LO SCRIGNO DI PROMETEO
COLLANA DI DIDATTICA, DIVULGAZIONE E STORIA DELLA FISICA

Direttore
Ettore G
Università degli Studi di Milano
Piero Caldirola International Centre for the Promotion of Science
Comitato scientifico
Sigfrido B
Università degli Studi di Pavia
Giovanni F
Università degli Studi di Ferrara
Marco Alessandro Luigi G
Università degli Studi di Milano
LO SCRIGNO DI PROMETEO
COLLANA DI DIDATTICA, DIVULGAZIONE E STORIA DELLA FISICA
La conoscenza completa delle leggi fisiche è la meta più alta a cui possa aspirare un
fisico, sia che essa abbia uno scopo puramente utilitario. . . sia che egli vi cerchi la
soddisfazione di un profondo bisogno di sapere e la solida base per la sua intuizione
della natura.
Max P
La Fisica ha come scopo capire il rapporto tra l’uomo e la natura,
non solo da un punto di vista scientifico, ma anche filosofico, e ha
cambiato in modo irreversibile la nostra vita tramite le sue ricadute
tecnologiche.
La spiegazione e la divulgazione dei concetti che stanno alla sua base,
dati quasi per scontati, ma lungi dall’essere noti o compresi da molti,
e l’evoluzione delle tecniche sperimentali, che hanno permesso di
scoprire le leggi che regolano i fenomeni naturali e delle teorie via via
elaborate, sono perciò argomenti di studio e riflessione di rilevanza
primaria.
Questa collana si rivolge a chi abbia desiderio di approfondire o discutere questi temi ed è aperta a chi voglia collaborarvi con contributi
originali.
Clemente Tortora
Quale realtà?
La visione del mondo nella fisica quantistica
Prefazione di
Ignazio Licata
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Indice

Prefazione
Non–località: emergenza e manifestazione in fisica quantistica
di Ignazio Licata

Introduzione

Capitolo I
Il corpo nero e le statistiche quantistiche

Capitolo II
La teoria atomica di Bohr

Capitolo III
La meccanica quantistica

Capitolo IV
Le questioni di interpretazione della MQ

Capitolo V
I campi quantistici e l’esperienza di Bohm

Capitolo VI
L’ordine implicito di Bohm

Capitolo VII
Quale realtà?

Appendice 

Appendice 

Indice


Appendice 

Appendice 

Appendice 

Appendice 

Appendice 

Bibliografia
Prefazione
Non–località: emergenza e manifestazione
in fisica quantistica
di I L∗
Alle origini della fisica moderna
Si afferma spesso che la fisica moderna è nata da due rivoluzioni quasi
contemporanee, la teoria relativistica e la fisica quantistica, sviluppatesi
entrambe nei primi anni del ’. Questo è generalmente vero, ma
poco utile se non si specificano i rapporti complessi e per alcuni aspetti
conflittuali che hanno accompagnato le due teorie fino ai giorni nostri.
Per iniziare fissiamo alcune tappe.
La teoria relativistica prende forma dopo un dibattito trentennale
sulla compatibilità tra meccanica di Newton ed elettromagnetismo di
Faraday–Maxwell,con numerosi contributi, tra cui quelli di H. Poincaré e H.A. Lorentz, fino al punto di svolta di Albert Einstein che,
issandosi sulle spalle dei giganti, realizza una sintesi straordinaria, trasformando una fin troppo variegata modellistica — che andava dall’etere
ai modelli strutturali d’elettrone —, in una teoria generale che fissa i
rapporti spaziali e temporali tra osservatori inerziali (relatività ristretta, RR, ). A questa prima tappa ne seguirà una seconda ancora
più innovativa che permette una descrizione metrica della gravità,
una sorta di “deformazione” spazio–temporale delle simmetrie della
RR (relatività generale, RG, –). A cosa è dovuto il successo
di Einstein? Retrospettivamente è possibile dire che il fisico di Ulm
∗
Full Professor of Theoretical Physics, ISEM, Institute for Scientific Methodology, Palermo; School of Advanced International Studies on Theoretical and non Linear
Methodologies of Physics, Bari, Italy.


Prefazione
seppe vedere nelle questioni contingenti della difficile coesistenza
tra Newton e Maxwell un’opportunità per estendere e ridefinire la
sintassi strutturale della fisica classica arrivando a fissare le condizioni di descrivibilità di un evento fisico fondendo lo spazio e il tempo
in una nuova struttura formale, appunto lo spazio–tempo. Non si
sottolineerà mai abbastanza l’audacia di questo passo; mentre i suoi
contemporanei cercavano di esplorare con risultati ragguardevoli la
nuova fenomenologia che si affacciava ai comuni confini della meccanica e dell’elettromagnetismo lasciando invariato lo “sfondo” dello
spazio e del tempo, il salto di qualità di Einstein consiste proprio nel
comprendere che le difficoltà più insidiose si nascondevano proprio
nelle concezioni di spazio e tempo assoluti, ereditata da Newton ed
implicitamente intaccata dalla teoria del campo di Maxwell! Bisognava
insomma non soltanto ricomporre il rapporto tra il il “teatro” di coordinate e gli “attori” fisici (campi e particelle), ma riconoscere entrambi
come espressioni inscindibili di un evento fisico. Questa concezione troverà la sua massima realizzazione (ed incontrerà le prime difficoltà)
nella RG, intesa come uno scenario aperto — il famoso telo di Eddington — in cui avrebbero dovuto trovare posto tramite un’opportuna
descrizione metrica tutte le interazioni fisiche, i primi tentativi di
quelle che oggi sono note come “teorie del tutto” (TOE, Theory of
Everything). Se in questa forma le aspirazioni delle TOE non si sono
realizzate, ed Einstein passò i suoi ultimi anni a combattere contro la
meccanica quantistica (MQ) guardando i cadaveri delle sue teorie unificate, è comunque alla RG che dobbiamo il primo modello di teoria di
gauge, che è oggi la più generale e promettente “grammatica” delle
teorie fisiche nel loro cammino verso l’unificazione. Bisognerà però
attendere il lavoro di C.N. Yang e R. Mills () perché questo nuovo
“stile” nel costruire le teorie fisiche fosse esplicitamente riconosciuto
(Ta–pei Cheng, ; Blagojevic–Hehl ; due ottimi articoli di alta
divulgazione sono: Chen Ning Yang, ; ).
Il vaso quantistico di Pandora
Se la relatività appare in definitiva un momento di sintesi classica
che avrebbe dovuto aspettare ancora anni prima di trovare effettiva
applicazione nello studio “concreto” dei fenomeni fisici ad altissime
Prefazione

velocità e campi gravitazionali di stelle supermassive, la teoria dei
quanti irrompe in modo deflagrante con l’ipotesi di Planck per risolvere il problema dell’interazione radiazione–materia (–), trova
le prime applicazioni e generalizzazioni con l’effetto fotoelettrico (Einstein, ), l’atomo di Bohr () lo scattering di Compton (), le
onde di de Broglie () e la sua formalizzazione ed interpretazione
nel – con il lavoro convergente, seppur ispirato a concetti e
metodi diversi, di Erwin Schrõdinger, Werner Heisenberg e Paul M.A.
Dirac; ai quali ci sentiamo di aggiungere almeno Pascual Jordan e
Max Born, che con Heisenberg avevano lavorato alla formulazione
matriciale; in particolar Born fornirà l’idea centrale della scuola di
Copenaghen, l’interpretazione probabilistica delle funzione d’onda. Come si può vedere dalla scansione delle date principali, la meccanica
quantistica si sviluppa in modo impetuoso, forzata dalle evidenze sperimentali e dalle necessità teoriche, e diverrà ben presto chiaro che tra
il linguaggio spazio–temporale, continuo e locale, della fisica classica
e relativistica, e quello discreto e probabilista della fisica quantistica
inizia e delinearsi un divario teorico ed una tensione concettuale che,
sotto forme diverse, durano ancora oggi e costituiscono — come
sempre avviene in fisica — una forte sfida verso nuovi approdi.
L’erosione dei concetti tradizionali di spazio e tempo inizia a ridosso dello stesso sviluppo della teoria quantistica: i primi lavori di
H. Flint e O. Richardson sull’opportunità di estendere forme di discretizzazione radicale allo stesso telo di Eddington oltre che alle forme di
materia–energia sono del  (e Flint continuerà fino al , quando nel frattempo era comparsa anche la proposta di H. Snyder sullo
spazio–tempo quantizzato); la prima interpretazione “realistica” della
funzione d’onda è dello stesso de Broglie, che dichiara di non voler
abbandonare la visualizzabilità dei comportamenti dei sistemi fisici
che si evolvono nello spazio e nel tempo, il primo contributo ad una
ricca classe di teorie dette globalmente pilot waves theories. Le letture
“idrodinamiche” e stocastiche della funzione d’onda iniziano rispettivamente con E. Madelung () e con R. Fürth (). Ed inizierà nel
 il famoso dibattito Einstein–Bohr le cui caratteristiche essenziali
si ripropongono quasi intatte ai nostri giorni (Caldirola, ; Licata,
; Baggott, ; Crease & Goldhaber, ; Kumar, ).
Perché l’apparizione di una distribuzione di probabilità ha alimentato quella che è quasi diventata una disciplina a sé, codificata nei

Prefazione
giornali specializzati come “fondamenti e interpretazioni della MQ”?
Anche nella fisica statistica la probabilità ha un ruolo fondamentale
come “ponte” tra il linguaggio macroscopico della termodinamica e
quello microscopico della teoria cinetica. In quest’ultimo caso però il
ricorso alla probabilità è una strategia per specificare “cosa c’è sotto”
grandezze come la temperatura di un gas (energia cinetica media
delle molecole) o la pressione (collisione delle molecole sulle pareti
del recipiente). È opportuno ricordare che Albert Einstein aveva dato
nel suo annus mirabilis  un ultimo tassello importante a questo
grande trionfo della teoria cinetica dei gas con la sua teoria del moto
browniano. Nel caso della fisica quantistica la funzione d’onda è una
funzione complessa delle coordinate spaziali e temporali di un sistema
fisico, ed il suo significato è quello di un’ampiezza di probabilità, i.e. il
suo modulo quadro rappresenta la probabilità di un certo valore ad
esempio di posizione o altre osservabili. Si “rompe” insomma quella
sorta di specularità che aveva fino ad allora caratterizzato le teorie
fisiche classiche, dove era sempre possibile far corrispondere un termine teorico ad un concetto fisico definibile operativamente, ed in
particolare localizzabile tramite eventi nello spazio–tempo.
Le onde quantistiche non trasportano energia e non caratterizzano
interazioni, sebbene può essere costruita agevolmente per loro un’equazione analoga a quella di Newton, l’equazione di Schrödinger, che
segue un’evoluzione di tipo U (unitaria e deterministica), ma che può
solo offrirci una probabilità se vogliamo sapere in quale punto dello
schermo un elettrone colpirà un rivelatore di particelle. Quest’ultimo
evento è singolarmente impredicibile ed è di tipo R (reduction state o
“collasso” della funzione d’onda). La mescolanza nello stesso formalismo di elementi U ed R è una diretta conseguenza dell’interpretazione
probabilistica della meccanica ondulatoria, come si comprende anche dell’espressione “collasso” usata per indicare che il formalismo
ci costringe a utilizzare l’evoluzione di un’onda di probabilità che non
ci dice però dove troveremo la particella; in altre parole, se proviamo
per un momento ad adottare una visione naive dell’onda quantistica
come onda pilota che guida la particella, è come se nel momento
della rivelazione, il “click” che è il concreto oggetto di studio della
fisica, l’onda sparisse per lasciare posto ad un evento di localizzazione!
Ma c’è di più. Questa lettura ingenua “one wave–one particle” deve
lasciare il posto a qualcosa di assai meno intuitivo, come ad esempio
Prefazione

uno spazio iperdimensionale multiconnesso (Gauthier, ): l’intreccio probabilistico intorno ad una particella è insomma terribilmente
complesso. D’altra parte anche la nozione stessa di particella, così
“solida” in fisica classica, inizia a perdere le sue caratteristiche. La
sovrapposizione — comportamento del tutto “legittimo” per un’onda — diventa qui un’incertezza sul valore di un’osservabile (i famosi
|spin su> e |spin giù>, stati del qbit dell’informazione quantistica),
e sono possibili pure osservabili che non commutano, tali cioè che
il fissato il valore di una sia assolutamente indefinito il valore dell’altra (principio di indeterminazione di Heisenberg). Tutti gli aspetti
eccentrici, non–classici, della fisica quantistica sono riassumibili nel
carattere elusivo dell’onda quantistica e dunque nel problema del suo
significato. Il dibattito interpretativo della MQ ha un posto del tutto
particolare all’interno della storia delle teorie fisiche. Un’interpretazione dovrebbe semplicemente essere un insieme di prescrizioni tali
da mettere in corrispondenza la struttura formale della teoria con le
procedure sperimentali, ed è quello che effettivamente l’interpretazione probabilistica di Copenaghen fa in maniera magnifica, ma nella
comunità dei fisici è rimasta l’idea che per la natura probabilistica della
funzione d’onda si dovrebbe trovare una ragione ultima simile a quella
trovata nella teoria cinetica dei gas.
Il dibattito Einstein–Bohr
Prima di entrare nel merito della questione, ed in particolare nei suoi
aspetti contemporanei, bisogna ricordare che l’interpretazione di Copenaghen non è stata una costruzione monolitica, sebbene così possa
sembrare a chi oggi studia un manuale di MQ. Ci sono accezioni
diverse nel modo di intendere la struttura della MQ negli scritti di
Heisenberg, Born, Dirac, per le quali rimandiamo al classico di d’Espagnat (d’Espagnat, ), ma non c’è dubbio che l’ispiratore principale
di questa concezione fu Niels Bohr, che da una parte ammoniva a
diffidare dell’ intuizione e del linguaggio quando si considerano range
assai lontani da quello in cui la cognizione umana si è formata (come è il caso della microfisica, terreno storico d’elezione della MQ) e
dall’altra dunque ci invitava ad un’attenzione particolare verso quegli
aspetti minimali dell’interpretazione — concordanza tra elementi teo-

Prefazione
rici e procedure osservative — cui abbiamo fatto riferimento sopra. Il
suo avversario, come sappiamo, era Einstein, profondamente legato
all’idea di oggetti con definite proprietà localizzabili nello spazio e nel
tempo. Per Einstein dunque la fisica quantistica è incompleta perché
fornisce risultati affidabili ma non permette di identificare “elementi
di realtà fisica”, con i quali evidentemente intende la possibilità di
descrivere oggetti localizzati con proprietà sempre ben definite. Se la
posizione di Bohr appare ragionevole, votata com’è ad una interpretazione minimale (attenta ai “click”), quella di Einstein sembra più
orientata a sostenere un’idea di “oggettività” che seppur coniugata
nei termini della fisica classica, propone con forza una domanda legittima: perché la MQ è così diversa dalla fisica classica? Il dibattito
Bohr–Einstein porterà a definire le tre seguenti possibilità:
a) La realtà fisica obbedisce alle leggi della MQ.
b) La realtà fisica è suscettibile di una descrizione indipendente
dall’osservatore, e dunque oggettiva.
c) La realtà fisica è descrivibile come un insieme di eventi localizzabili nello spazio e nel tempo.
La prima affermazione rispecchia la posizione di Bohr e Co., e
porta con sé il crollo della seconda. Infatti abbiamo visto che la MQ
comporta variabili che non commutano, e dunque se scegliamo di
predisporre un apparato per registrare le caratteristiche “ondulatorie”
di un sistema — come nel famoso esperimento delle due fenditure —, perderemo informazioni sugli aspetti particellari, e viceversa.
Naturalmente questo non ha nulla a che fare con la “coscienza” dell’osservatore, ma indica che la misura è fortemente “contestuale”,
ossia legata al tipo di fenomenologia che si vuole indagare, al tipo
di ambiente preparato, e così via. È evidente che per Einstein la prima osservazione è soltanto un’approssimazione, e “sotto” il livello
quantistico dev’esserci una realtà “ontologicamente” più solida, per
descrivere la quale la terza proposizione è imprescindibile, con riferimento particolare ad uno dei risultati chiave della RR: nessun segnale
può propagarsi a velocità superiore a quella della luce nel vuoto che
appare così una velocità limite che regola l’informazione nell’universo,
proprio come la costante di Planck fissa lo scambio tra “pacchetti”
d’energia. La posizione di Einstein è tendenzialmente favorevole alla
Prefazione

ricerca di un livello subquantico, o comunque un’integrazione alla
MQ tale da poter restaurare una visione più vicina alle esigenze di
una visione classica dell’uso delle probabilità. Inizia così la lunga e
complessa ricerca sulle “variabili nascoste”, in grado di “completare”
la MQ (Belinfante, ). Rivoluzionario fu il ruolo di D. Bohm e di
J. Bell, che mostrarono la possibilità di “salvare i fenomeni” facendo
cadere l’assunzione di separabilità locale, tanto cara ad Einstein (Bell,
). Questa possibilità è stata confermata da una serie formidabile di
esperimenti dalla fine degli anni ’ fino agli inizi dei ’ (con continui
miglioramenti nella sensibilità degli apparati) ed ha messo in evidenza
che la realtà della MQ è essenzialmente non–locale. Questo vuol dire
che la già enigmatica funzione d’onda può correlare istantaneamente
particelle spazialmente separate, violando le disuguaglianze di Bell (si
tratta di un’espressione matematica che non dovrebbe essere violata
se vale l’ipotesi di località di Einstein), e confermando piuttosto il
potenziale di Bohm, contenuto implicitamente in ogni formulazione
della MQ, che permette queste correlazioni non–locali (Licata & Fiscaletti, ; Fiscaletti, ). In genere a questo punto un manuale
di fisica chiude la faccenda dicendo che Einstein aveva torto, e Bohr
ragione, teorie locali con variabili nascoste non sono possibili e la MQ
è ancora più strana di quanto si potesse pensare all’inizio, visto che
non soltanto vale la proposizione (a), la MQ è completa, ma implica
pure inediti effetti di correlazione non–classici. È davvero questa la
fine della storia?
Chi ha vissuto il periodo della ricerca sulle variabili nascoste sa
che oggi raramente gli viene resa giustizia. L’autore di questa nota
era studente nel famoso “posto giusto”, quando all’istituto di matematica di Palermo erano presenti tre studiosi tra i più impegnati
nel dibattito, G. Corleo, D. Gutkowski e G. Masotto, in stretta collaborazione con il gruppo sperimentale di Catania di V.A. Rapisarda
e “Milla” Baldo–Ceolin, che avrebbe dato contributi fondamentali
a quello che oggi è noto come esperimento di Aspect, decisivo per
confermare gli aspetti non–locali della MQ. Se c’è qualcosa che si
può dire di quel ricco e confuso periodo teorico è che una sintesi
conclusiva così draconiana lascia insoddisfatti. Infatti tra i risultati di
quegli anni ce ne sono alcuni che indicano sia la possibilità di variabili
nascoste che la compatibilità con la MQ. È facile comprendere che
questo dipende in modo sensibile da come si definiscono le variabili

Prefazione
nascoste, ed è dunque facile comprendere come, alla fin dei conti,
nelle tre proposizioni (a), (b) e (c) la vera nozione da mettere sotto
analisi è il concetto di “realtà fisica”. Innanzitutto non è detto che
le variabili debbano avere caratteristiche tali da complementare una
descrizione classica. In fondo, proprio nel modello principe ispiratore
di programmi di questo tipo, quello della teoria cinetica, le variabili
“nascoste” delle molecole danno vita a grandezze come la temperatura e l’entropia che appartengono ad un livello diverso, e sono perciò
come si direbbe oggi “emergenti” rispetto al livello molecolare. Il
concetto di temperatura non ha alcun senso per una singola molecola,
viceversa non è possibile associare ad una temperatura una velocità. Il
dibattito Einstein–Bohr si avvia dunque a riprendere una nuova forma
ed un nuovo obiettivo, i.e. cos’è la non località? È davvero l’ultima
parola sulla descrizione del mondo fisico, o esiste un livello specifico in
cui si colloca la fenomenologia della MQ? E, cosa più importante, la
MQ così com’è è in grado di aiutarci nelle sfide che attendono le teorie
unificate oltre il modello standard — conclusosi con la scoperta del
bosone di Higgs —, verso la ricerca di una gravità quantistica? Cosa
indica davvero il teorema di Bell?
Prima di provare a dare un quadro generale delle linee di ricerca
possibili suscitate da queste domande, vanno precisati due punti. Uno
riguarda quella che potremmo definire la “nipote” matura della MQ,
la teoria quantistica dei campi (TQC). La fisica quantistica infatti non
può essere solo “meccanica” — che ci dice come si muove un sistema
quantistico —, ma deve specificare quali sono le caratteristiche che
l’aspetto quantistico del mondo dà alle interazioni; la MQ deve dunque essere applicata alla descrizione dei campi di forze. Inoltre deve
essere resa relativisticamente invariante, perché nessuna interazione
può avere caratteristiche “istantanee” e violare la velocità della luce
(Lancaster & Blundell, ). Appare qui una difficoltà ancora aperta,
ossia il problema della non–località non si pone soltanto tra MQ e RR,
ma all’interno della stessa TQC, che si è sviluppata sotto la spinta della
ricerca in fisica delle particelle ed ha un carattere sostanzialmente
“locale” (è noto che negli esperimenti di fisica delle alte energie le particelle vengono considerate come “proiettili” localizzati e sopratutto
localizzabili nei processi d’impatto). Questa nota può dare l’idea di
quanto imbarazzante sia la questione della non–località all’interno della stessa teoria quantistica. Anzi, lo sviluppo della QFT ha in qualche
Prefazione

modo reso più complesso ed urgente il problema, evidenziandone le
numerose sfaccettature.
Entanglement e non–località
Per i nostri scopi basterà qui ricordare che l’incontro tra il formalismo
quantistico e le interazioni ha prodotto una teoria straordinariamente ricca, con uno stato di vuoto multiplo, nel quale sono possibili più
configurazioni con una ricco dispiegarsi di possibilità all’origine di
gran parte della varietà del mondo che ci circonda; stati coerenti, fluttuazioni, processi di dissipazione, variazione dei gradi di libertà e del
numero di quanti (processi di creazione–annichilazione) tutti questi
fenomeni rendono la TQC assai più raffinata della MQ (Blasone et
al., ; Hayland, ) Anche il carattere semi–classico del dualismo
onda/particella qui scompare per lasciare il posto a modi del campo,
ognuno con una definita frequenza. Da un punto di vista “campistico”
alcune cose appaiono più comprensibili: ad esempio, non c’è nulla di
più naturale dei fenomeni di propagazione ondulatoria e di sovrapposizione. Ma la complessità intrinseca delle trattazioni che utilizzano la
TQC ha permesso di porre in evidenza che la non–località è qualcosa
di più sottile di quello che si pensava, cosa che può oggi essere esplorata con le nuove tecniche dell’informazione quantistica. Fino a non
troppo tempo fa ad esempio si faceva confusione tra l’entanglement
e la non–località. Il primo termine, fin troppo noto, si riferisce all’intreccio di sovrapposizione coerente tra due stati puri descritti da una
funzione d’onda, per intenderci un caso del tipo spin–su/spin giù, (o
gatto vivo/gatto morto). Molto spesso però non abbiamo una conoscenza così “pulita”, e bisogna ricorrere all’operatore densità in cui sono
mischiate in forma di miscela statistica le nostre conoscenze sul sistema
e sui suoi stati: quello che non sappiamo per motivi specificatamente
quantistici (ad esempio il valore di un’osservabile non compatibile),
e quello che non sappiamo per motivi epistemici (effetti dissipativi,
tipici della TQC). L’operatore densità ha dunque un campo più vasto
di applicazioni ed è in TQC una necessità. Analisi condotte su queste basi, ed esperimenti recenti, hanno mostrato che le due nozioni
non sono affatto equivalenti, e che mentre l’entanglement misura,
in qualche modo, la forza dell’intreccio tra due sistemi, e possono

Prefazione
esserci una gran varietà di situazioni tra stati maximally e minimally
entangled — che dipendono dunque largamente dal tipo di relazioni
sistema–ambiente e dalla coerenza del campo —, la non–località appare una risorsa differente, più sottile ed ubiqua. In sintesi estrema, e
parafrasando alcuni titoli recenti ormai celebri, tutti gli stati entangled
sono non–locali, ma non è vero l’inverso (Vidnik & Wehner, ; Vertesi
& Brunner, ; Buscemi, ; Fiscaletti & Licata, ). La questione
si ripropone ancora oggi: la non–località è la radice del mondo fisico?
Due approcci alla non–località
Un posto a parte in questa storia spetta a D. Bohm, il fisico teorico che
per primo propose diversi modelli basati sul potenziale quantico che
rendeva “evidente” il ruolo della non–località all’interno della MQ.
Ma di cos’è espressione il potenziale quantico? Negli anni lo stesso
Bohm, prima in una tempestosa collaborazione con de Broglie e J.P.
Vigier, poi con B. Hiley, ha sviluppato una serie di proposte dove la
natura del medium sub–quantico veniva specificata in modo da poter
integrare elementi stocastici in grado di inglobare gli sviluppi della
TQC e degli integrali di Feynman (Licata & Fiscaletti, ). Va detto
che Bohm è ancora oggi ricordato sopratutto per aver offerto una semplice teoria con variabili nascoste riproponendo il modello dell’onda
pilota di de Broglie, e stimolando la fantasia speculativa di J. Bell (“Ma
nel  accadde l’impossibile. Fu nei lavori di David Bohm”), ma sin
dall’inizio il suo obiettivo non era quello di restaurare un’immagine
classica del mondo ma piuttosto di comprendere le radici del probabilismo e della non–località. Anche l’idea di particella di Bohm era
tutt’altro che classica. In un’intervista del  alla BBC afferma: “Se vi
domandaste come l’elettrone è passato in realtà attraverso la fenditura,
e se realmente ha attraversato l’una o l’altra, io vi risponderei che
con molta probabilità un elettrone non è un tipo di cosa che possa
passare da una fenditura o da un’altra. In realtà esso è qualcosa che
continuamente si forma e si dissolve e questo può essere il modo
in cui si comporta realmente” (Toulmin, ). Nella stessa intervista fa riferimento ad una teoria generativa dello spazio, del tempo
e della materia–energia che metterà a punto negli anni successivi
con l’aiuto di B. Hiley. Si tratta di una teoria topologico–algebrica
Prefazione

che descrive come da un tessuto non locale (implicate order) si genera
ciò che osserviamo come manifestazione di un pre–spazio (explicate
order). Gli eventi locali, ciò che misuriamo, sono dunque manifestazioni nel tempo e nello spazio di una rete transazionale atemporale
che vincola, in sostanza, come le cose (e quali cose!) vengono in essere.
L’elemento atemporale non deve stupire più di tanto, visto che ne
fanno un largo uso molte proposte teoriche di unificazione e gravità
quantistica. Piuttosto, c’è ancora molto lavoro da fare per descrivere
come si passi da un’informazione non–locale alle dinamiche locali che
osserviamo, ed in particolare come questo vuoto “algebrico” generi
quello “dinamico” della TQC. Il vecchio potenziale quantico diventa
dunque una porta, un accesso tra ordine implicito ed esplicito, verso
una struttura algebrica del mondo in cui risiedono le stesse condizioni
dell’esistenza fisica, e che è quel nucleo indiviso e globale che genera
la realtà fisica esperita. La non–località in un esperimento EPR– Bell
(dalle iniziali di Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen, che
lo idearono in forma concettuale, Gedankenexperiment, e dal nome
di Bell che definì le disuguaglianze funzionali ai test di laboratorio
sulla base del lavoro di Bohm) è dunque soltanto la traccia di una originaria Oneness. Detto altrimenti, la correlazione non–locale tra due
osservabili viene vista come la proiezione di un singolo oggetto. Bohm
chiamava questa proiezione, o più correttamente questa connessione
tra atemporale e temporale, olomovimento, e rappresenta dunque il
limite estremo del riduzionismo; questo però funziona bene finché
descriviamo eventi nello spazio e nel tempo (Bohm, ; Bohm, ;
Bohm & Hiley, ; Hiley, ). Idee simili sono state espresse da W.
Heisenberg, C. F. von Weizsäcker, D. Finkelstein e sono fortemente
presenti nella fisica contemporanea (Chiatti, ; Kastner, ; Licata,
, Mohrhoff, ). In particolare ci sembra evocativa questa frase
di Mohrhoff.
The manifestation of the world consists in a transition from a condition of
complete indefiniteness and indistinguishability to a condition of complete
or maximal definiteness and distinguishability, and what occurs in the course of this transition — what is not completely definite or distinguishable
— can only be described in terms of probability distributions over what is
completely definite and distinguishable [. . . ] The reason why local explanations do not work may be the same as the reason why the manifestation
of the spatiotemporal world cannot be explained by processes that connect