Soluzione: 1. La dottrina della Chiesa insegna che, nell’unione coniugale, l’uso del preservativo da parte dell’uomo al fine di impedire la procreazione, costituisce un atto intrinsecamente e gravemente illecito1. Come insegna Giovanni Paolo II: l’atto coniugale “significa” non soltanto l’amore, ma anche la potenziale fecondità, e perciò non può essere privato del suo pieno e adeguato significato mediante interventi artificiali (…) In tal caso l’atto coniugale privo della sua verità interiore, perché privato artificialmente della sua capacità procreativa, cessa anche di essere atto di amore. Si può dire che nel caso di un’artificiale separazione di questi due significati, nell’atto coniugale si compie una reale unione corporea, ma essa non corrisponde alla verità interiore e alla dignità della comunione personale2. 2. Nel caso di gravi infezioni causate da trasmissione sessuale, conviene tenere presente che l’uso della sessualità, oltre a essere governato dal sesto comandamento (n. 1), va anche contro il quinto (non si può nuocere alla salute dell’altra parte). Si dà quindi una doppia malizia: contro il sesto e contro il quinto3. Quando uno dei coniugi può trasmettere all’altro una malattia grave per via sessuale, la cosa normale sarà consigliare di astenersi4, al fine di evitare ogni pericolo5 al coniuge sano (al quale si vuole veramente bene), e solo in casi estremi (minacce gravi o pericoli di violenza fisica, o quando si deve evitare la rottura con l’altro coniuge per poterlo aiutare a rettificare e per salvare allo stesso tempo gli altri importanti beni in gioco: stabilità della famiglia, bene dei figli, ecc.) si pone l’esigenza di carità di avere relazioni sessuali. Può succedere che in alcuni di questi casi limite la donna – per cause gravi e lasciando sempre chiara la sua opposizione –, debba accettare l’unione con il marito che usa il preservativo (è una cooperazione materiale che può essere lecita perché non è lei quella che impedisce la fecondazione), però deve rimanere chiaro che si tratta di un caso limite. 1 Si tratta in effetti di un uso attraverso il quale si separa volontariamente l’atto coniugale dalla sua capacità procreativa: cfr. PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 14; PIO XI, Enc. Casti connubii: AAS 22 (1930) p. 560. 2 GIOVANNI PAOLO II, Udienza, 22-VIII-1984, nn. 6-7. 3 Nel caso, ad esempio, di uomini che si prostituiscono, rimanendo immutato il peccato contro il sesto comandamento, si può diminuire – senza annullarla completamente – la gravità del peccato contro il quinto, se si mettono in atto mezzi che riducono il rischio di infezione dell’altra parte. Questo ragionamento va presentato senza che di fatto costituisca in un certo qual modo una cooperazione o un incitamento a commettere atti che comportano di per sé una malizia contro il sesto comandamento, si usi o meno il preservativo. È lo scandalo che si dà quando si parla di questo in scuole, agenzie di viaggio, ecc., trasmettendo l’idea falsa che l’unico male di questi atti contro il sesto comandamento consisterebbe nell’implicare rischi di infezione (“non sono sicuri”). Poiché il preservativo si usa molte volte in atti che già di per sé (per ragioni diverse) sono cattivi, l’affermazione “preservativo sì” confonde, perché fa pensare che si approvano questi atti purché si eviti il pericolo di trasmettere malattie. 4 È interessante notare come, nel suo recente libro “Luce del mondo” (LEV, Città del Vaticano 2010), Benedetto XVI non tratti il tema dell’uso del preservativo fra coniugi sierodiscordanti. Fa infatti riferimento solo a situazioni molto particolari, dove già di per sé si fa un uso immorale della sessualità (pone l’esempio di uomini che si prostituiscono). In questo contesto, l’uso del preservativo può supporre, come detto nella nota precedente, una diminuzione della malizia dell’atto morale rispetto al quinto comandamento, nel caso che implichi una possibile diminuzione del rischio di infezione da AIDS nel partner; in ogni caso l’atto continua ad essere gravemente immorale in relazione al sesto comandamento. 5 Diversi studi hanno analizzato il tasso di sieroconversioni (passaggio dallo stato di sieronegatività a quello di sieropositività) in coppie eterosessuali in relazione all’uso del preservativo. Attualmente si considera come provato che la percentuale di sieroconversioni su cento persone in un anno è inferiore al 7%, e che l’uso del preservativo lo fa scendere a un valore di poco inferiore al 1%, senza però eliminarne la possibilità. Allo stesso tempo, in diverse occasioni il fallimento della prevenzione mediante l’uso del preservativo si deve non tanto al passaggio del virus attraverso il lattice che lo compone, quanto alla sua rottura o scivolamento. 1 3. Un altro caso nel quale non esiste ancora un insegnamento magisteriale definito, né una dottrina condivisa dagli specialisti, è quello che comporta l’uso del preservativo da parte di coniugi sierodiscordanti quando, per esempio a motivo dell’età, non ci può essere concepimento. Ne andrebbe studiata la liceità – ragionevolmente dubbiosa – a causa della intenzionalità sanitaria che implica, sempre con la condizione sine qua non della certezza di questa impossibilità. J.Y. 1 dicembre 2010 2