L’ultimo libro di Giulio Girardi “Resistenza e alternativa al neoliberalismo ed ai terrorismi” Nota di E. Giardino (Forum DAC) Giulio Girardi non ha bisogno di molte presentazioni. Filosofo e teologo della Liberazione di fama internazionale, ex sacerdote,già docente in alcune prestigiose Università (salesiana di Torino e Roma, cattolica di Parigi e “Lumen vitae” di Bruxelles,di Sassari) è uno studioso impegnato della realtà latino-americana e dei movimenti indigeni. Ha scritto molti libri importanti sia in lingua spagnola che italiana (www.peacelink.it/users/romero). E’ parte militante dei movimenti popolari di resistenza e di alternativa al” neoliberalismo militarizzato”(come egli stesso lo definisce), analizzandone le potenzialità e le motivazioni ideali e teoriche, nonché le lotte e le ricadute pratiche a livello mondiale.E’ stato membro del Tribunale Russel II ed è membro del “Tribunale permanente dei popoli fin dalla sua fondazione (1979). Questo suo libro è un ulteriore contributo originale alla causa di tutti coloro che si battono- con coraggio e coerenza- contro il “neoliberalismo” e le sue nefandezze crescenti Sintesi del contenuto Nella sua introduzione l’autore ci dice che l’alternativa ai guasti del neoliberalismo (termine che- a differenza di neoliberismo(economico)- rende conto della totalità delle dimensioni politiche, economiche, culturali, antropologiche del fenomeno) è necessaria ed urgente, ma impossibile(oggi) Infatti un sistema così “antipopolare ..riesce ad imporsi, paradossalmente, con il consenso delle grandi masse popolari “.Come mai, si chiede Girardi ? Ne indica le ragioni oggettive (squilibrio nel rapporto di forze, fine del campo socialista e cedimenti della “sinistra”come fine della speranza storica, sconfitta delle rivoluzioni popolari, egemonia anche mediatica- del pensiero unico) e soggettive (difficoltà di superare fatalismo e rassegnazione, scelta di sicurezza garantita contro rischi di libertà e lotta, educazione che induce le maggioranze popolari alla dipendenza intellettuale e morale). Quindi una crisi della “speranza “ e dello “ottimismo storico” delle rivoluzioni trascorse. Perciò l’autore si chiede “Un mondo diverso è possibile ? “ Solo a condizione di rifondare la speranza e l’ottimismo storico smarriti, per raccogliere il grido di dolore e di indignazione dei popoli e degli oppressi e trasformarlo in mobilitazione e costruzione di una nuova storia. Questo è appunto l’obiettivo della ricerca condotta nel libro. Cap.1 : resistenza e alternativa alla globalizzazione neoliberale (pag.19-100). Il punto di vista scelto dall’autore è quello del DIRITTO alla “autodeterminazione solidale” dei popoli indigeni e delle donne (oppressi ed esclusi), come processo capace di determinare resistenza ed alternativa, sia al neoliberalismo che ai terrorismi (indicati al plurale). Una solidarietà militante e “liberatrice” non puramente “assistenziale”, ma radicalmente antagonista rispetto al sistema dominante, che non consente o tollera aggiustamenti ed “umanizzazioni”. Una lotta popolare “non violenta”, dal momento che “la verità è alleata naturale della libertà, così come la menzogna è alleata della violenza” ( aggressioni, repressione e terrorismo dominanti). Una lotta dei popoli oppressi (non solo dei lavoratori sfruttati indicati da Marx) perché siano i protagonisti ed il fine dell’economia e della politica, condotta con un metodo di interdipendenza orizzontale per una “globalizzazione dal basso”plurale, contrapposta alla dipendenza verticaleunilaterale ed asimmetrica delle minoranze dominanti, capace di costruire un progetto alternativo di civiltà a beneficio della maggioranza dell’umanità e del suo ambiente. Non più la costruzione di un modello globale a partire dalla presa di potere repentina dello Stato (come nelle rivoluzioni di tradizione marxista), ma una “molteplicità di iniziative e di poteri locali coordinati fra loro sotto forma di rete ed unificati dalla comune tensione verso la trasformazione globale “ (pag.31). Quindi un superamento dell’approccio e della tradizione rivoluzionaria marxista. Chi sono i nuovi soggetti capaci di questa trasformazione sociale cosciente ? L’autore ne indica le caratteristiche essenziali: estrema varietà, alto livello di coscienza e mobilitazione (senza avanguardie- guida illuminate),tendenza a costituire reti, la consapevolezza di essere soggetti di ricerca (e non di verità definite ed assolute).Collettivi di ricerca, come detonatori della coscienza delle masse, non chiamati a dirigere o a prendere il potere in nome delle masse. A questo punto il libro ripercorre con dovizie di notizie e di riferimenti la storia del “movimento dei movimenti,- da Seattle a Genova- facendola partire dalla campagna 500 anni di resistenza indigena, negra e popolare (anni 1989-92,contro il V^ centenario della cosiddetta “scoperta dell’America”) e dalla insurrezione zapatista del 1^ gennaio 1994. Viene documentata la crescita –qualitativa e quantitativa- del “movimento” (che Girardi rifiuta di chiamare “No Global”, perché fuorviante e solo negativo), che si pone ormai a livello mondiale come patrimonio di resistenza e di alternativa progettuale. Di qui lo scatenarsi della repressione poliziesca, sempre più aggressiva e sanguinosa,mascherata da lotta al “terrorismo”. Viene detto – ad es. con riferimento ai Black Bloc di Genova che “non pochi dei manifestanti violenti sembravano poliziotti travestiti ed infiltrati”(pag. 50). In questo movimento variegato ci sono gruppi e persone di diversa estrazione e cultura politica, anche intellettuali di rango,politici, sindacalisti, donne, giovani, lavoratori, persone comuni. Perciò un movimento non “spontaneistico”,”transeunte” o “pragmatico” che comincia a trovare spazio –sia pure distorto ed inadeguato- nei media e nelle Istituzioni (Kofi Annan). Esso esprime denuncie di carattere generale e specifiche. Tra le prime : 1. La contestazione radicale e senza appelli del neoliberalismo, considerato irriformabile, distruttivo e degradante; 2. La contestazione radicale della guerra “preventiva e permanente” di Bush ( Chomsky); 3. La guerra al “terrorismo” vista come militarizzazione della politica nazionale e mondiale; 4. La contestazione totale del neo-imperialismo (combinazione di economia neoliberale e di guerra antiterroristica). Per le denuncie particolari : 1. La questione del DEBITO e le sue implicazioni (da cancellare perchè già pagato più volte); 2. La denuncia delle politiche di Organismi non elettivi, come WTO, Banca mondiale e simili; 3. La violenza contro le donne e contro i settori più deboli delle società; 4. La repressione contro il popolo palestinese dello Stato di Israele. Un movimento che si caratterizza- non solo per la sua contestazione- ma per un progetto globale di alternativa globale: autodeterminazione solidale dei popoli, democratizzazione dei poteri locali, come di quelli nazionali ed internazionali e delle istituzioni finanziarie,autonomia dagli USA e dai suoi accordi capestro (ALCA, Plan Colombia), rivendicazione attiva dei diritti fondamentali (salute, educazione, informazione, comunicazione,lavoro,ecc.) Autodeterminazione solidale come amicizia liberatrice e come riscoperta della strategia di Gandhi (Satyagraha= forza della verità, del diritto, della giustizia e dell’amore)(pag.83). A questo punto l’autore tratta dei rapporti con altre teorie ed altri approcci : quello marxista e , più in gnerale, quello ,del popolo in armi (FARC, zapatisti,EPR, ecc.) o delle rivoluzioni armate. Cita appunto l’esclusione dai Forum sociali dei “gruppi armati”(pag.85). Descrive in dettaglio la lotta zapatista e le condizioni poste al neoPresidente Fox, che le ha tradite e violate. Dunque un movimento che riscopre le motivazioni ideali della militanza, che non ha una “ideologia” ma che costituisce un “patrimonio ideale” caratterizzato da un “pluralismo dinamico” (che permette a tutte le sue componenti di mantenere la propria identità originaria). Pertanto la confluenza della componente marxista in questo patrimonio ideale “è resa possibile da un ripensamento critico imposto dall’esigenza di capire gli errori della sinistra e le ragioni delle sue sconfitte storiche; dall’esigenza quindi di un profondo ripensamento della sua strategia” (pa. 93) Su questo piano si incontrano anche la componente Gandiana( e di Luter King) con quella marxista. Nel movimento una particolare ed intensa visibilità hanno le motivazioni religiose: la teologia della liberazione (Frei Betto con il marxista Michael Lowy), la Commissione “Giustizia e Pace, la spiritualità di Santa Teresa di Avila. L’autore cita e ricorda la lezione di Che Guevara come simbolo di un marxismo “umanista,libertario,critico ed euristico” (pag..92 e 94) Quali indicazioni operative escono in positivo da questo movimento ? - costruzione dal basso di una globalizzazione popolare a partire dai poteri locali (pensare ed agire sia localmente che globalmente); - mobilitazioni non violente, anche se con azioni di disturbo contro i poteri forti Cap.2 – Fondamenti ideologici della guerra mondiale in corso:alle radici del consenso Il consenso popolare (maggioritario) alla guerra nei due campi opposti è un problema cruciale da risolvere per l’autore. Egli esamina prima l’ideologia di Bush e dei suoi alleati, derivandola dal suo discorso al Senato USA del 20-9-2001 interrotto 29 volte da applausi bipartitici (di repubblicani e democratici). Critica radicalmente l’ideologia bellicista, aggressiva ed egemonica che ispira il presidente USA che tuttavia trova una larga base di consenso nazionale ed internazionale. La guerra “preventiva ed infinita”contro il terrorismo- ieri di Osama Bin Laden e di Al Queda, oggi dell’Iraq- è la naturale prosecuzione della sua guerra agli Stati totalitari- nazismo,fascismo, comunismo. E’ una guerra santa che non consente posizioni “altre o neutre”: “o con me o contro di me”. Quindi una specie di “teologia del destino manifesto” del popolo nordamericano, basato sull’espansionismo economico e la superiorità dei valori occidentali.. Perciò una civiltà superioreoccidentale cristiana- che prevede il genocidio fisico, culturale e religioso dei popoli indigeni. Ma il punto di vista dello “integralismo terrorista islamico” non è meno criticabile. Definisce prima lo “integralismo religioso (cristiano, islamico, ebreo) come metodo “ermeneutico” ( interpretativo), una dottrina ed una pratica. Esso attribuisce ai libri sacri ed alla religione l’unica verità rivelata, eletta da Dio a diventare la religione universale dell’umanità. Quindi il diritto-dovere del fedele di difendersi, imporsi e diffondere la sua dottrina, anche di vendicarsi. Così l’integralismo cattolico è stato anche terrorista per secoli (pag. 111). Esamina quindi i discorsi di Osama Bin Laden in risposta a Bush (pag.113 e seguenti) e l’appello alla mobilitazione ed alla lotta di tutto il mondo islamico contro USA ed Israele. Quindi l’alleanza “giudaico-cristiana” è guerra contro Dio, contro il suo Messaggero e contro i musulmani. Quindi per la Jihad, che è guerra di liberazione ed affermazione dell’Islam, il terrorismo è legittimo e necessario, come fondamentale dovere religioso (guerra santa). La Jihad è oggi guerra contro l’imperialismo ed i suoi metodi. Si configura così un punto di vista – omologo e complementare- di “oppresso-oppressore”, nel quale entrambi rivendicano il diritto della forza. Si tratta di due opposti terrorismi, in profondo contrasto , ma profondamente affini; due progetti imperiali (imperialisti terroristi) da condannare per scegliere una terza via : quella degli oppressi e delle oppresse, come soggetti alternativi. Di qui la mobilitazione popolare necessaria contro il neoliberalismo e contro i (due) terrorismi. L’autore indica alcune piste di ricerca. Rispettoi all’imperialismo USA (pag. 124): - la guerra USA non ha avuto inizio l’ 11 settembre 2001 (colonizzazione dell’America, politica estera USA nel mondo,correlazione tra politica e violenza militare); - l’integralismo terrorista islamico come risposta all’imperialismo USA; -– necessità di riconoscere i delitti storici della civiltà occidentale, con Europa autonoma da USA; - strategia non violenta contro i terrorismi, con l’Italia fuori dalla guerra; - ruolo del cristianesimo in questa contrapposizione di integralismi; - autocritica necessaria anche per l’integralismo islamico. In conclusione serve per l’autore una “educazione popolare liberatrice” Cap. 3 Plan Colombia : progetto dell’imperialismo e risposta popolare (pag.129-154) Il plan Colombia viene letto dall’autore come l’asse della strategia dell’imperialismo USA in America Latina (così come la Nigeria per l’Africa e l’Indonesia per l’Asia). E’ parte del più generale progetto di sottomissione ed integrazione del Continente latinoamericano. I suoi obiettivi reali non sono affatto quelli dichiarati (ristabilire la pace,eliminare il narcotraffico, migliorare la prosperità del Paese, ecc.):dominazione economica, intervento politico, aggressione militare e lotta ideologica, con L’Europa in funzione subalterna (di copertura umanitaria) e la Nato in funzione aggressiva come nei Balcani.. La Colombia è ricca di risorse strategiche e di materie prime (petrolio, oro, carbone,smeraldi,acqua, foreste vergini)da arraffare. Basi militari USA nella Regione , come in Kosovo (Manta in Ecuador).Il plan Colombaia è un misto di violenza colonizzatrice e di menzogna che annulla ogni sovranità del popolo e dello Stato colombiano. E’ invece una operazione tesa a liquidare i movimenti popolari di liberazione armati (ENL,FARC ed AUC) usando le truppe armate ed i “paramilitari” colombiani armati dagli USA e sotto la direzione di “istruttori USA”. Il presidente colombiano Pastrana, Kofi Annan e l’Unione europea hanno detto di accettare il plan Colombia. Dopo l’11 settembre gli eserciti popolari di liberazione e gli oppositori sono considerati terroristi da eliminare. Asservita a questi scopi la magistratura ed il Parlamentocolombiano – mai interpellato- , con esplicita repressione interna antisociale. In questo momento la Colombia ha il peggior trattamento in materia di diritti umani nell’emisfero occidentale, ed è il Paese che riceve il maggiore aiuto USA (Chomsky).Un aiuto USA che si dirige in preferenza verso Governi più repressivi dei diritti umani, come la storia dimostra. Il plan Colombia è un piano colonialista di guerra al quale occorre opporre un piano di pace, sradicando tutte le cause di ingiustizia, povertà, sfruttamento, corruzione tipiche del neoliberalismo. I consumatori di droga (235 ml) stanno in maggioranza in Nord America ed Europa. I beneficiari del traffico di droga sono le imprese chimiche transnazionali (permanganato di potassio) e le Banche che riciclano il danaro. Il proibizionismo fa solo aumentare i costi della droga, serve una politica opposta, ma essa è impedita dalle logiche stesse del sistema imperialista. I consumatori di droga sono il prodotto e le vittime dei disvalori, della propaganda consumistica ed individualistica del sistema dominate : esso suscita aspirazioni che non può soddisfare, quindi frustrazione di massa e tossicodipendenza diffusa. La droga è una fuga, ma anche una denuncia contro l’assurdità e la barbarie dell’imperialismo. Perciò lottare contro il plan Colombia significa lottare contro il neoliberalismo, ripensando alla radice l’analisi del narcotraffico e dei suoi gestori interessati(capitalisti non produttori alla fame). Solo sconfiggendo l’imperialismo e liberando la autodeterminazione dei popoli oppressi ed indigeni è possibile sanare la situazione colombiana (e di altri Paesi latino-americani e del mondo). Cap.4-I popoli indigeni nuovi soggetti storici: il loro contributo alla ricerca di un’alternativa di civiltà (pag. 154 -174) Nel suo libro del 1994 “ Gli esclusi costruiranno la nuova storia ?” Girardi poneva un interrogativo al quale gli eventi successivi sembrano dare una risposta positiva.La stessa CIA conferma che i popoli indigeni sono una minaccia reale per il futuro del nuovo ordine imperiale (www.cia.gov/cia). Perciò la ricerca filosofica e teologica dell’autore si iscrive all’interno di questa mobilitazione popolare per una alternativa di civiltà. Possono offrirci indicazioni questi popoli nella ricerca di alternativa al modello neoliberale ? Si, a condizione di definire alcune scelte di metodo (pag161) e verificare alcune piste di ricerca. Nel metodo: -privilegiare i settori coscientizzati, interpreti delle esigenze e delle aspirazioni generali. Esempi: zapatisti in Messico, Conaie in Ecuador. Cioè i gruppi che si pongono in alternativa, non quelli che tendono ad integrarsi nel sistema. La mobilitazione indigena, negra e popolare del 1992 rappresenta per l’autore un evento storico ed una rivoluzione culturale ben superiore che queoo degli anni ‘68-69 e 1989 in Europa. Quindi il nuovo ordine unipolare annuncia un terzo millennio in continuità con i primi due. Al contrario,la mobilitazione indigena rappresenta una inversione di tendenza, segnata dalla autodeterminazione dei popoli indigeni. Il XXI secolo sarà indigeno, dice Rigoberta Menchù.Il principio ispiratore di tale mobilitazione è appunto il diritto alla autodeterminazione solidale dei popoli oppressi. Riconoscere i popoli oppressi come soggetti di alternativa è una scelta di campo politica e morale. La provocazione indigena contiene aspetti culturali, economici, politici e teologici (Cap.10). E’ anzitutto rivoluzione culturale: significa riconoscere la loro superiorità storica e sociale sul punto di vista della borghesia capitalista transnazionale.Una superiorità che significa rottura e liberazione dalla dipendenza intellettuale e morale che contraddistingue gli intellettuali e le masse privilegiate del capitalismo , che suscita un moto di ribellione e di rivendicazione del diritto all’autonomia intellettuale e morale, cioè all’identità (mi ribello ,dunque sono). La violenza dominatrice della borghesia transnazionale ha bisogno della menzogna (dell’ipocrisia e dell’inganno). Ad essa si contrappone la ricerca della verità e della luce da parte dei popoli oppressi. Di qui le diverse “commissioni di verità” in Guatemala, El Salvador, Colombia. Perciò per un intellettuale occidentale assumere il punto di vista dei popoli oppressi implica una svolta culturale. La cultura indigena e negra critica la laicità, intesa come negazione di Dio nella vita e nella storia di un popolo (pag.170); rifiuta l’economicismo, in particolare neoliberale.Rifiuta l’unità sociale e mondiale, concepita come omologazione subalterna (indigeni primitivi ed arretrati); rifiuta l’antropocentrismo individualista ed escludente. Denuncia la violenza ed i genocidi della civiltà occidentale, in nome della forza del diritto, della verità, della solidarietà, della fede religiosa. Contesta i miti occidentali del “progresso” e della “modernizzazione”.Per loro progresso significa riaffermazione della loro identità schiacciata e del loro diritto all’autodeterminazione.Un progresso che scaturisce da una stretta correlazione tra coscientizzazione etico-politica, capacità tecnologica e capacità di direzione. La modernizzazione che vuole cancellare i loro valori e tradizioni viene respinta . Essi vogliono assumere autonomamente gli apporti culturali e tecnici della modernità in una sintesi feconda con le loro tradizioni. Il diritto di autodeterminazione solidale dei popoli oppressi comporta una concezione alternativa delle risorse naturali (suolo, acqua, energia) e delle forme statuali dominanti (centralistiche e non partecipative, monoculturali , monoetniche e monoreligiose).Quindi no ad una democrazia puramente “rappresentativa”estranea al potere popolare. No ad uno Stato colonizzato e dipendente, Si ad uno Stato sovrano rispetto all’imperialismo (USA in primo luogo). La scelta di sovranità dello Stato è anche una scelta economica ed ecologica fondamentale. La sollevazione zapatista- 1 gennaio 1994- coincide con l’ingresso del Messico nel club dei ricchi, cioè con una sentenza di morte per i poveri: Di qui la proprietà comunitaria della terra, dell’aria e dell’acqua, come beni non sequestrabili, non alienabili, non prescrittibili(cioè non merci). Valorizzazione dello sviluppo sostenibile e del potere popolare alternativo, a partire dal livello locale. Popoli come custodi della natura e dei suoi diritti Cap.5- L’insurrezione indigena nel Chiapas: ultima guerriglia del XX secolo o prima mobilitazione popolare del XXI secolo ? (pag. 175-206) L’autore si interroga sul significato della insurrezione zapatista in Chiapas. A questo scopo analizza i documenti e la storia dell’esercito zapatista a partire dalla sua nascita (1-1-1994). Legge questa rivolta non come “una delle tante” ma come punta di un iceberg a più facce : la mobilitazione degli indigeni e della popolazione messicana, quella della società civile mondiale, del movimento dei movimenti (pag.178). Ripercorrendo le origini, le tappe ed i documenti del movimento zapatista, l’autore analizza l’originalità e la novità di questo movimento -radicalmente contrapposta all’ideologia noliberalerispetto ai partiti, alle forze rivoluzionarie (es.EPR) ed alla rivoluzioni di ispirazione marxista. Descrive lo EZLN (esercito zapatista armato per esigenze di difesa) come braccio armato della “società civile”, come parte di essa, mai avanguardia sovraordinata (come nel leninismo). Di qui la formazione del “Fronte zapatista di liberazione nazionale” soggetto politico della società civile organizzata per conseguire valori ed obiettivi comuni, sia locali che mondiali. Con questa società civile e tramite il “Fronte”, l’EZLN di Marcos dialoga costantemente (dialoghi di San Andres) su un programma “aperto” (non imposto nè predefinito da alcuno). Di qui la centralità di valori umani ed ambientali universali che saldano una “unità nella diversità “ di persone diverse (per status, per sesso, religione, razza,ecc.), espressione delle comunità indigene e della loro storia. Proprio il connubio della organizzazione politico-militare urbana di matrice marxista con le comunità indigene ha prodotto una trasformazione della natura “guerrigliera tradizionale”(pag.191), arricchendone i contenuti, i metodi di lotta, la strategia di lotta. Una lotta che non mira- come quella marxista tradizionale-alla “presa del potere in modo violento da parte di una avanguardia – che poi trasferisce questa violenza alla nuova società (URSS)- ma solo al potere popolare ed alla transizione diretta alla democrazia popolare partecipativa. Una democrazia che rifondi, in particolare, la Costituzione messicana, l’uomo e la donna nuova, che consegni il potere all’esercizio del popolo. Di qui le parole d’ordine “procedere domandando”, “comandare-obbedendo”, “per tutti tutto, per noi niente” che caratterizzano il metodo politico e la strategia zapatista. Di qui la stretta connessione tra la strategia zapatista e l‘obiettivo universale del diritto alla solidarietà solidale dei popoli indigeni (oppressi), asse portante del libro. Quindi il movimento zapatista come parte ed innesco di un nuovo internazionalismo, insieme solidale e liberatore,ripreso ed evidenziato dal popolo di Seattle e Porto Alegre.Di qui la esigenzasegnalata anche da Marcos- di una rete intercontinentale di resistenza e di comunicazione, che produca un impatto significativo sulla politica mondiale. Cap.6- Il diritto di autodeterminazione dei popoli oppressi principio ispiratore della mobilitazione zapatista (pag.207-226) L’autore sostiene qui che il diritto di autodeterminazione dei popoli oppressi è il principio ispiratore della rivoluzione zapatista: a riprova di ciò analizza in modo approfondito la evoluzione ed i documenti del movimento zapatista fin dalla sua nascita (1/94). Alla definizione di questo diritto l’EZLN porta un contributo decisivo ed originale che va oltre la realtà indigena e messicana. Partendo dalla Costituzione messicana –“ogni potere pubblico emana dal popolo ed è istituito al servizio di esso.Il popolo ha, in qualunque momento il diritto inalienabile di cambiare la forma del suo governo”- l’EZLN valuta che il potere del popolo è stato usurpato dal partito-Stato alleato con i poteri economici nazionali ed internazionali. Perciò rivendica- mediante il diritto alla autodeterminazione dei popoli oppressi- una radicale trasformazione dello Stato in tutte le sue articolazioni: dalla comunità, ai municipi, alle Regioni. Quindi un governo di transizione che riscriva e realizzi l’organizzazione dello Stato sui presupposti costituzionali zapatisti. Perciò una lotta per la democrazia politica di uno Stato multietnico e multiculturale in cui la democrazia diretta (dal basso) si armonizzi con quella delegata. Perciò rottura del centralismo- presidenzialismo attuale, a favore di un decentramento che consenta l’autogoverno politico, economico e culturale delle comunità indigene e del popolo messicano. Perciò autonomia politica che comporta garanzie di giustizia per gl indigeni, proprietà della terra e delle risorse vitali, accesso ai mezzi di comunicazione, promozione e sviluppo della cultura indigena, controllo popolare degli amministratori-eletti con potere di revoca dal basso, amministrazione delle leggi e dei processi educativi, tutela dei valori di genere, religiosi ed ecclesiali (pag.211). Un tale assetto è impedito alle radici dal neoliberalismo occidentale e dai suoi trattati commerciali. Esso nega alla radice e con la forza il diritto alla IDENTITA’ dei popoli oppressi come dei singoli individui : perciò la violazione del diritto alla autodeterminazione si configura come delitto di GENOCIDIO (pag.213) contro i popoli, o come guerra all’umanità (una guerra mondiale non dichiarata). Di qui la difficoltà nel dichiarare “terroristi” quelli che combattono- anche con le armicontro i delitti del neoliberalismo. Perciò il diritto alla autodeterminazione diventa una scelta, non solo politica, ma etica e spirituale, anche femminista (legge rivoluzionaria delle donne dell’ 8 marzo 1973) e cristiana (nel senso della teologia e della spiritualità della liberazione, contrapposta alla barbara conquista evangelica del cristianesimo dominante). A questo punto (pag.222) l’autore esprime una sua perplessità: cioè che l’autonomia politica “rischia di rimanere puramente formale se non diventa anche in qualche misura economica ed ecologica”.Dice che “il movimento zapatista non ha ancora posto al centro dell’attenzione questo problema cruciale, che sembra forse prematuro” puntando , come primo passo di partenza, asl riconoscimento formale del diritto di autodeterminazione da parte dello Stato messicano. Qui il ruolo che la ricerca internazionalista anticapitalista può offrire all’EZLN. Nelle conclusioni Girardi. Specifica il significato che gli zapatisti danno al diritto alla autodeterminazione dei popoli oppressi, perno della loro mobilitazione, in particolare : critica all’avanguardismo ed al militarismo, spiritualità della liberazione, rete intercontinentale di resistenza e comunicazione (internazionale della speranza). L’autore si chiede “in Italia ed in Europa questo diritto e quindi la difesa della sovranità nazionale può diventare una forza mobilitante e quindi trasformatrice ?”. Cap.7 Per il coprotagonismo delle donne nella costruzione di un’alternativa di civiltà e di Chiesa (pag. 227-250) Dopo aver detto dell’evoluzione nella concezione del soggetto (meglio dei soggetti) di alternativa al capitalismo (dal proletario marxista ai soggetti plurali di oggi), l’autore discute del ruolo liberatore che il movimento delle donne coscienti e critiche esplica sia rispetto al neoliberalismo che al potere ecclesiale cristiano e cattolico. Entrambi questi poteri- negando l’apporto fecondo del valore storico della donna sono intrisi di autoritarismo, maschilismo, violenza, dipendenza indotta. In realtà decisivo è il contributo educativo e formativo delle donne nella formazione dell’”uomo nuovo” necessario all’umanità liberata dalla dominazione neoliberale e clericale. Anche qui il punto di vista delle oppresse , tra gli oppressi, è decisivo ed illuminante.Per favorire l’emergenza del punto di vita di genere le donne valorizzano ricerche partecipative di sole donne mediante i “gruppi di autocoscienza”.Il Genere non è solo una categoria biologica, ma sociale, politica e culturale (pag.231) che contiene rapporti di dipendenza generali e specifici (uomodonna). I punti di vista di classe (marxismo) e di genere non sono opposti, ma complementari. Nel sistema neoliberale la donna soffre l’oppressione politica, culturale, sociale, religiosa ed educativa in modo ancora più marcato per effetto dell’oppressione di genere.Sono gli uomini i principali responsabili di questa situazione, mediante il crimine originario dell’emarginazione delle donne dal potere nella società e nella chiesa. Le donne apportano al diritto alla autodeterminazione il loro specifico: no al patriarcato, solidarietà umana ed ambientale (ecofemminismo). Uno specifico che deriva loro dalla maternità e dal loro rapporto con la natura e l’ambiente. Esempio delle madri di plaza de Mayo e della loro fedeltà agli ideali universali dei figli scomparsi. Perciò le donne possono avviare un processo di educazione liberatrice nelle famiglie e nella società. E tuttavia questo non e’ scontato perché nelle società odierne l’educazione dei genitori è di solito e autoritaria ed omologante: educa più alla dipendenza assistenziale che alla liberazione, anche quando si presenta come amore familiare. Quindi è anche repressione dell’identità e dell’autonomia creatrice dei figli (es. il battesimo cattolico).Perciò il punto di partenza dell’impegno liberatore della donna è la presa di coscienza della sua dipendenza (in negativo) e del suo ruolo liberatorio (in positivo) rispetto ai disvalori ed alla prassi del neoliberalismo, con la strategia della non violenza. Ma l’oppressione e la liberazione della donna riguardano direttamente la dominazione cattolica ed ecclesiastica, come si è venuta configurando nei secoli, mediante una lettura preconcetta,oligarchica e dogmatica del Vecchio e del Nuovo Testamento, cioè un travisamento del messaggio di Gesù e del suo rapporto con la donna (che non lo abbandonano sulla croce, come fanno gli apostoli uomini). Analogie si hanno con altre religioni monoteiste: di qui la necessità di riflettere sul nesso tra monoteismo,autoritarismo e maschilismo delle società e della Chiesa cattolica romana. Ma anche sulla convergenza storica tra potere ecclesiale e poteri temporali (autoritari e repressivi). Perciò la scelta delle donne oppresse significa riconoscerle come soggetti nella riscoperta della identità cristiana tradita, come istanza critica della Chiesa, della teologia e della bibbia. Gli oggetti della contestazione femminile sono tre: educazione autoritaria, alleanza con poteri oppressori e autoritarismo interno all’apparato ecclesiastico. Il cristianesimo – sostiene l’autore- non ha cambiato l’impero romano; al contrario si è convertito all’impero. Così non ha cambiato il mondo, perché questo ha cambiato il cristianesimo (pag.243). Esso non ha contestato le relazioni di dominio, ma le ha sacralizzate e giustificate. In particolare, il clericalismo riconosce il clero (maschile) come casta sacra, depositaria esclusiva dell’autorità divina. I fondamenti biblici dell’autoritarismo cattolico stanno nell’aver evidenziato e seguito in modo acritico ed assoluto apostoli come Paolo (citazioni a pag. 244) e Pietro. Ma un’altra lettura selettiva e propria della Bibbia è possibile e necessaria: essa porta alla teologia della liberazione ed alla rivalutazione del punto di vista degli oppressi e delle oppresse. Le comunità cristiane di base vedono la bibbia come “parola umana ispirata da Dio”, quindi una parola che riflette la fede dei credenti nella loro ricerca di Dio. Una ricerca esposta perciò all’errore ed alla deviazione. Quindi la sua lettura può (deve) essere critica e selettiva. Nella struttura ecclesiastica cattolica e nella sua storia noi troviamo le radici e le prove del suo maschilismo esasperato (sacerdozio, privilegi maschilisti, violenza dell’Inquisizione, caccia alle streghe donne,ecc.).A livello teologico vi è la maschilizzazione di Dio, mentre nella Bibbia una serie di episodi suggellano la inferiorità e la dipendenza femminile dal maschio padrone. Gli apostoli Paolo e Pietro rafforzano queste tesi maschiliste interessate. Quindi il punto di vista femminile con i suoi valori universali implica anche il loro riconoscimento all’interno della Chiesa cattolica e delle società neoliberali. Si tratta anche di un arricchimento della teologia della liberazione e della sua crescente creatività. E’ il passaggio della scoperta del volto femminile di Dio, da Signore onnipotente ad Amore liberato universale. “In una epoca tanto conflittuale,l’esperienza vivificante dell’unità intima ed amorosa tra tutte le persone umane, tra umanità e natura, tra cosmo e Dio” (pag. 250 ). Cap.8 Educazione popolare liberatrice di civiltà (pag.251-268) Dopo aver ricordato e ringraziato il suo maestro di “educazione popolare liberatrice “, Paulo Freire, l’autore si chiede se la lezione di Freire e l’educazione liberatrice sono ancora attuali e validi oggi, dopo la crisi del marxismo, delle rivoluzioni antimperialiste e popolari (come quella sandinista in Nicaragua). Se si accetta l’impostazione del “pensiero unico” per la quale qualsiasi alternativa al “neoliberismo” è impossibile, perdente e dannosa, viene meno ogni possibilità rivoluzionaria e trasformatrice, quindi l’educazione popolare liberatrice produce solo frustrati, illusi, delusi o vittime di repressione ed emarginazione. Di qui la scelta di campo della sinistra partitica maggioritaria che, abbandonando e rinnegando i valori e gli obiettivi per cui è nata, si adegua o si identifica con il mondo imperialista, tentando, al massimo, di mitigarne i disastri sociali ed umani. Ma per Girardi la crisi della strategia della sinistra e del marxismo nel conquistare il potere e mantenerlo (perso in Nicaragua mediante elezioni in un Paese con l’80% di poveri), non significa anche la fine del ruolo decisivo della “educazione liberatrice”,intesa come metodologia alternativa, praticabile da tutti coloro che esercitano di fatto una funzione educativa: genitori, responsabili politici e sindacali,sacerdoti,intellettuali, artisti, operatori sanitari e mediatici. Infatti l’educazione popolare liberatrice ha il compito di formare l’uomo e la donna nuovi che rendono possibile e duratura l’alternativa di civiltà necessaria, con o senza la presa del potere diretta. Cita l’esperienza alfabetizzatrice sandinista- affidata allo stesso Freire- che pure non è riuscita, per motivi oggettivi e soggettivi, ad assolvere e completare il suo ruolo liberatorio. La educazione popolare liberatrice ha successo quando i soggetti da essa formati rimangono fedeli alle loro idee e scelte, sia nell’esercizio del potere che nel momento della repressione e della sconfitta. Rappresenta quindi la conquista della fiducia e nella speranza di un mondo nuovo possibile, a prescindere dagli esiti elettorali di breve periodo. L’educazione popolare liberatrice fa giustizia del marxismo dogmatico, economicista, autoritario, del militarismo e dell’avanguardismo, non del marxismo umanista,libertario, critico,euristico. Essa rappresenta l’audacia di credere nell’alternativa (sia pure non nel breve periodo) e cioè di camminare in direzione dell’alternativa (pag.260) e di incerare un processo per il diritto alla autodeterminazione solidale dei popoli oppressi. L’alternativa sarà possibile solo se esistono persone capaci di immaginarla e praticarla. Nella dialettica della psicologia umana, ciò significa la vittoria dei valori sui disvalori (generositàegoismo,libertà-servilismo, verità-menzogna). L’autore definisce così una filosofia popolare della liberazione, come una ricerca individuale e collettiva del senso della vita e della storia, realizzata dal punto di vista degli oppressi, come un processo di autoformazione della persona e del popolo. Rispetto a questa filosofia la educazione popolare educatrice espliciterebbe la sua dimensione intellettuale, critica ed investigativa. Perciò “educazione popolare liberatrice” come istanza critica del marxismo e della sinistra rivoluzionaria, come riconoscimento dei popoli oppressi come soggetti, della promozione dello sviluppo locale sostenibile, dell’autonomia intellettuale e morale delle persone, del valore non violento di una nuova strategia rivoluzionaria. Quindi il messaggio e l’insegnamento di Freire è non solo attuale, ma decisivo, per uscire da una crisi delle speranze e delle pratiche rivoluzionarie di trasformazione. Invece l’educazione popolare liberatrice valorizza e rilancia le lotte popolari, le testimonianze alte (Che Guevara), la teologia della liberazione come il marxismo, su nuove basi più avanzate. Cita infine Bakunin :” E’ cercando l’impossibile che, nel corso della storia, gli uomini sono venuti scoprendo e realizzando il possibile. E tutti coloro che si sono accontentati saggiamente del possibile, non hanno avanzato di un solo passo”. Cap.9- Teologia della liberazione e costruzione della pace nel contesto geopolitico attuale: tra monolitismo e pluralismo religioso (pag. 269-308) La globalizzazione neoliberale si è rivelata come guerra economico-politica di conquista di una minoranza privilegiata contro la grande maggioranza dell’umanità. Perciò la pace, non è solo la fine della guerra, ma coincide con la questione dell’alternativa di civiltà : ciò richiede che siano elimi- nate le cause che determinano le guerre, in primo luogo l’egemonismo delle grandi potenze. Quindi non vi può essere pace senza la sovversione del disordine esistente. Quale ruolo possono avere le religioni- e quella cattolica in particolare-in questo processo di sovversione ? Sono esse fattori di guerra o di pace ? Sono fattore di guerra se prevale- come nella storia da Costantino in poi- il monolitismo religioso della Chiesa che pretende di imporre la sua egemonia a tutti. Possono essere fattore di liberazione e di ricerca della pace durevole, se prevale la teologia del pluralismo religioso associata alla teologia della liberazione: due approcci , nati separati ed in tempi diversi, ma che oggi si completano e si arricchiscono a vicenda. A questo proposito l’autore analizza il fenomeno del “macroecumenismo popolare indo-afro-americano”, nato in alcuni Paesi dell’America latina. Di qui il ruolo centrale del “pluralismo religioso”, cioè del rapporto di ricerca paritario e fecondo tra religioni diverse, intese come. come percorsi associati ai modi diversi con cui Dio si manifesta al mondo (pag.292). Poichè questa ricerca-individuale e collettiva-è libera, non è basata su verità assolute da imporre con la forza o con il ricatto(come pretende la Chiesa ufficiale).Anche la visione laica ed atea rientrano nel “pluralismo religioso”, essendo basato sulla autodeterminazione religiosa che non ammette “religioni superiori”, ma che invece comunica con tutti coloro –religiosi o non –che sono parte attiva di questa ricerca permanente. Perciò, non una dottrina o una ortodossia imposta da un potere sacralizzato, ma una ricerca libera. Al contrario, il monolitismo cristiano-cattolico- riaffermato recentemente dalla “Congregazione per la dottrina della fede” (dichiarazione Dominus Jesus dell’agosto 200° e del febbraio 2001)- è stato ed è fonte di violenza, di guerre, di conquiste e di genocidi, al rimorchio o di intesa con i poteri temporali forti della storia recente e passata. Un cristianesimo imperiale contro quello popolare che è alimento e copertura dell’imperialismo e delle sue guerre permanenti. L’autore auspica che il movimento macroecumenico indo-afro-americano, sorto ufficialmente a Quito (Ecuador) nel settembre 1992 come “assemblea del popolo di Dio”, possa diffondersi anche in Europa ed in Italia, insieme al suo impegno liberatorio antimperialista. Tale ecumenismocontrastato dalla Chiesa ufficiale- è popolare, liberatore, fecondo per tutte le persone impegnate e le religioni non cristiane. E’ per ora minoritario, ma decisivo anche per la teologia della pace. ------------Allegato : globalizzazione neoliberale e globalizzazione cattolica nel contesto della guerra dell’Occidente contro il terrorismo islamico. Questo allegato contiene una analisi ed una critica radicale del documento “Dominus Jesus” emanato il 6 agosto 2000 dalla Congregazione per la dottrina della fede (Vaticano). Alla teologia ufficiale- egemonica ed assoluta- del potere Vaticano e delle sue interpretazioni religiose e bibliche (eurocentriche ed ecclesiocentriche) contrappone le teorie del pluralismo religioso e del Dio amore liberatore, proprie della teologia della liberazione e dei cristiani ecumenici dialoganti con i “non cristiani”di tutte le religioni. Una critica radicale dell’intolleranza religiosa del Vaticano di Roma che si affianca- come già nel passato all’integralismo delle conquiste occidentali (crociate, occupazione delle Americhe,ecc.) passate e presenti (del neoliberalismo).Una Chiesa cattolica depositaria della verità assoluta e definitiva in materia di fede, di Dio e di Gesù : una verità superiore ed unica che va imposta ed esportata in ogni parte del mondo, contro limiti ed errori “ fuorvianti” di ogni altra religione. ------------ Cap.10 –Il cristianesimo popolare liberatore di fronte alla crisi della speranza storica dei poveri (pag.309-332). E’ morta la teologia della liberazione, si chiede l’autore ? Certo anche questa teologia è investita dalla attuale crisi della speranza di liberazione e di cambiamento.Da un lato ci sono i suoi detrattori- interessati, come l’attuale Papa Giovanni Paolo II^ che nella sua visita In Nicaragua (post-sandinista) ha decretato la morte del marxismo e della teologia della liberazione (equiparati). Dall’altro ci sono coloro che , nel nome di questa teologia hanno lottato e lottano (anche sconfitti). E’ la teologia popolare (cristiana)della liberazione contrapposta a quella della cristianità (papale). Il cattolicesimo papalino è imperiale ed a dogma unico (come quello neoliberale): esso deriva dal patto costantiniano (alleanza della Chiesa con l’impero romano tradendo i suoi presupposti). Protagonista non è più la comunità solidale ,ma una gerarchia monarchica assoluta. L’obiettivo non è più una nuova civiltà ispirata all’amore liberatore, ma la egemonia ecclesiale. Gesù il sovversivo giustiziato, diventa Cristo Re, capo politico-militare dell’impero cristiano. Dio stesso da Amore liberatore diventa Padrone onnipotente, garante del potere imperiale. La croce da segno di infamia a segno di potere e vittoria.La violenza bandita ritorna per evangelizzare. Di qui genocidi (conquista dell’America), supplizi (Bruno e Savonarola), roghi alle streghe. Infine complicità con il potere temporale imperiale e scelta dei carnefici, invece che delle vittime. Perciò la speranza liberatrice risiede oggi nella teologia della liberazione e nel cristianesimo popolare liberatore. Entrambi riportano il cristianesimo alle sue origini vere (distorte da storie interessate come quella di Eusebio di Cesarea, teologo di Costantino).Le fonti che alimentano oggi la teologia della liberazione sono molte :la fede liberatoria dei popoli oppressi,la mobilitazione indigena e popolare,il movimento femminista ed ecologista, il movimento contadino (Sem terra), i movimenti giovanili più recenti, i movimenti negri e quelli macroecumenici (già citati). I teologi della liberazione possono oggi imparare molto da tutte queste fonti (minoranze coscienti). Rivendicando la rivalutazione delle loro culture e religioni, i popoli indigeni affermano il diritto alla autodeterminazione religiosa e culturale delle loro origini e delle loro identità distrutte. Un progetto di confronto tra teologia india e negra (sincretismo come valore, non confusione) vive nella Chiesa locale di S. Cristobal de las Casas in Messico E’ la morte di Gesù lo spartiacque del tradimento religioso compiuto dalla Chiesa cattolica romana. Breve commento personale al testo di Giulio Girardi Lo sforzo e l’ambizione di poter sintetizzare in 10 pagine un testo di 332 pagine a stampa rischiano di “compromettere” la vastità, lo spessore ed il grande valore dei concetti che questo libro contiene. E tuttavia, una sintesi, pur così compressa, può stimolare molti altri a leggerlo per confrontarsi attivamente con la sollecitazione feconda che l’autore propone. Il libro è anzitutto una critica radicale e definitiva del “pensiero unico” , delle pratiche del “neoliberismo”- con particolare riferimento all’attualità politica (guerre di aggressione , menzogne e terrorismi praticati o indotti dai dominatori)- e della teologia cattolica romanocentrica. Anche un invito ad avere fiducia che il nuovo mondo necessario è possibile : - nonostante la prepotenza ed il dominio schiacciante del “neoliberismo militarizzato” padrone delle armi, dei capitali, dei mass-media , con la complicità del “cristianesimo imperiale”. La critica di questi due poteri imperiali è netta, radicale e senza speranze di correzioni “interne”. -nonostante la crisi della “sinistra rivoluzionaria”, del marxismo,della teologia della liberazione e delle rivoluzioni popolari ed anticolonialiste del secolo scorso. Una crisi che ha spinto molti responsabili e molti militanti a rassegnarsi ed a convivere con il “neoliberismo” e le sue barbarie. Questa possibilità- non immediata per l’autore- è condizionata al recupero di nuovi valori di civiltà. Alla luce di quanto è accaduto e sta accadendo in America Latina (dal 1992) e nel mondo, il riscatto e la liberazione dei popoli passa attraverso un nuovo internazionalismo che assuma come asse centrale il “diritto alla autodeterminazione solidale dei popoli oppressi (indigeni e negri in particolare), applicato ai temi della vita ,della politica, della cultura, dell’educazione (popolare liberatrice), della società, della rappresentanza e della religione (pluralismo popolare religioso come ricerca-individuale e collettiva- liberatoria che includa anche la cultura laica ed atea)). Quindi una valorizzazione delle culture indigene e degli emarginati – di fatto più evolute- per un recupero di civiltà basato sulla conquista e sulla pratica di valori universali, religiosi e laici. In questo senso le rivolte indigene contro le celebrazioni per i 500 anni della cosiddetta “scoperta dell’America”, la rivolta zapatista in Messico e quella del “popolo di Seattle”, offrono nuova linfa al percorso di liberazione, sia nel metodo (anti-verticistico, non violento, pluralistico ed antidogmatico) che nel merito (globalizzazione plurale dal basso, gestione diretta delle decisioni e delle risorse a partire da quelle locali, consenso cosciente, educazione popolare liberatrice). I popoli indigeni come nuovi soggetti storici di resistenza e alternativa al neoliberismo: la rivolta indigena in Chiapas come prima mobilitazione popolare del XXI secolo. Queste acquisizioni teoriche e pratiche offrono- per l’autore -nuove occasioni di riflessione critica e di arricchimento, sia alla teologia della liberazione che al marxismo (non dogmatico), tuttora attuali. La questione femminile e quella ecologica è parte integrante di questa ricerca popolare liberatrice, già avviata. Pur partendo da altri fondamenti politici e culturali- laici e marxisti- mi sento parte ed “in sintonia” con le aspirazioni e le finalità di Giulio Girardi. A questa ricerca “antimperialista” di civiltà tento di portare il mio contributo teorico e pratico, in particolare sui temi dei processi di conoscenza, formazione,informazione e comunicazione e sui temi della rappresentanza politica e sindacale. Credo, con Girardi, che un mondo nuovo sarà conquistato e preservato solo da uomini e donne “nuove” e coscienti,su un progetto di “nuova società “ mondiale, da costruire collettivamente. Ma questa costruzione richiede, non solo nuove idealità e coraggio, ma la soluzione di nodi storici e strutturali del capitalismo-imperialismo e delle religioni con esso complici: i rapporti di potere; il controllo popolare delle risorse nazionali ed internazionali, dei mass-media, della scuola e della rappresentanza;le forme della produzione-distribuzione di merci e servizi a scala mondiale e nazionale, il rapporto pubblico- privato, Stato-Chiesa, economia-lavoro, società- ambiente, uomo-donna. Le esperienze socialiste passate e presenti- basate sulla teoria marxista, esiziale per il capitalismo di tutte le epoche- hanno indicato e praticato strade “sconosciute” al capitalismo ottenendo risultati positivi (anche limitati o instabili), non solo all’interno dei propri confini, ma per altri popoli che, o hanno raggiunto il socialismo (Cina, Cuba, Vietnam, Cile,Corea del Nord) o si solo liberati dal colonialismo capitalista “prima maniera”. Altri popoli- come quelli in Europa ed in Italia – hanno conquistato diritti sociali “insperati”, anche grazie alla vittoria dell’URSS sul nazismo ed alla sua influenza “antimperialista”, non solo in Europa. Il fatto che dopo il crollo dell’URSS –non del marxismo scientifico- per cause interne ed esterne (azione congiunta della grandi potenze imperialiste) queste conquiste storiche vengano attaccate e distrutte ovunque, è la controprova del ruolo positivo che- con tutti i suoi limiti- il socialismo sovietico ha avuto in Europa e nel mondo. Perciò il bilancio storico di tutte le esperienze “socialiste” va fatto con equilibrio e rigore, allo scopo di adeguare la teoria marxista (che non è né dogma né programma politico) ed il socialismo marxista- alla fase attuale dell’imperialismo “militarizzato” e menzognero. Ciò è assolutamente decisivo per almeno due buoni motivi: a)- solo la teoria marxista ha influenzato rivoluzioni antimperialiste vittoriose. Gandhi non ha sconfitto da solo il colonialismo inglese, né l’India ha avuto mai un regime“socialista”o “popolare”. Si possono ovviamente assumere altri riferimenti ,ma a condizione che essi siano poi vincenti. La stessa teologia della liberazione è fortemente collegata con il marxismo ed i marxisti. Perciò l’imperialismo laico e papalino reprimono soprattutto dove c’è “puzza “di socialismo marxista. b)- il marxismo scientifico- come specifica teoria anticapitalista- richiede ed implica che le esperienze anticapitalistiche- passate, presenti e future- siano analizzate criticamente al fine di rendere sempre più efficace la teoria e la prassi rivoluzionaria marxista. E’ quello che il marxismo ha fatto fin dalla sua nascita, nelle diverse realtà in cui opera (da Governo e/o da opposizione). Assumere - come io ho già fatto nei miei scritti fin dal 1991- che la contraddizione principale dell’imperialismo attuale sia quella tra proprietà privata (oligopolistica) dei MEZZI (Capitali, risorse, armi, mass-media, leggi , politica, giustizia) e DIRITTI elementari dei popoli (cibo, acqua, pace, giustizia, sanità, informazione, lavoro, dignità), significa solo applicare il principio di quantità-qualità del marxismo: infatti la contraddizione principale (marxiana) CapitaleLavoro si è estesa, trasformandosi in quella sopra definita.. Di qui le conseguenze “globali” che viviamo oggi: troppi ancora non le vedono o non vogliono vederle (opportunismo miope). Né la contrazione Capitale-lavoro è scomparsa, come dimostra il caso Fiat in Italia o la vittoria di Lula in Brasile (con il partito dei lavoratori). Proletari sono quelli che non posseggono altro che la loro prole: non è così per i popoli indigeni e per tutti gli sfruttati del mondo ? La questione della VIOLENZA è stata indagata a lungo, da marxisti e non marxisti. Nessun rivoluzionario- anche Che Guevara e Marcos- usa le armi per “vocazione”. Vi è costretto per difendersi dalla violenza “spropositata e massacrante” della repressione imperialista : i casi sono talmente tanti e noti che non vale la pena richiamarli. Sono gli oppressori- minoranza che impongono la via armata, per uccidere i dissidenti e per ridurne i sostenitori attivi. Ma la via armata non riguarda solo la fase rivoluzionaria di “presa del potere”. La storia ci ha insegnato- e sempre di più ci insegna- che ogni rivoluzione popolare “riuscita” va difesa, anche con le armi, sia dalle “ingerenze esterne” che da quelle interne (i ceti dominanti sconfitti): l’ultimo caso è quello di Chavez in Venezuela- presidente eletto- ma sgradito ai governanti USA-CIA ed ai loro servi locali. Dove questa difesa è stata inadeguata o sottovalutata- come nel Cile di Allende- è prevalsa la restaurazione imperialista e fascista, con milioni di vittime civili. Anche il rapporto avanguardia-masse è stato indagato e valutato nelle rivoluzioni marxiste e popolari del secolo scorso : la scelta dei Soviet in URSS, delle Comuni popolari in Cina, dei consigli popolari rivoluzionari in Libia, sono tentativi- più o meno riusciti-di trovare soluzioni. Sono soluzioni errate o superate, oppure sono state tradite per cause oggettive e soggettive ? Se la storia della Chiesa cattolica è storia di “tradimento” fin dalla morte di Gesù, è comprensibile che deviazioni e tradimenti possano determinarsi anche in contesti laici, peraltro “inesplorati”. Lo stesso Girardi dice di riferirsi- come è inevitabile- alle avanguardie coscienti dei popoli oppressi: infatti la condizione oggettiva di oppressione non è, di per sé , coscienza e lotta liberatrice. Sono i mass-media borghesi –più che i popoli oppressi- a creare i leader “rivoluzionari”, come accade tuttora (Marcos, Fidel Castro,ecc.).Ma più che inveire sul tradimento delle “avanguardie”sempre possibile- conviene trovare soluzioni strutturali per impedirne le deviazioni.