quinto capitolo

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LA DONNA A FONDI
NELLA PRIMA METÀ
DEL ‘900
A cura della classe III B
LA DONNA A FONDI NELLA PRIMA METÀ
DEL ‘900
Le donne avevano un ruolo
subalterno nei confronti
dell’uomo e se si ribellavano alle
regole morali imposte dalla
società, questa le allontanava .
La vita delle donne era
caratterizzata da un circolo
vizioso, campi-casa-chiesa.
che le legava fin dalla nascita e
non potevano uscirne.
I PROVERBI diffusi in quel periodo rispecchiano
questa condizione:
• Chi fémmene nasce an facce a ju fuculare ata
pasce.
• La donna che è bella pe’ nature, chiù sciatta và, e
chiù bella pare.
• La donna rerarèlla è méza puttanélla
La donna non aveva modo di
partecipare alla vita politica e
sociale del paese.
“Ju lavature”, cioè il
torrente presso il quale le
donne, almeno un paio di volte
a settimana si recavano a
lavare i panni, rappresentava
l’unico momento di
partecipazione e condivisione.
Si facevano pettegolezzi, si
chiacchierava e si cantavano
canzoni popolari.
Le donne partivano di mattina
a piedi o su carretti portando
stagne a due manici che
mettevano sul capo.
Lavatoio pubblico sorgente Vitruvio
La rigida distinzione dei ruoli
emergeva già dall’infanzia nei
GIOCHI: quelli femminili erano
una sorta di preparazione al ruolo
che esse avrebbero dovuto
assumere da adulte nella società,
cioè moglie fedele e madre devota
(“ la cummare”, la comare, “ la
putejare”, la bottegaia…).
I giochi maschili erano fondati
sulla prepotenza e sulla forza
fisica, erano giochi che
richiedevano abilità e destrezza,
forza, qualità indispensabili al
futuro uomo destinato a sostenere
il ruolo d padre-padrone.
LAVORATRICE AUSILIARE
La donna, sia che fosse moglie di un contadino o di un
artigiano o di un commerciante, era considerata una semplice
lavoratrice ausiliare del capofamiglia.
Pur rimanendo la sua principale occupazione quella domestica
(accudire i figli e badare alla casa), la donna doveva
supportare il marito nell’attività lavorativa, senza,
naturalmente, essere retribuita. Questo suo impegno rientrava
nei doveri coniugali.
LA COLTIVAZIONE AGRUMARIA
Nella piana di Fondi la
coltivazione delle arance
(arancio biondo) era nel’900
l’asse portante
dell’economia del paese.
Nell’attività di
agrimocoltura, la donna
aveva il compito di
trasportare le arance nei
laboratori dove, donne
operaie selezionavano e
confezionavano il prodotto.
NELLE CAMPAGNE
Le donne lavoravano a fianco dei
loro mariti e i ruoli erano
ben diversi: la donna si
occupava della semina, che
avveniva facendo dei buchi nel
terreno (con un arnese chiamato
“pezzuche”) dove poi venivano
messi i semi. La donna inoltre, si
occupava della manutenzione del
granoturco, che doveva “stutarà”,
eliminando “je spojje” delle
pannocchie e, dopo, doveva
provvedere a sgranarlo ed
essiccarlo.
Contadine fondane
La bracciante, che
lavorava nei campi altrui,
veniva discriminata anche
dal punto di vista economico:
il suo lavoro veniva valutato,
in termini di guadagno, la
metà di quello dell’uomo.
Inoltre era lei ad
occuparsi degli animali
da allevamento: galline,
mucche, pecore, capre,
conigli, maiali.
IN PAESE
Le mogli dei pescatori di acqua
dolce si occupavano della
vendita del pescato dei mariti.
Le ranugnàr, le venditrici di
rane pulivano e confezionavano
le rane in un rametto di salice
per poi venderle per le vie del
centro storico.
Le ranugnàr
Analogo lavoro svolgevano le
venditrici di gamberetti che
invitavano la gente del paese
all’acquisto dei loro “ambarej
frjsc”.
Venditrici di pesce
Le donne del pescatore,
moglie e figlie, inoltre si
occupavano della
lavorazione e della
riparazione delle reti da
pesca “martavej”
utilizzando un
particolare ago.
La paziente ricucitura della rete da
pesca
Le mogli dei commercianti, di quelli cioè che
avevano la putèje, il negozio di generi
alimentari, affiancavano il marito che era il vero
proprietario e loro semplici commesse.
C’erano le mogli dello sportaro alle quali spettava il
compito di intrecciare lo strame creando fettucce di 10-15
cm.
E quelle del funaio che utilizzando rocca e fuso lavoravano
il materiale grezzo con il quale il funaio realizzava,
successivamente, funi di diversa lunghezza e grandezza.
La strammar’ Cuncett
A CASA
La preparazione del
pane era uno dei
momenti più importanti
per l’economia
domestica: famoso era il
pane di granoturco “ju
pane rusce” che veniva
cotto nel forno di casa,
quando lo si aveva,
altrimenti nei forni
pubblici.
Un’altra pesante fatica sostenuta
quasi interamente dalla donna,
era l’uccisione del maiale.
Essa avveniva con un grande
coltello che si conficcava nel
maiale fino a toccargli il cuore.
Del maiale non si buttava niente:
col sangue le donne preparavano
“la pulènte” e ju “sanguenate”, poi
preparavano le famose
“zauzicchjje”, la spalla, il
prosciutto e la pancetta.
Questi maiali si nutrivano dei
residui del pranzo o della cena
consumata dai propri padroni.
Dopo il pranzo la donna
doveva sparecchiare la
tavola e lavare i piatti.
Questi erano di ceramica o
terracotta, venivano lavati
solo con acqua calda e i
residui venivano conservati
per i maiali; i tegami di
alluminio o rame venivano
lavati con la cenere che si
otteneva dal legno bruciato.
I panni si lavavano a “ju lavature” perché l’acqua corrente in
casa non c’era e si faceva uso del sapone fatto dalle donne con il
grasso e la cotica del maiale oppure della “culate” o della “liscive”
(lisciva: soluzione costituita da acqua bollente e cenere): la cenere,
raccolta in un panno, si lasciava immersa in una tinozza di acqua
per tutta la notte, la mattina dopo nella lisciva si immergevano i
panni per alcune ore, poi si sciacquavano con acqua piovana o al
fiume.
Anche la stiratura era un compito della donna: il
ferro era di ghisa, quindi piuttosto pesante, e aveva
una cavità in cui si introduceva il carbone acceso.
LAVORI TIPICAMENTE FEMMINILI
La donna li svolgeva in autonomia
percependo una paga. I più diffusi:
• Lavannar: il lavoro iniziava la sera, la
donna infatti, ritirava la biancheria
che il mattino dopo avrebbe dovuto
lavare recandosi al “lavatur”. Si
trattava di un lavoro faticoso: le
lavandaie non avevano alcun mezzo
per il trasporto della biancheria,
inoltre lavavano i panni tenendo le
gambe nude immerse nell’acqua in
qualsiasi periodo dell’anno. Per
quest’ultimo motivo, i più maliziosi
le chiamavano “facilone”.
• Capera: era l’ antica
parrucchiera, che, dietro
pagamento, pettinava
altre donne. Lavorava a
domicilio presso le case
dei clienti. Ruffiana per
natura, era spesso
ambasciatrice e direttrice
nella riuscita di
matrimoni, Le veniva
dato l’appellativo di
pettegola.
• Mammarella: o
balia, era la donna
che, dietro
ricompensa, nutriva i
neonati altrui con il
proprio latte.
Lavorava in genere
per le donne
benestanti che non
volevano perdere la
loro forma fisica.
• Levatrice: l’attuale
ostetrica, che aiutava la
donna nel momento del
parto e la assisteva nei
giorni successivi,
insegnando alla neomamma come allattare il
bambino, tenerlo in
braccio, fargli il
bagnetto…
Maria Assunta Illiria, storica levatrice di Fondi
Fidanzamento dote e matrimonio
La ragazza non aveva completa
libertà di scelta nei confronti del
suo consorte, in quanto era
condizionata dai genitori.
La dote era molto importante
perché senza di essa non poteva
sposarsi: più la dote era
abbondante, più le ragazze erano
ben considerate. La dote era
cucita e ricamata tutta a mano, la
sua preparazione occupava tutta
la giovinezza delle ragazze, per
questo motivo molte di loro
avevano disturbi visivi.
Il matrimonio avveniva tra i
venti e i venticinque anni e,
dopo, si andava ad abitare con la
suocera, alla quale era affidata la
conduzione della casa. La donna
non poteva tradire il marito,
altrimenti veniva considerata
una svergognata, mentre il
marito poteva permetterselo e
veniva considerato un Don
Giovanni, su cui però non veniva
espresso alcun giudizio morale.
Nel matrimonio la donna era
considerata subalterna all’uomo:
essa passava da uno stato di
subalternità nella propria famiglia
ad uno di schiavitù nella famiglia
del marito, nella quale
l’amministrazione della casa era
spesso affidata alla suocera.
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