L`ultimo libro di Giulio Girardi “Resistenza e alternativa al

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L’ultimo libro di Giulio Girardi
“Resistenza e alternativa al neoliberalismo ed ai terrorismi”
Nota di E. Giardino (Forum DAC)
Giulio Girardi non ha bisogno di molte presentazioni. Filosofo e teologo della Liberazione di fama
internazionale, ex sacerdote,già docente in alcune prestigiose Università (salesiana di Torino e
Roma, cattolica di Parigi e “Lumen vitae” di Bruxelles,di Sassari) è uno studioso impegnato della
realtà latino-americana e dei movimenti indigeni. Ha scritto molti libri importanti sia in lingua
spagnola che italiana (www.peacelink.it/users/romero).
E’ parte militante dei movimenti popolari di resistenza e di alternativa al” neoliberalismo
militarizzato”(come egli stesso lo definisce), analizzandone le potenzialità e le motivazioni ideali e
teoriche, nonché le lotte e le ricadute pratiche a livello mondiale.E’ stato membro del Tribunale
Russel II ed è membro del “Tribunale permanente dei popoli fin dalla sua fondazione (1979).
Questo suo libro è un ulteriore contributo originale alla causa di tutti coloro che si battono- con
coraggio e coerenza- contro il “neoliberalismo” e le sue nefandezze crescenti
Sintesi del contenuto
Nella sua introduzione l’autore ci dice che l’alternativa ai guasti del neoliberalismo (termine che- a
differenza di neoliberismo(economico)- rende conto della totalità delle dimensioni politiche,
economiche, culturali, antropologiche del fenomeno) è necessaria ed urgente, ma
impossibile(oggi)
Infatti un sistema così “antipopolare ..riesce ad imporsi, paradossalmente, con il consenso delle
grandi masse popolari “.Come mai, si chiede Girardi ?
Ne indica le ragioni oggettive (squilibrio nel rapporto di forze, fine del campo socialista e cedimenti
della “sinistra”come fine della speranza storica, sconfitta delle rivoluzioni popolari, egemonia anche mediatica- del pensiero unico) e soggettive (difficoltà di superare fatalismo e rassegnazione,
scelta di sicurezza garantita contro rischi di libertà e lotta, educazione che induce le maggioranze
popolari alla dipendenza intellettuale e morale).
Quindi una crisi della “speranza “ e dello “ottimismo storico” delle rivoluzioni trascorse.
Perciò l’autore si chiede “Un mondo diverso è possibile ? “ Solo a condizione di rifondare la
speranza e l’ottimismo storico smarriti, per raccogliere il grido di dolore e di indignazione dei popoli
e degli oppressi e trasformarlo in mobilitazione e costruzione di una nuova storia. Questo è
appunto l’obiettivo della ricerca condotta nel libro.
Cap.1 : resistenza e alternativa alla globalizzazione neoliberale (pag.19-100).
Il punto di vista scelto dall’autore è quello del DIRITTO alla “autodeterminazione solidale” dei
popoli indigeni e delle donne (oppressi ed esclusi), come processo capace di determinare
resistenza ed alternativa, sia al neoliberalismo che ai terrorismi (indicati al plurale).
Una solidarietà militante e “liberatrice” non puramente “assistenziale”, ma radicalmente
antagonista rispetto al sistema dominante, che non consente o tollera aggiustamenti ed
“umanizzazioni”.
Una lotta popolare “non violenta”, dal momento che “la verità è alleata naturale della libertà, così
come la menzogna è alleata della violenza” ( aggressioni, repressione e terrorismo dominanti).
Una lotta dei popoli oppressi (non solo dei lavoratori sfruttati indicati da Marx) perché siano i
protagonisti ed il fine dell’economia e della politica, condotta con un metodo di interdipendenza
orizzontale per una “globalizzazione dal basso”plurale, contrapposta alla dipendenza verticaleunilaterale ed asimmetrica delle minoranze dominanti, capace di costruire un progetto alternativo
di civiltà a beneficio della maggioranza dell’umanità e del suo ambiente.
Non più la costruzione di un modello globale a partire dalla presa di potere repentina dello Stato
(come nelle rivoluzioni di tradizione marxista), ma una “molteplicità di iniziative e di poteri locali
coordinati fra loro sotto forma di rete ed unificati dalla comune tensione verso la trasformazione
globale “ (pag.31). Quindi un superamento dell’approccio e della tradizione rivoluzionaria marxista.
Chi sono i nuovi soggetti capaci di questa trasformazione sociale cosciente ?
L’autore ne indica le caratteristiche essenziali: estrema varietà, alto livello di coscienza e
mobilitazione (senza avanguardie- guida illuminate),tendenza a costituire reti, la consapevolezza di
essere soggetti di ricerca (e non di verità definite ed assolute).Collettivi di ricerca, come detonatori
della coscienza delle masse, non chiamati a dirigere o a prendere il potere in nome delle masse.
A questo punto il libro ripercorre con dovizie di notizie e di riferimenti la storia del “movimento dei
movimenti,- da Seattle a Genova- facendola partire dalla campagna 500 anni di resistenza
indigena, negra e popolare (anni 1989-92,contro il V^ centenario della cosiddetta “scoperta
dell’America”) e dalla insurrezione zapatista del 1^ gennaio 1994.
Viene documentata la crescita –qualitativa e quantitativa- del “movimento” (che Girardi rifiuta di
chiamare “No Global”, perché fuorviante e solo negativo), che si pone ormai a livello mondiale
come patrimonio di resistenza e di alternativa progettuale. Di qui lo scatenarsi della repressione
poliziesca, sempre più aggressiva e sanguinosa,mascherata da lotta al “terrorismo”.
Viene detto – ad es. con riferimento ai Black Bloc di Genova che “non pochi dei manifestanti
violenti sembravano poliziotti travestiti ed infiltrati”(pag. 50).
In questo movimento variegato ci sono gruppi e persone di diversa estrazione e cultura politica,
anche intellettuali di rango,politici, sindacalisti, donne, giovani, lavoratori, persone comuni.
Perciò un movimento non “spontaneistico”,”transeunte” o “pragmatico” che comincia a trovare
spazio –sia pure distorto ed inadeguato- nei media e nelle Istituzioni (Kofi Annan).
Esso esprime denuncie di carattere generale e specifiche. Tra le prime :
1. La contestazione radicale e senza appelli del neoliberalismo, considerato irriformabile,
distruttivo e degradante;
2. La contestazione radicale della guerra “preventiva e permanente” di Bush ( Chomsky);
3. La guerra al “terrorismo” vista come militarizzazione della politica nazionale e mondiale;
4. La contestazione totale del neo-imperialismo (combinazione di economia neoliberale e di
guerra antiterroristica).
Per le denuncie particolari :
1. La questione del DEBITO e le sue implicazioni (da cancellare perchè già pagato più volte);
2. La denuncia delle politiche di Organismi non elettivi, come WTO, Banca mondiale e simili;
3. La violenza contro le donne e contro i settori più deboli delle società;
4. La repressione contro il popolo palestinese dello Stato di Israele.
Un movimento che si caratterizza- non solo per la sua contestazione- ma per un progetto globale
di alternativa globale: autodeterminazione solidale dei popoli, democratizzazione dei poteri locali,
come di quelli nazionali ed internazionali e delle istituzioni finanziarie,autonomia dagli USA e dai
suoi accordi capestro (ALCA, Plan Colombia), rivendicazione attiva dei diritti fondamentali (salute,
educazione, informazione, comunicazione,lavoro,ecc.)
Autodeterminazione solidale come amicizia liberatrice e come riscoperta della strategia di Gandhi
(Satyagraha= forza della verità, del diritto, della giustizia e dell’amore)(pag.83).
A questo punto l’autore tratta dei rapporti con altre teorie ed altri approcci : quello marxista e , più
in gnerale, quello ,del popolo in armi (FARC, zapatisti,EPR, ecc.) o delle rivoluzioni armate.
Cita appunto l’esclusione dai Forum sociali dei “gruppi armati”(pag.85). Descrive in dettaglio la
lotta zapatista e le condizioni poste al neoPresidente Fox, che le ha tradite e violate.
Dunque un movimento che riscopre le motivazioni ideali della militanza, che non ha una “ideologia”
ma che costituisce un “patrimonio ideale” caratterizzato da un “pluralismo dinamico”
(che permette a tutte le sue componenti di mantenere la propria identità originaria).
Pertanto la confluenza della componente marxista in questo patrimonio ideale “è resa possibile da
un ripensamento critico imposto dall’esigenza di capire gli errori della sinistra e le ragioni delle sue
sconfitte storiche; dall’esigenza quindi di un profondo ripensamento della sua strategia” (pa. 93)
Su questo piano si incontrano anche la componente Gandiana( e di Luter King) con quella
marxista.
Nel movimento una particolare ed intensa visibilità hanno le motivazioni religiose: la teologia della
liberazione (Frei Betto con il marxista Michael Lowy), la Commissione “Giustizia e Pace, la
spiritualità di Santa Teresa di Avila. L’autore cita e ricorda la lezione di Che Guevara come simbolo
di un marxismo “umanista,libertario,critico ed euristico” (pag..92 e 94)
Quali indicazioni operative escono in positivo da questo movimento ?
- costruzione dal basso di una globalizzazione popolare a partire dai poteri locali
(pensare ed agire sia localmente che globalmente);
- mobilitazioni non violente, anche se con azioni di disturbo contro i poteri forti
Cap.2 – Fondamenti ideologici della guerra mondiale in corso:alle radici del consenso
Il consenso popolare (maggioritario) alla guerra nei due campi opposti è un problema cruciale da
risolvere per l’autore. Egli esamina prima l’ideologia di Bush e dei suoi alleati, derivandola dal suo
discorso al Senato USA del 20-9-2001 interrotto 29 volte da applausi bipartitici (di repubblicani e
democratici). Critica radicalmente l’ideologia bellicista, aggressiva ed egemonica che ispira il
presidente USA che tuttavia trova una larga base di consenso nazionale ed internazionale. La
guerra “preventiva ed infinita”contro il terrorismo- ieri di Osama Bin Laden e di Al Queda, oggi
dell’Iraq- è la naturale prosecuzione della sua guerra agli Stati totalitari- nazismo,fascismo,
comunismo.
E’ una guerra santa che non consente posizioni “altre o neutre”: “o con me o contro di me”.
Quindi una specie di “teologia del destino manifesto” del popolo nordamericano, basato
sull’espansionismo economico e la superiorità dei valori occidentali.. Perciò una civiltà superioreoccidentale cristiana- che prevede il genocidio fisico, culturale e religioso dei popoli indigeni.
Ma il punto di vista dello “integralismo terrorista islamico” non è meno criticabile.
Definisce prima lo “integralismo religioso (cristiano, islamico, ebreo) come metodo “ermeneutico” (
interpretativo), una dottrina ed una pratica. Esso attribuisce ai libri sacri ed alla religione l’unica
verità rivelata, eletta da Dio a diventare la religione universale dell’umanità. Quindi il diritto-dovere
del fedele di difendersi, imporsi e diffondere la sua dottrina, anche di vendicarsi. Così l’integralismo
cattolico è stato anche terrorista per secoli (pag. 111).
Esamina quindi i discorsi di Osama Bin Laden in risposta a Bush (pag.113 e seguenti) e l’appello
alla mobilitazione ed alla lotta di tutto il mondo islamico contro USA ed Israele.
Quindi l’alleanza “giudaico-cristiana” è guerra contro Dio, contro il suo Messaggero e contro i
musulmani. Quindi per la Jihad, che è guerra di liberazione ed affermazione dell’Islam, il terrorismo
è legittimo e necessario, come fondamentale dovere religioso (guerra santa).
La Jihad è oggi guerra contro l’imperialismo ed i suoi metodi.
Si configura così un punto di vista – omologo e complementare- di “oppresso-oppressore”, nel
quale entrambi rivendicano il diritto della forza. Si tratta di due opposti terrorismi, in profondo
contrasto , ma profondamente affini; due progetti imperiali (imperialisti terroristi) da condannare per
scegliere una terza via : quella degli oppressi e delle oppresse, come soggetti alternativi.
Di qui la mobilitazione popolare necessaria contro il neoliberalismo e contro i (due) terrorismi.
L’autore indica alcune piste di ricerca. Rispettoi all’imperialismo USA (pag. 124):
- la guerra USA non ha avuto inizio l’ 11 settembre 2001 (colonizzazione dell’America, politica
estera USA nel mondo,correlazione tra politica e violenza militare);
- l’integralismo terrorista islamico come risposta all’imperialismo USA;
-– necessità di riconoscere i delitti storici della civiltà occidentale, con Europa autonoma da USA;
- strategia non violenta contro i terrorismi, con l’Italia fuori dalla guerra;
- ruolo del cristianesimo in questa contrapposizione di integralismi;
- autocritica necessaria anche per l’integralismo islamico.
In conclusione serve per l’autore una “educazione popolare liberatrice”
Cap. 3 Plan Colombia : progetto dell’imperialismo e risposta popolare (pag.129-154)
Il plan Colombia viene letto dall’autore come l’asse della strategia dell’imperialismo USA in
America Latina (così come la Nigeria per l’Africa e l’Indonesia per l’Asia).
E’ parte del più generale progetto di sottomissione ed integrazione del Continente latinoamericano.
I suoi obiettivi reali non sono affatto quelli dichiarati (ristabilire la pace,eliminare il narcotraffico,
migliorare la prosperità del Paese, ecc.):dominazione economica, intervento politico, aggressione
militare e lotta ideologica, con L’Europa in funzione subalterna (di copertura umanitaria) e la Nato
in funzione aggressiva come nei Balcani.. La Colombia è ricca di risorse strategiche e di materie
prime (petrolio, oro, carbone,smeraldi,acqua, foreste vergini)da arraffare. Basi militari USA nella
Regione , come in Kosovo (Manta in Ecuador).Il plan Colombaia è un misto di violenza
colonizzatrice e di menzogna che annulla ogni sovranità del popolo e dello Stato colombiano.
E’ invece una operazione tesa a liquidare i movimenti popolari di liberazione armati (ENL,FARC ed
AUC) usando le truppe armate ed i “paramilitari” colombiani armati dagli USA e sotto la direzione
di “istruttori USA”. Il presidente colombiano Pastrana, Kofi Annan e l’Unione europea hanno detto
di accettare il plan Colombia. Dopo l’11 settembre gli eserciti popolari di liberazione e gli oppositori
sono considerati terroristi da eliminare. Asservita a questi scopi la magistratura ed il
Parlamentocolombiano – mai interpellato- , con esplicita repressione interna antisociale.
In questo momento la Colombia ha il peggior trattamento in materia di diritti umani nell’emisfero
occidentale, ed è il Paese che riceve il maggiore aiuto USA (Chomsky).Un aiuto USA che si dirige
in preferenza verso Governi più repressivi dei diritti umani, come la storia dimostra.
Il plan Colombia è un piano colonialista di guerra al quale occorre opporre un piano di pace,
sradicando tutte le cause di ingiustizia, povertà, sfruttamento, corruzione tipiche del
neoliberalismo.
I consumatori di droga (235 ml) stanno in maggioranza in Nord America ed Europa. I beneficiari
del traffico di droga sono le imprese chimiche transnazionali (permanganato di potassio) e le
Banche che riciclano il danaro.
Il proibizionismo fa solo aumentare i costi della droga, serve una politica opposta, ma essa è
impedita dalle logiche stesse del sistema imperialista.
I consumatori di droga sono il prodotto e le vittime dei disvalori, della propaganda consumistica ed
individualistica del sistema dominate : esso suscita aspirazioni che non può soddisfare, quindi
frustrazione di massa e tossicodipendenza diffusa.
La droga è una fuga, ma anche una denuncia contro l’assurdità e la barbarie dell’imperialismo.
Perciò lottare contro il plan Colombia significa lottare contro il neoliberalismo, ripensando alla
radice l’analisi del narcotraffico e dei suoi gestori interessati(capitalisti non produttori alla fame).
Solo sconfiggendo l’imperialismo e liberando la autodeterminazione dei popoli oppressi ed indigeni
è possibile sanare la situazione colombiana (e di altri Paesi latino-americani e del mondo).
Cap.4-I popoli indigeni nuovi soggetti storici: il loro contributo alla ricerca di un’alternativa
di civiltà (pag. 154 -174)
Nel suo libro del 1994 “ Gli esclusi costruiranno la nuova storia ?” Girardi poneva un interrogativo
al quale gli eventi successivi sembrano dare una risposta positiva.La stessa CIA conferma che i
popoli indigeni sono una minaccia reale per il futuro del nuovo ordine imperiale (www.cia.gov/cia).
Perciò la ricerca filosofica e teologica dell’autore si iscrive all’interno di questa mobilitazione
popolare per una alternativa di civiltà. Possono offrirci indicazioni questi popoli nella ricerca di
alternativa al modello neoliberale ? Si, a condizione di definire alcune scelte di metodo (pag161) e
verificare alcune piste di ricerca. Nel metodo:
-privilegiare i settori coscientizzati, interpreti delle esigenze e delle aspirazioni generali. Esempi:
zapatisti in Messico, Conaie in Ecuador. Cioè i gruppi che si pongono in alternativa, non quelli che
tendono ad integrarsi nel sistema.
La mobilitazione indigena, negra e popolare del 1992 rappresenta per l’autore un evento storico ed
una rivoluzione culturale ben superiore che queoo degli anni ‘68-69 e 1989 in Europa. Quindi il
nuovo ordine unipolare annuncia un terzo millennio in continuità con i primi due. Al contrario,la
mobilitazione indigena rappresenta una inversione di tendenza, segnata dalla autodeterminazione
dei popoli indigeni. Il XXI secolo sarà indigeno, dice Rigoberta Menchù.Il principio ispiratore di tale
mobilitazione è appunto il diritto alla autodeterminazione solidale dei popoli oppressi.
Riconoscere i popoli oppressi come soggetti di alternativa è una scelta di campo politica e morale.
La provocazione indigena contiene aspetti culturali, economici, politici e teologici (Cap.10).
E’ anzitutto rivoluzione culturale: significa riconoscere la loro superiorità storica e sociale sul punto
di vista della borghesia capitalista transnazionale.Una superiorità che significa rottura e liberazione
dalla dipendenza intellettuale e morale che contraddistingue gli intellettuali e le masse privilegiate
del capitalismo , che suscita un moto di ribellione e di rivendicazione del diritto all’autonomia
intellettuale
e
morale,
cioè
all’identità
(mi
ribello
,dunque
sono).
La violenza dominatrice della borghesia transnazionale ha bisogno della menzogna (dell’ipocrisia e
dell’inganno). Ad essa si contrappone la ricerca della verità e della luce da parte dei popoli
oppressi.
Di qui le diverse “commissioni di verità” in Guatemala, El Salvador, Colombia. Perciò per un
intellettuale occidentale assumere il punto di vista dei popoli oppressi implica una svolta culturale.
La cultura indigena e negra critica la laicità, intesa come negazione di Dio nella vita e nella storia di
un popolo (pag.170); rifiuta l’economicismo, in particolare neoliberale.Rifiuta l’unità sociale e
mondiale, concepita come omologazione subalterna (indigeni primitivi ed arretrati); rifiuta
l’antropocentrismo individualista ed escludente. Denuncia la violenza ed i genocidi della civiltà
occidentale, in nome della forza del diritto, della verità, della solidarietà, della fede religiosa.
Contesta i miti occidentali del “progresso” e della “modernizzazione”.Per loro progresso significa
riaffermazione della loro identità schiacciata e del loro diritto all’autodeterminazione.Un progresso
che scaturisce da una stretta correlazione tra coscientizzazione etico-politica, capacità tecnologica
e capacità di direzione. La modernizzazione che vuole cancellare i loro valori e tradizioni viene
respinta . Essi vogliono assumere autonomamente gli apporti culturali e tecnici della modernità in
una sintesi feconda con le loro tradizioni.
Il diritto di autodeterminazione solidale dei popoli oppressi comporta una concezione alternativa
delle risorse naturali (suolo, acqua, energia) e delle forme statuali dominanti (centralistiche e non
partecipative, monoculturali , monoetniche e monoreligiose).Quindi no ad una democrazia
puramente “rappresentativa”estranea al potere popolare. No ad uno Stato colonizzato e
dipendente, Si ad uno Stato sovrano rispetto all’imperialismo (USA in primo luogo).
La scelta di sovranità dello Stato è anche una scelta economica ed ecologica fondamentale. La
sollevazione zapatista- 1 gennaio 1994- coincide con l’ingresso del Messico nel club dei ricchi,
cioè con una sentenza di morte per i poveri: Di qui la proprietà comunitaria della terra, dell’aria e
dell’acqua, come beni non sequestrabili, non alienabili, non prescrittibili(cioè non merci).
Valorizzazione dello sviluppo sostenibile e del potere popolare alternativo, a partire dal livello
locale. Popoli come custodi della natura e dei suoi diritti
Cap.5- L’insurrezione indigena nel Chiapas: ultima guerriglia del XX secolo o prima mobilitazione popolare del XXI secolo ? (pag. 175-206)
L’autore si interroga sul significato della insurrezione zapatista in Chiapas. A questo scopo
analizza i documenti e la storia dell’esercito zapatista a partire dalla sua nascita (1-1-1994).
Legge questa rivolta non come “una delle tante” ma come punta di un iceberg a più facce : la
mobilitazione degli indigeni e della popolazione messicana, quella della società civile mondiale, del
movimento dei movimenti (pag.178).
Ripercorrendo le origini, le tappe ed i documenti del movimento zapatista, l’autore analizza
l’originalità e la novità di questo movimento -radicalmente contrapposta all’ideologia noliberalerispetto ai partiti, alle forze rivoluzionarie (es.EPR) ed alla rivoluzioni di ispirazione marxista.
Descrive lo EZLN (esercito zapatista armato per esigenze di difesa) come braccio armato della
“società civile”, come parte di essa, mai avanguardia sovraordinata (come nel leninismo). Di qui la
formazione del “Fronte zapatista di liberazione nazionale” soggetto politico della società civile
organizzata per conseguire valori ed obiettivi comuni, sia locali che mondiali. Con questa società
civile e tramite il “Fronte”, l’EZLN di Marcos dialoga costantemente (dialoghi di San Andres) su un
programma “aperto” (non imposto nè predefinito da alcuno). Di qui la centralità di valori umani ed
ambientali universali che saldano una “unità nella diversità “ di persone diverse (per status, per
sesso, religione, razza,ecc.), espressione delle comunità indigene e della loro storia.
Proprio il connubio della organizzazione politico-militare urbana di matrice marxista con le
comunità indigene ha prodotto una trasformazione della natura “guerrigliera tradizionale”(pag.191),
arricchendone i contenuti, i metodi di lotta, la strategia di lotta. Una lotta che non mira- come quella
marxista tradizionale-alla “presa del potere in modo violento da parte di una avanguardia – che poi
trasferisce questa violenza alla nuova società (URSS)- ma solo al potere popolare ed alla
transizione diretta alla democrazia popolare partecipativa. Una democrazia che rifondi, in
particolare, la Costituzione messicana, l’uomo e la donna nuova, che consegni il potere
all’esercizio del popolo.
Di qui le parole d’ordine “procedere domandando”, “comandare-obbedendo”, “per tutti tutto, per noi
niente” che caratterizzano il metodo politico e la strategia zapatista.
Di qui la stretta connessione tra la strategia zapatista e l‘obiettivo universale del diritto alla
solidarietà solidale dei popoli indigeni (oppressi), asse portante del libro.
Quindi il movimento zapatista come parte ed innesco di un nuovo internazionalismo, insieme
solidale e liberatore,ripreso ed evidenziato dal popolo di Seattle e Porto Alegre.Di qui la esigenzasegnalata anche da Marcos- di una rete intercontinentale di resistenza e di comunicazione, che
produca un impatto significativo sulla politica mondiale.
Cap.6- Il diritto di autodeterminazione dei popoli oppressi principio ispiratore della mobilitazione zapatista (pag.207-226)
L’autore sostiene qui che il diritto di autodeterminazione dei popoli oppressi è il principio ispiratore
della rivoluzione zapatista: a riprova di ciò analizza in modo approfondito la evoluzione ed i
documenti del movimento zapatista fin dalla sua nascita (1/94). Alla definizione di questo diritto
l’EZLN porta un contributo decisivo ed originale che va oltre la realtà indigena e messicana.
Partendo dalla Costituzione messicana –“ogni potere pubblico emana dal popolo ed è istituito al
servizio di esso.Il popolo ha, in qualunque momento il diritto inalienabile di cambiare la forma del
suo governo”- l’EZLN valuta che il potere del popolo è stato usurpato dal partito-Stato alleato con i
poteri economici nazionali ed internazionali. Perciò rivendica- mediante il diritto alla autodeterminazione dei popoli oppressi- una radicale trasformazione dello Stato in tutte le sue articolazioni:
dalla comunità, ai municipi, alle Regioni. Quindi un governo di transizione che riscriva e realizzi
l’organizzazione dello Stato sui presupposti costituzionali zapatisti. Perciò una lotta per la
democrazia politica di uno Stato multietnico e multiculturale in cui la democrazia diretta (dal basso)
si armonizzi con quella delegata. Perciò rottura del centralismo- presidenzialismo attuale, a favore
di un decentramento che consenta l’autogoverno politico, economico e culturale delle comunità
indigene e del popolo messicano. Perciò autonomia politica che comporta garanzie di giustizia per
gl indigeni, proprietà della terra e delle risorse vitali, accesso ai mezzi di comunicazione,
promozione e sviluppo della cultura indigena, controllo popolare degli amministratori-eletti con
potere di revoca dal basso, amministrazione delle leggi e dei processi educativi, tutela dei valori di
genere, religiosi ed ecclesiali (pag.211).
Un tale assetto è impedito alle radici dal neoliberalismo occidentale e dai suoi trattati commerciali.
Esso nega alla radice e con la forza il diritto alla IDENTITA’ dei popoli oppressi come dei singoli
individui : perciò la violazione del diritto alla autodeterminazione si configura come delitto di
GENOCIDIO (pag.213) contro i popoli, o come guerra all’umanità (una guerra mondiale non
dichiarata). Di qui la difficoltà nel dichiarare “terroristi” quelli che combattono- anche con le armicontro i delitti del neoliberalismo. Perciò il diritto alla autodeterminazione diventa una scelta, non
solo politica, ma etica e spirituale, anche femminista (legge rivoluzionaria delle donne dell’ 8 marzo
1973) e cristiana (nel senso della teologia e della spiritualità della liberazione, contrapposta alla
barbara conquista evangelica del cristianesimo dominante).
A questo punto (pag.222) l’autore esprime una sua perplessità: cioè che l’autonomia politica
“rischia di rimanere puramente formale se non diventa anche in qualche misura economica ed
ecologica”.Dice che “il movimento zapatista non ha ancora posto al centro dell’attenzione questo
problema cruciale, che sembra forse prematuro” puntando , come primo passo di partenza, asl
riconoscimento formale del diritto di autodeterminazione da parte dello Stato messicano.
Qui il ruolo che la ricerca internazionalista anticapitalista può offrire all’EZLN.
Nelle conclusioni Girardi. Specifica il significato che gli zapatisti danno al diritto alla
autodeterminazione dei popoli oppressi, perno della loro mobilitazione, in particolare :
critica all’avanguardismo ed al militarismo, spiritualità della liberazione, rete intercontinentale di
resistenza e comunicazione (internazionale della speranza).
L’autore si chiede “in Italia ed in Europa questo diritto e quindi la difesa della sovranità nazionale
può diventare una forza mobilitante e quindi trasformatrice ?”.
Cap.7 Per il coprotagonismo delle donne nella costruzione di un’alternativa di civiltà e di
Chiesa (pag. 227-250)
Dopo aver detto dell’evoluzione nella concezione del soggetto (meglio dei soggetti) di alternativa al
capitalismo (dal proletario marxista ai soggetti plurali di oggi), l’autore discute del ruolo liberatore
che il movimento delle donne coscienti e critiche esplica sia rispetto al neoliberalismo che al
potere ecclesiale cristiano e cattolico. Entrambi questi poteri- negando l’apporto fecondo del valore
storico della donna sono intrisi di autoritarismo, maschilismo, violenza, dipendenza indotta.
In realtà decisivo è il contributo educativo e formativo delle donne nella formazione dell’”uomo
nuovo” necessario all’umanità liberata dalla dominazione neoliberale e clericale.
Anche qui il punto di vista delle oppresse , tra gli oppressi, è decisivo ed illuminante.Per favorire
l’emergenza del punto di vita di genere le donne valorizzano ricerche partecipative di sole donne
mediante i “gruppi di autocoscienza”.Il Genere non è solo una categoria biologica, ma sociale,
politica e culturale (pag.231) che contiene rapporti di dipendenza generali e specifici (uomodonna).
I punti di vista di classe (marxismo) e di genere non sono opposti, ma complementari.
Nel sistema neoliberale la donna soffre l’oppressione politica, culturale, sociale, religiosa ed
educativa in modo ancora più marcato per effetto dell’oppressione di genere.Sono gli uomini i
principali responsabili di questa situazione, mediante il crimine originario dell’emarginazione delle
donne dal potere nella società e nella chiesa. Le donne apportano al diritto alla
autodeterminazione il loro specifico: no al patriarcato, solidarietà umana ed ambientale
(ecofemminismo). Uno specifico che deriva loro dalla maternità e dal loro rapporto con la natura e
l’ambiente.
Esempio delle madri di plaza de Mayo e della loro fedeltà agli ideali universali dei figli scomparsi.
Perciò le donne possono avviare un processo di educazione liberatrice nelle famiglie e nella
società.
E tuttavia questo non e’ scontato perché nelle società odierne l’educazione dei genitori è di solito e
autoritaria ed omologante: educa più alla dipendenza assistenziale che alla liberazione, anche
quando si presenta come amore familiare. Quindi è anche repressione dell’identità e
dell’autonomia creatrice dei figli (es. il battesimo cattolico).Perciò il punto di partenza dell’impegno
liberatore della donna è la presa di coscienza della sua dipendenza (in negativo) e del suo ruolo
liberatorio (in positivo) rispetto ai disvalori ed alla prassi del neoliberalismo, con la strategia della
non violenza.
Ma l’oppressione e la liberazione della donna riguardano direttamente la dominazione cattolica ed
ecclesiastica, come si è venuta configurando nei secoli, mediante una lettura
preconcetta,oligarchica e dogmatica del Vecchio e del Nuovo Testamento, cioè un travisamento
del messaggio di Gesù e del suo rapporto con la donna (che non lo abbandonano sulla croce,
come fanno gli apostoli uomini).
Analogie si hanno con altre religioni monoteiste: di qui la necessità di riflettere sul nesso tra
monoteismo,autoritarismo e maschilismo delle società e della Chiesa cattolica romana. Ma anche
sulla convergenza storica tra potere ecclesiale e poteri temporali (autoritari e repressivi).
Perciò la scelta delle donne oppresse significa riconoscerle come soggetti nella riscoperta della
identità cristiana tradita, come istanza critica della Chiesa, della teologia e della bibbia.
Gli oggetti della contestazione femminile sono tre: educazione autoritaria, alleanza con poteri
oppressori e autoritarismo interno all’apparato ecclesiastico.
Il cristianesimo – sostiene l’autore- non ha cambiato l’impero romano; al contrario si è convertito
all’impero. Così non ha cambiato il mondo, perché questo ha cambiato il cristianesimo (pag.243).
Esso non ha contestato le relazioni di dominio, ma le ha sacralizzate e giustificate. In particolare, il
clericalismo riconosce il clero (maschile) come casta sacra, depositaria esclusiva dell’autorità
divina.
I fondamenti biblici dell’autoritarismo cattolico stanno nell’aver evidenziato e seguito in modo
acritico ed assoluto apostoli come Paolo (citazioni a pag. 244) e Pietro.
Ma un’altra lettura selettiva e propria della Bibbia è possibile e necessaria: essa porta alla teologia
della liberazione ed alla rivalutazione del punto di vista degli oppressi e delle oppresse.
Le comunità cristiane di base vedono la bibbia come “parola umana ispirata da Dio”, quindi una
parola che riflette la fede dei credenti nella loro ricerca di Dio. Una ricerca esposta perciò all’errore
ed alla deviazione. Quindi la sua lettura può (deve) essere critica e selettiva.
Nella struttura ecclesiastica cattolica e nella sua storia noi troviamo le radici e le prove del suo
maschilismo esasperato (sacerdozio, privilegi maschilisti, violenza dell’Inquisizione, caccia alle
streghe donne,ecc.).A livello teologico vi è la maschilizzazione di Dio, mentre nella Bibbia una
serie di episodi suggellano la inferiorità e la dipendenza femminile dal maschio padrone.
Gli apostoli Paolo e Pietro rafforzano queste tesi maschiliste interessate.
Quindi il punto di vista femminile con i suoi valori universali implica anche il loro riconoscimento
all’interno della Chiesa cattolica e delle società neoliberali. Si tratta anche di un arricchimento della
teologia della liberazione e della sua crescente creatività.
E’ il passaggio della scoperta del volto femminile di Dio, da Signore onnipotente ad Amore liberato
universale. “In una epoca tanto conflittuale,l’esperienza vivificante dell’unità intima ed amorosa tra
tutte le persone umane, tra umanità e natura, tra cosmo e Dio” (pag. 250 ).
Cap.8 Educazione popolare liberatrice di civiltà (pag.251-268)
Dopo aver ricordato e ringraziato il suo maestro di “educazione popolare liberatrice “, Paulo Freire,
l’autore si chiede se la lezione di Freire e l’educazione liberatrice sono ancora attuali e validi oggi,
dopo la crisi del marxismo, delle rivoluzioni antimperialiste e popolari (come quella sandinista in
Nicaragua). Se si accetta l’impostazione del “pensiero unico” per la quale qualsiasi alternativa al
“neoliberismo” è impossibile, perdente e dannosa, viene meno ogni possibilità rivoluzionaria e
trasformatrice, quindi l’educazione popolare liberatrice produce solo frustrati, illusi, delusi o vittime
di repressione ed emarginazione. Di qui la scelta di campo della sinistra partitica maggioritaria che,
abbandonando e rinnegando i valori e gli obiettivi per cui è nata, si adegua o si identifica con il
mondo imperialista, tentando, al massimo, di mitigarne i disastri sociali ed umani.
Ma per Girardi la crisi della strategia della sinistra e del marxismo nel conquistare il potere e
mantenerlo (perso in Nicaragua mediante elezioni in un Paese con l’80% di poveri), non significa
anche la fine del ruolo decisivo della “educazione liberatrice”,intesa come metodologia alternativa,
praticabile da tutti coloro che esercitano di fatto una funzione educativa: genitori, responsabili
politici e sindacali,sacerdoti,intellettuali, artisti, operatori sanitari e mediatici.
Infatti l’educazione popolare liberatrice ha il compito di formare l’uomo e la donna nuovi che
rendono possibile e duratura l’alternativa di civiltà necessaria, con o senza la presa del potere
diretta.
Cita l’esperienza alfabetizzatrice sandinista- affidata allo stesso Freire- che pure non è riuscita, per
motivi oggettivi e soggettivi, ad assolvere e completare il suo ruolo liberatorio.
La educazione popolare liberatrice ha successo quando i soggetti da essa formati rimangono fedeli
alle loro idee e scelte, sia nell’esercizio del potere che nel momento della repressione e della
sconfitta. Rappresenta quindi la conquista della fiducia e nella speranza di un mondo nuovo
possibile, a prescindere dagli esiti elettorali di breve periodo.
L’educazione popolare liberatrice fa giustizia del marxismo dogmatico, economicista, autoritario,
del militarismo e dell’avanguardismo, non del marxismo umanista,libertario, critico,euristico.
Essa rappresenta l’audacia di credere nell’alternativa (sia pure non nel breve periodo) e cioè di
camminare in direzione dell’alternativa (pag.260) e di incerare un processo per il diritto alla
autodeterminazione solidale dei popoli oppressi.
L’alternativa sarà possibile solo se esistono persone capaci di immaginarla e praticarla.
Nella dialettica della psicologia umana, ciò significa la vittoria dei valori sui disvalori (generositàegoismo,libertà-servilismo, verità-menzogna).
L’autore definisce così una filosofia popolare della liberazione, come una ricerca individuale e
collettiva del senso della vita e della storia, realizzata dal punto di vista degli oppressi, come un
processo di autoformazione della persona e del popolo. Rispetto a questa filosofia la educazione
popolare educatrice espliciterebbe la sua dimensione intellettuale, critica ed investigativa.
Perciò “educazione popolare liberatrice” come istanza critica del marxismo e della sinistra
rivoluzionaria, come riconoscimento dei popoli oppressi come soggetti, della promozione dello
sviluppo locale sostenibile, dell’autonomia intellettuale e morale delle persone, del valore non
violento di una nuova strategia rivoluzionaria.
Quindi il messaggio e l’insegnamento di Freire è non solo attuale, ma decisivo, per uscire da una
crisi delle speranze e delle pratiche rivoluzionarie di trasformazione.
Invece l’educazione popolare liberatrice valorizza e rilancia le lotte popolari, le testimonianze alte
(Che Guevara), la teologia della liberazione come il marxismo, su nuove basi più avanzate.
Cita infine Bakunin :” E’ cercando l’impossibile che, nel corso della storia, gli uomini sono venuti
scoprendo e realizzando il possibile. E tutti coloro che si sono accontentati saggiamente del
possibile, non hanno avanzato di un solo passo”.
Cap.9- Teologia della liberazione e costruzione della pace nel contesto geopolitico attuale:
tra monolitismo e pluralismo religioso (pag. 269-308)
La globalizzazione neoliberale si è rivelata come guerra economico-politica di conquista di una
minoranza privilegiata contro la grande maggioranza dell’umanità. Perciò la pace, non è solo la
fine della guerra, ma coincide con la questione dell’alternativa di civiltà : ciò richiede che siano
elimi- nate le cause che determinano le guerre, in primo luogo l’egemonismo delle grandi potenze.
Quindi non vi può essere pace senza la sovversione del disordine esistente. Quale ruolo possono
avere le religioni- e quella cattolica in particolare-in questo processo di sovversione ? Sono esse
fattori di guerra o di pace ? Sono fattore di guerra se prevale- come nella storia da Costantino in
poi- il monolitismo religioso della Chiesa che pretende di imporre la sua egemonia a tutti. Possono
essere fattore di liberazione e di ricerca della pace durevole, se prevale la teologia del pluralismo
religioso associata alla teologia della liberazione: due approcci , nati separati ed in tempi diversi,
ma che oggi si completano e si arricchiscono a vicenda. A questo proposito l’autore analizza il
fenomeno del “macroecumenismo popolare indo-afro-americano”, nato in alcuni Paesi dell’America
latina.
Di qui il ruolo centrale del “pluralismo religioso”, cioè del rapporto di ricerca paritario e fecondo tra
religioni diverse, intese come. come percorsi associati ai modi diversi con cui Dio si manifesta al
mondo (pag.292). Poichè questa ricerca-individuale e collettiva-è libera, non è basata su verità
assolute da imporre con la forza o con il ricatto(come pretende la Chiesa ufficiale).Anche la visione
laica ed atea rientrano nel “pluralismo religioso”, essendo basato sulla autodeterminazione
religiosa che non ammette “religioni superiori”, ma che invece comunica con tutti coloro –religiosi o
non –che sono parte attiva di questa ricerca permanente.
Perciò, non una dottrina o una ortodossia imposta da un potere sacralizzato, ma una ricerca libera.
Al contrario, il monolitismo cristiano-cattolico- riaffermato recentemente dalla “Congregazione per
la dottrina della fede” (dichiarazione Dominus Jesus dell’agosto 200° e del febbraio 2001)- è stato
ed è fonte di violenza, di guerre, di conquiste e di genocidi, al rimorchio o di intesa con i poteri
temporali forti della storia recente e passata. Un cristianesimo imperiale contro quello popolare che
è alimento e copertura dell’imperialismo e delle sue guerre permanenti.
L’autore auspica che il movimento macroecumenico indo-afro-americano, sorto ufficialmente a
Quito (Ecuador) nel settembre 1992 come “assemblea del popolo di Dio”, possa diffondersi anche
in Europa ed in Italia, insieme al suo impegno liberatorio antimperialista. Tale ecumenismocontrastato dalla Chiesa ufficiale- è popolare, liberatore, fecondo per tutte le persone impegnate e
le religioni non cristiane. E’ per ora minoritario, ma decisivo anche per la teologia della pace.
------------Allegato : globalizzazione neoliberale e globalizzazione cattolica nel contesto della guerra
dell’Occidente contro il terrorismo islamico.
Questo allegato contiene una analisi ed una critica radicale del documento “Dominus Jesus”
emanato il 6 agosto 2000 dalla Congregazione per la dottrina della fede (Vaticano).
Alla teologia ufficiale- egemonica ed assoluta- del potere Vaticano e delle sue interpretazioni
religiose e bibliche (eurocentriche ed ecclesiocentriche) contrappone le teorie del pluralismo
religioso e del Dio amore liberatore, proprie della teologia della liberazione e dei cristiani ecumenici
dialoganti con i “non cristiani”di tutte le religioni.
Una critica radicale dell’intolleranza religiosa del Vaticano di Roma che si affianca- come già nel
passato all’integralismo delle conquiste occidentali (crociate, occupazione delle Americhe,ecc.)
passate e presenti (del neoliberalismo).Una Chiesa cattolica depositaria della verità assoluta e
definitiva in materia di fede, di Dio e di Gesù : una verità superiore ed unica che va imposta ed
esportata in ogni parte del mondo, contro limiti ed errori “ fuorvianti” di ogni altra religione.
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Cap.10 –Il cristianesimo popolare liberatore di fronte alla crisi della speranza storica dei
poveri (pag.309-332).
E’ morta la teologia della liberazione, si chiede l’autore ? Certo anche questa teologia è investita
dalla attuale crisi della speranza di liberazione e di cambiamento.Da un lato ci sono i suoi
detrattori- interessati, come l’attuale Papa Giovanni Paolo II^ che nella sua visita In Nicaragua
(post-sandinista) ha decretato la morte del marxismo e della teologia della liberazione (equiparati).
Dall’altro ci sono coloro che , nel nome di questa teologia hanno lottato e lottano (anche sconfitti).
E’ la teologia popolare (cristiana)della liberazione contrapposta a quella della cristianità (papale).
Il cattolicesimo papalino è imperiale ed a dogma unico (come quello neoliberale): esso deriva dal
patto costantiniano (alleanza della Chiesa con l’impero romano tradendo i suoi presupposti).
Protagonista non è più la comunità solidale ,ma una gerarchia monarchica assoluta.
L’obiettivo non è più una nuova civiltà ispirata all’amore liberatore, ma la egemonia ecclesiale.
Gesù il sovversivo giustiziato, diventa Cristo Re, capo politico-militare dell’impero cristiano.
Dio stesso da Amore liberatore diventa Padrone onnipotente, garante del potere imperiale. La
croce da segno di infamia a segno di potere e vittoria.La violenza bandita ritorna per
evangelizzare.
Di qui genocidi (conquista dell’America), supplizi (Bruno e Savonarola), roghi alle streghe. Infine
complicità con il potere temporale imperiale e scelta dei carnefici, invece che delle vittime. Perciò
la speranza liberatrice risiede oggi nella teologia della liberazione e nel cristianesimo popolare
liberatore. Entrambi riportano il cristianesimo alle sue origini vere (distorte da storie interessate
come quella di Eusebio di Cesarea, teologo di Costantino).Le fonti che alimentano oggi la teologia
della liberazione sono molte :la fede liberatoria dei popoli oppressi,la mobilitazione indigena e
popolare,il movimento femminista ed ecologista, il movimento contadino (Sem terra), i movimenti
giovanili più recenti, i movimenti negri e quelli macroecumenici (già citati). I teologi della liberazione
possono oggi imparare molto da tutte queste fonti (minoranze coscienti). Rivendicando la
rivalutazione delle loro culture e religioni, i popoli indigeni affermano il diritto alla
autodeterminazione religiosa e culturale delle loro origini e delle loro identità distrutte. Un progetto
di confronto tra teologia india e negra (sincretismo come valore, non confusione) vive nella Chiesa
locale di S. Cristobal de las Casas in Messico
E’ la morte di Gesù lo spartiacque del tradimento religioso compiuto dalla Chiesa cattolica romana.
Breve commento personale al testo di Giulio Girardi
Lo sforzo e l’ambizione di poter sintetizzare in 10 pagine un testo di 332 pagine a stampa rischiano
di “compromettere” la vastità, lo spessore ed il grande valore dei concetti che questo libro
contiene. E tuttavia, una sintesi, pur così compressa, può stimolare molti altri a leggerlo per
confrontarsi attivamente con la sollecitazione feconda che l’autore propone.
Il libro è anzitutto una critica radicale e definitiva del “pensiero unico” , delle pratiche del
“neoliberismo”- con particolare riferimento all’attualità politica (guerre di aggressione , menzogne e
terrorismi praticati o indotti dai dominatori)- e della teologia cattolica romanocentrica.
Anche un invito ad avere fiducia che il nuovo mondo necessario è possibile :
- nonostante la prepotenza ed il dominio schiacciante del “neoliberismo militarizzato” padrone
delle armi, dei capitali, dei mass-media , con la complicità del “cristianesimo imperiale”.
La critica di questi due poteri imperiali è netta, radicale e senza speranze di correzioni “interne”.
-nonostante la crisi della “sinistra rivoluzionaria”, del marxismo,della teologia della liberazione e
delle rivoluzioni popolari ed anticolonialiste del secolo scorso. Una crisi che ha spinto molti
responsabili e molti militanti a rassegnarsi ed a convivere con il “neoliberismo” e le sue barbarie.
Questa possibilità- non immediata per l’autore- è condizionata al recupero di nuovi valori di civiltà.
Alla luce di quanto è accaduto e sta accadendo in America Latina (dal 1992) e nel mondo, il
riscatto e la liberazione dei popoli passa attraverso un nuovo internazionalismo che assuma come
asse centrale il “diritto alla autodeterminazione solidale dei popoli oppressi (indigeni e negri in
particolare), applicato ai temi della vita ,della politica, della cultura, dell’educazione (popolare
liberatrice), della società, della rappresentanza e della religione (pluralismo popolare religioso
come ricerca-individuale e collettiva- liberatoria che includa anche la cultura laica ed atea)).
Quindi una valorizzazione delle culture indigene e degli emarginati – di fatto più evolute- per un
recupero di civiltà basato sulla conquista e sulla pratica di valori universali, religiosi e laici.
In questo senso le rivolte indigene contro le celebrazioni per i 500 anni della cosiddetta “scoperta
dell’America”, la rivolta zapatista in Messico e quella del “popolo di Seattle”, offrono nuova linfa al
percorso di liberazione, sia nel metodo (anti-verticistico, non violento, pluralistico ed antidogmatico) che nel merito (globalizzazione plurale dal basso, gestione diretta delle decisioni e
delle risorse a partire da quelle locali, consenso cosciente, educazione popolare liberatrice).
I popoli indigeni come nuovi soggetti storici di resistenza e alternativa al neoliberismo: la rivolta
indigena in Chiapas come prima mobilitazione popolare del XXI secolo. Queste acquisizioni
teoriche e pratiche offrono- per l’autore -nuove occasioni di riflessione critica e di arricchimento,
sia alla teologia della liberazione che al marxismo (non dogmatico), tuttora attuali. La questione
femminile e quella ecologica è parte integrante di questa ricerca popolare liberatrice, già avviata.
Pur partendo da altri fondamenti politici e culturali- laici e marxisti- mi sento parte ed “in sintonia”
con le aspirazioni e le finalità di Giulio Girardi. A questa ricerca “antimperialista” di civiltà tento di
portare il mio contributo teorico e pratico, in particolare sui temi dei processi di conoscenza,
formazione,informazione e comunicazione e sui temi della rappresentanza politica e sindacale.
Credo, con Girardi, che un mondo nuovo sarà conquistato e preservato solo da uomini e donne
“nuove” e coscienti,su un progetto di “nuova società “ mondiale, da costruire collettivamente.
Ma questa costruzione richiede, non solo nuove idealità e coraggio, ma la soluzione di nodi storici
e strutturali del capitalismo-imperialismo e delle religioni con esso complici: i rapporti di potere; il
controllo popolare delle risorse nazionali ed internazionali, dei mass-media, della scuola e della
rappresentanza;le forme della produzione-distribuzione di merci e servizi a scala mondiale e nazionale, il rapporto pubblico- privato, Stato-Chiesa, economia-lavoro, società- ambiente, uomo-donna.
Le esperienze socialiste passate e presenti- basate sulla teoria marxista, esiziale per il capitalismo
di tutte le epoche- hanno indicato e praticato strade “sconosciute” al capitalismo ottenendo risultati
positivi (anche limitati o instabili), non solo all’interno dei propri confini, ma per altri popoli che, o
hanno raggiunto il socialismo (Cina, Cuba, Vietnam, Cile,Corea del Nord) o si solo liberati dal
colonialismo capitalista “prima maniera”. Altri popoli- come quelli in Europa ed in Italia – hanno
conquistato diritti sociali “insperati”, anche grazie alla vittoria dell’URSS sul nazismo ed alla sua
influenza “antimperialista”, non solo in Europa. Il fatto che dopo il crollo dell’URSS –non del
marxismo scientifico- per cause interne ed esterne (azione congiunta della grandi potenze
imperialiste) queste conquiste storiche vengano attaccate e distrutte ovunque, è la controprova del
ruolo positivo che- con tutti i suoi limiti- il socialismo sovietico ha avuto in Europa e nel mondo.
Perciò il bilancio storico di tutte le esperienze “socialiste” va fatto con equilibrio e rigore, allo scopo
di adeguare la teoria marxista (che non è né dogma né programma politico) ed il socialismo
marxista- alla fase attuale dell’imperialismo “militarizzato” e menzognero.
Ciò è assolutamente decisivo per almeno due buoni motivi:
a)- solo la teoria marxista ha influenzato rivoluzioni antimperialiste vittoriose. Gandhi non ha sconfitto da solo il colonialismo inglese, né l’India ha avuto mai un regime“socialista”o “popolare”.
Si possono ovviamente assumere altri riferimenti ,ma a condizione che essi siano poi vincenti.
La stessa teologia della liberazione è fortemente collegata con il marxismo ed i marxisti. Perciò
l’imperialismo laico e papalino reprimono soprattutto dove c’è “puzza “di socialismo marxista.
b)- il marxismo scientifico- come specifica teoria anticapitalista- richiede ed implica che le esperienze anticapitalistiche- passate, presenti e future- siano analizzate criticamente al fine di rendere sempre più efficace la teoria e la prassi rivoluzionaria marxista. E’ quello che il marxismo
ha fatto fin dalla sua nascita, nelle diverse realtà in cui opera (da Governo e/o da
opposizione).
Assumere - come io ho già fatto nei miei scritti fin dal 1991- che la contraddizione principale
dell’imperialismo attuale sia quella tra proprietà privata (oligopolistica) dei MEZZI (Capitali,
risorse, armi, mass-media, leggi , politica, giustizia) e DIRITTI elementari dei popoli (cibo,
acqua, pace, giustizia, sanità, informazione, lavoro, dignità), significa solo applicare il principio
di quantità-qualità del marxismo: infatti la contraddizione principale (marxiana) CapitaleLavoro si è estesa, trasformandosi in quella sopra definita.. Di qui le conseguenze “globali”
che viviamo oggi: troppi ancora non le vedono o non vogliono vederle (opportunismo miope).
Né la contrazione Capitale-lavoro è scomparsa, come dimostra il caso Fiat in Italia o la vittoria
di Lula in Brasile (con il partito dei lavoratori). Proletari sono quelli che non posseggono
altro che la loro prole: non è così per i popoli indigeni e per tutti gli sfruttati del mondo ?
La questione della VIOLENZA è stata indagata a lungo, da marxisti e non marxisti. Nessun
rivoluzionario- anche Che Guevara e Marcos- usa le armi per “vocazione”. Vi è costretto per
difendersi dalla violenza “spropositata e massacrante” della repressione imperialista : i casi sono
talmente tanti e noti che non vale la pena richiamarli. Sono gli oppressori- minoranza che
impongono la via armata, per uccidere i dissidenti e per ridurne i sostenitori attivi.
Ma la via armata non riguarda solo la fase rivoluzionaria di “presa del potere”. La storia ci ha
insegnato- e sempre di più ci insegna- che ogni rivoluzione popolare “riuscita” va difesa, anche con
le armi, sia dalle “ingerenze esterne” che da quelle interne (i ceti dominanti sconfitti): l’ultimo caso
è quello di Chavez in Venezuela- presidente eletto- ma sgradito ai governanti USA-CIA ed ai loro
servi locali. Dove questa difesa è stata inadeguata o sottovalutata- come nel Cile di Allende- è
prevalsa la restaurazione imperialista e fascista, con milioni di vittime civili.
Anche il rapporto avanguardia-masse è stato indagato e valutato nelle rivoluzioni marxiste e
popolari del secolo scorso : la scelta dei Soviet in URSS, delle Comuni popolari in Cina, dei
consigli popolari rivoluzionari in Libia, sono tentativi- più o meno riusciti-di trovare soluzioni.
Sono soluzioni errate o superate, oppure sono state tradite per cause oggettive e soggettive ?
Se la storia della Chiesa cattolica è storia di “tradimento” fin dalla morte di Gesù, è comprensibile
che deviazioni e tradimenti possano determinarsi anche in contesti laici, peraltro “inesplorati”.
Lo stesso Girardi dice di riferirsi- come è inevitabile- alle avanguardie coscienti dei popoli oppressi:
infatti la condizione oggettiva di oppressione non è, di per sé , coscienza e lotta liberatrice.
Sono i mass-media borghesi –più che i popoli oppressi- a creare i leader “rivoluzionari”, come
accade tuttora (Marcos, Fidel Castro,ecc.).Ma più che inveire sul tradimento delle “avanguardie”sempre possibile- conviene trovare soluzioni strutturali per impedirne le deviazioni.
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