Schede storico-territoriali dei comuni del Piemonte
Comune di Alto
Beatrice Palmero 1998
Comune: Alto
Provincia: Cuneo.
Area storica: Monregalese.
Abitanti: 118 (censimento 1991).
Estensione: 758 ha (ISTAT 1991); 750 ha (SITA 1991).
Confini: a nord Ormea, a nord e a est Nascino, a sud Aquila d’Arroscia, Gavenola e Armo, a
ovest Caprauna.
Frazioni: non ci sono frazioni, bensì il borgo si presenta arroccato e compatto.
Toponimo storico: «Altum» (Casalis 1833, p. 263). L’etimo ricorda la posizione del luogo,
sorto in un punto molto elevato: altura.
Diocesi: inizialmente rientrava nei confini della diocesi di Albenga. Solo dopo la
riorganizzazione delle province e diocesi del 1816 la chiesa parrocchiale di S. Michele
Arcangelo è passata nella giurisdizione vescovile di Mondovì (Casalis 18331, p. 263).
Pieve: non si hanno attestazioni.
Altre presenze ecclesiastiche: si segnala il Santuario del Lago (Manno 1891, vol. II, p. 232).
Oltre al parroco di S. Michele vi era un altro sacerdote, rettore della scuola, così come era
attiva la confraternita dei Disciplinanti (BRT, Storia patria n. 853, Relazioni della provincia
di Mondovì, relat. Corvesy 1753, p. 352).
Comunità, origine, funzionamento: si ricorda un accordo del 1320 tra la comunità di Alto e
i signori Cepollini della città di Albenga, che attesta l’esistenza di una micro-organizzazione
politica del territorio, compresa nel distretto marchionale dei del Carretto di Savona (Manno
1891, vol. II, p. 232). Il consiglio comunale d’antico regime è invece composto da due
consoli, un sindaco e otto consiglieri. Ogni anno se ne rinnova un terzo, ovvero si
avvicendano le cariche di consoli e sindaco. È il «Vassallo Cepollini» che sceglie i delegati
tra i quattro nomi proposti dal consiglio. La comunità contesta questa ingerenza, «usurpata»
da Cepollini, al momento delle reinfeudazioni e della nuova distrettualizzazione operata dai
Savoia. Di fatto è comunque il consiglio che prima sceglie i nominativi e poi distribuisce le
cariche. I consoli hanno la funzione di giudici civili, mentre il sindaco amministra la
contabilità comunale in base alle disposizioni del consiglio stesso (BRT, Storia patria n. 853,
Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, pp. 347-352).
I contenziosi tardo settecenteschi con la famiglia Cepollini, conti del luogo,
testimoniano la vivacità della comunità, che a seguito di dette controversie ha una nuova
regolamentazione campestre redatta nel 1785.
Dipendenza nel Medioevo: Alto è incluso nei possessi dei Clavesana, che nel XII secolo
assegnano alla famiglia Cepolla di Albenga il titolo comitale sui castelli di Alto e Caprauna
(Rossi 1870, p. 163). Durante il XIV secolo i del Carretto di Savona, annessa la contea nel
proprio distretto marchionale, riconoscono la supremazia della città di Genova sui loro
domini, e il marchese Carlo nel 1380 si fa investire sudetti luoghi.
Feudo: di provenienza imperiale. Nel corso del XII secolo i marchesi subinfeudano Alto
insieme a Caprauna, con il titolo comitale, ai Cepolla di Albenga. La contea di Alto e
Caprauna passa in feudo al ramo che assunse il nome di Cepollini a seguito della vittoria
della fazione ghibellina sulla città di Albenga (Rossi 1870, p.163). Nel 1381 la contea di Alto
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e Caprauna, riconosciuta la superiorità alla Repubblica di Genova, resta consignoria dei
Cepollini e dei del Carretto, fino ad estinzione di questi ultimi (Manno 1891, vol. II, p. 232).
Mutamenti di distrettuazione: la contea di Alto e Caprauna presta vassallaggio ai Savoia.
Dopo la costituzione delle province dello Stato sabaudo (1741), il comune si trova incluso
nel mandamento di Ormea e nella provincia di Mondovì. Nel periodo di occupazione
francese entra nel dipartimento del Tanaro (1797-1815) e in seguito alla soppressione e
all’accorpamento della provincia di Mondovì passa a quella di Cuneo (1859).
Mutamenti territoriali: il comune di Alto non registra significativi mutamenti di territorio.
Comunanze: attualmente sono dichiarati in categoria «A» 210,9634 ha, di cui per il comune
0,0045 ha alienati (CSI 1991, Piemonte). Corrispondono alle Alpi superiori, su cui sono
attestati gli usi di pascolo e legnatico nel corso degli accertamenti sugli usi civici tra il 1925 e
il 1940 (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 5). Anticamente i pascoli costituivano l’unico
bene del comune, ma poiché al 1753 non esistevano registrazioni catastali né alcuna sorta di
misurazione non se ne conosce l’estensione (BRT, Storia patria n. 853, Relazioni della
provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, pp. 351).
Luoghi scomparsi: non si hanno segnalazioni.
Fonti:
AST (Archivio di Stato di Torino):
Corte, Genova confini, mazzo 7, fasc. 2: 1380, Investitura di Genova a Carlo del
Carretto [1380];
Corte, Paesi per A e B, A, mazzo 20, fasc. 7.
BRT (Biblioteca Reale di Torino), Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì,
relat. Corvesy 1753. La relazione dell’intendente Corvesy è edita: Descrizione della Provincia
di Mondovì: relazione dell’intendente Corvesy, 1753, a cura di G. Comino, Mondovì 2003.
CLUC (Commissariato per la liquidazione degli usi civici), Provincia di Cuneo, cartella 5.
Catasti: si conservano alcuni fogli mappali del «vecchio catasto» (fine XIX secolo), mentre
la regolare tenuta del registro catastale si riscontra a partire dal 1914. Il sopralluogo del 1753
rileva la mancanza di un catasto, ma soprattutto dell’uso di qualsiasi sorta di misurazione
tant’è che gli appezzamenti dei privati venivano venduti a corpo (BRT, Storia patria n. 853,
Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, pp. 351-352).
Ordinati: la relazione dell’intendente Corvesy attesta che non era consuetudine del consiglio
verbalizzare le proprie decisioni e tenere quindi dei registri scritti (BRT, Storia patria n. 853,
Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, pp. 347-352). Non essendo
attualmente ordinate le poche carte antiche, non esiste un archivio storico, anche se non è
stata riscontrata documentazione anteriore al XIX secolo. La serie delle delibere è rilegata a
partire dagli anni Venti del Novecento.
Statuti: non si hanno segnalazioni di statuti e si riporta l’indicazione di Manno circa
un’edizione a stampa dal titolo Bandi campestri formati dall’illustrissimo signor conte
Giacomo Cepollini di Alto e Caprauna per il detto luogo di Alto. Approvato dal Senato di
Piemonte 18 gennaio 1785, stamperia G.M. Ghiringhello, Torino 1785 (Manno 1891, vol. II,
p. 232).
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Liti territoriali: il comune di Alto si caratterizza per la conflittualità tardo settecentesca con
i Cepollini di Albenga, conti del luogo. Della causa con i conti sono state pubblicate due
relazioni: Sommario nella causa del signor conte Giacomo Maria Cepollini, della città di
Albenga, conte de’ luoghi di Alto e Caprauna, contro la comunità di detti luoghi (relat
Calcino), G. Bayno, Torino 1767; Sommario nella causa del signor conte Giacomo Maria
Cepollini, della città di Albenga, conte de’ luoghi di Alto e Caprauna, contro la comunità di
detti luoghi (relat. Robesti), G.M. Ghiringhello, Torino 1775 (Manno 1891, vol. II, p. 232).
Nel corso dell’Ottocento poi si attesta il progressivo allontanamento dei Cepollini dagli
affari del comune. Distacco che segna peraltro la perdita dei diritti signorili sul luogo, come
attesta il manoscritto della Supplica del conte Peloso Cepolla perché il pupillo Cepollino non
sia tenuto al debito con il Comune verso il Conte Aicardi, 1829 in 1832, conservato
nell’Archivio di Stato di Torino (AST, Corte, Paesi per A e B, A, mazzo 20, fasc. 7).
Bibliografia:
Bandi campestri formati dall’illustrissimo signor conte Giacomo Cepollini di Alto e
Caprauna per il detto luogo di Alto. Approvato dal Senato di Piemonte 18 gennaio 1785,
stamperia G.M. Ghiringhello, Torino 1785
Berra L., Riordinamento delle diocesi di Mondovi, Saluzzo, Alba e Fossano ed erezione della
diocesi di Cuneo (1817), in «BSSSAACn.», 36 (1955), pp. 18-59.
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico commerciale degli Stati di S.M il Re di
Sardegna, Torino 1833,voll. I.
Descrizione della Provincia di Mondovì: relazione dell’intendente Corvesy, 1753, a cura di
G. Comino, Mondovì 2003.
Manno A., Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino 1884-1896,
voll.VIII.
Olivieri L., Millesimo e i Carretto: documenti inediti di vita medievale (1253-1597), in
«BSSSAACn», 100 (1989), pp. 167-197.
Provero L., I marchesi del Carretto: tradizione pubblica, radicamento patrimoniale e ambiti
di affermazione politica, in «Atti e memorie», 30 (1994), pp. 21-50.
Rossi G., La storia della città di Albenga, Savona 1870.
Sommario nella causa del signor conte Giacomo Maria Cepollini, della città di Albenga,
conte de’ luoghi di Alto e Caprauna, contro la comunità di detti luoghi (relat Calcino), G.
Bayno, Torino 1767
Sommario nella causa del signor conte Giacomo Maria Cepollini, della città di Albenga,
conte de’ luoghi di Alto e Caprauna, contro la comunità di detti luoghi (relat. Robesti), G.M.
Ghiringhello, Torino 1775
Alto
II territorio originariamente era parte del feudo imperiale della famiglia Clavesana, che
nel XII secolo cedeva alla famiglia Cepolla di Albenga i castelli di Aquila e Cosio, e in
seguito quelli di Alto e Caprauna. Le alienazioni rispondono all’esigenza di liquidità dei
signori, che avevano la necessità di eserciti e alleanze politiche nella città per contenere
l’espansione dei del Carretto di Savona (Rossi 1870, p. 163). Questi, tra XII e XIII secolo,
erano impegnati ad espandersi sul comitato di Albenga, verso Pietra e Loano. La creazione
delle villenuove di Finale e Millesimo rientravano infatti nell’ottica del potenziamento del
dominatus, ma i marchesi non ebbero mai l’ambizione di trasformare la propria giurisdizione
in un’egemonia territoriale di tipo dinastico. Valorizzavano piuttosto i nuclei patrimoniali,
distinguendosi come potere rurale, attento alle esigenze commerciali. In questo senso i loro
migliori interlocutori erano i comuni e la società urbana, in cui svolgevano spesso ruoli
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politici rilevanti sia nell’amministrazione dei paesi liguri che piemontesi (Provero 1994, pp.
28-39).
Durante le lotte guelfe e ghibelline nella città di Albenga si crearono due fazioni
politiche sostenitrici dei del Carretto, rappresentanti della parte ghibellina: i Doria e gli
Spinola. In questo frangente la famiglia Cepolla, ricca, potente e numerosa, sempre stata
fedele all’Impero, si divise nell’appoggio dell’una e dell’altra famiglie ghibelline della città:
il ramo primogenito mantenne il cognome, gli altri assunsero quello di Cepollini, a fianco dei
vincitori, governatori della città (1338).
La contea di Alto e Caprauna rappresentava un punto strategico di crocevia alpino tra
Pieve e la val Arroscia, Ormea e l’alta val Tanaro e i passi che congiungevano le Alpi alla
città di Albenga. La subinfeudazione di detta contea ai Cepollini rientrava nell’ottica delle
alleanze politiche nella faida tra i del Carretto, i marchesi di Ceva e i Clavesana, che avevano
ancora possedimenti in val Arroscia con baluardo a Pieve di Teco. Questi ultimi sottoposero
alla supremazia di Genova la metà dei loro beni e diritti lungo la valle nella forma di feudo
oblato. L’espediente di ricorrere alla mediazione della Repubblica da parte delle famiglie –
che in essa cercavano un potente alleato – di fatto conferisce alla città di Genova un ruolo di
arbitro nelle contese. Ovvero le riconosce un potere pubblico superiore nelle lotte tra i
signori, a loro discapito e a vantaggio dei comuni. Nel 1380 Genova interviene con una
investitura a Carlo del Carretto della stessa contea di Alto e Caprauna e l’anno successivo i
signori e le comunità del contado convengono nuovamente la superiorità della città sui luoghi
(AST, Corte, Genova confini, mazzo 7, fasc. 2: Investitura di Genova a Carlo del Carretto
[1380]; Manno 1891, vol. II, p. 232).
La giurisdizione territoriale del comune di Alto – suddivisa tra i del Carretto e i
Cepollini di Albenga – si compone di una serie di diritti di sfruttamento e rendita sulle risorse
territoriali, che il comune ha stipulato con i nuovi signori nel 1320 (Manno 1891, vol. II, p.
232). Il comune dal canto suo risulta «povero di redditi», giacché – come rileva l’intendente
Corvesy – possiede «solo alcuni pascoli comuni, che servono per la norritura de’ bestiami»
(BRT, Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, p.
351). Il territorio comunale infatti è costituito «dalla parte più alta delle Alpi», ad
un’altitudine di 1000 metri sul livello del mare (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 5:
relazione Gian Giuseppe Carreto, 29 settembre 1934), ed attualmente mantiene una serie di
quegli usi civici, derivati dalla cessione dei diritti sul territorio ad opera dei marchesi
all’epoca della loro infeudazione. Gli abitanti esercitano quindi: «diritto di erbatico» su tutti i
terreni demaniali a pascolo, mediante piccolo compenso che gli «usuari» corrispondono al
comune. Ovvero si raccoglie il primo taglio d’erba, dopodiché il pascolo resta libero a tutti
gli abitanti; «diritto di pascolo» su tutti i terreni compresi i boschi, nel rispetto del
regolamento forestale; «diritto di legnatico» sui boschi cedui, consistente nella raccolta dei
rami secchi e sparsi; «raccolta della lavanda» sui terreni incolti e sui pascoli; «raccolta delle
nocciole selvatiche» sui boschi cedui e sui pascoli cespugliati. Inoltre gli abitanti esercitano
«pascolo promiscuo» «su tutti i terreni incolti e prati dopo la fienagione, sempre stati
privati».
Gli usi civici di Alto hanno sempre avuto come base l’intera estensione del territorio
comunale – e non singole aree riservate (come ad esempio le bandite, cfr. la scheda dedicata
a Caprauna) –, su cui si esercitano i diritti e le consuetudini di sfruttamento. La raccolta delle
nocciole e della lavanda sono redditi che il comune si riserva di appaltare, diversamente
restano a disposizione della collettività nei periodi fissati dai bandi. Risultano invece
annualmente a bilancio comunale la riscossione dei diritti di legnatico e pascolo, come si
sancisce nel regolamento di polizia rurale allegato alla richiesta di riconoscimento degli usi
civici del 1925.
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Per quanto riguarda il pascolo promiscuo si tratta di una risorsa collettiva a cui
partecipa l’intera popolazione, e viene esercitata sulle proprietà private, che restano a servizio
dell’economia comunitaria. Il pascolo infatti è caratterizzato dall’organizzazione del «gregge
comune» a cui aderiscono tutti i proprietari di terreni e bestie. Questi, soggetti ai turni di
sorveglianza del gregge, usufruiscono della consulenza di una commissione comunale che
sovrintende alla riproduzione del bestiame, alle aree di pascolo e alla disciplina dei turni e
degli orari di custodia del gregge.
Ovviamente gli usi civici di pascolo e legnatico non si esercitano sulle proprietà
private, ma solo nella zona delle Alpi superiori, di 211 ettari circa, in cui predominano il
pascolo e il bosco (CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 5: relazione Ferrero, 30 settembre
1934 e decreto 10 febbraio 1940, Comm. Bafile). Al territorio demaniale specificatamente
detto si aggiungono i terreni privati, che hanno la facoltà di aderire alla logica economica
comunitaria del pascolo promiscuo: diversamente i proprietari devono richiedere in comune
lo stato di coltivazione. In questo modo però, coloro che intendono proibire i propri terreni al
pascolo sono esclusi dai diritti e dai vantaggi del gregge comune.
L’organizzazione collettiva dello sfruttamento del territorio – in cui è compresa anche
la proprietà privata – rende Alto un comune atipico nel panorama del Piemonte meridionale,
qui persistono le caratteristiche di un’economia montana che fonda la sua sussistenza proprio
nella solida e al contempo rigida struttura comunitaria delle risorse. Ciò determina la staticità
ma anche la stabilità del territorio controllato dal comune, dove le stesse usurpazioni dei beni
(CLUC, Provincia di Cuneo, cartella 5: relazione Gian Giuseppe Carreto [29 settembre
1934]) – la cui natura ed entità non sono specificate – non ledono certo la plurisecolare
organizzazione comunitaria del paese.
La relazione settecentesca dell’intendente Corvesy attesta che il comune era governato
consensualmente dal consiglio comunale, una ristretta cerchia costituita dalle persone più
influenti della comunità, tanto che il consiglio generale dei capi-casa da parecchi anni non si
riuniva più. Con lo stesso spirito non si teneva un «libro degli ordinati», né la proprietà era
mai stata misurata, giacché i beni sul territorio erano esenti da ogni tipo di tassazione (BRT,
Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì, relat Corvesy, 1753, pp. 349-352).
Questo eccezionale spirito comunitario di Alto, persiste nel tempo e si mostra compatto nella
rivendicazione dei propri diritti al conte Cepollini. Lo sviluppo dei rapporti con il conte
diventa il punto di crisi dell’intero sistema collettivo: a lui si devono le decime, una
contribuzione inizialmente corrisposta in natura e servigi, poi tramutata in denaro. Alto si
avvia ad un indebitamento catastrofico, che non si può semplicisticamente attribuire alla
nuova tassazione introdotta dall’assoggettamento ai Savoia. Infatti rispetto alla fiscalità
piemontese la comunità mantiene i suoi privilegi: ancora a metà Settecento gli abitanti
pagano solo il fogaggio presunto sul reddito familiare, sono esenti dal cotizzo sul bestiame, e
le proprietà, non essendo registrate, non pagano alcun allibramento. I debiti derivano
piuttosto da alcuni capitali censi genovesi mai estinti, i cui interessi gravano sul bilancio
comunale in maniera endemica. Si susseguono a tal proprosito, arresti di Piemontesi a
Zuccarello e rappresaglie genovesi sul territorio comunale di Alto per la riscossione di quegli
interessi, di cui nessuno più è in grado di presentare i titoli. Tra i creditori solo il conte
Ferrero di Masio pare disposto a rimettersi all’arbitrio del Real Senato per trattare una
risoluzione con la comunità (BRT, Storia patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì,
relat. Corvesy 1753, pp. 348-349). Ma le vicende dei censi debiti e delle rappresaglie
genovesi non sono supportate da ulteriore documentazione. La menzione di tali episodi da
parte del funzionario governativo risponde probabilmente alle preoccupazioni dello Stato
sabaudo rispetto alle relazioni estere con la Repubblica genovese, piuttosto che al rilievo di
una crisi economica tra comunità limitrofe.
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Continua ad essere il rapporto con il conte Cepollini, divenuto vassallo dei Savoia, il
punto nodale della tensione con la comunità. Nel corso del XVIII secolo in particolare la
comunità intenta una causa contro il «diritto di disimpesatura» che consisteva nella facoltà
del conte di nominare alcuni reggitori (Relazione Calcino, Torino 1767, Manno 1891, vol. II,
p. 232), insieme ad uno specifico diritto quantificato in 50 lire, dovuto al conte da chiunque
volesse lasciare il paese anche se i suoi redditi fossero inferiori a tale somma (BRT, Storia
patria n. 853, Relazioni della provincia di Mondovì, relat. Corvesy 1753, p. 351). Si segnala
inoltre un’altra causa tra il conte e la comunità, a distanza di una decina d’anni per i diritti di
caccia e pesca (Relazione Robesti, Torino 1775; Manno 1891, vol. II, p. 232). Il contenzioso
con il vassallo del luogo sfocia dunque in una stesura dei bandi campestri, datata 1785, che il
conte ha dovuto concedere ad ulteriore regolamentazione dei suoi diritti sul territorio (Bandi
campestri 1785; Manno 1891, vol. II, p. 232).
Poiché le risorse comunitarie sono costituite essenzialmente da consuetudini su un’area
comunale in cui la giurisdizione del conte è prevalente, unico motivo di scontro risulta
appunto la contrattazione dei diritti d’uso con quest’ultimo. Il territorio base del comune non
presenta quindi elementi di tensione, se non per lo sfruttamento delle risorse in opposizione
ai diritti e canoni del conte.
Nella prima metà dell’Ottocento, in occasione del pagamento di alcuni debiti comunali,
il conte prende le distanze dal luogo, ovvero di fatto si dichiara estraneo e quindi non
perseguibile rispetto alla contabilità passiva del comune. Si tratta di un indebitamento
originato da un censo contratto dalla comunità con il conte Aicardi, a cui si aggiunge
l’imposta annua ordinaria, che risulta così quadruplicata. Il conte viene esentato dal
pagamento dei debiti della comunità. Ormai non vive più in quei luoghi, bensì è tornato alla
città d’origine, Albenga, sotto il tutorato del conte Peloso Cepolla – riavvicinatosi quindi alla
famiglia Cepolla di cui i Cepollini sono ramo cadetto –. Nella supplica del conte, Alto è
descritto come «una delle più sterili regioni delle Alpi occidentali, così infruttifero che paga
soltanto l’imposta prediale» (AST, Corte, Paesi per A e B, A, mazzo 20, fasc. 7 [18291832]).
L’allontanamento definitivo del conte, unico nodo di tensione nel sistema di
sfruttamento delle risorse territoriali, rende pacifica l’attribuzione degli usi civici sull’intero
territorio comunale e il riconoscimento dell’area demaniale delle Alpi (CLUC, Provincia di
Cuneo, cartella 5: decreto 10 febbraio 1940, Comm. Bafile). La formazione del territorio
comunale non ha quindi subito nel corso dei secoli assestamenti o espansioni, se non il
probabile passaggio al demanio pubblico dei beni del conte, su cui peraltro gli abitanti
esercitavano già le loro consuetudini.