Capitolo 10 Il medio periodo 10.1 Dalla IS-LM alla AD Il passaggio dalla IS-LM alla AD si ottiene abbandonando l’ipotesi di completa rigidità dei prezzi. Nel precedente capitolo abbiamo scritto la LM come equazione dell’equilibrio tra domanda e offerta reale di moneta. Data l’ipotesi di prezzi fissi e normalizzati a 1, avevamo scritto la LM come: M̄ = kY + l − hr Se i prezzi possono variare la stessa equazione andrà scritta, nell’ipotesi che il tasso di inflazione atteso sia nullo e che, quindi, il tasso nominale e il tasso reale di interesse coincidano1 : M̄ = kY + l − hr P Una diminuzione dei prezzi, facendo crescere il rapporto M̄ P , comporta un aumento della quantità reale di moneta in circolazione a parità di moneta nominale emessa dalla Banca Centrale. Da un punto di vista grafico, allora, la LM, al diminuire di P , si sposta verso sud-est. Avremo perciò una diversa LM per ogni valore di P . nella figura 10.1 tracciamo, in corrispondenza dei punti di incontro tra IS e le diverse LM, un luogo dei punti di equilibrio (P, Y ) sul mercato dei beni. Tale luogo dei punti di equilibrio è la curva AD. Da un punto di vista analitico, la AD si ottiene risolvendo il modello ISLM lasciando P libero di variare; poiché vogliamo un modello AD lineare nei logaritmi, si partirà da una formulazione log-lineare del modello IS-LM. 1 Si ricordi che i = r + πe è il tasso nominale di interesse, dato dalla somma tra tasso reale e tasso di inflazione attesa. Se π e = 0, ovviamente, tasso nominale e reale coincidono. 110 r IS 0 Y P AD 0 Y Figura 10.1: IS : y = cy − σr + a LM : m − p = φy − λr La soluzione del modello procede come già visto nel capitolo 9. Ricaviamo r dalla LM: 1 1 φ r = y− m+ p λ λ λ sostituiamo il valore trovato nella IS: y = cy + σφ σ σ y+ m− p+a λ λ λ e, attraverso semplici passaggi algebrici, otteniamo: AD : ovvero, ponendo y= σ λ a+ (m − p) λ(1 − c) + σφ λ(1 − c) + σφ λ λ(1−c)+σφ AD : = µ1 e σ λ(1−c)+σφ = µ2 : y = µ1 a + µ2 (m − p) 111 (10.1) che è la formulazione di AD che abbiamo dato nel capitolo 2. Ricordiamo che µ1 e µ2 sono le elasticità della domanda (reddito) aggregata alle variazioni di spesa autonoma e dei saldi monetari reali rispettivamente. Tuttavia, come è facile verificare µ1 e µ2 contengono tutti i parametri presenti nei moltiplicatori della spesa e della moneta già visti nel capitolo 9 e, quindi, contengono tutti gli snodi attraverso cui le variabili monetarie e di spesa autonoma influenzano il reddito. In effetti, la AD non è che la forma ridotta di un modello IS-LM in cui ai prezzi sia consentito variare e in cui, perciò, la quantità reale di moneta varia non solo perché varia la moneta nominale in circolazione ma anche perché variano i prezzi. Gli spostamenti sul piano della AD sono dovuti (a parità di parametri comportamentali) a: 1) uno spostamento verso l’alto della IS (maggiore spesa pubblica o investimenti privati); 2) uno spostamento verso destra della LM a parità di prezzi (maggiore quantità di moneta). Come si è già detto nel capitolo 8, con una AS orizzontale (P = cost.), l’effetto di uno spostamento della AD è esclusivamente su Y ; i prezzi rimangono costanti. Il livello di output è esclusivamente determinato dal lato della domanda, cioè dal modello IS LM. Le cose cambiano se la AS non è orrizzontale, bensì positivamente inclinata. Ma come è possibile che le cose stiano in questo modo? 10.2 L’aggiustamento dei salari e la curva di Phillips Per rispondere all’interrogativo appena posto è necessario abbandonare l’ipotesi che i salari monetari siano fissi, su cui abbiamo costruito tutta l’analisi di breve periodo. In effetti, non appena si vada oltre l’orizzonte del breve periodo, i salari monetari possono variare liberamente. Anzi, è proprio la loro variabilità che, in presenza di un mark-up costante e di produttività pure costante, rende variabili i costi e quindi giustifica la variabilità dei prezzi. Come si è visto nel capitolo 4, in un mercato del lavoro imperfetto, il salario contrattato dai sindacati o il salario di efficienza è una funzione crescente del livello di occupazione e, quindi, decrescente del tasso di disoccupazione. È esattamente questo il significato della curva BRW. D’altra parte, la curva PRW esprime il salario (reale) che le imprese sono disposte a pagare, cioè che - data la tecnologia e dato il loro potere di mercato massimizza i loro profitti. L’incontro tra le due curve determina il tasso di disoccupazione di lungo periodo (uL ) e, contemporaneamente una distribuzione del prodotto pro-capite “di equilibrio”, nel senso che tanto i la112 voratori quanto le imprese sono soddisfatte delle rispettive quote (f − z ai salari e z ai profitti). ω=w-p BRW f PRW f-z b u 0 l n* n Figura 10.2: Qualora però, per qualsiasi ragione, l’equilibrio IS-LM di breve periodo implichi un tasso di disoccupazione inferiore a uL il salario desiderato dai lavoratori (ω B ) sarà superiore a quello che le imprese sono disposte a pagare (ωP ). Ne segue che l’equilibrio distributivo sarà rotto: la quota del prodotto pro-capite desiderata dai lavoratori sarà superiore a quella che le imprese sono disposte a lasciare ai lavoratori. Si genera così un conflitto distributivo la cui conseguenza sarà un aumento del livello generale deui prezzi. La questione può essere formalizzata molto semplicemente come segue. Riprendiamo l’equazione della BRW per il periodo corrente: ωB = b̄ + γ(¯l − u) Prendiamo la stessa equazione ritardata di un periodo: ¯ ωB −1 = b̄ + γ(l − u−1 ) Sottraiamo ora la seconda dalla prima e avremo: ωB − ωB −1 = −γ(u − u−1 ) 113 (10.2) La (10.2) esprime l’aggiustamento dei salari reali desiderato dai lavoratori in funzione della variazione del tasso di disoccupazione. Chiaramente, l’aumento di salario reale desiderato è tanto maggiore quanto più è diminuito il tasso di disoccupazione rispetto al periodo precedente. Supponiamo ora di P ¯ partire da una situazione in cui si verifica ωB −1 = ω = ω −1 = b̄ + γ(l − uL ). Potremo allora riscrivere la (10.2) (con opportuno cambiamento di segno) come: (10.3) ω B − ω −1 = γ(uL − u) in cui la variazione desiderata del salario reale è funzione dello scostamento del tasso di disoccupazione dal suo valore di equilibrio di lungo periodo. Ovviamente, la (10.3) non è ancora un’equazione di aggiustamento dei salari nominali; ma è facile trasformarla per ottenere proprio quello che cerchiamo. È infatti sufficiente ricordare la definizione di salario reale (ω = w − p) per ottenere dalla (10.3) la seguente espressione: wB − p − w−1 + p−1 = γ(uL − u) e quindi: wB − w−1 = p − p−1 + γ(uL − u) ovvero: W̃ B = π + γ(uL − u) (10.4) Dal momento che il salario monetario viene fissato prima che i lavoratori conoscano il livello dei prezzi dell’anno in corso, quindi che conoscano il tasso di inflazione la precedente equazione andrà corretta nel senso di sostituire al tasso di inflazione effettivo il tasso di inflazione atteso (π e = pe − p−1 ): W̃ B = π e + γ(uL − u) (10.5) La variazione dei salari monetari richiesta all’inizio dell’anno dai lavoratori dipenderà quindi dal tasso di inflazione atteso. L’equazione (10.5) rappresenta la cosiddetta curva di Phillips, cioè una relazione tra variazione dei salari monetari e scarto del tasso di disoccupazione dal suo livello naturale, “aumentata” dalle aspettative di inflazione. Tale relazione è decrescente, ma ha un’intercetta con l’asse delle ordinate che è determinato dal livello dell’inflazione attesa2 . Per un tasso di disoccupazione uguale a quello di lungo periodo (u = uL ) tale curva è una retta verticale, ma per u 6= uL è una retta inclinata negativamente. Essa intersecherà l’asse u nel punto 2 Si noti che la pendenza della curva di Phillips è data da γ che, come abbiamo visto nel capitolo 4, è un indicatore del potere sindacale. 114 uL solo per un tasso di inflazione atteso pari a zero. Qualora π e > 0 la retta sarà traslata in alto sul piano esattamente di π e (avrà un’ordinata maggiore). Si avrà, pertanto, una curva di Phillips per ogni valore di π e : tanto più alto è il tasso di inflazione atteso e tanto più “alta” sarà la curva di Phillips corrispondente. ~ W uL 0 u πe =0 Figura 10.3: La curva di Phillips esprime un trade-off tra variazione dei salari monetari e tasso di disoccupazione. Tale trade off non è però unico,nel senso che vene sarà uno per ogni livello del tasso di inflazione attesa. Se il tasso di inflazione atteso è più alto, il trade off peggiora, nel senso che per ogni valore di u < uL si avrà un aumento dei salari monetari maggiore se l’inflazione attesa è maggiore. Il motivo per cui parliamo di peggioramento del trade off al crescere delle aspettative inflazionistiche è che è facile trasformare la (10.5) in una relazione tra tasso di inflazione e tasso di disoccupazione. Continuando a supporre che la produttività sia costante, si avrà che π = W̃ e, quindi: (10.6) π = π e + γ(uL − u) Da questa espressione si evincono due importanti conclusioni: 1) a parità di tasso di disoccupazione, il tasso di inflazione effettivo (π) è tanto maggiore quanto maggiore è il tasso di inflazione atteso; 2) se il tasso di disoccupazione è uguale al suo valore naturale il tasso di inflazione è uguale a quello atteso. Un esempio aiuta a chiarire quanto appena detto. Si supponga che, 115 ω BRW z Quota distributiva in eccesso desiderata dai lavoratori f-z w,π Curva di Phillips di lungo periodo π=15% π=10% π=5% Curve di Phillips di medio periodo πe=10% πe=5% πe=0 Figura 10.4: inizialmente si abbia u = uL , π e = 5% ⇒ W̃B = 5%, mentre il salario reale sarà costante. L’aumento dei salari monetari del 5% spingerà però le imprese ad aumentare i prezzi proprio del 5% per mantenere costante il margine di profitto, quindi π = π e . Se invece u = uL e π e = 0% ⇒ W̃B = 0%, con π = 0 = πe . È interessante ora vedere cosa ci dice la curva di Phillips circa il processo inflazionistico. Supponiamo, dunque, che u < uL . I lavoratori desiderano un salario reale più elevato di quello di equilibrio (ωB = ω P ), il che significa che richiedono un a fetta del reddito incompatibile con quella richesta dalle imprese (ω B > f −z). Supponiamo ω −1 = ω P = f −z e π e = 5%. L’aumento di w richiesto dai sindacati dei lavoratori (W̃ B ) sarà allora maggiore del 5%, precisamente di un ammontare pari γ(uL − u) in modo da conseguire ωB > ω P . Ora se W̃B > 5%, per mantenere il margine di profitto desiderato, le imprese aumenteranno i prezzi di più del 5%: π > 5%. Una disoccupazione più bassa di quella di lungo periodo implica allora un’inflazione crescente (π > π −1 ). Il risultato è indipendente dal valore iniziale dell’inflazione attesa, cioè è valido anche se π e = 0%. Si noti che un’inflazione crescente implica anche che π > π e e che, quindi, i salari reali effettivamente percepiti dai lavoratori risultino inferiori a quelli desiderati e su cui si era basata 116 la contrattazione. Ciò può innescare nuove richieste di aumento dei salari monetari e quindi mettere in moto una spirale inflazionistica. L’inflazione è costante solo quando si verifica π = π e ; se π ≶ π e , π ≶ π −1 .Quindi, per mantenere l’economia ad un tasso di disoccupazione inferiore a quello naturale, si deve accettare un’inflazione crescente. Apparentemente, la moneta non ricopre nessun ruolo nel processo inflazionistico, ma ovviamente non è così. Se le spinte inflazionistiche nonsono accompagnate da una proporzionale crescita monetaria, la quantità reale di moneta diminuisce; ciò fa diminuire la domanda aggregata e perciò riduce il PIL finché l’inflazione è completamente strozzata. Solo una politica monetaria accomodante consente a m − p di rimanere costante nel corsao del processo inflazinistico. Si deve avere pertanto M̃ = π. 10.3 AS-AD nel medio periodo Si può vedere meglio il ruolo della moneta tornando ad un modello ADAS nel tasso di inflazione. La (10.6) può essere facilmente trasformata nell’equazione della curva AS. Poiché uL = l − nL e u = l − n, possiamo scrivere uL − u = n − nL e quindi: p − p−1 = pe − p−1 + γ(n − nL ) Poiché, inoltre, dalla funzione di produzione y = f + n si ricava n = y − f e ovviamente nL = yL −f , possiamo ottenere: n−nL = y−yL . Riassumendo: uL − u = n − nL = y − yL Quindi, p − p−1 = pe − p−1 + γ(y − yL ) (10.7) p = pe + γ(y − yL ) (10.8) da cui: ovvero, risolvendo per y e ponendo 1 γ = ε: y = yL + ε(p − pe ) Utilizzeremo l’una o l’altra formulazione secondo convenienza. Guardando alla (10.8), si vede subito che si tratta di una retta inclinata positivamente nel piano (p, y), parametrizzata al livello dei prezzi atteso (pe ). Vale a dire che esisterà una retta AS inclinata positivamente per ogni dato livello di pe 117 e che le rette AS saranno tanto più spostate verso l’alto quanto maggiore è pe . La pendenza della curva AS di medio periodo (γ) è la pendenza della curva di Phillips invertita di segno (la pendenza della curva di Phillips è ovviamente −γ). Quindi, tanto maggiore è il trade-off tra inflazione e disoccupazione, tanto maggiore sarà la reattività del livello dei prezzi agli scostamenti del PIL dal suo livello naturale. La rappresentazione grafica della AS di medio periodo è contenuta nella figura seguente: ASL p AS (pe3) AS (pe2) AS (pe1) AS (pe0) 0 yL y Figura 10.5: Dalla formulazione analitica e dalla rappresentazione grafica si vede subito che p = pe ⇔ y = yL . Si ha cioè uguaglianza tra livello effettivo dei prezzi e livello atteso se e solo se il reddito è pari al suo livello naturale. Questo risultato è molto importante per cogliere la dinamica del modello fuori dall’equilibrio, cioè quando y 6= yL . Il modello AD-AS di medio periodo, graficamente, è completato sovrapponendo la curva AD alla AS. Analiticamente, si dovranno risolvere simultaneamente le due equazioni: p = pe + γ(y − yL ) y = µ1 a + µ2 (m − p) Tanto dalla rappresentazione grafica, quanto dalla formulazione analitica emerge come i valori di equilibrio di medio periodo del PIL e del livello dei 118 prezzi siano determinati soltanto se sono note le aspettative (un sistema di due equazioni è risolvibile se ci sono due incognite, in questo caso p e y). Se pe = pe0 la curva AS rilevante sarà la AS(pe0 ). Si può verificare immediatamente che, quando le aspettative siano realizzate, cioè p = pe0 , y = yL ; perciò la AD incontra la AS di medio periodo in corrispondenza della ASL, il che significa che a e m, cioè le variabili esogene, almeno in parte sotto il controllo delle autorità di politica economica, assumono proprio i valori che consentono di raggiungere p = pe0 e y = yL . ASL p AS (pe0) AD0 0 yL y Figura 10.6: Naturalmente, l’interesse del modello di medio periodo non sta nell’analisi dell’equilibrio di lungo periodo, ma nell’analisi di cosa accade quando si mettano in atto azioni che fanno spostare l’economia dall’equilibrio di lungo periodo. Per compiere questa analisi supporremo che inizialmente l’economia si trovi in un equilibrio di lungo periodo e ci sia trovata anche nel periodo precedente. Detto in altri termini, supporremo che l’economia, inizialmente, si trovi in una situazione di steady state. Tale situazione è definita, perciò dalle condizioni: y = y−1 = yL ; m = m−1 = mL ; a = a−1 = aL ; p = p−1 = p0 = pe0 e corrisponde a un punto di incontro AS-AD di medio periodo lungo la ASL. Assumiamo, inoltre, per semplicità, µ1 a = v e µ2 = 1, 119 per cui la AD si semplifica in: y =m−p+v (10.9) Ritardiamo ora la (10.9) di un periodo supponendo che v sia costante (in pratica, lasciamo che a variare sia solo la quantità di moneta): y−1 = m−1 − p−1 + v (10.10) Sottraiamo ora la (10.10) dalla (10.9) e riarrangiando l’espressione che si ricava otteniamo: p − p−1 = (m − m−1 ) − (y − y−1 ) (10.11) Supponiamo ora che le aspettative circa il livello dei prezzi siano statiche, ovvero che gli operatori si aspettino un livello dei prezzi corrente pari al livello che c’è stato nel periodo precedente (pe = p−1 ). La AS assumerà allora la forma seguente: y = yL + β(p − p−1 ) (10.12) dove β = γ1 . Sostituendo la (10.11) nella (10.12) si ottiene: y = yL + β(m − m−1 ) − β(y − y−1 ) Risolvendo per y, dopo aver posto ovviamente), si ha: β 1+β =be 1 1+β = 1 − b (con β < 1, y = (1 − b)yL + by−1 + b(m − m−1 ) (10.13) Da quest’espressione si ricava che il livello di equilibrio di medio periodo del PIL dipende dal livello naturale (o di lungo periodo yL ), dal livello dello stesso PIL nel periodo precedente e dalla variazione della quantità di moneta in circolazione. Dalla (10.13) si ricava subito che, in condizioni di steady state, y = yL , come avevamo già accertato graficamente. Il che conferma, una volta di più, che nel lungo periodo la moneta è neutrale, cioè non influenza il livello del PIL. Nel breve e nel medio periodo, però, le cose sono diverse. Si supponga che la quantità di moneta aumenti nel periodo 1 e rimanga costante nei periodi successivi al nuovo livello: m < m1 = m2 = m3... e definiamo m1 − m = δ 1 . Nel breve periodo i prezzi sono fissi; quindi l’impatto iniziale dell’aumento di m sarà un aumento di y da yL a yB (figura ). Non appena, però, inizia l’aggiustamento dei salari monetari visto nella sezione 120 ASL p AS (pe0) p1 p0 AD1 AD0 0 yL yM1 yB y Figura 10.7: precedente (perché nB > nL , ovvero uB < uL ), anche i prezzi cominceranno a variare e l’equilibrio di medio periodo si troverà in yM1 . Analiticamente, si otterrà che nel periodo 1, con variazione dei prezzi: y1 = (1 − b)yL + byL + bδ 1 = yL + bδ 1 p1 = (m + δ 1 ) − (yL + bδ 1 ) + v = p + δ(1 − b) Ne segue che, nel medio periodo l’incremento di m si traduce in parte (b) in un aumento di y e, in parte (1-b) in un aumento dei prezzi. Il processo, però non è terminato qui, perche nell’equilibrio di medio periodo che abbiamo indicato con M 1 il livello dei prezzi non coincide con il livello dei prezzi atteso. Si metterà quindi in moto una revisione delle aspettative, in base alla regola ipotizzata (pe = p−1 ). Si avrà quindi pe2 = p1 . Ciò implicherà una nuova AS: y2 = yL + β(p2 − p1 ) da cui si ottiene, dopo qualche passaggio: y2 = (1 − b)yL + b(yL + bδ 1 ) = yL + b2 δ 1 121 Si verifica subito che y2 < y1 , in virtù del fatto che b < 1. In modo del tutto analogo, otterremo per p2 : p2 = p + δ(1 − b2 ) con p2 > p1 sempre perché b < 1. Reiterando ancora il procedimento per i periodi successivi si vedrà che y3 < y2 < y1 , e via di seguito, mentre p3 > p2 > p1 e via di seguito. Il livello dei prezzi continuerà ad aumentare, assorbendo una quota via via crescente dello shock monetario, mentre il PIL continuerà a diminuire fino a che non si verificherà nuovamente y = yL . La curva AS di medio periodo continuerà a spostarsi verso l’alto fino a che una di esse incontrerà la AD1 di nuovo in corrispondenza di ASL, cioè di yL . ASL p AS (pe2) AS (pe1) AS (pe0) 0 yL y Figura 10.8: 10.4 Ancora sul processo inflazionistico 10.4.1 AD-AS nel tasso di inflazione Il modello AD-AS esaminato nel paragrafo precedente può essere utilmente dinamicizzato per tornare a mettere a fuoco il processo inflazionistico la cui 122 analisi è stata avviata nel paragrafo 10.2. La AS nel tasso di inflazione è immediatamente ottenibile dalla (10.7), applicando la definizione di tasso di inflazione (π = p − p−1 ): π = π e + γ(y − yL ) (10.14) Per completare la AD -AS nel tasso di inflazione, è necessario definire la AD nel tasso di inflazione. A tale fine è sufficiente utilizzare la (10.11), per ottenere, se v è costante nel tempo: π = (m − m−1 ) − (y − y−1 ) (10.15) che può anche essere scritta come: y = y−1 + (M̃ − π) (10.16) La domanda aggregata è uguale a quella del periodo precedente se il tasso di crescita della moneta è uguale al tasso di inflazione. Avremo una cuva AD per ogni valore di y−1 e M̃ 3 . π AD2 0 yL y AD0 AD1 Figura 10.9: Per y = y−1 = yL passeranno tante curve AD quanti sono i valori di M̃ . Dato M̃0 un aumento di π fa diminuire la quantità reale di moneta e quindi 3 Naturalmente, la AD nel tasso d’inflazione potrà tagliare l’asse orizzontale dal momento che tassi d’inflazione negativi sono perfettamente ammissibili (mentre non lo sono livelli dei prezzi negativi). 123 la domanda aggregata. D’altra parte, la AD si sposta anche se cambia y−1 . Se, per esempio si è passati inizialmente da y0 = yL a y1 avremo: y0 = y0 + M̃0 − π 0 → M̃0 = π 0 = 0 y1 = y0 + M̃1 − π 1 y2 = y1 + M̃1 − π 2 l’intercetta sull’asse y è y0 + M̃1 e y1 + M̃1 nel periodo 1 e 2 rispettivamente, poichè y1 > y0 ; tale intercetta sarà spostata più a destra, quindi la AD si sposta “di suo”, ovvero senza ulteriori interventi di politica economica: si tratta di una AD dinamica. Il modello AD-AS dinamico, tenendo conto delle aspettative, è riassumibile nelle due equazioni: y = y−1 + M̃ − π π = π e + ε(y − yL ) La curva AS nel tasso di inflazione è “parametrata” alle aspettative di inflazione non meno della sua versione nel livello dei prezzi. Quindi anche la AS si sposta in relazione alle aspettative. In corrispondenza di y = yL si avrà π = π e , mentre le aspettative non sono soddisfatte per qualsiasi livello di y 6= yL . A ben riflettere, questo grafico ha lo stesso significato di quello che presenta la famiglia di curve di Phillips della figura 10.4: quando y > yL (u < uL ) il salario reale desiderato dai lavoratori è superiore a quello che le imprese sono disposte a pagare, quindi si genera un’inflazione tale che π > πe. 10.4.2 Aspettative adattive e aspettative razionali E’ chiaro che un modello in cui è presente una variabile non osservabile, come le aspettative di inflazione, non può essere risolto analiticamente. E’ necessario formulare delle ipotesi sulla formazione delle aspettative e sul loro aggiustamento nel tempo. Le principali ipotesi, a questo riguardo, sono quelle di aspettative adattive e quella di aspettative razionali. La prima ipotesi è quella che gli individui adattino le proprie aspettative sulla base delle osservazioni. Se l’aspettativa di inflazione per t − 1 era π e−1 , l’aspettativa per t sarà π e = λπ −1 + (1 − λ)π e−1 , cioè una media ponderata del valore osservato in t − 1 e del valore osservato π −1 .Una variante molto 124 π ASL AS (π 2 ) AS (π 1 ) AS (π 0 ) 0 y π 2 > π1 > π 0 Figura 10.10: utilizzata è quella di porre λ = 1, ottendendo così le aspettative statiche, che abbiamo già visto in precedenza. Con aspettative statiche si avrà π e = π −1 . La seconda ipotesi è che gli individui non guardino al passato, ma usino tutte le informazioni possibili (quindi anche quelle sulle politiche messe in atto dalla Banca Centrale e dal Governo) per fare le previsioni circa il futuro. L’aspettativa razionale di una variabile sarà dunque l’aspettativa matematica della stessa, data l’informazione disponibile in t − 1, π e = E(π|I−1 ), cioè il valore medio, o più probabile, che la variabile assume, data l’informazione disponibile nel momento in cui l’aspettativa viene formata. Ciò implica che le aspettative siano, in media, corrette. Gli scostamenti dei valori effettivi da quelli attesi dipenderanno, quindi, da disturbi non prevedibili data l’informazione disponibile. 10.4.3 Una dinamica salariale sostenibile Tutte le analisi portate avanti sin qui hanno sempre ipotizzato che la produttività per addetto (f ) rimanga costante. Se così stanno le cose, naturalmente, il salario reale di equilibrio distributivo è costante e qualsiasi richiesta di aumento dei salari monetari è destinata a generare inflazione in pari misura, e comunque sempre superiore all’inflazione attesa. Se però la produttività cresce esiste uno spazio per aumenti dei salari nominali e dei 125 salari reali senza che venga rotto l’equilibrio distributivo, con le imprese che continuano a ottenere una quota pari a z del prodotto pro-capite. Per accertare questo risultato è necessario ripartire dal salario reale che le imprese sono disposte a pagare: ωP = f − z Sottraiamo lo stesso salario per il periodo precedente, che dipenderà dalla produttività del periodo precedente (ipotizziamo che il mark-up sia costante): ωP−1 = f−1 − z La variazione di salario reale che le imprese sono disposte a pagare è dunque: ω P − ω P−1 = f − f−1 P P Utilizzando la (10.3), si vede subito che ω B − ω B −1 = ω − ω −1 implica: γ(uL − u) = f − f−1 (10.17) Le imprese (con mark-up costante) sono disposte a riconoscere ai lavoratori gli incrementi di produttività e quindi a far crescere i loro salari reali in misura pari a f − f−1 . Se gli incrementi di salario reale desiderati dai lavoratori, in presenza di un tasso di disoccupazione inferiore a quello naturale, non eccedono l’aumento di produttività, l’equilibrio distributivo non viene alterato. I profitti pro capite rimangono costanti e pari a z. Ci si può chiedere, a questo punto, se esista e quale sia la regola di variazione dei salari monetari che garantisce l’equilibrio distributivo (10.17). La regola esiste ed è molto semplice. È sufficiente sostituire la (10.17) nella (10.4) per ottenere: (10.18) W̃ = π e + (f − f−1 ) I salari monetari, dunque, devono crescere come l’inflazione attesa più il tasso di crescita della produttività. Se viene seguita questa regola l’inflazione si mantiene costante e uguale all’inflazione attesa. Partiamo ancora una volta dal salario pagato dalle imprese: ωP = w − p = f − z da cui si ottiene: p=w+z−f quindi: p − p−1 = w − w−1 − (f − f−1 ) 126 che può essere riscritta come: π = W̃ − (f − f−1 ) (10.19) Sostituendo ora la (10.18) nella (10.19) si ottiene subito: π = πe che è appunto il risultato cercato. La regola rappresentata dalla (10.18) è nota come “politica dei redditi”. Essa rappresenta, in effetti, una regola di crescita dei salari monetari che, consentendo di mantenere l’equilibrio distributivo, permette anche di mantenere il tasso di inflazione costante, in assenza di un’accelerazione inflazionistica innescata dalla politica economica con la creazione di un eccesso di domanda aggregata sull’offerta aggregata. 10.5 Esercizi Esercizio 1. Si supponga che l’equazione di aggiustamento dei salari reali sia ω B − ω −1 = 0, 8(uL − u) che il tasso di inflazione atteso sia π e = 3%, che uL = 5% e u = 3%. a) Calcolate il tasso di inflazione effettivo. b) Supponete ora che la produttività aumenti del 2%. Calcolate qual’è il valore di γ compatibile con il mantenimento dell’equilibrio distributivo e un tasso di inflazione pari al 3%. Esercizio 2. L’economia è rappresentata dal seguente modello log-lineare: y =5+n z=2 ω B = 1 + 0, 5n l=5 a) Determinare il livello di produzione e il tasso di disoccupazione naturale b) Data un’inflazione attesa π e = 4%, qual’è la variazione di salario monetario che mantiene costante il salario reale? c) Si supponga ora che u+1 = 0, 5, che le aspettative siano statiche, che γ = 2, che p0 = 5 e w0 = 8. Quale sarà il tasso di inflazione nel periodo +1? 127 Esercizio 3. dato un tasso di inflazione attesa del 5%, un tasso di disoccupazione naturale del 4% e un indice di potere contrattuale del sindacato pari a 1,5, quale tasso di disoccupazione effettivo si deve avere perché il tasso di inflazione effettivo sia pari all’8%? 128