LA DONNA A FONDI NELLA PRIMA METÀ DEL ‘900 A cura della classe III B LA DONNA A FONDI NELLA PRIMA METÀ DEL ‘900 Le donne avevano un ruolo subalterno nei confronti dell’uomo e se si ribellavano alle regole morali imposte dalla società, questa le allontanava . La vita delle donne era caratterizzata da un circolo vizioso, campi-casa-chiesa. che le legava fin dalla nascita e non potevano uscirne. I PROVERBI diffusi in quel periodo rispecchiano questa condizione: • Chi fémmene nasce an facce a ju fuculare ata pasce. • La donna che è bella pe’ nature, chiù sciatta và, e chiù bella pare. • La donna rerarèlla è méza puttanélla La donna non aveva modo di partecipare alla vita politica e sociale del paese. “Ju lavature”, cioè il torrente presso il quale le donne, almeno un paio di volte a settimana si recavano a lavare i panni, rappresentava l’unico momento di partecipazione e condivisione. Si facevano pettegolezzi, si chiacchierava e si cantavano canzoni popolari. Le donne partivano di mattina a piedi o su carretti portando stagne a due manici che mettevano sul capo. Lavatoio pubblico sorgente Vitruvio La rigida distinzione dei ruoli emergeva già dall’infanzia nei GIOCHI: quelli femminili erano una sorta di preparazione al ruolo che esse avrebbero dovuto assumere da adulte nella società, cioè moglie fedele e madre devota (“ la cummare”, la comare, “ la putejare”, la bottegaia…). I giochi maschili erano fondati sulla prepotenza e sulla forza fisica, erano giochi che richiedevano abilità e destrezza, forza, qualità indispensabili al futuro uomo destinato a sostenere il ruolo d padre-padrone. LAVORATRICE AUSILIARE La donna, sia che fosse moglie di un contadino o di un artigiano o di un commerciante, era considerata una semplice lavoratrice ausiliare del capofamiglia. Pur rimanendo la sua principale occupazione quella domestica (accudire i figli e badare alla casa), la donna doveva supportare il marito nell’attività lavorativa, senza, naturalmente, essere retribuita. Questo suo impegno rientrava nei doveri coniugali. LA COLTIVAZIONE AGRUMARIA Nella piana di Fondi la coltivazione delle arance (arancio biondo) era nel’900 l’asse portante dell’economia del paese. Nell’attività di agrimocoltura, la donna aveva il compito di trasportare le arance nei laboratori dove, donne operaie selezionavano e confezionavano il prodotto. NELLE CAMPAGNE Le donne lavoravano a fianco dei loro mariti e i ruoli erano ben diversi: la donna si occupava della semina, che avveniva facendo dei buchi nel terreno (con un arnese chiamato “pezzuche”) dove poi venivano messi i semi. La donna inoltre, si occupava della manutenzione del granoturco, che doveva “stutarà”, eliminando “je spojje” delle pannocchie e, dopo, doveva provvedere a sgranarlo ed essiccarlo. Contadine fondane La bracciante, che lavorava nei campi altrui, veniva discriminata anche dal punto di vista economico: il suo lavoro veniva valutato, in termini di guadagno, la metà di quello dell’uomo. Inoltre era lei ad occuparsi degli animali da allevamento: galline, mucche, pecore, capre, conigli, maiali. IN PAESE Le mogli dei pescatori di acqua dolce si occupavano della vendita del pescato dei mariti. Le ranugnàr, le venditrici di rane pulivano e confezionavano le rane in un rametto di salice per poi venderle per le vie del centro storico. Le ranugnàr Analogo lavoro svolgevano le venditrici di gamberetti che invitavano la gente del paese all’acquisto dei loro “ambarej frjsc”. Venditrici di pesce Le donne del pescatore, moglie e figlie, inoltre si occupavano della lavorazione e della riparazione delle reti da pesca “martavej” utilizzando un particolare ago. La paziente ricucitura della rete da pesca Le mogli dei commercianti, di quelli cioè che avevano la putèje, il negozio di generi alimentari, affiancavano il marito che era il vero proprietario e loro semplici commesse. C’erano le mogli dello sportaro alle quali spettava il compito di intrecciare lo strame creando fettucce di 10-15 cm. E quelle del funaio che utilizzando rocca e fuso lavoravano il materiale grezzo con il quale il funaio realizzava, successivamente, funi di diversa lunghezza e grandezza. La strammar’ Cuncett A CASA La preparazione del pane era uno dei momenti più importanti per l’economia domestica: famoso era il pane di granoturco “ju pane rusce” che veniva cotto nel forno di casa, quando lo si aveva, altrimenti nei forni pubblici. Un’altra pesante fatica sostenuta quasi interamente dalla donna, era l’uccisione del maiale. Essa avveniva con un grande coltello che si conficcava nel maiale fino a toccargli il cuore. Del maiale non si buttava niente: col sangue le donne preparavano “la pulènte” e ju “sanguenate”, poi preparavano le famose “zauzicchjje”, la spalla, il prosciutto e la pancetta. Questi maiali si nutrivano dei residui del pranzo o della cena consumata dai propri padroni. Dopo il pranzo la donna doveva sparecchiare la tavola e lavare i piatti. Questi erano di ceramica o terracotta, venivano lavati solo con acqua calda e i residui venivano conservati per i maiali; i tegami di alluminio o rame venivano lavati con la cenere che si otteneva dal legno bruciato. I panni si lavavano a “ju lavature” perché l’acqua corrente in casa non c’era e si faceva uso del sapone fatto dalle donne con il grasso e la cotica del maiale oppure della “culate” o della “liscive” (lisciva: soluzione costituita da acqua bollente e cenere): la cenere, raccolta in un panno, si lasciava immersa in una tinozza di acqua per tutta la notte, la mattina dopo nella lisciva si immergevano i panni per alcune ore, poi si sciacquavano con acqua piovana o al fiume. Anche la stiratura era un compito della donna: il ferro era di ghisa, quindi piuttosto pesante, e aveva una cavità in cui si introduceva il carbone acceso. LAVORI TIPICAMENTE FEMMINILI La donna li svolgeva in autonomia percependo una paga. I più diffusi: • Lavannar: il lavoro iniziava la sera, la donna infatti, ritirava la biancheria che il mattino dopo avrebbe dovuto lavare recandosi al “lavatur”. Si trattava di un lavoro faticoso: le lavandaie non avevano alcun mezzo per il trasporto della biancheria, inoltre lavavano i panni tenendo le gambe nude immerse nell’acqua in qualsiasi periodo dell’anno. Per quest’ultimo motivo, i più maliziosi le chiamavano “facilone”. • Capera: era l’ antica parrucchiera, che, dietro pagamento, pettinava altre donne. Lavorava a domicilio presso le case dei clienti. Ruffiana per natura, era spesso ambasciatrice e direttrice nella riuscita di matrimoni, Le veniva dato l’appellativo di pettegola. • Mammarella: o balia, era la donna che, dietro ricompensa, nutriva i neonati altrui con il proprio latte. Lavorava in genere per le donne benestanti che non volevano perdere la loro forma fisica. • Levatrice: l’attuale ostetrica, che aiutava la donna nel momento del parto e la assisteva nei giorni successivi, insegnando alla neomamma come allattare il bambino, tenerlo in braccio, fargli il bagnetto… Maria Assunta Illiria, storica levatrice di Fondi Fidanzamento dote e matrimonio La ragazza non aveva completa libertà di scelta nei confronti del suo consorte, in quanto era condizionata dai genitori. La dote era molto importante perché senza di essa non poteva sposarsi: più la dote era abbondante, più le ragazze erano ben considerate. La dote era cucita e ricamata tutta a mano, la sua preparazione occupava tutta la giovinezza delle ragazze, per questo motivo molte di loro avevano disturbi visivi. Il matrimonio avveniva tra i venti e i venticinque anni e, dopo, si andava ad abitare con la suocera, alla quale era affidata la conduzione della casa. La donna non poteva tradire il marito, altrimenti veniva considerata una svergognata, mentre il marito poteva permetterselo e veniva considerato un Don Giovanni, su cui però non veniva espresso alcun giudizio morale. Nel matrimonio la donna era considerata subalterna all’uomo: essa passava da uno stato di subalternità nella propria famiglia ad uno di schiavitù nella famiglia del marito, nella quale l’amministrazione della casa era spesso affidata alla suocera.