Il multitasking - Formazione in Psicologia

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Mariotti, N. – Il multitasking: incontro con il senso nell’età del movimento
Il multitasking: incontro con il senso nell’età
del movimento
di Nicola Mariotti
© 2009 www.spc.it
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Mariotti, N. – Il multitasking: incontro con il senso nell’età del movimento
Si chiama multitasking - concetto mutuato dall’informatica per identificare la
capacità di un sistema di eseguire più programmi contestualmente - ma si pronuncia
sindrome da interruzione continua provocata dall’uso multiplo di tecnologie digitali. Più
semplicemente è la tendenza schizofrenica di chi oggi vive completamente immerso
nell’ecosistema
tecnologico,
seguendo
e
gestendo
più
strumenti
comunicativi,
sommerso da una quantità di dati, informazioni e stimoli.
Multitasking è parlare al telefono mentre si inviano e-mail e si ascolta musica;
guidare mentre si parla al cellulare e si prendono appunti; inviare sms mentre si
cucina; truccarsi mentre si parla al telefono. Insomma, è multitasking tutto ciò che
porta ad interrompersi di continuo per passare rapidamente da un’azione all’altra; è
fare più cose allo stesso tempo. Da questi pochi esempi non è difficile dedurre che più
o meno tutti pratichiamo qualche forma di multitasking.
La sensazione è quelle di vivere in un eterno presente riempito da più attività, alle
volte molto differenti fra loro. A prima vista sembra mancare il desiderio di
approfondire il singolo gesto o la singola attività; si pattina sul ghiaccio sottile della
vita con una grazia spaventosa, lasciando tracce quasi invisibili.
Del resto, da qualche generazione a questa parte, viviamo in una società in cui la
ricerca di gratificazioni immediate è una consuetudine ormai familiare. Da più parti
siamo spinti ad assaporare e consumare subito, qui sul posto, il potenziale di
gratificazione e piacere di ogni singola attività, prima che esso cominci a svanire come
di sicuro farà ben presto. A questo proposito Bauman (2003) sostiene che “se i nostri
antenati venivano plasmati ed addestrati in primo luogo come produttori, noi veniamo
plasmati ed addestrati in primo luogo come consumatori, e tutto il resto viene dopo.
Attributi considerati dei pregi in un produttore (acquisire abitudini, seguire le usanze,
tollerare la routine e schemi comportamentali ripetitivi, rimandare la gratificazione,
avere esigenze stabilite), nel caso di un consumatore si trasformano nei difetti più
spaventosi”.
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Siamo educati alla scelta, ed il multitasking ne è forse l’espressione più lampante.
Ed è per questo che mentre scrivo questo articolo, ascolto musica e chatto con un
amico e magari cercherò su google il cinema più vicino. Non voglio lasciarmi scappare
neanche una piccola parte di quello che, anche stando seduto ad una scrivania, mi
viene offerto con tanta facilità. Assuefatto ad una pluralità di sensazioni che emergono
dal semplice “chattare” mentre ascolto i miei pezzi preferiti, ne vado alla continua
ricerca, componendo e ricomponendo il presente secondo i miei gusti.
Ma ancora non ne sono estremamente convinto, la mia generazione in questo fa un
po’ da spartiacque.
Magari potrei dedicare più tempo all’amico che è tanto che non vedo. Trovare
un’ora nel corso della giornata per andare a prendere un caffè e sentire come sta.
Potrei mettermi comodo sul letto, ad ascoltare in cuffia un bell’album per intero o
finire il romanzo che da giorni prende polvere sul comodino. O ancora, sdraiato,
fissare il soffitto per riordinare un po’ le idee, quel turbine d’impressioni e pensieri che
m’accompagna giornalmente.
Alessandro Baricco nel suo “Saggio sulla Mutazione” in cui si accenna anche al
multitasking scrive che “l’uomo è capace di una tensione che lo spinge al di là della
superficie del mondo e di se stesso, un terreno in cui […] la grandezza dell’animo
umano con pazienza, fatica, intelligenza e gusto, assolve per così dire al compito
nobile di una prima creazione”.
Più prosaicamente, l’accesso al senso profondo delle cose prevedeva, per le
generazioni precedenti una fatica: tempo, erudizione, pazienza e volontà. Solo un
viaggio in verticale nel sapere o nell’arte, poteva portare ad incontrare il significato e
dare senso ad un esistenza. Tutto ciò comportava una scelta fondamentale sul campo
da esplorare, una scelta che avrebbe escluso tutto il resto, ma sia la scelta sia il
faticoso esercizio di coerenza erano di per sé piaceri.
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Adesso non è più così. Non penso che la cosiddetta generazione multitasking sia di
per sé svogliata o rammollita, semplicemente non ci trova più alcun piacere. Non
potrebbe essere altrimenti in una società che offre una vastissima libertà di scelta, in
cui il sapere, e quindi i punti di vista, le opinioni, le “verità”, viaggiano a livelli
incredibili, in cui lo straniero vive nella porta di fronte, in cui la tecnologia offre
soluzioni multitasking a poco prezzo, in cui si può comunicare immediatamente e con
chiunque, ovunque esso sia.
Ecco quindi che nasce, secondo la definizione di Baricco, l’ uomo orizzontale, l’uomo
che “si tiene inevitabilmente
lontano
dalle profondità, che per
lui è ormai
un’ingiustificata perdita di tempo, un inutile impasse che spezza la fluidità del
movimento. Il senso è potenzialmente ovunque. Una cosa ha senso, è il senso, se è
connessa con il resto, o comunque connettibile”.
In generale l’uomo orizzontale va dove trova sistemi passanti ed il multitasking ne
è un esempio. “Nella loro ricerca di senso, d’esperienza vanno a cercarsi gesti in cui
sia veloce entrare e facile uscire. Privilegiano quelli che invece di raccogliere il
movimento, lo generano.[…] Non si muovono in direzione di una meta, perché la meta
è il movimento. Le loro traiettorie nascono per caso e si spengono per stanchezza,
non cercano l’esperienza, lo sono”. Baricco tratta quindi il fenomeno del multitasking,
inserendolo in un contesto più ampio: nell’ambito cioè di una generale mutazione (il
sottotitolo è proprio Saggio sulla mutazione) che vede una rivoluzione del concetto di
fare esperienza, d’incontro con il senso e con il significato di un’esistenza.
“Fare esperienza” sostiene “è una possibilità che può venire a mancare, non è dato
automaticamente nel corredo della vita biologica. L’esperienza è un passaggio forte
della vita quotidiana, un luogo in cui l’esperienza del reale si raggruma in pietra
miliare, ricordo e racconto. È il momento in cui l’umano prende possesso del reame.
Per un attimo ne è padrone e non più servo. Fare esperienza di qualcosa, significa
salvarsi. Non è detto che sia sempre possibile. L’esperienza nel senso più alto e
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salvifico, era legata alla capacità di accostarsi alle cose, una per una, di maturare
un’intimità con esse capace di dischiuderne le stanze più nascoste. Spesso era un
lavoro di pazienza, e perfino di erudizione e di studio. Ma poteva anche accadere nella
magia di un istante, nell’intuizione lampo che scendeva fino in fondo e riportava a
casa l’icona di un senso, di un vissuto effettivamente accaduto, di un’intensità del
vivere. Era comunque una faccenda quasi intima fra l’uomo e una scheggia del reale:
un duello circoscritto, e un viaggio in profondità”.
Questo fino ad adesso…
“Sembra invece che per questi mutanti, per i barbari al contrario” - così Baricco
definisce gli esponenti della cosiddetta generazione M., non in senso dispregiativo, ma
per farci prendere confidenza con altre mutazioni od invasione occorse nella storia e
diventate col tempo una parte di noi e della nostra visione del mondo - “la scintilla
dell’esperienza scocchi nel veloce passaggio che traccia tra cose differenti la linea di
un disegno. È come se nulla fosse più esperibile, se non all’interno di sequenze più
lunghe, composte da differenti qualcosa. Perché il disegno sia visibile, percepibile,
reale, la mano che traccia la linea dev’essere un unico gesto, non la vaga successione
di gesti diversi, un unico gesto completo. Per questo dev’essere veloce e così fare
esperienza delle cose, diventa passare in esse il tempo a trarne una spinta sufficiente
a finire altrove. […] Così il mutante ha imparato un tempo, minimo e massimo, in cui
dimorare nelle cose”.
Baricco sembra quindi fornirci l’ennesima prova delle capacità adattive dell’essere
umano, che in maniera molto intelligente e flessibile riesce ad adattarsi ad un
ambiente estremamente complesso e contraddittorio, in cui la liberta di scelta è ai
massimi storici.
Tuttavia mi sembra di poter evidenziare due tratti potenzialmente critici nel
multitasking: l’isolamento e la scomparsa del tempo della riflessione.
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Prendendo spunto dall’articolo della Wallis sulla Generazione Multitasking, che si è
guadagnato di recente la copertina della prestigiosa rivista americana “Times”, sembra
che i giovani – la ricerca è stata condotta dall’americana Kaiser Family Foundation su
un campione dagli 8 ai 18 anni – passino 6,5 ore al giorno utilizzando strumenti
elettronici, ma il dato più lampante è che il tempo d’esposizione ai media sale
addirittura a 8,5 ore giornaliere, grazie al “media multitasking”.
Quello che colpisce è che i ragazzi non prestano attenzione al ritorno dei genitori a
casa, al quale al massimo si dedica un “ciao” svogliato: la maggior parte del tempo i
figli
rimangono
avvolti
dalla
loro
nube
tecnologica,
svolgendo
più
attività
contemporaneamente, monitorizzando i vari display da cui sono circondati. Di pari
passo si nota la difficoltà dei genitori nel penetrare l’universo dei figli, molte volte
costretti alla ritirata di fronte alla frenetica attività, condotta con apparente
nonchalance, dai ragazzi.
Il multitasking sembra condurre quindi ad un progressivo isolamento, in cui si nota
l’assenza delle relazione faccia a faccia. Le relazione umane infatti, o sono assenti o
sono mediate da strumenti tecnologici: telefoni, chat, mail e sms. Tutto questo ha
delle ripercussioni sull’acquisizioni sia delle abilità empatiche – essere in grado di
riconoscere gli stati d’animo dell’interlocutore e di conseguenza i propri – sia delle
abilità espressive. Il problema è che con il multitasking si conoscono e si
approfondiscono modalità comunicative - c’è un apparente relazione, c’è l’incontro con
l’“altro” - che si possono percepire anche soddisfacenti, ma che in realtà sono
superficiali e mancano della componente non verbale che costituisce gran parte della
comunicazione interpersonale.
Le chat o i social network spingono alla disinibizione, all’abbassamento del normale
“imbarazzo sociale”, che si può concretizzare per gli adolescenti, in una sensazione
liberatoria, ma può anche ridurre le capacità espressive ed empatiche in contesti
meno “protetti”, faccia a faccia.
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Il mondo virtuale infatti, diventa un laboratorio sperimentale, e le chat appaiono
come luoghi sicuri, dove poter acquisire fiducia nelle proprie capacità e incrementare
l’autostima, dare espressione a tratti repressi di sé, esplorare nuove identità, ma tutto
ciò può avvenire a prescindere da un reale coinvolgimento emotivo ed affettivo, e
condurre a vissuti di “vuoto” e di isolamento, oltre che sfavorire l’apprendimento di
capacità metacognitive sui propri vissuti emotivi.
Mentre per quanto riguarda l’altro punto, la scomparsa del tempo della riflessione, il
fenomeno sembra essere più grave e riguardare un’ampia fascia d’età, di cui però non
sono in grado di delineare i confini.
La Wallis fa cenno ad una consuetudine riportata da molti insegnanti: nei minuti fra
una lezione o l’altra o durante la ricreazione, gli studenti afferrano subito il cellulare,
per usufruire delle sue svariate funzioni. Più in generale basta guardarsi attorno per
notare che nei momenti morti fra un’attività o l’altra, nel tempo speso per muoversi,
nelle attese e nel tempo libero in generale, le persone tendono a “tenersi impegnate”
in qualunque maniera, aiutate dalla pluralità di funzioni del loro cellulare o dal
portatile. Il tempo per rilassarsi e riflettere, necessario a consolidare fra l’altro pensieri
e memorie viene abolito; “sembra che gli studenti non riescano a sopportare il
silenzio” continuano gli insegnanti intervistati.
La scomparsa del tempo della riflessione si accompagna all’assenza della solitudine;
quel modo autentico, positivo e vitale di stare al mondo. Non la solitudine del
misantropo, che vive nella preoccupazione di subire danni e ingiustizie da parte degli
altri che rimangono perciò sempre presenti nel suo timore, piuttosto quella di chi
cerca una pausa di raccoglimento che gli permetta di sentire meglio il sapore della
vita. Una pausa in cui, riprendendo le parole di Abbagnano, “l'uomo è possibilità,
progettualità aperta sul mondo, norma a se stesso, lettura interiore dei suoi possibili
che nulla hanno a che vedere con lo sguardo estetizzante, narcisistico, ripiegato su se
stesso dell'intimismo, ma anche con forme di solitudine negativa (il nulla, la nausea,
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lo scacco o naufragio)”. Scompare perciò il tempo in cui il rifugio nella mente - lontano
dalla sovrastimolazione quotidiana, fuori dalla onnipresente nube tecnologica - non è
fuga né isolamento, ma il luogo in cui esprimere desideri, sogni, e progettare come
intervenire sulla realtà, per realizzarli. È un polo di quel ritmo di apertura e
raccoglimento che permette di rielaborare i vissuti, riorganizzare memorie e pensieri,
procedere nella narrazione di se stessi ed investire sul futuro.
Nel multitasking quindi si possono evidenziare alcune aree di criticità: la rincorsa al
presente e la scissione frenetica del tempo in costellazioni di sensazioni, la ricerca di
gratificazioni immediate, il progressivo isolamento e l’assenza di quella solitudine
positiva, fertile, che conduce alla riflessione, e alla progettualità.
Il multitasking ci spinge però ad un’ulteriore riflessione, di carattere certamente
positivo, perché si costituisce come una nuova, radicale, forma di esperienza, una
nuova idea d’esperienza. Una nuova localizzazione del senso. Una nuova forma del
percepire. Una nuova tecnica di sopravvivenza.
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Cenni di neurofisiologia
La maggior parte degli studiosi, impegnati nel campo della neurofisiologia, sostiene
che il superlavoro cui sottoponiamo il nostro cervello è davvero notevole e gli effetti
cui si va incontro sono deleteri, perchè spostare l’attenzione da un compito all’altro
pregiudica
la
concentrazione
attenzionale
e
percettiva,
l’apprendimento
e
l’acquisizione di una conoscenza approfondita, peggiora le performance intellettive,
riduce la produttività, rende meno pronti e incide sull’umore. Inoltre, molteplici attività
in contemporanea creano soltanto l’illusione di saper fare tante cose insieme e
soprattutto non fanno sicuramente guadagnare tempo.
In particolare passare con l’attenzione da un compito ad un altro, risulta in
un’attivazione dell’area 10 di Broadman, situata nelle regioni prefrontali della
corteccia. L’area 10 di Broadman è fondamentale per mantenere e raggiungere un
obbiettivo a lungo termine; consente di abbandonare un compito non ancora concluso
e ritornarvi in seguito, dopo aver svolto atri compiti nel frattempo. Per questo una
delle caratteristica peculiari del multitasking è l’utilizzo della memoria prospettica responsabile del richiamo dell’intenzione di svolgere il compito lasciato incompiuto che consente la creazione e la realizzazione di intenzioni ritardate, deferite. Questo
perché la combinazione dell’intervallo di tempo durante il quale il compito viene
deferito o l’intenzione mantenuta, e il grado d’attenzione richiesta dal compito svolto
nel medesimo intervallo, richiede che si debba prevedere il richiamo volontario
dell’intenzione di tornare al compito precedente.
Dagli studi di Risonanza Magnetica Funzionale del Cervello (RMf-Brain-Imagin) si
può affermare che l’elaborazione in parallelo dell’informazione va ad attivare ben poco
le zone centrali del cervello responsabili del confronto con i processi mnemonici a
lungo termine (talamo ed ipotalamo).
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L’abitudine a saltare da un processo di integrazione cerebrale dell’informazione ad
un altro con una elevata frequenza, certamente cambia la forma di intelligenza poiché
cambiano le modalità di articolare il pensiero, aumentando contemporaneamente lo
stress e diminuendo il controllo della percezione cosciente, determinato in precedenza
dal confronto costante con la memoria a lungo termine.
In definitiva, dalle ricerche emerge che se da una parte il multitasking comporta
una capacità di elaborazione più veloce e flessibile delle informazioni, dall’altra inibisce
i processi di formazione della memoria a lungo termine.
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Bibliografia
Baricco, A. (2006). I barbari. Saggio sulla mutazione. Feltrinelli, Milano.
Bauman, Z. (2003). Intervista sull’identità. Editori Laterza, Bari.
Borges, P.W. (2000). Strategy Application Disorder: the role of the frontal lobes in
human multitasking. Psychological Research, 63, 279-288.
Buhener, M. (2006). Working memory dimension as differential predictors of the
speed and error aspects of multitasking performance. Human Performance, 19, 253275.
Carrara, C. (2000). La solitudine nelle filosofie dell'esistenza, Franco Angeli, Milano.
Ishizaka, K., Marshall, S.P., e Conte, J.M. (2001). Individual differences in
attentional strategies in multitasking situation. Human Performance, 14, 339-358.
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