GLI ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO
2. Gli “illeciti ambientali in bianco”
2.1. Il concetto di “illecito ambientale in bianco”
Come abbiamo sopra accennato, per “illecito ambientale in bianco” deve
intendersi ogni illecito compiuto sulla base di un atto autorizzatorio della
pubblica amministrazione apparentemente legittimo, almeno sotto il profilo
procedimentale, con cui, specie nel campo dell’edilizia, dei rifiuti e degli
scarichi, si vanno ad autorizzare condotte non assentibili, perché costituenti
reato sulla base del codice penale ovvero delle vigenti leggi speciali in
materia, o comunque illecito amministrativo.
Facciamo un esempio concreto. Ipotizziamo la realizzazione di un manu- Permesso
di costruire
fatto adibito ad uso abitativo.
Nell’ipotesi legislativamente prevista, il titolare dei lavori ha ottenuto un [13]
permesso di costruire perfettamente in regola ed in armonia con la normativa
urbanistico-edilizia: i lavori sono assentiti in modo assolutamente lecito.
Passiamo invece ad analizzare l’ipotesi in cui il manufatto venga realizzato per un’opera importante a fini abitativi (es. villa in campagna a tre
piani) senza aver preventivamente richiesto il permesso di costruire. In tal
caso, siamo di fronte ad un chiaro “illecito ambientale” di natura penale, vale
a dire di un reato; verrà dunque attivata una procedura di accertamento di
polizia giudiziaria (che porterà anche al sequestro penale del cantiere) con
conseguente comunicazione di reato al PM e giudizio penale. La sanzione
è sempre penale.
Se il manufatto è – in caso diverso – di modesta entità (es. piccola rimessa
per attrezzi agricoli) non è soggetto a permesso di costruire ma a procedure
autorizzatorie di minore livello, e dunque non avendo il titolare attivato le
medesime non verrà integrato un reato ma un illecito amministrativo e saremo
di fronte ad un chiaro “illecito ambientale” di tipo amministrativo; verrà
dunque attivata una procedura di accertamento di polizia amministrativa (che
porterà eventualmente anche al sequestro amministrativo del cantiere) con
conseguente contestazione procedurale di una sanzione amministrativa.
Fin qui, tutto (per così dire…) “nella regola”, nel senso che le configurazioni sono chiare e si tratta comunque di illeciti da perseguire in via
penale o amministrativa perché le opere sono state realizzate in violazione
espressa di legge.
Ma può verificarsi un’altra ipotesi, molto più subdola e pericolosa. Se
infatti l’opera edilizia in questione è realizzata in un’area soggetta a vincolo
paesaggistico-ambientale (es. area boscata), allora non è sufficiente il solo
permesso di costruire del Comune, ma è necessario acquisire in via preventiva
uno speciale nulla-osta rilasciato dall’autorità competente a gestire il vincolo
stesso (di regola la Regione, salvo sub-delega).
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GUIDA PRATICA CONTRO GLI “ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO”
Il Comune, in assenza di tale nulla-osta preventivo, non può rilasciare il
permesso di costruire. Se – invece – il Comune, nonostante il vincolo e la
necessità di acquisire in via preventiva tale nulla-osta, rilascia comunque il
permesso di costruire, in assenza di tale irrinunciabile atto propedeutico, si
realizza un fatto abnorme: l’opera viene autorizzata in modo apparentemente
legittimo, sulla base di un permesso di costruire che reca tutti i bolli e le
firme necessarie. E dunque il titolare inizia i lavori.
Quando un organo di vigilanza si reca nel cantiere per eseguire un controllo, si trova di fronte ad una situazione paradossale.
Infatti l’opera in costruzione non costituisce in se stessa né un illecito penale
né un illecito amministrativo perché formalmente l’atto abilitativo (permesso di
costruire) esiste. Ma l’organo di controllo nell’esaminarlo nota che nel rilasciare
tale atto il Comune ha ignorato totalmente la necessità del nulla-osta preventivo
per il vincolo, mai acquisito agli atti ed al permesso di costruire.
A questo punto cosa succede?
Non si tratta di un reato. Né di un illecito amministrativo. Siamo di
fronte ad un permesso di costruire rilasciato illegittimamente dal Comune.
Però l’atto esiste e spiega i suoi effetti e nulla può fare l’organo di controllo
dato che il permesso di costruire è formalmente efficace. Si tratta – tuttavia
– di un atto illegittimo. Chi è competente per annullare detto atto? La magistratura amministrativa, cioè il TAR. Ma un organo di polizia o comunque
di controllo non ha titolo per proporre ricorso al TAR. Soltanto un privato
con interesse legittimo o un ente esponenziale può proporre ricorso. Ma
nessuno lo propone. Ed allora? Di fatto, ecco il paradosso. Sembra che non
si possa fare nulla!
L’organo di polizia vede l’opera in costruzione in un bosco (area vincolata), vede che il permesso di costruire è palesemente illegittimo perché ha
ignorato in toto la procedura per il vincolo, ma non può fare nulla perché
solo il TAR può annullare tale atto ma esso organo di controllo non ha il
potere di impugnare l’atto al TAR.
Inutile ipotizzare reati di concussione, corruzione, collusione: mancano
le prove. Ed in assenza di tali prove, l’atto è solo illegittimo in via amministrativa. E se nessuno propone ricorso al TAR, non si può fare nulla contro
questo “illecito ambientale in bianco”.
2.2. Una illegalità silente
Dunque, accanto all’abusivismo classico e brutale, quello che apre
cantieri e realizza opere totalmente prive di ogni atto abilitativo, in totale
dispregio di ogni legge e regola (e di cui il più delle volte non si accorge
nessuno fino al momento dei condoni), esiste un’altra realtà, fatta di abusi
più subdoli e meno plateali.
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GLI ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO
Da anni – infatti - stiamo assistendo alla realizzazione di manufatti realizzati sulla base del rilascio di ex concessioni (ed oggi permessi di costruire)
basati su illegittimità amministrative di varia natura, che “legittimano” in
apparenza quello che non poteva essere autorizzato.
La questione è stata sempre fonte di grave danno territoriale, giacché la
ex concessione urbanistico-edilizia (oggi permesso di costruire) - rilasciata
violando la norma di settore - è stata sempre considerata sostanzialmente
illegittima sotto il profilo amministrativo.
Ma è noto che una illegittimità amministrativa può essere rilevata e
quindi può richiedere l’intervento della stessa autorità amministrativa o della
magistratura amministrativa (T.A.R. e Consiglio di Stato).
In particolare la magistratura amministrativa non interviene d’ufficio ma è
necessaria la proposizione di un ricorso. Orbene, chi è legittimato a proporre
ricorso contro tali atti amministrativi palesemente illegittimi?
Un privato che vanti un interesse legittimo (ad esempio il proprietario
del terreno limitrofo e confinante all’area oggetto di lavori) oppure un ente
esponenziale che ne venga a conoscenza.
Ma nella maggior parte delle situazioni verificatesi, non sussisteva né un
privato con interesse legittimo per impugnare la sentenza né molte volte gli
enti esponenziali (ad esempio il WWF Italia) avevano per tempo notizia della
situazione e quindi non riuscivano a proporre ricorso al T.A.R. entro gli stretti
termini previsti dalla legge per proporre l’impugnativa stessa.
Il titolo abilitativo diventa in questi casi sostanzialmente esecutivo e non
più ricorribile od oppugnabile e, di fatto, un atto amministrativo palesemente
illegittimo ha sempre spiegato regolarmente i propri effetti.
Sotto il profilo sanzionatorio penale, quando l’organo di vigilanza di
P.G. si reca sul posto per verificare lo stato dei lavori, si trova di fronte ad
un paradosso giuridico. Infatti, nota in un’area protetta un’opera autorizzata
in base ad un atto abilitativo evidentemente illegittimo perché mancante dei
presupposti che ne giustificavano il rilascio; tale atto, non impugnato e non
oggetto di ricorso al T.A.R., è sostanzialmente operante a livello amministrativo.
Nessuna sentenza amministrativa lo annulla, certamente la pubblica
amministrazione non si auto-annulla un atto da essa stessa rilasciata. Non
sussistono in modo automatico violazioni penali, giacché comunque l’atto
è formalmente valido, e dunque l’organo di vigilanza ha le armi completamente spuntate e assiste inerme al proliferare di opere coperte da un atto
amministrativo sì illegittimo amministrativamente ma in se stesso non illecito
penalmente.
I campi di illegittimità amministrativa sono stati e sono a tutt’oggi in
questo settore molto ampi.
Tra i principali: atti abilitativi rilasciati senza nulla-osta paesaggistico pre-
Ricorso
[14]
Interesse legittimo
[15]
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GUIDA PRATICA CONTRO GLI “ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO”
ventivo in area vincolata, ex concessioni e permessi di costruire in sanatoria
per opere realizzate in zone protette dal vincolo e dunque non rilasciabili,
provvedimenti in violazione dei piani regolatori ed altre ipotesi similari.
Ma – oltre al campo edilizio – gli “illeciti amministrativi in bianco” si
sono sviluppati in diversi altri
settori, ed in particolare nel campo dei rifiuti (si veda ad esempio, su tutti,
il caso frequente dei depositi temporanei extraziendali autorizzati, in palese
violazione di legge, con accordi di programma o provvedimenti dell’Amministrazione provinciale), degli scarichi industriali e dell’attività venatoria.
In passato, si trattava di casi isolati e sporadici, di scarso interesse e
incidenza nel contesto del sistema di illeciti a danno dell’ambiente in ogni
sua componente; oggi, tali casi sono aumentati in modo vertiginoso e sono
estremamente diffusi ed in molti casi (edilizia e gestione rifiuti in testa) rappresentano un forte indice di incidenza sulle illegalità diffuse con danni al
territorio.
Una realtà dilagante che merita un contrasto fermo e chiaro.
Si è dunque creato in questo silente ed invisibile settore uno stato di
pratica impunità che caratterizza la situazione personale di chi rilascia un
qualunque atto amministrativo abilitativo palesemente illegittimo nei vari
campi ambientali, quasi sottraendolo ad ogni responsabilità in una specie
di zona franca.
Paradossalmente, si è creata anche una spirale perversa che porta ad
eludere la responsabilità del titolare dell’abuso sul presupposto della “buona
fede” giacchè comunque è in possesso di un atto abilitativo rilasciato dalla
P.A. e dunque non può presupporre una illegittimità alla radice del provvedimento! In pratica, le posizioni reciproche si scriminano a vicenda e l’abuso
gode di vita indisturbata.
2.3. Ma questi “illeciti ambientali in bianco” sono veramente
esenti da ipotesi di intervento in sede penale?
Abbiamo sopra precisato che un atto di assenso della pubblica amministrazione che autorizza un’attività nel campo ambientale (edilizia, scarico,
etc…) se viene rilasciato in violazione delle legislazioni nazionali o locali
di settore è un atto illegittimo e l’unico strumento di intervento diretto che
l’ordinamento riconosce in questo caso è il ricorso al TAR.
È noto che molti interventi edilizi ed altre attività che incidono sull’ambiente
vengono eseguite sulla base di atti abilitativi illegittimi rilasciati dalle pubbliche amministrazioni violando le normative di settore, in particolare in materia
di vincoli paesaggistici ed ambientali.
Fino a qualche tempo fa, la situazione sembrava impossibile da affrontare per
un paradosso già sopra espresso ma che giova ribadire: la concessione illegit-
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GLI ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO
tima comunque esiste e può essere annullata esclusivamente da un ricorso al
TAR o dalla stessa pubblica amministrazione. Se nessuno propone ricorso al
TAR (essendo peraltro soggetto legittimato) o se la stessa pubblica amministrazione non revoca l’atto illegittimo, quest’ultimo spiega comunque i suoi effetti
e rende regolare un intervento edilizio sul territorio che viola comunque le
norme di legge.
Successivamente la Magistratura penale è intervenuta indirettamente
in questo delicatissimo settore disapplicando in sede processuale gli atti
amministrativi illegittimi in questione, e cioè non applicando nella realtà
delle cose l’atto illegittimamente emanato dalla pubblica amministrazione, e
quindi perseguendo coloro che avevano realizzato opere edilizie abusive.
Questo filone di intervento della Magistratura ha consentito fino ad oggi
di affrontare molti casi di palesi violazioni di legge maturate all’interno degli
atti di concessione illegittima.
Infine si registra una importantissima evoluzione (che approfondiremo in
seguito), in quanto la Magistratura penale ha operato un sequestro su una
intera lottizzazione regolarmente autorizzata sulla base di una concessione
comunale, ma per la quale non era stato rispettato il regime della preventiva valutazione di incidenza ambientale. Un presupposto rilevante per la
regolarità della procedura.
Questa iniziativa costituisce una svolta nel sistema di contrasto alle
opere illecite in particolare in aree protette, perché a questo punto viene
riconosciuto non solo il potere della Magistratura penale di disapplicare
in sede processuale le concessioni palesemente illegittime, ma addirittura
si rende possibile il sequestro da parte del Pubblico Ministero (e quindi
anche in alternativa direttamente da parte della Polizia giudiziaria) di opere
edilizie che apparentemente e formalmente sono regolarmente assentite da
concessione comunale, ma per le quali il sistema penale individua un vizio
nel processo costitutivo dell’atto e quindi interviene ipotizzando comunque
l’abuso in questione.
Stesso discorso vale per qualsiasi altro “illecito ambientale in bianco”
nel campo dei rifiuti, degli scarichi, della caccia ed altro.
Disapplicazione
processuale
[16]
2.4. L’art. 101 della Costituzione
Come chiarito in numerose occasioni, e come meglio illustreremo nei
capitoli che seguiranno, soprattutto in riferimento a provvedimenti concessori
ordinari o in sanatoria - e la giurisprudenza della Corte di Cassazione, sotto
questo profilo, appare a dir poco granitica - al giudice penale, che, come
tutti i giudici, è soggetto solo alla legge per espressa previsione costituzionale
(cfr. art. 101 Cost.) fa capo il potere-dovere di sindacare la conformità alla
legge degli atti amministrativi.
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GUIDA PRATICA CONTRO GLI “ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO”
In mancanza di tale conformità, a titolo di esempio e per restare nel
campo della normativa urbanistico-edilizia, la concessione ottenuta in sanatoria (oggi permesso di costruire) non sarebbe idonea ad estinguere i reati
edilizi e/o paesaggistici, atteso che il mancato effetto estintivo, come più
volte chiarito dalla Suprema Corte (cfr. ex multis, Cass. pen. – III – sentenza
19 gennaio 2001, n. 413) risulta in concreto ricollegabile all’esercizio del
doveroso sindacato in ordine alla legittimità del fatto estintivo incidente sulla
fattispecie penale.
E questo per ragioni a dir poco intuitive. Laddove un atto concessorio
illegittimo potesse essere unicamente revocato in via di autotutela dall’Amministrazione che ebbe a rilasciarlo, ovvero annullato dalla magistratura
amministrativa, si arriverebbe a conseguenze a dir poco paradossali. Come
è noto, infatti, alla magistratura amministrativa, a differenza di quella penale,
non è dato il potere di annullare d’ufficio gli atti amministrativi, ancorchè
macroscopicamente illegittimi.
In forza del principio della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, che deve ritenersi tuttora operante, nonostante si sia di molto affievolito
nel corso degli ultimi decenni, ove un atto non venga impugnato innanzi al
Tribunale Amministrativo competente, entro il ristretto termine di 60 giorni
dalla pubblicazione ovvero dalla piena conoscenza dell’atto e, in ogni caso,
sia sul piano processuale che sul piano sostanziale, unicamente dai soggetti
portatori dell’interesse di cui all’art. 100 c.p.c., lo stesso, evidentemente,
decorsi i termini per l’impugnazione, si consolida, andando a spiegare i
propri effetti. In un contesto in cui, evidentemente, nessun organo di polizia
o vigilanza potrebbe proporre impugnazione.
Quindi l’atto illegittimo, oggettivamente “blindato”, spiegherebbe i suoi
effetti ed avremmo trovato un modo inespugnabile per “legittimare”, in
modo… illegittimo, quello che in se stesso è contro la legge. Senza che
nessun intervento sia possibile. Con la conseguenza che tutti, autorità giudiziaria compresa, dovrebbero sottostare alla realizzazione di una condotta
palesemente illecita, eppure incensurabile perché “santificato” da un atto
amministrativo illegittimo.
Tuttavia, poichè ai sensi dell’art. 101 della Costituzione il giudice è soggetto unicamente alla legge, laddove il giudice penale arrestasse il proprio
esame all’aspetto formale dell’atto, è evidente che tale principio verrebbe irrimediabilmente violato. Invero, è a dir poco intuitivo che non sarebbe soggetto
solo alla legge quel giudice che, sempre per restare a titolo esemplificativo
nel campo della tutela del territorio, dichiarasse estinto il reato edilizio sulla
base di una ex concessione in sanatoria (oggi permesso di costruire) emanata
in palese violazione dei vigenti strumenti di pianificazione.
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GLI ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO
2.5. La sindacabilità degli atti amministrativi da parte del
giudice penale. Cenni sulla teoria della disapplicazione.
È bene chiarire come la sindacabilità da parte del giudice penale degli
atti amministrativi, con particolare, ma non certo unico, riferimento alle ex
concessioni edilizie illegittime ed oggi permessi di costruire illegittimi, è
stata ampiamente dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza. E questo
a cagione della circostanza, in sé indubitabile, che il giudice penale non
solo non possa annullare l’atto amministrativo illegittimo (che è competenza
del TAR), ma non possa neppure disapplicarlo in sede penale, non essendo
normativamente prevista alcuna forma di sindacato, ancorché indiretto, del
giudice penale in ordine alla legittimità degli atti adottati dalla P.A.
E questa pretesa insindacabiltà (leggi: intoccabilità) dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice penale per anni ha rappresentato punto
di forza ed incoraggiamento per i firmatari di tali atti che si ritenevano
invulnerabili, atteso che il TAR non può agire di ufficio e che un organo di
polizia o vigilanza non può attivare il TAR.
A ben guardare, tuttavia, era la stessa questione della disapplicazione a
risultare mal posta.
Nel nostro ordinamento, infatti, il sindacato sugli atti amministrativi è L. n. 2248/1865
demandato alla magistratura ordinaria ovvero a quella amministrativa in base All. E
ai criteri enunciati dagli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E (cd. [17]
legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo). In particolare, l’art. 4
dispone che “quando la contestazione cade su un diritto che si pretende leso
da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere
degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto
amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso
alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato
dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso”.
Dalla lettura di tale disposizione si evince chiaramente come già a livello
cognitorio esista un limite specifico: l’accertamento dell’atto amministrativo,
da parte del giudice ordinario, è limitato alla rilevanza che esso riveste nel
giudizio in corso. Inoltre, laddove il G.O. ravvisi l’illegittimità dell’atto amministrativo, questi potrà solo disapplicarlo, e non già annullarlo o riformarlo,
andando quindi a decidere la questione sottoposta al suo vaglio come se
l’atto non fosse mai stato posto in essere (tamquam non esset).
Peraltro, l’art. 5 della predetta legge afferma che, nel caso di cui sopra, come
anche “in ogni altro caso” le autorità giudiziarie, e quindi anche il giudice penale,
debbano applicare gli atti amministrativi solo “in quanto conformi alle leggi”.
Orbene, la locuzione “come in ogni altro caso”, contenuta nell’art. 5, non
avrebbe ragion d’essere se non tendesse ad estendere la portata del significato
della locuzione “in questo caso” di cui al precedente art. 4.
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GUIDA PRATICA CONTRO GLI “ILLECITI AMBIENTALI IN BIANCO”
Inesistenza dell’atto
amministrativo
[18]
Abuso di ufficio
[19]
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In altri termini, la prima locuzione (“in questo caso”) si riferisce alla contestazione di un diritto che si pretenda leso dall’atto amministrativo, mentre la
seconda (“come ogni altro caso”) tende a rendere oggettiva, sul piano sostanziale,
la necessaria conformità dell’atto amministrativo alle leggi in vigore, ampliando la
sfera del potere di controllo del giudice ordinario (e, quindi, anche, in particolare,
del giudice penale) ai fini del sindacato di legittimità dell’atto.
In buona sostanza, più che affermare che al giudice ordinario, ivi compreso quello penale, spetti il potere di disapplicare un atto amministrativo
illegittimo, riconoscendo, per gli effetti, la sussistenza del reato, sembra piuttosto essere la illegittimità stessa del provvedimento a comportare la giuridica
inesistenza dell’atto amministrativo e, conseguentemente, la configurabilità
della fattispecie criminosa.
A maggior ragione, nel caso, frequentissimo, in cui l’atto in questione,
oltre ad essere in se stesso illegittimo, scaturisca da un’attività criminosa del
soggetto pubblico che la rilascia.
Come si vede, quindi, più che di disapplicazione dell’atto amministrativo
illegittimo, che si sostanzierebbe, per i motivi che si è visto, in una notevole forzatura interpretativa, come hanno efficacemente chiarito nel 2002 le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 5115, al magistrato
penale spetta in ogni caso il potere-dovere di esaminare il provvedimento
decisionale della P.A., nei suoi presupposti di fatto e di diritto, al fine di
verificare se per tramite di un atto amministrativo illegittimo, come anche di
un atto formalmente legittimo sia sotto il profilo procedimentale che della
competenza, siano state assentite condotte penalmente illecite.
In buona sostanza, al giudice penale non è dato sindacare l’atto (come
al TAR) quanto piuttosto, più correttamente, la condotta assentita attraverso
l’atto illegittimamente reso dalla P.A.
Peraltro, giova ricordare come, secondo consolidatissima giurisprudenza,
in tal caso il firmatario dell’atto sarebbe tenuto a rispondere del reato di
abuso di ufficio. Perlomeno nei casi di più evidente e marcata illegittimità,
laddove la illegalità che si va a “legittimare” è palese e manifesta ed il dolo
specifico è dunque connaturale.
Nella medesima pronuncia, confermando diversi verdetti di legittimità
emanati a sezioni semplici, le Sezioni Unite hanno altresì provveduto ad offrire
un ulteriore contributo di severità, concludendo nel senso della legittimità
del sequestro preventivo di opere e cantieri, anche se ultimati, sia nel caso
in cui l’atto di assenso difetti del tutto, sia nel caso in cui gli atti si pongano
in contrasto con le norme edilizie o paesaggistiche.
Tutti questi principi, sin qui sinteticamente illustrati, saranno oggetto di
approfondita analisi nel prosieguo della nostra trattazione. E valgono sia per
il campo edilizio e paesaggistico, che per ogni altro settore di normativa
ambientale, ivi compresa quella sui rifiuti, gli scarichi, l’attività venatoria.