Roma. Avanti! Mercoledì 14 Gennaio 1970.
“Amedeo o come sbarazzarsene” alle Muse.
IONESCO È VECCHIO
Cristiano e Isabella invece sono nuovi.
Lo spettacolo solleva molte perplessità.
Cristiano e Isabella al Teatro delle Muse hanno presentato «Amedeo o
come sbarazzarsene» di lonesco. La spettacolo, decisamente superato nel
testo, funziona sotto un profilo che non è quello che ci si sarebbe aspettati:
diverte molto perché gli interpreti sono bravi, il dialogo è brillante, l’azione
(tutta merito degli interpreti, i quali se la sono salutarmente inventata) ricca di
sottolineature di effetto.
In verità, da lonesco si è ancora in diritto di aspettarsi qualcosa di diverso:
così come ce la si aspetta dai classici, perché lonesco - che certo ha svolto
una funzione vitale nel quadro dei mutamenti che nel giro degli ultimi venti
anni hanno caratterizzato l’evolversi dello spettacolo teatrale - è proprio
questo, un classico che solo agli sprovveduti si può far credere trattarsi
ancora di avanguardia, sperimentalismo ecc... lonesco ormai è molto vecchio;
lo si può (lo si deve) accettare con spirito radicalmente opposto a quello che
è lo spirito originario del suo teatro; considerandolo cioè un «caso storico»,
una sorta dl veicolo di informazione sulle fasi che, tanti e tanti anni fa (anche
se erano soltanto gli anni ‘50), ravvivarono ed efficacemente «modificarono»
un certo modo di fare teatro. Un appunto da rivolgere allo spettacolo di
Cristiano e Isabella, pertanto, è nell’avere affrontato Ionesco come una novità
e nell’averlo interpretato (Cristiano anche a livello di regìa) come una proposta nuova. In realtà, non c’è più niente di nuovo; e se lo spettacolo funziona
comunque, se soprattutto diverte, è merito soltanto della bravura di Cristiano e Isabella, e del terzo attore della rappresentazione, Alvaro
Piccardi. Di quest’ultimo, introdotto nello spettacolo come dicitore delle didascalie (che non è un ruolo facile), possiamo dire che ha personalizzato sì il
suo ruolo con eccellente disinvoltura, ma che forse il suo eccesso di
sicurezza interpretativa ha trasformato la sua «situazione» in «personaggio».
Piccardi, cioè, doveva partecipare alla storia dall’esterno; invece ha finito per
immettercivisi in prima persona. Questo va bene. Ma perché Piccardi fa così
sfacciatamente il verso (solo per quanto concerne la dizione) a Carmelo
Bene? Non c’è nulla che lo giustifichi; però, quando ne imita la dizione tra
falsetto ed enfasi, sembra di sentire Alighiero Noschese: nessun paragone
con Noschese né con Bene. E’ l’imitazione che richiama il paragone.
Isabella è molto brava. Cristiano altrettanto. Insieme dlvertono molto.
La regia di Cristiano (Censi) è quello che normalmente ci si potrebbe
aspettare su di uno qualsiasi dei lavori di Ionesco. Alcune forzature cabarettistiche - aiutate a torto da una traduzione (Mondolfo) che dal testo di
lonesco tentano di trarre quanto di più plateale può derivarne a livello di
battute - limitano anziché accrescere il risultato propriamente teatrale dello
spettacolo: evidente a questo proposito è il senso di alcune aggiunte, che
onestamente nell’economia delle intenzioni di Ionesco non trovano spazio. Lo
spettacolo comunque merita un giudizio positivo. E’ assai meglio di spettacoli
che pretendono di avere una loro utilità. Per lo meno diverte.
La trama sarebbe avvilente doverla raccontare: è il lungo incubo (trascinato
attraverso gli espedienti che sono propri di quegli autori che dall’atto unico
cercano di trarre lo spettacolo completo) di una coppia che dopo 12 anni di
matrimonio vede crescersi «il morto in casa». Cosa significa il morto?
Sarebbe comodo se certi significati, che in molti casi lo stesso autore ignora,
dovessero sempre ricercarsi da parte della critica. Per quanto ci riguarda, è
un «morto in casa». Apprezziamo la splendida trovata dell’ autore, che lo ha
reso vivo come un feto nel grembo della madre (il ventre materno sarebbe
l’appartamento che non riesce più a contenerlo, quindi deve espellerlo); ma
andare oltre nelle interpretazioni sarebbe concedere troppo alle aspettative
dell’autore stesso e, naturalmente, degli interpreti del lavoro.
Applausi, meritati, per gli attori. Perplessità di una parte del pubblico sul
testo, così vecchio da non potersi più spacciare per nuovo. Si replica.
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