www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 24 Ottobre 2016 Deludente messa in scena del capolavoro verdiano nel Teatro di Pisa a parte l'eponimo... Bologna salva il Rigoletto servizio di Simone Tomei PISA - Con il Rigoletto di Giuseppe Verdi ha preso avvio la stagione lirica 2016-2017 del Teatro Verdi di Pisa. Una delle opere più popolari del Cigno di Busseto ed al contempo una delle opere più inflazionate che se da una parte richiede originalità registica, dall’altra necessità di non andare troppo sopra le righe mantenendosi in un’alea di fedeltà al libretto ed alla drammaturgia. Il lavoro verdiano in scena a Pisa, riproposto dal regista Federico Bertolani, ha lasciato un po‘ il tempo che ha trovato; parlando con alcuni addetti ai lavori, ho trovato ottima la definizione di "regia alla vigile urbano"; la scenografia di Giulio Magnetto faceva dominare il tutto dalla solita scatola dalla quale si aprivano alcune porte e nella quale scorrevano dei pannelli per andare via via a delineare gli spazi scenici richiesti dalla drammaturgia; colori molto cupi, un lampadario sullo sfondo simbolo della sala festante, costumi a cura di Mirella Magagnini piuttosto a-temporali e molto anonimi che non riuscivano a far risaltare nessun personaggio; la purezza bianca di Gilda, un cappotto a detective anni ’80 del Novecento di Rigoletto, il solito cappotto Matrix di pelle per Sparafucile e poco altro; tutto abbastanza insignificante e privo di emozione, che se da un lato non è riuscito a coinvolgere pienamente lo spettatore nel mondo mantovano del dramma, dall’altro non ha nemmeno più di tanto affossato l’opera nel ridicolo o ancor peggio nel mancato totale rispetto; una rappresentazione che non sarei portato sicuramente a rivedere e di cui presto probabilmente mi dimenticherò, ma meno peggio di molto altro che ho visto recemente; anche l’ars scenica dei cantanti non ha beneficiato appieno dell’idea registica e le poche movenze un po’ più azzardate si sono viste nel terzo atto, nella scena a casa di Sparafucile, ma qui ne ha perso in misura molto forte la vocalità. Ho ascoltato per la prima volta il baritono Sergio Bologna nel ruolo eponimo e sono rimasto piacevolmente colpito dal suo approccio al personaggio; è stato un Rigoletto tutto sommato, mai sopra le righe, e al contempo incisivo e maturo vocalmente, facendo emergere una grande introspezione degli stati d’animo e delle emozioni che si sono trasferite sulle sue corde vocali con un’emissione molto varia come vari sono i momenti emozionali che attraversa il personaggio durante il dipanarsi della vicenda; dai momenti più burleschi e canzonatori della prima parte del primo atto, a quelli amorevoli di padre per finire verso quelli veementi di Cortigiani vil razza dannata ; ha saputo trovare un buon equilibrio in tutte le situazioni con un’emissione ove necessaria molto fraseggiante e legata per poi virare su accenti più duri e più aspri con un’ottima proiezione e con una bella tenuta in acuto; una prova direi positiva che è riuscita a dare una boccata d’ossigeno in mezzo ad cast, in generale, piuttosto deludente. Il ruolo del Duca di Mantova è stato appannaggio del tenore Pablo Karaman; purtroppo la sua interpretazione sia vocale che scenica non è riuscita a delineare una figura tanto scaltra e tanto viscida come si conviene al personaggio; molto claudicante in acuto dove in più occasioni ha dimostrato forti difficoltà nel reggere una tessitura così impervia; laddove cercava di smorzare, il suono spesso si spezzava e l’effetto che ne veniva fuori non era dei più piacevoli; nonostante un timbro direi piuttosto piacevole, anche il fraseggio è stato alquanto frammentario ed anche negli assiemi ha messo in piazza numerose pecche di intonazione e di musicalità, sbagliando palesemente un attacco nel quartetto del terzo atto che per ben due pagine di musica si è persa la cognizione della melodia, ripresa alla bene meglio dal soprano che è riuscita di nuovo a rimettersi sui binari dello spartito per condurre in porto, una nave, mi si passi la metafora, che aveva palesi buchi nella plancia e imbarcava acqua da molte parti. Venera Protasova, nei panni di Gilda ha messo in campo una vocalità molto salda e sicura, musicalmente corretta, intonata con ottimi suoni in acuto e belle agilità; purtroppo questo da solo non basta; ci vuole anche interpretazione, ci vuole introspezione e immedesimazione nel personaggio; frasi come Gualtier Maldè e Tutte le feste al tempio - solo per fare un esempio - hanno intenzioni diverse, emozioni diverse, calore diverso, che nel canto della Protasova non sono assolutamente traspariti; la sua esecuzione è stata alla pari di un mero solfeggio cantato, anche se cantato musicalmente bene, ma a mio avviso, è mancata l’anima ed ho avuto quasi l’impressione che nemmeno si rendesse conto pienamente di cosa stesse interpretando. Nel ruolo di Sparafucile che già suscitava antipatia per il costume - il solito cappotto di pelle alle Matrix - il basso Francesco Palmieri; mi è piaciuto molto nella prima uscita duettante con Rigoletto dove ha messo in campo una bella vocalità elegiaca ed al contempo sadica, mai smisurata, ribaltando completamente la situazione nel terzo atto dove le sue numerose frasi musicali - tra l’altro di notevole bellezza - sono state appannaggio di un quasi parlato tendente allo sbraito senza tener conto che quelle parole avrebbero dovuto accompagnare delle note scritte su di uno sparito. Nemmeno la Maddalena di Sofia Janelidze è andata meglio dal punto di vista vocale ed interpretativo, per via di una voce poco fraseggiante e piuttosto ingolata. Completavano il cast la Giovanna di Elena Rosolin; il Monterone di Ivan Marino, il Marullo di Romano Franci, il Borsa di Luca Favaron, il Conte di Ceprano di Paolo Bergo, la Contessa di Ceprano di Simonetta Baldin, che ha ricoperto anche il ruolo del Paggio. Buono il Coro Live diretto da Flavia Bernardi mentre alla guida dell’Orchestra Filarmonia Veneta era la M° Gianna Fratta; l’approccio allo spartito è stato quasi completamente un appannaggio alla cura dell’aspetto “sinfonico”, curando molto meno della concertazione con i cantanti che ha fatto rilevare in diversi momenti dei palesi scollamenti con il palcoscenico sia nell’aria di tenore Questa o quella sia nel coro finale del primo atto, per non parlare poi del “disastro” già annunciato del quartetto; avrei piacere di riascoltarla, la Fratta, nella direzione di un brano prettamente sinfonico perché di lei ho potuto apprezzare un buon gesto ed una interessante personalità, ma l’opera è altra cosa rispetto alla sinfonia, e tutto questo non va dimenticato... ai posteri... Nonostante le numerose falle di uno spettacolo che non ha aperto egregiamente la stagione del Teatro di Pisa, il pubblico ha riversato numerosi applausi durante l’opera - addirittura anche alla fine del quartetto - e alla fine, ma il melomane è il melomane, il critico è il critico. Ad majora, con le prossime produzioni che speriamo abbiano un peso specifico maggiore di questo avvio piuttosto deludente. (Recita di domenica 16 ottob re 2016). Crediti fotografici: Massimo D'Amato per il Teatro di Pisa Nella miniatura in alto: la direttora Gianna Fratta