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Pubblicato il 22 Aprile 2013
Rileggendo e rivedendo lo spettacolo dei figlioletti dell'Alvin Ailey American Dance Theater
Ailey II secondo Troy Powell
Athos Tromboni
FERRARA - Riguardo oggi le fotografie, e rivedo lo spettacolo. È quasi sorprendente il fatto che, riletto
a giorni di distanza, un giudizio possa sembrare sufficientemente descrittivo o, viceversa, incompleto.
Una riflessione - La colpa? È interamente attribuibile all'avarizia dei tempi che ti sono concessi dal
quotidiano cartaceo che ti ha commissionato lo scritto, unitamente alla necessità di scrivere "a caldo".
Perché il redattore non può aspettare le riflessioni più profonde del critico, deve impaginare, titolare,
redigere e salvare: entro le ore 22 (poi le pagine culturali chiudono entro le 17 o le 18, perché sono
considerate "comode" in quanto programmabili. Non come le disgrazie che non sono programmabili e
quando succedono in tarda ora della sera, il quotidiano deve essere smontato e reimpaginato, per
dare spazio alla cosiddetta "ultim'ora"). Ebbene ho riletto la recensione che feci per La Nuova Ferrara,
pubblicata su quel quotidiano il 18 aprile 2013, e la trovo... sorprendentemente descrittiva. Tale da non essere toccata
neanche nelle virgole. La pubblico qui, nel mio Diario, integralmente, per la gioia e la comodità dei miei biografi (ce ne
saranno?)...
La recensione - L'ultimo spettacolo della stagione di danza del Teatro Comunale, martedì 16 aprile 2013, è stato salutato da
un pubblico strabocchevole e plaudente per «Ailey II» presentato dalla compagnia giovanile dell'Alvin Ailey American Dance
Theater.
Ora l'appuntamento per i ballettofili è per il mese di settembre, quando verrà ufficialmente presentato il cartellone 2013-2014.
«Ailey II» si compone di quattro coreografie di cui una soltanto, Revelations, è dovuta allo scomparso fondatore della
compagnia (morì nel 1989 all'età di 58 anni) ed è stata quella più applaudita, in quanto appartiene ormai al miglior repertorio
storico della danza di tutti i tempi; le altre tre coreografie erano di epigoni di Alvin Ailey, continuatori del suo messaggio
estetico: di Thang Dao la prima (Echoes) realizzata nel 2008; di Jessica Lang la seconda (Splendid isolation 2, anno 2006); e
di Robert Buttle la terza (The hunt, anno 2001, in prima esecuzione nazionale per l'Italia).
Revelations ha confermato al pubblico che la produzione più tipica dell'Alvin Ailey American Dance Theater faceva perno sul
corpo umano e sul colore: ogni gesto, ogni assolo, ogni assieme è fantasioso, luminoso, contrastato, la gestualità si alterna
fra lirismo neoclassico e dinamismo del ballo di strada americano; danzatori e danzatrici hanno corpi scultorei, slanciati,
collo e gambe lunghe per le donne, torsi e bacini asciutti e bronzei per gli uomini. Non è ininfluente, per il risultato finale, il
possesso di tali requisiti e anche la compagnia giovanile, al pari della maggiore, non sfugge a questi canoni.
Fra le tre coreografie, quella che più ci è sembrata assimilabile al credo di Ailey è stata la prima; il coreografo vietnamita
Thang Dao, supportato dalla stupenda musica neobarocca di Ezio Bosso, compositore vivente, ha proprio fatto del lirismo
classicheggiante sui tempi lenti e, sui tempi veloci, del dinamismo rigorosamente geometrizzato, il centro della propria
invenzione coreografica. Ed ha puntato, più che sulle policromie di costumi e fondali (come piaceva al fondatore), sulle
monocromie in successione, ora arancione, ora azzurro, ora verde o rosso. L'effetto che ne scaturiva era di forte impatto,
anche per quel farsi e disfarsi (sempre in rigorose composizioni geometriche) dei gruppi distribuiti sullo spazio scenico e
degli assieme tutti-al-centro.
Poesia commovente è emersa invece dalla liricissima Splendid isolation 2, della Lang, un pezzo di 4 minuti sulla preghiera
medievaleggiante «O Maria stella maris» danzata dalla perfetta Anne O'Donnell in pura solitudine: un fascio di luce dall'alto, il
vestito bianco con uno strascico che si espandeva tutt'intorno alla danzatrice come se lei fosse il pistillo d'un fiore sbocciato e
quella gestualità seducente, carica di passione mistica.
Atletico invece il gesto dei sei danzatori per The hunt, di Buttle, dove le percussioni di Les Tambours del Bronx hanno fatto
pensare ad un antico rito voodoo trasposto nelle strade di New York. Dopo Revelations è stato questo lo spettacolo più
applaudito dai giovani e giovanissimi del pubblico, con urletti e fischi all'americana, gli stessi che caratterizzano l'entusiasmo
dei teen-ager per le esibizioni delle rock-star negli stadi del mondo.
Post scriptum - Terminata la recensione, aggiungo qui (per necessità di cronaca) quello che - per motivi di spazio cartaceo non ho potuto veder pubblicato su La Nuova Ferrara: e cioè che dopo lo spettacolo la ballettologa Elisa Guzzo Vaccarino ha
coordinato un dibattito fra Troy Powell - accompagnato dal management della compagnia e da alcuni ballerini - e il pubblico
rimasto in platea, come mostra la fotografia più sopra pubblicata.
Crediti fotografici: Eduardo Patino (New York) e Marco Caselli Nirmal (Ferrara)
Nella miniatura in alto: il coreografo e danzatore scomparso, Alvin Ailey
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