebbe dunque rappresentare un
ulteriore esempio di quel diffuso fenomeno di
evoluzione da villa romana a pieve medievale15,
che trova attestazione tra l’altro nell’area gardesana, dove ha il suo esempio archeologico più
significativo nel sito di Pieve di Manerba16. Si
tratta di un fenomeno che non ha ancora trovato
una chiave di interpretazione univoca e che in
passato si tendeva a considerare come l’esito
di una sostanziale continuità amministrativa del
territorio rurale fra età romana e medioevo, ma
che oggi si ritiene di dover valutare caso per
caso. Come già rilevato altrove17, ci sembra comunque da tenere in considerazione in tale analisi anche il possibile rapporto fra il ruolo di riferimento territoriale e di polo di aggregazione
che in epoca romana la villa deve aver esercitato nei confronti della popolazione rurale del circondario, che a tempo pieno o anche solo stagionalmente doveva essere impiegata nelle attività della grande azienda agricola18, e il ruolo
di riferimento e aggregazione che in età medievale fu assunto dalle pievi. Tali ipotesi, nel caso
di Isera, vanno formulate naturalmente con le
dovute cautele e dovranno essere sottoposte al
vaglio in futuro, soprattutto alla luce dei nuovi
dati che si auspica di poter raccogliere con
l’eventuale prosieguo delle ricerche nei prossimi anni.
La tecnica costruttiva
Le stanze della villa messe in luce erano perimetrate da muri spessi da 35 a 60 cm circa, più
stretti quelli orientati est-ovest e più larghi quelli
orientati nord-sud, realizzati in ciottoli e clasti
legati con tenace malta a base di calce, rifinita
in superficie da un’accurata stilatura. Gli ele-
V. supra, pp. 100 e 111-116.
V. supra, pp. 101-103 e 117-118.
Rigotti 1969b, pp. 137-139.
Rigotti 1969b, pp. 138-142.
Scagliarini Corlàita 1997b, p. 78.
Brogiolo 1982; 1997b, pp. 307-311.
Maurina 2002, p. 578.
Un noto passo varroniano illustra chiaramente come oltre che sulla manodopera schiavile, l’azienda potesse eventualmente contare sull’impiego stabile di coloni, oppure ricorrere a un sistema misto, che prevedeva l’impiego di
schiavi per i lavori permanenti e di contadini salariati per i lavori saltuari e per le zone insalubri: Varro, rust., I, 17,
2. Sulla problematica e sull’interpretazione delle fonti letterarie latine, si veda Carandini 1988, pp. 39-41.
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b.
a.
menti lapidei risultano messi in opera senza una
particolare lavorazione preventiva, ma semplicemente facendo in modo che la faccia più regolare venisse a trovarsi in corrispondenza della superficie del muro; non sembra poi rilevabile una differenziazione, relativamente a forma,
dimensioni e messa in opera dei materiali, fra
nucleo interno e paramenti esterni delle murature. La tecnica edilizia che fa uso esclusivo o
quasi esclusivo di materiali lapidei, per l’epoca
romana è tipica dell’area italica alpina e subalpina, dove il materiale da costruzione è facilmente procacciabile attraverso la semplice raccolta di superficie nei depositi morenici e nei
sedimenti di origine alluvionale presenti nel fondovalle e sui suoi versanti19. Per la costruzione
di alcune strutture particolari e per la realizzazione di determinati punti chiave degli alzati,
che necessitavano di un rinforzo statico e di una
maggiore regolarizzazione delle superfici, è stato
19
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però rilevato l’impiego di una “tecnica mista”,
che agli elementi in pietra associa elementi laterizi20: è questo ad esempio il caso del condotto verticale per le acque meteoriche, il cui
paramento murario interno fu realizzato sovrapponendo in modo scalare frammenti di tegole
allettati di piatto con l’aletta disposta in corrispondenza della superficie, oppure delle testate dei muri fiancheggianti i vani-porta, realizzate in mattoni sesquipedali oppure in mattoni e
tegole, o, infine, degli angoli delle strutture
murarie, che in alcuni casi risultano, ancora una
volta, strutturati in laterizio21.
Il rinvenimento di numerosi frammenti di argilla
recanti le impronte di un telaio ligneo e di una
struttura di canne palustri22 (Parte I, fig. 114),
conservatisi perché accidentalmente cotti nell’incendio della villa, testimonia anche la presenza di muri di terra con armatura interna costituita a graticcio, impiegati probabilmente per
Si vedano in particolare Griffoni 1992, per il Trentino Bassi, Cavada 1994, e da ultimo Bacchetta 2003, pp. 81-94,
e in particolare p. 81, nota 1, con ampia bibliografia.
Sulle tecniche costruttive miste lapideo-laterizie in area padana: Bacchetta 2003, pp. 95-117.
V. supra, pp. 66-68.
V. supra, il contributo di Castiglioni, Cottini, Rottoli.
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Fig. 1 - Ricostruzione delle tecniche
dell’opus craticium (a.) e del pisé
con struttura lignea interna (b.)
(da Bacchetta 2003).
Fig. 2 - Ricostruzione di una
struttura in opus craticium
nel sito di Bedriacum/Calvatone
(da Rottoli 1996).
suddividere gli spazi abitativi al piano superiore
e forse, almeno in parte, anche al piano inferiore dell’edificio23, accostabili al tipo di muro definito paries craticius da Vitruvio24. In presenza
di strutture crollate e in assenza di tracce di elementi portanti lignei sui muri in pietra, com’è il
caso di Isera, è difficile stabilire se la tecnica
utilizzata fosse propriamente quella dell’opus
craticium, cioè l’opera a graticcio con tramezzature lignee a riquadri riempiti di materiale vario (fig. 1a), oppure quella del pisé, che prevedeva la colatura entro cassaforma di una miscela di terra, sabbia, argilla, ghiaia e paglia impastata con acqua, che poteva venire eventualmente rinforzata con una struttura portante lignea
23
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interna (Fig. 1b)25; è verosimile tuttavia che il
tipo di tecnica impiegata a Isera non si discosti
molto da quella ipotizzata da Mauro Rottoli per
un edificio scavato nel sito di Bedriacum/Calvatone26, consistente in un opus craticium con
ossatura composta da strutture lignee piuttosto
rade e distanziate, associata a un intreccio di
canne montate orizzontalmente su uno scheletro di listelli lignei secondari (fig. 2). Entrambe
le tecniche edilizie conobbero comunque un largo impiego in area cisalpina fin dall’epoca protostorica e durante tutta l’età romana, non soltanto nell’ambito di insediamenti rurali o di scarso impegno architettonico, ma anche all’interno di edifici residenziali di prestigio dotati di
In argilla era possibile realizzare pareti molto robuste, in grado di sopportare il peso di un piano superiore: cfr.
Bacchetta 2003, p. 130; Ardovino 2005, p. 51.
Vitr., II, 8. Su questo aspetto, si vedano de Vos et al. 1992, pp. 49-53; de Vos 1994, pp. 26-27; 1995, pp. 66-68;
1996, pp. 175-176.
Bacchetta 2003, pp. 123-132 e p. 130 sulla difficoltà di distinzione delle due tecniche nei contesti di crollo.
Rottoli 1996, p. 168.
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apparati decorativi parietali e pavimentali di alto
livello27.
La “villa romana”:
precetti antichi ed evidenza archeologica
Nonostante l’esiguità della porzione di edificio
messa in luce, le caratteristiche delle strutture
rinvenute ne autorizzano l’attribuzione a un fabbricato tipologicamente inquadrabile come “villa”. Con questo termine i Romani indicavano
un ampio complesso architettonico extraurbano dipendente da un fundus coltivato28. Non è
tuttavia facile fornire un inquadramento preciso
ed esaustivo, anche dal punto di vista terminologico, di questa categoria di edifici, che potevano presentare soluzioni architettoniche molto
diverse fra loro e dipendenti da svariati fattori,
fra cui non ultimi la posizione topografica, le
condizioni ambientali, l’estro dell’architetto e il
gusto personale del proprietario. Si può considerare caratteristica precipua della villa romana
il fatto che alle tradizionali funzioni produttive
proprie dell’edificio rustico, essa associava una
funzione residenziale più o meno rilevante, la
cui importanza, fra l’età tardorepubblicana e l’età
imperiale, andò accrescendosi sempre di più.
Un aspetto, questo, che viene messo in risalto
attraverso la definizione di “villa urbano-rustica”, termine che si rifà ad una distinzione semantica risalente a Varrone29 e viene oggi impiegato per designare la “morfologia più canonica e completa” della villa, corrispondente in
sostanza a quella che l’autore latino definiva “villa
perfecta”30.
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Stando alle antiche fonti letterarie, le due principali funzioni della villa romana, ovverosia quella
abitativa e quella produttiva, si estrinsecavano
a livello architettonico attraverso la presenza di
due quartieri distinti e complementari. Il primo,
chiamato pars urbana31, era giustificato dalla
presenza, perlopiù solo virtuale, del proprietario e a tale scopo presentava caratteristiche spiccatamente residenziali: era quindi dotato di sale
di rappresentanza, ambienti di soggiorno e di
ristoro, aree balneari, e di norma era decorato
con raffinati rivestimenti parietali e pavimentali
e fornito di arredi di elevata qualità. Già Catone,
nel III secolo a.C., raccomandava ai destinatari
del suo De agri cultura che la parte urbana fosse allestita con ogni comfort, affinché il proprietario vi soggiornasse volentieri e più a lungo in modo da sovrintendere personalmente alle
attività produttive32. Più tardi, Columella sottolineava l’opportunità che gli spazi residenziali
fossero anche in grado di soddisfare le esigenze di eleganza e raffinatezza proprie della domina, la quale avrebbe così accondisceso più volentieri a trattenersi in campagna con il marito33. Il secondo quartiere, denominato pars rustica (da cui alcuni autori distinguevano la pars
fructuaria, riservata alla raccolta, lavorazione e
conservazione dei prodotti della terra34) era invece connotato da una veste architettonica semplice e funzionale. Era infatti composto dai locali e dalle strutture necessari al funzionamento
produttivo della villa: alloggi per la servitù, magazzini, depositi, stalle, impianti per la trasformazione, spazi operativi e aree artigianali, in cui
Riguardo a queste tecniche “povere” e alla loro documentazione nella Cisalpina, si vedano in particolare Santoro
Bianchi 1994, Ortalli 1995, Rottoli 1996, Bacchetta 2003, pp. 25-33 e 123-127, Ardovino 2005, p. 51; Castiglioni, Rottoli 2005. Sull’impiego di tecniche povere nell’edilizia rurale della Venetia: Busana 2002, pp. 214-216.
La bibliografia relativa a questo soggetto è molto ampia. Sulla nascita e sull’evoluzione tipologica della villa romana fra l’età repubblicana e i primi secoli dell’impero e sul suo significato in termini economici e sociali, rimane
fondamentale la sintesi di Carandini 1989, con ampia bibliografia. Su svariate tematiche pertinenti all’argomento
villa romana, si veda inoltre Ortalli 2006a. Per la problematica relativa agli edifici dell’Italia settentrionale, si vedano
in particolare Grassigli 1995 e Scagliarini Corlàita 1997b. Sulle ville della Regio X, infine, si consultino Buchi
1987, pp. 108-112; Roffia 1997b; De Franceschini 1998 e Busana 2002.
Varro, rust., I, 13, 6; III, 2, 9-10.
Carandini 1989, pp. 108-109.
Sull’articolazione della villa perfecta in pars urbana, rustica e fructuaria e sulle relative fonti classiche si vedano in
particolare Carandini 1985a, pp. 119-121 e 1988, pp. 55-86.
Cato, agr., IV,1.
Colum., I, 4, 8.
Colum., I, 6, 1.
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svolgeva l’attività degli schiavi e dei lavoratori
stagionali.
L’apparato produttivo, variabile da caso a caso per
natura, estensione e articolazione, costituiva il
motore economico e dunque la parte vitale della
villa, tanto da non essere assente nemmeno nell’ambito delle più scenografiche villae maritimae,
dette anche “ville d’ozio”35 per la preminenza in
esse dell’aspetto edonistico su quello utilitaristico36. Non dovettero sottrarsi a tale regola neppure le lussuose ville della costa gardesana; si ritiene infatti che anche questi grandi complessi residenziali svolgessero un importante ruolo produttivo, basato su di un’economia mista, che prevedeva, oltre alle attività agricole nell’entroterra,
anche lo sfruttamento della pesca e più in generale del commercio37. Non mancano per contro,
nel variegato panorama delle ville romane, esempi
di complessi in cui la parte signorile è molto ridotta, a vantaggio di un notevole sviluppo del
settore produttivo. È questo ad esempio il caso
di gran parte degli edifici rurali dell’Emilia Romagna, dove è stata rilevata una limitata presenza di ambienti dotati di pavimentazioni in cocciopesto o a mosaico e al contempo si è riscontrato un impiego diffuso di materiali non durevoli, come legno e argilla, nell’architettura38. Di conseguenza, per questi fabbricati, riprendendo ancora una volta la distinzione risalente a Varrone39,
si è preferito impiegare più semplicemente la definizione di “ville rustiche”40.
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Stando a un’interpretazione delle fonti latine che
ha avuto largo seguito41, nell’Italia centro-meridionale il modello della villa sarebbe da identificare, almeno fra i II secolo a.C. ed il II secolo
d.C., con uno specifico modo di produzione,
quello schiavistico42. La villa rappresenterebbe
cioè il fulcro di una “manifattura rurale” impiantata su grandi proprietà terriere e specializzata
nell’agricoltura intensiva tramite l’impiego di
servi coordinati da un fattore-schiavo detto vilicus. Nell’Italia settentrionale, dove il modello
della villa si diffuse prevalentemente a partire
dal I secolo a.C., a seguito della colonizzazione
romana e dell’organizzazione centuriata del territorio43, è opinione largamente condivisa che,
per quanto il tipo dell’azienda a conduzione
schiavistica non sia stato del tutto assente44,
esso abbia tuttavia costituito un fenomeno minoritario, e che l’acquisizione del modello architettonico centroitalico non abbia comportato
di necessità anche l’“importazione” del modo
di produzione schiavistico ad esso legato. E ciò,
a parere di alcuni autori, anche in virtù del fatto
che la parcellizzazione fondiaria operata con la
centuriazione e l’assegnazione sostanzialmente
egualitaria delle sortes ai coloni, avrebbe ostacolato per molto tempo in questa parte della
penisola la formazione di latifondi45.
Ad ogni modo, l’edificio di Isera, sia che se ne
prenda in considerazione la dislocazione topografica, sia che se ne esaminino più nel det-
Con il termine otium, i Romani indicavano il riposo, che a quei tempi costituiva un concetto ben diverso da quello
attuale. Ponendosi infatti in contrapposizione con il termine negotium, che designava l’attività lavorativa, la quale
per il Romano libero e nobile di nascita equivaleva essenzialmente all’attività politica, la sfera dell’otium era assai
complessa, comprendendo svariate attività, di tipo soprattutto intellettuale e culturale, quali lo studio delle materie
letterarie, la riflessione, la lettura e la declamazione della poesia: cfr. a questo proposito Medri 2006, p. 8.
D’Arms 1981, pp. 78-86; Scagliarini Corlàita 1997b, pp. 61-68; Fontana 2001.
Brogiolo 1997a, pp. 247-250.
Ortalli 1994, p. 8; 1995.
Varro, rust., III, 2, 10. Sulle differenze tipologiche: Carandini 1989, pp. 107-108.
Ortalli 1994, p. 8.
Per una panoramica delle fonti antiche, si consulti Scagliarini Corlàita 1997b, p. 54.
Sull’argomento si vedano in particolare Carandini 1988, pp. 287-338; 1989, pp. 101-112. Per una panoramica
generale sull’economia rurale dell’Italia romana e sul modo di produzione schiavistico si vedano i contributi raccolti in SRPS I-III.
Cfr. Scagliarini Corlàita 1997b, pp. 54-55; De Franceschini 1998, pp. 785-789.
Sulle fonti che testimoniano la presenza di vilici e di ampi fundi nella regio X: Buchi 1987, pp. 111-112. In Cisalpina
le fonti letterarie documentano almeno un caso di villa di tipo “catoniano”. Si tratta dell’azienda modello descritta
dagli agronomi Sasernae, probabilmente impiantata nel territorio dei Bagienni: Gabba 1982, p. 384.
Ortalli 1994, p. 6; 1996, pp. 9-10; 2006b, pp. 261-262; Buchi 1987, pp. 108-111; Grassigli 1995, p. 221;
Scagliarini Corlàita 1997b, p. 54 e nota 5. Si vedano però anche alcune tendenze di segno opposto registrate in
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taglio l’impianto e le caratteristiche architettoniche, sembra ben rispecchiare i precetti fissati per la realizzazione delle ville di ambito
rurale dagli scriptores de re rustica, Catone,
Varrone e Columella. Vi è infatti piena concordanza fra gli agronomi latini nell’indicare le
pendici di una collina quale luogo ideale per
la costruzione dell’edificio, che va comunque
costruito in un luogo soprelevato rispetto all’area circostante46. Le strutture messe in luce
sotto l’ex scuola d’infanzia di Isera corrispondono, come già accennato, al tratto settentrionale di un basamento artificiale che correva in
senso nord-sud lungo il lato orientale della villa; si tratta di una sostruzione che permetteva
all’edificio, articolato in terrazze, di adattarsi
al pendio montano e che sembra corrispondere esattamente a quello che in letteratura viene definito basis villae47. In particolare, la porzione del fabbricato scavata fra gli anni ’70 e
gli anni ’90 del ’900, si articola in una serie di
ambienti rettangolari allungati in senso estovest, affacciati a oriente sulla valle dell’Adige; essi in origine dovevano presentarsi seminterrati, essendo delimitati a monte da un
potente muro realizzato contro terra al fine di
contenere un terrapieno, sul quale doveva essere impostato il corpo principale della villa,
che veniva così probabilmente ad assumere una
forma architettonica compatta e simmetrica
(definita “a blocco”), considerata tipica dell’epoca tardorepubblicana e della prima età imperiale48.
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La rigida sequenza paratattica delle stanze messe in luce, appare maggiormente articolata in
corrispondenza dell’angolo nord, dove i vani
sembrano disporsi intorno a uno spazio scoperto e dove la linearità della facciata risulta movimentata da un ambiente absidato.
Come già ipotizzato da Maura Medri a seguito
degli scavi degli anni ’9049 e come sembrano
comprovare i sondaggi realizzati nel corso del
2004, è verosimile che la costruzione in questo
punto piegasse ad angolo retto e con un balzo
di quota proseguisse verso ovest in corrispondenza di una terrazza superiore. Anche qui era
presente una serie di ambienti rettangolari articolati secondo una disposizione paratattica (fig.
3), i cui muri perimetrali si conservano purtroppo quasi sempre solo al livello delle fondazioni.
La quota dei pavimenti di questi vani, almeno
nel tratto più orientale, è di quasi 2 m superiore
rispetto a quella dei piani di calpestio della basis villae, confermando che la struttura dell’edificio si articolava secondo terrazzamenti che
seguivano, adattandovisi, il pendio naturale e
che con ogni verosimiglianza il dislivello rettilineo che marca il lato nord del basamento su cui
sorge oggi la scuola elementare corrisponde al
limite settentrionale del fabbricato antico. È probabile che il corpo principale della villa si trovasse a una quota ancora più elevata, su di un
terrapieno delimitato a oriente dalla basis villae
e a settentrione dall’ala nord.
Per tornare alle prescrizioni degli scriptores de
re rustica, nel fornire indicazioni sull’ottimale
determinate aree dell’Italia settentrionale, come il Friuli e l’Istria, dove la formazione dei grandi praedia imperiali
sembra affermarsi fin dall’epoca giulio-claudia (Verzàr-Bass 1986, pp. 652-653), oppure i territori modenese e
reggiano, nei quali risale al II secolo d.C. l’attestazione di un accentramento delle piccole proprietà terriere in
proprietà più grandi con la conseguente trasformazione delle modeste fattorie in complessi ausiliari di ville di
maggiori dimensioni (Gelichi et al. 1986, p. 552). A livello più generale sembra potersi registrare per l’area cisalpina una sostanziale mancanza di chiarezza riguardo al problema della relazione tra fundi e latifundi da un lato, e tra
latifundi e sistema latifondistico dall’altro; d’altro canto, come è già stato più volte sottolineato, la sostanziale
assenza di fonti letterarie per l’ambito cisalpino e la parzialità e disomogeneità della raccolta dei dati archeologici
sul campo, sistematica ed approfondita solo per singole porzioni di territorio, non permettono ancora il formarsi di
un quadro esaustivo relativamente ai mutamenti ed alle trasformazioni a cui dovettero andare soggette l’organizzazione della proprietà fondiaria e le forme della conduzione agricola in questa parte della penisola fra la fine dell’età
repubblicana e la tarda età imperiale.
Cato, agr., I, 3; Varro, rust., I, 12, 1 e I, 13, 7; Colum., I, 4, 9 e I, 5, 1-2.
L’espressione è tratta da Cicerone (Cic., Q., III, 1, 5), che però non ne fornisce una specifica definizione. Sull’articolazione e la funzione di questa parte della villa, cfr. in particolare Carandini 1985a, p. 119; 1988, p. 56.
Accardo 2000, p. 18.
de Vos 1996, fig. 1.2; si veda inoltre il contributo di Maura Medri infra.
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posizione dei locali della villa, Catone suggerisce l’esposizione a mezzogiorno50, mentre Columella raccomanda, nei luoghi salubri, l’affaccio degli ambienti a sud oppure a est51; l’orientamento verso oriente, che connota l’edificio di
Isera, viene preferito da Plinio e da Varrone, che
lo ritengono il più opportuno anche nei luoghi
temperati52. Sempre a detta degli autori latini, è
poi buona norma scegliere il sito in cui edificare la villa sulla base di altri due importanti fattori: la lontananza dai luoghi paludosi da un lato,
la vicinanza di acqua corrente dall’altro53. Le fonti
d’acqua, in particolare, costituiscono un elemento di fondamentale importanza per il buon funzionamento dell’economia della villa; tuttavia è
raccomandabile che l’edificio non vi si trovi di
fronte ma sia posizionato in modo da evitare
l’esposizione diretta all’umidità, come pure a
eventuali vapori malsani54. Isera è in effetti un
luogo ricco di acque sorgive e ancora oggi un
ruscello scorre, in direzione ovest-est, lungo il
lato settentrionale della piattaforma su cui sorge la scuola elementare; non vi è motivo di
escludere che seguisse lo stesso corso nell’antichità ed è possibile che sia stato tenuto in considerazione nella fase di progettazione della villa. Non sembra infatti casuale che proprio nel
settore nord del fabbricato trovassero posto il
settore termale e una fontana monumentale, che
dovevano fare ampio uso di acqua corrente.
Anche la vicinanza della villa a un fiume navigabile, rappresentato nel caso di Isera dall’Adige, che scorre sul fondovalle a circa 350 metri
in linea d’aria dal sito55, riveste secondo gli
antichi un’importanza notevole56, pari e anche
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maggiore di quella di una strada scorrevole, in
quanto favorisce un più rapido e più economico collegamento con i centri di mercato, comportando costi minori rispetto al trasporto via
terra57. Una considerazione, questa, che può
concorrere a sostegno dell’ipotesi che almeno
una parte della produzione della villa fosse
destinata alla vendita esterna. Questo precetto
degli autori antichi ha trovato in effetti ampia
conferma nei dati raccolti attraverso la ricerca
archeologica nell’Italia del Nord, dove si è per
l’appunto rilevato come per le ville romane i
fiumi rappresentino un elemento di attrazione
non inferiore a quello delle grandi arterie stradali58. Relativamente alla villa di Isera e al suo
rapporto con il fiume, pur mancando a oggi
l’evidenza archeologica, non è da escludere che
proprio in prossimità dell’edificio l’Adige in
epoca romana potesse essere provvisto di uno
scalo portuale; la più antica testimonianza relativa all’esistenza di un punto di approdo di
carattere commerciale nelle vicinanze di Isera
risale infatti al XIII secolo e riguarda il quartiere roveretano di Borgo Sacco, che si trova sulla sponda sinistra del fiume, proprio di fronte
al sito in cui sorgeva la villa romana59.
Oltre a quello della prossimità al fiume, trova a
Isera una precisa corrispondenza anche il precetto della vicinanza a una via di comunicazione terrestre60. La presenza di una strada ben
agibile rivestiva in effetti una grande importanza ai fini della commercializzazione dei prodotti
dell’azienda61 e poteva inoltre rappresentare
un’ulteriore fonte di guadagno nel caso in cui
alcuni spazi del complesso residenziale venis-
Cato, agr., I, 3.
Colum., I, 5, 4.
Varro, rust., I, 12, 1; Plin., nat., XVIII, 33 e 337.
Cato, agr., I, 3; Varro, rust., I, 11, 2; I, 12, 2; Colum., I, 5, 1-3; Plin., nat., XVIII,33.
Colum., I, 5, 4; inoltre Plin., nat., XVIII,33.
Il toponimo “Isera” va collegato alla radice indoeuropea *eis-/*ois-/*is-, indicante il rapido movimento dell’acqua
e perciò frequentemente attestata nei nomi di fiumi: de Vos, 1994, p. 26; 1995, p. 66.
Cato, agr., I, 3; Varro, rust., I, 16, 6; Colum., I, 2, 3.
Fontana 2001, nota 12 con bibliografia.
Scagliarini Corlàita 1997b, p. 58; cfr. inoltre Busana 2002, pp. 67-80.
Si tratta del testo degli statuti della corporazione dei radaroli, mercanti che trasportavano legname sull’Adige, steso
nel 1260 a modificazione di un testo precedente: sull’argomento si veda da ultimo Rossini 1986, p. 248.
Su questo aspetto e sul rapporto degli insediamenti rurali con la rete viaria nella Venetia, si veda da ultimo Busana
2002, pp. 80-90.
Cato, agr., I, 3; Varro, rust., I, 16, 6; Colum., I, 3.
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sero destinati all’alloggio e al ristoro dei viandanti62. In effetti sul fondovalle, probabilmente
sulla sinistra orografica del fiume ad alcune centinaia di metri in linea d’aria dalla villa (grossomodo in corrispondenza dell’attuale SS 12 “del
Brennero”), doveva passare già al tempo della
costruzione dell’edificio l’importante arteria stradale che collegava Verona all’area transalpina
attraverso la Valle dell’Adige e che secondo alcuni studiosi sarebbe identificabile con il “ramo
padano” della via Claudia Augusta63. Poco a sud
del sito di Isera si trova inoltre l’imbocco della
via terrestre che solcando la Valle di Loppio mette in collegamento la Valle dell’Adige con il Lago
di Garda settentrionale: un punto che nell’antichità, come ancora oggi, deve aver rappresentato uno snodo viario di grande importanza.
Pars urbana e pars rustica:
funzione residenziale e aspetti produttivi
La canonica suddivisione della villa romana in due
settori ben distinti, con funzione residenziale l’uno
e produttiva l’altro, doveva essere rispettata anche nell’edificio di Isera, come sembrano indicare numerosi indizi. Infatti, pur essendo senza
dubbio scomparsi, insieme al corpo principale
della villa, gran parte dei locali signorili afferenti
alla pars urbana, come pure, probabilmente, la
quasi totalità degli spazi pertinenti al complesso
delle infrastrutture che costituivano la pars rustica, tuttavia i reperti mobili messi in luce sono
sufficienti a fornirci un’idea, anche se vaga e frammentaria, di ciò che è andato perduto. E questo
anche perché i depositi stratigrafici che costituivano l’interro degli ambienti della basis villae erano costituiti tra l’altro da materiali provenienti dalle
eleganti stanze residenziali poste al piano superiore, le cui strutture e i cui rivestimenti, distrutti,
dovettero crollare all’interno dei vani sottostanti.
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Fra questi reperti rivestono una particolare importanza i lacerti di rivestimento pavimentale e
parietale, riferibili gli uni a mosaici a tessere bianche e nere e a battuti composti di calce e scaglie
di calcare, gli altri a intonaci affrescati di elevata
qualità64.
Negli strati di crollo depositatisi nell’A 7 sono
stati rinvenuti fra l’altro alcuni elementi bronzei
pertinenti al piede di un letto tricliniare ornato
alla base da un ricercato motivo in agemina d’argento65: un elegante mobile d’importazione, che
molto probabilmente al momento della distruzione dell’edificio doveva trovarsi in una sala da
pranzo posta al piano superiore. All’arredo degli ambienti di soggiorno del dominus vanno
attribuiti anche i raffinati elementi bronzei appartenuti a una brocca e a una patera di probabile fabbricazione campana66. Un evidente riflesso dell’esistenza di un articolato settore padronale e della suddivisione funzionale della villa
nelle due partes tradizionali, sembra comunque ravvisabile, come si avrà modo di vedere
tra breve, anche nelle strutture superstiti del fabbricato, per quanto ridotte in estensione e assai
compromesse per stato di conservazione. Nella
porzione di edificio messa in luce è stato infatti
possibile identificare sia stanze dallo scopo
eminentemente residenziale, come i triclini e
gli ambienti pertinenti all’area balneare, sia spazi
connessi alle attività produttive che si dovevano
svolgere nel fondo cui la villa faceva capo.
Il triclinio estivo
Nell’area sud dello scavo (fig. 3), un insieme di
ambienti dai percorsi interni autonomi (AA 1, 2,
4, 5, 10, 11) sembra formare un nucleo residenziale separato rispetto al resto della struttura messa in luce67. Caratterizzato da un disegno
planimetrico quasi perfettamente simmetrico,
Varro, rust., I, 2, 23. Su questo aspetto si veda da ultimo Grassigli 1995, p. 234.
A questo proposito si veda il contributo di Rigotti in questo stesso volume. Sullo svolgimento e sulla denominazione del tratto stradale romano fra Verona e Trento, si vedano anche, da ultimo, Ciurletti 2005, p. 7; Maurina 2005c,
nota 4 e Maurina 2005d, p. 62.
V. supra, i contributi sugli intonaci e sui rivestimenti pavimentali.
V. supra, pp. 213-219.
V. supra, pp. 219-220.
Per un’analisi dettagliata delle problematiche relative alla disposizione degli ambienti e all’articolazione degli spazi
e dei percorsi all’interno della basis villae, si veda infra il contributo di Maura Medri.
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Fig. 3 - Planimetria generale
dell’area degli scavi della villa
romana di Isera
(rilievo E. Leoni, rielaborazione
grafica A. Cavallo, F. Sivori).
tale settore si apre sulla vallata per mezzo di un
ampio varco, che oltre a permettere una vista
suggestiva sul territorio circostante, doveva garantire agli interni una copiosa fonte di luce naturale.
Nell’articolazione delle strutture, che oggi si
presentano in parte tagliate da un intervento
edilizio posteriore all’abbandono della struttura
e databile all’età medievale68, è possibile leggere due stanze speculari separate da un vano
di disimpegno con corridoio e da due stanze
più piccole contigue. Questi spazi si distinguono per la presenza di soglie monolitiche in pietra calcarea bianca (Parte I, figg. 67 e 73) e di
intonaci a base di calce, che in parte si conservano ancora in situ: in un caso (A 1) la zoccola-
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tura reca ancora chiare tracce dell’affresco a finto
granito che in origine ne ricopriva la superficie69 (Parte II, figg. 85-87). I piani pavimentali
appaiono oggi in semplice terra battuta, ma non
è da escludere che in origine presentassero un
rivestimento, forse ligneo, poi scomparso. Due
strutture a base quadrangolare direttamente poggianti sui piani pavimentali, in mattoni crudi
l’una, in argilla e laterizi l’altra, si addossano
alla parte mediana dei perimetrali est degli AA
1 e 5; appare difficile oggi comprenderne l’esatta
natura, ma non è da escludere che si tratti di
basi su cui potevano essere posizionati dei
mobili. La medesima considerazione vale per la
piattaforma a base rettangolare situata nell’angolo sudest dell’A 11.
L’insieme descritto è probabilmente interpretabile come un complesso tricliniare estivo, composto di due sale da pranzo speculari (triclinia)
e due camere da letto fra loro adiacenti (cubicula). Ciò, se si considerano da un lato l’articolazione planimetrica, che bene corrisponde ai
precetti espressi da Vitruvio riguardo alla costruzione dei triclini70, e dall’altro la posizione
delle stanze, il cui affaccio a est doveva garantire ai fruitori ambienti freschi, asciutti e ben ventilati. La cura mostrata nell’orientamento degli
ambienti di soggiorno della villa, in effetti, bene
si accorda con quanto osserva verso la metà del
I secolo a.C. Varrone: l’autore, stigmatizzando
la tendenza a edificare le ville di campagna anteponendo le esigenze di carattere edonistico
agli aspetti concernenti la redditività del fundus, lamenta infatti che i suoi contemporanei
“si preoccupano che i loro triclini estivi siano
rivolti al fresco dell’oriente, quelli invernali verso il tramonto del sole, piuttosto che preoccuparsi, come gli antichi, di come sono esposte
le finestre dei magazzini del vino e dell’olio”71.
L’abbinamento fra il triclinium, la sala in cui si
prendevano i pasti stando sdraiati su tre letti
“alla greca”, e il cubiculum, la camera destinata al riposo ma anche alla lettura, allo studio,
V. supra, pp. 101-103.
V. supra, pp. 264-267.
Vitr., VI, 3, 8 e VI, 7, 2. A questo proposito cfr. de Vos, 1995, pp. 68-69.
Varro, rust., I, 13, 6-7.
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alla meditazione e all’ospitalità72, non è infrequente negli edifici residenziali di età romana,
dove compare nel corso del II secolo, in concomitanza con il processo di ellenizzazione della
società romana e con l’appropriazione, da parte
delle classi dirigenti, di consuetudini orientali,
come per l’appunto il banchetto recumbente, e,
in particolare, di espressioni architettoniche legate da un lato all’affermarsi dei principi della
convivialità, dall’altro alle forme dell’ostentazione del lusso73.
La cucina
Il percorso secondo il quale erano organizzati gli
spazi interni della parte scavata, come ipoteticamente ricostruito da Maura Medri sulla base dell’esistente74, doveva articolarsi in modo che il
settore residenziale dell’Area Sud non avesse comunicazione diretta con i vani dislocati a settentrione, i quali potevano però essere raggiunti attraverso un corridoio (A 13) posto alle spalle degli ambienti. Questo corridoio consentiva tra l’altro l’accesso a un vano adiacente all’area tricliniare (A 6), interpretabile come cucina: uno spazio domestico che probabilmente era usato proprio in funzione del triclinio estivo, ma dal quale
era tenuto ben separato, in quanto frequentato
dalla servitù. Lungo il lato orientale del muro perimetrale sud del vano si trovava un focolare quadrangolare in argilla poggiante direttamente sul
pavimento in terra battuta, con piano di cottura in
laterizi75 (Parte I, figg. 78, 79 e 97); il manufatto
presentava evidenti tracce di usura ed era forse
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stato restaurato nella fascia prossima al muro,
dove una gettata di argilla ricopriva due tegole
accostate, di cui una intera e l’altra frammentaria. Erano realizzate direttamente sul pavimento
anche due piattaforme quadrangolari addossate
ai margini est e ovest del muro perimetrale nord
dell’ambiente (Parte I, figg. 76, 77), formate da
frammenti laterizi disposti in piano e legati con
argilla, forse destinate a sostenere dei mobili lignei, i quali potevano in tal modo venire isolati
dall’umidità che doveva risalire dal terreno76. Il
muro settentrionale della stanza si presentava ricoperto da uno strato di intonaco acromo, mentre il perimetrale sud non recava alcuna traccia di
rivestimento.
La relativamente buona conservazione del deposito stratigrafico in quest’area dello scavo, ha
permesso di mettere in luce, lungo il tratto ovest
del muro meridionale dell’ambiente, il contenuto di un mobile munito di ante (ne rimangono le cerniere in ferro), distrutto dall’incendio
che devastò l’edificio77 (Parte I, figg. 97, 107 e
108): fra i reperti caduti sul pavimento, vi erano
un secchio78, un coltello, due scuri di ferro79, un
mortaio di terracotta80, una macina manuale di
pietra81, un peso o pestello lapideo82, una ciotola e due olle in ceramica comune grezza83, tre
lucerne84 e un campanello bronzeo85.
Il complesso termale
Doveva essere pertinente alla pars urbana della
villa anche il complesso architettonico corrispondente all’angolo settentrionale della costru-
Plin., epist., II, 17, 6-10 e 21.
Zaccaria Ruggiu 2001.
V. infra, il contributo specifico di Medri.
Da confrontare con un manufatto analogo messo in luce nell’ambiente X, interpretato come cucina, dell’edificio
rustico di Servasa di Brentino nella Vallagarina meridionale (Busana 2002, p. 267, fig. 115).
Cfr. il caso analogo della villa rustica di Lugugnana, località Tombe, dove nelle stanze maggiori sono stati rinvenuti
dei basamenti appoggiati alle pareti, costituiti da piani di mattoni frammentari, interpretati come ripiani destinati a
tenere sollevati dal terreno umido madie o cassapanche, pur non escludendosi l’ipotesi che possa trattarsi di piani
di lavoro (Busana 2002, p. 332).
de Vos, 1994, p. 33; 1995, p. 70; 1996, p. 179.
Inv. n. 9179a, b.
Inv. nn. 9178, 9176, 9177.
Inv. n. 8483.
Inv. n. 9223.
Inv. n. 9280.
Inv. nn. 8062+8098, 8065+8097, 9134.
Inv. nn. 9221, 9222, 9219.
Inv. n. 9155.
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zione (AA 14, 16-20), che con tutta probabilità
poteva essere accessibile direttamente dalla terrazza superiore dell’edificio tramite una scala
(A 15)86. In questo punto, tre piccoli ambienti
rettangolari contigui e disposti lungo il muro
perimetrale nord della villa, si affacciavano su
di un cortile, che doveva essere almeno in parte
scoperto, come lascia intendere tra l’altro la particolare concentrazione in questo punto di mattonelle esagonali di terracotta, riferibili a un tipo
di rivestimento pavimentale impiegato soprattutto nell’ambito degli insediamenti di tipo rurale per rivestire ambienti di servizio e aree scoperte87. Inoltre, nel piano pavimentale dell’A 14
è stata rinvenuta una fossa lunga e stretta parallela al muro meridionale, interpretabile, sia pure
con prudenza, come il taglio per la fondazione
di un portico strutturato con pali lignei (Parte I,
figg. 88 e 100).
Nei tre ambienti contigui si è potuto riconoscere un piccolo impianto termale privato: a partire
da ovest, si trova in primo luogo una latrina (A
16), pavimentata con due grandi lastre monolitiche rettangolari di calcare ammonitico (Parte
I, figg. 50 e 87) e servita lungo il lato orientale
dalla medesima canaletta di scolo che ha origine nell’area meridionale dello scavo88. Quest’ultima è infatti collegata a un condotto per lo smaltimento delle acque meteoriche provenienti dal
primo piano e corre sotto il corridoio (A 13) per
tutta la sua lunghezza mantenendo una direzione sud-nord, per poi piegare ad angolo ottuso
in prossimità dell’A 15, proseguire verso est/
nordest al di sotto degli AA 15 e 14, e riprendere infine l’orientamento sud-nord proprio in corrispondenza dell’A 16. La latrina è contigua a
una stanza interpretabile come tepidarium (A
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17), quasi completamente obliterata da un tombino moderno, per cui oggi ne rimane visibile
solo un breve tratto del muro sud. Il complesso
balneare si conclude con un caldarium (A 18),
riconoscibile tra l’altro per la presenza di una
nicchia a pianta rettangolare posizionata lungo
il lato sud del vano e delimitata lateralmente a
sudest e sudovest da due strutture a base quadrangolare (Parte I, fig. 87), atta al posizionamento di una vasca da bagno89. L’ambiente doveva essere munito in origine di un impianto a
hypocaustum alimentato da un praefurnium attiguo, di cui rimane traccia in una piattaforma
rettangolare accostata al muro meridionale dell’ambiente. In effetti, a giudicare dalla particolare concentrazione di tubi fittili e di mattoni circolari per suspensurae in quest’area, è verosimile che l’ambiente presentasse una pavimentazione soprelevata su colonnette (pilae) e un
rivestimento di tubi alle pareti; dei pavimenti
originari, di cui nulla si conserva in questa porzione della villa, che è stata pesantemente danneggiata dalla posa in opera delle infrastrutture
moderne, non restano oggi che centinaia di tessere musive bianche e nere. È possibile che al
caldarium oppure al tepidarium appartenesse
la vasca in pietra (labrum) di cui è stato rinvenuto un frammento nell’A 1490; questo tipo di
bacini, infatti, negli ambienti balneari erano posizionati di norma entro un’abside (schola labri) e potevano contenere acqua fresca per il
refrigerio di chi sostava nell’ambiente riscaldato, oppure acqua calda che, producendo vapore, favoriva la sudatio dei bagnanti91.
L’acqua impiegata per alimentare i bagni del
settore nord veniva forse raccolta in un serbatoio, che si potrebbe identificare con un piccolo
Sulla base delle testimonianze orali raccolte nel 1969 da Adriano Rigotti, vi è da credere che l’A 15 rappresenti ciò
che rimane della scala messa in luce alla fine degli anni ’40, durante i lavori di sbancamento per la costruzione
dell’asilo infantile (Rigotti 1969a, pp. 109-110; 2007, p. 262, nota 476). In base alla medesima fonte orale,
nell’ambiente sito al piano inferiore (che dovrebbe corrisponderebbe all’A 14), sarebbero state messe in luce sette
o otto anfore intatte, subito distrutte al momento della scoperta.
V. supra, p. 314.
Cfr. la latrina dei grandi bagni della villa di Settefinestre: Ricci 1985b, p. 132.
Si veda ad es. il caldario della villa di Settefinestre: Carandini 1985b, p. 174, fig. 164; Ricci 1985b, p. 131 in
particolare (in questo caso l’impianto termale, più ampio e articolato di quello di Isera, è fornito di due vasche per
l’acqua calda incassate nelle pareti del caldarium).
V. supra, p. 245.
de Vos 1985b, p. 62.
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vano a pianta quadrata posto a ridosso del muro
perimetrale est dell’edificio (A 20); questo poteva servire anche il ninfeo monumentale, da
riconoscere nell’ambiente absidato (A 19) posto a decorare la facciata con le sue linee curve
e i giochi d’acqua che vi dovevano trovare posto; del suo rivestimento, come pure più in generale delle fistule e degli elementi metallici
appartenuti all’antico impianto idrico, oggi non
rimane più nulla, tanto che vi è l’impressione di
una spoliazione sistematica, forse avvenuta già
in epoca antica, della struttura.
I locali di deposito e le attività rurali
Il precetto vitruviano di collocare il caldario vicino alla cucina92, effettivamente frequente negli edifici romani e dettato dall’esigenza di condividere l’uso del forno, come ad esempio nel
caso dei piccoli bagni della villa romana di Settefinestre93, non è rispettato a Isera. Nella basis
villae, infatti, fra la cucina e il settore termale si
trova un blocco di ambienti (AA 3, 7-9), posto
in comunicazione diretta con l’esterno tramite
un’apertura sul fronte est della costruzione. Dall’interno dell’edificio, questi locali erano raggiungibili probabilmente solo attraverso percorsi
secondari e indiretti. È infatti probabile che si
tratti di ambienti di servizio e di disbrigo, forse
in parte funzionali alle attività rurali che si svolgevano nella villa. In questa sezione della basis
villae trovano posto, in particolare, due vani di
disbrigo, verosimilmente pertinenti a strutture
di ingresso al piano terra e ai piani superiori (A
8 e A 21)94, affiancati verso nord da un’area (A
9) caratterizzata dalla presenza di un piano pavimentale che nella parte di fondo è ricoperto
da quattro lastre di calcare ammonitico (di reimpiego?) accostate (Parte I, figg. 63, 99), forse interpretabile come una sorta di vestibolo con
portone dotato di soglia monumentale, per l’accesso ai locali della basis villae attraverso il
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corridoio A 13. Vi sono poi due ambienti rettangolari lunghi e stretti (AA 3, 7), fra loro comunicanti attraverso un vano-porta. Questi ultimi si
possono interpretare come magazzini o dispense, sia per le caratteristiche dell’allestimento,
quali la presenza di semplici pavimenti in terra
battuta e di muri non intonacati, sia per il rinvenimento di alcuni utensili da lavoro95. In tal caso,
poiché dovevano essere frequentati dalla familia servile, era opportuno che rimanessero nascosti alla vista di chi si trovava nelle stanze
della pars urbana. La contiguità di questi locali
alla cucina non sorprende, trattandosi di una
scelta di tipo pratico largamente documentata
negli edifici romani di tipo residenziale96; non
sembra tuttavia esservi una comunicazione diretta fra gli ambienti, ma non si può escludere
che un vano porta mettesse in comunicazione
l’A 3 con il corridoio A 13.
Le caratteristiche dell’edificio di Isera e la natura
del territorio in cui esso si inserisce suggeriscono che l’aspetto rustico dovesse rivestire una funzione primaria in relazione alle attività che si svolgevano nella villa, sebbene manchi per ora l’evidenza monumentale di impianti volti alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti agricoli. In effetti, le favorevoli condizioni ambientali
e climatiche che rendono oggi la Vallagarina e
nella fattispecie la zona di Isera un’area particolarmente adatta alla coltivazione della vite, devono aver favorito anche nell’antichità la pratica di
colture specializzate. Come hanno dimostrato le
analisi archeobotaniche effettuate sui reperti
carpologici e antracologici raccolti nel corso dello
scavo97 fu senza dubbio praticata la coltivazione
degli alberi da frutto, fra i quali sono testimoniati
l’albicocco, il pesco, il mandorlo e il noce. L’analisi dei semi carbonizzati ha rivelato inoltre come
fra le attività agricole che si svolgevano nel podere della villa vada annoverata la coltivazione
delle leguminose e dei cereali, e fra questi in
Vitr., VI, 6.
Settefinestre II, p. 54. Su quest’argomento si veda inoltre de Vos 1992, pp. 145-146 e nota 23.
Cfr. infra, il contributo di Maura Medri.
V. supra, pp. 227-228.
Basso et al. 2001, p. 179.
V. supra, il contributo di Castiglioni, Cottini e Rottoli.
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particolare l’orzo, il frumento volgare e lo spelta.
La presenza e l’uso dei cereali è tra l’altro attestata indirettamente dal rinvenimento, nel locale
adibito a cucina, di un frammento di catillus98,
cioè dell’elemento superiore di una macina circolare in pietra (mola manualis). Altre testimonianze delle attività agricole e artigianali che si
svolgevano nella villa sono fornite dal rinvenimento di numerosi utensili da lavoro in ferro, che giacevano nel deposito archeologico accumulatosi
negli AA 6 e 799. Tra di essi figurano in particolare
due scuri, un’ascia e uno scalpello, messi in luce
sul pavimento in terra battuta della cucina, e una
roncola rinvenuta invece nell’ambiente di servizio attiguo. Si tratta di un tipo di instrumentum
che rimanda soprattutto all’ambito del taglio e
della lavorazione del legno; la roncola, in particolare, è avvicinabile al tipo della falx arboraria,
un attrezzo considerato da Catone indispensabile nella coltivazione dell’olivo e della vite100, essendo particolarmente indicato per recidere rami
di piccole dimensioni, potare alberi da frutto e
arbusti e per spollonare le viti. Fra le attività economiche a cui doveva far capo la villa, è d’altro
canto possibile che figurassero anche quelle di
carattere silvopastorale; in particolare, considerate le risorse ambientali di quest’area geografica,
caratterizzata dall’abbondanza di formazioni forestali101 con predominanza di querceti, latifoglie
mesofite e faggete alle basse quote e di conifere
in alta quota102, nonché la vicinanza del fiume
quale ideale via di trasporto verso la pianura, non
è da escludere che i proprietari del complesso
urbano-rustico traessero guadagno anche dalla
produzione e dalla commercializzazione del le-
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gname103. A tale proposito non è fuori luogo ricordare ancora una volta come nel Medioevo lo
scalo di Sacco, piccolo borgo situato sull’Adige
proprio di fronte a Isera, costituisse uno dei principali porti d’imbarco del legname lungo il corso
del fiume Adige104.
Fra le attività di carattere economico che normalmente si svolgevano nell’ambito della villa,
infine, va menzionata la pastio agrestis, ovvero
l’allevamento di bestiame da pascolo, ben attestato a Isera dai reperti faunistici, che fanno registrare una prevalenza di bovini, seguiti da caprovini e suini105. Indirettamente l’allevamento
di caprovini sembra comprovato anche da alcuni manufatti che si possono riferire alle attività
connesse per l’appunto alla pratica dell’allevamento. Accanto a pesi da telaio e fusaiole in
terracotta e pietra collegabili alle operazioni di
tessitura, figura infatti anche un pettine in ferro
a doppia fila di denti appartenente a un tipo
molto comune nel mondo romano e impiegato
anche in epoca altomedievale per cardare la lana
oltre che le fibre vegetali come canapa e lino106.
L’analisi archeozoologica non sembra rilevare a
Isera una presenza importante di pastio villatica, distinta dagli autori latini dalla pastio agrestis e rappresentata prevalentemente da animali
da cortile e volatili107: un solo esemplare faunistico è infatti riferibile al gallus domesticus.
Tuttavia non ci sembra di dover del tutto escludere che la presenza non trascurabile di resti di
uccelli, considerata dagli studiosi con tutta probabilità accidentale108, possa essere invece ricollegabile a una qualche forma di allevamento
intenzionale109.
V. supra, p. 243.
V. supra, pp. 225-228.
Cato, agr., 10,3 e 11,4.
Carta forestale del Trentino 2001, Servizio Foreste della Provincia Autonoma di Trento.
Il larice, in particolare, era molto richiesto sia nell’ambito dell’edilizia, che in quello dell’armatoria: Vitr., II, 9, 14 e
16; Plin., nat., XVI, 190. Si vedano a tale proposito anche i risultati delle indagini archeobotaniche eseguite sui
campioni raccolti nel corso dello scavo (Castiglioni, Cottini, Rottoli, in questo stesso volume).
Si veda ad esempio il caso dei Nonii Arrii, famiglia di ricchi proprietari terrieri con interessi economici nel territorio
perilacustre e montano del Lago di Garda settentrionale: Roffia 2001, p. 469.
Come prova il testo degli statuti della corporazione dei radaroli del 1260: Rossini 1986, p. 248.
V. supra, il contributo di Riedel e Tecchiati.
V. supra, p. 227.
Varro, rust., III, 1, 8-9 e III, 2, 13.
V. supra, p. 333.
Cfr. Varro, rust., III, 2, 3 e III, 3, 1.
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L’ala nord e la terrazza superiore
Nel deposito scavato nel 2003-2004 nel primo
dei due sondaggi aperti a ovest dell’area termale della villa (sondaggio A), costituito da strati
di riporto di formazione moderna, non sono stati
messi in luce materiali riferibili con certezza all’allestimento e all’eventuale arredo dei due
ambienti messi in luce. La consistente quantità
di frammenti laterizi raccolti, costituiti in prevalenza da tubi fittili, sembra infatti potersi attribuire al relativamente recente smantellamento
dell’attigua zona termale; la medesima provenienza si può ipotizzare anche per gli sporadici
frammenti di intonaco parietale acromo e per le
tessere musive bianche e nere, del tutto analoghe a quelle trovate nei balnea in associazione
con i frammenti di tubuli. Di conseguenza, allo
stato delle ricerche, non risulta possibile risalire alla destinazione d’uso dei locali dell’ala nord
della villa.
Un secondo saggio di scavo di dimensioni limitate (sondaggio B), praticato a sud del precedente, ha confermato la prosecuzione del terrapieno verso meridione e allo stesso tempo ha
dimostrato l’assenza di strutture murarie nel
punto indagato, per lo meno alla quota oggi
conservata. Non sono stati pertanto raccolti dati
utili né alla comprensione della prosecuzione
verso ovest dell’ambiente A 15, né all’articolazione del lato settentrionale del terrapieno che
sosteneva il corpo principale della villa, il quale
poteva anche costituire una terza terrazza, situata a una quota superiore non solo rispetto
all’ala est, ma anche all’ala nord del complesso. Ciò sembra suggerito, tra l’altro, da quanto
osservato durante lo scavo eseguito nell’area a
sudest della scuola nel 1990 per la posa in opera
della centralina termica, nell’ambito del quale
non sarebbero stati rinvenuti materiali antichi110.
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Tracce di una probabile struttura muraria o pavimentale lungo il lato settentrionale del piazzale della scuola, sono state invece individuate
tramite un terzo saggio, di dimensioni ridotte
(sondaggio C), praticato presso l’angolo nordoccidentale dell’edificio scolastico. Infine, anche nell’area nordovest del piazzale, un’ampia
trincea aperta parallelamente al margine settentrionale del terrazzamento moderno e dunque
orientata est-ovest (sondaggio D), ha permesso di intercettare altre evidenze strutturali attribuibili al complesso della villa romana. Si tratta
in primo luogo di un altro muro orientato nordsud, che, rinvenuto nell’area orientale del sondaggio, sembra dare ulteriore sostegno all’ipotesi di un’articolazione paratattica degli ambienti
che componevano l’ala nord della villa, soprattutto se è interpretabile come una fossa di spoliazione di un muro un’evidenza negativa individuata alla distanza di circa 3,5 m dalla precedente struttura, in prossimità del margine est
della trincea. La seconda evidenza strutturale è
rappresentata dai resti di una complessa costruzione messa in luce nell’area occidentale
del sondaggio alla distanza di poco più di 3,2
m dalla struttura muraria precedente, costituita un’estesa platea in muratura, apparentemente formata dall’accostamento e dalla combinazione di diversi setti di forma allungata. Lungo dal margine est a quello ovest circa 6,9 m
e recante ai due lati riseghe di fondazione larghe oltre 50 cm, tale basamento è apparso procedere in sezione sia verso sud che verso nord;
esso costituisce evidentemente la base di una
struttura di impegno architettonico notevole,
che non va escluso si possa forse identificare
con la “seconda torre” che nella memoria degli
abitanti del paese doveva trovarsi in prossimità
della villa111.
Comunicazione personale di Adriano Rigotti, presente sul sito nel corso dei lavori.
Rigotti 1969a, p. 110.
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