Un patto sociale per la competitività

LA SICILIA
GIOVEDÌ 31 MARZO 2011
50.
L’analisi economica
criticità e soluzioni
Gli strumenti. Per uscire dalla crisi bisogna guardare oltre la crisi stessa.
TRASPORTI
Ripartiamo dai «7 drivers»: il management e la governance delle imprese;
le infrastrutture e la logistica; il lavoro e l’etica professionale; il territorio;
le progettualità pubbliche; l’internazionalizzazione; le risorse critiche
Italia-lumaca
l’Europa
va di corsa
«Un patto sociale
per la competitività»
ROSARIO FARACI*
Non è facile uscire dalla crisi economica e finanziaria in cui si trovano molte
imprese della provincia di Catania.
Tutti i settori ne sono affetti, i maturi e
tradizionali (agricoltura, commercio,
costruzioni), gli emergenti (terziario e
hi-tech), i servizi alla persona (la sanità
privata e assistenza sociale). E la crisi,
con sfumature diverse, colpisce tutte le
imprese, grandi, piccole e medie, ma è
sulle prime che si vedono maggiormente gli effetti, per l’impatto sui livelli occupazionali.
Attraverso la banca dati Aida-Bureau
Van Djik abbiamo osservato, su un
campione di oltre 400 imprese con fatturato superiore ai 5 milioni di euro
(dunque, le più
grandi della provincia di Catania)
che è stata significativa la contrazione degli occupati: nel 2009, del
28% rispetto all’anno precedente. In generale, sta
aumentato il numero dei fallimenti (oltre 600
negli ultimi cinque anni) e delle
imprese assoggettate a procedure
concorsuali, ormai pari al 2,50% della popolazione
attiva. La situazione di sofferenza è
più evidente quando, pur non trovandosi in condizioni tali da richiedere
l’intervento del Tribunale, le imprese
sono attanagliate da crisi da domanda,
elevato indebitamento, deficit da liquidità, crisi interne nella governance
(è il caso delle imprese familiari alle
prese col nodo del passaggio generazionale che interessa almeno 9.000 imprese catanesi). Per venire fuori dalla
crisi, bisogna guardare oltre la crisi
stessa, e porsi l’obiettivo del recupero
di competitività delle imprese. Gli indicatori attuali sono deboli: le esportazioni, ad esempio, pesano per non più
del 4% sul fatturato globale.
Rilanciare la competitività, significa
valutarla su più fronti. Col collega Benedetto Puglisi si è messo a punto un
modello, i «sette drivers della competitività», riferito al turismo e di imminente pubblicazione sulla rivista del
Touring Club. La sua applicazione, tuttavia, può esser riferita anche ad altri
settori di attività economica. Le determinanti della competitività aziendale, nelle nostre analisi, sono: il management e la governance delle imprese;
le infrastrutture e la logistica; il lavoro
e l’etica professionale; il territorio; le
progettualità pubbliche; il livello di
internazionalizzazione; l’offerta di risorse critiche. Per uscire dalla crisi,
dunque, bisogna attivare azioni di mo-
bilitazione generale, che vedano coinvolti tutti gli attori del territorio. Si
chiede giustamente responsabilità sociale ai comportamenti delle imprese,
soprattutto quando c’è di mezzo il lavoro.
Ma è necessario, altresì, promuovere
iniziative di mutualità e solidarietà e
azioni di "corresponsabilità sociale" se
si devono contemporaneamente fronteggiare la crisi e pensare allo sviluppo, per non compromettere definitivamente la capacità competitiva delle
nostre imprese. Non sono più sufficienti, per quanto necessari, patti bilaterali tra organizzazioni sindacali e associazioni datoriali, perché circoscrivono il tema della competitività al problema occupazionale a breve termine.
Non
bastano,
nemmeno, patti
multilaterali più
ampi, come ad
esempio, quelli
che coinvolgono
le banche, perché
sono sovente soluzioni temporanee, per quanto
efficaci, ai deficit
di liquidità.
È tempo di "patti
sociali per la
competitività delle imprese" che
possano coinvolgere tutti gli attori
e le istituzioni del territorio le cui attività inevitabilmente intersecano i percorsi delle imprese. Per il ruolo istituzionale che svolgono, vediamo bene a
Catania e provincia la Camera di Commercio, la Prefettura e l’Ufficio Provinciale del Lavoro quali referenti, nel
territorio, di una "cabina di regia" che
coordini la stipula di patti sociali per
la competitività delle imprese. Patti
che, tanto nella fase di sottoscrizione
quanto in quella di attuazione, potrebbero coinvolgere, a titolo esemplificativo, la Sac, l’Autorità Portuale di Catania, le Ferrovie dello Stato e l’Interporto (per citare i principali) per le ricadute che derivano alle imprese dalla gestione di tali infrastrutture logistiche;
la Banca d’Italia, le principali banche
operanti nel territorio, i consorzi fidi,
gli ordini professionali, l’Università di
Catania per le implicazioni che ne conseguono sul piano dell’offerta di "risorse critiche" per le imprese; tutti i rami
della pubblica amministrazione regionale, provinciale e locali coinvolti nella sfera delle "progettualità pubbliche";
e così via per gli altri attori. Una mobilitazione, sostenuta da sindacati e imprese, senza precedenti nella storia di
Catania dell’ultimo decennio, che
proietti la città, la provincia e le sue
imprese verso il 2020, cui l’Ue guarda
con grande interesse.
*Ordinario di Economia e Gestione delle
Imprese Università di Catania
IL PROF. ROSARIO FARACI
“
Promuoviamo un
accordo che possa
coinvolgere tutti gli attori e
le istituzioni del territorio le
cui attività inevitabilmente
intersecano i percorsi delle
imprese. Ma è necessario
lanciare iniziative di
mutualità, solidarietà e
corresponsabilità sociale
«In Italia, Sud o Nord non fa differenza,
mentre il tema dominante ancor oggi è
"quanto e quando mi paghi?", abbinato ad
argomenti più o meno pubblici del tipo
"rispetto dei costi minimi e dei contratti
scritti e non", si assiste ai giochetti di un
sottosegretario burlesco e all’avvento
"fragile" dell’Osservatorio nazionale invocato da molto tempo e considerato il
toccasana per i mali dell’autotrasporto».
Così il presidente di Transfrigoroute Italia Assotir (Associazione Italiana di Trasporto), dott. Giuseppe Bulla che sui problemi dei trasporti in Italia aggiunge:
«Recentemente in Italia, dopo anni di
buio, sono stati affrontati i tempi di sosta,
sia al carico che allo scarico, con il risultato di aver approvato la linea di due ore
di franchigia, denotando la fragilità e la
superficialità con le quali tale argomento è stato valutato a discapito dell’esecutore del servizio. A tal proposito si ricorda a tutti coloro che seguono con attenzione i Trasporti e l’autotrasporto in particolare, l’aumento dei pedaggi autostradali in Italia pari ad una media del 7%
quale regalo di inizio anno. Ma, le sorprese non finiscono qui. Infatti il colmo è
che da adesso il settore dell’autotrasporto subisce anche l’accise per lo spettacolo. In soldoni,
due centesimi
al litro di gasolio, per un veicolo che percorre centomila chilometri l’anno porta un aggravio di circa
800 euro. Se di mezzi un’impresa ne possiede dieci o venti, il conto è facile. Uno
scherzetto che costerà al settore dell’autotrasporto dai quaranta ai cinquanta milioni di euro. Una cifra pazzesca; circa un
terzo dell’intero stanziamento allo spettacolo sulle spalle degli autotrasportatori. Una vergogna».
Bulla quindi aggiunge: «Consulta, Osservatorio, per niente propositivi e capaci di intervenire sul territorio al fine di fare funzionare la ruota che "arranca" anche in pianura, mentre l’Europa corre.
Giorni orsono è stata esitata dalla Commissione Europea la "Carta bianca", cioè
un insieme di normative che esigono sicurezza maggiore sulle strade, complice
la defaillance dei controlli di chi è preposto ed impongono delle rettifiche ai costruttori dei veicoli industriali inerente al
"nuovo" , tant’è che "l’euro 5" viene considerato superato con lo sguardo preponderante al "successivo" che tenga conto
dei consumi energetici e delle emissioni
di CO2 nella logica delle nuove norme».
«A tal uopo si evince la tassazione della
"nuova energia" che avrà un impatto sul
trasporto commerciale notevole, disconoscendo al momento l’esistenza di un
progetto unitario per tutta la Comunità
affinché si individuino le linee inerenti
alla sicurezza degli alimenti trasportati.
Tutto ciò fa si che gli operatori del "freddo", che contempla pure la distribuzione
urbana, ne dovranno tener conto, con un
elevato incremento dei costi. L’Europa
non si limita alla "Carta bianca" ed esige
veicoli più grandi sulle strade e meno inquinanti. Ciò anche alla luce di prove che
da un bel po’ avvengono sulle reti stradali franco-germaniche e con l’ipotesi che
tra qualche anno non sarà difficile veder
circolare veicoli dalla lunghezza di oltre
21 m. anche sulle strade italiane».