Corso di Macroeconomia Anno Accademico 2010-2011 Università degli Studi di Bari, sede di Brindisi Dott. Vito Amendolagine Indirizzo email: [email protected] Organizzazione del corso (I) • 2 lezioni settimanali Giovedì, 14.30-17.30 Venerdì, 14.30-17.30 • Ricevimento Giovedì 14-14.30 Venerdì 14-14.30 • 5 sezioni (illustrate nel programma) SEZIONE I: 5 lezioni + 1 esercitazione SEZIONE II: 3 lezioni + 1 esercitazione SEZIONE III: 2 lezioni + 1 esercitazione SEZIONE IV: 1 lezione + 1 esercitazione SEZIONE V: 2 lezioni + 1 esercitazione Esercitazione finale • Esame finale : prova scritta + prova orale Organizzazione del corso (II) • Esercitazioni: Esercizi + domande teoriche di approfondimento Da risolvere prima degli incontri in aula • Testi di riferimento: J. Bradford DeLong, Macroeconomia, McGraw Hill, 2004 Capolupo et al. Eserciziario di Macroeconomia, Esculapio, 2004 • Info e materiale lezioni: sito web : www.brindisi.uniba.it/economia/ricevimento.html mailing list Lezione 1 - Outline I parte cosa studia la macroeconomia; i modelli e le semplificazioni della macroeconomia. II parte le sei variabili chiave : PIL reale, tasso di disoccupazione, tasso di inflazione, tasso di interesse, livello del mercato azionario, tasso di cambio. III parte uno sguardo alle principali economie mondiali: USA, Europa, Giappone, mercati emergenti. I PARTE La Macroeconomia e i modelli macroeconomici Cosa studia la micro ? • La microeconomia studia le singole componenti del sistema economico. • Il problema centrale è quello di rendere compatibili bisogni degli individui e scarsità delle risorse disponibili. • Nelle economie di mercato, tale problema viene risolto attraverso processi di interazioni tra i diversi agenti economici imprese (produzione, offerta), consumatori (consumo, domanda) , governo (regole). • Le risorse sono allocate sulla base del meccanismo dei prezzi. Cosa studia la macro ? • La macroeconomia studia i problemi che riguardano il sistema economico nel suo complesso. • Risponde a domande quali: Perché il reddito è più alto in alcuni paesi e più basso in altri? Perché i prezzi aumentano molto in alcuni periodi anziché in altri? Perché la produzione e l’occupazione si espandono in alcuni anni e si contraggono in altri? Un esempio di temi affrontati dalla macroeconomia • Il flusso giornaliero di notizie economiche. • Le notizie economiche fluiscono verso di noi continuamente durante tutto il giorno. • Il volume totale di informazioni è così elevato che uno dei principali problemi della macroeconomia è quello di escogitare come elaborare tutte queste informazioni! I modelli economici • Per studiare il comportamento degli agenti sul mercato ci avvaliamo di modelli economici: sono rappresentazioni stilizzate dell’economia e dei mercati trascurano i dettagli sono composti di grafici e equazioni semplificano la realtà al fine di migliorare la nostra capacità di comprenderla Le semplificazioni della macro (I) • Il livello di aggregazione è molto più spinto che in microeconomia. • Si utilizza il livello medio o indice dei prezzi che è una media di tutti i prezzi esistenti nei vari mercati. • Non si considerano le variazioni nei prezzi relativi (rapporto tra i prezzi dei beni), come nella micro. • Non si considerano variazioni nella struttura (qualità) delle variabili ma solo variazioni quantitative delle stesse variabili nel tempo. Le semplificazioni della macro (II) • La descrizione della macro è dunque una descrizione approssimata della realtà (studia la foresta ma non i singoli alberi che la compongono). • Più che fornire indicazioni ai singoli agenti su come comportarsi su un singolo mercato mira a fornire indicazioni operative ai governi, alle istituzioni internazionali (es. Fondo Monetario Internazionale, FMI) e al settore privato (es. grandi imprese, banche). • Dalla macro ci attendiamo indicazioni per analizzare e risolvere problemi di politica economica. Due tipi di variabili • ENDOGENE: quelle che il modello vuole spiegare e determinare (nel mercato prezzi e quantità sono variabili endogene). • ESOGENE: sono grandezze considerate date. • Nei modelli macro le variabili esogene sono rappresentate per esempio dalle politiche di governo, mentre variabili endogene sono il reddito, il tasso di interesse, i consumi etc.. Linee evolutive del pensiero economico (I) • Negli ultimi 250 anni vi sono state varie fasi di evoluzione (e consolidamento) del pensiero economico in risposta a: sorgere di nuovi problemi cui fornire risposta; necessità generalizzare/rendere più rigorosi principi già formulati; ricerca di fondamenti empiricamente più solidi; evoluzione dei sistemi economici (cambiamenti strutturali); cambiamenti nell’ideologia del tempo. Si contano 4 fasi principali: 1. Scuola classica (1750-1870) • Principali esponenti: Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Robert Malthus, John Stuart Mill. • Il fondamento della scuola classica è l’ideologia liberale. L’ottica è quella di ricercare le determinanti della crescita economica. Linee evolutive del pensiero economico (II) 2. Scuola neoclassica o marginalista (1870-90) • Principali esponenti: Karl Menger, Stanley Jevons, Irving Fisher, Alfred Marshall, Leon Walras, Vilfredo Pareto, Knut Wicksell. • Resta come fondamento l’ideologia liberale e si assume che l’economa sia in equilibrio di pieno impiego. L’ottica si sposta sull’uso efficiente di risorse date, lasciando la crescita economica dipendere da fattori esterni (es. crescita popolazione, progresso tecnico). 3. Scuola keynesiana (1920-60) • Principale esponeente: John M. Keynes e seguenti • Impostazione liberale ma si apre un ruolo cruciale per lo Stato. • Si sostiene che, lasciata a se stessa, l’economia possa collocarsi in equilibri di sotto-impiego: politiche economiche interventiste possono riportare verso la piena occupazione. • L’approccio è macro-economico (di sistema) e non più centrato sul comportamento individuale. • Sintesi neoclassica-keynesiana (anni 1950-60) Principali esponenti : J. Hicks, P. Samuelson, F. Modigliani. Linee evolutive del pensiero economico (III) 4. Sviluppi contemporanei (1970-; sia in micro che in macroeconomia). Scuola monetarista (Milton Friedman) Scuola macroeconomica neoclassica o delle aspettative razionali Nuova macroeconomia keynesiana • Mentre tutte le 3 scuole indicate si interessano in particolare delle teorie di breve periodo e della stabilizzazione del reddito durante il ciclo si è verificato negli ultimi due decenni maggiore attenzione ai temi macroeconomici di lungo periodo: • Uno Spostamento a partire dal 1986 verso i temi della crescita e dello sviluppo : Nuova teoria della crescita endogena. II PARTE Le sei variabili chiave Le sei variabili chiave • Le seguenti sei variabili economiche chiave ci permettono di riassumere lo stato del sistema economico: 1. prodotto interno lordo reale (PIL reale); 2. tasso di disoccupazione; 3. tasso di inflazione; 4. tasso di interesse; 5. livello del mercato azionario; 6. tasso di cambio. 1. PIL reale • Prodotto Interno Lordo (reale): Prodotto: il PIL reale rappresenta il valore a prezzi costanti della produzione di beni e servizi finali. Include: beni di consumo, beni di investimento, acquisti pubblici. Interno: considera l’attività economica che avviene all’interno del Paese, indipendentemente dalla residenza legale dei lavoratori o dei proprietari delle imprese. Lordo: include sia gli investimenti diretti a sostituire attrezzature/strutture usurate/obsolete sia gli investimenti nuovi, che aumentano lo stock di capitale. Reale: apporta le correzioni necessarie per tenere conto delle variazioni del livello generale dei prezzi. • Il PIL reale per lavoratore è il più usato indice sintetico del sistema economico. • Pur essendo un indice imperfetto perché non dice nulla sulla distribuzione del reddito è il miglior indice che conosciamo per misurare il benessere materiale dei componenti di una nazione. Il tasso di disoccupazione (I) • Il tasso di disoccupazione viene rilevato dagli istituti di statistica dei vari paesi attraverso un rilevamento casuale tra le famiglie su base periodica. • Sono considerati disoccupati gli individui che hanno cercato attivamente un lavoro nell’ultimo periodo (1 mese negli USA). • Il numero stimato di lavoratori disoccupati viene diviso per la forza lavoro totale (anch’essa stimata poiché è data dal numero degli occupati (dato noto) e il numero dei disoccupati (stimati con il rilevamento). • Il risultato è il tasso din.disoccupazione: disoccupati u= FL Il tasso di disoccupazione (II) • Perché preoccuparsi della disoccupazione ? Se più elevata del livello fisiologico, riduce la ricchezza di un’economia; Pone problemi di disuguaglianza e, oltre certi livelli, anche di ordine sociale; Può causare significativi oneri (es. sussidi di disoccupazione) e squilibrare la spesa pubblica Se è di lunga durata e/o si concentra sui giovani, indebolisce la formazione di capitale umano nell’economia, con effetti negativi sulla crescita. Il tasso di disoccupazione (III) • Tre tipi di disoccupazione Disoccupazione frizionale: funzionale al corretto andamento del sistema economico assimilata alle scorte di materie prime per un’impresa. Scorte di posti di lavoro (posti vacanti delle imprese) e scorte di lavoratori in cerca di occupazione (i disoccupati). Disoccupazione ciclica: determinata dalle fasi di recessione e di depressione dell’attività produttiva. E’ un male per l’economia e occorrono politiche macroeconomiche sia dal lato della domanda che dell’offerta per ridurla (di breve periodo). Disoccupazione strutturale: determinata da cambiamenti strutturali che intervengono nel sistema economico: cambiamento tecnologico. Si tratta di una disoccupazione di lunga durata. Il tasso di disoccupazione USA Il tasso di inflazione (I) • Definizione: aumento continuo e apprezzabile nel livello dei prezzi. • Rappresenta una misura della rapidità con cui sale il livello generale dei prezzi. • Livello generale dei prezzi, il prezzo medio del “bene composito” in un anno: – Pt nell’anno in corso, – Pt-1 nell’anno precedente • Tasso di inflazione, aumento (in percentuale) nell’anno del livello generale dei prezzi di beni e servizi: πt = (Pt – Pt-1) / Pt-1 Il tasso di inflazione (II) • Perché preoccuparsi dell’inflazione ? Perché l’inflazione non colpisce tutti i prezzi allo stesso modo e altera in modo arbitrario (distorce) i prezzi relativi; L’inflazione altera anche la distribuzione dei redditi poiché colpisce di meno i redditi indicizzati e di più quelli non indicizzati; L’inflazione favorisce i debitori e svantaggia i creditori; L’inflazione aumenta il carico fiscale in un sistema di tassazione progressivo (fiscal drag) Il tasso di interesse (I) • Il tasso di interesse indica il prezzo al quale il potere di acquisto può essere trasferito dal presente al futuro (nel tempo). L’individuo che rinuncia alla sua liquidità oggi per poterla utilizzare in futuro viene remunerato con l’interesse. • La struttura dei tassi di interesse è descritta dalla curva dei rendimenti che mostra il divario tra tassi di interesse a lungo e a breve termine. Un’alta rigidità della curva dei rendimenti indica che il divario tra le diverse strutture dei tassi di interesse è molto ampio (basta una piccola variazione nella scadenza per aumentare di molto il rendimento). • Il tasso di interesse reale a lungo termine è la principale determinante del livello degli investimenti e della crescita della produzione futura . • I tassi di interesse a lungo termine sono più alti di quelli a breve termine. Quando i tassi di interesse a lungo termine sono più bassi di quelli a breve la curva dei rendimenti è negativa e segnala la possibilità che l’economia stia per cadere in recessione Il tasso di interesse (II) Curva dei rendimenti I tassi di interesse crescono al crescere della scadenza Rendimento i(%) 1 Scadenza : anno 10 Il tasso di interesse (III). Ripidità della curva i i scadenza 27 Il tasso di interesse (IV) Curva dei rendimenti invertita i% Segnala che i tassi di interesse a breve Sono > dei tassi a Lungo termine scadenza 28 Il tasso di interesse (V) • La curva mostra in che modo i tassi di interesse sulle obbligazioni, a parità di altre condizioni, variano al variare della scadenza del titolo • La curva è inclinata positivamente a indicare che i tassi di interesse a breve sono inferiori a quelli a lungo termine • Quando la curva assume pendenza negativa significa che i tassi di interesse a breve divengono più elevati di quelli a lungo termine (curva dei rendimenti invertita) • Perché il tasso di interesse a lungo termine, deve essere superiore a quello a breve termine? In generale perché il tasso di interesse su un’obbligazione a più lungo termine (es due anni) deve essere approssimativamente pari alla media aritmetica dei tassi di interesse delle varie obbligazioni emesse nel periodo corrente e nei periodi successivi. Il tasso di interesse negli Stati Uniti (I) Il tasso di interesse negli Stati Uniti (II) • Negli Stati Uniti, a partire dalla disinflazione di Volcker all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso notiamo che: I tassi di interesse reali risultarono notevolmente più alti di quanto fossero negli anni Settanta e persino negli anni Sessanta. La curva dei rendimenti fu relativamente ripida. Questo significa che il divario tra i tassi di interesse a lungo termine (come il tasso di interesse sui Buoni del Tesoro a 10 anni) e i tassi di interesse a breve termine (come il tasso di interesse sui Buoni del Tesoro a 3 mesi) aumentò. Il mercato azionario • Il livello del mercato azionario è l’indicatore di cui si sente parlare più spesso. Rappresenta un indice delle aspettative riguardo al futuro andamento dell’economia. • L’indice del mercato azionario riassume un grande numero di fattori che influenzano gli investimenti (ottimismo, profitti attesi, tassi di interesse reali) • Il livello del mercato azionario è alto quando gli agenti economici prevedono che l’opinione media si aspetta che la crescita economica nel futuro sarà alta, i profitti saranno alti e la disoccupazione sarà bassa. • Un indice che rispecchia le performance dell’intero mercato azionario USA è l’indice S&P 500 (principale società di rating dei titoli ). Un indice ampio come lo S&P è migliore di un indice più ristretto come il Dow-Jones (30 imprese) • Negli USA negli ultimi 100 anni un’azione è stata scambiata in media a circa 15 volte l’utile per azione degli ultimi 12 mesi (trailing earnings per share). • La regola del valore pari a 15 volte l’utile rappresenta soltanto una media. Il mercato azionario negli Stati Uniti (I) Il mercato azionario negli Stati Uniti (II) • Negli ultimi due decenni i prezzi reali degli indici azionari hanno superato ampiamente la loro valutazione convenzionale standard di 15 volte l’utile. • Gli economisti si chiedono se questo fenomeno sia dovuto: a una mania speculativa irrazionale; a un aumento della tolleranza verso il rischio; oppure alle aspettative di una crescita economica rapida nel futuro da parte degli investitori. Il tasso di cambio (I) • Il tasso di cambio nominale è semplicemente il prezzo al quale le valute di differenti paesi possono essere scambiate l’una con l’altra. • Il tasso di cambio reale è invece il prezzo al quale i beni e i servizi prodotti in differenti paesi vengono scambiati l’uno con l’altro • Ad eccezione dei paesi europei che hanno deciso di adottare una moneta comune, ogni paese ha una propria valuta. Gli scambi tra l’Europa e il resto del mondo coinvolgono problemi che riguardano il mercato delle valute. • Il mercato delle valute è il mercato internazionale nel quale ogni valuta si scambia con un’altra. Il tasso di cambio (II) • Con l’introduzione dell’EURO, indichiamo le unità di valuta estera necessarie per acquistare 1 euro: le quantità incerte di valuta estera necessarie per acquistare 1 unità (certa) di valuta nazionale X $ = 1 euro (incerto) (certo) • Per un cittadino europeo un tasso di cambio dell’EURO (dollaro / euro) pari a 1.40 dollari indica l’ammontare di dollari necessari per acquistare 1 euro. Esiste un tasso di cambio sterlina/ euro; yen / euro etc. • Apprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando la valuta nazionale aumenta di valore rispetto alla valuta estera (occorrono più dollari per acquistare un euro). • Deprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando la valuta nazionale diminuisce di valore rispetto a quella estera (occorrono meno dollari per acquistare un euro). Il tasso di cambio (III) • Se il tasso di cambio è definito come dollaro/euro allora un aumento del cambio nominale corrisponde a: un apprezzamento nominale dell’euro un deprezzamento nominale del dollaro • Nel caso opposto in cui il tasso di cambio è euro/dollaro vale la regola secondo la quale un aumento del tasso di cambio equivale a Un deprezzamento nominale dell’euro Un apprezzamento nominale del dollaro • I due metodi sono equivalenti Il tasso di cambio reale (I) • Il tasso di cambio reale, che indichiamo con ε è un valore relativo, che indica il prezzo dei beni esteri in termini di beni nazionali valutati in una stessa moneta. ε = eP P* • Dove e è il cambio nominale $/euro, P* l’indice dei prezzi di beni e servizi finali esteri (USA) e P è l’indice dei prezzi nazionali (Europa). • Il numeratore esprime il prezzo in $ dei beni europei e il denominatore il prezzo in $ dei beni statunitensi Il tasso di cambio reale (II) • Il tasso di cambio reale, che indichiamo con ε se vogliamo esprimerlo in una stessa moneta, in questo caso in valuta nazionale (euro) sarà pari a: ε = eP * P • Dove e è il cambio nominale euro/dollaro, P* l’indice dei prezzi di beni e servizi finali esteri e P è l’indice dei prezzi nazionali. • Il numeratore esprime il prezzo in euro dei beni statunitensi e il denominatore il prezzo in euro dei beni europei. Il tasso di cambio reale (III) • Apprezzamento reale si verifica quando i beni esteri diminuiscono di prezzo rispetto ai beni nazionali. I beni esteri sono relativamente meno costosi e le merci europee sono meno competitive. • Vengono favorite le importazioni. • Deprezzamento reale si verifica quando i beni esteri aumentano di prezzo rispetto ai beni nazionali. I beni esteri sono relativamente più costosi . • Vengono favorite le esportazioni. Tassi di cambio fissi (I) • In un regime di tassi di cambio fissi, le autorità monetarie stabiliscono il tasso con il quale la valuta nazionale si scambia con tutte le altre valute internazionali. • Per mantenere il tasso di cambio fisso il governo tramite le autorità monetarie interviene nel mercato delle valute con operazioni di acquisto e vendita di valute. Tassi di cambio fissi (II) • Supponiamo che, per una qualche ragione, il tasso di cambio euro/dollaro aumenti (o il che è lo stesso il cambio dollaro/euro diminuisca). • Ciò equivale a un deprezzamento nominale dell’euro. C’è un eccesso di domanda di dollari sul mercato (e un eccesso di offerta di euro). Poiché il tasso di cambio euro-dollaro deve rimanere fisso, le autorità monetarie sono costrette a intervenire, attingendo alle loro riserve valutarie, vendendo i dollari che sono richiesti. • Il processo di vendita di dollari deve continuare fino a quando il tasso di cambio euro/ dollaro non abbia raggiunto il valore prefissato. Tassi di cambio flessibili • In un regime di tassi di cambio flessibili il tasso di cambio è determinato dal mercato senza alcun intervento delle autorità monetarie. • Il cambio si modifica a seconda degli eccessi di domanda o di offerta sul mercato delle valute (variazioni del tasso di cambio ). • Esistono regimi di cambio che non sono né perfettamente fissi né perfettamente flessibili (regimi misti). • In tali casi le banche centrali possono intervenire per guidare il tasso di cambio verso certi livelli soprattutto quando ci sono ampie variazioni nella domanda e nell’offerta di una valuta (cambio amministrato). III PARTE Uno sguardo alle principali economie Uno sguardo alle principali economie • • • • USA EU Giappone Economie emergenti del Sud Est Asiatico e dell’America Latina USA (I) • Economia in crescita durante gli anni ’90. I motivi vanno ricercati: le politiche di rientro del deficit di bilancio dell’amm.zione Clinton; la riduzione delle barriere al commercio internazionale; l’intensificazione nell’utilizzo delle tecnologie informatiche (ICT) che hanno determinato forti incrementi della produttività. • Recessione con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. L’attacco terroristico impresse un grande shock negativo alla fiducia dei consumatori e delle imprese che rinviarono i loro piani di investimento La Federal Reserve era preoccupata di non essere in grado di poter ridurre i tassi di interesse a livelli tali da stimolare i piani di investimento delle imprese. USA (II) • Politiche per uscire dalla recessione Riduzioni ampie e prolungate dei tassi di interesse produssero i loro effetti : il tasso di interesse nominale (del mercato azionario) che era stato pari al 6.74% all’anno, nel 2000 fu portato all’1.73% all’anno. Riduzione delle imposte (amm.zione Bush) che aumentò il reddito disponibile e fece aumentare i consumi. Introduzione di dazi sull’importazione di acciaio, che faceva temere un arresto nel processo di integrazione economica mondiale. Incremento della spesa pubblica G per la difesa e la sicurezza che impresse un ulteriore impulso alla domanda (ma vista con timore dopo il rientro del deficit dell’amministrazione precedente). Le aspettative del pubblico che la politica di riduzione dei tassi di interesse da parte della FR sarebbe stata durevole e prolungata impresse ulteriore fiducia e non innescò aspettative di inflazione. USA (III) • Gli effetti di queste politiche sono state: aumento della fiducia dei consumatori; aumento della fiducia delle imprese; deprezzamento del dollaro che ha stimolato le esportazioni di merci americane. USA (IV) • Dal 2001 l’economia USA continua ad espandersi anche se a un tasso più basso rispetto agli anni ’90. • Il profilo macroeconomico è sintetizzato dalle cifre del tasso di crescita , disoccupazione e inflazione • I dati sono tratti dall’Economist (dic.2006) 19602000 19922000 2000 2001 2006 g 3.5 3.7 4.1 1.1 3.5 u 6.1 5.4 4.0 4.8 5.1 π 5.1 1.7 2.3 2.1 3.8 Unione Europea (I) • Nel 1957 i sei paesi (Belgio , Francia, Germania , Italia, Lussemburgo, Olanda ) formarono il Mercato Comune Europeo. • Da allora 9 paesi nei vari processi di allargamento sono entrati a far parte dell’UE (Austria, Danimarca, Finlandia , Grecia, Portogallo Spagna Svezia e UK) formando l’UE 15. • Nel maggio 2004 altri 10 paesi (Czech rep, Estonia, Hungary, Latvia, Lithuania, Polonia Slovakia, Slovenia, Cipro e Malta) hanno aderito all’UE che è diventata (UE 25). • Il primo gennaio 2007 Romania e Bulgaria sono entrati nell’UE27. • Fino a qualche anno fa il nome ufficiale era Comunità Europea. Ora il nome ufficiale è Unione Europea. • Da non confondere con il gruppo di paesi che adottano l’EURO e seguono una politica monetaria comune (attule Eurozona o Eurolandia) con l’UE. Unione Europea (II) • Nella primavera del 2002, immediatamente dopo l’introduzione dell’euro nella circolazione monetaria l’economia europea era in recessione: bassa crescita del PIl reale a un tasso dello 0.6% annuo; alto tasso di disoccupazione (dell’8.5% ); crescita dei prezzi al consumo a un tasso del 2.3% all’anno; difficoltà di interpretare le azioni che sarebbero state intraprese dalla BCE; grande ritardo rispetto agli USA (di circa un quinquennio) nell’introduzione e nell’intensificazione dell’uso delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT); unica nota positiva degli osservatori economici internazionali: le riforme tendenti a rendere più flessibile il mercato del lavoro che dovrebbe condurre a una riduzione della disoccupazione Unione Europea (III) Quali le cause della debolezza della UE ? Consumi e grado di fiducia molto basso (probabilmente per le incertezze sul mercato del lavoro) . Mercati azionari in rialzo, alti tassi di profitto ma deboli investimenti produttivi da parte delle imprese. Alti prezzi del petrolio. La perdita di ciascun paese dello strumento della politica monetaria per combattere shock esogeni. Impossibilità di usare la politica fiscale in senso espansivo dati i vincoli del Maastricht Treaty e dello Stability and Growth Pact (SGP). • Impossibilità di usare lo strumento del tasso di cambio per stimolare le domanda di esportazioni . • Bassa competitività per l’alto costo del lavoro. Unione Europea (IV) 19602000 19922000 2000 2002 2003 2004 2005 2006 GDP growth 3.1 2.1 3.7 0.9 0.6 1.8 1.2 2.5 U rate 6.5 9.9 8.4 8.4 8.9 8.9 9.0 7.9 Inflation rate 5.6 1.7 2.8 2.6 2.2 2.0 1.9 2.2 Labor 3.0 2.2 1.4 0.5 0.5 1.1 0.6 0.8 productiv ity growth Giappone (I) • Negli anni Novanta, dopo il crollo della bubble economy che ha visto una profonda caduta del mercato azionario e del mercato immobiliare, il Giappone è entrato in una profonda fase recessiva , caratterizzata da : una fase di deflazione: il livello generale dei prezzi si riduce di circa l’1% all’anno; riduzione del Pil ( nel 2002 il Pil reale è diminuito di circa il 2%); tasso di disoccupazione molto elevato rispetto ai valori standard giapponesi (superiore al 5.3%) . Giappone (II) • Quali le cause della crisi ? Una crisi strutturale che richiede cambiamenti profondi nel campo delle politiche atte a ripristinare la crescita : ristrutturazione del sistema finanziario e deregolamentazione di gran parte dell’economia La politica economica della Banca centrale è considerata inefficace e si ricorda che la riduzione del tasso di interesse nominale a valori prossimi allo zero non aiutò gli USA a uscire dalla Grande depressione né fece aumentare gli investimenti Ciò che conta nello stimolare l’economia non è il tasso a breve sui titoli sicuri ma il tasso di interesse a lungo termine che deve restare basso soprattutto quando: gli obbligazionisti si aspettano che la politica dei bassi tassi di interesse non durerà a lungo (trappola della liquidità); molte imprese possono fallire e non rimborsare il denaro che hanno preso a prestito . Giappone (III) 19602000 19922000 2000 2001 2002 2006 Growth rate 5.5 1.2 1.5 -0.7 -1.2 +2.5 U rate 2.0 3.0 4.7 5.0 5.5 4.3 Inflation rate 4.5 -0.1 -1.6 -1.6 -1.4 +0.9 Economie emergenti (I) • Per economie emergenti si devono intendere le economie in fase di forte sviluppo che stanno sperimentando alti tassi di crescita del reddito reale pro-capite. • Una battuta d’arresto nella loro crescita queste economie (quelle del Sud Est Asiatico) la sperimentarono nel 1997 con la grave crisi finanziaria che le colpì. Sebbene oggi la crisi sia ormai superata, impose costi molto alti provocando un rallentamento della crescita, alti tassi di interesse, diffusi fallimenti, alta disoccupazione. • la causa che provocò la crisi è da attribuire al venir meno della fiducia da parte degli investitori finanziari internazionali e la fuga di capitali che ne conseguì. Economie emergenti (II) • Oggi pare che gli investitori abbiano riacquistato fiducia e hanno ripreso gli investimenti in quei paesi. Si prevede che la Cina e l’ India continueranno a crescere a tassi molto elevati (8 e 6% rispettivamente). Si ricordi che in questi due paesi vive il 40% della popolazione mondiale. • In realtà i fattori destabilizzanti dell’economia mondiale sono ancora presenti come dimostra la recente crisi dell’economia argentina. In questo paese ( e nel Sud Est asiatico e prima ancora in Messico) pare che la causa principale della fuga di capitali sia da ricercare nella possibilità che hanno i governi di svalutare il tasso di cambio, nonostante che le autorità argentine avessero affidato a un’autorità indipendente (currency board) la gestione valutaria