La Cultura? Tutta questione di Marketing! #marketingculturale Raffaello Castellano (110) Poniamo un quesito: cos’è una materia prima? Beh, dipende da quale presupposto partiamo. Per Wikipedia sono considerate materie prime tutti quei materiali che sono a lla base per la fabbricazione e produzione di altri beni tramite l’utilizzo di opportune lavorazioni e processi industriali che permettono di ottenere il prodotto finale desiderato. Costituiscono in pratica il grezzo originario. Ma, se siamo il dirigente di una grande azienda, le materie prime potrebbero essere sia la struttura fisica dell’azienda, sia i materiali che vengono trasformati in prodotti, sia, in un certo senso, i dipendenti. Se siamo un professore universitario, le materie prime sono i libri, i concetti che insegno e, in una certa misura, possono essere materie prime da trasformare anche gli studenti. Ma se siamo una Nazione, un Paese, questo concetto abbastanza vasto e sfaccettato di materia prima si può riassumere, grosso modo, nella definizione di Wikipedia. Ma ne siamo proprio sicuri? Per un Paese come la Cina la materia prima più importante è senza dubbio l’immensa quantità di forza lavoro. Per la Russia sicuramente sono le risorse di gas naturale, carbone e la fertilità e vastità dei terreni agricoli. Per l’Africa, sono le miniere di oro, diamanti, carbone ed i paesaggi selvaggi ed incontaminati della savana e delle foreste pluviali, autentici bacini di biodiversità. Ma per un Paese come il nostro quali sono le materie prime? Non abbiamo petrolio, se non in qualche zona della Basilicata (qualcuno dice pure al largo del mar Mediterraneo); non abbiamo grandi risorse minerarie come carbone, oro, argento. Abbiamo sì eccellenze alimentari, soprattutto olio, vino, formaggi, salumi, ma non siamo né il granaio d’Europa, né il suo allevamento. Allora cosa ci rimane? Qualcuno dirà: abbia mo il tessuto imprenditoriale delle piccole e medie imprese, vero traino del Paese, autentiche produttrici di quello che viene definito made in Italy. Sì, è vero, ma l’effettiva materia prima del sistema Italia è, che lo sappiate o no, che lo vogliate o no, che lo neghiate o no, la nostra Cultura, il nostro immenso e diversificato patrimonio culturale. Ho scritto appositamente Cultura con la lettera maiuscola perché questa materia prima vede il nostro Paese fra i primi del mondo, sia per quantità che per assoluta qualità. Non credete a chi dice che possediamo il 50%, il 60% o il 70% del patrimonio mondiale: un censimento dei beni culturali, su scala planetaria, non è stato mai fatto (e come si potrebbe?), però è vero che siamo il Paese con il maggior numero di Patrimoni Unesco al mondo. Al dicembre 2013, ne possediamo 50, più della Spagna che si ferma a 43, più della Germania che ne ha 39, più dei cugini Francesi che ne possiedono 38, addirittura più della vasta Cina, che con i suoi 46 siti si attesta solo al 2° posto. Questa immensa quantità di siti Unesco fa di noi una delle mete predilette del turismo culturale, anche se negli ultimi anni abbiamo perso alcune posizioni nella classifica mondiale, redatta dal WTO (World Travel Organization): nel 2013 siamo solo quinti, neanche sul podio, dunque. Il primo posto è della Francia, seguita dagli Stati Uniti, il terzo e quarto sono occupati rispettivamente da Spagna e Cina. Eppure il Belpaese può contare, oltre ai 50 siti Unesco, su 3.400 musei, 800 monumenti e 130 aree archeologiche: allora perché non siamo neanche medaglia di bronzo? Un imprenditore direbbe che non riusciamo a capitalizzare il nostro patrimonio, ed avrebbe ragione. Proprio l’immensità del nostro patrimonio storico, artistico culturale da proteggere e preservare, e soprattutto promuovere, come attrattore turistico ha visto negli anni l’inadeguatezza delle varie Amministrazioni Pubbliche, siano esse locali, regionali o nazionali. Il problema è serio, se pensiamo alla sciagurata condizione in cui versa il sito di Pompei, con crolli ormai sempre più frequenti, ad ogni spruzzata di pioggia. Eppure un’altra via esiste e si chiama Marketing Culturale, una disciplina, o meglio un approccio multidisciplinare, applicato ai beni culturali, sia materiali che immateriali. Il #marketingculturale ha mosso i primi passi circa 25 anni fa, quando alcuni esperti di marketing ed economia cominciarono a considerare la possibilità di applicare metodi e tecniche delle proprie discipline alla cultura. Ma per spiegare ai nostri lettori cosa è il marketing culturale, e soprattutto cosa potrebbe fare per il nostro Paese, faremo come di consueto un esempio. L’occasione ci è stata fornita da un recente convegno tenutosi a Taranto, nei giorni 17,18 e 19 settembre scorsi, dal titolo “Diamoci del NOI ed andiamo OLTRE”, organizzato dall’Associazione La Città che Vogliamo, che ha portato nel capoluogo jonico, tra gli altri relatori, l’architetto Ibon Areso, sindaco della città di Bilbao. Scopo degli organizzatori era quello di dimostrare che un altro tipo di sviluppo fosse possibile a Taranto, città sotto i riflettori per il caso ILVA, il disastro ambientale, l’emergenza occupazionale etc., una città che investendo, in passato, nella monocultura dell’acciaio, si trova oggi a fare i conti con le conseguenze di quella decisione. Ecco perché Bilbao! La città basca, con i suoi quasi 350.000 abitanti, assomiglia molto a Taranto, o meglio le assomigliava: città portuale, con un passato nell’industria pesante (proprio dell’acciaio), conobbe alla metà degli anni ‘80 una profonda crisi industriale ed occupazionale. Ci si rese conto allora che la città avrebbe dovuto diversificare le proprie produzioni, sia per uscire dalla crisi che per evitare in futuro un altro crack finanziario. Su cosa puntare? Fu questa la domanda che si posero i politici e, gira che ti rigira, si decise di puntare sul turismo, ma su un particolare tipo, però. Si optò per il turismo congressuale. Per farlo la città di Bilbao letteralmente si trasformò. L’anno della svolta fu il 1983, quando una devastante alluvione sommerse più di mezza città. La ricostruzione partì dalle infrastrutture, porto, metropolitana e d aeroporto. Per trasformarsi in un attrattore turistico per i manager, dirigenti, scienziati e professionisti (i tipici utenti del turismo congressuale) si intraprese un programma in quattro fasi. Primo passo: a progettare le infrastrutture nevralgiche della città furono chiamati non architetti qualunque, ma delle autentiche archistar, Sir Norman Foster (metropolitana), Santiago Calatrava (aeroporto) e Frank O. Gehry (Museo Guggenheim). Secondo passo: si incrementò il verde pubblico per promuovere una svolta ecologista ed ambientale della città. Terzo passo: al fine di diversificare le produzioni si investì in risorse umane, nuove tecnologie e servizi. Quarto passo, conseguenza degli altri 3: la cul tura diventò il nuovo asset socio – politico – economico sul quale calibrare la trasformazione. Bilbao diventò pure città universitaria. Questa trasformazione urbana, non ancora esauritasi, in capo a poco meno di vent’anni ha fatto di Bilbao una delle città più gettonate del turismo, non solo congressuale, d’Europa. Si badi bene, però, che la città non ha detto addio all’industria pesante, che rappresenta ancora il 27% del suo PIL, ma a questa (che frattanto è stata allocata fuori dal territorio urbano) ha affiancato la cultura, che oggi ne rappresenta il 6%, uno dei dati più alti al mondo. E’ stato calcolato che da solo il Museo Guggenheim, inaugurato nel 1997, ha prodotto nel triennio 1998-2000 un indotto di oltre 635 milioni di dollari. Noi di Smart Marketing, presenti al convegno, abbiamo ricevuto queste importanti informazioni direttamente dal sindaco Ibon Areso, al quale abbiamo pure chiesto quale sarebbe il suo primo atto se fosse il primo cittadino di Taranto, per far ripartire questa città. “Non so cosa farei per Taranto, poiché non la conosco bene, però la prima cosa che farei sarebbe un Piano Strategico al quale dovrebbero partecipare tutti gli attori della società civile, università, aziende, associazioni, perché tutti devono essere protagonisti del cambiamento. L ’ a r c h i tetto Ibon Areso sindaco della città di Bilbao. Viste la bellezza e la storia di Taranto, io punterei sulla cultura; quest’ultima è importante, in primo luogo, per chi vive la città, è il termometro della vitalità di una città; in secondo luogo la cultura diventa attrattiva per l’economia, la città diventa attraente per le aziende e i turisti perché sono attratti dalla sua vita culturale”. Ripensare in maniera critica la natura di una città, capire quali risorse ha da offrire, quali fra queste si sono usate e quali dimenticate, trasformare il nome della città in un brand forte e riconoscibile, usare la bellezza e la cultura come attrattori e volani economici: queste in sintesi alcune delle strategie messe in campo dal marketing culturale, che, così come a Bilbao, se applicate con metodo e costanza riescono a fare autentici miracoli. E’ questa la lezione del marketing culturale, forse fra tutte le idee proposte in questo numero della rivista quella più connaturata, affine e in un certo senso scontata da applicare all’Italia. Ad un’Italia che deve assolutamente ripartire. Per approfondire: Francois Colbert, Marketing delle arti e della cultura, Rizzoli/Etas,Milano, 2012.