Il_caso_Sweet_Dreams

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Il caso Sweet Dreams
Il caso Sweet Dreams
1 Premessa
Sweet Dreams Ltd è una media azienda produttrice di dolci di alta qualità. È controllata e gestita dalla
famiglia dei proprietari, parzialmente sindacalizzata e localizzata nel Nord dell’Inghilterra. Negli ultimi
anni ha raggiunto posizioni di vantaggio competitivo nel segmento della pasticceria industriale.
Questo caso si riferisce ad un singolo reparto all’interno della fabbrica.
2 I presupposti
L’organizzazione del reparto
Il reparto in questione produce e confeziona 40 diverse linee di prodotto ed è stato organizzato in due
sale adiacenti separate da una parete divisoria. Nella prima sala, operai uomini producono i dolci,
mentre nell’altra le operaie li impacchettano. Approssimativamente nel reparto lavorano 35 addetti.
Ogni sala ha il suo supervisore responsabile verso il direttore di reparto che riferisce direttamente al
direttore di stabilimento.
A fronte di forti pressioni sul risultato i due supervisori esercitavano un rigido controllo sui processi di
produzione e di confezionamento, assegnavano i compiti agli addetti, decidevano gli orari del break,
definivano le priorità e le sostituzioni. Al vertice, il responsabile della produzione definiva i ritmi di
lavoro per entrambe le sale, precisando le velocità di cottura dei dolci all’inizio del processo.
La produzione era organizzata per lotti o “infornate”. Il prodotto grezzo entrava nella sala di
produzione ed ogni “infornata” era cotta a temperature definite per tempi predefiniti. La pasta, ancora
calda, era, quindi, trasferita su di un largo bancone dove erano aggiunte le colorazioni e gli aromi. Poi le
diverse paste erano modellate e mescolate in modo da creare il mix di sapori e modelli desiderati. La
pasta cotta era, dunque spinta attraverso una macchina che la tagliava, formando così i singoli dolci.
Alcuni dolci erano automaticamente incartati e passavano tramite dei nastri trasportatori alla sala
successiva, dove erano controllati, messi nei sacchetti e inscatolati pronti per la spedizione; altri dolci,
invece, arrivavano “nudi” e passavano in una macchina automatica che li incartava prima della fase di
ispezione, confezionamento e spedizione.
La caratteristica essenziale di questo processo erano le interdipendenze sequenziali. Infatti, ogni
problema, a qualsiasi stadio del processo, aveva un impatto immediato sia sul personale che lavorava
alla fine della linea e che doveva attendere, sia sul personale all’inizio della linea che doveva rallentare
per evitare di creare scorte di prodotto che si raffreddavano e dovevano essere gettate via.
Inoltre la stessa tecnologia utilizzata era alquanto obsoleta: gli impianti e i macchinari presentavano
almeno 10 anni.
Le posizioni e le unità organizzative coinvolte
Il sistema informativo operativo in azienda era convenzionale. La produzione era pianificata, controllata
e adeguata con l’intervento di tre funzioni: organizzazione, pianificazione produttiva e “management
information”.
La funzione organizzazione utilizzava tecniche di misurazione del lavoro, per determinare i tempi
standard e per assegnare le risorse appropriate a ciascuna linea di produzione. Tali tempificazioni
specificavano il numero di ore richieste per produrre ciascun chilogrammo di un determinato prodotto,
assumendo un livello ottimale di efficienza. Il numero di lotti richiesti da ciascuna linea variava, ma in
media, quando il reparto era a pieno ritmo, erano richieste 100 infornate al giorno per rispettare gli
standard determinati.
La pianificazione della produzione analizzava le previsioni di vendita per determinare la domanda e,
poi, studiava gli standard dalla funzione organizzazione per fissare il piano di produzione giornaliera e
settimanale, indicando il personale necessario nell’ipotesi di livelli di efficienza ottimali. L’attività di
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pianificazione della produzione seguiva dunque gli andamenti stagionali del mercato per questo reparto
e per gli altri della fabbrica.
Il responsabile di reparto e i suoi superiori soprattutto il direttore della produzione adattavano giorno
per giorno il piano settimanale alle circostanze. Ricordavano quali linee di prodotto potevano essere
realizzate contemporaneamente, il livello richiesto di scorte di materiale grezzo, e ogni richiesta urgente
della funzione marketing. Rientrava nelle loro responsabilità, l’acquisizione temporanea di personale
extra che dovesse risultare necessario oppure il trasferimento del personale ad altri reparti più
sovraccarichi. Questi movimenti del personale erano abbastanza frequenti a causa del consumo
stagionale di molti prodotti.
I due supervisori riferivano giornalmente al responsabile del sistema informativo e comunicavano un
ampio numero di dati statistici inerenti, ad esempio, al peso dei prodotti “nudi” e confezionati, alle ore
di lavoro consuntivate, alle ore di produzione perse ripartite a seconda delle cause di interruzione del
lavoro. Alcune di queste ore erano “ammesse” e non contabilizzate a svantaggio del personale, nella
fase di valutazione della loro performance (come nel caso di guasto di una macchina senza colpa dei
lavoratori).
Il responsabile della funzione di management information utilizzava questi dati comparati agli standard
elaborati dalla funzione organizzazione, per definire una serie di complesse statistiche settimanali sui
risultati di reparto. Erano elaborate, ad esempio, valutazioni sul numero di ore perse a causa di guasti
meccanici, numero di assenze, recupero degli scarti e ore di manutenzione. Comunque l’indicatore
principale per ciascun reparto era la misura dell’efficienza ottenuta nella produzione del risultato
settimanale. Per esempio, un’efficienza del 100% avrebbe significato che il personale del reparto aveva
prodotto, nelle ore disponibili per la produzione (escluse quelle “ammesse”), esattamente la quantità
ottenuta applicando gli standard di performance elaborati.
Dal punto di vista del management, lo scopo era quello di ottenere elevati livelli di efficienza del
personale insieme a elevati livelli di utilizzo delle macchine (100% target).
Il servizio di informazione trasmetteva tutte le statistiche di performance del reparto alla direzione di
stabilimento che, in parte a causa di una particolare enfasi aziendale sul raggiungimento degli obiettivi di
produzione adottava una gestione per eccezioni. Infatti, poneva sotto pressione quei dirigenti la cui
performance ricadeva al di sotto di un livello giudicato accettabile, ad esempio all’85% dell’indicatore di
efficienza predefinito.
Tale situazione si presentava di frequente nel reparto in esame. Sfortunatamente, a causa dei tempi di
elaborazione, queste discussioni tra il direttore di stabilimento e il responsabile di reparto si verificavano
con un ritardo di due o tre settimane rispetto al periodo cui si riferivano i dati. Inoltre, i dati
rappresentavano solamente un riassunto dell’andamento settimanale. La combinazione di questi due
fattori rendeva difficile diagnosticare con esattezza dove e perché nascessero i problemi: sebbene fosse
realizzabile un sistema informativo più complesso, in grado di fornire un quadro più dettagliato degli
eventi e dei problemi, c’era un’implicita assunzione che si fosse già raggiunto il rapporto ottimale tra
accuratezza delle informazioni e semplicità ed economicità del sistema. In pratica, il responsabile di
reparto interveniva giorno per giorno sui supervisori e sui lavoratori al fine di controllare l’andamento e
il ritmo della produzione.
Aspetti problematici del reparto
All’interno del reparto i supervisori e i lavoratori comprendevano il sistema informativo solo nel senso
lato del termine. Era prevalente l’enfasi sul “fare il lavoro”, mentre le informazioni erano considerate
irrilevanti per il processo di preparazione dei dolci. Il sistema informativo era considerato una
preoccupazione del management ed una faccenda dei supervisori. Questo stava a significare che
l’informazione rilevata era, nel migliore dei casi, vaga e generalmente elaborata dal supervisore alla fine
della giornata o il giorno dopo. In più, quando il processo produttivo era interrotto a causa di un guasto
meccanico, avvenimento abbastanza frequente data l’età media degli impianti, gli effetti erano
velocemente percepiti dagli addetti alla linea di produzione. Infatti, se una delle macchine poste al
centro del processo si guastava, tutti coloro che lavoravano dopo si trovavano in attesa e tutti coloro
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che si trovavano prima dovevano rallentare o fermarsi per evitare che i prodotti si raffreddassero e si
dovessero gettare. Era proprio durante questi momenti, però, che i supervisori erano particolarmente
impegnati a lavorare insieme agli ingegneri della manutenzione per ripristinare il processo.
Così, nel momento in cui sarebbe stato necessario provvedere ad una accurata descrizione degli eventi
per elaborare una successiva diagnosi del problema, i supervisori, in particolare, erano obbligati a
seguire le operazioni di manutenzione, senza potersi occupare degli aspetti amministrativi del lavoro.
Così, il sistema informativo era inevitabilmente inaccurato, nel senso che le perdite di tempo
“ammesse” a causa dei guasti meccanici, alle volte non erano rilevate, oppure, molto più spesso,
sottostimate. In più, il reparto riceveva un tempo “ammesso” corrispondente solo al periodo di durata
della riparazione, mentre in realtà dopo l’intervento trascorreva un considerevole intervallo, prima che
la macchina potesse essere reinserita a pieno ritmo nel processo produttivo.
Queste imprecisioni nel processo di rilevazione si traducevano in una diminuzione ingiustificata della
misura dell’efficienza del reparto. Nello stesso modo, l’utilizzo delle macchine era sovrastimato, dato
che l’impatto reale dei guasti era raramente registrato. Così, in generale, il sistema informativo
presentava il reparto “peggio” e la manutenzione “meglio” di quanto in realtà non fossero.
In più, non c’era alcun metodo per inviare delle informazioni di feedback agli addetti alla produzione. Il
management era solito affiggere le fotocopie dei report settimanali nel reparto. Ma questi erano troppo
complessi e ricchi di dati, ed, inoltre, erano affissi solo quando la performance era bassa ed il
management era messo sotto pressione dalla direzione di stabilimento. Infatti, il direttore di
stabilimento, quando i risultati erano raggiunti, affermava: “Non c’è bisogno di congratularsi con gli operai, dato
che stanno solo facendo quello per cui sono pagati”. Naturalmente, tale messaggio era demotivante per lo staff.
Inoltre, tale sistema informativo conduceva il responsabile di reparto a intraprendere azioni correttive
che erano percepite dai lavoratori come inappropriate ed ingiuste. In particolare, erano mal viste le
critiche a chi sentiva di impegnarsi già duramente. Spesso, gli operai si sentivano incapaci di migliorare
le loro performance perché tutte le decisioni sul lavoro erano prese dal management e dai supervisori.
Quando la performance era bassa, il supervisore, a sua volta incalzato dal management, inaspriva il
controllo. Tale comportamento sottolineava l’enfasi posta dall’organizzazione sul raggiungimento degli
obiettivi di efficienza e produttività. I supervisori ed il management, infatti, erano essi stessi valutati in
base alla loro abilità nel raggiungere questi obiettivi. Altri compiti, l’addestramento, il controllo della
sicurezza ed il miglioramento delle condizioni di lavoro, erano percepiti come marginali, se non
addirittura in conflitto con i task primari.
L’enfasi sull’efficienza era tale che, dopo un guasto meccanico, ad esempio, il supervisore meccanico
incrementava il ritmo produttivo anche se, alla fine, aumentava il materiale di scarto. Essendoci poco
controllo sul loro lavoro, gli operai si deresponsabilizzavano. Il loro senso di distacco e impotenza
costituiva una forma mentale che conduceva ad un minore interesse verso la registrazione accurata degli
eventi e a un minore sforzo quando le cose andavano male. Si generava, in definitiva, un vero e proprio
circolo vizioso.
La riprogettazione
L’obiettivo originale alla base del progetto era ricomprendere le ragioni alla base del non adeguato
livello di efficienza del reparto. Tutti concordavano sull’esistenza del problema, ma le diagnosi erano
molteplici e diverse.
Dopo lunghe discussioni con tutte le parti interessate, il reparto fu riorganizzato. Fu rimossa la
separazione tra le due sale e il macchinario fu adattato in modo da sviluppare il lavoro di gruppo.
Furono istituiti due gruppi semi-autonomi di lavoro. Ogni gruppo era costituito da uomini e donne ed
era responsabile di tutte le fasi del processo, sia la produzione sia il confezionamento. All’interno del
gruppo, i lavoratori organizzavano il proprio lavoro, definivano il proprio ritmo (ad esempio, la velocità
di cottura), ripartendosi i compiti tra di loro, decidendo chi dovesse fare lo straordinario, organizzando i
tempi delle pause etc. Dato che i gruppi si autocontrollavano, era scomparsa l’esigenza del supervisore.
Dopo un certo periodo di tempo la struttura si era evoluta in modo tale che il reparto fosse gestito da
un solo manager, senza il supporto di nessun supervisore.
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Gli obiettivi concordati come equi e definiti sugli standard lavorativi venivano impostati per ciascun
gruppo su base giornaliera. Dato che i lavoratori avevano visto aumentare il loro grado di
responsabilità, ricevettero un aumento retributivo. Il nuovo metodo di lavoro era stato formalizzato
attraverso un nuovo contratto per cui i gruppi si impegnavano a raggiungere gli obiettivi fissati dal
management a fronte delle libertà e dei benefici descritti.
L’effetto fu quello di concedere ai lavoratori il controllo sulla loro performance e dare al management la
possibilità di pianificare in anticipo e prevenire i problemi anziché agire solo a posteriori.
Il problema
Quando si implementò il progetto di riprogettazione delle mansioni, furono attuati pochi cambiamenti
al sistema informativo. Infatti, da un lato non era ben chiaro l’impatto pervasivo di questo sistema sul
lavoro di reparto, dall’altro ci si aspettava che gli eventuali cambiamenti da attuarsi si sarebbero
manifestati da soli.
Tuttavia, l’inadeguatezza del vecchio sistema si manifestò immediatamente. Il sistema informativo
tradizionale, già poco compreso e poco applicato, era assolutamente inappropriato al nuovo metodo di
lavoro. Era, infatti, un sistema immaginato e progettato dal management per pianificare e valutare il
processo produttivo. Per esempio, il gruppo decideva di lavorare più velocemente al mattino “per
aggredire” l’obiettivo giornaliero per ora di pranzo. Ma i lavoratori nel definire il loro ritmo avevano
bisogno di informazioni regolari e precise sul loro target, sulle quantità già prodotte, sulle quantità giù
impacchettate, sugli scarti. Senza tali feedback, non erano in grado di regolare e pianificare il loro
lavoro.
Queste esigenze richiedevano cambi fondamentali nella predisposizione e gestione delle informazioni. Il
vecchio stile del management per eccezioni, che prevedeva l’intensificarsi del controllo del supervisore
quando la produttività diminuiva, era assolutamente incompatibile con la responsabilizzazione dei
gruppi. Certamente, il management manteneva il controllo generale, ma doveva imparare che i gruppi
prendevano da soli le decisioni e da soli correggevano gli errori commessi. Se in difficoltà, i gruppi
erano incoraggiati a servirsi del management e di altri esperti come risorse professionali.
Definire tali cambiamenti all’interno della linea intermedia fu più difficile di quanto immaginato. Alcuni
esempi illustrano le difficoltà incontrate nella progettazione del nuovo sistema informativo e di
controllo.
In primo luogo, gli addetti alla produzione, generalmente uomini, misuravano e valutavano il loro
progresso tramite le “informate” di pasta prodotte. La maggioranza di loro aveva una chiara idea del
numero necessario per conseguire l’obiettivo di efficienza del 100%. In pratica, c’era poca discordanza
tra la performance ritenuta efficiente dal management e le “infornate” definite dai lavoratori. Il
management ragionava in termini di chilogrammi confezionati, efficienza produttiva, e utilizzazione
degli impianti. La sua preoccupazione era quella di fare in modo che fossero prodotte le necessarie
quantità di dolci ad un livello di efficienza standard e che gli impianti fossero operativi per la maggior
parte della settimana. Logicamente, le “infornate”, il peso delle quantità impacchettate e gli indicatori di
efficienza erano strettamente interconnessi dato che gli obiettivi erano basati su tempi standard e le
“infornate” erano di un peso preciso. Per esempio, gli standard di lavoro potevano richiedere che su
una linea si producessero 1500 kg di dolci al giorno. In pratica, questo equivaleva a 50 “infornate” al
giorno. Se dunque un gruppo era in grado di produrre e confezionare 50 “infornate” al giorno, senza
scarti, allora per definizione era in grado di raggiungere l’obiettivo di un’efficienza del 100%.
In realtà sussistevano delle complicazioni. Per esempio, se le macchine erano malfunzionanti, si
accumulavano grosse quantità di scarti. Così, un gruppo raggiungeva il suo obiettivo in termini di
“infornate”, ma non riusciva a produrre la quantità confezionata richiesta. In più, se un gruppo lavorava
in straordinario, allora la produttività si riduceva a meno che il prodotto non fosse in eccesso. In
entrambi i casi l’efficienza era al di sotto degli standard.
Dall’altro lato, i guasti meccanici e le altre interruzioni concesse riducevano le ore disponibili per la
produzione e avevano l’effetto opposto. L’efficienza superava il 100% senza raggiungere l’obiettivo
pianificato. Così era possibile raggiungere per un gruppo il proprio obiettivo ed essere inefficiente,
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oppure non raggiungerlo ed essere super-efficiente. Nel primo caso l’utilizzazione degli impianti era
sufficientemente buona, nel secondo scarsa.
C’era inoltre un’ulteriore complicazione. Le donne addette al confezionamento non ragionavano in
termini di “infornate”. Infatti, esse controllavano il proprio lavoro attraverso i vassoi impacchettati,
dove ogni vassoi corrispondeva a circa 4 informate. Molte, tuttavia, affermavano di non misurare il
carico di lavoro: semplicemente impacchettavano quello che arrivava loro. Sfortunatamente, la storica
divisione tra gli uomini e le donne era fortemente consolidata in azienda. Anche se, in qualche modo, la
creazione di gruppi conduceva verso l’integrazione, il successo era stato solo parziale.
Il responsabile di reparto, infine senza l’aiuto dei supervisori non era sempre in grado di rilevare le
informazioni necessarie. Era in realtà preoccupato del fatto che “gli addetti non fossero sufficientemente
coscienziosi da registrare i dati diligentemente”. Di conseguenza, aveva proposto che si creasse un nuovo
ruolo, di assistente amministrativo, per rilevare ed elaborare le informazioni, e per gestire e organizzare
qualsiasi sistema informativo che si intendesse progettare. Il direttore di stabilimento non era convinto
di questa soluzione per il fatto che i lavoratori avrebbero continuato a percepirsi come “operativi”,
senza sviluppare alcuna considerazione degli aspetti informativi del lavoro, dato che sarebbe rimasto,
comunque, compito e responsabilità di qualcun altro.
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Quesiti
1. Quali sono le variabili organizzative che influenzano la motivazione/ il
comportamento dei lavoratori?
2. Quali sono le variabili organizzative utilizzate per risolvere il problema
rilevato?
3. Quali sono i limiti dell’intervento di riprogettazione proposto?
4. Che rilievo date alla proposta del direttore di reparto in merito
all’assistente amministrativo?
5. Proteste proporre una soluzione alternativa o integrativa all’intervento
di riprogettazione?
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