38 — l’altra musica
L’equilibrio sonoro
dei Supertramp
sonorità rock e soul: il suono del piano Wurlitzer è il loro marchio di fabbrica, accompagnato da un’ottima sezione fiati e da una notevole sezione ritmica. Se ne vanno dall’Inghilterra per trasferirsi in California, dove danno alla luce il loro album più famoso, Breakfast in America.
In copertina lo skyline di Manhattan visto dal finestrino
di un aereo è formato da oggetti tipici dei fastfood amedi Tommaso Gastaldi
ricani, mentre la cameriera che porta l’aranciata rappresenta la Statua della Libertà. Dieci brani, da cui verranei cestoni degli autogrill , quando ancora si
no tratti quattro singoli che ancora oggi sono i pezzi più
compravano i cd, loro c’erano sempre: assieme
celebri : «The Logical Song», «Goodbye Stranger», «Take
a Eagles, Chicago, Abba, Earth Wind & Fire e
the Long Way Home» e naturalmente la title
Toto, si scorgeva sempre una delle loro cotrack, una divertente marcia sul sogno amepertine colorate, probabilmente l’ennesima
ricano che contiene un verso tributo ai Beriedizione del Best of. Quando si decideva di
Verona – Arena
ach Boys, fonte d’ispirazione della band. Il
prendere un loro disco si poteva essere cer7 settembre, ore 20.30
disco ottiene un successo inaspettato, venti che quella musica ci avrebbe accompagnadendo quattro milioni di copie solo in America e ben dito lungo tutta la strada fino a destinazione. I Supertramp
ciotto milioni nel resto del mondo. All’apice della fama
appartengono a quella categoria di gruppi di cui tutti, più
dopo la pubblicazione del live Paris, non riuscendo a suo meno consapevolmente, conoscono una canzone, braperare i dissapori con Rick Davies, Roger Hodgson abni che hanno il potere di cambiare in positivo l’umore di
bandona la band per abbracciare la carriera solista. Dauna giornata grigia, brani che ancora oggi godono di una
vies decide di portare avanti la storia dei Supertramp ma
luce potentissima rispetto al piattume del pop contemponon riuscirà mai più a raggiungere la qualità sentita nei laraneo. La chiamano easy-listening, musica di facile ascolvori precedenti. Anche se più volte vociferata, la reunion
to, facilmente memorizzabile, riconoscibile, rassicurantra i due non si è mai realizzata, nemmeno ora che il grupte. Eppure dietro a quell’apparente facilità si nasconde
po parte per una lunga tournée mondiale a trent’anni dalil misterioso mondo dell’armonia, dell’equilibrio sonola pubblicazione del primo disco. Nell’unica data italiana
ro, la magia di un ritornello che una volta entrato difficilsul palco dell’Arena di Verona ci saranno, oltre al fondatomente si riuscirà a togliere dalla mente. Pop music in una
re Rick Davies, John Anthony Helliwell ai sax e fiati, Bob
delle sue migliori espressioni. La fortuna segue il grupSiebenberg alla batteria, Jesse Sienberg alla voce e perpo fin dall’inizio, quando un filantropo olandese decide
cussioni, Cliff Hugo al basso, Carl Verheyen alla chitarra
di finanziare la carriera discografica di Rick Davies, che
e Lee Thornburg alla tromba. L’unicità dei Supetramp sta
di lì a poco seleziona come suo compagni d’avventura il
nel fatto che sono riusciti a passare indenni in un periodo
batterista Bob Miller, il chitarrista Richard Palmer (poi
musicale dove molti si perdevano nelle sinfonie progresparoliere per i King Crimson) e il bassista e cantante Rosive o nella crudezza del punk, riuscendo sempre a creager Hodgson, con il quale formerà un fruttuoso duetto
re la propria musica senza risentire di influenze e mode,
compositivo alla base del successo del gruppo, il cui nosenza appartenere a un genere preconfezionato ma perme viene preso da un libro del 1910, Autobiography of a Sumettendosi il lusso di rimanere sempre e comunque liberi
pertramp, di W. H. Davies. A dire il vero il primo omonicome solo un «supervagabondo» avrebbe potuto fare. ◼
mo disco e anche il successivo, Indelebile Stamped, non ottennero il successo sperato, anzi furono una delusione rispetto all’aspettativa che si era creata attorno al gruppo.
Non c’era uno stile, un indirizzo artistico ancora ben deI Supertramp.
finito. Ancora non era nato lo stile Supertramp. L’ascesa
alla fama inizia nel 1974 con Crime of the Century, passando per Crisis? What Crisis? (titolo quanto mai attuale!)
del 1975 e il successivo Even in the Quiest
Moment. Il gruppo
trova la propria
strada mescolando elementi progressive con
l’altra musica
N
l’altra musica — 39
Viscerali,
elettrici Placebo
La band di Brian Molko
approda a Udine a cura di John Vignola
D
Londra a un successo internazionale: Brian Molko incarna una delle favole
contemporanee del pop, è la dimostrazione vivente che la musica rock può ancora salvare la vita delle persone. «Se non ci fosse stata la mia passione per David Bowie, per i Cure, per i Beatles, non sarei mai uscito dall’adolescenza»: parola di un personaggio che, con i
suoi Placebo, ha rilanciato nei secondi novanta il glam,
la sua rappresentazione un po’ decadente dell’esistenza
e una forte passione per melodie viscerali ed elettriche.
Una storia discografica che comincia nel 1996, con Pla-
l’altra musica
alla periferia di
mo quando sentiamo l’urgenza di farlo.
Avete assistito direttamente alla morte del cd, forse pure dei negozi di dischi, e al cambiamento degli indotti economici della musica.
Come uscirne vivi?
Se si ha, appunto, un rapporto diretto con gli appassionati, la situazione diventa quasi stimolante. Si aprono nuovi spazi, ci si può gestire: insomma, c’è più libertà.
L’economia di questo mondo è in crisi globale, credo che
la musica non sia sola, in questo. Bisogna resistere, come
meglio si può.
Nei vostri album si mescolano elettronica e musica elettrica, ottimismo e pessimismo. Una ricerca di chiaroscuri che immagino sia
strategica.
L’elettronica è stata, per la mia generazione, un banco
di prova insostituibile. Sono sicuro che la wave degli ottanta la avrebbe usata senza ritegno. Ci siamo passati attraverso, per accorgerci che non può sostituire le chitarre o le idee più istintive del rock, ma che aggiunge qualche suggestione, qualche inquietudine. Sul nostro pessimismo, poi, credo che Battle for the Sun valga più di tante
parole: è un disco in cui ci siamo lasciati alle spalle le cat-
tive vibrazioni e abbiamo abbracciato la luce del sole…
cebo, e arriva fino al recente Battle for the Sun (2009) con olNon ci sono cambi di rotta nella sua carriera, per il futuro? Ovvetre dieci milioni di copie vendute e una sfilza di concerti,
ro, non ha altri progetti, oltre al gruppo o alla musica?
mai disertati. La critica non ha sempre apprezzato le scelQuando se ne andò il batterista storico dei Placebo, Stete della band inglese, rea di non aver portato avanti quelle
ve Hewitt, fu una tale batosta che pensai di smettere. Ho
intuizioni che sono diventate presto maniera. Molko ripensato agli altri mestieri che volevo fare da bambino,
sponde lapidario: «Io scrivo canzoni per me stesso e per il
ma suonare e cantare rimane la mia missione. Chissà, repubblico, del giudizio dei giornalisti non mi importa nulcitare o scrivere un libro possono essere eventi che mi cala». Alla vigilia di un ennesimo tour, il carattere di quepiteranno, e in parte sono già capitati. Si tratterebbe pesto personaggio rimane tanto indomito quanto ironico.
rò di un ripiego.
Sei album in quattordici anni: i Placebo non sono mai entrati nel
L’idea di restare in circolazione ancora a lungo non riguarda solo
gorgo di certo pop, che deve produrre canzoni a spron battuto per diBrian Molko, ma pure la band?
mostrare di esistere.
Siamo in tournée, abbiamo molte idee per il futuro, per
Ognuno ha i suoi tempi creativi. Per me il rock è una
i pezzi di un nuovo album. Direi che l’idea di estinguerforma di espressione e di rispetto, per te e per chi viene
ci è del tutto fuori dalla nostra prospettiva. Incrociamo
ai concerti, per chi compra i tuoi dischi. Abbiamo avuto
le dita e andiamo avanti, senza perdere né
la fortuna di un buon contratto discografile energie né un po’ di sana irriverenza. ◼
co e ci hanno seguito da subito in molti. Un
senso di riconoscenza ci spinge a fare sem- Codroipo (Ud) – Villa Manin
pre del nostro meglio. Scriviamo e suonia3 settembre, ore 21.00
Placebo (foto di Levi Tecofsky, placeboworld.co.uk).
40 — l’altra musica
Transart 2010:
all’insegna della
sperimentazione
Anche Diamanda Galás
alla X edizione
della rassegna altoatesina
G
di Guido Michelone
l’altra musica
iunta alla x edizione, dall’9 settembre al 9 ot-
primi Eighties, per una metamorfosi assai più scura e intellettuale, dove poesia, happening, ricerca vocalica, electronic music si fondono in un unicum straordinario.
Non è un caso che la Galás nel 2005, proprio in Italia, vinca il Premio Demetrios Stratos, dedicato al cantante (tra l’altro di origini greche, come lei) che, partito
dal pop, giunse a John Cage adoperando la propria ugola
per farne uscire due armonici contemporaneamente, oltre una gamma quasi infinita di suoni/rumori estemporanei, che a loro volta guardano alla natura, alla post-dodecafonia, al free-jazz. Ecco, Diamanda Galás è un po’ il
Demetrio Stratos al rosa, nella consapevolezza femminile di essere donna/artista e viceversa artista/donna; quattordici sono gli album ufficiali a proprio nome: The Litanies of Satan (1982), Panoptikon(1984), The Divine Punishment
(1986), Saint of the Pit (1986), You Must Be Certain of the Devil (1988), Plague Mass (1991), The Singer (1992), Vena Cava (1993), The Sporting Life (1994), Schrei X (1996), Malediction & Prayer (1998), La serpenta canta (2003), Defixiones, Will and Testament (2003), Guilty! Guilty! Guilty! (2008);
tobre, la rassegna altoatesina può senza dubbio
ritenersi tra le migliori a livello internazionale,
per la valorizzazione di giovani artisti e per l’originalità con cui da sempre riesce a coniugare diverse forme
espressive. Pur lavorando soprattutto attorno alla musica
e alle sue interferenze con video, letteratura,
cinema, danza, cibo, performance, teatro, arti figurative, Transart non rinuncia a presentare singoli atti, dove la purezza o l’individualità di ogni linguaggio vengono successivamente contaminate da ulteriori inediti transiti sul piano estetico e socioculturale. Inoltre il ruolo delle location contribuisce a rendere unici e assai suggestivi gli eventi medesimi: quest’anno, in tal senso, Bolzano accoglie
i musicisti in luoghi come la Chiesa dei Francescani, l’Ex Alumix, l’Hotel Grief, la Libera
Università, le Officine FS, il Parkhotel Laurin, il Teatro Comunale, mentre sul territorio a ospitare sono i comuni di Appiano, Cortaccia, Lana, San Genesio, con sconfinamenti in provincia di Trento al MART e alla Casa
d’Arte Futurista Depero a Rovereto.
Ma il segno vincente di Transart consiste, in
primis, nel rilievo parimenti accordato a nomi emergenti e a maestri indiscussi, scelti comunque tra le figure più autentiche, trasgressive, innovatrici del panorama sonoro contemporaneo. Così accanto a singoli e gruppi
che magari suonano nuovi all’ascoltatore itae per ogni disco (quattro dei quali dal vivo) Diamanda
liano – ma vale la pena citarli e ascoltarli tutti, e perciò ecsi rivela protagonista superlativa, in grado di comunicacoli in ordine alfabetico: Bas Böttcher, ConTakt Percusre alla voce, al pianoforte, ai sintetizzatori (persino atsion Group, Ensemble 2e2m, Extrawelt, Nora Gomrintraverso le cover di classici blues) lo spettro di sentimenger, Jürg Halter, Irene Hopfgartner & Ivo Forer, Giusepti sospesi tra gioie e dolori, chiari e scuri, bassi e acupe Ielasi, Johannes Kalitzke, Kapelle für Neue Musik,
ti, un po’ come succede nel blues, sul quale ha idee ben
Manuela Kerer, Klangforum Wien, Koudlam, Dmitri
precise quando a proposito della propria musica afferma:
Kourliandski, Lettischer Radio Chor, Moscow Contem«C’è l’influenza di un po’ tutto, del sound del Mediterraporary Music Ensemble, Djane Nadipebi, Fritz Orlowneo e dell’Oriente. Sono stata influenzata dai suoni del
ski, Zeena Parkins, Quadrat:sch Extended, Maja Ratkje,
Mediterraneo e li mescolo con il blues, che risulta quinRaumschmiere, Pierre Roullier, Claudio Sinatti, Vladidi diverso da quello americano. Ho utilizzato stili diffemir Sorokin, T.R.I.O. (Conservatorio di musica Bonporrenti e differenti intonazioni, cambi di tonalità. Canto il
ti), Windkraft – quest’anno arrivano dagli Stati Uniti due
blues influenzandolo con i suoni del Medio Oriente e delicone, due stelle, due ex ragazzacce che hanno trasforla Grecia: per me tutto deriva da Bisanzio. Prendo quinmato il rock in forma d’Arte, con la A maiuscola appundi tutte queste influenze per creare un sound nuovo». ◼
to: Patti Smith e Diamanda Galás. Se la Smith – di cui
s’è parlato nel numero scorso (cfr. VMeD
n. 35, p. 50) – è l’antesignana di un punk
letterato, Diamanda, di qualche anno più
Bolzano / Rovereto
Diamanda Galás (foto di Tina Zimmer 2008
giovane, abbraccia la nascente idea dark nei
dal 9 settembre al 9 ottobre
diamandagalas.com).
Paco De Lucía
incanta la Fenice
C
di Giovanni Dell’Olivo
hi ha potuto essere presente la sera del 29 luglio
scorso alla Fenice avrà intuito che lo spettacolo di
musica canto e danza messo in scena da Paco De
Lucía appartiene a quella rara categoria di eventi memorabili e irripetibili nei quali sembra che la luce del genio si
sia accesa per indicarci la direzione dove l’Arte si sta graziosamente palesando. All’età di sessantacinque anni il
più celebre chitarrista e compositore spagnolo vivente dimostra come sia possibile al vero artista rinnovarsi continuamente nella creatività compositiva e nell’impareggiabile padronanza tecnica dello strumento. La prima gli
deriva dalla continua ricerca di nuove sonorità condotta attraverso la via della contaminazione delle radici del
flamenco con generi musicali anche molto distanti dalla
tradizione andalusa. La tecnica, frutto di una dote innata e di una vita consacrata alla chitarra, rappresenta l’altro versante della creatività inesauribile dell’artista, tesa a
superare nella ricerca di nuove frontiere del suono i limiti che la fisica impone ai gesti umani. Il Teatro La Fenice, ancora una volta capace di farsi portatore di culture
musicali eterogenee rispetto alla classica, ha aperto le sue
porte a una rassegna jazz che ha ospitato il virtuoso della
chitarra per eccellenza e la band eccezionale che lo segue
ormai da diversi anni: Niño Josele alla chitarra, Antonio
Serrano alle tastiere e harmonium, Alain Perez al basso,
Piranha alle percussioni, Duquende e David de Jacoba alla voce. Infine l’indemoniato danzatore Farruco, in grado di trasformare il ballo in una vera e propria sezione ritmica. Proprio come in una cueva, Paco De Lucía è riuscito
a dissolvere la distanza fra pubblico e artisti all’attaccare
delle prime note quando le incitazioni fra musicisti, che
nel flamenco sono una tradizione imprescindibile, sono
diventate le incitazioni del pubblico, coinvolto in e travolto da una sorta di «metamorfosi gitana». C’è nella musica
di Paco De Lucía un percorso evolutivo magistrale che
parte dal recupero della tradizione del flamenco, dalla
sua trasformazione attraverso continue contaminazioni
con altre tradizioni popolari, fino alla sua trasfigurazione
nel linguaggio universale del jazz. Dopo di lui il flamenco
non è più stato lo stesso: con lui la tradizionale sequenza
armonica andalusa: re minore – do – si bemolle – la con
la nona diminuita (che dona una delle più celebri dissonanze armoniche del flamenco) viene progressivamente
destrutturata esasperando le figure dissonanti, anche grazie all’utilizzo di accordature aperte sulla chitarra, e introducendo a livello melodico elementi di musica modale
tipici della tradizione araba, in particolare il sistema delle scale melodiche dette Maqām. Si percepiscono inoltre
influenze che attingono direttamente al jazz, incontrato attraverso musicisti del calibro di Al Di Meola e John
McLaughlin, Chick Korea senza tuttavia rinnegare l’origine flamenca del costrutto musicale. Quanto alla tecnica e alla disciplina ferrea cui l’artista si sottopone per dominarla ha già detto molto José
María Velázquez-Gaztelu nel precedente numero di questa rivista (cfr. VMeD n. 35, p. 46).
Aggiungerei tuttavia, rivolgendomi alle persone che amano e suonano la chitarra, che la
cifra tecnica che distanzia Paco De Lucía dal
resto dei chitarristi sta nell’utilizzo della mano
destra. Nessuna tecnica chitarristica sviluppa
come il flamenco il ruolo della mano destra
nell’esecuzione. Sulle tecniche del tremolo, del
picado, dei rasgueados, del golpe e dell’alzapua nasce la peculiarità del suono, aiutato anche dalle caratteristiche della chitarra che viene realizzata tradizionalmente in legno di cipresso e dunque con una cassa armonica più sottile e vibrante della classica. Il suono flamenco
viene prodotto pizzicando le corde con incisività e orientando il movimento lungo una linea perpendicolare alla cassa armonica. Il pollice viene usato spessissimo, anche sulle corde
più acute, come se fosse il plettro di un oud. E
non vi è chitarrista che, cercando di riprodurre questi suoni, non abbia subito le più profonde frustrazioni scontrandosi con la notevolissima difficoltà di esecuzione delle tecniche anche nelle
forme più elementari. Paco De Lucía, quando emerse,
da enfant prodige, vincitore di un premio per chitarristi di
flamenco in Spagna, fece impallidire gli altri concorrenti eseguendo con la massima naturalezza tutte le figure in
modo perfetto e a una velocità incredibile. Non era ancora adolescente… Francisco Sanchez Gomez di Algeciras, quello che da bambino chiamavano, per distinguerlo dagli altri mille francisco-sanchez del quartiere «Paco (diminutivo di Francisco) di Lucia (così si chiama sua madre)»
non è solo uno dei massimi musicisti della nostra epoca, è il più grande fra i grandi chitarristi del mondo, uno
che ha contribuito a nobilitare uno strumento nato povero e attraverso di esso ha fatto assurgere la misconosciuta musica popolare degli zingari di una regione poverissima della Spagna a patrimonio universale dell’umanità. ◼
Lo spettacolo di Paco De Lucía alla Fenice (foto di Pino Ninfa).
l’altra musica
l’altra musica — 41
Stagione 2010
Fondazione Teatro La Fenice
Stagione
lirica
e balletto
Lirica
Balletto
Teatro La Fenice
venerdì 29 gennaio 2010 ore 19.00 turno A
sabato 30 gennaio 2010 ore 15.30 turno C
domenica 31 gennaio 2010 ore 15.30 turno B
martedì 2 febbraio 2010 ore 19.00 turno D
mercoledì 3 febbraio 2010 ore 19.00 turno E
giovedì 4 febbraio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
Manon Lescaut
musica di Giacomo
Puccini
personaggi e interpreti principali
Manon Lescaut Martina Serafin
Il cavaliere Des Grieux Walter Fraccaro
Lescaut Dimitris Tiliakos
maestro concertatore e direttore Renato
regia Graham Vick
scene Andrew Hays
costumi Kimm Kovac
maestro del Coro Claudio
Palumbo
Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
in coproduzione con la Fondazione Arena di Verona
giovedì 11 febbraio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
domenica 14 febbraio 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
martedì 16 febbraio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
Il barbiere di Siviglia
Rossini
maestro concertatore e direttore Renato
regia Bepi Morassi
scene e costumi Lauro Crisman
Palumbo
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
domenica 14 marzo 2010 ore 19.00 turno A
martedì 16 marzo 2010 ore 19.00 turno D
giovedì 18 marzo 2010 ore 19.00 turno E
sabato 20 marzo 2010 ore 15.30 turno C
domenica 21 marzo 2010 ore 15.30 turno B
Dido and Aeneas
(Didone ed Enea)
Purcell
personaggi e interpreti principali
Didone Ann Hallenberg
Enea Marlin Miller
maestro concertatore e direttore Attilio Cremonesi
regia, scene, costumi e coreografia Saburo Teshigawara
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
L’opera sarà introdotta dalla prima rappresentazione assoluta di una
nuova creazione coreografica di Saburo Teshigawara su musiche
di Henry Purcell, interpretata dai danzatori della Compagnia KARAS
di Tokyo
Teatro La Fenice
sabato 25 settembre 2010 ore 19.00 turno A
martedì 28 settembre 2010 ore 19.00 turno E
mercoledì 29 settembre 2010 ore 19.00 turno D
venerdì 1 ottobre 2010 ore 17.00 turno C
sabato 2 ottobre 2010 ore 15.30 turno B
martedì 5 ottobre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
mercoledì 6 ottobre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
Rigoletto
musica di Giuseppe Verdi
Don Giovanni
personaggi e interpreti principali
Rigoletto Roberto Frontali (25, 28/9, 2, 5/10)
Gilda Désirée Rancatore (25, 28/9, 2, 5/10)
personaggi e interpreti principali
Don Giovanni Markus Werba / Simone Alberghini
Donna Anna Aleksandra Kurzak / Elena Monti
Don Ottavio Marlin Miller / Leonardo Cortellazzi
Donna Elvira Carmela Remigio / Maria Pia Piscitelli
Leporello Alex Esposito / Simone Del Savio
maestro concertatore e direttore
Amadeus Mozart
maestro concertatore e direttore Antonello
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
Manacorda
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
in coproduzione con il Festival Mozart di La Coruña
Teatro La Fenice
musica di Benjamin
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
venerdì 29 ottobre 2010 ore 19.00 turno A
sabato 30 ottobre 2010 ore 15.30 turno C
domenica 31 ottobre 2010 ore 15.30 turno B
martedì 2 novembre 2010 ore 19.00 turno D
mercoledì 3 novembre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
giovedì 4 novembre 2010 ore 19.00 turno E
venerdì 5 novembre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
sabato 6 novembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 7 novembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
musica di Gaetano
The Turn of the Screw
(Il giro di vite)
Myung-Whun Chung (25, 28, 29/9, 1, 2/10)
regia Daniele Abbado
L’elisir d’amore
venerdì 25 giugno 2010 ore 19.00 turno A
domenica 27 giugno 2010 ore 15.30 turno B
martedì 29 giugno 2010 ore 19.00 turno D
giovedì 1 luglio 2010 ore 19.00 turno E
sabato 3 luglio 2010 ore 15.30 turno C
personaggi e interpreti principali
Figaro Christian Senn
Rosina Manuela Custer
Basilio Lorenzo Regazzo
Bartolo Elia Fabbian
maestro del Coro Claudio
martedì 18 maggio 2010 ore 19.00 turno A
mercoledì 19 maggio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
giovedì 20 maggio 2010 ore 19.00 turno E
venerdì 21 maggio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
sabato 22 maggio 2010 ore 15.30 turno C
domenica 23 maggio 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
martedì 25 maggio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
mercoledì 26 maggio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
giovedì 27 maggio 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
venerdì 28 maggio 2010 ore 19.00 turno D
sabato 29 maggio 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 30 maggio 2010 ore 15.30 turno B
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
musica di Gioachino
Teatro La Fenice
musica di Wolfgang
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
musica di Henry
2010
Britten
maestro concertatore e direttore Jeffrey Tate
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Donizetti
personaggi e interpreti principali
Adina Désirée Rancatore / Beatriz Díaz
Nemorino Celso Albelo / Shi Yijie
Belcore Roberto De Candia / Simone Piazzola
Il dottor Dulcamara Bruno de Simone
maestro concertatore e direttore Matteo Beltrami
regia Bepi Morassi
scene e costumi Gian Maurizio Fercioni
Orchestra del Teatro La Fenice
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
domenica 5 settembre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
mercoledì 8 settembre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
venerdì 10 settembre 2010 ore 19.00 fuori abbonamento
sabato 11 settembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 12 settembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
sabato 18 settembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 19 settembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 26 settembre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
domenica 3 ottobre 2010 ore 15.30 fuori abbonamento
La traviata
venerdì 10 dicembre 2010 ore 19.00 turno A
domenica 12 dicembre 2010 ore 15.30 turno B
martedì 14 dicembre 2010 ore 19.00 turno D
giovedì 16 dicembre 2010 ore 19.00 turno E
sabato 18 dicembre 2010 ore 15.30 turno C
Il killer di parole
martedì 20 luglio 2010 ore 19.00 turno A
mercoledì 21 luglio 2010 ore 19.00 turno D
giovedì 22 luglio 2010 ore 19.00 turno E
venerdì 23 luglio 2010 ore 17.00 turno C
sabato 24 luglio 2010 ore 15.30 turno B
Bayerisches Staatsballett München
direttore artistico Ivan
Liška
Le corsaire
(Il corsaro)
coreografia di Marius Petipa, Ivan Liška
musica di Adolphe Adam, Léo Delibes, Cesare Pugni,
Riccardo Drigo, Pietro di Oldenburg
ricostruzione della coreografia di Marius Petipa
Doug Fullington
arrangiamento musicale e drammaturgia Maria
scene e costumi Roger Kirk
Babanina
Orchestra del Teatro La Fenice
direttore Myron
Romanul
Dove acquistare abbonamenti e biglietti
Presso i seguenti punti vendita della rete Hellovenezia:
Venezia
- Teatro La Fenice, Campo San Fantin, San Marco 1965:
aperta tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
- Piazzale Roma: tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30
- Ferrovia Santa Lucia: tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30
(solo per acquisto biglietti)
- Tronchetto: tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30
Mestre
- Via Cardinal Massaia angolo via Cappuccina: dal
lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 16.00, sabato dalle
8.30 alle 13.00
Dolo
- Via Mazzini 108: dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle
18.30 (solo per acquisto biglietti)
Chioggia-Sottomarina
- Viale Padova 22: tutti i giorni dalle 8.30 alle 18.30
(solo per acquisto biglietti)
Un’ora prima dello spettacolo presso la sede del
concerto (solo per acquisto biglietti della serata)
Tramite carta di credito attraverso i seguenti servizi:
- Biglietteria telefonica: (+39) 041 2424 (solo per
acquisto biglietti; diritto di vendita telefonica 10%):
tutti i giorni, fino al giorno precedente allo
spettacolo, dalle 9.00 alle 18.00
- Biglietteria on-line: www.teatrolafenice.it (solo per
acquisto biglietti; diritto di vendita via Internet 18%)
Tramite carta di credito o bonifico bancario attraverso
il seguente servizio:
- Biglietteria via fax: (+39) 041 2722663 (solo per
acquisto biglietti e conferma prelazioni abbonamenti)
Per informazioni
call center Hellovenezia (+39) 041 2424 • www.teatrolafenice.it
soggetto di Daniel Pennac e Claudio Ambrosini
libretto e musica di Claudio Ambrosini
musica di Giuseppe Verdi
versione 1854
commissione della Fondazione Teatro La Fenice
personaggi e interpreti principali
Violetta Valéry Patrizia Ciofi
Alfredo Germont Vittorio Grigolo
maestro concertatore e direttore Myung-Whun
regia Robert Carsen
scene e costumi Patrick Kinmonth
coreografia Philippe Giraudeau
Teatro La Fenice
Teatro La Fenice
prima rappresentazione assoluta
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Chung
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
in coproduzione con l'Opéra national de Lorraine
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio
Marino Moretti
allestimento Fondazione Teatro La Fenice
F ONDAZIONE T EATR O L A F ENICE
La tradizione lagunare
nella musica
di Lucio Bisutto
A
a cura di Leonardo Mello
lmeno di fama, molti
veneziani conoscono Lucio Bisutto nella sua duplice veste di ristoratore (è proprietario di
un famoso ristorante di via Garibaldi), e di cantante-cantautore, specializzato nell’interpretazione di melodie lagunari, sia
tradizionali che composte ex novo. Gli chiediamo da dove nasce la
sua passione per il folclore e come si è andata formando la sua attività musicale.
Tutto è cominciato dall’ammirazione che provavo per
mio padre, un uomo dal grande carisma che cantava nelle osterie per gli amici. Quindi ho iniziato a fare musica prestissimo, a undici-dodici anni avevo già costituito
un piccolo gruppo nell’isola in cui sono ancora residente, San Pietro in Volta, che si chiamava «I quattro del mare». Seguivamo le orme dei Beatles e dei Rolling Stones,
che andavano forte in quegli anni. Questo tipo di esperienza andava di pari passo con la musica che ascoltavo
grazie a mio padre, perciò conoscevo meglio artisti come Luciano Tajoli, Claudio Villa e altri grandi interpreti napoletani che quelli anagraficamente a me un po’ più
vicini, come Lucio Battisti. Strada facendo ho poi scoperto in me una grande passione per le canzoni veneziane, e questo ha direttamente a che fare con la mia infanzia, radicata nel mondo dei pescatori. Quando avevo sei
anni, all’età della prima elementare, i miei nonni d’estate
mi portavano a pesca in laguna. E lì sentivo le altre barche cantare. Allora infatti era un’usanza molto comune,
che nasceva dalla necessità e dalla voglia di comunicare. Non si poteva «parlamentare», perché la barca più vicina era a cinquecento metri, e dunque si cantavano delle storie, che formavano una specie di cantilena: in queLucio Bisutto.
sto modo si riusciva a parlare cantando. A quei tempi la
gente aveva poco da mangiare, si pescava assieme in povertà, ma l’atto di cantare in compagnia provocava in tutti una grande gioia. Crescendo ho fondato altri due gruppi, e parallelamente ho cominciato ad accompagnare mio
papà nelle sue esibizioni nelle osterie, dove si eseguivano
anche classici del nostro folclore come «Pope oe», «Nina
d’amor me consumo», «Il sandolo». Così, quando la mia
vita si è spostata a Venezia con il ristorante, mi è venuto
il desiderio di registrare dei dischi di musica tradizionale.
In città ho avuto modo di conoscere professionisti di alto livello, come i molti musicisti della Piazza San Marco,
e in particolare quelli del Caffè Chioggia. Loro mi hanno molto aiutato a perfezionarmi, mi hanno dato preziosi
consigli e abbiamo anche realizzato – insieme ad Alberto
De Meis, violinista del Lavena –Dedicato a..., un disco tutto registrato in diretta.
Se da una parte ti rivolgi al repertorio tradizionale,
hai però anche composto brani tutti tuoi.
Prima di tutto voglio dire che nei miei album non mi sono limitato a riprodurre le
versioni classiche dei pezzi tradizionali, ma
ho invece cercato di proporli in maniera più
moderna e orecchiabile. E questo è forse il
motivo per cui molti giovani ascoltano la
mia musica. Ma approfitto di questa domanda anche per fare una precisazione: una delle canzoni più divertenti e richieste tra quelle
che eseguo io, «Cancara», non è mia, l’ho raccolta da una ragazzo bravissimo, Massimo
Sofiato detto «Bubu». Spesso – anche quando, come per esempio nel caso di «Aitanni
chitanni», sono effettivamente io l’autore –
attingo la materia prima dalle storie e dalle
vite degli umili, di chi ha un’esistenza dura e
magari si consola nei bacari con qualche bicchiere di vino. Altri pezzi li ho tratti da situazioni conviviali, dove nascevano spontaneamente stornelli e motivetti estemporanei. Poi
ci sono i brani romantici, come «Venezia città dell’amore», che ho scritto insieme a un amico di Pellestrina. Insomma l’ispirazione ha molte provenienze diverse.
Parliamo dei tuoi dischi.
Ho inciso quattro cd. Il primo, Canti della laguna veneta,
quando ero ancora a Pellestrina. Il secondo è Do rose in
scarsea, in collaborazione con Luigi Turin (detto «Turi»).
Il terzo è il citato Dedicato a..., dove il dedicatario esplicito
è mio padre. Il quarto infine è Barbacheco: il titolo proviene da una vecchia canzone di pescatori, ma c’è anche una
motivazione familiare: i miei nonni si chiamavano tutti e due Francesco, e il diminutivo più corrente di questo
nome è Checo. Invece «Barba» era un modo comune di
chiamare un parente. Da qui Barbacheco...
Vorrei aggiungere in chiusura il mio punto di vista sul
Carnevale. Per me è l’occasione perfetta per far cantare
in tutti i campielli i cantanti di folclore, che stanno scomparendo. Tutta la città dovrebbe essere riempita di musica con chitarre, fisarmoniche e mandolini, senza rumorose e costose amplificazioni. E da qui, attraverso l’ascolto della loro musica, dovrebbe nascere nei veneziani il
piacere – come del resto accade in altre parti d’Italia, basta pensare a Viareggio – di tornare a costruirsi il proprio costume nei mesi precedenti, e il giorno che il Carnevale inizia andare a prendere lo spritz mascherati... ◼
l’altra musica
l’altra musica — 43
44 — l’altra musica
Vedrai
com’è bello…
N
di Gualtiero Bertelli
padre mentre mi accompagnava all’incontro che il preside dell’Istituto
Tecnico Industriale «Pacinotti» di Mestre promuoveva ogni anno con gli aspiranti neoiscritti e con i relativi genitori.
Lo ribadiva con sicurezza il preside stesso quando rassicurava: «I
nostri ragazzi vengono richiesti
dalle aziende di Marghera addirittura prima che terminino le scuole, naturalmente i più bravi! Ma
trovano lavoro tutti».
Cosa poteva rassicurare di più
un genitore in quel 1958, sorpreso come molti dall’incedere del
miracolo economico e dallo sviluppo grandioso della chimica a
Portomarghera? E «perito chimico» sembrava essere il mio destino in quel caldissimo mese di
settembre.
Era un Istituto enorme il «Pacinotti»: aveva più di mille iscritti e
sfornava centinaia di tecnici variamente specializzati ogni anno, quando
gli altri Istituti superiori di Venezia raggiungevano con fatica i due, trecento
studenti. Da tutti i punti di vista ti preparava alla fabbrica, te la sentivi dentro
fin dal primo giorno e d’altro non si parlava: ci sorprendevano quotidianamente notizie di nuove tecnologie, nuove
produzioni, nuovi reparti e aziende. Il
lavoro, il nostro lavoro sicuro, lì a portata di mano.
Non fu per me l’anno glorioso che in
famiglia si aspettavano. Mi «rimandarono» in quattro materie: tecnologia, disegno tecnico, falegnameria e officina,
cioè tutte le materie tecniche del biennio. Avevo decisamente sbagliato scuola. Se n’è convinto anche mio padre che,
tornato una notte dal lavoro dopo la
bocciatura settembrina, mi ha svegliato
e mi ha detto «Doman ti va a iscriverte
ale Magistrali» e, notando il mio assonnato stupore, ha continuato: «Non xe che ti farà el maestro, par carità, ma ti ciaparà ‘sto benedeto toco de carta
e dopo qualcosa ti farà…» Poi, percependo tutte le mie
perplessità, continuava: «I me lo ga consiglià. E dura solo quatro ani e ti ricuperi l’anno che ti ga perso … e po’ e
xe più facili… ghe xe tute done!».
l’altra musica
e era convinto mio
Gli anni sessanta incominciano con qualche avvisaglia
di crisi industriale e con la ricomposizione dell’unità sindacale. Il decennio è stato contrassegnato da tre tornate
di rinnovi contrattuali determinanti per capire la natura
specifica del sessantotto nel nord industriale. Nel ’62, ’65
e ’68 c’era il rinnovo del contratto dei chimici, nel ’63, ’66
e ’69 era la volta dei metalmeccanici; inoltre nell’autunno
del ’64 a Portomarghera ci fu il primo sciopero generale
indetto da tutti i sindacati confederali contro i licenziamenti alla SIRMA, che nel frattempo era stata occupata
dai suoi operai. Si stava preparando la fine del decennio e
studenti e insegnanti, pochini per la verità, cominciavano a comparire nei picchetti accanto agli operai. Nascevano in quegli anni comitati interpartitici, nuove aggregazioni, giornali… è una storia ampiamente raccontata.
Una mattina dell’autunno del ’66
mi trovavo davanti ai cancelli della Breda per partecipare, con altri
studenti e insegnanti, allo sciopero generale di categoria per i rinnovi contrattuali.
Nel gruppo di operai che formava il picchetto vidi un mio ex
compagno di scuola, di quel primo e unico anno di «Pacinotti».
Mi avvicinai, ci salutammo, ci raccontammo le rispettive vite e infine ricordammo speranze e attese di quell’ormai lontano ’58. «Ti
te ricordi el preside – rammenta –
El diseva ‘Vedaré che belo…’. Me
piasaria ch’el fusse qua adesso…».
Questa frase me la sono ripetuta
dentro per tutto il giorno, ripensando all’incontro.
Nel mezzo della notte sono stato svegliato da un motivo che mi ripetevo in
testa con tanto di testo e musica, e faceva: «Vedrai com’è bello/lavorare con
piacere/in una fabbrica di sogno/tutta
luce e libertà». L’ho scritto, ho fissato la
musica e poi di seguito le altre parole del
testo che ripercorrevano i ragionamenti fatti durante il picchetto.
Durante le feste di Natale di quell’anno Luisa Ronchini, Alberto D’Amico e
io, da tempo ormai Canzoniere Popolare Veneto, fummo invitati a una festa
tra amici nella bella casa del pittore Vittorio Basaglia, in campo San Polo.
Arrivammo con le nostre chitarre
ed io cantai per la prima volta «Vedrai
com’è bello».
Tra il gruppo di amici c’era anche
Roberto Tonini che lavorava a Roma
all’ufficio studi della Fiom-Cgil. Si congratulò per la canzone e mi chiese copia del testo.
Il due di gennaio mi chiamò Gianni Bosio dalle Edizioni del Gallo (proprietarie de «I dischi del sole») dicendomi pressapoco: «Ha telefonato l’ufficio studi della FiomCgil. Sono in piena campagna per i rinnovi contrattuali
e vogliono fare delle iniziative nuove. In particolare vogliono distribuire un 45 giri con la tua canzone “Vedrai
com’è bello”. Ne hai un’altra con un tema simile da metLa copertina del 45 «Vedrai come è bello». Vittorio Basaglia (foto di
Danilo De Marco – danilodemarco.it). Bruno Lauzi (bielle.org).
tere dietro? Bene, vieni su dopodomani che le incidiamo perché hanno fretta di uscire prima che gli scioperi riprendano».
Andai a Milano e mi trovai a registrare in una ex chiesa
sconsacrata adibita a sala di registrazione per orchestre e
gruppi di musica classica. Le normali sale di registrazione erano ancora chiuse per le feste. La sala era utilizzata soprattutto dalla prestigiosa etichetta di musica classica «Arcophon» fondata e finanziata da Giovanni Pirelli e diretta dal maestro Angelo Ephrikian. E c’era il maestro stesso dietro al mixer a fare da tecnico del suono.
Naturalmente tutta l’attrezzatura era predisposta per registrazioni in diretta, senza sovrapposizioni o correzioni,
per cui dovevamo registrare tutti insieme come se fosse
dal vivo. Paolo Ciarchi aveva raccolto un paio di bravissimi strumentisti, Ratti al contrabbasso e Pilot alla batteria, e dopo qualche prova abbiamo registrato prima «Vedrai com’è bello» e poi «Ingranaggi».
Riuscii a prendere l’ultimo treno della sera che mi riportò a Venezia.
Una decina di giorni dopo, con una
rapidità inconsueta, il disco era pronto
e un buon numero di copie, credo due
o tremila, presero la strada dei magazzini del sindacato di Roma.
E lì ho l’impressione che siano rimaste in buona parte e a lungo, poiché
l’opera non entusiasmò alcuni responsabili della Fiom in quanto rilevavano
che erano canzoni «perdenti», che non
davano un senso di vittoria al movimento. In effetti non sono esattamente
due inni, e forse volevano qualcosa del
genere, viste alcune successive pubblicazioni del movimento sindacale.
Perciò della mia canzone si persero
le tracce, o meglio il disco fece la sua
comparsa nella collana «La linea rossa»
e andò più o meno come altri, cioè poche copie ai nostri grandi estimatori.
Quattro anni dopo, nel 1971, la tv di
Stato concordò con Cgil, Cisl e Uil la
realizzazione di una trasmissione di informazione sindacale, «Turno C», e ne
affidarono la conduzione a due giornalisti esperti dei temi trattati dalla trasmissione; uno dei
due, l’altro non l’ho mai incontrato e non lo ricordo, era
Aldo Forbice.
Come responsabile musicale del programma fu indicata
Giovanna Marini, e credo sia stata lei a proporre come sigla proprio «Vedrai com’è bello», con il sostegno, in particolare, di Bruno Trentin.
Accettata obtorto collo la canzone, i responsabili Rai posero però il problema dell’interpretazione che non poteva essere affidata a uno sconosciuto, cioè il sottoscritto,
e per giunta con quella voce sgraziata, per cui fu scelto
Bruno Lauzi, al quale fecero avere solo il pezzetto di canzone che doveva interpretare, che rispetto al testo originale ha anche una significativa variazione. Nel mio testo
a un certo punto si legge: «Qui dentro non c’è tempo/non
c’è spazio per la gente/qui si marcia con le macchine/e
non si parla di libertà». Nella versione televisiva quest’ultimo verso è stato trasformato in «e ci si perde in libertà»
che può essere inteso come esattamente opposto all’originale (la libertà è così tanta che ci perdiamo dentro) oppure, con un prezioso gallicismo, qualcuno per quanto riguarda la libertà un po’ ci perde.
A volte la censura sa essere anche poetica!
Qualche mese dopo l’inizio della trasmissione ero a Roma per una serata al Folk Studio. Mi informai dove si trovava la redazione di Turno C, presi la mia chitarra e mi
presentai dai portieri di via Teulada, se non ricordo male, dicendo che ero l’autore della sigla della trasmissione
e che volevo parlare con qualcuno dei curatori. I portieri
fecero una telefonata e pochi minuti dopo venne a prendermi un giovane giornalista che si presentò come Aldo Forbice.
In redazione mi attendeva una grande curiosità. Avevano sospeso il lavoro e si erano avvicinati per sentire
le mie risposte alle domande di Forbice. Quindi, fuori la
chitarra e via con la mia «Vedrai com’è
bello» tutta intera e ben urlata.
Lo stupore intorno fu grande: nessuno sapeva che fosse una canzone vera e
propria, con un testo così lungo e così
duro e soprattutto che si potesse cantare così, visto che erano abituati ai sussurri di Lauzi.
Qualche mese dopo Forbice con la
troupe di Turno C venne a Mira, mi ripresero nel corso della mia giornata di
lavoro e alla sera durante un concerto a Mogliano Veneto e il tutto finì in
un lungo servizio nel numero seguente della trasmissione. Quella sera la sigla di chiusura durò più a lungo, e soprattutto ebbe un’interpretazione decisamente diversa dal solito.
A Lauzi, durante i suoi concerti,
spesso chiedevano «la canzone di Turno C», per cui un giorno Bosio ricevette da qualcuno, a nome del cantautore, la proposta di incidere la canzone a
patto che i diritti di edizione fossero ripartiti. Si fa così nel mondo della musica: i diritti di edizione sono i veri soldi
che girano, e a costo zero. Bosio rispose che la canzone aveva già una sua interpretazione, quella dell’autore, e una
sua edizione, e buona notte. Pochi editori avrebbero risposto così a Lauzi in quel momento, ma anche in questo
i «Dischi del sole» e le «Edizioni del Gallo» erano diversi.
Ha avuto una larga diffusione quel mozzicone di canzone, ma per i più è sempre rimasta «la canzone di Turno C».
Vi chiederete com’è andata a finire con le Magistrali.
Ho fatto il maestro elementare per trent’anni, e se tornassi indietro lo rifarei.
Insomma in Italia, paese di eroi, di santi e di navigatori,
insegnare è una missione e non ci si arriva per caso o per
disperazione, ma per scelta consapevole. ◼
In alto: Bruno Trentin.
Sopra: Gianni Bosio (foto di Giuseppe Morandi, iedm.it).
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