Lezioni di storia della logica: Gargnano, 26-31 agosto 2013
Massimo Mugnai
Scuola Normale Superiore, Pisa
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Gargnano, Storia della logica
agosto 2013
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LA MATEMATIZZAZIONE DELLA LOGICA.
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logica e matematica nell’antichità e
nel medioevo
Aristotele: Organon
Euclide: corpus degli Elementi
Megarico- stoici (Filone, Crisippo, ecc.)
Commentatori
Logica e matematica (geometria) come 2 discipline distinte. In
particolare nel medioevo.
calculatores
arti del trivio: Grammatica, Retorica, Dialettica;
arti del quadrivio: Aritmetica, Geometria, Astronomia, Musica.
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Sebbene gli autori scolastici individuino prevalentemente nella logica
lo standard di rigore dimostrativo, non mancano, durante il medioevo,
coloro che si ispirano, invece, alla matematica. Nel secolo XII vi sono
addirittura dei teologi che si prefiggono di elaborare una teologia
rigorosa, le cui forme di argomentazione siano esemplate sui trattati
di geometria dell’epoca (una sorta di theologia more geometrico
demonstrata). In un periodo nel quale si cerca di dare alla teologia
un’impronta matematica, è curioso che ben pochi si pongano il
problema dei rapporti tra logica e matematica, tanto più che proprio
la logica conosce, nell’epoca medievale, una fioritura straordinaria.
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Per quanto singolare ciò possa sembrare, affinché i rapporti tra logica
e matematica vengano posti all’ordine del giorno, bisogna attendere
all’incirca la seconda metà del secolo XVI. Prima di questa data, col
tramonto della scolastica e l’affermarsi dell’Umanesimo, si diffonde,
nella cultura europea, una generale diffidenza verso la logica. Alla
logica delle scuole si tende a contrapporre la retorica e, con la
riscoperta dei testi della tradizione euclidea, si indica nella
matematica (nella geometria) il vero esempio di rigore dimostrativo.
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G. Savonarola, Compendium logicae, in Scritti filosofici, vol. I, Roma,
1982, 3 [seconda metà sec. XV]:
“Io, dunque, [. . . ] stabilii di raccogliere in un unico testo,
brevemente, in modo chiaro e facile, secondo il costume dei
matematici [more mathematico], tutta la dialettica,
basandomi su quanto detto dai più eccellenti tra gli
uomini.”
G. Saccheri, Logica demonstrativa, Torino, 1697, 10:
“[. . . ] quando dico ‘logica dimostrativa’, vorrei si pensasse
alla geometria, a quel severo metodo di dimostrazione, che
si limita ad assumere pochi principi primi e non ammette
nulla di non chiaro, di non evidente, di non esente da
dubbio [. . . ]”
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Mutamento di prospettiva
Jacob Pelletier (1515-1582):
“I dialettici chiamano ‘dimostrazione’ un sillogismo
produttivo di conoscenza, tale cioè che conclude a partire
da premesse dimostrate, ma ciò trae la propria origine dalla
geometria. O meglio: ogni dimostrazione che ci conduce
alla verità ha carattere geometrico. Com’è stato detto
ottimamente, non saremmo capaci di distinguere il vero dal
falso se prima non fossimo stati familiari con Euclide.”1
1
Pelletier 1557, p. 12
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A cominciare dal secolo XVI, seconda metà, logica e matematica
cominciano ad avvicinarsi secondo due prospettive:
si ha un ‘movimento’ della logica verso la matematica’;
si ha un ‘movimento’ della matematica verso la logica.
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Movimento della logica verso la
matematica
Nella seconda metà del secolo XVI vedono la luce alcune opere che
sollevano in maniera esplicita il problema se la logica tradizionale, di
impianto aristotelico-scolastico, sia adeguata a svolgere le
dimostrazioni matematiche:
Commentarius de certitudine mathematicarum disciplinarum
[Commentario sulla certezza delle discipline matematiche] di
Alessandro Piccolomini, edito a Venezia nel 1565;
Analyseis Geometricae sex librorum Euclidis [Analisi geometriche
dei primi sei libri di Euclide] di Conrad Dasypodius e Christian
Herlinus, edito nel 1566.
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Alessandro Piccolomini si muove nell’orbita della scuola aristotelica di
Padova, mentre Dasypodius (latinizzazione di Rauchfuss è un editore
degli Elementi euclidei e di scritti di Erone (a lui si deve, tra l’altro,
la costruzione dell’orologio astronomico della cattedrale di
Strasburgo, ispirata da un progetto ricavato da Erone); Christian
Herlinus è il maestro di Dasypodius e a lui si deve l’analisi logica dei
libri primo e quinto degli Elementi.
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Secondo Piccolomini, lo strumento logico più potente, quella che la
tradizione aristotelica chiama ‘dimostrazione per eccellenza’
[demonstratio potissima], non può essere applicato alla matematica.
Per Piccolomini, la matematica deriva la propria certezza non dalla
forza delle dimostrazioni logiche, bensı̀ dalla natura peculiare degli
oggetti intorno ai quali verte. Tali oggetti sono ‘prodotti
dell’immaginazione’ e non sono reali. Chiaramente, questa posizione
implica una forte divisione tra logica e matematica.
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John Wallis, 1616-1703
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Wallis difende la tesi opposta a quella di Piccolomini: gli oggetti della
matematica SONO astrazioni, ma ciò non implica che siano meri
prodotti dell’immaginazione o finzioni. Accetta la distinzione tra una
dimostrazione sillogistica, che procede dalle cause [demonstratio
potissima] e una dimostrazione sillogistica che muove dagli effetti,
ammettendo che in matematica non tutti i generi di dimostrazione
partono dalle cause. Ciò, tuttavia, non implica che tutte le
dimostrazioni matematiche procedano soltanto dagli effetti. Wallis
osserva che numerose dimostrazioni matematiche hanno una
struttura complessa e sono un misto di dimostrazioni dalle cause e
dimostrazioni dagli effetti.
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Dasypodius e Herlinus
Dasypodius e Herlinus cercano di rendere esplicita la struttura logica
di ciascuna dimostrazione degli Elementi, a partire dal primo
problema del primo libro, per finire con l’ultimo teorema del libro VI.
La ‘logica’ impiegata da D e H è costituita da un corpo dottrinale
centrale rappresentato dalla sillogistica aristotelica, al quale sono stati
aggiunte regole e principi della tradizione stoica (del calcolo
enunciativo: per es. modus ponens, legge di contrapposizione, ecc).
D e H costituiscono il primo tentativo nella cultura occidentale di
mostrare che la logica tramandata dalla tradizione scolastica è
adeguata a riprodurre le dimostrazioni euclidee.
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Ch. Clavio 1612, I, 28
“Tutte le altre proposizioni, non solo di Euclide, ma anche
di tutti gli altri matematici non si analizzano altrimenti.
Tuttavia, i matematici non tengon conto di questa
risoluzione nelle loro dimostrazioni, in quanto possono
dimostrare ciò che si propongono, in modo più breve e più
facile[. . . ]”
possibilità ‘di fatto’;
possibilità in linea di principio
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Vagetius
Johannes Vagetius (1633–1691) aggiunse una prefazione all’edizione
del 1681 della Logica Hamburgensis di Joachim Jungius (1587-1657),
nella quale discute in dettaglio la proposta di D e H, rilevando una
peculiare mancanza nelle loro dimostrazioni. D e H non riconoscono
il carattere autonomo, e perciò non sillogistico, di inferenze che
implicano relazioni e operazioni sulle relazioni.
Esempio: ‘Se a è padre di b, allora b è figlio di a’ (inversione di
relazione)
Necessità di esprimere la quantità del predicato.
NB. Vagetius è corrispondente di Leibniz e manterrà con questi
rapporti di amicizia.
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Inferenza dal caso retto al caso
obliquo (Jungius 1957, 115-16)
Grammatica est ars
Ergo: Qui discit grammaticam discit artem
La grammatica è un’arte;
Dunque: Colui che impara la grammatica impara un’arte
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L’influenza di D e H si estende fino
alla seconda metà del secolo XIX
Ch. Wolff, Mathesis Universalis
William Hamilton, On the Study of Mathematics as an Exercise
of Mind, 1836
A. De Morgan, (1806-1871) [vari testi sul sillogismo]
Problema delle inferenze sillogistiche con relazioni.
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Dalla matematica verso la logica
Thomas Hobbes (1588-1679), Computatio sive logica:
“Con ‘ragionamento’ io intendo un calcolo [computatio].
Calcolare significa raccogliere la somma di più cose aggiunte
l’una all’altra oppure, se si detrae una cosa dall’altra,
conoscere quel che rimane. Quindi ragionare è il medesimo
che addizionare e sottrarre, e se poi qualcuno vi aggiungesse
moltiplicare e dividere, non mi opporrei, dal momento che la
moltiplicazione equivale all’addizione di termini uguali, e la
divisione alla sottrazione di termini uguali tante volte
quanto è possibile. Ogni ragionamento, quindi, si riduce a
due operazioni dell’animo, l’addizione e la sottrazione .”
Antecedenti: Pietro Ramo (1515-1572) - sillogismo e calcolo.
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Francois Viète (1540–1603)
Con la cosiddetta speciosa generalis, Viète mostrò che si possono
eseguire calcoli che implicano quantità operando su lettere
dell’alfabeto e ottenendo un alto livello di generalità. L’uso di lettere
venne percepito al tempo come qualcosa che assimilava l’algebra a
una specie di linguaggio artificiale, un linguaggio particolarmente
adatto a esprimere argomentazioni logiche rigorose. Cominciò cosı̀ a
farsi strada l’idea che fosse possibile esprimere in forma algebrica
alcune operazioni logiche fondamentali.
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A. Arnauld e P. Nicole, La logique ou
l’art de penser, 1662
Con la pubblicazione del libro di Arnauld e Nicole si afferma una
concezione generale di idea o concetto destinata a dominare per oltre
due secoli nell’ambito della cultura occidentale. Intorno a tale
concezione si organizzano vari tentativi di ricondurre la logica a un
calcolo di tipo matematico.
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A. Arnauld e P. Nicole, La logique ou
l’art de penser, 1662
Idee e concetti sono distinti in semplici o composti:
i semplici sono ‘afferrati’ con un atto di intuizione e non sono
suscettibili di definizione (nel senso classico di definizione
mediante genere e differenza specifica);
i complessi, vengono intesi come collezioni o insiemi di note
concettuali. Ciascuna idea complessa viene concepita come un
contenitore, nel quale sono riposte tutte e sole le idee che la
compongono;
ciascuna idea componente (parte) ‘inerisce’ alla, oppure è
contenuta nella, idea composta.
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Arnauld e Nicole, [1662] 1981, 59
“Chiamo comprensione dell’idea gli attributi che essa
racchiude e che non possono esserle tolti senza distruggerla.
La comprensione dell’idea di triangolo, per esempio,
racchiude estensione, figura, tre linee, tre angoli e
l’uguaglianza di questi tre angoli a due a due, ecc. Chiamo
estensione dell’idea i soggetti ai quali quest’idea conviene,
quelli che vengono anche chiamati gli ‘inferiori’ di un
termine generale che, rispetto ad essi, è chiamato
‘superiore’, come l’idea del triangolo in generale si estende a
diverse specie di triangoli.”
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Jacob Bernoulli, 1685: Parallelo tra il
ragionamento logico e quello algebrico
Esistono 2 tipi fondamentali di idee:
idee di cose;
idee di quantità.
Le idee di cose sono designate mediante parole, mentre quelle di
quantità mediante lettere (algebra).
Due tipi di operazioni:
somma di idee di ‘cose’ (espressa dalla congiunzione ‘et’)/
somma algebrica (‘+’) per quantità;
sottrazione di idee di ‘cose’: ‘uomo - animale’ = ‘razionale’/
stesso segno per quantità.
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Jacob Bernoulli, 1685: Parallelo tra il
ragionamento logico e quello algebrico
Idee come agglomerati, raccolta di concetti, designate mediante
lettere;
parallelo tra operazioni: ‘et’/ ‘+’; sottrazione (‘meno’)/‘-’;
proposizioni/eguaglianze
I
I
proposizioni affermative/eguaglianze
proposizioni negative/ disuguaglianze;
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Jacob Bernoulli, 1685: Parallelo tra il
ragionamento logico e quello algebrico
Secondo Bernoulli, non appena la mente concepisce accordo o
disaccordo tra due idee, forma una proposizione mediante le due
particelle ‘è’ e ‘non è’, come in ‘uomo è animale’, ‘uomo non è pietra’.
Bernoulli cerca di stabilire un parallelo anche tra uguaglianze e
proposizioni, ma si rende conto che nel caso di una proposizione
affermativa non si ha corrispondenza con un’uguaglianza: nel caso di
‘uomo è animale’ non si ha ‘uomo = animale’.
Esempio di Bernoulli: nel caso di ‘rubare è peccato’, il predicato non
esaurisce completamente il soggetto, poiché nel concetto del soggetto
è incluso il peccato e “qualcosa in più’.
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B. distinge 2 tipi di predicazione
1 essenziale;
2 accidentale.
(1) è espressa mediante una relazione tra concetti; (2) richiede una
quantificazione su individui.
“[. . . ] se diciamo ‘l’uomo è peccatore’, ‘l’uomo è sapiente’,
sembra che intendiamo dire che l’uomo in quanto uomo è
peccatore e sapiente, cioè che il concetto di uomo include la
dottrina e il peccato, il che è falso. Perciò, aggiunti i segni
di universalità e particolarità, siamo soliti distribuire il
soggetto negli individui che vi corrispondono, dicendo:
‘Ogni uomo è peccatore’, ‘qualche uomo è sapiente’.”
Che ogni uomo è peccatore, significa che Pietro, Paolo e tutti gli
individui umani restanti sono infetti dal peccato, non che il concetto
di peccato inerisce essenzialmente al concetto di uomo.
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Concetti fondamentali
B. afferma la superiorità dell’algebra rispetto alla logica;
stabilisce un confronto fra operazioni logiche e algebriche;
considera concetti (idee) come collezioni di note concettuali, alle
quali corrisponde una collezione di cose o enti individuali;
concepisce la relazione che sussiste tra una parte di un concetto
e l’intero concetto come una relazione di ‘inerenza’ (il concetto
corrispondente al termine ‘animale’ è contenuto nel concetto
corrispondente a ‘uomo’)
Arnauld: comprensione ed estensione.
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Tentativi di assiomatizzazione: Fabry,
Saccheri
Honore´ Fabry (1607–1688) e Gerolamo Saccheri (1667– 1733),
entrambi gesuiti mostrano la volontà di stabilire una connessione tra
logica e matematica.
Fabry distingue la logica, che appartiene alla filosofia, dalla
matematica, che determina uno specifico dominio scientifico e
subordina entrambe alla metafisica, in quanto scienza suprema. La
metafisica, infatti, indaga i principi dai quali tutte le scienze
dipendono.
La logica è più generale della matematica e penetra tutte le scienze,
in quanto tutte le scienze hanno bisogno di eseguire dimostrazioni di
qualche sorta. Al tempo stesso, la logica si subordina all’aritmetica
(necessità di trovare tutte le combinazioni).
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Padre Honoré Fabry SJ
Esponente autorevole della Compagnia di Gesù, entrò nel noviziato
ad Avignone nel 1626 e prese gli ordini nel 1635. Si occupò di
matematica, fisica e astronomia, oltre che di filosofia e teologia.
Accusato di essere filo-cartesiano difese la concezione copernicana e
Galileo: la seconda edizione del suo Apologeticus fu messa all’indice
ed egli fu imprigionato nelle prigioni del Vaticano. Oltre che in
rapporti personali con Gassendi, fu corrispondente di Descartes,
Mersenne, Leibniz e molti altri filosofi e scienziati del tempo.
Le disavventure con le gerarchie ecclesiastiche non gli impedirono di
diventare un influente consigliere di papa Clemente IX. Matematico di
un certo valore, ebbe tra i suoi allievi l’astronomo Jean-Dominique
Cassini (1625-1712) e il matematico Philippe de La Hire (1640-1718).
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Philosophiae Tomus primus, qui complectitur scientiarum Methodum
sex Libris explicatam: Logicam Analyticam, duodecim libris
demonstratam, et aliquot controversias logicas, breviter disputatas,
Auctore Petro Mosnerio Doctore Medico, cuncta excerpta ex
praelectionibus R. P. Hon. Fabry, Soc. Iesu, Lugduni, Sumptibus
Ioannis Champion, in foro Cambii, 1646.
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Sulle proposizioni e il tempo
“La proposizione Pietro corre, asserita nell’istante A è
equivalente [aequipollens] a Pietro corre ora, cioè
nell’istante A: ovvero, questo predicato inerisce al soggetto
nell’istante A; quando però è asserita nell’istante B, è
equivalente a Pietro corre nell’istante B, e cosı̀ non è la
medesima, dal momento che non ha il medesimo predicato.
Correre nell’istante A e correre nell’istante B sono infatti
predicati diversi [. . . ]”
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Fabry è il primo caso a me noto di logico che pubblica una tavola di
verità in un libro a stampa!!
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logica naturale e arificiale
Fabry adotta una distinzione, piuttosto comune al tempo, tra
1 logica naturale
2 logica artificiale
(1) coincide con la facoltà di ragionare e concerne gli usi delle
inferenze nella vita quotidiana; (2) determina le regole delle inferenze
valide. (2) non considera “come la nostra mente opera”: in quanto
disciplina che si propone di studiare le forme più astratte del pensiero,
può essere assimilata all’algebra. Perciò deve avere struttura
assiomatica, come la geometria. Partendo da una classificazione di
relazioni basilari tra termini, sviluppa una nozione di conseguenza
fondata su queste relazioni.
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Saccheri Logica demonstrativa
Possiamo pensare la Logica demonstrativa come divisa in 2 parti:
Una prima, nella quale viene abbozzato un sistema assiomatico
per derivare teoremi e ricavare i modi validi della sillogistica
classica;
Un seconda nella quale si cerca di ricavare i modi validi senza
l’ausilio di un postulato assunto nella parte precedente
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Assiomi + Postulato
Assiomi:
La stessa cosa non può simultaneamente essere e non essere.
Questo assioma è comune a tutte le scienze [. . . ]
Qualsiasi cosa è o non è. Anche questo assioma è comune a
tutte le scienze [. . . ]
Postulato:
“Viene postulato che non tutti i termini siano pertinenti per
sequela reciproca o ripugnanza, ma che alcuni siano termini
superiori e inferiori, che alcuni, inoltre, siano impertinenti.
Ciò risulta palesemente vero; ma poiché non può essere
provato, almeno dalla logica, per procedere scientificamente
deve essere postulato.”2
2
LD, p. 22
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relazioni fra i termini
“Se poi due termini comuni vengono comparati fra loro, si
dicono impertinenti quelli nessuno dei quali implica o esclude
l’altro, come bianco e caldo; sono detti pertinenti per
ripugnanza quelli dei quali uno esclude l’altro, come bianco e
nero; sono denominati pertinenti per sequela quei termini dei
quali uno implica l’altro, come animale e sensibile. Inoltre, tutti
i termini pertinenti per ripugnanza si escludono reciprocamente.
Se infatti bianco esclude nero, a sua volta nero escluderà
bianco, altrimenti nero potrebbe stare con bianco e perciò,
contro l’ipotesi, anche bianco con nero. Al contrario, tra i
termini pertinenti per sequela vi sono quelli pertinenti per
sequela reciproca e per sequela non reciproca. I termini che si
implicano reciprocamente, come animale e sensibile si dicono
pertinenti per sequela per antonomasia.”
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relazioni fra i termini
“Fra quelli di cui uno solo implica l’altro, si chiama inferiore il
termine che implica e superiore il termine implicato; pertanto,
uomo sarà termine inferiore e animale termine superiore, in
quanto uomo implica animale, mentre non vale il viceversa:
animale non implica uomo. Vi è anche una seconda nozione di
termine inferiore e superiore: si dice, infatti, termine superiore
quel termine che si predica di tutti quelli di cui si predica
l’inferiore e in più di altri ancora; si dice invece inferiore quel
termine che si predica soltanto di alcuni di quelli di cui si
predica il superiore. In verità, le due nozioni date concordano;
infatti, il termine implicato e non implicante sarà sempre più
esteso rispetto al termine implicante e non implicato; e il
termine implicato e non implicante potrà essere predicato di
tutti quelli di cui si predica il termine implicante e non
implicato, e inoltre di altri ancora.”
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il postulato e CM
Il postulato sulla natura dei termini e i loro rapporti reciproci è
indispensabile per dimostrare asserzioni negative riguardo ai modi
sillogistici (per dimostrare, per esempio, che nella prima figura la
premessa minore non può essere negativa). Il ricorso al postulato,
tuttavia, può essere evitato facendo uso di un meccanismo logico
peculiare, che consente di dimostrare la verità di una determinata
proposizione a partire addirittura dalla sua negazione:
“Procederò nel modo seguente. Assumerò il contraddittorio
delle proposizioni da dimostrare e, a partire da esso, dedurrò
la tesi in maniera ostensiva e diretta.”
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“Questa procedura dimostrativa la utilizzarono Euclide nella
proposizione 12 del libro 9; Teodosio nella proposizione 12
del libro 1 delle Sferiche; Cardano nella proposizione 201 del
libro 5 sulle Proporzioni (Cardano fu biasimato da Clavio,
nello scolio successivo alla proposizione 12 del libro 9 di
Euclide, per essersi vantato di aver scoperto prima di tutti
questo modo di dimostrare).”
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Gerolamo Cardano (1501-1576), De proportionibus:
“Non ho scritto questa proposizione perché fosse di grande
importanza, bensı̀ per il modo della dimostrazione. A
considerarla attentamente, infatti, ci si rende conto che da
un opposto, cioè che l’arco di cerchio è maggiore dei lati del
triangolo, mostro con una dimostrazione diretta, non con
una che porta all’assurdo, che l’arco stesso è minore dei lati
del triangolo; e ciò non è mai stato fatto da alcuno, anzi
sembra semplicemente impossibile. Ed è la cosa degna di
maggior meraviglia che sia stata scoperta dalla fondazione
del mondo, dimostrare cioè qualcosa dalla sua negazione,
con una dimostrazione che non conduce a un assurdo e in
modo tale che non si possa svolgere quella dimostrazione se
non ricorrendo proprio all’ipotesi che è contraria alla
conclusione, come se qualcuno dimostrasse che Socrate è
bianco perché è nero, e non si potesse dimostrarlo in altro
modo [. . . ]”
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In forma implicativa
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2
3
(¬α → α) → α [CM];
((α → α) ∧ (¬α → α)) → α [Distinzione dei casi];
(¬α → (α ∧ ¬α)) → α [Assurdo]
Fabio Bellissima - Paolo Pagli, Consequentia Mirabilis. Una regola
logica tra matematica e filosofia, Firenze, Olschki, 1996.
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“Se qualche sillogismo costruito in una certa maniera non
conclude correttamente, nessun altro sillogismo costruito
similmente concluderà in ragione della forma.” (Lemma)
“Di conseguenza, riterrò provato sufficientemente che, per
esempio, il modo IA non conclude correttamente in prima figura,
se avrò dimostrato che qualche sillogismo cosı̀ costruito non
conclude correttamente nella detta figura.” (Corollario)
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Ogni sillogismo in prima figura avente la premessa maggiore
universale e la minore affermativa (=M) è un sillogismo valido
(= P); [A(MP)]
Nessun sillogismo con premesse AE in prima figura [=S] è un
sillogismo in prima figura avente la premessa maggiore universale
e la minore affermativa (= M); [E(SM)]
Dunque: Nessun sillogismo con premesse AE in prima figura
[=S] è un un sillogismo valido (=P); [E(SP)]
A(MP), E(SM) ` E(SP)
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Stabilita la conclusione 3), si distinguono due casi:
1 Si accetta la conseguenza. Poiché 1) e 2) sono vere, dal
momento che dal falso può seguire il vero, ma non viceversa, dal
vero il falso, si ammette che anche 3) sia vera; ma 3) non è altro
che l’enunciato di quanto si voleva dimostrare. Per via del
lemma e del corollario si è cosı̀ dimostrato che nessun sillogismo
di prima figura con premessa minore negativa è valido.
2 Si nega la conseguenza. Si nega cioè che vi sia inferenza o
passaggio logico dall’antecedente costituito dalle premesse, alla
conclusione del particolare sillogismo considerato. Quest’ultimo,
però, è un’istanza di un modo di prima figura con premesse AE,
dunque, per il lemma e il corollario, segue che nessun sillogismo
di prima figura con premessa minore negativa è valido.
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Secondo la sintetica conclusione di Saccheri:
“Pertanto, o concedi o neghi la conseguenza. Se la concedi,
si è ottenuto quel che si voleva. Se la neghi, allora la
concedi [. . . ]”.
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Johann Andreas Segner (Pressburg
1704 – Halle 1777
Specimen logicae universaliter demonstratae:
impiego di lettere latine maiuscole: A, B, C . . . per denotare idee
o concetti;
relazione binaria di ‘contenimento’ di un’idea nell’altra;
operazione di composizione tra idee (giustapposizione): ‘AB’
riconosce esplicitamente che la giustapposizione è idempotente:
“La composizione dell’idea di un soggetto con se stessa non può
produrre niente di nuovo;
usa ‘AxB’ per indicare che alcuni determinati A sono B e che
alcuni determinati B sono A;
‘Ogni A è B’ = ‘Ogni idea che contiene l’idea A contiene l’idea
B’;
‘Qualche A è B’ = ‘Qualche idea, ecc.’
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Johann Heinrich Lambert (1728–1777);
Daniel Bernoulli (1700–1782)
Lambert fa riferimento a una concezione intensionale analoga a
quella indicata da Jacob Bernoulli e, tipicamente, incontra
difficoltà con le operazioni inverse (sottrazione!)
Daniel Bernoulli sviluppa una concezione estensionale e propone
chiaramente una sistematica quantificazione del predicato (es.:
‘Tutti gli A sono alcuni B’)
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Christian Wolff (1679–1754),
Philosophia Rationalis sive Logica, 1735, 272
All’interno di una concezione della logica piuttosto tradizionale, Wolff
si pone domande generali di carattere meta-teorico, concernenti
proprietà globali del sistema logica che ha elaborato:
§544. Propositio, quae demonstrari potest, vera est. [. . . ]
§545. Ad verum a falso discernendum regulae logicae sufficiunt.’
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Sviluppo in parallelo, a partire dal
secolo XIX (seconda metà) di due
processi:
sviluppo dell’algebra;
processo di ‘rigorizzazione’
dell’analisi.
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La disputa sulla priorità
Nella seconda metà del secolo XVII si ha la scoperta del calcolo
infintesimale. Ai primi del Settecento, un’aspra disputa circa la
priorità della scoperta divampa in Europa, coinvolgendo i due
scopritori, Newton e Leibniz, i quali, tuttavia, (come è stato ormai
accertato) erano giunti indipendentemente l’uno dall’altro ai
medesimi risultati. Una conseguenza della disputa sarà
l’arroccamento della maggioranza dei matematici del Regno Unito in
difesa dell’approccio analitico proposto da Newton, fondato su una
concezione ‘geometrico-dinamica’ (cinematica) delle grandezze.
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Le nozioni di flussione e di fluente erano due concetti centrali
dell’approccio newtoniano: ‘fluente’ indica una grandezza capace di
variare con continuità, ‘flussione’ designa la velocità con cui varia la
grandezza in questione. Leibniz, per parte sua, aveva fatto ricorso a
un diverso approccio, dando luogo al metodo e alla notazione tuttora
in uso nel calcolo differenziale. A seguito della disputa, mentre nel
Regno Unito i matematici continuavano a rimanere legati alla
notazione newtoniana, sul continente (soprattutto in Francia e
Germania) si diffondeva la notazione leibniziana, più facile da usare e
svincolata dall’interpretazione di tipo fisico-cinematico, propria
dell’approccio di Newton. Ciò aveva posto i matematici del Regno
Unito in una posizione di relativo isolamento, che si era fatta
particolarmente pesante agli inizi del secolo XIX, quando una serie di
iniziative aveva dato impulso a un deciso mutamento di prospettiva.
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Robert Woodhouse (1773-1827)
Insegnante di matematica a Cambridge, nei Principles of Analytical
Calculation (1803) illustrò e difese il sistema notazionale leibniziano
in analisi e pose l’accento sull’importanza delle dimostrazioni formali
nel giustificare la validità dei procedimenti matematici. L’esistenza di
una dimostrazione era garantita dalla fondamentale convenzionalità
della matematica: se il sistema dei simboli con i quali opera il
matematico sono di sua invenzione, allora non possono esserci in esso
né paradossi né misteri inesplicabili. L’idea della convenzionalità della
matematica, sottintendeva implicitamente la distinzione tra un
sistema di regole e procedimenti puramente formali, da un lato, e le
possibili interpretazioni di tale sistema, dall’altro. Veniva indebolita,
in tal modo, la convinzione che il sistema di regole puramente
convenzionali, costituito dalla matematica, avesse un’interpretazione
‘naturale’ privilegiata.
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George Peacock (1791-1858)
Nel Treatise on Algebra (1830; seconda edizione ampliata in 2 volumi:
1842-1845), si propone di fornire una sistemazione della teoria dei
numeri complessi e di quelli negativi ricorrendo a una trattazione
rigorosamente logica, di tipo assiomatico, che gli valse l’appellativo di
‘Euclide dell’algebra’. Nel Treatise Peacock due tipi di algebra:
aritmetica e simbolica. L’algebra aritmetica è una trattazione astratta
dell’aritmetica, nella quale i segni di operazione indicano le medesime
operazioni dell’algebra aritmetica, senza però tender conto delle
restrizioni sotto le quali le operazioni sono valide nell’algebra
aritmetica. Cosı̀, la sottrazione a − b, mentre vale nell’algebra
aritmetica sotto la condizione a ≤ b, nell’algebra simbolica vale senza
questa restrizione, e diventa perciò sempre eseguibile.
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Principio di permanenza
L’estensione delle operazioni dell’algebra aritmetica all’algebra
simbolica è attribuita da Peacock a quello che egli denomina principio
di permanenza delle forme equivalenti, secondo il quale in algebra
sussiste una fondamentale uniformità delle operazioni,
indipendentemente dal dominio di enti matematici ai quali le
operazioni sono applicate. Alla base dell’applicazione del ‘principio di
permanenza’, Peacock pone una distinzione tra l’assunzione di una
regola di operazione e la definizione dell’operazione stessa. I risultati
dell’addizione e della sottrazione, per esempio, sono ottenuti
prescrivendo certe regole di esecuzione delle operazioni, non
ricavandoli dalla definizione delle operazioni, che per Peacock hanno
il significato attribuito loro nell’algebra aritmetica.
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William Rowan Hamilton (1805-1865)
Il ‘principio di permanenza’ fu ridimensionato dalla scoperta,
compiuta nel 1843 da Hamilton, di un’algebra di quadruple di numeri
(i ‘quaternioni’), nella quale non vale la proprietà commutativa del
prodotto. Il risultato di Hamilton venne reso pubblico l’anno
successivo, tuttavia l’idea che potesse esistere una pluralità di algebre
era stata avanzata anche da Augustus De Morgan (1806-1871) nel
saggio On the Foundation of Algebra del 1843. Ciò mostra che la
scoperta di Hamilton si situa in un clima culturale diverso, rispetto a
quello che dominava nel Regno Unito agli inizi dell’Ottocento: un
clima meno chiuso e più disposto ad accogliere contributi innovatori.
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Charles Babbage (1791-1871) e John
Herschel (1792-1871)
Nel 1812 Babbage e Herschel fondano a Cambridge, con Peacock e
altri colleghi, l’Analytical Society. L’Analytical Society promosse
incontri tra i soci, conferenze pubbliche e discussioni su argomenti di
matematica e si incaricò della traduzione in lingua inglese (a opera
degli stessi Babbage, Herschel e Peacock) del Traité du calcul
différentiel et du calcul intégral (1799), un testo introduttivo del
matematico francese Sylvestre-François Lacroix (1763-1843). Per
merito anche dell’Analytical Society, in poco meno di un ventennio,
nelle università del Regno Unito la notazione differenziale sostituı̀
progressivamente quella newtoniana, e intorno alla metà del secolo si
poteva affermare che i matematici europei fossero tornati a parlare
una medesima lingua.
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Duncan F. Gregory (1813-1844)
Fondatore nel 1838, con Richard Ellis, del “Cambridge Mathematical
Journal”. Gregory elaborò una concezione dell’algebra intesa come
“la scienza che tratta della combinazione di operazioni definite non
dalla loro natura, vale a dire da ciò che esse sono o fanno, ma dalle
leggi di combinazione alle quali le operazioni sono soggette.” Uno dei
punti centrali di questa concezione era il cosiddetto “principio di
separazione dei simboli di operazione da quelli di quantità”, già
impiegato dal matematico francese François- Joseph Servois
(1767-1847) e da Herschel. La separazione dei simboli esprimenti
quantità da quelli esprimenti operazioni consentiva una considerazione
astratta delle operazioni e delle loro proprietà, indipendentemente dal
particolare dominio di enti ai quali le operazioni si applicavano.
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Duncan F. Gregory, Examples of the
Process . . . , Cambridge, 1846, 237
“Nell’algebra ordinaria ci sono numerosi teoremi i quali, benchè
apparentemente provati come veri soltanto per simboli rappresentanti
numeri, ammettono un’applicazione molto più estesa. Questi teoremi
dipendono soltanto dalle leggi di combinazione alle quali sono
sottoposti i simboli, e sono perciò veri per tutti i simboli che sono
soggetti alle medesime leggi di combinazione, quale che possa essere
la loro natura. Le leggi con le quali abbiamo a che fare in questo caso
sono poche di numero, e possono essere enunciate nella maniera
seguente. Poniamo che a, b rappresentino due operazioni, e u, v due
soggetti sui quali esse operano; allora le leggi sono:
1 ab(u) = ba(u)
2 a(u + v) = a(u) + a(v)
3 am · an · u = am+n · u”
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1
2
3
ab(u) = ba(u)
a(u + v) = a(u) + a(v)
am · an · u = am+n · u
La prima di queste eleggi è chiamata legge commutativa e i simboli
ad essa soggetti sono chiamati simboli commutativi. La seconda legge
è chiamata distributiva, e i simboli ad essa soggetti sono chiamati
simboli distributivi. La terza legge è una legge di combinazione non
tanto dell’operazione denotata da a, quanto piuttosto dell’operazione
eseguita su a, che è indicata dall’indice aggiunto ad a.”
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George Boole (1815-1864)
Boole pubblicò due testi che si riveleranno fondamentali per il
processo di matematizzazione della logica: The Mathematical
Analysis of Logic (1847) e The Laws of Thought (1847). La spinta a
comporre il primo dei due lavori, come egli stesso ammise, gli venne
dalla disputa sulla cosiddetta ‘quantificazione del predicato’ che, in
quegli stessi anni, era divampata tra il matematico Augustus De
Morgan (1806-1871) e il filosofo scozzese William Hamilton
(1788-1856).
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George Boole (1815-1864)
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Boole pubblicò due testi che si riveleranno fondamentali per il
processo di matematizzazione della logica: The Mathematical
Analysis of Logic (1847) e The Laws of Thought (1847). La spinta a
comporre il primo dei due lavori, come egli stesso ammise, gli venne
dalla disputa sulla cosiddetta ‘quantificazione del predicato’ che, in
quegli stessi anni, era divampata tra il matematico Augustus De
Morgan (1806-1871) e il filosofo scozzese William Hamilton
(1788-1856).
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La disputa riguardava chi per primo, tra De Morgan e Hamilton,
avesse sostenuto, contrariamente al parere di Aristotele, che negli
enunciati categorici tradizionali era legittimo esprimere la quantità del
predicato, oltre a quella del soggetto. La quantificazione del
predicato portava ad accettare come logicamente ammissibili
enunciati del tipo: “Tutti gli uomini sono alcuni animali”.
Nonostante che un’analoga concezione si trovasse già in autori del
passato (Leibniz, Jungius), e anche in alcuni contemporanei (in
Outline of a new System of Logic di George Bentham); e sebbene
fosse evidente che De Morgan era giunto ad essa per vie indipendenti,
rispetto a Hamilton, questi accusò De Morgan di plagio. Di
conseguenza, in Gran Bretagna si creò un caso intorno a una
questione di argomento logico e ciò contribuı̀ ad accrescere l’interesse
per la disciplina. Da tale clima Boole ricevette lo stimolo a
“riprendere il filo quasi dimenticato di precedenti indagini.” 3
3
G. Boole, L’analisi matematica della logica, Milano, Boringhieri,1993, p. 3.
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Nell’Analysis Boole distingue l’interpretazione dei simboli impiegati
nel calcolo dalle leggi che, di quei medesimi simboli regolano la
combinazione; e afferma che l’interpretazione quantitiva dei simboli
(mediante numeri o grandezze geometriche) non è l’unica possibile. I
simboli possono essere usati per designare in modo altrettanto
legittimo operazioni logiche o concetti generali (classi di oggetti
qualsiasi). Proprio siffatta peculiarità, sostiene Boole, sanziona
l’avvenuta evoluzione della matematica da ’scienza della quantità a
scienza della qualità’. Cosı̀, Boole difende la tesi secondo la quale è
un fatto puramente accidentale che la matematica abbia avuto fino al
suo tempo un’interpretazione meramente quantitativa.
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“Il fatto che alle forme esistenti di analisi sia attribuita
un’interpretazione quantitativa è il risultato delle circostanze
da cui quelle forme sono state determinate, ma non si deve
farne una condizione universale dell’analisi. Appunto sulla
base di questo principio generale io mi propongo di fondare
il calcolo logico e pretendo per esso un posto tra le forme
riconosciute di analisi matematica, indipendentemente dal
fatto che, per quanto concerne il suo oggetto e i suoi
strumenti, esso deve per il momento rimanere isolato.” 4
4
G. Boole, L’analisi matematica della logica, Milano, Boringhieri,1993, p. 6.
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La riconduzione della logica nell’ambito di una trattazione algebrica
estende la sfera delle applicazioni della matematica: il calcolo logico
diventa un particolare settore della matematica applicata.
Coerentemente con questa impostazione, Boole, anche nelle
successive Leggi del pensiero (1854), tiene distinte logica e
matematica. Rispetto all’Analysis, tuttavia, sottolinea con maggior
enfasi il ruolo del linguaggio nella determinazione delle leggi logiche.
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La matematica, secondo l’impostazione di The Laws of Thought,
offre gli strumenti d’indagine e l’apparato simbolico per studiare le
leggi logiche fondamentali, ovvero quelle che regolano le operazioni in
virtù delle quali si svolge il ragionamento. In primo luogo, viene il
‘ragionamento’, il naturale svolgersi dei processi razionali. Il
linguaggio e l’introspezione sono i due mezzi che consentono di
scoprire e far venire alla luce distintamente le operazioni eseguite nel
corso del ragionamento. La struttura matematica fornisce, infine, la
possibilità di indicare con simboli alcuni processi mentali e di definire
il comportamento dei simboli in base a leggi, che presiedono allo
svolgersi delle operazioni mentali. La logica è perciò una scienza
descrittiva: fondandosi, al pari di ogni altra scienza empirica,
sull’osservazione, analizza le forme attraverso l’applicazione di
strumenti matematici.
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L’osservazione, tuttavia, non conduce alle leggi logiche mediante
generalizzazione induttiva, come accade per altre scienze empiriche,
come la fisica. Basta la considerazione di un solo esempio, affinchè
l’intelletto ricavi la legge nella sua generalità. Boole considera le leggi
logiche come ‘leggi del pensiero’: esse hanno a che fare col modo in
cui è costituita la nostra mente. Dal momento, però, che non sono
determinate mediante induzione, non sono esposte al rischio di fallire
e cosı̀ la loro necessità è salva. Gli errori di ragionamento sono
causati dai limiti intrinseci alle nostre capacità, sono dovuti
all’applicazione delle leggi, non alla loro natura intrinseca.
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D’altra parte, proprio la possibilità di dare forma matematica alle
‘leggi del pensiero’ permette (se non altro, in linea di principio) uno
studio astratto di logiche diverse da quella che possediamo (Boole fa
l’esempio di una logica a tre valori). Tali logiche sarebbero per noi
non concepibili, nel senso che non potremmo immaginare quali
sarebbero i procedimenti mentali di esseri che avessero la mente
strutturata in armonia con esse. Potremmo tuttavia studiarle come
meri oggetti matematici.
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Boole adopera i simboli x, y, z . . . per designare i singoli atti di scelta
con i quali la mente umana seleziona da un determinato dominio di
oggetti, la classe di quelli che sono x, di quelli che sono y, e cosı̀ via.
Questa capacità di formare classi è il fondamento medesimo della
logica:
Ciò che rende possibile la logica è l’esistenza, nella nostra
mente, di nozioni generali: la nostra capacità di concepire
una classe e designare con un nome comune gli individui
che ne sono membri. 5
5
G. Boole, L’analisi matematica della logica, Milano, Boringhieri,1993, p. 6.
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Boole definisce quindi le seguenti operazioni, che si applicano ai
simboli di classi:
prodotto: xy, indicante la classe degli oggetti che sono sia in x
sia in y ;
somma: x + y, indicante la classe degli oggetti che sono x
oppure y ma non entrambi.
La somma corrisponde all’uso esclusivo della disgiunzione e ammette
un’operazione inversa: la sottrazione, che Boole designa ricorrendo al
segno di sottrazione ‘-’. Col numero ‘1’ egli indica la totalità di tutte
le cose alle quali si possono applicare gli atti di scelta (l’universo di
discorso, totalità che nell’Analysis viene assunta come fissa, mentre
in The Laws of Thought (accettando un suggerimento di De
Morgan) è considerata variabile.
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col simbolo 1 - x B. indica la classe di tutte le cose che non sono
x, ovvero il complemento di x;
x = y indica che le classi x e y sono uguali (sono costituite dagli
stessi elementi);
‘0’ designa l’atto di selezione al quale corrisponde la classe vuota.
Definiti i simboli fondamentali e le operazioni principali del calcolo
(introdotta la relazione di identità), Boole fissa quindi tre leggi, che
ritiene sufficienti per le basi del calcolo:
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“Le leggi che abbiamo enunciato in forma simbolica,
1 x(u + v) = xu + xv
2 xy = yx
3 xn = x
sono sufficienti per le basi del calcolo. Dalla prima di esse
risulta che i simboli elettivi sono distributivi, dalla seconda
che sono commutativi; proprietà, queste, che posseggono in
comune con i simboli di quantità, e in virtù delle quali tutti
i processi dell’algebra ordinaria sono applicabili al presente
sistema. Il solo assioma implicito in quest’applicazione è il
seguente: operazioni equivalenti, compiute su soggetti
equivalenti, producono risultati equivalenti.
La terza legge (3) la chiameremo legge degli indici. Essa è
tipica dei simboli elettivi e vedremo che è di grande
importanza nel metterci in grado di ridurre i nostri risultati
a forme interpretabili.” 6
6
G. Boole, L’analisi matematica della logica, Milano, Boringhieri,1993, p. 6.
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La terza legge, che Boole chiama ‘legge degli indici’, è considerata la
legge caratteristica, sulla quale poggia l’intero sistema (in The Laws
of Thought la stessa legge è espressa come xx = x). La struttura
algebrica cosı̀ costruita è un sistema astratto, suscettibile di differenti
interpretazioni: i ‘simboli elettivi’ del sistema (le variabili) possono
essere interpretati come classi di enti qualsiasi, oppure si può attribuir
loro un valore numerico. In quest’ultimo caso, date le restrizioni
imposte dalla legge degli indici, gli unici valori che possono essere
impiegati sono ‘0’ e ‘1’.
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Tipico del sistema booleano è il procedimento per sviluppare una
data funzione logica f(x), f(x, y), ecc., sviluppo che Boole concepisce
in analogia con la serie di Maclaurin per lo sviluppo di f(x) secondo
potenze crescenti di x. L’analogia è del tutto estrinseca e ha valore
meramente euristico: data, per esempio, la funzione logica f(x,y), se
si interpretano x e y come classi, lo sviluppo dà luogo a una
disgiunzione delle quattro classi che esauriscono l’universo di discorso
e che si possono descrivere affermando e negando x e y. Se invece x
e y sono interpretati come enunciati, lo sviluppo dà luogo a una
disgiunzione di membri che esaurisce tutti i possibili stati di verità e
falsità in cui si può trovare una coppia di enunciati:
xy+x(1-y)+(1-x)y+(1-x)+(1-y) = 1.
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G. Boole, Indagine sulle leggi del pensiero,
Torino, Einaudi, 1976, 101.
“a) Ai simboli che si impiegano per esprimere i dati si deve
assegnare un’interpretazione ben definita, e le leggi di
combinazione di questi simboli devono essere correttamente
determinate da tale interpretazione.
b) I processi formali di soluzione o dimostrazione devono
essere condotti, dal principio alla fine, in osservanza a tutte
le leggi stabilite nel modo sopra indicato, senza prendere in
considerazione la questione dell’interpretabilità dei risultati
particolari ottenuti.
c) Il risultato finale dev’essere interpretabile formalmente, e
dev’essere effettivamente interpretato in accordo con quel
sistema d’interpretazione che è stato impiegato per
esprimere i dati.”
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Gli sviluppi dell’algebra della logica:
William S. Jevons; Charles S. Peirce
William S. Jevons (1835-1882), logico ed economista, allievo di De
Morgan, nel saggio intitolato Pure Logic, or Logic of Quality apart
from Quantity (1864), sebbene reputi eccessivamente
‘matematizzante’ il punto di vista di Boole, introduce nel calcolo
modifiche che ne semplificano le procedure. Due tra le modifiche più
importanti (tra loro collegate) sono l’eliminazione dell’operazione
inversa rispetto alla somma e l’interpretazione della somma come non
esclusiva. Quest’ultima modifica permette di estendere il principio di
idempotenza alla somma logica, stabilendo un’ evidente simmetria col
prodotto: aa = a, a+a = a. Consente, inoltre, di derivare importanti
teoremi che rendono più agevole il calcolo, come le cosiddette leggi di
assorbimento: a+(ab) = a e a(a+b) = a.
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Charles Sanders Peirce (1839-1914)
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Qualche anno dopo la pubblicazione della Pure Logic di Jevons,
Peirce proponeva in un saggio sull’algebra di Boole (On an
Improvement in Boole’s Calculus of Logic (1867)) l’adozione della
somma logica non esclusiva e avanzava l’esigenza di ‘depurare’ il
calcolo booleano dal ricorso a un uso non sempre motivato di
strumenti e metodi dedotti dalla matematica. Tra il 1687 e i primi
del Novecento, Peirce si occupò intensamente di logica, sviluppando
una trattazione algebrica dei termini relativi (termini implicanti
relazioni) e individuando una nutrita serie di teoremi per il calcolo
delle classi, che Ernst Schröder riprenderà nelle Vorlesungen [Lezioni].
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A partire dal 1870, Peirce introduce nei saggi sul calcolo logico il
segno ‘≺’ per indicare la relazione di inclusione tra classi. Circa dieci
anni dopo, impiegherà il medesimo segno per indicare sia l’inclusione
tra classi sia l’implicazione tra enunciati, in maniera da sviluppare,
contemporaneamente al calcolo delle classi, un vero e proprio calcolo
degli enunciati. A questo proposito è degno di nota il fatto che Peirce
fissa un insieme di assiomi per la logica enunciativa e propone di
valutare gli enunciati composti attribuendo in maniera puramente
combinatoria i valori vero e falso agli enunciati componenti. Egli
applica in modo sistematico la tecnica delle ‘tavole di verità per
determinare se certi enunciati sono logicamente validi o no. Resosi
conto che, in molti casi, a causa della complessità della formula da
esaminare, procedendo in modo diretto si devono affrontare calcoli
piuttosto complicati da maneggiare, Peirce arriva a proporre un
meccanismo di valutazione basato sul tentativo di falsificare la
formula in questione.
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Data, per esempio, la formula:
(x≺y)≺{(y≺z)≺(x≺z)},
nella quale ‘≺’ va letto come un condizionale materiale, questa
risulterà falsa, se (x≺y) (l’antecedente) è vero e {(y≺z)≺(x≺z)} (il
conseguente) è falso. Se il conseguente è falso, allora devono
verificarsi le condizioni seguenti:
1 (y≺z) = 1
2 (x≺z) = 0
3 x = 1
4 z = 0.
Sostituendo i valori di ‘x’ e di ‘z’ in, rispettivamente, ‘(x≺y)’ e
’(y≺z)’, si ottiene:
(1≺y) e (y≺0)
le quali, però, “non possono esser soddisfatte entrambe”. Dunque, la
formula non potendo essere falsificata, è logicamente vera.
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In altri termini:
Se l’antecedente di
(x≺y)≺{(y≺z)≺(x≺z)},
è vero e il conseguente falso (per ipotesi), e vale (1≺y), allora
dev’essere y = 1. Cosı̀, però, poiché z = 0 in (y≺z), se
{(y≺z)≺(x≺z)} dev’essere falso, y non può essere = 1
nell’antecedente. Si avrebbe, infatti: {(1≺0)≺(1≺0)} e 0≺0 è = 1,
contro l’ipotesi.
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Non tutti gli scritti logici di Peirce furono editi mentre questi era in
vita. Tra i saggi pubblicati postumi, merita di essere ricordato un
breve scritto del 1880, nel quale vengono espressi mediante un unico
connettivo (‘né. . . , né. . . ’) tutti i connettivi del calcolo enunciativo
classico; un risultato analogo sarà ottenuto nel 1913 da Henry M.
Sheffer.7 Peirce si impegnerà, inoltre, con notevole intensità nella
costruzione e nello studio di grafi per rappresentare enunciati,
inferenze e operazioni logiche complesse, che ricorrono anche a
quantificatori.
7
Cfr. H. M. Sheffer, On a Set, etc.
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Friedrich Wilhelm Karl Ernst
Schröder (1841-1902)
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Matematico tedesco, insegnante dal 1876 al 1902 presso la
Technische Hochschule di Karlsruhe, è colui che sistema e porta a
compimento l’algebra della logica del secolo XIX. I tre monumentali
volumi delle sue Vorlesungen über die Algebra der Logik [Lezioni
sull’algebra della logica], furono pubblicati a Lipsia, rispettivamente,
nel 1890 (calcolo delle classi), nel 1891 (calcolo enunciativo) e nel
1895 (calcolo dei relativi; ma la pubblicazione di parti inedite proseguı̀
dopo la morte dell’autore, fino al 1905). Le Vorlesungen sono una
raccolta completa dei principali risultati ottenuti dall’algebra della
logica nei circa cinquant’anni successivi alla comparsa dell’opera di
Boole.
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Animato dal desiderio di conferire un solido fondamento alla fisica e
all’intero ambito delle scienze della natura, Schröder vede nella
logica, e in quella che chiama ‘algebra assoluta’, intesa come una
teoria generale delle connessioni, la base di tutte queste discipline. La
logica, secondo Schröder, ha il compito di indagare le regole, la cui
applicazione ci permette di conoscere la verità. Oggetto della logica è
il pensiero in quanto ha come fine la conoscenza; l’algebra, a sua
volta, ha tra i propri compiti quello di indagare le proprietà strutturali
della logica: sotto questo aspetto, la logica è una disciplina
subordinata all’algebra.
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Nello scritto Über die formalen Elemente der Absoluten Algebra
[Sugli elementi formali dell’algebra assoluta] (1874), la concezione
dell’algebra assoluta di Schröder risente dell’influenza che su di lui
aveva esercitato la prospettiva combinatoria avanzata da Carl
Friedrich Hindenburg (1741-1808). Altri autori che ebbero un ruolo
importante nella formazione delle idee di Schröder furono Martin
Ohm (1792-1872) e i fratelli Grassmann: Hermann Günther
(1809-1877) e Robert (1815-1901).
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Ohm
Ohm, nel primo volume del Versuch eines vollkommen consequenten
Systems der Mathematik [Ipotesi per un sistema matematico
perfettamente coerente] (1822) aveva distinto, come farà in seguito
Boole, l’aspetto quantitativo da quello qualitativo della matematica,
e aveva impiegato nel calcolo simboli che designavano operazioni
mentali. Inoltre, nella seconda parte del saggio Der Geist der
mathematischen Analysis [Lo spirito dell’analisi matematica] (1862),
aveva legato strettamente l’analisi matematica alla logica,
presentando l’attività di calcolo come fondata non su grandezze o
numeri, bensı̀ su ‘forme’, ovvero su operazioni.
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Grassmann
Schröder aveva stretti rapporti personali con Hermann Grassmann ed
era familiare con le prospettive filosofiche e con i risultati presenti sia
nell’Ausdehnungslehre [Teoria dell’estensione] (1862), sia nel
Lehrbuch der Arithmetik [Manuale di aritmetica] (1861), scritto in
collaborazione col fratello Robert. In Hermann Grassmann, Schröder
trovava una distinzione delle scienze in ‘reali’, concernenti l’essere, e
‘formali’, che studiano i principi generali del pensiero; e trovava una
teoria astratta delle connessioni delle loro proprietà. Attraverso
Robert Grassmann, Schröder veniva a contatto con un vasto e
ambizioso progetto per la costruzione di una dottrina del pensiero,
capace di determinare le leggi, o forme, del ragionamento scientifico
che rimangono identiche per tutti gli uomini. Nel tentativo di
realizzare questo progetto, Robert Grassmann aveva costruito, per vie
del tutto indipendenti, un sistema logico affine a quello booleano.
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Schröder
Nel primo volume delle Vorlesungen, Schröder sviluppa il calcolo delle
classi sulla base della relazione di ‘sussunzione’ (inclusione). Date due
classi a e b, ‘a=(=b’ significa: la classe a è sussunta o è identica alla
classe b. Della relazione di ‘sussunzione’ fissa quindi le proprietà
caratteristiche:
a=(=a
Se a=(=b e b=(=c, allora a=(=c
Se a=(=b e b=(=a, allora a=b
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Sulla base della ‘sussunzione’, dopo aver definito il significato dei
simboli ‘1’ (l’universo) e ‘0’ (la classe vuota), Schröder introduce la
negazione di una classe, mediante un apice in basso a destra da
aggiungere al simbolo della classe da negare; per cui, la negazione di
una classe qualsiasi a viene rappresentata come a| . Schröder
determina, quindi, i seguenti rapporti tra 0, 1 e la negazione:
aa| =(=0
a+a| =(=1
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Indipendentemente dall’inclusione, Schröder introduce le operazioni di
prodotto e di somma, che rappresenta, rispettivamente, con la
giustapposizione di lettere e col segno ‘+’, descrivendone, quindi, le
proprietà caratterizzanti:
ab = ba
a+b = b+a
a(bc) = (ab)c
a + (b + c) = (a + b) + c
a(b + c) = ab + ac
a + (bc) = (a + b)(a + c)
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Un’importante risultato ottenuto da Schröder è l’aver posto in
evidenza il carattere duale delle operazioni di prodotto e di somma
logica. Date due formule f e g, nelle quali le sole operazioni che
compaiono sono la somma, il prodotto logico e la negazione, se in
entrambe si scambiano tra loro simultaneamente le occorrenze del
prodotto con quelle della somma, si ottengono due formule f’ e g’,
che sono ‘duali’ rispetto a f e g. Nel caso che f implichi g, f’ (il
duale di f ) implica g’ (il duale di g ), ecc. Le cosiddette ‘leggi di De
Morgan’ che , come abbiamo visto, erano note fin dal medioevo, sono
un tipico esempio di comportamento duale di congiunzione e
disgiunzione: ‘non(p e q)’ equivale a ‘non-p o non-q’; ‘non(p o q)’
equivale a ‘non-p e non-q’ (per ‘p’ e ‘q’ enunciati qualsiasi).
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All’algebra delle relazioni Schröder attribuisce un ruolo fondante in
rapporto alla costituzione di una lingua universale (‘pasigrafia’),
mutuato direttamente da Leibniz. Per costruire una lingua scientifica
che fosse al di sopra delle peculiarità linguistiche nazionali, Schröder
riteneva necessaria la costruzione di una ‘filosofia esatta’, che avrebbe
dovuto avere come momento essenziale lo studio dei relativi. Nel
terzo volume delle Vorlesungen, Schröder introduce le operazioni sulle
relazioni e ne studia le proprietà più rilevanti.
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L’inserimento della dottrina delle relazioni nel programma per la
costruzione della lingua universale fa sı̀, tuttavia, che Schröder abbia
scarso interesse per la definizione di una struttura assiomatica per il
calcolo dei relativi. Di conseguenza, l’opera di Schröder soffre, sotto
questo punto di vista, di scarsa selettività: come osserverà Peirce,
Schröder deriva una gran quantità di teoremi e svolge complesse
dimostrazioni, senza un criterio che ne specifichi l’importanza e i
reciproci rapporti all’interno del sistema.
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Altre figure di rilievo nel panorama degli algebristi della logica del
secondo Ottocento, sono John Venn (1834-1923) e Hugh McColl
(1837-1909). Venn, insegnante di logica e scienze morali presso
l’Università di Cambridge, propose una tecnica di utilizzo di
diagrammi che, estendendo i metodi di Euler, permette di ottenere
una rappresentazione geometrica delle relazioni tra le classi e tra gli
enunciati. Nella Symbolic Logic (1881) egli fornı̀, inoltre,
un’interessante traccia storica degli sviluppi della logica fino alla
seconda metà dell’Ottocento. McColl, laureatosi presso l’Università
di Londra, insegnò per lungo tempo in una scuola francese a
Boulogne-sur-Mer. Riteneva che la logica dovesse trovare il proprio
fondamento nella teoria degli enunciati, piuttosto che nella teoria
delle classi e, a partire dalla fine degli anni Settanta, sviluppò un
sistema logico nel quale teorizzava il ricorso a un condizionale diverso
dall’usuale condizionale ‘filoniano’ o ‘materiale’.
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Se si prendono in esame gli scritti logici di Leibniz e i suoi progetti
per la costruzione dell’arte caratteristica universale, è facile rendersi
conto che in essi coesistono due modi diversi di concepire la logica.
Da un lato si ha una prospettiva di tipo combinatorio, per cui, dato
un insieme di simboli, si procede a ‘manipolarli’ mediante operazioni
ben definite, avendo di mira fondamentalmente il risultato finale, in
evidente affinità col punto di vista algebrico; dall’altro, ci si imbatte
continuamente nella dichiarazione secondo la quale in una
dimostrazione tutto deve essere specificato nei minimi dettagli in
modo rigoroso, senza salti e senza affidarsi a espressioni delle quali
non si controlla il significato.
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Ciascuna di queste prospettive sottintende un differente rapporto tra
logica e matematica: la prima implica un assorbimento della logica
nella matematica, la seconda, attraverso il concetto di dimostrazione
rigorosa, conferisce una preminenza alla logica rispetto alla
matematica. Nel momento in cui, nella seconda metà dell’Ottocento,
il sogno leibniziano di ‘matematizzare’ la logica viene realizzato, è
come se questi due differenti punti di vista assumessero vita propria,
concretizzandosi in due distinti progetti, che sono portati avanti,
rispettivamente, da George Boole e da Gottlob Frege (1848-1925).
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Per Boole, anche se l’ultima opera che stava progettando, rimasta
inedita allo stadio di abbozzo, testimonia il desiderio di esprimere in
linguaggio ordinario, non matematico, i risultati delle proprie ricerche,
la logica va considerata come un ramo della matematica applicata;
per Frege, la matematica (l’aritmetica e tutte le parti della
matematica che si mostrino riducibili all’aritmetica) non è altro, in
ultima analisi, che una struttura originata dallo sviluppo, mediante
definizioni e teoremi, da nozioni e principi logici fondamentali. Se
l’opera di Boole matura e si sviluppa all’interno della tradizione
algebrica del Regno Unito, l’opera di Frege si situa al punto
culminante di quel processo noto come ‘aritmetizzazione dell’analisi’,
che matura sul continente, soprattutto in Germania.
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Nel 1797, con la pubblicazione della Thèorie des functions analytiques
contenant le principes du calcul diffèrentiel [Teoria delle funzioni
analitiche, contenente i principi del calcolo differenziale], Joseph
Louis Lagrange (1736-1813) si aveva un primo tentativo di rendere
rigorose le basi del calcolo e di sistemare in modo organico i principi
dell’analisi. Sebbene da questo punto di vista non comportasse
risultati definitivi, l’opera di Lagrange aveva il merito di cercare di
connettere gli sviluppi dell’analisi matematica con i fondamenti dai
quali era stata generata e di far valere una forte esigenza di chiarezza
relativamente a tali fondamenti.
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Agli inizi dell’Ottocento, il decisivo affermarsi, in matematica, di un
più elevato livello di rigore e il consolidarsi di un atteggiamento di
diffidenza nei confronti del ricorso all’intuizione, condizionano in
maniera decisiva l’indagine relativa ai concetti fondamentali
dell’analisi. Testimonianza del diffondersi di questo atteggiamento
sono le opere di Karl Friedrich Gauss (1777-1855), del norvegese
Niels Henrik Abel (1802-1829) e del francese Augustin-Louis Cauchy
(1789-1857), che, nel 1821 col Cours d’analyse tenta di elaborare una
teoria generale dei limiti..
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Da un lato, però, la costruzione di Cauchy si fonda su una nozione, in
certo senso, ‘intuitiva’ del sistema dei numeri reali, dall’altro, proprio
la mancanza di un’accurata indagine di tale sistema fa sı̀ che, in
relazione al concetto stesso di limite, si insinui un vizio di circolarità.
Come osserverà in seguito Karl Weierstrass (1815-1897), Cauchy
aveva fatto ricorso alla nozione di limite per definire il concetto di
numero irrazionale, senza rendersi conto che, a sua volta, la nozione
di limite presuppone logicamente proprio quel concetto. Nella
seconda metà dell’Ottocento, a circa trent’anni dalla pubblicazione
del Cours d’analyse, sarà lo stesso Weierstrass ad avviare,
sviluppando i risultati del matematico francese, un programma di
rigorizzazione dell’analisi, che si concluderà con i lavori di Georg
Cantor (1845-1918) e di Richard Dedekind (1831-1916).
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Già nel 1859, quando, presso l’Università di Berlino, teneva le lezioni
sulla teoria delle funzioni, Weierstrass sottolinea con particolare forza
la distinzione fra momento della scoperta e momento della
giustificazione. Al ricercatore, egli sostiene, è consentito battere
qualsiasi strada; ma quando è in gioco la giustificazione razionale dei
risultati ottenuti, allora si deve percorrere l’unica via della fondazione
sistematica della teoria. Sulla base di questa assunzione
programmatica, il progetto di Weierstrass acquista una fisionomia
precisa. Rifacendosi all’opera di Cauchy, Weierstrass ne mette in
rilievo la circolarità richiamata sopra, libera l’introduzione dei numeri
irrazionali dal riferimento alla geometria e li definisce come aggregati
di numeri razionali.
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L’indagine relativa ai fondamenti dell’analisi si configura quindi come
la fase conclusiva di un processo di rigorizzazione e strutturazione del
sistema dei numeri che era stato avviato tra la fine del Settecento e i
primi dell’Ottocento con l’interpretazione geometrica dei numeri
complessi, e che aveva raggiunto un primo traguardo nel 1843 con la
riconduzione dei numeri complessi ai reali ad opera di William Rowan
Hamilton. Con la riconduzione della teoria dei numeri reali a quella
dei razionali (e quindi, implicitamente, a quella dei naturali) operata
simultaneamente da Cantor e Dedekind nel 1872, il programma di
aritmetizzazione dell’analisi poteva considerarsi realizzato.
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Il trattamento sistematico della teoria delle funzioni aveva indotto
Weierstrass a svolgere un approfondito esame della struttura dei
numeri reali. Sulla traccia indicata da Weierstrass, e soprattutto
appellandosi alla medesima esigenza di rigore logico che animava
quest’ultimo, Cantor e Dedekind avevano elaborato, da prospettive
differenti, una fondazione teorica definitiva dei numeri reali,
mostrando come il progetto di costruire la matematica sulla base di
alcune nozioni fondamentali dell’aritmetica potesse effettivamente
realizzarsi.
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Soltanto facendo riferimento a questo peculiare sviluppo della
matematica, le concezioni logiche di Frege possono ricevere una luce
adeguata e divenire comprensibili nella loro genesi storica. Inserendosi
nel processo di rigorizzazione dell’analisi avviato da Weierstrass,
Frege concepisce un programma di riduzione ancor più radicale:
definire i concetti dell’aritmetica in termini meramente logici e
ricondurre quindi le proposizioni aritmetiche a un certo numero di
assiomi o proposizioni primitive della logica, facendo uso di
determinate regole di inferenza. L’immagine della matematica che
corrisponde a siffatta concezione è quella di un edificio avente per
base l’aritmetica. Nella misura in cui le parti ‘superiori’ della
costruzione possono venir ricondotte al loro fondamento, una volta
che quest’ultimo si sia rivelato risolubile in assiomi e definizioni
logiche, si è mostrato che l’intera matematica (a eccezione della
geometria, che per Frege, come per Kant, è il dominio dei giudizi
sintetici a priori, non sia altro che logica applicata.
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Come compito prioritario per l’attuazione di tale progetto, Frege
indica la costruzione di uno strumento linguistico che consenta di
esprimere in una notazione non equivoca le varie fasi della
dimostrazione matematica. Il modello che tiene presente è l’ars
characteristica universalis, della quale, però, contesta, sia pure
parzialmente, la pretesa universalistica. Limitando il proprio compito
alla costruzione di un linguaggio artificiale per la matematica, Frege,
rispetto al programma leibniziano, restringe l’ambito dell’arte
caratteristica; al tempo stesso, tuttavia, non manca di rilevare il
carattere centrale della matematica, rispetto ai domini particolari
delle altre scienze, e auspica, proprio sulla base della ‘centralita’ che
assumerebbe un linguaggio artificiale per la matematica, un
superamento delle divisioni che sussistono tra i linguaggi artificiali
delle rimanenti discipline.
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Con il suo primo scritto di logica: Begriffsschrift. Eine der
arithmetischen nachgebildete Formelsprache des reinen Denkens
[Ideografia. Un linguaggio in formule, modellato su quello
dell’aritmetica, per il pensiero puro], edito nel 1879, Frege traccia le
linee fondamentali di tale linguaggio, costruendo, sulla base di una
notazione simbolica chiara, anche se all’apparenza bizzarra, un
sistema formale rigoroso, composto essenzialmente da una serie di
proposizioni che sono assunte come primitive (assiomi) e da regole
ben specificate per derivare nuove proposizioni da quelle primitive.
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Principali risultati raggiunti da Frege nella Begriffsschrift:
Riunificazione sistematica, su un’unica base, della logica degli
enunciati promossa dagli stoici e della logica della
quantificazione avviata da Aristotele.
Sostituzione dell’analisi dell’enunciato in termini di
soggetto-predicato con l’analisi funzione-argomento.
Costituzione (per la prima volta nella storia della logica) di una
teoria coerente della quantificazione.
Definizione (conseguente ai risultati menzionati nei due punti
precedenti) di uno strumentario adeguato per la trattazione della
logica delle relazioni, anche nel caso di quantificatori mescolati a
relazioni e nel caso di quantificatori ‘intrecciati’ tra loro.
Presentazione di un sistema assiomatico di logica completo e
consistente, comprensivo della logica enunciativa, della logica
quantificata e della logica quantificata con identità.
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I Principia Mathematica
I tre volumi dei Principia Mathematica di Bertrand Russell e Alfred
North Whitehead costituiscono un punto di svolta nella storia della
logica: pubblicati negli anni compresi tra il 1910 e il 1913, raccolgono
e sistematizzano i principali risultati ottenuti nella disciplina a partire
dalla seconda metà dell’Ottocento.
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Bertrand Russell, 1872-1970
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Alfred North Whitehead, 1961-1947
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Semplificando in modo radicale, potremmo guardare ai Principia
come a un’opera di sintesi ottenuta mettendo insieme
la Begriffsschrift di Frege (senza la quantificazione su funzioni,
cioè senza il second’ordine);
il linguaggio formale proposto da Peano;
importanti innovazioni introdotte dalla tradizione algebrica sorta
con Boole, De Morgan e Peirce (l’elaborazione di una logica
delle relazioni, per esempio);
la teoria degli insiemi come era stata sviluppata fino ad allora da
Georg Cantor.
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Whitehead-Russell, 1977, p. 11
Nella prefazione ai Principia, Russell e Whitehead riassumono nei
termini seguenti il loro debito nei confronti della tradizione
precedente:
“In fatto di notazione, abbiamo seguito quanto più possibile
Peano, integrando la sua notazione, ove ciò si rendeva
necessario, con quella di Frege o con quella di Schröder. Gran
parte del simbolismo, tuttavia, si è dovuto crearla ex novo, e ciò
non tanto perché fossimo insoddisfatti del simbolismo altrui,
quanto perché avevamo a che fare con idee mai prima trasposte
in simboli. In tutte le questioni di analisi logica, il nostro debito
principale è con Frege.”
Poco oltre, i due autori riconoscono che, per quel che riguarda
l’aritmetica e la “teoria delle serie”, la loro opera “si fonda su quella
di Georg Cantor.”
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Per ciò che concerne gli argomenti strettamente logici, sempre in
un’ottica semplificatrice, si può dire che Russell e Whitehead operino
in tre direzioni fondamentali: a) depurano e rendono accessibili le
scoperte di Frege, esprimendole in un linguaggio più facile a leggersi
rispetto a quello fregeano; b) rendono esplicito il senso e le
motivazioni di siffatte scoperte; c) integrano i risultati di Frege in un
contesto più ampio, saldandoli a un vasto insieme di altri contributi,
in modo da dar forma a un corpo dottrinale unitario e organico. In
particolare, a chi li assumerà come oggetto di studio, i Principia
1 consentiranno di mettere a fuoco in maniera chiara la distinzione
tra logica degli enunciati e logica della quantificazione o dei
predicati;
2 forniranno una caratterizzazione precisa della struttura di un
sistema formale, permettendo lo sviluppo di indagini che
verteranno sulle proprietà globali di siffatti sistemi.
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