LA MUSICA DAL XX SECOLO
Premessa
Il panorama culturale dal XX secolo ai giorni nostri è caratterizzato
dalla convivenza e dal rapido avvicendamento di modi di intendere
l’arte anche molto diversi tra loro ma che tendono a condividere
l’attitudine per la ricerca. Le cause di questo stato di cose sono
molte, ma tra esse è sicuramente determinante quell’ampliamento
numerico del pubblico che fa sì che la musica attuale possa essere
considerata un fenomeno di massa, nonostante una netta separazione
tra la musica colta e quella con finalità commerciali. Tra i due filoni,
quello colto è stato progressivamente confinato entro i limiti di un’espressione d’èlite. Dal momento che sicuramente hai già una certa
conoscenza diretta della musica commerciale, ci limiteremo qui a una
carrellata di alcune delle caratteristiche meno note della musica colta.
Politonalità
Per politonalità si intende l’uso contemporaneo di più tonalità in una
composizione musicale.
Polimetria
La polimetria consiste nell’impiego simultaneo di più metri diversi
in una composizione. In questo esempio è evidente lo “sfasamento”
che deriva dall’uso della polimetria:
Si può constatare che si verifica un riallineamento tra le misure e gli
accenti ogni cinque battute da 3/4, ovvero ogni sei battute da 5/8.
Se la polimetria impiegata con prudenza e moderazione può essere un
mezzo espressivo intrigante, nelle sue applicazioni più complesse si
rivela spesso un incubo sia per l’esecutore, sia per l’ascoltatore (gli
intrecci rischiano di diventare così intricati da farsi difficilmente
comprensibili). Per questo è raro che nella musica commerciale si
ricorra alla polimetria.
Nel XX secolo fu particolarmente praticata da molti autori, tra i quali
spicca Igor Stravinskij per il suo balletto La sagra della primavera,
che ha contribuito a renderla nota a un pubblico più vasto. Nonostante ciò, il grande pubblico tende a considerare la musica politonale una
musica di difficile ascolto.
Atonalità
Poliritmia
In particolare, nella prima metà del XX secolo, l’austriaco Arnold
Schönberg ne fece una tappa preparatoria alla sua rivoluzionaria teoria dodecafonica.
La poliritmia consiste nell’impiego simultaneo di più ritmi nelle singole voci di una composizione. Ad esempio, sono poliritmie molto
comuni:
Anche la poliritmia è ampiamente presente in La sagra della
primavera. Sebbene in modo meno complesso, è un procedimento
molto impiegato anche in alcuni generi attuali, commerciali e non.
La musica atonale è musica composta senza fare preciso riferimento
ad una scala, intesa nel senso tradizionale del termine. Di difficile
approccio, tende a negare all’ascoltatore i punti di riferimento che gli
occorrono per comprendere un brano.
Dodecafonia
All’inizio del ‘900, l’uso sempre più disinvolto delle dissonanze
dovuto alla crescente complessità dell’armonia determinò una
situazione nella quale si finì per impiegare il cosiddetto totale
cromatico, ovvero l’insieme di tutti i dodici suoni previsti nel nostro
sistema musicale.
A partire da questa situazione, nella prima metà del XX secolo
Arnold Schönberg diede vita al suo «Metodo di composizione con
12 note imparentate solo le une alle altre», che chiamò dodecafonia.
Si tratta di una tecnica di composizione con la quale Schönberg
intendeva mettere definitivamente da parte le tradizionali funzioni
tonali. Come nel caso dell’atonalità, l’impostazione dodecafonica
nega all’ascoltatore i comuni punti di riferimento.
Secondo Schaeffer, la musica concreta è musica composta
considerando il suono nei suoi aspetti più concretamente fisici
anziché secondo la sua più tradizionale organizzazione in melodia,
armonia, ritmo, forma…
Una composizione dodecafonica nasce dall’ideazione di una serie,
cioè una sequenza di dodici suoni che comprende il totale cromatico.
«Noi abbiamo chiamato la nostra musica concreta, poiché essa è
costituita da elementi preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi
materiale sonoro, sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi
sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione
diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza
l’aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale.
La serie viene usata sia in senso melodico, sia in senso armonico e
può essere impiegata nell’ordine originale, all’indietro, oppure “a
specchio”, oppure combinando le due tecniche precedenti.
Schaeffer fondò a Parigi il Groupe de Recherches de Musiques
Concrète, i cui membri spiegavano le proprie intenzioni con queste
parole...
«Il nostro grande scopo è quello di far saltare le scogliere di marmo
dell’orchestrazione occidentale, di presentare nuove possibilità di
composizione.»
Nella serie si possono anche inserire delle permutazioni, cioè degli
scambi di posizione tra le note.
Tra i musicisti di rilievo che si sono dedicati alla dodecafonia vanno
ricordati due allievi di Schönberg, Alban Berg e Anton Webern.
Partendo dalla dodecafonia, Webern diede vita alla cosiddetta
serialità integrale, nella quale le serie sono prodotte tenendo conto
non solo dell’altezza delle note ma anche di altri parametri sonori,
quali la durata e il timbro.
Musica concreta
La musica concreta è un genere musicale che nacque negli anni ‘50
dalle esperienze di Pierre Schaeffer.
La possibilità di registrare il suono su nastro magnetico, offriva
opportunità precedentemente inimmaginabili. I suoni registrati su
nastro potevano essere manipolati fin nei loro parametri di base
(altezza, durata, intensità, timbro). La manipolazione, se paragonata
alle possibilità attuali, era ovviamente rudimentale e poteva consistere ad esempio nel sezionamento e ricomposizione del nastro, nella
modifica della sua velocità di scorrimento, nel “filtraggio” e/o
amplificazione del segnale. Sebbene i suoni originali potessero
provenire dalle fonti più varie della realtà acustica (rumori, strumenti
tradizionali, voci e molti altri), dopo l’elaborazione finivano spesso
per essere irriconoscibili.
Nonostante la musica che ne risulta sia poco o per niente adatta
all’intrattenimento del pubblico, lo sforzo nell’analisi scientifica
profuso da chi si è dedicato a questo genere è storicamente
importantissimo, con significative ricadute sulle odierne tecnologie di
registrazione, elaborazione e riproduzione del suono.
La musica concreta venne portata anche nelle sale da concerto, ma
l’assenza di un interprete sul palco e la stranezza delle sonorità non
convinsero il pubblico (che disertò le esecuzioni) nè la stampa (che
ignorò gli avvenimenti).
Musica elettronica
Per musica elettronica s’intende, in termini generali, la musica
realizzata esclusivamente o prevalentemente con strumentazione
elettronica, ovvero con sintetizzatori e campionatori.
Oggigiorno, gran parte della musica è almeno registrata impiegando
attrezzature elettroniche, per cui l’espressione si applica a quei generi
e a quelle opere in cui l’elettronica non è semplicemente usata nel
processo di registrazione, ma fa parte della natura stessa del brano.
In ambito “colto”, la musica elettronica si esprime nel lavoro di
compositori del livello di Luciano Berio, John Cage, György Ligeti,
Bruno Maderna, Luigi Nono, Pierre Schaeffer, Karlheinz Stockhausen, Edgar Varèse, Iannis Xenakis...
Questa prima generazione, particolarmente attiva negli anni ‘50 e ‘60
del XX secolo, è costituita dai pionieri della musica elettronica. La
loro attività si svolse in prevalenza presso le istituzioni radiofoniche,
tra i pochi enti che disponevano di mezzi sufficienti per acquisire la
strumentazione necessaria. Il risultato della loro attività, benché
esteticamente non apprezzato nè oggettivamente apprezzabile dal
grande pubblico, ha avuto un peso e un’importanza enorme nello
sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie che nei decenni successivi si sarebbero rivelate essenziali per l’affermazione di generi e
sottogeneri anche di grande popolarità.
Negli anni ‘80 la rivoluzione digitale determinò l’abbattimento dei
costi e l’incremento vertiginoso dell’efficienza degli strumenti
elettronici, che si cominciò ad integrare coi primi personal computer.
Oggi la separazione tra PC e strumenti musicali è stata superata con
la virtualizzazione, ovvero la creazione di programmi predisposti per
simulare in ambito software le apparecchiature per la generazione e
l’elaborazione sonora, e l’elettronica è entrata a far parte della
quotidianità d’ogni musicista.
Musica aleatoria
Con àlea (con l’accento sulla prima “a”) si intende un metodo
compositivo sviluppatosi a partire dagli anni ‘50 secondo il quale il
progetto musicale incorpora elementi di casualità che sfuggono al
controllo dell’autore. La musica aleatoria rivaluta il ruolo dell’interprete, al quale viene riconosciuta la libertà d’integrare l’opera del
compositore vero e proprio.
Figura fondamentale del genere aleatorio è l’americano John Cage.
Altri autori di rilievo sono Bruno Maderna, Karlheinz Stockhausen,
Luciano Berio e Luigi Nono.
Musica minimale
Fondamentale per la storia della musica elettronica in generale fu la
comparsa degli elettrofoni, una classe di strumenti musicali che
produce il suono per mezzo dell’elettricità.
La musica minimale si basa sulla riduzione ai minimi termini del
materiale musicale. Nasce negli anni ‘60, come reazione alla difficoltà d’ascolto della musica seriale. Tra gli autori storicamente più
rappresentativi ricordiamo Steve Reich e Philip Glass.
I primi strumenti elettrofoni di larga diffusione risalgono all’inizio
del Novecento. Tra essi ricordiamo il Theremin (originario degli
anni ‘20) e il notissimo organo Hammond (ideato nel 1935),
destinati ad aprire la strada ad un processo evolutivo sperimentale che
coinvolgerà il mondo intero nel corso del XX secolo.
I brani minimali evidenziano una marcata staticità, insistendo su
ripetizioni e sovrapposizioni di cellule melodiche e ritmiche che
cambiano in modo quasi impercettibile, generando combinazioni
sonore che possono essere particolarmente suggestive.
Fino agli anni ‘60 la musica elettronica rimase un lusso per pochi,
per gli alti costi e la relativa difficoltà d’uso delle apparecchiature.
A partire dagli anni ‘70 la diffusione di strumenti elettronici accelerò
vistosamente: sintetizzatori, campionatori e sequencer divennero
d’uso comune, non più limitato alle avanguardie.
Alla base del minimalismo musicale, alcuni colgono concetti tratti
dalla pop art (ripetizione ossessiva e occhieggiamento alle atmosfere
della musica commerciale). Altri scorgono influenze provenienti dalle
culture africane (essenzialmente per il ricorso alla polimetria e alla
poliritmia).